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Stato, Chiese e pluralismo confessionale Rivista telematica (www.statoechiese.it), n. 24/2016 4 luglio 2016 ISSN 1971- 8543 Vera Valente (dottore di ricerca in Istituzioni e Politiche comparate nell’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”, Dipartimento di Giurisprudenza) Tutela della coscienza, tra freedom to resign e indeclinabilità delle funzioni pubbliche * SOMMARIO: 1. Freedom to act. Ammissibilità e limiti all’esercizio dell’obiezione di coscienza - 2. Convincimenti religiosi e prestazioni lavorative - 3. Il principio di laicità nella ponderazione tra valori. Note a margine dell’ affaire Ebrahimian c. France - 4. La giurisprudenza di Strasburgo: freedom to resign e limiti all’obiezione di coscienza a partire dalla sentenza Eweida - 5. I labili confini dell’agere licere, tra indeclinabilità delle funzioni pubbliche e tutela dei diritti altrui - 6. Un’osservazione conclusiva. 1 - Freedom to act. Ammissibilità e limiti all’esercizio dell’obiezione di coscienza Il diritto all’obiezione di coscienza ha fatto il suo ingresso “ufficiale” nel compendio di libertà consacrate dalla legislazione europea solo nel 2009, con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, che ha conferito rango di diritto primario alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, a dimostrazione della centralità dei diritti della coscienza nel patrimonio comune europeo. Invero, l’art. 10.1 della Carta garantisce espressamente il diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione. Nel riprodurre testualmente, almeno di massima, la precedente disposizione Cedu, non ne traspone altrettanto pedissequamente nè i controlimiti, né la remissione al margine d’apprezzamento statale 1 . L’analoga clausola generale limitativa, contemplata all’art. 52, piuttosto esalta contenuto ed efficacia applicativa 2 *Contributo sottoposto a valutazione- 1 C. MIGNONE, La libertà di religione nella giurisprudenza di Strasburgo, pluralità di modelli di regolazione del conflitto religioso. Concorso di valori e conflitto di sovranità, in L. Ruggeri (a cura di), Giurisprudenza della Carta europea dei diritti dell’uomo e influenza sul diritto interno, ESI, Napoli, 2009, p. 93 ss. Cfr. altresì G. F. Ferrari (a cura di), I diritti fondamentali dopo la Carta di Nizza. Il costituzionalismo dei diritti, Giuffrè, Milano, 2001, p. 1 ss. 2 Cfr. F. ALICINO, Costituzionalismo e diritto europeo delle religioni, Cedam, Milano, 2011, p. 78 ss., T. GROPPI, Art. 10. Libertà di pensiero, di coscienza e di religione, in R. Bifulco, M. Cartabia, A. Celotto (a cura di), L’Europa dei diritti. Commento alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, il Mulino, Bologna, 2001.

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4 luglio 2016 ISSN 1971- 8543

Vera Valente (dottore di ricerca in Istituzioni e Politiche comparate nell’Università degli Studi

di Bari “Aldo Moro”, Dipartimento di Giurisprudenza)

Tutela della coscienza, tra freedom to resign

e indeclinabilità delle funzioni pubbliche *

SOMMARIO: 1. Freedom to act. Ammissibilità e limiti all’esercizio dell’obiezione di

coscienza - 2. Convincimenti religiosi e prestazioni lavorative - 3. Il principio di laicità

nella ponderazione tra valori. Note a margine dell’affaire Ebrahimian c. France - 4. La

giurisprudenza di Strasburgo: freedom to resign e limiti all’obiezione di coscienza a

partire dalla sentenza Eweida - 5. I labili confini dell’agere licere, tra indeclinabilità delle

funzioni pubbliche e tutela dei diritti altrui - 6. Un’osservazione conclusiva.

1 - Freedom to act. Ammissibilità e limiti all’esercizio dell’obiezione di

coscienza

Il diritto all’obiezione di coscienza ha fatto il suo ingresso “ufficiale” nel compendio di libertà consacrate dalla legislazione europea solo nel 2009, con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, che ha conferito rango di diritto primario alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, a dimostrazione della centralità dei diritti della coscienza nel patrimonio comune europeo. Invero, l’art. 10.1 della Carta garantisce espressamente il diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione. Nel riprodurre testualmente, almeno di massima, la precedente disposizione Cedu, non ne traspone altrettanto pedissequamente nè i controlimiti, né la remissione al margine d’apprezzamento statale1. L’analoga clausola generale limitativa, contemplata all’art. 52, piuttosto esalta contenuto ed efficacia applicativa2

*Contributo sottoposto a valutazione- 1 C. MIGNONE, La libertà di religione nella giurisprudenza di Strasburgo, pluralità di modelli

di regolazione del conflitto religioso. Concorso di valori e conflitto di sovranità, in L. Ruggeri (a cura di), Giurisprudenza della Carta europea dei diritti dell’uomo e influenza sul diritto interno, ESI, Napoli, 2009, p. 93 ss. Cfr. altresì G. F. Ferrari (a cura di), I diritti fondamentali dopo la Carta di Nizza. Il costituzionalismo dei diritti, Giuffrè, Milano, 2001, p. 1 ss.

2 Cfr. F. ALICINO, Costituzionalismo e diritto europeo delle religioni, Cedam, Milano, 2011,

p. 78 ss., T. GROPPI, Art. 10. Libertà di pensiero, di coscienza e di religione, in R. Bifulco, M.

Cartabia, A. Celotto (a cura di), L’Europa dei diritti. Commento alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, il Mulino, Bologna, 2001.

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del diritto, prevedendo che eventuali limitazioni possano essere apportate solo laddove siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui. Ancora più innovativo è il secondo paragrafo, relativo al diritto di comportarsi secondo coscienza. Il secondo paragrafo dell’art. 10 della Carta dei diritti fondamentali, infatti, contiene un espresso e generale riconoscimento del diritto all’obiezione di coscienza, sulla scorta delle leggi nazionali che ne disciplinano l’esercizio. Lungi dal ritenere che il suddetto rinvio valga a escludere l’obiezione in ipotesi non tassativamente previste dai legislatori statali3, la valorizzazione dell’art. 52, a norma del quale le limitazioni ai diritti in essa enunciati devono in ogni caso rispettarne il contenuto essenziale, induce a concludere per la tutela diretta4.

La Convenzione europea dei diritti dell’uomo, invece, accanto alla previsione generale, contenuta nell’art. 9, non sancisce in maniera altrettanto chiara ed espressa la necessaria conseguenza ed estrinsecazione del diritto di libertà di coscienza. L’unica menzione concerne l’ipotesi specifica del diritto all’obiezione al servizio militare, contenuta nell’art. 4, comma 3, lett. b). Le criticità della norma generale, dunque, consistono proprio nel fatto che il contenuto positivo dei diritti ivi enucleati sia poi, nei fatti, perimetrato in negativo dai loro limiti, rimessi al bilanciato apprezzamento degli stati membri e della giurisprudenza. Manca difatti un puntuale riferimento ai profili concreti e all’ambito applicativo che ne esplichi la portata essenziale5. Ne consegue che, in specie laddove la vis expansiva dei diritti fondamentali si confronti con le prescrizioni dell’ordinamento positivo, il rischio è quello di restrizioni suffragate da vulnera meramente ipotetici e astratti, che sfuggano alle generali limitazioni contemplate dal comma 2, sicché la Corte Europea, al cospetto di denunce di violazione dell’art. 9, dovrà procedere a una rigorosa two step analysis, dapprima valutando che le fattispecie dedotte integrino effettivamente un’ingerenza nella libertà dell’individuo e verificando poi in concreto se tale intromissione sia stata o meno legittima.

3 Cfr. C. CASONATO, Il contenuto della Carta, tra conferme, novità e contraddizioni, in R.

Toniatti (a cura di), Diritto, diritti, giurisdizione. La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, Cedam, Padova, 2002, p. 109, il quale, aderendo a quest’orientamento, annovera la garanzia dell’obiezione di coscienza tra i «diritti “ingessati” o “pietrificati”, la cui tutela appare esclusivamente attribuita ai legislatori statali».

4 T. GROPPI, Art. 10. Libertà di pensiero, di coscienza e di religione, cit., p. 68. 5 Cfr. J.T. MARTÌN DE AGAR, Libertà di coscienza, in P. Gianniti (a cura di), La CEDU e

il ruolo delle Corti, in Commentario del Codice Civile e codici collegati Scialoja-Branca-Galgano, a cura di G. De Nova, I, Zanichelli, Bologna, 2015, p. 1116 ss.

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La tutela dei diritti della coscienza, seppur nei limiti stabiliti dalla legge e giustificati dalla necessità sociale e dalla proporzionalità al fine legittimo perseguito6, è cioè funzionale alla realizzazione di una società democratica e autenticamente pluralista, attraverso il contemperamento e l’armonizzazione delle diverse posizioni, su cui si fonda l’Unione. Eventuali restrizioni all’esercizio della libertà di manifestazione del pensiero e della fede religiosa possono essere ritenute legittime solo ove siano previste dalla legge nazionale di uno stato membro e risultino effettivamente necessarie al fine di proteggere l’ordine pubblico, la salute e la morale pubblica, nonché i diritti e le libertà altrui.

Peraltro, se un primo orientamento della Corte aveva concesso una tutela meramente indiretta, rimettendosi al margine di apprezzamento degli stati membri, proprio sulla scorta delle indicazioni delle istituzioni europee, la giurisprudenza di Strasburgo è pervenuta successivamente a un’interpretazione convenzionalmente orientata, in applicazione della living instrument doctrine7, a conferma di come l’obiezione inveri a deriving logically from the fundamental rights of the individual in democratic Rule of Law States which are guaranteed in Art. 9 of the European Convention of Human Rights8.

Sin dalla sua prima proclamazione, grazie alla carta di Nizza, il diritto di comportarsi secondo coscienza è dunque riconosciuto come contenuto concreto della libertà, la cui tutela, purtuttavia, non può ritenersi illimitata e incondizionata.

Al contrario, al fine di evitare una deriva individualistica e un vulnus ai principi democratici, essa potrà essere accordata solo all’esito di un delicato processo di bilanciamento tra la coscienza individuale e le facoltà che da essa promanano e che l’obiettore rivendica, da un lato, e i complessivi doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale, dall’altro9, nell’incessante osmosi tra interessi del singolo e della collettività.

2 - Convincimenti religiosi e prestazioni lavorative

6 Corte EDU, Serif vs. Grecia, 14 dicembre 1990. 7 Corte EDU (Grand Chamber), Bayatyan vs. Armenia, 7 luglio 2011. Cfr. altresì Corte EDU, Ercep vs. Turchia, 22 novembre 2011; Corte EDU, Tsaturyan vs.

Armenia, 10 gennaio 2012; Corte EDU, Bukharatyan vs. Armenia, 10 gennaio 2012. 8 Risoluzione del Parlamento europeo 337/1967. 9 Cfr., nell’ordinamento italiano, Corte cost., 20 febbraio 1997, n. 43; 19 dicembre 1991,

n. 467.

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Il mondo del lavoro dipendente sta offrendo da qualche tempo un interessante campo di applicazione delle molteplici istanze di riconoscimento di dimensioni private e appartenenze identitarie. Le sempre più numerose richieste di legittimazione dell’obiezione che vi si manifestano traggono origine proprio da taluni tratti della società contemporanea, caratterizzata da un politeismo di valori diversi e contrastanti, tutti fortemente radicati. Per dirla con le parole di Rawls, nell’odierno costituzionalismo, “la varietà delle dottrine comprensive ragionevoli (religiose, filosofiche e morali) presenti nelle società democratiche [...] è un aspetto permanente della cultura pubblica della democrazia10”, in cui ciascuno rivendica la propria individualità, sicché la possibilità di far valere le proprie ragioni di coscienza diviene un mezzo necessario per garantire l’effettiva costruzione della sfera individuale. Altrimenti, si profila il rischio di cedere a presunzioni iuris et de iure della legittimità dei fini, attraverso clausole preventive a fronte di rischi eventuali, che potrebbero inverare una grave lesione all’esercizio dei diritti di libertà.

Lo schema della richiesta involge fondamentalmente l’esenzione da un obbligo dettato dalla legge o dedotto in contratto, all’osservanza del quale si è giuridicamente tenuti, in ossequio a una norma di contenuto opposto che ricava forza cogente a seguito di un processo di interiorizzazione nella coscienza dell’individuo11, cui si riconosce valore giuridicamente rilevante e, perciò, meritevole di tutela. In foro conscientiae, ciascun individuo formula liberamente una personale scala di valori e chiede di potervi conformare la propria concezione della vita, attraverso manifestazioni esteriori, opponendosi all’adempimento dei propri doveri professionali, attraverso il rifiuto o della prestazione tipica specificatamente determinata o di una sua peculiare modalità di svolgimento. Ciò che viene reclamato, peraltro, non è la mera esenzione dalla regola comune, bensì la

10 J. RAWLS, Liberalismo politico, Einaudi, Milano, 2012, p. 47. 11 Nell’ambito della vasta letteratura sul tema, si segnalano, intanto, i contributi

maggiormente attinenti all’aspetto qui trattato: R. BERTOLINO, L’obiezione di coscienza

“moderna”. Per una fondazione costituzionale del diritto di obiezione, Giappichelli, Torino, 1994, V. TURCHI, I nuovi volti di Antigone. Le obiezioni di coscienza nell’esperienza giuridica

contemporanea, Esi, Napoli, 2009, D. PARIS, L’obiezione di coscienza. Studio sull’ammissibilità di un’eccezione, Passigli Editore, Firenze, 2012; sino ai più recenti contributi a margine della pronuncia su obiezione e aborto farmacologico, Cass. Pen., Sez. VI, 27 novembre 2012, n.

14979, V. ABU AWWAD, Obiezione di coscienza e aborto farmacologico, in Diritto Penale

Contemporaneo, Rivista telematica, 27 giugno 2013, oltre che P. PIRAS, Quando volere non è potere: in tema di obiezione di coscienza, in Diritto Penale Contemporaneo, Rivista telematica, 8 gennaio 2014.

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positiva adozione di una regola particolare, atta a tutelare in concreto la manifestazione dei propri convincimenti interiori12.

Ebbene, le istituzioni europee hanno portato a compimento la costituzionalizzazione della persona13 anche in siffatto ambito, giacché la garanzia delle diverse istanze valoriali si pone a presidio dei valori indivisibili e universali della dignità umana, dell’uguaglianza, del principio della democrazia e dello stato di diritto, in un civile compromesso tra individualità della coscienza e universalità della convivenza14. Dal punto di vista istituzionale, dunque, le odierne società democratiche confermano come l’obiezione di coscienza integri una tecnica di risoluzione dei conflitti, indispensabile alla società pluralista15.

In proposito, si assiste a un significativo avvicinamento a livello comparato tra sistemi giuridici al di qua e al di là dell’Atlantico.

Gli Stati Uniti hanno ormai offerto una consolidata distinzione, elaborata alla luce del I emendamento, tra freedom to believe e freedom to act16 e, beninteso, solo la seconda può soffrire di talune eccezioni, laddove si profili un conflitto improprio tra due sistemi normativi tra loro irriducibili - di cui cioè non può assumersi la perdurante e simultanea validità - come la lex poli17 da una parte e la lex fori o, come nei casi in esame, la lex datoris, dall’altra.

La medesima distinzione si rinviene anche nella giurisprudenza europea che, sulla scorta dei principi sopra enunciati, compone il delicato equilibrio tra esercizio della libertà di agire sulla scorta dei propri convincimenti religiosi e prestazioni lavorative, consapevole di come il

12 Cfr. G. CIMBALO, Prefazione a A. DE OTO, Precetti religiosi e mondo del lavoro. Le

attività di culto tra norme generali e contrattazione collettiva, Ediesse, Roma, 2007, p. 9. 13 S. RODOTÀ, Il diritto di avere diritti, 2013, Laterza, Roma-Bari, p. 148 ss. 14 F. ALICINO, Costituzionalismo e diritto europeo delle religioni, cit. p. 323. 15 S. RODOTÀ, Problemi dell’obiezione di coscienza, in Quaderni di Diritto e Politica

ecclesiastica, 1993/1, pp. 55-71. Secondo l’Autore, in tal modo, «nessuno degli interessi in campo viene sacrificato, nessuno degli interessi pretende di imporsi a tutti gli altri. In questa prospettiva, il diritto alla obiezione di coscienza si presenta come strumentale alla realizzazione del “diritto alla diversità”».

16 Sulla distinzione tra freedom to believe e freedom to act, l’una a carattere assoluto, l’altra a carattere inevitabilmente relativo e limitabile, cfr. F. ONIDA, Ultimi sviluppi

nell’interpretazione del principio di libertà religiosa nell’ordinamento statunitense, in Il diritto ecclesiastico, 1983, I, pp. 350-351.

17 Cfr. R. BERTOLINO, L’obiezione di coscienza moderna. Per una fondazione costituzionale

del diritto di obiezione, Giappichelli, Torino, 1994, che ricostruisce la definizione di lex poli come “legge della coscienza, icasticamente qualificata dai giuristi medioevali come la stella polare che orienta l’uomo nel cammino della storia”.

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bilanciamento tra beni costituzionalmente protetti debba assurgere a regola di compatibilità tra tavole assiologiche differenti.

3 - Il principio di laicità nella ponderazione tra valori. Note a margine

dell’affaire Ebrahimian c. France Il fine e al contempo l’esito della ponderazione tra valori non è rappresentato dalla prevalenza dell’una o l’altra convinzione individuale, quanto piuttosto dalla scelta di un vero e proprio metodo e canone ermeneutico, rappresentato dal principio di laicità18, che funge da criterio direttivo delle politiche di riconoscimento delle differenze19 anche a livello europeo. Quanto al principio di laicità, peraltro, la giurisprudenza di Strasburgo è attenta a garantire le specificità nazionali, tutelando il diritto alla differenza sia in una prospettiva interna, che in una prospettiva sovranazionale, riconoscendo agli Stati il diritto di disciplinare liberamente i rapporti con le confessioni religiose, salvo il rispetto dei diritti fondamentali garantiti nella CEDU.

È di recente divenuta definitiva, ai sensi dell’art. 44 della Convenzione, una pronuncia20 resa dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, che ha ribadito l’impossibilità di delineare in tutta Europa una concezione uniforme della portata della manifestazione pubblica di una credenza religiosa, sicché nel bilanciamento convient de prendre en compte le contexte national des relations entre l’État et les Églises, qui évolue dans le temps, avec les mutations de la société21.

La Corte compensa questo self restraint con una motivazione rafforzata e, lungi dall’arrestarsi dinanzi a una cieca assolutizzazione del modello francese22, ne dispiega e pondera il significato nella specificità della fattispecie dedotta in concreto.

18 Cfr. S. RODOTÀ, Perché laico, Laterza, Roma-Bari, 2009, p. 56. 19 Cfr. N. COLAIANNI, Diritto pubblico delle religioni, Eguaglianze e differenze nello stato

costituzionale, il Mulino, Bologna, 2012, p. 43 ss., il quale nell’art. 17 Tfue rinviene una forma di neo-separatismo, che non si traduce nell’applicazione stretta del principio di separazione cieco alle differenze, ma è impregnato della laicità pluralistica, rispettosa delle diversità esistenti all’interno dell’Unione.

20 Sent. Corte Europea diritti dell'uomo, Sez. V, Ebrahimian c. France, 26 novembre 2015, n. 64846/11.

21 Sent. Corte EDU Affaire Ebrahimian c. France, cit., par. 65. Cfr. altresì la precedente sentenza della Grande Camera, Leyla Şahin v. Turkey, par. 109, 10 novembre 2005.

22 Sulla laicità à la française, cfr. F. ALICINO, Liberté d’expression et religion en France. Les

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Nel caso Ebrahimian c. France, infatti, la ricorrente, dipendente a tempo determinato presso un ente pubblico a carattere sanitario e sociale della città di Parigi, aveva denunciato il mancato rinnovo del suo contratto di lavoro a causa del rifiuto di rimuovere il copricapo indossato in forza delle proprie convinzioni religiose e della sua appartenenza alla fede musulmana. Per contro, l’Amministrazione aveva opposto l’insussistenza di qualsivolgia forma di discriminazione, evidenziando, piuttosto, le fondamenta giuridiche della rescissione del contratto, a causa dell’inadempimento e della violazione dei doveri della funzionaria, cui era fatto esplicito divieto di esporre tale appartenenza.

La Corte Edu, dunque, era stata chiamata a valutare la sussistenza di un diritto a ottenere un’eccezione rispetto all’applicazione della regola generale prevista nell’ambito del rapporto di lavoro, sulla scorta di convinzioni religiose individuali, ovvero l’integrazione o meno di una forma di discriminazione indiretta, derivante proprio dal trattamento indifferenziato, dalla soggezione a tale regola generale e dalla conseguente comminazione di una sanzione disciplinare. Occorre valutare se il rifiuto della dipendente di adempiere la prestazione dovuta in contrasto con i dettami della propria coscienza possa comportare la legittima e ragionevole deprivatio della possibilità di conservare il proprio posto di lavoro o di godere di un determinato trattamento23.

La Corte rileva che il mancato rinnovo sia motivato dal rifiuto di togliere il velo, manifestazione di una credenza sincera, sicchè considera che la misura abbia integrato effettivamente una ingerenza con il diritto garantito dall’art. 9 Cedu. E pur tuttavia, poi ritiene giustificata la restrizione, all’esito del vaglio delle circostanze in presenza delle quali l’Autorità ha limitato i diritti tutelati dalla Convenzione.

Innanzitutto, la Corte rinviene la base legale della restrizione, accedendo a una nozione sostanziale, e non formale, della legge, nel cui novero include, non soltanto la legge scritta, ma anche i testi di rango inferiore e la sistematica e consolidata giurisprudenza nazionale.

Ebbene, i giudici di Strasburgo ricostruiscono la lunga tradizione francese, dalla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789 e dalla loi de séparation del 9 dicembre 1905, sino all’art. 1 della Costituzione del 1958, che sancisce espressamente il principio di laicità, così delineando uno degli elementi essenziali della République e al contempo ″il fondamento

démarches de la laïcité à la française, in La Costituzione francese/La constitution française, M. Calamo Specchia (a cura di), Giappichelli, Torino, 2009, I, p. 29 ss.

23 Cfr. V. PACILLO, Contributo allo studio del diritto di libertà religiosa nel rapporto di lavoro

subordinato, Giuffrè, Milano, 2003, p. 181.

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del dovere di neutralità e imparzialità dell’Autorità pubblica, nei confronti di tutte le convinzioni religiose e delle rispettive forme di manifestazione″24. Siffatta neutralità dell’Amministrazione, dunque, integra uno degli specifici obblighi posti in capo a tutti gli agenti del servizio pubblico25. Il diritto alla libertà di coscienza del singolo, invero, è comunque convenzionalmente garantito, in quanto la Corte non rimette alla Francia il potere di ridurre discrezionalmente i valori in gioco, ma ne soppesa in maniera critica il punto di equilibrio raggiunto, evidenziando che

la France a opéré une conciliation entre le principe de neutralité de la puissance publique et la liberté religieuse, déterminant de la sorte l’équilibre que doit ménager l’État entre des intérêts privés et publics concurrents ou différents droits protégés par la Convention.

I diritti e gli obblighi dei funzionari francesi sono disciplinati dalla Legge del 13 giugno 1983, che declina i principi costituzionali all’interno del rapporto di lavoro pubblicistico, in modo da garantire la libera manifestazione del funzionario principalmente in via negativa, quale indifferenza da parte dell’Amministrazione nei confronti delle convinzioni dei propri funzionari. Il Consiglio di Stato26 con l’avis contieux Marteaux del 3 maggio 2000 ha infatti confermato che gli agenti pubblici, come tutti gli altri cittadini, beneficino della libertà di coscienza, che vieta qualsivoglia discriminazione in materia di accesso alle funzioni e sviluppo della carriera27. Tuttavia, siffatta libertà doit se concilier, dal punto di vista della sua manifestazione esteriore, con il principio di neutralità dei servizi pubblici.

Non è questa la sede per approfondire se il dovere di fedeltà imposto ai funzionari pubblici abbia un contenuto ideologicamente caratterizzato, tipico delle democrazie che si difendono28 sicché la fedeltà va prestata ai valori sui quali lo Stato si fonda, o se invece esso si limiti a richiedere un

24 Sent. Corte EDU, Ebrahimian c. France, cit., par. 49 25 M.C. RUSCAZIO, Riflessioni di diritto comparato e canonico sull’obiezione di coscienza del

pubblico funzionario, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica (www.statoechiese.it), n. 11 del 2015. Sulla distinzione tra l’utilizzo di simboli religiosi indossati da soggetti in quanto utenti - ammesso - o in quanto erogatori di un servizio pubblico - vietato -, cfr. S. SICARDI, Manifestazioni di credo religioso e spazi pubblici, tra

libertà, laicità ed identità: una dura prova per le democrazie contemporanee, in Diritto Pubblico Comparato ed Europeo, 2005, I, pp. 127-134.

26 Cfr. parere del Conseil d’État, Mlle Marteaux, 3 maggio 2000, n. 217/017. 27 M. CALAMO SPECCHIA, I “simboli” della (in)tolleranza: la laïcité neutrale e la

République, in Diritto Pubblico Comparato ed Europeo, 2005, I, pp. 153-175. 28 P. TOSO, Dovere di fedeltà e diritto di resistenza. L’obiezione di coscienza del pubblico

funzionario, in Riv. trim. dir. pubbl., 1990, II, p. 426 ss.

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atteggiamento formale di accettazione delle istituzioni e rispetto rigoroso delle leggi. Quel che è certo è che il principio di laicità, che in Francia è oggetto di espressa costituzionalizzazione, e il suo corollario di rigorosa neutralità dei servizi pubblici ostano al riconoscimento della rivendicazione della libertà di coscienza in capo all’istante, in ragione della necessità di garantire la parità di trattamento agli utenti dell’Amministrazione, che impone l’osservanza di uno stretto dovere di neutralità nell’esercizio delle funzioni. Tale neutralità, che concorre a integrare il contenuto del dovere di lealtà qualificata e funzionale, non può che esplicarsi sia nei confronti dell’autorità, che degli amministrati al cui servizio si pone29, ed è tanto più imperativa nel caso di specie, atteso che trattavasi di pazienti in stato di fragilità e dipendenza psicologica. In questo, peraltro, la Corte aderisce al proprio precedente Eweida30, riconoscendo come un’Amministrazione sanitaria debba godere di un peculiare margine di apprezzamento, poichè la struttura ospedaliera è nella posizione migliore per assumere decisioni sulla propria organizzazione ripetto a un giudice o a una corte internazionale.

La Corte Edu, conclude dunque nel senso che il significato e la portata di tale neutralità fosse determinato in modo chiaro dall’orientamento nazionale sul tema, in specie dopo la pubblicazione del parere del Consiglio di Stato, quale requisito imposto a tutti i pubblici ufficiali nell’esercizio delle loro funzioni, in modo da soddisfare il carattere della prevedibilità e accessibilità della legge, sicché la ricorrente avrebbe potutto prevedere le conseguenze della propria condotta.

4 - La giurisprudenza di Strasburgo: freedom to resign e limiti

all’obiezione di coscienza a partire dalla sentenza Eweida Come detto, la sentenza Eweida and others v. United Kingdom, resa dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo in data 15 gennaio 2013, costituisce il principale referente in tema di contemperamento tra tutela della coscienza e prestazioni lavorative.

Per la prima volta, infatti, emerge nella giurisprudenza di Strasburgo la lucida distinzione tra freedom to believe e freedom to act31. La pronuncia,

29 M.C. RUSCAZIO, Riflessioni di diritto comparato e canonico, cit., in Stato, Chiese e

pluralismo confessionale, cit., n. 11 del 2015, p 8. 30 Corte EDU, Eweida and others v. United Kingdom, 15 gennaio 2013. 31 A. BETTETINI, Identità religiosa del datore di lavoro e licenziamento ideologico nella

giurisprudenza della corte europea dei diritti umani, in Diritti Umani e diritto internazionale, 2011,

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com’è noto, aveva riunito ed esaminato al contempo in un unico procedimento quattro distinti ricorsi, sulla base di quanto prescritto dall’art. 42 del Regolamento della Corte, giacché essi sollevavano problematiche connesse. I ricorsi, infatti, lamentavano violazione dell’art. 9 della Convenzione, considerato da solo e in combinato disposto con l’art 14, ovvero dell’art. 14 in combinato con il 9 e, pur concernendo casi del tutto eterogenei, lambivano tutti la questione del conflitto tra prestazione imposta dal datore di lavoro e manifestazione della libertà di fede del dipendente, o rectius, della sua libertà di coscienza. La dissenting opinion dei giudici De Gaetano e Vucinic, peraltro, aveva inquadrato in maniera puntuale i ricorsi, non tanto nell’alveo applicativo della libertà religiosa, quanto piuttosto di quella di coscienza, inverando vere e proprie richieste di riconoscimento di forme, seppur diverse, di obiezione. In questo caso, la questione era se, e sino a che punto, l’art. 9 possa spiegare i suoi effetti all’interno del rapporto di lavoro, sia pubblico che privato, rendendo indisponibili obblighi e diritti che da esso promanano, financo a travolgere l’autonomia negoziale.

In questo, la Corte fornisce le prime linee guida sulle modalità con cui compiere un’adeguata valutazione delle contrapposte esigenze che vengono in rilievo32, assurgendo a valido paradigma sul rapporto tra libertà di coscienza e impiego dei simboli religiosi in ambito lavorativo.

Il primo ricorso, probabilmente il più noto alle cronache, riguardava la signora Eweida, hostess per la compagnia aerea British Airways, cui le nuove prescrizioni sul dress code avevano vietato l’utilizzo di qualsivoglia accessorio o capo d’abbigliamento indossato per motivi religiosi. Nel caso in cui un dipendente si fosse presentato indossando un capo not conform to the above regulations, British Airways avrebbe chiesto la rimozione dell’elemento in questione o, se necessario, l’allontanamento dal luogo di lavoro, con conseguente decurtazione dal salario del costo del tempo impiegato. Ebbene, la ricorrente aveva deciso di non ottemperare alle prescrizioni imposte, continuando a indossare visibilmente l’oggetto della croce, simbolo della sua fede cristiana, sicché, all’ennesimo rifiuto di rimuovere croce e catenina, o quantomeno di portarle sotto il foulard d’ordinanza, veniva sospesa dal servizio senza stipendio, fino a quando avesse scelto di rispettare l’obbligo contrattuale di seguire il protocollo aziendale. Le era stato peraltro offerto anche un lavoro amministrativo, che

pp. 281-290. Cfr. altresì E. SORDA, Lavoro e fede nella Corte di Strasburgo, in Forum di quaderni

costituzionali rassegna, Rivista telematica, n. 11 del 2013, p. 2. 32 S. TARANTO, Il simbolismo religioso sul luogo di lavoro nella più recente giurisprudenza

europea, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, cit., n. 1 del 2014.

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non comportasse alcun contatto con il cliente né il conseguente obbligo di indossare la divisa. Per tali motivi, sia l’Employment Tribunal, che l’Employment Appeal Tribunal e la Court of Appeal avevano pertanto respinto, negando altresì il risarcimento degli asseriti danni per discriminazione indiretta, anche perché “has voluntarily accepted an employment or role which does not accommodate that practice or observance”.

La seconda ricorrente era invece impiegata come infermiera nell’ospedale pubblico Royal Devon and Exeter NHS Foundation Trust, che aveva adottato una politica uniforme sull’abbigliamento, sulla base di linee guida dettate dal Dipartimento della Salute. In particolare, il protocollo dell'ospedale, al paragrafo 5.1.5 prevedeva che “Any member of staff who wishes to wear particular types of clothes or jewellery for religious or cultural reasons must raise this with their line manager who will not unreasonably withhold approval”.

A seguito dell’introduzione di nuove uniformi e della previsione di un camice con uno scollo a V, alla ricorrente veniva chiesto di togliersi catenina e croce, indossate a motivo dei propri convincimenti interiori, perché avrebbero potuto causare lesioni ai pazienti e alla dipendente medesima; alla quale, peraltro, era stato offerto un tentativo di accomodation, dalla possibilità di indossare la croce sotto una maglietta a collo alto, all’appuntarla sul badge di riconoscimento, sino alla previsione di una mansione non-infermieristica. Anche in questo caso, l'Employment Tribunal aveva ritenuto che non fosse stata integrata alcuna discriminazione, in quanto la posizione dell'ospedale era volta alla tutela della salute e della sicurezza, senza involgere affatto le motivazioni interiori della dipendente.

La terza ricorrente, impiegata come registrar di nascite, decessi e matrimoni presso l’ente pubblico del London Borough of Islington, era di fede cattolica, convinta che il matrimonio inveri l'unione indissolubile di uomo e donna, sì da considerare le unioni civili tra persone dello stesso sesso contrarie alla legge di Dio. A seguito dell’entrata in vigore del Civil Partnership Act del 2004, il comune di Islington aveva designato tutti i registrars anche alla ufficializzazione delle forme di partenariato civile, senza prevedere alcuna possibilità di esenzione, nella forma dell’opt-out, sulla base dello statuto personale. La donna, rifiutando di effettuare le unioni civili sulla scorta dell'orientamento sessuale delle parti, violava di fatto il Codice di condotta dell’autorità locale, volto a garantire uguale dignità e parità di trattamento a tutti gli utenti. All’esito del procedimento disciplinare, e al rifiuto di accettare una differente mansione amministrativa, che non comportasse alcun obbligo di condurre le cerimonie, veniva licenziata.

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Anche il quarto ricorrente aveva opposto un rifiuto perpetuo e relativo33 nei confronti della prestazione imposta, rifiutando di svolgere le mansioni richieste, in base all’orientamento sessuale dei fruitori del servizio. Si trattava di un terapeuta di fede cristiana, dipendente di una organizzazione che fornisce servizi di consulenza e terapia sessuale, sottoposta alla British Association for Sexual and Relationship Therapy, dotata di un proprio Codice Etico e di una peculiare politica a tutela dell’eguaglianza e delle pari opportunità. A seguito del rifiuto a fornire consulenza e sostegno alle coppie omosessuali, in aperto contrasto con i principi fondamentali e gli Equality Act (sexual orientation) Regulation del 2007, il dipendente veniva licenziato.

La sentenza Eweida, come detto, ha finito con l’assurgere a leading case, atteso che ha ricostruito in maniera puntuale i principi, ne ha fatto conseguente applicazione, inferendone la soluzione più corretta nei singoli casi concreti. La pronuncia, infatti, riconosce espressamente come religious dimension it is one of the most vital elements that go to make up the identity of believers and their conception of life, but it is also a precious asset for atheists, agnostics, sceptics and the unconcerned34.

Innanzitutto, la Corte perimetra i confini della tutela, capovolgendo definitivamente precedenti orientamenti, i quali negavano che lo Stato potesse avere alcuna competenza nelle controversie che involgono meri rapporti tra privati. D’altra parte, è stata l’affermazione del costituzionalismo liberaldemocratico a segnare il passo dalle libertà negative35, caratterizzate dalla pretesa a una mera astensione da parte dei pubblici poteri, a una diversa e più articolata concezione dei diritti e al consolidamento delle libertà positive36, che, al contrario, impongono un intervento in chiave di garanzia e promozione dei diritti della persona, quale ″valore alla cui attuazione positiva deve assiologicamente orientarsi l’intero sistema di diritto″37. Anche la libertà di coscienza presenta sia un

33 Sulla classificazione delle diverse forme di rifiuto di adempiere la prestazioni imposta dal datore di lavoro per motivi di coscienza, cfr. V. PACILLO, Contributo allo studio del

diritto di libertà religiosa, cit., p. 189 ss. 34 Corte EDU, Eweida and others v. United Kingdom, cit., par. 79. 35 Per una ricostruzione storica della configurazione negativa dei diritti di libertà,

nonché sul ruolo assunto sulla tradizione liberale della libertà di coscienza, cfr. R.

BERTOLINO, L’obiezione di coscienza moderna, cit., p. 48 ss. 36 Sulla costruzione della dimensione positiva della libertà di coscienza, invece, cfr. ex

multis R. BERTOLINO, L’obiezione di coscienza negli ordinamenti contemporanei, Giappichelli,

Torino, 1967, p. 48; L. MUSSELLI, Libertà religiosa e di coscienza, in Digesto delle Disciplina

Pubblicistiche, IX, Torino, 1994, p. 216. 37 P. PERLINGERI, R. MESSINETTI, Art. 2, in P. Perlingeri (a cura di), Commento alla

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aspetto negativo, consistente nel «riconoscimento da parte dello Stato di un limite invalicabile alle proprie competenze e nell’adozione di un criterio di rigorosa “neutralità” nei riguardi delle convinzioni professate dai cittadini»38 che uno positivo, a garanzia della libera formazione ed estrinsecazione delle convinzioni personali39. È pacifico che il cittadino possa adire la Corte, laddove l’ordinamento interno, con i suoi giudici di ultima istanza, non abbia garantito efficacemente la facoltà di manifestare in modo adeguato il proprio credo religioso. Da questo punto di vista, peraltro, la Corte ha ulteriormente ampliato i margini di tutela, contraddicendo la tesi, secondo cui l’art. 9 CEDU non tutelerebbe tutti gli atti e i comportamenti, seppur motivati da dettami religiosi o convincimenti interiori, ma solo quelli che si traducano in atti di pratica di una determinata religione, in una forma generalmente riconosciuta. Proprio il dovere dello Stato di essere neutrale e imparziale, al contrario, è incompatibile con un preteso potere di valutare la legittimità di tale credo o le modalità attraverso le quali venga manifestato dai suoi aderenti, sicché per manifestazione rilevante ai sensi dell’art. 9 deve intendersi qualsivoglia atto che sia intimately linked to the religion or belief. La manifestazione della religione o di un credo alla quale si riferisce il secondo comma, cioè, non richiede che la particolare religione di appartenenza imponga un atto specifico come essenziale ovvero, in altre parole, che non si versi necessariamente in tema di dottrina o doveri religiosi.

La Corte deve pertanto procedere a un contemperamento fra interessi riconosciuti entrambi come meritevoli di tutela. Solo siffatto bilanciamento può rinforzare l’ordinamento democratico, consentendo il conseguimento degli interessi e degli obiettivi da esso perseguiti, pur nel rispetto del dissenso. Nel farlo, peraltro, ha richiamato, non soltanto i propri precedenti, ma anche quelli dei singoli Paesi membri e di molteplici Paesi terzi. Il raffronto delle regole applicate nei diversi ordinamenti consente infatti di apprezzare il punto di equilibrio, le equivalenze di senso e le soluzioni accordate da ciascun sistema giuridico. La comparazione, in particolare, fornisce all’interprete un significativo contributo nella gestione ″delle dinamiche interne delle società complesse, nelle soluzioni dinanzi ai

Costituzione italiana, Esi, Napoli, 1997, p. 6. 38 A. PASSERIN D’ENTRÈVES, Obbligo giuridico e libertà di coscienza, in Rivista

Internazionale di Filosofia del Diritto, 1973, p. 244 ss. 39 Cfr. I. BERLIN, Libertà, Feltrinelli, Milano, 2010, edizione critica ampliata di uno dei

classici del liberalismo moderno, Quattro saggi sulla libertà.

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problemi derivanti dall’accentuato policentrismo″40, al fine di una migliore governance della società plurale e dell’equo contemperamento tra diritti della coscienza e tutela dell’ordinamento giuridico.

In ispecie, viene richiamato l’ordinamento statunitense, in cui sia la Costituzione, attraverso l’Establishment Clause e l’Exercise Clause, che il Civil Rights Act del 1964 avevano imposto una ″reasonable accomodation″. L’accomodation, in particolare, è da sempre uno dei principali normative principles di quell’ordinamento41. E pur tuttavia, l’esercizio della Free Exercise Clause - che impone la verifica costante che la prestazione richiesta non rappresenti un onere eccessivo, sia giustificata da un compelling interest e comunque, quand’anche sia talmente rilevante da consentire la lesione dell’interesse individuale, sia operata con i least restrictive means - s’è scontrato con i più recenti arresti resi nel campo della riforma Obamacare, la quale prevede, tra l’altro, l’obbligo per i datori di lavoro di pagare le spese per l’assicurazione sanitaria dei propri dipendenti42. Ebbene, nonostante l’assunto di base secondo cui l’accomodation deve costituire ″a system that seeks to respect the religious liberty of religious nonprofit corporations while ensuring that the employees of these entities have precisely the same access to all approved caontraceptives″, se la decisione Burnwell v. Hobby Lobby43 aveva dapprima ampliato la pletora dei soggetti esentati dal finanziamento dei piani assicurativi, escludendo anche i titolari di imprese “closely held” dall’applicazione del contraceptive mandate, la successiva Wheaton College v. Burwell44, seppur in una fase cautelare, addirittura ha riconosciuto all’ente l’obiezione ″on a theory that filing of a self-certification form will make it complicit in the provision of contraceptives by triggering the obligation for someone else to provide the services to which it objects″, inverando il rischio di un pericoloso travalicamento dei limiti dell’obiezione, a discapito dei diritti della collettività.

La Corte EDU, invece, segna una significativa evoluzione nel senso del bilanciamento tra beni egualmente protetti, che può così assurgere a

40 R. MAZZOLA, Metodologia ed «esperimento mentale» nello studio del diritto comparato

delle religioni, in Daimon. Annuario di diritto comparato delle religioni, 2007, n. 7, p. 317. 41 M.C. NUSSBAUM, Liberty of Conscience. In defense of America’s Tradition of Religious

Equality, Basic Books, New York, 2008, p. 22 ss. 42 Cfr. V. FIORILLO, La riforma sanitaria di Obama e la sentenza Burwell contro Hobby

Lobby. Basta un nesso molto indiretto con la libertà religiosa a limitare il diritto alla salute?, in Forum di quaderni costituzionali, Rivista telematica (www.forumcostituzionale.it), 20 luglio 2014.

43 Cfr. US Supreme Court, Burnwell v. Hobby Lobby, 30 giugno 2014. 44 Cfr. US Supreme Court, on application for injunction, Wheaton College v. Sylvia

Burwell, Secretary of health and human services, et al., 3 luglio 2014.

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regola di compatibilità tra culture e valori, vincendo quella sfida della ″democrazia critica″45, che intende escludere l’imposizione, di fatto o di diritto, di decisioni definitive46.

In quest’ottica, la Corte richiama la teoria della freedom to resign, fino a quel momento costantemente e rigorosamente applicata dalla propria giurisprudenza sin dai casi Karadumam v. Turkey del 1993, Konttinen v. Finland del 1996, Stedman v. Regno Unito, secondo cui la libertà del lavoratore dovrebbe ritenersi sempre sufficientemente tutelata laddove sia concessa la facoltà di scegliere se sottoscrivere o meno un contratto di lavoro, così vincolandosi liberamente a determinate regole di comportamento imposte dal datore di lavoro. Simile approccio, peraltro, era stato portato alle sue estreme conseguenze proprio nelle osservazioni di uno degli intervenienti al giudizio Eweida, la National Secular Society, secondo cui freedom to resign is the ultimate guarantee of freedom of conscience, sino ad asserire che non esista mai e in alcun caso un obbligo positivo dello Stato di proteggere i lavoratori avverso prescrizioni contrarie ai dettami della propria coscienza.

Se, in passato, la giurisprudenza aveva preferito escludere qualsivoglia rivendicazione del lavoratore, in una logica eccessivamente restrittiva, la Corte tempera siffatto principio, evidenziando come la possibilità di rassegnare le dimissioni, lungi dal rappresentare il discrimen della riconoscibilità o meno dell’obiezione, integri soltanto uno degli elementi da valutare nella ponderazione degli interessi del caso concreto, ma certamente non l’unico e dirimente.

Given the importance in a democratic society of freedom of religion, the Court considers that, where an individual complains of a restriction on freedom of religion in the workplace, rather than holding that the possibility of changing job would negate any interference with the right, the better approach would be to weigh that possibility in the overall balance when considering whether or not the restriction was proportionate.

È dunque essenziale una valutazione caso per caso, attraverso il contemperamento di tutti i valori coinvolti, nel rispetto dei principi di proporzionalità e ragionevolezza47.

45 G. ZAGREBELSKY, Il “crucifige” e la democrazia, Einaudi, Torino, 1995, p. 100 ss. 46 S. LARICCIA, A. TARDIOLA, Obiezione di coscienza, in Enciclopedia del Diritto,

Aggiornamento, III, 1999, pp. 815-33. 47 Cfr. N. HERVIEU, Un nouvel équilibre européen dans l’appréhension des convictions

religieuses au travail, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, cit., n. 5 del 2013. Sull’improponibilità del mero richiamo alla c.d. Freedom to Resign Doctrine, attesa la necessità di tener conto “dell’interesse economico dell’impresa a svolgere attività redditizie e della posizione del lavoratore in quanto tale, inserito, quale anello più debole della catena

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Nel caso Eweida, il bilanciamento si risolve in favore della ricorrente, giacché il suo comportamento non implica alcun costo economico a carico del datore di lavoro, né una significativa diminuzione della sua capacità competitiva. Nella valutazione del caso concreto, è risultata legittima la finalità perseguita dall’imposizione di un code uniform, in quanto volta a proiettare una immagine imparziale della società, ma non anche la misura adottata nei confronti della dipendente. La prescrizione limitativa della sua libertà, infatti, era irragionevole alla luce dell’interesse dell’attività produttiva e anche perché una eventuale accomodation non avrebbe comportato alcun sacrificio apprezzabile per la British, considerato soprattutto che vi era la prova di come in precedenza fosse stato consentito l’uso di altro abbigliamento religioso, come i turbanti sikh o hijab e che questo non abbia mai avuto alcun impatto negativo sull’immagine aziendale.

Al contrario, il comportamento assunto come obbligatorio in foro conscientiae dalla seconda ricorrente contrastava con prescrizioni dettate dal Ministero della salute per motivi igienico-sanitari imprescindibili all’interno di un reparto ospedaliero, incidendo oggettivamente sul corretto adempimento della prestazione richiesta. Per tale motivo, l’esigenza della salute e della sicurezza dei pazienti tutti e della stessa infermiera è stata reputata inerently of a greater magnitude rispetto all’esigenza di esprimere la propria fede religiosa attraverso l’abbigliamento simbolico.

Il medesimo vaglio di proporzionalità illumina gli altri due casi esaminati dalla Corte, involgenti il rifiuto di fornire consulenza psicosessuale a coppie del medesimo sesso e di officiare le same-sex civil partnerships, direttamente motivato dai convincimenti religiosi dei ricorrenti.

La Corte ripercorre tutti gli elementi della fattispecie e ribadisce a chiare lettere l’assunto per cui la possibilità di rassegnare le dimissioni può solo alimentare il bilanciamento degli interessi in gioco.

While the Court does not consider that an individual’s decision to enter into a contract of employment and to undertake responsibilities which he knows will have an impact on his freedom to manifest his religious belief is determinative of the question whether or not there been an interference with

produttiva, in un contesto economico non perfetto e ideale” cfr. altresì A. LICASTRO,

Quando è l’abito a fare il lavoratore. La questione del velo islamico, tra libertà di manifestazione della religione ed esigenze dell’impresa, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, cit., n. 27 del 2015.

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Article 9 rights, this is a matter to be weighed in the balance when assessing whether a fair balance was struck48.

Proprio alla luce della lettura evoluta e convenzionalmente orientata della clausola della freedom to resign, the most important factor da prendere in considerazione nelle fattispecie in esame involge la tutela del servizio pubblico essenziale coinvolto e la circostanza che il datore di lavoro perseguisse lo scopo di garantirne l’accesso a tutti i consociati, in ossequio alle esigenze di non discriminazione, che sarebbero state altrimenti lese, atteso il munus rivestito dal dipendente.

L’approdo, peraltro, è coerentemente speculare a quello raggiunto nei casi in cui, viceversa, il fattore religioso connoti in maniera peculiare il datore di lavoro e si prospetti un contrasto tra tendenza dell’organizzazione, da un lato, e dovere di lealtà e diritti individuali del dipendente, dall’altro. In tali ipotesi, l’obbligo di fedeltà, cui il singolo si è liberamente impegnato, sarà graduato sulla scorta delle qualifiche rivestite e degli uffici svolti, nell’ottica di un accomodamento proporzionale tra istanze libertitarie dell’individuo, cui è garantita quantomeno la tutela minima offerta dall’exit freedom, e autonomia del gruppo49. Pertanto, in quei casi, sulla scorta del criterio direttivo rappresentato dalla «nature peculiére des exigences professionnells»50, l’organizzazione potrà legittimamente licenziare il tendenztrager nel caso in cui le funzioni svolte siano inscindibilmente legate alle finalità ideologiche dell’istituzione51, sicché l’eventuale riconoscimento dell’obiezione comporterebbe uno svuotamento del contenuto delle mansioni da espletare, un vulnus allo specifico rapporto dedotto in contratto e alla capacità professionale del lavoratore.

Il riconoscimento, o, a seconda dei casi, il diniego di esenzioni individuali, peraltro, non implica alcuna violazione del principio di non discriminazione, sancito dall’art. 14 CEDU, nonché dalla Direttiva 78/2000/CE del 27 novembre 2000 giacché, nonostante la nozione di discriminazione sia stata ampliata sino a ricomprendere, non soltanto i comportamenti direttamente produttivi di differenze di trattamento, ma anche le prassi discriminatorie by effect, al contempo è stato assunto un concetto lato di parità, quale uguaglianza di opportunità da garantire ai consociati. Ne consegue che ″la differenza di trattamento non costituisce

48 Corte EDU, Eweida and others v. United Kingdom, cit., par. 109. 49 A. MADERA, Il principio di autonomia confessionale: baluardo di un’effettiva libertà di

autodeterminazione? Una analisi comparativa delle pronunzie della Corte Suprema U.S.A. e della Corte di Strasburgo, in Anuario de Derecho Eclesiástico del Estado, vol. XXX (2014), p. 597.

50 Corte EDU, Affaire Siebenhaar c. Allemagne, 3 febbraio 2011, n. 18136/02. 51 Cfr. A. BETTETINI, Identità religiosa del datore di lavoro, cit., pp. 281-290.

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causa di discriminazione se le cause degli effetti sfavorevoli riguardano requisiti essenziali per lo svolgimento dell’attività lavorativa″52.

5 - I labili confini dell’agere licere, tra indeclinabilità delle funzioni

pubbliche e tutela dei diritti altrui L’analisi amplia i margini della riflessione sull’esercizio dell’obiezione di coscienza, alla luce del peculiare status del soggetto che ne invoca il riconoscimento.

In uno al limite intrinseco e strutturale dato dal carattere dell’eccezionalità, essa deve tener conto della garanzia dei beni costituzionali perseguiti dalla norma cui si consente di derogare, del rispetto del principio di uguaglianza e, soprattutto, del carattere inderogabile dei doveri di solidarietà sociale; così che il riconoscimento debba essere negato ogniqualvolta una determinata prestazione sia espressione del nucleo essenziale dei doveri in questione53. Ebbene, l’indagine concerne il particolare status rivestito da una determinata categoria di individui e la valutazione di una sua eventuale incompatibilità ontologica con la tutela della coscienza, in ossequio a un più pregnante dovere di obbedienza alla legge cui essa sarebbe soggetta.

Se, infatti, rispetto alla generalità dei consociati, può insorgere un generico conflitto tra coscienza del cittadino e obbligo di legge, la questione diviene più complessa rispetto a coloro che sono investiti di un peculiare munus publicum. L’agente pubblico, infatti, è tenuto, non soltanto a rispettare la legge, ma altresì a farla rispettare e ad applicarla, ″traducendola in comandi concreti o in attività esecutive, allo scopo di soddisfare gli interessi collettivi per la cui cura la legge è posta″54.

52 A. BETTETINI, La dimensione individuale della libertà di religione, in P. Gianniti (a cura

di), Commentario al codice civile Scialoja Branca, cit., p. 1044. 53 Cfr. l’ampio lavoro monografico di D. PARIS, L’obiezione di coscienza., cit., p. 178 ss. 54 V. ONIDA, L’obiezione di coscienza dei giudici e dei pubblici funzionari, in B. Perrone (a

cura di), Realtà e prospettive dell’obiezione di coscienza. I conflitti degli ordinamenti, Giuffrè, Milano, 1992. L’Autore evidenzia la specificità dello status e dei compiti, perché “a differenza del cittadino qualsiasi, per cui si pone solo un problema eventuale di sottrazione, attraverso l’obiezione di coscienza a obblighi che la legge impone a tutti […] la situazione d’obbligo è più specifica”.

Sul dovere di fedeltà qualificata, cfr. altresì G. LOMBARDI, Contributo allo studio dei

doveri costituzionali, Giuffrè, Milano, 1967, p. 173 ss., nonché A. RUIZ MIGUEL, L’obiezione:

tensioni nel dibattito, in P. Borsellino, L. Forni, S. Salardi (a cura di), Obiezione di coscienza. Prospettive a confronto, fascicolo monografico di Notizie di Politeia, n. 101 del 2011, p. 74, che

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La giurisprudenza europea, peraltro, si armonizza con la linea interpretativa seguita dalla maggior parte degli stati membri.

Le medesime argomentazioni, infatti, riecheggiano, ça va sans dire, in una pronuncia del Consiglio costituzionale francese55, che ha dichiarato conformi a Costituzione le disposizioni dettate in materia di mariage pour tous, nella parte in cui non prevedono alcuna possibilità per i sindaci di ricorrere all’obiezione di coscienza, in considerazione della preminente necessità di assurer l'application de la loi relative au mariage et garantir ainsi le bon fonctionnement et la neutralité du service public de l'état civil.

Ad analoghe conclusioni era pervenuto anche il Tribunale supremo spagnolo56, nel dirimere il caso di un giudice di Sagunto che aveva chiesto di potersi astenere dall’intervenire nella celebrazione di un matrimonio omosessuale, per motivi assiologici, a contenuto prettamente religioso. La motivazione del Tribunal si snoda, non soltanto attraverso il limitato grado di partecipazione del pubblico ufficiale all’atto che ripugna la sua coscienza, ma anche attraverso la considerazione che esso integra un obbligo legale e consustanziale alla funzione, anche qualora si estrinsechi nella posizione di incaricato del Registro Civil. Il giudice è un pubblico ufficiale membro del Poder Judicial, come tale tenuto a rispettare la legge e a farla rispettare ai consociati, così che, rispetto a essi, egli è soggetto a ″un plus de observancia de la legalidad″. Il Tribunal Supremo evidenzia così la especial sumisión a la ley que caracteriza la posición de los poderes públicos y, en particular, la de los jueces y

magistrados. Tale particolare soggezione discende dall’art. 9 e, soprattutto, dall’art

117 della Costituzione Spagnola, in forza del quale il giudice è soggetto solo all’imperio della legge. La ratio è quella di garantire l’indipendenza della categoria e l’applicazione della legge. Di talchè, seppure la Costituzione tutela la libertà individuale di ciascun individuo, e dunque anche del magistrato, essa tuttavia può risultare coscritta in talune occasioni, all’esito di un delicato bilanciamento, al fine di salvaguardare i valori concernenti l’indipendenza della magistratura e l’esercizio imparziale della funzione. In

ravvisa l’esistenza di “ruoli o cariche che sono essenzialmente incompatibili con la possibilità di obiettare alle leggi, come sono quelli dei funzionari con l’obbligo specifico di adempiere e far adempiere l’obbligo giuridico”.

55 Cfr. sent. Conseil constitutionnel del 18 ottobre 2013 n° 2013-353. Cfr. A.M. LECIS

COCCO-ORTU, L’obiezione al matrimonio same–sex: un’opzione ammissibile? Riflessioni a partire dalla pronuncia del Conseil Contitutionnel, in Forum di quaderni costituzionali, Rivista telematica (www.forumcostituzionale.it), 18 novembre 2013.

56 Cfr. Sent. del Tribunal Supremo. Sala de lo Contencioso-Administrativo, 11 maggio 2009, n. 3059.

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caso contrario, ne risentirebbe la configurazione dell’intero potere giudiziario, la garanzia dell’ordinamento e dei diritti e interessi legittimi dei cittadini.

Anche la giurisprudenza italiana s’è di recente interrogata sulla legittimità di forme di obiezione rivendicate da dipendenti pubblici e sul difficile bilanciamento degli interessi in gioco, specie alla luce della dimensione pubblicistica e dello status soggettivo dei destinatari della norma di legge.

Alla valutazione dei beni giuridici di rango costituzionale sottesi alla questione, hanno da ultimi provveduto, infatti, sia la sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura, che le Sezione Unite della Corte di Cassazione, che si sono occupate dell’obiezione per motivi di laicità opposta da un magistrato57.

Pur ritenendo non manifestamente infondata la questione dell’illegittimità della perdurante presenza simbolica nelle aule, hanno tuttavia comminato la sanzione della rimozione dall’ordine giudiziario, ritenendo di dover distinguere il piano della compatibilità della laicità dello stato e di libertà religiosa da una parte e la collocazione del crocifisso nelle aule di giustizia della nazione da quello della compatibilità del rifiuto di tenere udienza e il rispetto delle regole organizzative del servizio, dei doveri del magistrato e delle esigenze funzionali.

Nella ponderazione del conflitto tra la prestazione professionale imposta sulla scorta di un rapporto d’impiego sorto e perdurante per libera scelta del magistrato e il suo diritto di coscienza, la tutela dei convincimenti interiori avrebbe potuto prevalere solo laddove le modalità dell’esercizio dovuto delle funzioni avessero contrastato in maniera diretta e con vincolo di causalità immediata con l’espressione della libertà medesima. Il giudice, cioè, nel caso di specie, sarebbe potuto andare esente da responsabilità, soltanto nel caso in cui gli fosse stato imposto di esercitare la giurisdizione

57 L’annosa questione dell’obiezione opposta all’adempimento delle proprie funzioni dal giudice Tosti si è conclusa con le pronunce della Cassazione Penale, Sezioni Unite, 14 marzo 2011, n. 5924 e del Consiglio Superiore della Magistratura, Sez. Disciplinare, 31 gennaio 2006, n. 12.

Sul punto, si rammenti altresì la nota sentenza della Corte Costituzionale 1987, n. 196, che ha riconosciuto come in generale la questione dell’obiezione di coscienza del magistrato involga un potenziale conflitto tra beni parimenti protetti in assoluto: quelli presenti alla realtà interna dell'individuo, chiamato poi, per avventura, a giudicare, e quelli relativi alle esigenze essenziali dello jurisdicere. A riguardo, ma solo ex multis, si segnalano E. ROSSI, L’obiezione di coscienza del giudice, in Il Foro Italiano, 1988, I, p. 758 ss., G. DALLA

TORRE, Obiezione di coscienza e valori costituzionali, in Obiezione di coscienza tra tutela della

libertà e disgregazione dello stato democratico, Milano, Giuffrè, 1991, pp. 19-61.

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sotto la tutela simbolica del crocifisso. L’accordatagli possibilità di svolgere le sue funzioni in spazi privi di simboli interrompe il nesso tra l’esercizio concreto delle funzioni medesime e la lesione dei suoi diritti inviolabili di libertà di coscienza, religione e pensiero. Ne consegue, pertanto, che: non può essere fatta valere, come causa giustificante, la lesione di un interesse diffuso quale è, in questo caso, la laicità dello stato.

Si sostiene, cioè, che soltanto la lesione di un diritto soggettivo inviolabile può essere fatta valere nell’ambito di un rapporto di impiego in via di autotutela, quale causa giustificativa del rifiuto della prestazione lavorativa dovuta. L’autotutela, che si assume legittimata dalla perdurante inadempienza della Pubblica Amministrazione, presuppone, infatti, una posizione soggettiva qualificata di titolare del diritto violato.

Il rifiuto della prestazione dovuta non è scriminato, viceversa, laddove si invochi, non la lesione di un diritto inviolabile, ma di un interesse collettivo o diffuso. Quale, per l’appunto, viene ritenuta la laicità dello stato, una sorta di tertium genus tra diritti soggettivi e interessi collettivi, adespota in quanto facente capo alla generalità dei consociati nel suo complesso, di talché non sarebbe possibile per il singolo assumere la tutela e la rappresentanza di tali interessi, in funzione strumentale, al di fuori dei casi espressamente previsti dall’ordinamento.

La differenza con l’unico precedente di legittimità reso nel caso Montagnana58 è dovuta essenzialmente al carattere inderogabile e primario delle funzioni giurisdizionali, per le quali la legge non ammette alcun giustificato motivo, atto a legittimarne il rifiuto da parte del magistrato. In quel caso, peraltro, a livello costituzionale il bilanciamento degli interessi era stato già assicurato nella previsione penale dalla clausola del giustificato motivo, la cui nozione è più ampia delle generali cause di giustificazione, così che l’interprete debba determinare di volta in volta, con riguardo alla liceità della condotta, il motivo che determina direttamente il soggetto a un certo atto o comportamento. Nel caso delle funzioni di scrutatore, il motivo, legislativamente previsto dall’art. 108 del D.P.R. 30 marzo 1957, n. 361, poteva giungere a bilanciare e a prevalere sulla prestazione imposta da una specifica disposizione e, in generale, sull’adempimento dell’incarico e della funzione.

Nell’ipotesi dell’espletamento delle funzioni giurisdizionali, invece, non è positivamente previsto nessun bilanciamento, e men che meno alcuna prevalenza sull’obbligo della loro prestazione, specie in considerazione dei canoni d’indipendenza e precostituzione propri della magistratura.

58 Sent. Corte di Cassazione penale, 1 marzo 2000, n. 439.

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Il giudice, peraltro, - e anche in questo caso la freedom to resign non è che uno solo degli argomenti - partecipando alla selezione concorsuale, è sottoposto all’adempimento delle sua doverose funzioni istituzionali in forza di un rapporto di pubblico impiego volontariamente accettato e altrettanto volontariamente mantenuto per sua libera scelta. In conclusione, nel caso di specie, l’obiezione di coscienza per motivi di laicità costituisce un diritto per il soggetto che vi è obbligato e un mero interesse per chi, viceversa, ha domandato l’ufficio medesimo, in tal modo accettandone implicitamente l’organizzazione complessiva. In tal caso, l’interesse diventa immediatamente tutelabile solo se immediatamente inciso dall’atto asseritamente lesivo59 e, soprattutto, a condizione che non pregiudichi le esigenze il cui soddisfacimento è oggetto di incontestati doveri funzionali60.

6 - Un’osservazione conclusiva Anche in ambito lavorativo, dunque, l’obiezione di coscienza rappresenta uno strumento necessario all’interno della società pluralista, a presidio della dignità dell’uomo e del diritto alla diversità, che, lungi dal disgregare i vincoli di solidarietà61, ben può contribuire alla costituzione di un patto sociale rispettoso delle differenti ragioni e sensibilità e, tuttavia, essa va inevitabilmente ponderata con altri diritti costituzionalmente rilevanti e con essa confliggenti. Affinché ciò sia possibile, l’ordinamento needs to tolerate and sustain l’obiezione; nel senso che il riconoscimento del suo esercizio non deve compromettere in tutto gli interessi tutelati dalla legge e perseguiti attraverso gli obblighi cui si consente eccezionalmente di derogare62. Deve

59 N. COLAIANNI, Diritto pubblico delle religioni, cit., p. 87. 60 Consiglio Superiore della Magistratura, 31 gennaio 2006. 61 Rileva V. TURCHI, Obiezione di coscienza, in Digesto IV, Disc. priv., Sez. civ.,

Aggiornamento, UTET, Torino, 2003, p. 969, che il dovere di solidarietà non soltanto rappresenta il criterio di equilibrio tra il momento della libertà e quello della responsabilità, costitutivo di ogni rapporto giuridico in quanto reciprocità di diritti e doveri, ma “misura anche, per così dire, il valore dell’obiezione di coscienza, dimostrando, al positivo come essa non sia espressione di una morale individualistica e manifestando la volontà dell’obiettore di conservare una solidarietà di fondo con l’ordinamento giuridico nel suo complesso”. Cfr. altresì A. GUARINO,

Obiezione di coscienza e valori costituzionali, Jovene editore, Napoli, 1992, p. 37 e G. LO

CASTRO, in Legge e coscienza, in Quaderni di Diritto e Politica Ecclesiastica, 1989, n. 2, pp. 15 – 60.

62 D. PARIS, L’obiezione di coscienza, cit., p. 178 ss.; F. ONIDA, Contributo ad un

inquadramento giuridico al fenomeno delle obiezioni di coscienza, in Diritto Ecclesiastico, 1985, p.

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poi essere garantito il rispetto del principio di uguaglianza e di ragionevolezza e, infine, il nucleo essenziale dei doveri inderogabili di solidarietà sociale. Il principio personalista è, infatti, fondamenta del riconoscimento di diritti e della petizione di doveri, da cui si sviluppa una duplice obbligazione reciproca63. La persona è cioè al contempo titolare di libertà e responsabilità, che, sulla scorta del principio di solidarietà sociale, si dispiegano dialetticamente sia nei rapporti con gli altri consociati che con le istituzioni pubbliche, in vista della garanzia di quella equal liberty che è condizione della dignità di ciascuna esistenza individuale64.

237 ss. 63 F. GIUFFRÈ, I doveri di solidarietà sociale, in R. Balduzzi, M. Cavino, E. Grosso, J. Luther

(a cura di), I doveri costituzionali: la prospettiva del giudice delle leggi, Quaderni del “Gruppo di Pisa”, Giappichelli, Torino, 2007, p. 25.

64 J. RAWLS, Teoria della Giustizia, Feltrinelli, Milano, 2008, p. 327.