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Stato dell’arte e prospettive future della psicologia clinica. Verso un approccio scientificamente fondato alla salute mentale e comportamentale Timothy B. Baker, Richard M. McFall, Varda Shoham Traduzione a cura di Sara Ginanneschi e Manuela Materdomini Sommario – A causa del continuo incremento dei costi delle cure sanitarie e di altre tendenze recenti, le decisioni riguardanti l’assistenza sanitaria hanno assunto un grande peso a livello sociale; si è contemporaneamente assistito ad un trasferimento della responsabilità decisionale dai professionisti della salute agli economisti della salute, ai gestori dei piani sanitari e agli enti assicurativi. Nell’ambito sanitario, il processo decisionale si basa sull’evidenza dell’efficacia di una cura, sulla sua riproducibilità, sul rapporto tra costi ed efficacia e sull’attendibilità scientifica. In un contesto di questo genere, in cui i problemi legati ai costi sono sempre più pressanti e il processo decisionale si gioca su un piano economico-istituzionale, gli psicologi stanno perdendo l’opportunità di giocare un ruolo di leadership nella cura della salute mentale e comportamentale. Una quota sempre maggiore delle cure sanitarie viene erogata da categorie professionali diverse e, inoltre, l’uso di psicofarmaci è aumentato drasticamente rispetto agli interventi psicologici. La ricerca ha dimostrato l’efficacia, l’efficienza ed il buon rapporto qualità-prezzo di numerosi interventi psicologici. Ciononostante, questi interventi sono raramente usati con quelle categorie di pazienti che da essi trarrebbero benefici. Le motivazioni vanno addebitate al fatto che gli psicologi clinici non hanno fatto nulla per renderne convincente l’uso (rendendo ad esempio disponibili agli amministratori i dati necessari a sostenerne 1

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Stato dell’arte e prospettive future della psicologia clinica.Verso un approccio scientificamente fondato alla salute

mentale e comportamentaleTimothy B. Baker, Richard M. McFall, Varda Shoham

Traduzione a cura di Sara Ginanneschi e Manuela Materdomini

Sommario – A causa del continuo incremento dei costi delle cure sanitarie e di altre tendenze recenti, le

decisioni riguardanti l’assistenza sanitaria hanno assunto un grande peso a livello sociale; si è

contemporaneamente assistito ad un trasferimento della responsabilità decisionale dai professionisti della

salute agli economisti della salute, ai gestori dei piani sanitari e agli enti assicurativi. Nell’ambito sanitario, il

processo decisionale si basa sull’evidenza dell’efficacia di una cura, sulla sua riproducibilità, sul rapporto tra

costi ed efficacia e sull’attendibilità scientifica. In un contesto di questo genere, in cui i problemi legati ai costi

sono sempre più pressanti e il processo decisionale si gioca su un piano economico-istituzionale, gli

psicologi stanno perdendo l’opportunità di giocare un ruolo di leadership nella cura della salute mentale e

comportamentale. Una quota sempre maggiore delle cure sanitarie viene erogata da categorie professionali

diverse e, inoltre, l’uso di psicofarmaci è aumentato drasticamente rispetto agli interventi psicologici.

La ricerca ha dimostrato l’efficacia, l’efficienza ed il buon rapporto qualità-prezzo di numerosi interventi

psicologici. Ciononostante, questi interventi sono raramente usati con quelle categorie di pazienti che da essi

trarrebbero benefici. Le motivazioni vanno addebitate al fatto che gli psicologi clinici non hanno fatto nulla

per renderne convincente l’uso (rendendo ad esempio disponibili agli amministratori i dati necessari a

sostenerne un’eventuale implementazione) né hanno usato questi interventi quando è stata offerta loro

l’opportunità di farlo.

Il fallimento degli psicologi clinici nell’ottenere un impatto più significativo sulla clinica e sulla salute

pubblica potrebbe essere ricondotto alla loro profonda ambivalenza sul ruolo della scienza e alla carenza di

un’adeguata formazione scientifica. Tale carenza li porta ad attribuire maggiore importanza all’esperienza

clinica personale invece che ai risultati della ricerca, ad usare pratiche di valutazione che hanno un supporto

psicometrico dubbio e a non avvalersi di quegli interventi per i quali l’evidenza dell’efficacia è più forte. Lo

stato attuale della psicologia clinica assomiglia a quello in cui versava la medicina quando i suoi esperti

operavano secondo un metodo pre-scientifico. Prima della riforma scientifica della medicina, agli inizi del

1900, i medici, proprio come fanno oggi gli psicologi clinici, attribuivano maggiore valore alla propria

esperienza clinica invece che ai risultati della ricerca scientifica. La medicina è stata riformata, in gran parte,

grazie agli sforzi dell’American Medical Association che, con profonda convinzione, ha cercato di accrescere

la base scientifica della formazione universitaria in medicina. Prove consistenti mostrano che molti

programmi di formazione post universitaria in psicologia clinica, in particolare il dottorato in psicologia clinica

e i programmi no-profit, non mantengono standard elevati per l’ammissione, hanno un elevato numero di

studenti per facoltà, sminuiscono l’aspetto scientifico nei loro corsi e formano studenti che non sono in grado

di produrre o applicare conoscenze scientifiche.

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Una strategia promettente per migliorare la qualità e l’impatto sulla salute pubblica della psicologia

clinica sarebbe quella di costituire un nuovo sistema di accreditamento che richieda programmi di

formazione scientifica di qualità elevata come elemento cruciale di un training di dottorato in psicologia

clinica. Così come il rafforzamento degli standard di formazione in medicina ha migliorato nettamente la

qualità dell’assistenza sanitaria, livelli migliori di formazione nell’ambito della psicologia clinica

accrescerebbero la salute e la cura della salute mentale. Tale sistema (a) permetterebbe al pubblico e ai

datori di lavoro di individuare psicologi scientificamente formati; (b) stigmatizzerebbe i programmi di

formazione e i professionisti ascientifici; (c) produrrebbe effetti ambiziosi migliorando così la qualità della

formazione in generale; e (d) aiuterebbe i programmi accreditati a migliorare la loro offerta formativa verso

la produzione di un sapere scientifico e della sua applicazione. Questo favorirebbe un aumento della

produzione, dell’applicazione e della diffusione di interventi supportati dall’evidenza sperimentale,

migliorando così la clinica e la salute pubblica. Oltre ad essere più efficaci, i trattamenti fondati su basi

sperimentali presentano anche un buon rapporto qualità-prezzo rispetto ad altri interventi e potrebbero

aiutare a tenere sotto controllo i costi vertiginosi della sanità pubblica. Il nuovo Sistema di Accreditamento

PCSAS (Psychological Clinical Science Accreditation System) dovrebbe accreditare quei programmi di

formazione in psicologia clinica caratterizzati dall’alta qualità e dalla scientificità dell’offerta formativa,

formando professionisti in grado di produrre e applicare le conoscenze scientifiche. Gli psicologi, le

università e gli altri attori interessati dovrebbero sostenere con forza questo nuovo sistema di accreditamento

quale percorso più sicuro verso una psicologia clinica scientificamente fondata che possa contribuire in

maniera efficace alla sanità pubblica e alla clinica.

INTRODUZIONE

Gli obiettivi principali della psicologia clinica sono la produzione di un sapere basato su prove

scientificamente valide e l’utilizzo di tale sapere per il miglioramento della salute mentale e

comportamentale. Con questo lavoro ci proponiamo, innanzitutto, di compiere una valutazione del cammino

fatto fino ad oggi verso il raggiungimento di questi obbiettivi e di identificare quei fattori che potrebbero

averne ostacolato il conseguimento. In secondo luogo, vorremmo suggerire una strategia, lo sviluppo di un

nuovo sistema di accreditamento, che possa contribuire a rafforzare il ruolo della psicologia clinica come

scienza applicata. Indubbiamente, anche altre misure potrebbero favorire questo progresso. La discussione

di un nuovo sistema di accreditamento viene posta soltanto come un esempio dell'azione coraggiosa che è

necessario intraprendere affinché la psicologia clinica possa far fronte ai propri obblighi nei confronti del

pubblico. Infine, pur facendo riferimento agli psicologi clinici, le nostre osservazioni sono attinenti a tutti gli

psicologi che si occupino di fornire un servizio clinico (per esempio di valutazione o di intervento).

LA PSICOLOGIA CLINICA NEL CONTESTO DELLA SANITA’ PUBBLICA: UNA RISPOSTA AI BISOGNI DELLA SOCIETA’

Lo stato della psicologia clinica non può essere valutato isolatamente; al contrario, per essere

compreso, esso deve essere inquadrato nel più ampio contesto della cure sanitarie. E’ evidente che negli

Stati Uniti stiamo attraversando una crisi del sistema sanitario e che la natura della salute e della cura della

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salute mentale è profondamente cambiata da quando la psicologia clinica ha preso corpo in questo paese.

Questi cambiamenti hanno chiare implicazioni per il futuro della psicologia clinica.

I costi della sanità in generale e quelli legati alla salute mentale sono aumentati drasticamente nel

corso degli ultimi 30 anni (Centers for Medicare and Madicaid Services, 2006; Mark, Levit, Buck,

Coffey e Vandivort-Warren, 2007; National Center for Health Statistics, 2006; Poisal et al., 2007), e

non c’è ragione di credere che questo andamento rallenterà neanche a seguito di un maggiore

intervento e controllo da parte del governo. Tale aumento dei costi è infatti inevitabilmente

influenzato dal fatto che le persone oggi vivono più a lungo e richiedono maggiori livelli di

assistenza, nuove procedure mediche e che le malattie curabili sono in aumento.

L’aumento dei costi della sanità e della salute mentale sta ad indicare che gli individui non pagano

più direttamente per questi servizi e che i costi vengono dirottati verso le assicurazioni ed il governo.

Ciò significa che i fornitori e i consumatori stanno perdendo il controllo sulle decisioni riguardanti

l’assistenza sanitaria. Tali decisioni sono sempre più influenzate da altre parti in causa: per esempio,

dagli amministratori della sanità, dagli acquirenti dei piani di salute (le imprese) e dalle assicurazioni.

L’influenza dei costi e le nuove farmacoterapie hanno cambiato il volto del settore della sanità

mentale. La proporzione della popolazione che riceve cure in ambito psichiatrico è pressoché

raddoppiata nel corso degli ultimi 20 anni (Druss, 2006; Kessler et al., 2005), ma le cure legate a

questo settore sono sempre più nelle mani dell’assistenza primaria (medici) e coinvolgono gli

operatori farmaceutici (Mark et al., 2007; Olfson, Marco, Druss e Pincus, 2002; Zuvekas 2005).

Mentre la domanda di cura della salute mentale sta crescendo, gli psicologi, in quanto specialisti,

vengono sempre più lasciati ai margini (per es., Clay, 1998; Committee on Redesigning Health

Insurance Performance Measures Payment and Performance Improvement Programs, 2006;

Hanrahan e Sullivan-Marx, 2005; Marchi et al., 2007). Gli psicologi clinici sono stati tagliati fuori dai

ruoli di erogazione del servizio in favore sia dei medici di base che dei professionisti a più basso

costo come gli assistenti sociali (Scheffler, Ivey e Garrett 1998). Ciononostante, la formazione degli

psicologi è proseguita a ritmo sostenuto ed ogni anno circa 2.400 nuovi psicologi conseguono il

dottorato (Scheffler et al., 1998).

L’insufficiente copertura dei bisogni di cura nell’ambito della salute mentale, il progressivo incremento

dei costi delle cure e l'uso di fondi pubblici esercitano una pressione enorme su coloro che si occupano della

gestione dell’assistenza sanitaria che devono prestare particolare attenzione alla valutazione dei costi e

dell’efficacia. Il ruolo dell’analisi economica delle decisioni, anche nell’ambito della salute mentale, assume

un’importanza crescente (Beecham et al., 1997). Le discipline professionali ed i trattamenti che fioriranno nel

futuro saranno quelli relativamente economici, che dimostrino un chiaro ritorno dell’investimento in relazione

a misure oggettive in un tempo relativamente breve e che siano approvati dalle linee guida della pratica

clinica per la loro standardizzazione e per il loro uso. L’uso di tali criteri ha portato ad un miglioramento del

rapporto costi-efficacia in campi diversi della medicina ed un recente rapporto dell’Istituto di Medicina ha

sottolineato che simili strategie di miglioramento della qualità devono essere utilizzate nel futuro anche per le

decisioni riguardanti la cura della salute mentale (Committee on Crossing the Quality Chasm: Adaptation to

Mental Health and Addictive Dosorders 2006). Infatti, il sistema di spesa e fornitura che si è sviuppato nel

corso degli ultimi 20 anni riflette l’attenzione ai costi e ha migliorato la fruibilità e l’economicità dei trattamenti

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psichiatrici e psicologici (Berndt, 2004; Druss et al., 2006; Franck, Salkever e Sharfstein, 1991; Mark et al.

2007; McKusick et al., 1998).

L’evoluzione dell’assistenza sanitaria è in atto e continuerà. Le tendenze attuali suggeriscono una

preferenza della gestione integrata delle cure rispetto alla semplice erogazione di un singolo servizio, dei

medici generici rispetto agli psicologi, dell’ospedalizzazione rispetto ai programmi di salute mentale. Queste

tendenze suggeriscono che la psicologia, e gli psicologi, giocheranno un ruolo sempre minore nell’ambito

della salute mentale e comportamentale. Questo perché non sono stati in grado di valorizzare la rilevanza ed

i risultati dei loro servizi ed interventi né di rivolgersi ai giusti interlocutori. Questo articolo sostiene la

necessità di una riforma fondamentale della psicologia e dei programmi di formazione in psicologia affinché

questa disciplina si adatti maggiormente e in maniera costruttiva ai cambiamenti radicali della natura della

cure sanitarie.

L’obiettivo della riforma non sarebbe quello di garantire l’occupazione per gli psicologi. Piuttosto,

sarebbe quello di accrescere il numero di persone che possano essere aiutate grazie a interventi psicologici

efficaci. Inoltre, l’obiettivo non sarebbe quello di privare gli psicologi della loro autonomia professionale,

incoraggiando una passiva acquiescenza alle decisioni degli altri. Piuttosto, si vorrebbe favorire un ruolo più

attivo degli psicologi, tale da produrre evidenze di ricerca superiori e più interessanti per i trattamenti

psicosociali attuali e per quelli ancora da sviluppare.

È vero che gli psicologi clinici quasi certamente perderanno le loro battaglie sull'autonomia

professionale. Di fatto le hanno già perse. Gli psicologi dovrebbero invece trovare conforto in ogni sforzo

che produca nuove conoscenze su come aiutare i pazienti in modo più efficace. Questo sentimento è stato

espresso da Archie Cochrane, un pioniere britannico epidemiologo clinico e medico che ha sostenuto la

medicina empirica. All’inizio della sua carriera, Cochrane si è occupato della cura di detenuti affetti da

tubercolosi e si è trovato in difficoltà per la scarsità di letteratura scientifica e di prove sull'efficacia delle cure:

«Decisi che non potevo continuare a prendere decisioni in merito all’intervenire (pneumotorace e

toracoplastica) nelle situazioni in cui non avevo idea se stessi facendo più male che bene.

Ricordo di aver letto un opuscolo (credo della BMA) che celebrava i vantaggi della libertà dei

medici inglesi di fare qualunque cosa essi ritenessero fosse meglio per i loro pazienti. L’ho

trovato ridicolo. Avrei volentieri sacrificato tutta la mia libertà medica per alcune prove concrete

che mi dicessero quando fare un pneumotorace.»1 (Cochrane & Blythe, 1989; citato in Hill, 2000,

p. 1190).

L'enfasi posta da Cochrane sulla medicina basata sull’evidenza fu criticata duramente dai suoi colleghi i

quali preferivano la libertà di fare ciò che volevano al bisogno di dimostrare l'efficacia di una cura (Hill 2000).

In ogni caso, il peso dell'evidenza e della responsabilità percepita per la salute pubblica ha esercitato una

grande influenza in medicina. Il contesto attuale di assistenza sanitaria negli Stati Uniti d’America (e non solo)

richiede un livello più alto di responsabilità che in passato. Le decisioni in ambito sanitario dovrebbero rifarsi

ad un bilancio costi-benefici che evidenzi quelle strategie di intervento che riducano la sofferenza umana e 1 «What I decided I could not continue doing was making decisions about intervening (for example pneumothorax and thoracoplasty) when I had no ideawhether I was doing more harm than good. I remember reading a pamphlet (I think from the BMA) extolling the advantages of the freedom of British doctors to do whatever they thought best for their patients. I found it ridiculous. I would willingly have sacrificed all my medical freedom for some hard evidence telling me when to do a pneumothorax.» (Cochrane & Blythe, 1989; cited in Hill, 2000, p. 1190).

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non agli interessi delle corporazioni o a un ricorso ingenuo a pratiche abituali. In questo modo, un’attenzione

crescente alla responsabilità e all’affidabilità dovrebbe essere accolta con favore dagli psicologi, in quanto

coerente ed a sostegno dei due obiettivi principali della psicologia clinica: la produzione di conoscenze

scientifiche e l’applicazione di queste conoscenze al miglioramento della salute mentale e comportamentale.

CRITERI PER UN PROCESSO DECISIONALE BASATO SUI DATI NELL’AMBITO DELLA SALUTE MENTALE

Nell’ambito appena descritto, il futuro della psicologia clinica sarà influenzato in larga misura dai dati

sull’economicità degli interventi psicosociali e comportamentali, in rapporto ad altri interventi alternativi nello

stesso settore. Prima di esaminare questi dati, però, è importante comprendere quali siano i criteri in base ai

quali viene valutata l’idoneità di un intervento. Per poter ricevere un reale supporto, per essere adottati dal

sistema sanitario e per rientrare tra le spese soggette a copertura sanitaria (rimborsi assicurativi), gli

interventi psicosociali e comportamentali dovrebbero essere strutturati secondo dei criteri precisi. Nonostante

il fatto che attualmente i diversi enti sanitari (le PPO – Preferred Provider Organizations, le HMO – Health

Mantainance Organizations, le compagnie di assicurazione, i programmi di salute statali e federali,

Drummond et al., 2003) gestiscano il processo decisionale in base a criteri molto diversi tra loro, esistono

delle prove a favore di alcuni criteri (efficacia, efficienza, rapporto tra costi ed efficacia, attendibilità scientifica)

che sembrano influenzare in maniera significativa e trasversale il processo decisionale (per l’impatto delle

analisi dell’economia sanitaria si veda Grizzle, Olson e Motheral, 2000; Hoffman e Graf von der Schulenberg,

2000; Luce, Lyles e Rentz, 1996; Steiner, Powe e Anderson, 1996; Steiner, Powe, Anderson e Das, 1996).

Nei paragrafi successivi analizzeremo singolarmente i quattro criteri su citati. Siamo, infatti, convinti che

essi influenzeranno in maniera sempre più significativa le decisioni relative alla gestione dei fondi destinati al

settore sanitario, fondi che si fanno sempre più preziosi e la cui erogazione sembra essere, sempre più, di

competenza degli organismi governativi e assicurativi. Gli interventi psicosociali non otterranno una maggiore

penetrazione nel mercato dell’erogazione dell’assistenza sanitaria se non saranno sufficientemente

competitivi rispetto ad altri interventi strutturati su questi criteri.

Efficacia

Il concetto di efficacia dovrebbe essere familiare agli psicologi clinici (Chambless e Ollendick, 2001). La

ricerca sull’efficacia è volta a determinare se, in un paziente, gli effetti ottenuti derivino da un intervento

specifico, spesso di tipo sperimentale. Negli studi sull’efficacia, gli effetti di un intervento vengono valutati in

condizioni di controllo e di standardizzazione ottimali. In generale, la ricerca sull’efficacia raggiunge elevati

livelli di controllo sperimentale e di validità interna mediante l’utilizzo di rigorosi criteri di inclusione ed

esclusione, dell’assegnazione casuale, dell’uso di placebo o di altre condizioni di confronto e di procedure di

valutazione approfondita. Generalmente gli psicologi clinici raccolgono e analizzano un tipo di dati, relativi

all’efficacia, che sono attinenti alle decisioni prese in ambito sanitario (ad esempio benefici coperti, approcci

terapeutici). Tuttavia, tali decisioni spesso dipendono da un’evidenza, l’attenuazione del sintomo, che la

maggior parte degli studi sull’efficacia fatti su piccola scala difficilmente si propone di verificare. La probabilità

che un intervento venga adottato può dipendere dal fatto che esso produca cambiamenti in altri ambiti, come

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la fruizione dell’assistenza sanitaria, l’accrescimento della compliance verso altri interventi, la riduzione

dell’assenteismo e l’incremento della produttività sul posto di lavoro (Lo Sasso, Rost e Beck, 2006; Wang et

al., 2006). Per esempio, un recente studio sugli effetti di un intervento sulla dipendenza da sostanze ha

dimostrato, nei soggetti coinvolti, una sostanziale riduzione delle assenze, dei ritardi e della scarsa

produttività sul posto di lavoro (Jordan, Grissom, Alonzo, Dietzen e Sangsland, 2008). Risulta evidente che

per un datore di lavoro, che deve sostenere le spese di copertura sanitaria per i propri dipendenti, questi

risultati acquisiscono grande rilevanza. Le istituzioni sanitarie sono interessate, per esempio, ad interventi

elettronici basati sull’uso del computer, perché essi sono potenzialmente in grado di ridurre l’uso di cure

alternative più costose (Boberg et al., 1995). Le compagnie di assicurazione o le HMO, che lottano per

contenere i costi e mantenere un buon livello di soddisfazione degli operatori clinici e del paziente, sono

particolarmente interessate ai dati che indichino i trattamenti più economici.

In ultima analisi l’adozione di un intervento può dipendere dal tipo di effetti che questo produce su

molteplici livelli che, a loro volta, interessano molteplici parti in causa nel processo decisionale. Per esempio , il sistema sanitario sarà interessato ad adottare un intervento nella misura in cui questo riduca l’uso di altri

servizi sanitari e soddisfi il paziente. Il datore di lavoro, invece, sarà interessato ad un intervento che influisca

positivamente sulla produttività. La maggior parte degli studi sull’efficacia non rileva questo genere di esiti

che, in realtà, sono quelli sui quali si orientano i finanziatori per scegliere l’intervento da adottare (ad esempio,

Fiore et al., 2008; Murray, Burns, V., Lai, e Nazareth, 2005). Gli amministratori coinvolti nel processo

decisionale prediligono gli interventi che dimostrino di sortire effetti che si riflettano con un impatto diretto sul

sistema sanitario o sulle compagnie acquirenti e che siano oggettivi e tangibili (Fals-Stewart, Yates e

Klostermann, 2005).

Nonostante l’efficacia di un intervento si misuri attraverso la valutazione degli effetti oggettivi che esso

produce, viene riconosciuta una certa rilevanza anche ai risultati soggettivi. Questi ultimi sono importanti non

solo per i pazienti, per gli psicologi e per i medici, ma anche per chi gestisce i piani di assistenza sanitaria e

per l’intera società. Oltre ad avere un’importanza intrinseca, le valutazioni soggettive fatte dai pazienti sugli

effetti di un intervento possono incidere sul livello di soddisfazione verso un determinato piano di assistenza

sanitaria ed influenzare altri esiti importanti come la fruizione del servizio. E’ chiaro che gli amministratori

sanitari saranno orientati a scegliere quegli interventi che, a detta dei pazienti, producono effetti diretti sulla

malattia (ad esempio, riduzione dei sintomi) (Drummond et al., 2003). Una misura preference-based della

qualità della vita (per esempio, l’Health Utilities Index 2/3: Feeny et al., 2002; EQ-5D: McDonough &

Tosteson, 2007) fornirà un indice completo degli effetti del trattamento e permetterà la valutazione dei diversi

interventi denominati secondo una metrica comune. Per esempio, un sistema di erogazione di assistenza

sanitaria integrato potrebbe essere interessato a determinare quale, tra due interventi, produca un

miglioramento della qualità della vita (per esempio tra un intervento psicosociale sugli attacchi di panico ed un

nuovo farmaco per il diabete). Gli interventi, le popolazioni di pazienti e le malattie possono essere diverse,

ma l’uso di una misura della qualità della vita preference-based consente di confrontare, attraverso una

metrica comune, i fattori importanti per il paziente, il medico e la società.

Efficienza e potenzialità di diffusione

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La distinzione tra i termini efficacia (efficacy) ed efficienza (effectiveness) si riferisce alla nota

preoccupazione scientifica riguardante la validità esterna o generalizzabilità dei risultati (Campbell e Stanley,

1963). Il termine efficienza è usato in genere per fare riferimento agli effetti di un intervento applicato in un

contesto molto simile a quello in cui sarebbe usato nel mondo reale (Glasgow, Klesges, Dzewaltowski, Bull, e

Estabrooks, 2004). Invece il termine efficacia si riferisce in genere agli effetti di un intervento realizzato in

condizioni di controllo e standardizzazione ottimali. Le ricerche sull’efficacia, per esempio, vengono svolte

spesso in centri specialistici o all’interno di programmi di ricerca; si avvalgono di soggetti volontari reclutati

appositamente per partecipare alla ricerca; dispongono, per la somministrazione dell’intervento, di personale

appositamente formato e libero da altri oneri clinici e pressioni di sorta; offrono incentivi per la partecipazione

allo studio (ad esempio, Ramsey et al., 2005). Ovviamente, la maggior parte di questi interventi sono poi

destinati ad essere utilizzati in circostanze molto diverse. La ricerca sull’efficienza serve a colmare il divario

esistente tra il setting istituzionale specializzato per la ricerca ed il setting clinico del mondo reale. Nelle

ricerche sull’efficienza, l’intervento si svolge spesso in setting clinici o nell’ambito di programmi più

rappresentativi, è somministrato secondo le procedure classiche (da parte di personale che lavora nel centro

in cui si svolge l’intervento) a pazienti relativamente non selezionati e che non presentano una motivazione

esplicita ad aderire al trattamento. E’ chiaro che, in realtà, la distinzione tra efficacia ed efficienza rappresenta

una falsa dicotomia, dal momento che gli studi relativi a questi due costrutti si collocano lungo un continuum

che fa capo alla dimensione della generalizzabilità. Tuttavia, l’uso dei due termini è molto diffuso e mette in

evidenza le importanti variazioni esistenti nella valutazione dei servizi clinici.

Lo stesso trattamento può produrre effetti minori in uno studio sull’efficienza ed effetti maggiori in uno

sull’efficacia (Curtis, Ronan, e Borduin, 2004; Stevens, Glasgow, Hollis, e Mount, 2000). Questa discrepanza

potrebbe essere dovuta a diversi fattori tra cui la scelta di soggetti meno motivati o la presenza di una

maggiore variabilità nella consegna del trattamento. Tuttavia, vi è spesso una notevole corrispondenza tra

l’efficienza relativa dei diversi trattamenti (ad esempio, le loro dimensioni dell’effetto) attraverso contesti di

efficacia ed efficienza (Addis et al., 2004; Barlow, Allen e Basden, 2007; Fiore et al., 2008; Henggeler , 2004;

Revicki et al., 2005; W. A. Wade, Treat, e Stuart, 1998). Il grado di convergenza dei risultati derivanti dagli

studi sull’efficacia e sull’efficienza molto probabilmente riflette il fatto che i due tipi di studi sono spesso più

simili di quanto non sembri (hanno in comune i meccanismi di cambiamento, trattamenti simili, la natura

essenziale del disturbo, i fattori generali del paziente).

Anche se spesso gli studi sull’efficacia e quelli sull’efficienza producono delle dimensioni dell’effetto

simili, è indispensabile intraprendere entrambi i tipi di studi. Verificare la generalizzabilità di un intervento

attraverso la ricerca sull’efficienza, in particolare, produce prove su livelli assoluti di efficienza degli interventi

in contesti del mondo reale. Tali dati sono fondamentali per costruire il Business Case di un intervento (per

esempio, per produrre i dati ottimali sul rapporto costi-efficacia Ramsey et al., 2005). Inoltre, anche se la

ricerca suggerisce spesso una buona traduzione degli effetti di un trattamento tra i contesti, non si può

assumere che un intervento sia efficace se non è stato convalidato in una varietà di setting e di popolazioni

(Collins e MacMahon, 2001; Glasgow et al., 2004; Woolf, 2008). Anche i risultati dei cosiddetti studi

sull’efficienza dovrebbero essere generalizzabili a molteplici contesti del mondo reale.

Se un trattamento è efficace ed affidabile nel mondo reale, allora la sua portata e la potenzialità di

diffusione diventano fattori determinanti del suo impatto sulla salute pubblica e clinica. La diffusione si

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riferisce alla probabilità che un trattamento possa essere attuato ampiamente e facilmente e la portata si

riferisce a quale porzione della popolazione target sarà sottoposta al trattamento. La complessità e l’intensità

del trattamento, le esigenze di formazione, i costi, l’impegno in termini di tempo per il paziente e per lo

psicologo clinico, la sicurezza e il meccanismo di erogazione rappresentano importanti fattori di diffusione e di

portata. E’ chiaro che la diffusione avviene in maniera più agevole se gli interventi vengono erogati da fornitori

a basso costo, se sono standardizzati (per esempio riportati in un manuale) e se sono facilmente fruibili (per

esempio se vengono erogati tramite materiale self help o mezzi di comunicazione elettronici). Un esempio è

rappresentato dalle linee di assistenza telefonica, come quelle per smettere di fumare, che ora sono

disponibili su scala nazionale e sono finanziate dallo stato. Queste presentano un elevato potenziale di

diffusione e sono alla portata di un ampio numero di potenziali utenti perché possono essere erogate ad un

prezzo ragionevole (per le linee di assistenza telefonica lavorano educatori sanitari con un titolo di studi

corrispondente ad una laurea triennale), possono essere standardizzate (le linee di assistenza telefonica

fanno riferimento a delle istruzioni specifiche guidate dal computer) e possono essere utilizzate da tutti (alla

linea di assistenza può accedere qualsiasi fumatore in qualsiasi ora del giorno dalla propria abitazione, a

patto che abbia l’allaccio telefonico). La diffusione di un intervento può essere potenziata se si dimostra che il

sistema di erogazione dell’intervento è altamente efficace (Borland e Segan, 2006; Centers for Disease

Control and Prevention, 2004; Fiore et al., 2008; Stead, Perera e Lancaster, 2006). Ad esempio, gli interventi

di sanità elettronica presentano una grande potenzialità di diffusione per via della loro replicabilità e

trasferibilità (per esempio via PDAs e cellulare). Inoltre essi consentono di “confezionare” il trattamento in

base alle caratteristiche di una miriade di pazienti (Strecher et al., 2005) e di proporlo in svariati contesti

raggiunti attraverso grazie alla potenzialità della realtà virtuale (Bordnick et al., 2008).

Costi e rapporto costo-efficacia

I costi si riferiscono a tutte quelle risorse monetarie e non monetarie spese per la erogazione del

trattamento, mentre il rapporto costo-efficacia attiene al rapporto fra i costi monetari ed i risultati. Dal punto di

vista dello psicologo clinico, i costi possono includere il tempo necessario per fornire l’intervento, la resistenza

del paziente al trattamento, la formazione del personale e le spese fisse. Dal punto di vista degli enti sanitari, i

costi possono comprendere le spese derivanti dall’aver scartato altre possibilità (cos’altro si sarebbe potuto

fare se le risorse non fossero state dedicate all’intervento), i costi effettivi dell’intervento e la formazione del

personale (costi diretti e indiretti). Dal punto di vista del paziente, i costi potrebbero includere i disagi, gli effetti

collaterali, le spese di viaggio, il tempo e la fatica impiegati. I costi non monetari per il paziente potrebbe

includere gli effetti collaterali dei farmaci, la rinuncia ad altre attività, il disagio e l’impiego di energie che un

intervento psicosociale richiede.

I costi vanno considerati al di fuori del loro rapporto con l’efficacia, perché essi hanno un significato

intrinseco. Ad esempio, il dolore o i rischi a cui un paziente è esposto devono essere analizzati a parte, anche

se il trattamento è molto efficace. Anche i costi monetari devono essere considerati a pieno titolo. Drummond

et al. (2003) hanno notato che: “Un centro clinico o un piano sanitario potrebbero incontrare delle difficoltà

economiche se adottassero troppi interventi convenienti” (p. 409, vedi Foster e Jones, 2007). In altri termini,

alcuni interventi, anche se molto efficaci, possono essere troppo costosi o troppo lunghi rispetto alle risorse

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disponibili. L’analisi economica delle spese che un ente sanitario andrebbe a sostenere è diventata ormai

parte integrante della valutazione dei nuovi interventi (Mauskopf et al., 2007). Il rapporto costo-efficacia può essere colto attraverso vari indici: per esempio, costo per anni trascorsi

in perfetta salute (QALI: quality-adjusted life year), costo per effetto positivo, ritorno sull’investimento. Le

organizzazioni che si occupano della gestione integrata della sanità spesso valutano i costi in termini di per

member per month (PMPM). Oggi le imprese, i politici, gli enti assicurativi e i piani di assistenza sanitaria

dispongono di strumenti che consentono di calcolare il ritorno sugli investimenti PMPM per vari tipi di

intervento rispetto alle cure usuali o alla non adozione di interventi

(www.businesscaseroi.org/roi/default.aspx). Strategie più recenti elaborano curve di accettabilità sulla

base delle prestazioni nette monetarie o dei benefici netti per la salute (Foster e Jones, 2007).

Quanto detto per l’analisi dei costi vale anche per l’analisi del rapporto costo-efficacia. Quest’ultimo può

essere analizzato dal punto di vista delle diverse parti interessate: il paziente, lo psicologo clinico, il piano di

assistenza sanitaria, l’acquirente o il datore di lavoro e la società. In alcuni casi è importante determinare il

rapporto costo-efficacia separatamente per sottopopolazioni diverse di pazienti, perché il rapporto costo-

efficacia può variare notevolmente in funzione dei fattori di rischio. Ad esempio, mentre il trattamento per

smettere di fumare tende ad essere molto conveniente rispetto ad altri tipi di interventi (Cromwell, Bartosch,

Fiore, Hasselblad e Baker, 1997; Solberg, Maciosek, Edwards, Khanchandani e Goodman, 2006), esso è

particolarmente conveniente per le fumatrici in gravidanza. Uno studio ha dimostrato che il programma per

smettere di fumare porterebbe ad un risparmio di circa 8 milioni di dollari solo di spese neonatali (Ayadi et al.,

2006). Per ogni fumatore a basso reddito in stato di gravidanza che smettesse di fumare, Medicaid otterrebbe

un risparmio netto di circa 1.274 dollari dei costi di intervento (Thorsen e Khalil, 2004). Ne deriva che

probabilmente diventerà necessario vendere ai sistemi di assistenza sanitaria e agli altri amministratori

interventi costruiti ad hoc per specifiche popolazioni che presentino problemi specifici, visto che l’efficacia di

un intervento e i costi monetari di un trattamento possono variare notevolmente tra gruppi di pazienti che

presentano problemi diversi (Kent e Hayward, 2007).

Analizzare il rapporto costo-efficacia è molto importante per diverse ragioni. In primo luogo, come

indicato in precedenza, vi sono prove evidenti del fatto che le prove riguardanti la convenienza di un

intervento, in termini di economia sanitaria, influiscano sul processo decisionale (Drummond et al., 2003;

Grizzle et al., 2000; Hoffman e Graf von der Schulenberg, 2000; Luce et al., 1996; Steiner, Powe e Anderson,

1996; Steiner, Powe, Anderson e Das, 1996). Inoltre, occuparsi di tali informazioni può permettere ai

ricercatori di conoscere il valore e la spendibilità di altri modelli di intervento concorrenti. Ad esempio, le

analisi del rapporto costo-efficacia spesso contengono tassi di sconto che riducono il valore degli esiti che

sono molto ritardati. Quindi, ritardare un intervento di prevenzione fino a che i benefici non siano più evidenti

potrebbe fare una differenza significativa in termini di costo-efficacia (Foster e Jones, 2007). Allo stesso

modo, anche concentrarsi su una popolazione che presenti un disturbo molto grave potrebbe influire sul

rapporto costo-efficacia, anche se le dimensioni dell’effetto nelle analisi dell’efficacia potrebbero non esserne

influenzate. Ciò che conta è che i dati relativi al rapporto costo-efficacia spesso forniscono un’informazione

molto diversa da quella ottenuta attraverso le analisi dell’efficacia (più familiari agli psicologi) e che alcuni

trattamenti sembreranno più convenienti per gli effetti che producono solo in alcuni ambiti e con alcuni gruppi

di pazienti (Stant, Buskens, Jenner, Wiersma e TenVergert, 2007).

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La creazione di un modello di economia sanitaria formale consente di integrare le informazioni,

appartenenti ad ambiti diversi, necessarie per compiere una valutazione informata e completa dell’uso di un

intervento in un particolare contesto: l’incidenza della malattia bersaglio, la sua responsività al trattamento, i

molteplici effetti che si potrebbero avrebbe con e senza il trattamento in periodi di tempo diversi, i costi degli

interventi e dei test diagnostici necessari e così via (Weinstein et al., 2003). Tale modello potrebbe avere un

notevole valore clinico, perché promuoverebbe una comprensione più chiara delle circostanze all’interno delle

quali un intervento produce i suoi maggiori benefici (in termini di tempi, incidenza sui sintomi,

sottopopolazioni) e anche perché fornisce informazioni relative all’impiego delle risorse e al modo in cui il

valore di un intervento cambia di volta in volta in base ai diversi setting, le diverse popolazioni e così via. Gli

psicologici clinici dovrebbero essere coinvolti in prima persona nel modeling analitico della decisione formale

per la valutazione sanitaria (Fals-Stewart, Yates e Klostermann, 2005). Essi dovrebbero disporre delle

competenze necessarie per svolgere valutazioni e prendere decisioni informate su questioni come la

prevalenza, i costi sociali secondari delle diverse condizioni e dei diversi sintomi, i tassi di utilizzo, la probabile

responsività ad un trattamento in differenti popolazioni, giudizi di valore clinicamente fondati e così via.

Mentre la psicologia clinica è stata lenta a fornire una risposta al bisogno di dati dell’economica

sanitaria (Fals-Stewart, Yates e Klostermann, 2005), gli altri settori si sono adoperati per fornire una risposta

rapida. Attualmente, organi decisionali possono disporre di almeno 25 linee guida per la condotta e la

comunicazione delle analisi di economia sanitaria (Hjelmgren, Berggren, e Andersson, 2001). Molte di queste

linee guida sono state sponsorizzate da gruppi di professionisti con forti interessi nel settore farmaceutico e

medico (ad esempio, International Society Internazionale for Pharmacoeconomics and Outcomes Research).

Così, i gestori e gli amministratori dei sistemi di assistenza sanitaria hanno trovato le informazioni di cui

avevano bisogno per prendere decisioni informate su alcuni tipi di interventi. Anche la psicologia dovrebbe

ingegnarsi in questo senso se volesse rimanere una disciplina attuabile e rilevante.

Attendibilità scientifica

L’attendibilità scientifica indica quanto un intervento sia fondato su basi concrete e se sussistano prove

formali che attestino i suoi meccanismi di funzionamento. Molti interventi vengono considerati utili anche se

non è dimostrata la loro attendibilità e, come nel caso di molti psicofarmaci, vengono ampiamente utilizzati

nonostante la ridottissima comprensione dei loro meccanismi di azione specifici. Tuttavia, l’assenza di uno

specifico meccanismo di azione comprovato ed attendibile, soprattutto nell’ambito psicosociale, lascia aperta

la possibilità che l’intervento venga sfruttato solo per i suoi effetti aspecifici o per quelli placebo. Gli

amministratori dei piani di assistenza sanitaria ed in generale gli acquirenti sono restii a finanziare trattamenti

che rischiano di passare per trattamenti-placebo, a prescindere da quanto gli psicologi clinici li possano

promuovere.

Le analisi mediazionali delle azioni di trattamento sono persuasive, non solo perché forniscono

conoscenze scientifiche fondamentali (per esempio, come funziona il trattamento), ma anche perché

forniscono informazioni indispensabili per un uso efficiente dei trattamenti (McCarthy, Bolt e Baker, 2007;

Piper et al., 2008). Per esempio, l’individuazione dei mediatori specifici degli effetti di un trattamento indica

quali pazienti abbiano bisogno del trattamento (ad esempio, quelli con bassi punteggi pre-trattamento sul

mediatore) e quando si sia verificata la risposta terapeutica.

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Infine, l’attendibilità scientifica è importante perché i trattamenti che non presentino una modalità di

azione attendibile (per esempio, la terapia meditativa caotica, la Comunicazione Facilitata, la delfino-terapia

assistita), hanno più probabilità di non durare nel tempo. Essi vengono presentati sempre con grande

entusiasmo e partecipazione emotiva, ma alla fine non riescono a garantire vantaggi che rispondano a criteri

di valutazione oggettivi (per esempio, Marino e Lilienfeld, 2007).

Sintesi

Gli interventi psicosociali riceveranno supporto e verranno adottati se risponderanno a dei criteri che di

solito non vengono considerati nei dibattiti sull’efficacia della psicoterapia e sulle terapie supportate

empiricamente. Questi dibattiti si sono spesso esauriti in maniera autoreferenziale e si sono concentrati su

delle questioni che non sembrano essere decisive nel favorire l’adozione di un numero maggiore di interventi

psicosociali e la loro attuazione a prescindere dall’esito. Come campo di studi, non abbiamo svolto ricerche di

mercato adeguate né ci siamo interrogati su cosa hanno bisogno di sapere gli amministratori per decidere

quali interventi finanziare. Per loro è indispensabile sapere che tipi di rapporti costo-beneficio presentano gli

interventi, se l’intervento possa essere implementato in maniera semplice ed affidabile, se e quanto sia

possibile estendere i benefici che esso produce ad altre popolazioni e attraverso tutta una serie di dimensioni

contestuali, se e quanto sia scientificamente affidabile (questo riflette la sua credibilità) e se, considerando

tutte le dimensioni citate, sia vantaggioso rispetto ad una gamma di opzioni concorrenti, inclusa quella di non

somministrare alcun intervento.

Nonostante l’accento posto sul rapporto costo-efficacia, non possiamo negare che alcuni pazienti

possano trarre grandi vantaggi da interventi psicosociali lunghi, costosi e complessi erogati da professionisti

esperti ed altamente qualificati. Il rapporto costo-efficacia rappresenta solo uno dei criteri che verranno

utilizzati per valutare se gli interventi siano destinati a ricevere finanziamenti esterni (e a non essere pagati in

prima persona dal paziente). Anche allora, tali analisi potrebbero in definitiva sostenere la scelta di interventi

più costosi per popolazioni ad alto rischio (Henggeler, Melton Smith, 1992). Inoltre, questi criteri ignorano in

gran parte l’aspetto che riguarda l’identità professionale dello psicologo clinico – ad eccezione degli aspetti

legati ai costi e al rapporto costo-efficacia. Il futuro della psicologia clinica e della sua reputazione etica sarà

florido se le scuole di formazione e la ricerca perseguiranno come scopo ultimo la promozione della salute

pubblica e del singolo paziente, e non impiegheranno tutte le risorse disponibili per proteggere, ristabilire o

garantire una posizione privilegiata per gli psicologi clinici come erogatori di un servizio.

Anche se i quattro criteri di cui abbiamo parlato possono sembrare poco allettanti, noi crediamo che la

maggior parte degli interventi psicosociali si assestino abbastanza bene su queste dimensioni quando i dati

ad essi attinenti vengono organizzati in maniera efficace (vedi per esempio certi tipi di terapie di coppia o

familiari, Fals-Stewart, O'Farrell e Birchler, 1997; Fals-Stewart, Yates, Klostermann, 2005; Henggeler et al.,

1992). L’evidenza che gli interventi psicosociali soddisfino questi criteri in una maniera sistematica e formale

dovrebbe favorire una maggiore adozione di tali interventi e dovrebbe produrre vantaggi più grandi per i

pazienti e per la salute pubblica. Laddove non sussista un’evidenza, tuttavia, è improbabile che

un’autopromozione possa essere utile. Questa è la realtà oggettiva a cui la psicologia clinica deve fare fronte.

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MERITI DEGLI INTERVENTI PSICOSOCIALI E PROSPETTIVE FUTURE DELLA PSICOLOGIA CLINICA

Dopo aver descritto il nuovo sistema di cura della salute mentale ed i criteri in base ai quali gli attori dei

piani politici ed economici sceglieranno gli interventi da finanziare, possiamo domandarci come si classificano

gli interventi psicosociali se vengono esaminati attraverso i suddetti criteri.

A questo riguardo abbiamo notizie sia buone che cattive. Le buone notizie riguardano il fatto che

numerosi interventi psicosociali rivolti a problemi specifici rispondono molto bene ai criteri dell’efficacia,

efficienza, diffusione, rapporto costo-efficacia e attendibilità scientifica. Le notizie negative, invece,

riguardano il fatto che, nonostante la ricerca abbia prodotto dei risultati a favore di interventi psicosociali

specializzati per particolari problemi, la psicologia clinica non è riuscita ad abbracciare questi trattamenti, a

standardizzarne l’uso attraverso linee guida di pratica formale, a promuoverli e a diffonderli attraverso la

formazione, o a garantirne la disponibilità per i pazienti che ne avessero bisogno. Inoltre, la psicologia clinica

troppo spesso ha ignorato questioni di importanza cruciale per gli amministratori ed i gestori dei sistemi di

assistenza sanitaria. Di conseguenza, essa rischia di giocare un ruolo sempre più marginale nel futuro dei

servizi di salute mentale. Se così fosse, sarebbe paradossale dato il sostanziale contributo che gli scienziati

della psicologica clinica apportano allo sviluppo di interventi psicosociali efficaci ed il potenziale valore che tali

contributi hanno per la salute pubblica.

Nei due paragrafi successivi analizzeremo prima le buone notizie – cioè le prove prodotte dalla ricerca

sui benefici che specifici interventi psicosociali possono arrecare a specifici problemi di salute mentale e

comportamentale. Poiché disponiamo di uno spazio limitato, faremo solo una breve rassegna delle evidenze

globali che la ricerca offre a supporto dei principali interventi psicosociali che si rivolgono a livelli di disabilità,

popolazioni e diagnosi diversi. Poi passeremo in rassegna le notizie meno buone – il fallimento della

psicologia nel capitalizzare questi interventi - e discuteremo le possibili cause di questo inquietante fallimento.

Infine, nella parte conclusiva, presenteremo quelle che secondo noi sono le misure che la psicologia clinica

potrebbe adottare per riparare agli errori commessi e pere diventare una forza più positiva nella promozione

della salute pubblica. Nonostante i limiti attuali della psicologia, crediamo che il suo futuro possa essere

brillante, se tali misure verranno prese.

Le buone notizie: supporti empirici a favore della psicologia clinica

In questa sede segnaliamo alcuni tipi di interventi psicosociali che hanno già ottenuto un eccellente

sostegno probatorio per dimostrare la fattibilità di un programma di ricerca di questo tipo ed incoraggiare la

ricerca affinché sviluppi in modo più assertivo evidenze simili per altri tipi di interventi. Questa visione

d’insieme dei trattamenti empiricamente supportati (TES) mette in evidenza il tipo di dati che riteniamo

dovrebbe favorire, negli psicologi clinici, un uso maggiore di interventi psicosociali ed indurre i responsabili e

gli amministratori dei servizi sanitari a preferire tali interventi. Inoltre, ci auguriamo che la nostra rassegna

sull’evidenza permetta di comprendere meglio perché gli acquirenti dei piani di assistenza sanitaria, i sistemi

sanitari e gli altri soggetti interessati nella cura della salute mentale scelgano sempre più interventi evidence-

based per far fronte ai bisogni dei loro pazienti. Una forte richiesta di interventi evidence-based e la

persuasività intrinseca delle evidenze dovrebbero favorire lo sviluppo di una pratica clinica scientificamente

fondata.

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Passiamo in rassegna gli interventi psicosociali sul tabagismo perché la ricerca svolta in questo ambito

ha prodotto dati che hanno favorito il sostegno e l’implementazione di questi interventi da parte di diversi

sistemi sanitari. In altri termini, l’evidenza dell’efficacia rimaneva tale anche se valutata da soggetti diversi,

per esempio dal personale medico, dagli amministratori degli enti assicurativi, dagli acquirenti (imprese), etc.

Pertanto l’intervento sul tabagismo fornisce un esempio dei tipi di evidenze che dobbiamo fornire per

promuovere l’adozione ed il sostegno degli interventi psicosociali per altri tipi di disturbi.

Interventi sul tabagismo

A dispetto dei ben noti danni che l’uso del tabacco procura, fino alla metà del 1990 i fautori della salute

pubblica ed i ricercatori non sono mai riusciti ad ottenere un reale sostegno a favore gli interventi contro l’uso

del tabacco né a stimolare i medici e gli altri operatori clinici ad intervenire su questo problema. Era chiaro

che i danni causati dall’uso del tabacco, da soli, non bastavano a stimolare interventi significativi. Come

riportato nelle Linee Guida del Servizio di Salute Pubblica del 1996 (Fiore, Bailey, & Cohen, 1996):

“L’evidenza posta in rassegna sopra suggerisce che il tabagismo si caratterizza per una rara

confluenza di circostanze: (1) una grave minaccia alla salute; (2) una demotivazione negli

operatori clinici ad intervenire in misura consistente; e (3) la presenza di interventi preventivi

efficaci…In effetti è difficile trovare, nei paesi sviluppati, una condizione che presenti un tale mix

di letalità, prevalenza e negazione, nonostante ci siano degli interventi efficaci e pronti per

l’uso”(pp. 5-6).

Negli ultimi dieci anni, invece, la situazione è cambiata drasticamente. Il Public Health Service Clinical

Practice Guideline sul Trattamento dell’uso e dell’abuso di tabacco (Fiore et al., 2008) documenta i progressi

fatti:

“I dodici anni che hanno seguito la pubblicazione delle prime Linee Guida si sono caratterizzati

per la presenza di cambiamenti altrettanto impressionanti. Nel 1997 solo il 25% dei piani di

gestione integrata delle cure contemplava almeno un tipo di trattamento sulla dipendenza da

tabacco; nel 2003 questa cifra si avvicinava al 90% (Tobacco Cessation Leadership Network,

2006). Numerosi Stati hanno aggiunto una copertura di Medicaid per il trattamento della

dipendenza da tabacco dopo la pubblicazione delle prime Linee Guida. In questo modo, entro il

2005, il 72% dei piani di gestione integrata delle cure ha offerto una copertura per almeno un

trattamento raccomandato dalle Linee Guida (Bellows, McMenamin, e Halpin, 2007; National

Center for Health Statistics, 2007; Tobacco Cessation Leadership Network, 2006). Nel 2002, la

Commissione Mista (in precedenza, JCAHO), che accredita circa 15.000 ospedali e programmi di

assistenza sanitaria, ha istituito un obbligo di accreditamento per la fornitura di interventi

evidence-based sulla dipendenza da tabacco per i pazienti con diagnosi di infarto miocardico

acuto, insufficienza cardiaca congestizia o polmonite

(www.coreoptions.com/new_site/jcahocore.html; hospital-specific results:

www.hospitalcompare.hhs.gov). Infine, le organizzazioni sanitarie pubbliche Medicare, Veteran’s

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Health Administration e United States Military ora forniscono una copertura delle spese per il

trattamento della dipendenza da tabacco. Tali cambiamenti a livello politico e di sistema stanno

portando buoni risultati in termini di aumento di valutazione e di trattamento del tabagismo.

Stando ai dati recenti, i fumatori riferiscono che, rispetto ai primi anni Novanta, il numero

di volte in cui viene loro consigliato di smettere di fumare è quasi raddoppiato (Centers for

Disease Control and Prevention, 1993, 2000; Chase, McMenamin, e Halpin, 2007; Denny,

Serdula, Holtzman e Nelson, 2003). Dati recenti suggeriscono, inoltre, che la percentuale di

fumatori che ricevono trattamenti più intensi per smettere di fumare è in aumento (California

Department of Health Services, 2005; Quinn et al., 2005). Secondo il National Committee for

Quality Assurance (NCQA) sia gli enti assicurativi che il Medicaid raccomandano sempre più

l’uso di farmaci e di strategie empiricamente supportate per smettere di fumare (National

Committee for Quality Assurance 2007). Infine, da quando, nel 1996, sono state pubblicate le

prime Linea Guida, la prevalenza del tabagismo tra gli adulti negli Stati Uniti è scesa dal 25% al

19,8% circa (Centers for Disease Control and Prevention, 2008, p. 1221).”

Che cosa ha prodotto questo cambiamento epocale nel sostegno e nell’attuazione di interventi contro il

tabagismo? Sebbene il cambiamento rifletta, senza dubbio, molteplici fattori, riteniamo che esso sia dovuto in

gran parte all’evidence base che è stata messa a disposizione dei responsabili del processo decisionale.

Questa evidenza è ben descritta dal Public Health Service Clinical Practice Guideline del 2008 sul

Trattamento del tabagismo (Fiore et al., 2008). Qui di seguiti elenchiamo i tipi di informazione indispensabili

per i responsabili dei servizi di assistenza sanitaria (i risultati completi possono essere trovati in Fiore et al.,

2008, salvo diversa indicazione).

Efficacia. Vi sono chiare prove che gli interventi psicosociali per il tabagismo sono efficaci. E’ stato

dimostrato che questi interventi aumentano i tassi di astinenza a lungo termine in modo dose-correlati e la

loro efficacia è stata attribuita a due componenti in particolare: la formazione di competenze ed il sostegno in

corso di trattamento. Inoltre, la ricerca mostra non solo che gli interventi psicosociali sono di per sé efficaci,

ma anche che essi potenziano in maniera significativa l’efficacia dei farmaci per smettere quando questi

vengono utilizzati come coadiuvanti.

Efficienza e potenziale diffusione. E’ stato dimostrato che gli interventi psicosociali contribuiscono in

maniera significativa e ridurre il numero di fumatori in diversi gruppi selezionati di tabagisti (Hollis et al., 2000;

Zhu et al., 2002). Inoltre, mentre il farmaco è risultato inefficace con determinati gruppi di tabagisti (ad

esempio, gli adolescenti, le fumatrici in stato di gravidanza, le persone che fumano le sigarette smokeless,

cioè senza combustione), è stato dimostrato che l’intervento psicosociale è efficace in quasi tutte le

popolazioni di consumatori del tabacco. Il potenziale di diffusione di un intervento psicosociale contro il

tabagismo è alto perché esso è efficace in assenza di trattamento farmacologico e perchè può essere

erogato in modo efficace per telefono (Zhu et al., 2002) e a costi relativamente bassi da diversi tipi di

operatori clinici.

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Rapporto costo-efficacia. La ricerca dimostra che gli interventi per smettere di fumare, sia quelli

farmacologici che quelli psicosociali, presentano un buon rapporto costo-efficacia rispetto ad altri interventi

medici tra cui il trattamento dell’ipertensione e dell’iperlipidemia e ad altri interventi preventivi come la

mammografia periodica (Cromwell et al., 1997; Maciosek et al., 2006; Quist-Paulsen, Lydersen, Bakke, e

Gallefoss, 2006; Shearer e Shanahan, 2006; Solberg et al., 2006). Per esempio, il costo per anni di vita

risparmiato grazie al trattamento delle dipendenza da tabacco è stato stimato intorno ai 3,539 dollari

(Cromwell et al., 1997), dato che regge positivamente il confronto con lo screening dell’ipertensione per gli

uomini, età 45-54 ($ 5,200), e lo screening annuale del collo dell’utero per le donne , età 34-39 ($ 4.100;

Tengs et al., 1995). Inoltre, il trattamento della dipendenza da tabacco regge abbastanza bene il confronto, in

termini di anni di vita risparmiati trascorsi in perfetta salute, con altri trattamenti come quelli per l’ipertensione

e l’ipercolesterolemia, nonché con lo screening di prevenzione (ad esempio, mammografia, pap-test; Brandon

et al., 2004 ; Chirikos, Herzog, Meade, Webb, e Brandon, 2004; Croghan et al., 1997; Feenstra, Hamberg-

van Reenen, Hoogenveen, e Rutten-van Molken, 2005; Johansson, Tillgren, Guldbrandsson, e Lindholm,

2005; Parrott & Godfrey, 2004; Raw, McNeill, & Coleman, 2005; Solberg et al., 2006; Stapleton,

Lowin, & Russell, 1999).

Sia dal punto di vista dei datori di lavoro che del piano sanitario, l’effettiva scelta di adottare un

trattamento può dipendere dal fatto che sia dimostrato un ritorno favorevole sugli investimenti fatti, attraverso

una riduzione del consumo delle cure sanitarie e dei costi (Foulds, 2002; Javitz et al., 2004; Warner, Mendez

e Smith, 2004). Alcuni studi hanno documentato che l’applicazione di un trattamento sul tabagismo ai

lavoratori dipendenti spesso produce un aumento dei risparmi delle spese di assistenza sanitaria e,

contemporaneamente, un aumento della produttività, una riduzione dell’assenteismo e dei pagamenti delle

assicurazioni sulla vita (Halpern, Dirani, e Schmier, 2007; Halpern, Khan, Young, & Battista, 2000; Halpern,

Shikiar, Rentz, e Khan, 2001; Warner, Smith, Smith, & Fries, 1996). Raramente viene riconosciuta

l’importanza di dimostrare che il datore di lavoro può realisticamente risparmiare grazie agli interventi

psicologici, ma in realtà il risparmio sui costi potrebbe costituire un vantaggio importante, data la perdita di

produttività causata da molti disturbi mentali. Infine, le organizzazioni che si occupano della gestione integrata

della sanità spesso valutano il costo PMPM di un beneficio. Il trattamento PMPM per il tabagismo è stato

valutato in una varietà di setting. Un recente tentativo fatto da queste organizzazioni di simulare le

implicazioni finanziarie di copertura dei trattamenti per il tabagismo ha rilevato che a 5 anni, la copertura del

costo per il trattamento del tabagismo costa ad una organizzazione sanitaria appena 0,61 dollari PMPM, e

coloro che smettono di fumare guadagnano una media di 7,1 anni di vita ed una copertura dei costi diretti di

circa 3.500 dollari per ogni anno di vita risparmiato (Warner et al., 2004).

Questi risultati rappresentano solo una parte di tutti quelli prodotti dai recenti studi sul tabagismo. Essi

mostrano che l’intervento è molto efficace in tutte le sue parti, che gli interventi possono essere erogati in

modo molto conveniente, che l’intervento offre un rapporto vantaggioso tra costi e benefici rispetto ad altri

interventi che concorrono per ricevere finanziamenti dal sistema sanitario, e che tipo di ricaduta hanno sul

sistema sanitario rispetto alla scelta di non adottare alcun intervento. La ricerca recente ha anche iniziato a

scoprire i meccanismi di azione degli interventi sul tabagismo (McCarthy et al., 2007; Piper et al., 2008).

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Altri interventi psicosociali

L’intervento sul tabagismo non è l’unico. Sono stati costruiti dei solidi business case anche per altri

interventi psicosociali, per favorirne un supporto sempre maggiore da parte dei sistemi di assistenza sanitaria,

degli acquirenti e di altri soggetti interessati (Nizza, 2004). Il lettore interessato può trovare in Appendice la

presentazione di alcune delle ricerche e dei business case che possono essere fatti per una vasta gamma di

interventi psicosociali. Possiamo comunque riportare in maniera concisa qui il senso della letteratura posta in

rassegna in Appendice: Una serie di interventi psicosociali possono rispondere abbastanza bene ai quattro

principali criteri introdotti prima (efficacia, efficienza, costo-efficacia, attendibilità scientifica).

Il numero e la gamma di questi interventi è impressionante. Essi includono la terapia cognitiva (CT) e la

terapia cognitivo comportamentale (TCC) per la depressione, per i disturbi di panico, per la bulimia nervosa e

per il disturbo post traumatico da stress (PTSD); la terapia di coppia comportamentale per i disturbi da abuso

di alcol e abuso di sostanze; l’esposizione con prevenzione della risposta e la CT per il disturbo ossessivo

compulsivo; la terapia familiare per la schizofrenia; e un intervento centrato sulla famiglia per il disturbo

bipolare. Esistono solide evidenze anche per altri interventi (per esempio il trattamento comportamentale

dell’insonnia). L’evidenza suggerisce che questi interventi non solo sono efficaci rispetto ad una varietà di altri

interventi psicosociali ma sono anche efficienti e/o convenienti rispetto ad altri approcci alternativi come la

farmacoterapia.

E’ stato dimostrato che tutti gli interventi su elencati sono efficaci rispetto ad una varietà di condizioni di

confronto e di controllo. Per esempio, esiste un’evidenza proveniente da trials clinici multipli che la CT e la

TCC per la depressione producono effetti benefici più duraturi dei trattamenti antidepressivi farmacologici;

cioè, una volta che il trattamento è interrotto, le percentuali di ricadute in pazienti trattati con una TCC sono

circa la metà di quelle dei pazienti trattati con le terapie farmacologiche (DeRubeis e Crits-Christoph, 1998;

Gloaguen, Cottraux, Cucherat e Blackburn, 1998; Hollon et al., 2005). In maniera simile, la TCC per il

disturbo di panico è simile o superiore, in quanto ad efficacia, alla farmacoterapia (Otto, Pollack e Maki, 2000)

e i suoi effetti sembrano essere più duraturi (Craske, Brown e Barlow, 1991; Pollack e Otto, 1994). Rispetto

alla TCC per la bulimia nervosa, una rassegna sistematica di 47 studi ha suggerito che mentre sia i farmaci

(la fluoxetina) che la TCC avevano effetti a breve termine simili, solo la TCC produceva effetti a lungo termine

(Shapiro et al., 2007).

Sulla base di un forte sostegno derivante da più studi randomizzati ben condotti, le Linee Guida del

NICE (2004) hanno raccomandato con il punteggio più alto (livello di grado “A”) un ciclo di 16- 20 sessioni di

TCC per la bulimia nervosa. Questa è stata la prima volta che il NICE ha concluso che un intervento

psicologico fosse il trattamento elettivo per un disturbo psichiatrico (Wilson, Grilo e Vitousek, 2007). Sono

molto poche le prove che l’aggiunta di una farmacoterapia o di un qualsiasi altro trattamento aumenti

l’efficacia della TCC per la bulimia nervosa (Wilson et al., 2007). In sintesi, tra gli interventi elencati, una

sostanziale evidenza mostra che gli interventi citati non solo sono efficaci, ma sono efficaci rispetto alla

farmacoterapia, principale concorrente in termini economici per la cura della salute mentale.

E’ stato dimostrato che la maggior parte degli interventi elencati sono più efficaci e più convenienti delle

farmacoterapie e di altri interventi psicosociali. Ad esempio, le prove dimostrano che la CT e la TCC per la

depressione si confrontano positivamente con farmaci e con altri approcci psicosociali (Antonuccio, Thomas,

e Danton, 1997; Revicki et al., 2005). La TCC è conveniente in termini di costi/efficacia rispetto alle risorse di

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intervento di comunità esistenti (Revicki et al., 2005). La TCC e la CT possono essere economicamente più

efficaci nel trattamento della depressione grave se vengono utilizzate con un adiuvante antidepressivo

(Simon, Pilling, Burbeck, e Goldberg, 2006). Allo stesso modo, il costo a lungo termine e i profili costi-benefici

della TCC per i disturbi di panico sono più favorevoli di quelli delle farmacoterapia (McHugh et al., 2007; Otto

et al., 2000). Recenti ricerche effettuate con i pazienti dei medici di base dimostrano che l’uso combinato di

farmacoterapia e di TCC per il disturbo di panico produce un aumento di anni trascorsi in perfetta salute ad

un costo paragonabile a quello ottenuto con i comuni interventi di prevenzione, come il trattamento

farmacologico dell’ipertensione e dell’ipercolesterolemia (Katon et al ., 2006; anche cfr. Heuzenroeder et al.,

2004). E’ stato dimostrato anche che gli interventi su citati sono vantaggiosi in termini di costo-efficacia

rispetto ad altri interventi psicologici. Fals-Stewart, Klostermann, Yates, O’Farrell e Birchler (2005) hanno

rilevato che, rispetto alla terapia individuale, una versione breve di terapia di coppia comportamentale era

altrettanto efficace e più conveniente in termini di costo- efficacia. E’ stato dimostrato che i metodi di terapia

familiare presentano un buon rapporto tra costi ed efficacia rispetto ad altri approcci di intervento psicosociale

nel trattamento della schizofrenia (Faloon, Boyd, e McGill, 1984; Penn Mueser, 1996; Tarrier et al., 1989).

Inoltre, le analisi dei costi comparati suggeriscono che tale metodo consente un risparmio che varia dal 19%

(Cardin, McGill, e Faloon, 1986) al 27% per paziente (Tarrier et al., 1989) – tali analisi sono state svolte su

quei pazienti il cui funzionamento familiare era particolarmente compromesso. Anche la terapia orientata alla

famiglia ha dimostrato di essere vantaggiosa in termini di costi/efficacia rispetto ad altri programmi

psicosociali (Miklowitz e Johnson, 2006; Wolff et al., 2006).

Si noti che molti di questi interventi possono essere diffusi senza personale altamente qualificato e

attraverso sistemi di erogazione economici. La TCC per la depressione può essere fornita in modo efficace in

contesti di assistenza primaria e in altri setting del mondo reale con diversi gruppi di pazienti (Barrett et al.,

2001; Revicki et al., 2005) e addirittura può essere erogata in modo efficace tramite telefono (Mohr, Hart, e

Vella , 2007). E’ stato dimostrato che la TCC per il disturbo di panico è efficace anche quando applicata in

setting sanitari reali e con gruppi di pazienti molto diversi (Addis et al., 2004; Barlow et al., 2007; Roy-Byrne

et al., 2005; WA Wade et al., 1998). In tali contesti, la TCC è efficace anche quando è fornita da terapeuti non

specializzati o da educatori sanitari, con poca o nessuna esperienza precedente con la TCC, che abbiano

ricevuto solo un modesto livello di formazione su quella tecnica (Addis et al., 2004; Roy - Byrne et al., 2005).

Allo stesso modo, i trattamenti di esposizione per il PTSD restano efficaci se attuati in contesti reali (Foa,

Hembree, et al., 2005) e l’effettiva applicazione non richiede dei clinici specializzati né terapisti specializzati in

TCC. La ricerca suggerisce che la terapia comportamentale di coppia può essere fornita in modo efficace

negli ambulatori in cui viene distribuito il metadone e all’interno di altri programmi di trattamento di comunità

del mondo reale (Fals-Stewart, O’Farrell, e Birchler, 2001) e con diversi gruppi di pazienti, come le coppie

coinvolte negli interventi di violenza domestica (Fals - Stewart, Kashdan, O’Farrell, e Birchler, 2002; O’Farrell,

Murphy, Stephan, Fals-Stewart e Murphy, 2004). Manuali ed eserciziari dettagliati sono disponibili su siti web

facili da usare.

Infine, vi è un’evidenza sempre crescente dell’attendibilità scientifica degli interventi elencati. Il

trattamento CT-TCC per la depressione può attenuare la reattività cognitiva a stati d’animo negativi o ai

sintomi depressivi, risultato questo che non si verifica con altri tipi di interventi psicosociali né con la terapia

farmacologica (Beevers e Miller, 2005; Segal, Gemar e Williams, 1999; Segal et al., 2006). La TCC per il

disturbo di panico può operare attraverso cambiamenti specifici delle cognizioni della paura (Hofmann et al.,

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2007); tali cambiamenti non sono evidenti con il trattamento con l’imipramina. La TCC per la bulimia può

consentire un accrescimento dell’auto-efficacia ed una riduzione della compulsione ad assumere cibo. Foa e

Rauch (2004) hanno scoperto che la TCC per il PTSD porta ad una diminuzione dei pensieri negativi e che

tali cambiamenti cognitivi predicono una riduzione della gravità del PTSD. Inoltre, una maggiore

organizzazione del racconto del trauma nel corso della terapia era un buon indicatore della prognosi del

paziente (Foa, Molnar e Cashman, 1995). Infine, l’abituazione tra le sessioni agli stimoli temuti prediceva una

riduzione dei sintomi di PTSD (Kozak, Foa, e Steketee, 1998; van Minnen e Hagenaars, 2002). Solo di

recente si è registrato un miglioramento degli strumenti statistici ed una maggiore disponibilità di modelli

analitici che rilevino in maniera sensibile il meccanismo mediatore (Cole e Maxwell, 2003; MacKinnon,

Fairchild, e Fritz, 2007; Piper et al., 2008). Presumibilmente, ci sarà ancora molto da imparare sulla

mediazione di questi interventi efficaci negli anni a venire.

In sintesi, i dati presi in esame in precedenza suggeriscono che molti interventi psicosociali hanno oggi

il supporto probatorio necessario per promuoverne la diffusione e l’uso da parte delle organizzazioni di

assistenza sanitaria e degli amministratori dei piani sanitari. Questi interventi non solo sono efficaci, ma

migliorano la qualità della vita in maniera economicamente efficace. Un uso, ed un supporto, maggiore di

questi interventi non solo dimostrerà quanto la ricerca psicologica possa giovare alla salute pubblica, ma

servirà anche da evidenza del fatto che un approccio scientificamente fondato all’intervento psicologico è

diventato più credibile degli approcci intuitivi ed esperienziali. Lo sviluppo di una banca dati convincente

dovrebbe fornire uno stimolo fondamentale per l’adozione di interventi evidence-based. Noi crediamo che il

sostegno alla ricerca per molti interventi psicosociali stia diventando così persuasivo che sarà (o dovrebbe

essere di certo) adottato di preferenza da parte dei sistemi di assistenza sanitaria e dei fornitori. Questo

processo gioverà al sistema di sanità pubblica e accrescerà l’importanza di una pratica scientificamente

fondata all’interno della psicologia. Tuttavia, come diremo nella paragrafo successivo, la portata di questo

processo di ricerca non è sufficiente; devono essere adottate altre misure per ampliare i contributi della

psicologia per la salute pubblica, e questi passaggi richiedono una riforma fondamentale della psicologia

clinica. Un segno della necessità di una riforma è che, nonostante siano disponibili interventi altamente

efficaci, sono relativamente pochi gli psicologi che studiano o applicano questi interventi, rendendoli così

piuttosto inaccessibili ai pazienti che ne hanno bisogno (ad esempio, Dixon, Lyles, Fahey, Skinner e Shore,

1997).

Le cattive notizie: il fallimento dello sviluppo della Psicologia come Scienza Applicata

I problemi che attualmente tormentano la salute mentale sono palesi: troppe persone non vengono

trattate secondo le proprie necessità in termini di salute mentale (es., Hanrahan & Sullivan-Marx, 2005;

Howard et al., 1996). Chi si occupa della cura nella salute mentale, probabilmente non è in grado di fornire

un servizio psicosociale specialistico, mentre (es., Howard et al., 1996; Mechanic, 1990), un medico delle

cure primarie (Cooper-Patrick, Crum, & Ford, 1994; Mechanic, Angel, & Davies, 1992; Sturm, Meredith, &

Wells, 1996) può prescrivere la maggior parte delle medicine, fatta eccezione per quelle particolarmente

costose. Anche se le persone ricevono interventi psicosociali specialistici, probabilmente continuano a non

ricevere interventi ottimali ed evidence-based (Barlow, Levitt, & Bufka, 1999; Crow, Mussell, Peterson,

Knopke, & Mitchell, 1999; Dixon et al., 1997; Haas & Clopton, 2003; Hollon, Thase, & Marcovitz, 2002;

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Phillips & Brandon, 2004). L’evidenza di efficacia data dai trattamenti utilizzati più frequentemente è

solitamente molto debole.

Gli psicologi clinici stanno fallendo in tue importanti missioni: gli interventi psicosociali effettivi non

vengono utilizzati in maniera adeguata e gli psicologi stanno perdendo l’opportunità di giocare un ruolo di

guida nella scoperta di questi trattamenti. La mancanza d’incontro dei bisogni della salute mentale

attualmente esistenti può essere attribuita a diversi fattori, ma noi crediamo che quello che riveste il peso

maggiore è che la psicologia sta fallendo nel tentativo di svilupparsi come scienza applicata. Perché la

psicologia ha fallito?

Secondo noi la psicologia clinica non è andata incontro ai suoi doveri verso la salute pubblica perché,

proprio come campo è profondamente ambivalente circa il ruolo della scienza e della ricerca nel dettare il

corso ed i contenuti della sua stessa pratica. In questo senso, appare come la medicina al tempo in cui

coloro che la praticavano, lavoravano in una maniera principalmente pre-scientifica.

Noi crediamo che il conflitto e la debolezza attuale della psicologia possa essere compreso se lo si

guarda da una prospettiva marginale e più informata e se questi stessi conflitti sono esaminati alla luce di

quanto accaduto nella storia della medicina. Il passo dello sviluppo scientifico che ora caratterizza la

psicologia appare essere quello tipico di un campo che si assume la responsabilità per i problemi significativi

e le esigenze (difatti emergenze) attuali, ma che sono anche inadeguatamente basate sull’efficacia per

trovare un accordo su questi problemi.

Il confronto con la medicina non solo normalizza l’ambivalenza della psicologia in relazione al concetto

di scienza e ricerca, ma mira inoltre alla ricerca di una soluzione finale dei correnti conflitti sulla ricerca e

suggerisce meccanismi che possono aiutare a costruire le basi scientifiche della pratica e dell’applicabilità.

Medicina

Molte evidenze suggeriscono che oggi molti psicologi clinici, forse la maggior parte, sono

profondamente ambivalenti circa il ruolo della scienza come fonte di informazione della propria pratica

clinica. Per esempio, valutano le esperienze cliniche individuali sulle evidenze della ricerca (Groopman,

2007), tendono ad usare pratiche di assessment che hanno supporti psicometrici dubbi (Garb, Wood,

Lilienfeld, & Nezworski, 2005) e tendono a non utilizzare procedure per le quali sia presente la più forte

evidenza di efficacia (Barlow et al., 1999; Crow et al., 1999; Haas & Clopton, 2003; Hollon et al., 2002;

Motta, Little, & Tobin, 1993; Phillips & Brandon, 2004; Thomas & Jolley, 1998; T.C. Wade & Baker, 1977).

Così, la pratica corrente ed il modo di vedere degli psicologi clinici sono molto simili a quelli riscontrati nei

medici dei primi del 1900.

A questo punto dello sviluppo della sua traiettoria, la medicina si è mostrata in equilibrio tra un’impresa

intuitiva che dipende profondamente dall’esperienza personale e dal folclore clinico e una pratica fondata

sull’applicazione razionale di evidenze scientifiche. Infatti, per molto tempo la medicina è apparsa molto

simile alla psicologia clinica esistente al momento, che era animata da un vivace dibattito sull’esperienza e

resisteva all’idea di accettare la ricerca scientifica e la teoria come arbitro preminente della pratica

psicologica (riflettendo lo scisma incontrato nel conflitto tra empirismo e razionalismo nel primo secolo: vedi

per es. Porter, 1997). Ci sono altre similitudini tra psicologia clinica e medicina prescientifica. Come la

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psicologia clinica, per buona parte della sua evoluzione, la medicina ha voluto applicare le scoperte della

ricerca scientifica alla risoluzione dei problemi che i singoli clinici si trovavano davanti. Il clinico (che fosse un

barbiere, un chirurgo o un medico) si presentava come colui che aveva la conoscenza, le abilità e la

responsabilità di migliorare o trattare una moltitudine di problemi; il clinico inoltre non aveva nessuna

conoscenza specialistica o strumenti che avrebbero potuto effettivamente riguardarlo (vedi oltre gli

argomenti a sostegno della non specificità della psicoterapia). Similmente, in varie occasioni del passato, noi

psicologi clinici abbiamo presentato noi stessi come coloro che hanno conoscenze ed abilità a trattare

condizioni come la schizofrenia, il disturbo bipolare e l’autismo quando, infatti, non avevamo basi scientifiche

per buttarci nella mischia. Cos’altro rileva la storia della medicina della triste condizione della psicologia? Per

molto tempo della sua esistenza, l’istruzione medica consisteva in programmi gratuiti tenuti al di fuori

dell’università. Esistevano quindi tensioni tangibili tra coloro che credevano che le decisioni mediche

dovessero basarsi sulla scienza e quelli che valutavano attraverso il tradizionale empirismo (osservazione

individuale delle informazioni), la personale esperienza clinica e la tradizione. Questo dibattito riguardante

proprio le basi della pratica medica è durato per oltre 2000 anni.

Nelle sue prime incarnazioni, la medicina era vista come un mestiere o un’arte (vedi Numbers, in

stampa, per un’affascinante review del conflitto tra approcci scientifici e non scientifici alla medicina, di cui

parla anche questo scritto sotto). Per esempio, sia Aristotele che Ippocrate avevano etichettato la pratica

clinica come “techne” ossia un’arte. Comunque, la disputa sul ruolo della scienza era in corso fin dai tempi

dell’Impero Romano, con Plinio, che si era volto principalmente alla parte riguardante la storia naturale e

Galeno il cui punto di vista era simile a quello di un arciere, che traeva più vantaggio dalla pratica che dal

ragionamento (French, 1994; Talbot, 1978).

Nel dodicesimo secolo, lo stimato medico William di Malmesbury, battezzò la pratica non “scientia”

sulla base delle sue abilità. Al contrario, Taddeo Alderotti, un medico di Bologna molto stimato del

tredicesimo secolo, insistette che le proprie basi della medicina fossero teoricamente ispirate alla scienza;

senza istruzioni, la medicina non si sarebbe potuta distinguere da “l’usuale pratica che mettono in atto le

donne anziane” (Sirasi, 1977, p. 30).

Similmente il medico francese del quattordicesimo secolo Guy de Chauliac osservò: “Se i dottori non

hanno studiato geometria, astronomia, dialettica o qualunque altra buona disciplina, presto i lavoratori di

pelle, i carpentieri e i pellicciai chiuderanno i loro negozi e diventeranno dottori” (Bullough, 1966 citato in

Numbers, in stampa). Questo Punto-Contrappunto si è ripercosso in tempi più moderni. August Compte ha

rifiutato la proposizione che le decisioni cliniche dovrebbero basarsi su livelli empirici e probabilistici. Così

come recentemente, nel 1930, il famoso storico della scienza Henry Sigerist ha proclamato che la medicina

non era né una scienza applicata, né una branca della scienza (Sigerist, 1936). Così ripercorrendo la storia,

la medicina è stata accerchiata da un dibattito tra scienza o esperienza clinica ed intuizione che dovrebbe

guidare la pratica (Numbers, in stampa). Chi difende l’esperienza clinica spesso ha notato che la scienza

probabilistica non può essere applicata con successo, perché ogni persona è unica, il riscontro clinico è

troppo complesso per essere descritto in una formula e non esiste un’evidenza scientifica sufficiente.

Accettando che l’equilibrio attuale della medicina è una virtù, sembra istruttivo identificare quali eventi

hanno condotto all’attuale status. Una review storica ha rivelato che la proclamazione che la medicina

dovrebbe essere scientifica, non conta molto. All’opposto, queste proclamazioni hanno un impatto irrilevante,

malgrado la loro ripetizione negli anni.

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Inoltre, la dichiarazione personale di un soggetto circa la scientificità del proprio approccio alla

medicina non può avere un gran peso; definendo qualcosa come scientifico, non lo si rende

automaticamente tale. Infatti, la rispettabilità scientifica si è spesso nascosta dietro il termine di “guaritrice”,

così come Mary Baker Eddy, la fondatrice della Christian Science, ha ripetutamente ribadito che il suo

sistema di guarigione aveva una natura scientifica (Glover, 1875). Similmente, Palmer, che ha sostenuto “la

scienza della guarigione magnetica” che si fonda dall’inizio alla fine sulla chiropratica, ha proclamato “Ho

accertato queste verità, acquisito istruzioni, adesso irriconoscibili, riguardo le performance della funzione

nella salute e nella malattia. Ho sistematizzato e correlato questi principi costruiti dalla pratica. Facendo

questo io ho creato, portato alla luce, originato una scienza, che io ho chiamato chiropratica. Per questo, io

sono uno scienziato (Peterson & Wiese, 1995; citato in Numbers, in stampa). Così, attraverso l’evoluzione

della medicina scientifica, molti dottori o “guaritori” hanno supportato solo a parole la scienza ma hanno

fallito nel basarsi per il loro lavoro sulla scienza stessa, o hanno generato spiegazioni ad hoc riguardo al

perché le loro pratiche erano valutabili nonostante l’assenza di supporti scientifici.

Se non vi sono stati supporti e proclamazioni pubbliche, quale approccio più scientifico è stato affidato

alla medicina? Un elemento cruciale nell’evoluzione della medicina, certamente negli Stati Uniti, è stato

rappresentato dallo spostamento dell’istruzione medica da scuole private a quelle formalmente alloggiate

nelle università (Bullough, 1966). Fino agli inizi del 1900, la maggior parte dei medici che si erano formati

negli Stati Uniti erano stati istruiti in queste scuole private che enfatizzavano la pratica e la tradizione ed

ignoravano le basi scientifiche. Come un osservatore ha notato: “è vano aspettarsi la medicina come

scienza, che è largamente conosciuta e diffusa, quando non viene insegnata come scienza nelle scuole”

(Jackson, 1849, p.361). Non sorprende inoltre che i dottori formatisi in queste scuole private hanno

contribuito poco alla conoscenza scientifica ed hanno infine continuato la pratica del sanguinamento, delle

vesciche, delle purghe e del vomito (Numbers, in stampa), malgrado le evidenze non scientifiche di

efficacia. Cosa ha causato questa radicale trasformazione nell’educazione medica iniziata nei primi del 1900

– spostandosi da training a tutto tondo non empirici a quelli effettuati in scuole di medicina scientificamente

fondate e stabilitesi nelle università? Il cambiamento viene spesso attribuito ad un singolo evento: la

pubblicazione del Report Flexner nel 1910 (Flexner, 1910). Comunque, l’intera storia è molto complessa ed

illuminante. Prima del Report di Flexner, l’American Medical Association (AMA), in seguito

all’incoraggiamento dell’alto profilo dei medici accademici, ha lanciato una campagna per trasformare

l’educazione medica da un’istruzione di un’arte/mestiere in un addestramento formale in scienze applicate.

L’AMA proclamò 5 prominenti scienziati clinici al suo Consiglio di Educazione media e chiese di rivedere e

valutare l’educazione medica. Nel 1906, esistevano 162 scuole di medicina negli Stati Uniti; il Concilio le

esaminò tutte e trovò che solo 82 di esse erano accettabili. L’AMA scelse di non pubblicare questi risultati, e

decise al contrario di chiedere ad un’agenzia esterna, la Carnegie Foundation for the Advancement of

Teaching, di condurre un’indagine simile ed indipendente. Questa, diede risultati molto simili e terminò con la

pubblicazione dell’influente rapporto di Flexner.

Anche prima del Rapporto Flexner, comunque, la rotta dello stato medico, con l’AMA a supporto,

aveva iniziato a chiedere in modo sempre maggiore le licenze ed a richiedere documenti che potevano

testimoniare che i medici avevano affrontato un’istruzione adeguata nelle scienze di base. In più il concilio

dell’AMA iniziò a far diplomare coloro che avevano frequentato la scuola di medicina, su criteri chiari e sulla

base di risultati quantitativi: i punti di diploma sulle licenze degli esami di stato. Questo sistema ha ostacolato

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la maggior parte delle scuole private di cui abbiamo parlato e ne ha reso difficile la competizione contro le

università, compromettendone la sopravvivenza. Non solo i loro studenti prendevano punteggi più bassi

durante gli esami, i programmi non provvedevano poi all’apprendimento di risorse specifiche necessarie per

l’ottenimento della licenza che era un curriculum basato su criteri scientifici, una facoltà adeguata,

l’ammissione solo con standard molto elevati e delle facilitazioni essenziali (librerie, laboratori e risorse

mediche). Come ha suggerito Starr (1982), “ i proprietari dei college di medicina hanno affrontato la scelta di

Hobson” (p. 119) [locuzione colloquiale inglese, che indica una scelta apparentemente libera che in realtà è

obbligatoria]. Assecondare le nuove richieste di ammissione secondo standard più alti, che significavano un

numero inferiore di studenti paganti ed un aumento dei costi per l’addestramento, significava però anche

profitti più bassi. Comunque, considerando le richieste, significava venir stigmatizzati pubblicamente: questo

implicava un numero inferiore di professionisti e quindi anche minori guadagni. Alcuni proprietari di scuole

semplicemente uscirono dal mercato o si fusero con programmi basati su quelli universitari. Altri comunque,

tentarono di sopravvivere pretendendo di adeguarsi a questi alti standard. Come risultato, quando Flexner

prese visione dei programmi durante la sua ricerca, scoprì una moltitudine di travisamenti, come “librerie”

senza libri scientifici, “membri di facoltà” fantasmi che avevano speso la maggior parte del proprio tempo

fuori dal programma inseguendo la propria clinica privata, “laboratori” che annoveravano poco più di poche

provette e “standard di ammissione” che non tenevano conto degli studenti che erano in grado di pagare la

retta. La combinazione di alte richieste di licenza e il sistema di votazione del Concilio aveva condotto negli

ultimi anni ad una drammatica riduzione del numero di scuole di medicina, da 162 nel 1906 a 95 nel 1915.

Starr (1982) concluse che “erano stati i cambiamenti nelle realtà economiche, piuttosto che il rapporto di

Flexner, a sterminare molte scuole di medicina dopo il 1906”.

Ancora, la riforma non aveva superato la notte. Le scuole di medicina scadenti erano sopravvissute ed

i ciarlatani continuavano ad esercitare (naturalmente, la medicina non era completamente esente dai

problemi presenti anche oggi giorno). Negli anni venti e meglio fino al 1930, per esempio, Morris Fishbein,

editore del Journal of the American Medical Association, condusse un’accanita ed aggressiva campagna di

attacco sulla pratica medica infondata e sui professionisti fraudolenti. Accusò coloro che praticavano la

medicina senza scrupoli con licenze di stato, testimoniando lui stesso, esortando alla revoca delle licenze dei

ciarlatani, dei venditori di fumo e degli artisti della fandonia (es., vedi Brock, 2008), per una testimonianza

vivente della ricerca durata molti anni di Fishbein, di uno dei più coloriti ciarlatani di altissimo profilo, John R.

Brinckley.

La combinazione di tutti questi eventi ha contribuito alla drammatica riforma della medicina – una

riforma che ha promosso l’approccio scientifico nell’educazione e nella pratica clinica. Tutti gli studenti di

medicina dovevano ricevere specifici insegnamenti scientifici, non solo apprendere attraverso il praticare

interventi o scarse istruzioni di “scienze mediche”. Inoltre, la maggior parte degli insegnamenti avevano lo

scopo di venir esplicate all’interno di scuole di medicina universitarie che avevano alti standard per

l’ammissione ed adeguate risorse. Un caposaldo degli insegnamenti delle scuole di medicina universitarie

era un curriculum che comprendesse insegnamenti di biologia, chimica, fisiologia, anatomia e così via. Oggi

molti di questi insegnamenti sono presenti nei curriculum degli diplomandi prima che si iscrivano alla scuola

di medicina e sono considerati insegnamenti scientifici di base addizionali che continuano ad essere

insegnati anche nel primo anno di corso in medicina.

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Finalmente, un elemento critico nello sviluppo della medicina come impresa scientifica è stata la

dimostrazione dell’impressionane successo che erano stati largamente e chiaramente attribuiti agli studi

scientifici dei disturbi e dei loro trattamenti. L’approccio scientifico della medicina era stato dimostrato dalle

storie dei successi come quelle che avevano illustrato Virchow, Bernard, Fleury, Lister, Pasteur, Koch ed

altri. Sebbene le scoperte particolari fatte da questi pionieri (in relazione alla teoria dei batteri, alla penicillina,

all’inoculazione, ecc.) fossero molto significative, ancora di più lo era stata la difesa dell’approccio scientifico.

Queste scoperte erano state rivoluzionarie, non tanto perché avevano reso trattabile una significativa

proporzione dei disturbi, ma piuttosto, perché queste scoperte avevano cambiato la faccia della medicina,

illuminando la strada che portava al progresso.

La medicina, come ogni impresa umana, non è perfetta; occasionalmente, la noncuranza, l’errore

umano, la paura di affrontare cause legali, l’ignoranza ed i fattori di costo, influenzano negativamente le

decisioni mediche. I medici spesso praticano in una maniera che è inconsistente rispetto alle evidenze della

ricerca e spesso mancano nell’applicazione delle linee guida della pratica clinica (Hepner et al., 2007;

McKinlay, McLeod, Dowell, & Marshall, 2004; Spranger, Ries, Berge, Radford, & Victor, 2004). Spesso poi i

medici utilizzano farmaci off-label (che hanno diversa indicazione terapeutica o che non sono esplicitamente

indicati per un certo problema), e quando lo fanno non si rinvengono evidenze scientifiche che supportino

questa pratica (Radley, Finkelstein, & Stafford, 2006).

Comunque, vi sono importanti differenze tra i medici e gli psicologi clinici riguardo il supporto empirico

alla pratica clinica. Per esempio, quando i medici operano diversamente dalla medicina fondata su evidenze

o dalle raccomandazioni delle linee guida, spesso dipende dai fattori come il costo dei trattamenti, la

disponibilità dei trattamenti, la forte resistenza dei pazienti ai trattamenti raccomandati e senza dubbio al

modo di applicare quelle stesse linee guida (Farquhar, Kofa & Slutsky, 2002; Grol, 2001; Rello et al., 2002).

Il conflitto fondamentale con il valore o l’appropriatezza della pratica evidence-based costruita attraverso trial

controllati randomizzati (RCTs) tende a non essere un fattore rilevante. Infatti i medici vedono le linee guida

ed altre iniziative basate sulla medicina sperimentale come appropriate e coerenti con quella che poi sarà la

pratica clinica (Malacco et al., 2005; Shea, DePuy, Allen & Weinfurt, 2007). In una ricerca, solo il 3% dei

medici di famiglia non era d’accordo con i principi della pratica clinica basata sulle evidenze scientifiche o su

delle linee guida e ne manifestavano una certa resistenza (Wolfe, Sharp, & Wang, 2004). Riassumendo, i

medici vedono di buon occhio l’evidenza sperimentale e riconoscono che questa costituisce il principale

fondamento della pratica clinica (es., Farquhar et al., 2002; Schaafsma, Hulshof, van Dijk, & Verbeek, 2004).

Questo spiegherebbe perché vi è una forte aderenza dei medici alle pratiche ed alle raccomandazioni

evidence-based. In uno studio, circa l’85% dei pazienti visti in una clinica di medicina interna avevano

ricevuto cure evidence-based (Lucas et al., 2004; also Grol, 2001).

L’apertura dei medici all’evidenza scientifica può inoltre spiegare perché essi siano tanto sensibili alle

nuove ricerche o ai feedback che, in corso d’opera possano utilizzare per aggiustare la propria pratica

clinica. Questa tendenza può essere vista come un’attitudine a modificare la modalità pratica seguendo la

pubblicazione di nuovi dati (Bush et al., 2007) e le nuove scoperte offerte dai ricercatori nel campo della

salute (Asano, Toma, Stern, & McLeod, 2004). Suggerendo ai medici di condurre ricerche della letteratura

corrente prima di prendere una decisione, essi vengono guidati a cambiare i modelli utilizzati nella pratica

(Lucas et al., 2004). Certamente alcuni risultati di questa malleabilità dei medici può essere attribuita al fatto

che la pratica è sempre più monitorata (es., attraverso registrazioni mediche elettroniche), e questo

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determina un contingente feedback in relazione a quello che è stato fatto ed incentiva ad una maggior

partecipazione agli standard riconosciuti. Tuttavia, si rinviene che i medici avvalorino fortemente le evidenze

scientifiche circa la pratica e generalmente sono aperti a modificare il proprio modo di lavorare sulla base di

queste stesse esigenze.

Un modo per apprezzare questa evoluzione della medicina consiste nel comprendere che essa è

principalmente l’esito di una trasformazione da una pratica basata sulle credenziali del clinico ad una basata

sulle sue reali competenze. La pratica basata sulle credenziali che inizialmente caratterizzava la medicina è

attualmente ancora alla base dell’attuale pratica della psicologia clinica. Questo modello prevede che

quando uno studente si laurea, gli viene data una licenza di stato che lo abilita alla pratica e si assume che

egli sia automaticamente competente a a) diagnosticare i problemi dei pazienti accuratamente, b) decidere

quale sia il più appropriato ed efficace trattamento per questi disturbi e c) mettere in pratica questo

trattamento con efficacia. Sulla base dell’assunzione che “chi ha il titolo ha anche la competenza” i

professionisti in questo modello hanno una quasi completa autonomia; essenzialmente, sono liberi di fare

tutto ciò che ritengono sia necessario, non sono obbligati a riferire a nessuno o ad adeguarsi a particolari

procedure o standard clinici (fatta eccezione, forse, per l’obbligo di non avere relazioni sessuali con i

pazienti). Nel modello basato sulla competenza, al contrario, il solo accreditamento del diploma di laurea non

dà a chi esercita la libertà di operare senza obblighi; piuttosto, ci si aspetta che sappiano e seguano linee

guida basate sulla pratica fondata scientificamente, che siano stati istruiti specificatamente all’utilizzo di certe

procedure e che il loro operato venga monitorato per assicurate che aderiscano a determinati standard

clinici. In breve, il modello basato sulla competenza usa l’evidenza scientifica come continuo metro di

paragone per la valutazione della pratica clinica, mentre il modello fondato sul titolo di studio non lo fa.

La relazione ambivalente tra la Psicologia e la Scienza

Consideriamo la situazione dal punto di vista della persona che ha bisogno di un servizio di psicologia

clinica. Nella maggior parte dei casi, le persone non conoscono come si struttura il trattamento e che cosa

esso possa o meno migliorare; non conoscono quanto questo trattamento possa dare sollievo rispetto agli

effetti prodotti da un placebo o da un rituale credibile rispetto ad una reale terapia. Nella maggior parte dei

casi lo psicologo clinico medio non è neanche in grado di illuminare la persona perché egli stesso non

conosce tutte le risposte. In alcuni casi, l’ignoranza del clinico è dovuta alla mancanza d’informazione

(semplicemente non esistono dati sufficienti), ma certamente, in molti casi se non nella maggior parte di

esse, non si registra una motivazione sufficiente dello stesso psicologo ad andare a ricercare queste

informazioni.

Il tipico psicologo clinico non è inoltre probabilmente capace di dire al paziente (o a coloro che

prendono le decisioni per la sua cura, o al cliente) in che modo il trattamento che gli viene proposto vale in

termini di costi-benefici, rispetto ad altre cure possibili sempre basate su studi di efficacia (con costi definiti

sulla base sia del paziente che dei costi istituzionali). Infatti, la persona che richiede aiuto non può sapere se

il clinico utilizzerà per la stesura dell’assessment e del piano terapeutico dati basati sulla scienza o

comunque su altre basi di un certo spessore di evidenza. Si rinviene una considerevole evidenza che indica

che quasi tutti i clinici vedono la scienza o la ricerca come qualcosa che non ha questa grande rilevanza

sulla propria attività clinica e sulla presa di decisione (es., Elbogen, Mercado, Scalora, & Tomkins, 2002;

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Lucock, Hall, & Noble, 2006; Nunez, Poole, & Memon, 2003). Essi tenderebbero a privilegiare il proprio

intuito e l’uso informale ed inferenziale del problem solving, piuttosto che basarsi sui dati offerti dalla vigente

letteratura (es., Silver, 2001). Per esempio, negli ultimi 30, 40 anni, varie indagini hanno rilevato che i clinici

utilizzerebbero fattori esperienziali rispetto a quelli offerti dalla ricerca nel guidare il loro operato durante le

attività di assessment e presa di decisione ed inoltre, che i loro agiti sarebbero anche spesso in disaccordo

rispetto a quelli migliori, proposti dalla ricerca (Motta et al., 1993; Thomas & Jolley, 1998; T.C. Wade &

Baker, 1977). Similmente, la maggior parte degli psicologi dà un peso maggiore alla propria esperienza

personale che alla scienza nella presa di decisioni circa gli interventi da fare (es., Stewart & Chambless,

2007). Così, sebbene sia chiaro che le valutazioni cliniche fondate su impressioni personali siano soggette a

numerosi bias e siano palesemente inferiori alle strategie decisionali più sistematizzate, i clinici continuano

ad utilizzare le prime e non queste ultime (Garb, 1998). Il risultato è che le persone in cerca di un aiuto

psicologico da uno psicologo clinico non possono immaginare che il trattamento proposto dal professionista

sarà dedotto dai frutti di una disciplina inferenziale e deduttiva conosciuta come scienza. Riassumendo, gli

utenti della medicina, rispetto a quelli scienza psicologica applicata incontreranno sempre più spesso

professionisti che provengono da stadi di evoluzione scientifica diversa: chi usufruisce di trattamenti medici

sarà più probabilmente sottoposto a ricevere cure che derivano dai risultati più attuali e migliori in campo

scientifico.

La svalutazione dei clinici delle evidenze scientifiche disponibili, e la loro refrattarietà ad utilizzare le

nuove scoperte, è meglio nota come lo scisma tra scienziati e clinici ed è stata al centro di numerosi articoli

e libri nell’ultimo mezzo secolo (es., Cook, 1958; Kimble, 1984; Lilienfeld, Fowler, Lohr, & Lynn, 2005;

Lilienfeld, Lynn, & Lohr, 2003; Rice, 1997; Tavris, 2003). Gli psicologi clinici spesso praticano in una maniera

che si scontra con le più considerevoli evidenze scientifiche, o comunque senza un chiaro supporto offerto

dalla ricerca attuale (Faust & Ziskin, 1988; Hollon et al., 2002). Inoltre, i professionisti spesso dicono di non

essere interessati, perché considerano le evidenze scientifiche attuali come poco informative o irrilevanti per

le decisioni da prendere in ambito pratico (Palmiter, 2004; T.C. Wade & Baker, 1977).

È facile essere colpiti dalle tante questioni che hanno rappresentato il fulcro del dibattito tra i

professionisti della scienza. Questo dibattito si è giocato su diversi temi come, ad esempio, se le predizioni

dovrebbero essere intuitive (cliniche), anziché basarsi su formule statistiche (vedi Dawes, Faust, & Meehl,

1989; Holt, 1970, 1986), la validità del giudizio esperto del clinico e li suo specifico ruolo nella testimonianza

forense (Faust & Ziskin, 1988; Matarazzo, 1992) e l’uso di particolari test psicologici (es., il Draw-a-Person –

il disegno della figura umana - i primi utilizzi del test Rorschach; Silver, 2001). Durante il corso di questi

dibattiti negli anni, i clinici hanno ripetutamente fornito lo stesso tipo di argomentazione circa il perché il loro

modo di lavorare fosse valido rispetto al piccolo supporto offerto dalla ricerca: per esempio, la complessità

della faccenda in oggetto, la scienza non ha ancora raggiunto l’intuizione profonda dei clinici, ogni paziente o

problema da scoprire è unico, l’esperienza clinica è la fonte di informazione meglio valutabile e così via.

L’affascinante somiglianza delle argomentazioni attraverso gli anni, comunque, suggerisce che i temi

identificati rappresentano superficialmente dei conflitti invece fondamentali: nello specifico, gli psicologi clinici

lottano per giustificare che ciò che essi legittimamente conoscono non proviene dalla scienza o dalla ricerca.

Inoltre, questi argomenti ricordano in maniera inquietante i medici non scientifici che difendevano la pratica

della medicina come mestiere.

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Il più recente risultato che mette in luce l’ambivalenza dei clinici riguardo la scienza è la reazione di

molti clinici circa lo sforzo di identificare trattamenti supportati empiricamente (TSE). Abbiamo riesaminato il

dibattito circa l’EST perché riflette l’ultimo tentativo della psicologia di rinforzare le basi scientifiche della

psicologia clinica e mostra che lo scisma tra orientamento basato sulla scienza ed orientamento basato sulla

pratica degli psicologi è ancora vivo all’inizio di questo nuovo millennio. Questo risultato mostra inoltre come

siamo lontani dal costruire una psicologia clinica che possa rispondere ai bisogni attuali della salute mentale

e comportamentale in maniera ottimale.

TSE

I trattamenti supportati empiricamente sono interventi che hanno scelto di avere una sostanziale

evidenza dell’efficacia o in cui l’efficacia viene indicata, per esempio dalla loro esecuzione nei trial controllati

randomizzati.

Sebbene questi trattamenti sono stati scelti come supportati empiricamente dai gruppi come dalle task

force della divisione 12 dell’American Psychological Association (APA), esiste un considerevole dibattito

circa l’accuratezza ed il significato di alcune nomine (es., Wampold, 2001). Il dibattito sui trattamenti

empiricamente supportati, in termini davvero semplici, coinvolge, da una parte chi supporta questi trattamenti

ed asserisce che esistono sufficienti evidenze per identificare i trattamenti effettivi e che essi dovrebbero

venir designati come tali e promulgati; dall’altra parte abbiamo i critici che esprimono preoccupazione circa

questo sforzo e si oppongono ad esso. La maggior parte delle obiezioni di coloro che criticano le TSE sono

simili a quelle espresse nei precedenti dibattiti circa l’importanza della scienza sulla pratica clinica; cioè il

focus dello scontro tra il contesto della ricerca e quello dell’applicazione. Esempi di queste obiezioni sono

che a) i trial controllati randomizzati tendono ad utilizzare soggetti che non sono del tutto rappresentativi,

ossia si utilizzano criteri di inclusione/esclusione nel campione, che possono determinare la mancanza di

alcune caratteristiche che si trovano nei casi clinici (es. la comorbilità) e che possono avere effetti sui risultati

del trattamento per vie sconosciute; b) i trial controllati randomizzati tipicamente utilizzano trattamenti da

manuale e questo può produrre trattamenti che sono artificiali e non rappresentativi dell’attuale pratica

clinica; e c) i trial controllati randomizzati non si rivolgono alle questioni e ai problemi che più frequentemente

si incontrano nella pratica clinica. In generale critiche di questo tipo mettono l’accento su fatto che i trial

controllati randomizzati sono tipicamente condotti nel contesto di efficacia che è artificiale e non riflette gli

effetti del trattamento così come succederebbe in un contesto reale. Il messaggio sottostante a queste

critiche è che l’evidenza attuale delle ricerche è difettosa e largamente irrilevante per una sua applicazione

alla pratica clinica; quest’ultima non può venir guidata in maniera tanto rigida dalla scienza, perché le

ricerche disponibili sono inadeguate.

Altre importanti preoccupazioni ruotano intorno all’importanza di specifiche tecniche terapeutiche. I

critici dibattono sul fatto che molti benefici della terapia sono prodotti da fattore piuttosto che da specifiche

procedure; in questo senso i benefici sono generali o non specifici (Wampold, 2001) a causa di alcune

variabili, come le qualità del terapista, le caratteristiche del paziente e la natura della relazione medico-

paziente (es., Grencavage & Norcross, 1990; Norcross & Lambert, 2006). I critici chiedono: “perché

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designare o privilegiare tecniche specifiche quando ci sono poche evidenze che portino significativi

miglioramenti oltre questi effetti non specifici?”

La valutazione di queste preoccupazioni illustra alcuni dei problemi e delle sfide che attualmente sta

affrontando la psicologia clinica. Il nostro punto di vista è che i trial controllati randomizzati portano una

valida informazione circa gli effetti dei trattamenti anche quando essi sono applicati nei setting clinici del

mondo reale (vedi sotto). Difatti, dovrebbero avvenire alcuni cambiamenti nell’intero livello di valutazione del

successo dei trattamenti quando questi vengono tradotti in clinica applicata, ma generalmente non vi sono

differenze particolarmente allarmanti nei successi relativi (Fiore et al., 2008; Franklin & DeRubeis, 2006;

Warren & Thomas, 2001). Inoltre, vi è un’ampia evidenza che molti interventi psicologici producono effetti

che sono superiori a quelli prodotti da trattamenti alternativi come quelli offerti farmacologici.

Il dibattito sui trattamenti supportati empiricamente (TSE): oltre i confini della scienza

Tendiamo ad essere d’accordo con coloro che criticano i trattamenti supportati empiricamente circa il

fatto che ci sono molti casi in cui non abbiamo ancora un buon database d’informazioni e linee guida per la

presa di decisioni, che possa guidare i clinici e per effettuare interventi ottimali nelle condizioni di salute

mentale e fisica in cui quelli di stampo psicologico dovrebbero essere i più indicati. In altre parole, il dibattito

ha aiutato ad esporre le inadeguatezze nel fondarsi sull’evidenza dell’attuale pratica psicoterapeutica. Come

abbiamo accennato, ci sono certamente forti evidenze che particolari strategie terapeutiche sono altamente

efficaci (es., Franklin & Foa, 2002) e che i loro effetti benefici sono ben tradotti dalla teorizzazione scientifica

alla pratica del mondo reale (es., Franklin & DeRubeis, 2006). Comunque, le critiche ai trattamenti supportati

empiricamente sono corrette quando affermano che esistono delle lacune nei fondamenti empirici della

maggior parte delle operazioni che si fanno nel contesto applicativo (Norcross & Lambert, 2006).

Una ricerca di evidenze messa in luce durante questo dibattito ha dimostrato che: a) E’ corretto

affermare che il campo della psicologia necessita di tecniche terapeutiche in più che producano

conseguentemente degli effetti più specifici di quelli prodotti dagli interventi più generali basati solo sulla

relazione terapeutica o ad altri tipi di strategie terapeutiche generiche (es., Wampold, 2001; Wampold,

Ollendick, & King, 2006; Westen, Novotny, & Thompson-Brenner, 2004). In altre parole, in alcuni casi,

l’evidenza della relativa efficacia dei trattamenti supportati empiricamente, non è chiaramente inequivocabile;

b) Gli psicologi clinici si confrontano con alcuni disturbi clinici o tipi di problemi per cui la ricerca attuale non

ha sviluppato strategie collaudate; così il clinico o si affida nuovamente alla propria intuizione clinica e pensa

come affrontare queste sfide, o non fa niente (Reed, 2006; Westen et al., 2004); c) Le critiche circa il fatto

che fattori non specifici o generali come alcune caratteristiche del clinico e la natura della relazione medico-

paziente sono profondamente legate ai risultati, sono corrette, sebbene questi fattori probabilmente

influiscono per una piccola percentuale (Bourgeois, Sabourin, & Wright, 1990; Horvath & Symonds, 1991;

Martin, Garske, & Davis, 2000); d) Per alcuni disturbi, non abbiamo una conoscenza definitiva circa la

relazione tra trattamento e risultati (inclusi gli effetti non specifici) affinché si possa decidere quale sia il più

ottimale e conveniente tra gli interventi alternativi, come si possa migliorare la portata (dimensione della

popolazione) dei nostri interventi, e così via; e) Le critiche non sostengono che i trattamenti supportati

empiricamente siano inefficaci, ma piuttosto si chiedono se la portata della loro efficacia sia dovuta ad un

unico meccanismo o a particolari procedure. Comunque, il nostro punto di vista è che se un trattamento

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basato empiricamente funziona bene rispetto ad altri trattamenti concorrenti a pagamento (es., la

farmacoterapia) questo risultato incide sulla sanità pubblica ed ha un valore clinico. Se altri tipi di intervento

producono effetti simili, potrebbe essere importante comprendere come si possano ottenere questi effetti in

maniera affidabile, a basso prezzo e velocemente – in questo modo questi interventi possono venire anche

eletti come trattamenti supportati empiricamente. Essi potrebbero inoltre diventare competitivi per

l’assistenza nazionale a pagamento. Non ha senso mendicare interventi efficaci semplicemente perché

anche altri potrebbero funzionare.

I limiti della nostra conoscenza hanno delle profonde ripercussioni nell’ambito psicologico. Comunque,

nessuna delle limitazioni esposte può sfidare l’idea che i più grandi benefici offerti da un intervento

psicologico si manifesteranno se questo stesso intervento sarà basato sui migliori risultati scientifici attuali,

piuttosto che sull’intuizione o sulla supposizione. Inoltre, queste preoccupazioni non vendono a minor prezzo

il fatto che ci sono attualmente diversi interventi psicologici che sono fortemente supportati dalla ricerca e

che sono ancora sottoutilizzati. In altre parole, i clinici hanno molte opportunità di applicare interventi che

sono empiricamente supportati, ma molti scelgono di non farlo.

Alcuni professionisti trarrebbero sollievo dallo scoprire che gli effetti non specifici sono spesso correlati

con i risultati; sarebbero tentati di utilizzare quindi questi effetti per giustificare un approccio alla terapia

eclettico o non scientifico; un approccio basato su tecniche non scientifiche, ipotesi o meccanismi putativi. La

ricerca sugli effetti non specifici provvede un po’ a supportare l’attuale pratica psicologica. Attorno agli effetti

non specifici vi sono questioni legittime ed importanti risultati ma la risoluzione del dibattito non ha grandi

potenzialità relativamente al validare una pratica della psicologia clinica basata sulla scienza. In teoria, alcuni

aspetti degli effetti non specifici sono malleabili o comunque suscettibili di apprendimento: per esempio, i

comportamenti che contribuiscono all’alleanza terapeutica (la relazione terapeuta-paziente). Anche questi

piccoli sostegni promettono di rappresentare comunque speciali opportunità per la psicologia clinica.

Prima di innamorarsi troppo dei fattori non specifici o dell’alleanza terapeutica, è importante notare lo

stato così marginalmente scientifico di questi costrutti. Una valutazione della letteratura esistente riguardo

l’alleanza terapeutica lascia irrisolte molte domande fondamentali: a) se le relazioni osservate con i risultati

in studi non controllati rifletta un effetto causale sul risultato (Castonguay, Constantino, & Holtforth, 2006;

Crits-Christoph, Gibbons, & Hearon, 2006); b) se la migliore fonte di varianza in questi fattori rifletta in

maniera duratura le variabili della persona che non sono influenzate da addestramenti scientifici concentrati

o da training terapeutici (Hardy et al., 2001; Hilliard, Henry, & Strupp, 2000; Muran, Segal, Samstag, &

Crawford, 1994; Zuroff et al., 2000; although cf. Klein et al., 2003); c) se le abilità concomitanti possono

essere isolate e, se fosse così, quanto grandemente possono essere insegnate o effettivamente potenziate

attraverso la pratica cosicché siano divulgabili e convenienti in relazione ai trattamenti comportamentali brevi

(es., Andres-Hyman, Strauss, & Davidson, 2007; Blatt, Sanislow, Zuroff, & Pilkonis, 1996; Castonguay et al.,

2006; Crits-Christoph et al., 2006; Stein & Lambert, 1995; Yalom, 1980); e d) se un’istruzione intensiva

basata sulle conoscenze scientifiche, o anche una prolungata istruzione universitaria, è di aiuto o rilevante

nell’acquisizione di abilità o meno (Stein & Lambert, 1995). Infatti, l’evidenza riguardo l’alleanza terapeutica e

gli effetti non specifici è sufficientemente ineffabile da non basarsi su procedure che possono essere filtrate

in specifiche tecniche terapeutiche e così meritarsi lo status di trattamenti supportati empiricamente. Ad oggi

vi sono scarse basi su cui fondarsi per assumere che l’induzione di effetti non specifici costituirà uno

speciale ramo dell’istruzione scientifica per psicologi o in una delle basi centrali della pratica. In ogni caso

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potrebbe costituire le basi della pratica a basso prezzo, mantenuta da chi non ha bisogno di un’istruzione

intensa o di un insieme complesso di abilità.

È inoltre importante notare che i fattori non specifici sono centrali in ogni tipo di funzione professionale,

non solo nella psicoterapia e costituiscono ancora fortemente le basi sufficienti per gli interventi basati su

nozioni scientifiche. La relazione medico-paziente è molto importante per chi pratica la medicina, ma lo

status ed il valore specifico delle medicina non sono basati principalmente sull’abilità del medico nell’ascolto

empatico, nell’essere assertivo e così via (sebbene queste caratteristiche si riconoscano come importanti per

la relazione medico-paziente). Il ruolo della medicina e la sua statura sarebbero molto differenti se essa

fosse incentrata sulle modalità di trattare il paziente, sul come stare al suo capezzale, anziché sulle

procedure. Gli standard rigorosi usati per selezionare gli studenti di medicina e le sfide o una lunga

istruzione richiesta si basano sulla nozione che la complessità e le procedure basate su metodi scientifici

sono essenziali.

Estendere il dibattito attorno ai trattamenti supportati empiricamente a ciò che rende la terapia

efficace, rende la controversia più interessante e probabilmente anche più utile. Comunque il dibattito o la

sua soluzione indicano poche prospettive affinché si possa recuperare l’istituzione di una disciplina solo

pratica. Anche se coloro che credono nei trattamenti supportati empiricamente stanno diventando molti

nonostante i convincenti argomenti che già possiedono (es., Franklin & DeRubeis, 2006; Hollon, 2006; Sher,

2006), un grande numero di clinici continuerà a non essere recettivo, come si evince dall’osservazione della

loro resistenza all’evidenza scientifica e dal fatto che la maggior parte dei medici non utilizzi interventi che

attualmente sono supportati dalla ricerca (es., Barlow et al., 1999; Crow et al., 1999; Haas & Clopton, 2003;

Hollon et al., 2002; Phillips & Brandon, 2004). Questa aperta resistenza all’evidenza scientifica e la franca

conoscenza che una buona parte della pratica è ascientifica, non costituisce una buona base per chiedere

alla società di supportare la pratica della psicologia clinica, com’è attualmente (Nathan, 2000).

La nostra indagine sulla controversia circa i trattamenti supportati empiricamente suggerisce che: a)

per ammissione degli stessi medici, molto di ciò che fanno non si basa sull’evidenza scientifica; b) molti dei

principali sostenitori della psicoterapia dubitano che molte delle esistenti evidenze scientifiche siano valide o

rilevanti; c) sebbene esistano specifici interventi che hanno un supporto relativamente forte dalla ricerca,

raramente vengono utilizzati; e d) i fattori che molti professionisti puntano come nucleo che costituisce il

proprio armamentario terapeutico (i fattori non specifici) sono scarsamente compresi, non possono essere

insegnati e non richiedono un lungo addestramento basato su concezioni scientifiche o uno status altamente

privilegiato di chi li detiene.

Tutte queste cose succedono in un contesto di crescita dei bisogni sociali della salute mentale, disagi

senza precedenti in relazione alle risorse dell’assistenza sanitaria ed un crescente riconoscimento che le

decisioni sull’assistenza sanitaria devono basarsi sulle migliori ricerche disponibili e su evidenze

economiche.

ANALISI FINALI E RACCOMANDAZIONI

Nelle sezioni precedenti abbiamo descritto le sfide che ha affrontato il sistema assistenziale durante la

sua evoluzione negli Stati Uniti e considerato le loro implicazioni per un’assistenza sia mentale che

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comportamentale. Poi abbiamo delineato i criteri sempre più sfaccettati che disciplinano le decisioni e le

politiche all’interno di questo sistema in evoluzione.

Quando abbiamo applicato questi criteri ad una valutazione critica dei vari interventi psicosociali per

specifici problemi di salute mentale e comportamentale, abbiamo trovato un consistente supporto empirico

del valore di questi interventi. Infine, abbiamo descritto la crescente disparità tra i potenziali contributi

scientifici alla salute pubblica della psicologia clinica, come dimostrato in questi interventi supportati

scientificamente da un lato, e dall’altro lo stato di declino e di oscuramento delle prospettive dell’attuale

pratica professionale in psicologia clinica. Questa disparità sembra essere correlata con il disinteresse della

maggior parte degli psicologi clinici verso le prove scientifiche. In questa sezione conclusiva, esamineremo

le possibili strategie per migliorare lo status scientifico della psicologia clinica e ci concentreremo sull’unica

opzione che sembra promettente, sulla base delle nostre analisi delle testimonianze storiche e dello stato

attuale della psicologia clinica. Questa opzione, un nuovo sistema di accreditamento di Psicologia Clinica, è

destinata ad illustrare che tipo di percorso deve essere intrapreso per salvare la psicoterapia. Certamente

saranno necessarie allo stesso modo anche altre opzioni.

Analisi

Per molti aspetti, gli psicologi clinici praticano la professione più di quanto hanno fatto nel 1948,

quando il campo era appena nato ed i primi 29 programmi di formazione per il dottorato in psicologia clinica

erano accreditati dall’APA. Poco è cambiato in questi 60 anni nel modo in cui la psicologia clinica definisce il

suo dominio professionale, le sue attività, il suo focus d’indagine ed i confini. Anche se la scienza psicologica

ha fatto passi da gigante in questo periodo, questi progressi hanno avuto scarsa influenza sulla pratica

clinica contemporanea, in cui la maggior parte degli psicologi aderisce ad un mosaico eclettico di tecniche

scarsamente integrate. Come abbiamo già detto, gli scienziati clinici hanno sviluppato molti interventi

convenienti per la maggior parte dei problemi più pressanti nell’ambito della salute sia mentale che

comportamentale, ma la maggior parte dei pazienti non arriva a beneficiare dei frutti di questa scienza (es.,

Barlow et al., 1999; Becker, Zayfert, & Anderson, 2004; Hollon et al., 2002; Stewart, Makwarimba,

Barnfather, Letourneau e Neufeld, 2008). Inoltre, mentre i sistemi di assistenza sanitaria stanno cambiando

rapidamente e in modo sostanziale, molti psicologi clinici non sono in grado o non vogliono adeguarsi a tali

cambiamenti. In un momento in cui la scienza psicologica ha un potenziale senza precedenti per

promuovere la salute pubblica, l'inerzia costituisce non solo un'occasione persa per la psicologia, ma rende

anche un disservizio agli utenti. L'incapacità di tradurre in pratica la scienza ha marginalizzato la psicologia

clinica all'interno del sistema sanitario emergente e limitato l'accesso del pubblico agli interventi che danno

dei benefici.

La noncuranza degli psicologi clinici per la scienza dipende da diversi fattori. Esattamente come gli

psicologi, prima di loro i medici si erano assunti la responsabilità clinica che trascendeva la sola conoscenza

e l’acume. Psicologi ben intenzionati che si sono trovati di fronte alla domanda pubblica di elargire i propri

servizi, soprattutto dopo la seconda guerra mondiale, semplicemente hanno dovuto improvvisare, facendo

del loro meglio e ricorrendo a metodi prescientifici. Purtroppo, le pratiche prescientifiche emerse nel corso di

questi primi anni sono state gradualmente codificate ed inserite nei programmi della maggior parte dei corsi

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di formazione di dottorato ed utilizzate correntemente nella pratica di molte cliniche, diventando le solide

fondamenta dei ricercatori in psicologia.

Indipendentemente dalle ragioni, la pratica è rimasta in gran parte un mestiere e non una scienza. Una

recente indagine di 591 psicologi libero-professionisti (Stewart et al., 2008) ha rilevato che gli psicologi

continuano a fare affidamento più sulla loro esperienza clinica e su quella dei propri colleghi che sulla

letteratura scientifica nella scelta di strategie di trattamento. Inoltre, un numero allarmante di psicologi clinici

sono ignari dell’esistenza di approcci psicologici terapeutici convalidati scientificamente (Boisvert & Faust,

2006). In un sondaggio di psicologi clinici attualmente operanti, Addis e Krasnow (2000) hanno trovato che il

23% non aveva sentito parlare di manuali di trattamento ed il 38% di coloro che invece ne conosceva

l’esistenza non sapeva però chiaramente spiegare in cosa consistessero. In sintesi, ci troviamo ora in una

situazione in cui molti, se non la maggior parte degli psicologi clinici sembra sorprendentemente insensibile

alla scienza, incapace di approfittare della ricerca scientifica (Tavris, 2003) ed impreparata ad adattarsi ai

cambiamenti del sistema sanitario.

Ricerca delle soluzioni

Questa situazione è inaccettabile e richiede una riforma radicale. Come potrebbe cambiare la

psicologia clinica? Quali sono le opzioni strategiche per realizzare una riforma e che cosa ci insegna la storia

circa le possibilità di successo di queste diverse opzioni?

Un’opzione potrebbe essere quella di utilizzare un sistema di licenze statali per innalzare gli standard

tecnico-scientifici dei corsi di formazione e delle cliniche, come è successo per la medicina. Tuttavia la storia

suggerisce che queste certificazioni sono state ininfluenti con la medicina perché hanno influenzato la

formazione. Quello che può capitare utilizzando un sistema di licenze statali è che alcuni stati potrebbero

cercare di migliorare la qualità della psicologia clinica praticata, ma questo non sostituisce probabilmente un

approccio coordinato su terreno nazionale che avrebbe un’influenza diretta sugli stessi membri clinico -

scientifici accademici. Dal momento che stanno cambiando le richieste di autorizzazione potrebbe essere un

elemento importante che contribuisce alla soluzione finale, che probabilmente non può sostituire

direttamente il miglioramento della formazione in ambito clinico.

Un’altra opzione per riformare il campo dovrebbero essere quella di riorganizzare il quadro della

corrente pratica clinica degli psicologi. Sono stati offerti per molti anni programmi di educazione continua ed

ora vengono richiesti dai piani di licenza di statali. La storia ci insegna però che periodiche esortazioni,

conferenze ed informazioni sui progressi della ricerca sono probabilmente di per sé incapaci di modificare

l’attuale pratica clinica dei professionisti in modo significativo. La maggior parte degli psicologi dà un grande

peso alla propria esperienza clinica ed al proprio giudizio, rispetto alle argomentazioni logiche o alle prove

empiriche derivanti dalla ricerca controllata. Non è chiaro quale tipo di riorganizzazione potrebbe funzionare

e rendere gli individui più recettivi.

Non ci sono scorciatoie per gli scienziati di formazione clinica, tuttavia, questa riorganizzazione si

confronterebbe direttamente con una discreto numero di clinici che probabilmente non si mostrerebbe

ricettivo o comunque in grado di trarre un beneficio da questa formazione. Le prove schiaccianti della

refrattarietà dei professionisti che attualmente praticano (es., Addis & Krasnow, 2000; Stewart & Chambless,

2007) forniscono un forte argomento contro il focus rappresentato dalla riqualificazione (un recupero della

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“une generation perdue”, una generazione di medici perduta) e sostiene al contrario una revisione dei

programmi di formazione per il dottorato, concentrandosi sulla produzione di un nuovo quadro di scienziati

clinici, in psicologia, selezionati sulla base del loro interesse per i programmi di formazioni basati sulla

scienza e dell’attitudine intellettuale a comportarsi in questo modo.

Noi crediamo che una nuova scienza centrata sul sistema di accreditamento sia essenziale per

conseguire un tale cambiamento.

La necessità di una nuova Scienza – Il Sistema di Accreditamento Centrato

Riteniamo che questo campo necessiti di un nuovo sistema di accreditamento al fine di realizzare delle

riforme radicali. Quali prove abbiamo che il sistema attuale non funziona? Per esempio si può utilizzare la

revisione critica dell’attuale sistema di accreditamento e si possono valutare le conseguenze che ha. È infatti

importante notare che il sistema APA è attualmente un sistema di accreditamento generico, che va bene per

tutti, che si è evoluto ed che è sopravvissuto per oltre 60 anni (in modo soddisfacente) servendo un’ampia

varietà di gruppi, specializzazioni, modelli di formazione e prospettive teoriche. Quest’unico sistema è stato

sufficientemente ampio per coprire programmi di formazione per il dottorato in counseling clinico, la scuola e

varie combinazioni di specializzazioni. All’interno delle aree cliniche di consulenza, l’APA accredita circa 300

programmi di dottorato con filosofie ed obiettivi diversi e spesso contraddittori: ad esempio, programmi di

pratica, programmi di scienza clinica, programmi di scuola pratica. È importante notare come i programmi

scolastici professionali sono esplicitamente studiati per spostare l’attenzione posta sugli esperimenti

controllati o sui campi di ricerca disciplinati a livello del cliente (Cherry, Messenger, & Jacoby, 2000; R.L.

Peterson, Peterson, Abrams, & Stricker, 1997). Tutti i programmi accreditati ricevono la stessa

denominazione di accreditamento nell’ambito del sistema, nonostante le loro sostanziali differenze. Per

accogliere tale eterogeneità, questo sistema di accreditamento non può utilizzare criteri e norme che

favoriscono una formazione clinica scientifica.

Poiché i programmi di formazione approvati dall’APA hanno obiettivi molto divergenti, il sistema di

accreditamento non può valutare i programmi sulla base dei loro risultati in termini di formazione. Al

contrario, il sistema si concentra sulle variabili in ingresso facilmente quantificabili, come ad esempio la

distribuzione dei tipi di corsi. Tali norme e criteri di accreditamento si sono evoluti in checklist in ingresso che

i programmi devono soddisfare. Così, l'APA non ha adottato criteri di risultati esigenti che riflettano la facoltà

o la capacità di produrre o applicare la scienza da parte degli studenti; invece, i criteri APA riguardano le

funzioni del programma di base (numero di docenti, la distribuzione dei corsi ecc). Una conseguenza di

questa situazione è che l'APA è relativamente in grado di prendere una decisione negativa in materia di

accreditamento, così come il programma soddisfa i criteri di una checklist senza che vi sia un legame diretto

tra la clinica ed i risultati della ricerca. Infine, non vi è alcuna prova che l'APA stia tentando di ristabilire una

solida base scientifica per la formazione. Recentemente ha formulato un relazione, dal titolo "Evidence-

Based Practice in Psichology" (APA Presidential Task Force "Evidence-Based Practice, 2006), che in pratica

mette al pari le esperienze personali del medico e le preferenze del cliente, con prove scientifiche, in un

sorprendente connubio con la prospettiva prescientifica.

Sarebbe quasi impossibile riformare o aggiornare i criteri di APA a questo punto, perché la maggior

parte degli utenti dei programmi attualmente accreditati preferiscono lo status quo, obietterebbero per una

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maggiore enfasi sulla formazione scientifica e probabilmente non potrebbero soddisfare i nuovi standard se

fossero adottati. In effetti, il sistema di accreditamento dell'APA è inadempiente rispetto alla sua missione ed

al suo impegno di servire gli interessi di un’utenza che non solo è eterogenea, ma è anche sempre più

orientata verso un modello esperienziale della pratica clinica. Infatti, a differenza della AMA agli inizi del

1900, non vi è alcuna prova evidente che l'APA voglia rafforzare la base scientifica sia nell’ambito della

formazione, che in quello della pratica professionale.

L'analisi della natura del sistema di accreditamento APA suggerisce che ci sarebbe una forte evidenza

del fatto che questo sistema sta fallendo, osservando le stesse evidenze provenienti nella maggior parte

dalla banca dati dell'APA stessa. Nelle seguenti analisi ci concentriamo sul grado Psyd come un indice della

traiettoria della formazione in psicologia clinica. Si tratta di un indice grezzo, perché lo status del livello Psyd

non mappa la qualità della formazione con precisione; una piccola percentuale di programmi Psyd offre

programmi di formazione di alta qualità, basati sulla ricerca scientifica ed un numero considerevole di

programmi di dottorato probabilmente svendono a minor prezzo la formazione scientifica. Tuttavia, anche

questo indice di errore mostra un forte segnale della tendenza al peggioramento dello stato scientifico dei

laureati in psicologia clinica. Un’analisi dei dottorati clinici assegnati nel periodo 1988-2001 mostra un

minimo, se non nessun aumento della produzione di titoli, ma un aumento di quasi il 170% della produzione

del fattore Psyd (APA Research Office, 2005). L'aumento notevole della produzione Psyd può essere

ricondotto a molteplici fattori, come il rapido aumento del numero di scuole professionali che di solito fanno

aumentare gli Psyd ed il numero relativamente ristretto di docenti che utilizzano tali programmi per formare

un gran numero di studenti. Ci sono stati solo 4 i programmi Psyd accreditati negli anni 1970 e tutti sono stati

applicati in contesti universitari (McFall, 2006). Da allora, tuttavia, il numero di programmi Psyd è cresciuto

notevolmente: 14 si sono aggiunti nel 1980, 22 nel 1990 e 17 dal 2000 al 2005 (APA Office of Program

Consultation and Accreditation, 2005). La maggior parte di questi programmi sono elargiti gratuitamente

attraverso le scuole senza fini di lucro e non vengono ospitati all’interno delle università tradizionali. In

questo modo tutto l’ambito psicologico non sta progredendo ed anzi sta tornando ad un "pre-Flexner" status.

È altamente probabile che un motivo di profitto sia dovuto da una parte alla produzione crescente di PsyD e

dall’altra al numero relativamente esiguo di docenti che li utilizza per la formazione. I costi della formazione

sono senza dubbio ridotti, anche a causa della portata limitata degli scopi e degli obiettivi di formazione,

centrati poco o addirittura per nulla a fornire un’educazione basata sulla scienza, che integri i programmi

scientifici e quelli clinici o che offra una produzione diretta di dati scientifici (es., McFall, 2006).

Perché l'escalation di programmi Psyd è così importante? Uno dei motivi è che la loro stessa natura e

gli obiettivi che si pongono spesso sono antitetici rispetto alla formazione basata sulla ricerca scientifica.

Molti, per esempio, supportano modelli professionali che si basano troppo strettamente sull'esperienza del

clinico e sulla presa di decisioni intuitiva all’interno delle situazioni cliniche (es., Schon, 1983); ammettiamo

che questo è pur vero per alcuni programmi di dottorato. Il modello di formazione teorico-professionale, che

la maggior parte dei programmi Psyd sottoscrivono (cfr. R.L. Peterson & Trierweiler, 1999), insegna ai futuri

psicologi clinici ad attribuire maggiore importanza ad una forma di sapere “locale” a discapito di un sapere

costruito dalla scienza convenzionale, “come se quest’ultimo possa sì avere un proprio valore scientifico, ma

possa diventare fuorviante o inutile in una particolare contingenza (Stricker & Trierweiler, 1995, p. 997).

Inoltre, a causa del loro numero, i programmi Psyd e le loro lauree stanno dettando sempre più il volto e la

natura della psicologia clinica. Sebbene i programmi Psyd rappresentano circa il 20% degli esami clinici e

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dei programmi di counseling accreditati APA, producono oltre il 40% di tutti i laureati che entrano nel campo

sanitario. Pertanto, servono come indicatore per lo stato di psicologia clinica. Che cosa ci dicono sul nostro

campo?

In primo luogo, è importante notare che circa l'80% dei programmi Psyd sono accreditati dall’APA

(McFall, 2006). Pertanto, anche se nella grande maggioranza dei casi le loro caratteristiche ed i laureati

differiscono significativamente da quelli che escono dai programmi di dottorato, si sono guadagnati

l’approvazione dell’APA con accreditamenti del tutto indistinguibili da quelli previsti dai programmi di

dottorato. Senza soffermarsi sulla valutazione dei programmi Psyd, ma soltanto eseguendo un esame di

alcune caratteristiche di essi emerge un quadro inquietante. Una distillazione dei dati provenienti da fonti

diverse (McFall, 2006, Norcross, Castle, Sayette, & Mayne, 2004; D.R. Peterson, 2003; Yu et al., 1997)

rivela che in confronto con i programmi di dottorato di ricerca, i programmi Psyd sono molto meno selettivi ed

accettano una media del 41% dei richiedenti (50% nei programmi indipendenti, con alcuni programmi fino al

80%) rispetto al 11% dei dottorati universitari. Pertanto, i programmi Psyd si rivolgono in media a classi di 33

(48 nei programmi indipendenti) contro 9 dei programmi di dottorato. Alla luce di questi dati sulle presenze e

le dimensioni delle classi, non è sorprendente che il rapporto studenti/facoltà nei programmi Psyd sia meno

favorevole. In confronto agli studenti di dottorato, gli studenti Psyd sono nettamente inferiori nei punteggi

delle medie universitarie o nel Graduate Record Examination. Dopo la laurea, i loro punteggi per l'esame di

stato in Psicologia (l'esame di licenza) sono nettamente inferiori (Yu et al., 1997). Inoltre, alla luce degli

obiettivi di formazione dei programmi Psyd, essi non formano i propri studenti nella produzione di dati

scientifici e tendono a svalutare la scienza come mezzo di paragone fondamentale per la loro formazione in

ambito applicativo (DR Peterson, 2003).

L'ascesa dei programmi Psyd ed i dati che riguardano la loro qualità solleva varie questioni. La prima è

che, a causa delle norme di ammissione inferiori, gli studenti Psyd potrebbero non avere l'attitudine a riuscire

in un programma rigoroso, basato su una formazione più scientifica, anche se venisse loro offerto. Una

seconda questione è che, a causa della natura della formazione Psyd, questi studenti non si impegneranno

in alcun modo ad applicarsi nella scienza, perdendo quindi una grande opportunità per migliorare la salute

pubblica. Un'altra questione è che questi dati sostengono in maniera convincente che l'accreditamento APA

è inefficace: non farà mai granché per sollevare la qualità dei programmi di formazione clinica e certamente

non impedirà una scivolata in termini di qualità. Tale accreditamento non discrimina i programmi che sono

incentrati sulla scienza da quelli che non lo sono.

Per classificare i programmi di psicologia clnica, per confermare la loro sostanziale eterogeneità e per

vautare le conseguenze per la formaizone, è possibile utilizzare altri strumenti all’infuori dello status di Psyd.

Un programma Psyd potrebbe fornire una formazione forte nella pratica basata sulla scienza, ma sarà

senz’altro una rara eccezione. Per esempio, Cherry e colleghi (2000) hanno esaminato i risultati associati a

programmi di auto-programmazione tra i 134 programmi di formazione clinica approvati dall’APA, di cui il

20% erano programmi Psyd. Sono state trovate differenze sostanziali nell’impegno in attività di ricerca sia

per studenti e docenti in funzione della denominazione del programma. Circa il 52% degli studenti dei

programmi di scienza clinica sono stati coinvolti con una borsa di studio ed il 39% erano autori di articoli di

giornale. Per gli studenti dei programmi di scuola professionale, i borsisti e gli autori erano circa il 7%. Simili

grandi discrepanze sono emerse anche dall’analisi di altri fattori rilevanti come le pubblicazioni e l’elargizione

di borse di studio. Alcune differenze sostanziali sono state trovate anche tra scienza clinica e programmi

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professionali. Anche se alcune di queste differenze potrebbero essere dovute alla presenza di programmi

Psyd nello studio, i dati di Cherry et al. suggeriscono che programmi di dottorato universitario variano

notevolmente nella qualità della formazione scientifica offerta ai loro studenti. Così, il numero di programmi

Psyd con la loro progenie di studenti senza dubbio sottovaluta il numero di programmi esistenti

determinando un certo impatto sul campo e sulla salute della nazione.

È importante notare che la nostra preoccupazione principale non è il fatto che i programmi siano Psyd

finalizzati alla formazione di professionisti. Dopo tutto, i medici generalmente non sono preparati a essere

ricercatori, ma sono selezionati e addestrati in modo che possano esprimere e fare ricerche scientifiche

sofisticate sui propri interventi. I dati disponibili indicano che nei Psyd gli studenti (e anche alcuni studenti di

dottorato) non sono preparati con un analogo rispetto per, o competenza e voglia di usare la scienza.

In sintesi, come campo di studi non abbiamo utilizzato un accreditamento per richiedere ai nostri

programmi, ai nostri studenti e a noi stessi una buona formazione scientifica, e non l’abbiamo ottenuta.

Questa situazione pone la questione se più rigorosi standard di accreditamento e procedimenti di studio

potrebbero migliorare le basi scientifiche della pratica clinica.

La storia della medicina ha mostrato che un approccio verso la formazione radicalmente modificato ha

il potenziare di stabilire una pratica scientifica di base in un campo che si è impantanato in una palude

esperienziale ed intuitiva. Tuttavia, sia la storia della medicina che quella della psicologia clinica ci

insegnano che modesti cambiamenti nel settore della formazione non sono sufficienti per far progredire il

campo in modo significativo. Ad esempio, numerosi precedenti tentativi di riforma della formazione in

psicologia clinica non hanno poi portato a nulla. I tentativi di migliorare lo status scientifico della formazione

psicologica clinica, sia a Salt Lake City (Bickman, 1987) che alla conferenza Snowbird (Schilling & Packard,

2005) sull’analisi delle lauree in psicologia, non hanno avuto successo (es., DR Peterson, 2003). Infatti, i

cambiamenti derivanti dalla conferenza Snowbird hanno piuttosto eroso ancora un po’ la formazione clinica

basata sulla scienza. La storia suggerisce che la soluzione debba essere più rivoluzionaria, come lo è stato

a suo tempo nella medicina il rapporto Flexner.

Qualsiasi strategia efficace per promuovere la psicologia clinica come una scienza, non solo deve

drasticamente promuovere la formazione, ma deve anche offrire all’utente finale una chiara distinzione tra i

professionisti che si sono formati scientificamente da quelli che non l’hanno fatto. Come osservato in

precedenza, i pazienti, i futuri studenti, i politici, e tutti gli altri non possono prendere decisioni razionali di

assistenza sanitaria con il sistema attuale perché c'è poco controllo di qualità e praticamente nessuna

informativa in materia di attitudine, approccio, e formazione degli psicologi clinici di oggi. Per raggiungere

questo tipo di differenziazione, riteniamo che una nuova scienza centrata su di un sistema di accreditamento

rappresenti la strategia ottimale. Il sistema dovrebbe identificare i programmi di formazione di alta qualità ed

i suoi laureati, ma anche come una forza positiva per il miglioramento della qualità della formazione clinica

centrata sulla scienza.

Un nuovo sistema di accreditamento

Poiché le prospettive per la riforma dell’APA sembrano deboli, il momento sembra opportuno perché

altri gruppi professionali siano i pionieri di una formazione ed un sistema di accreditamento basati sulla

scienza. Entrambe le forze esterne ed interne spingono verso un cambiamento in questo momento.

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Indubbiamente, le forze più forti che spingono verso il cambiamento sono esterne: vale a dire, la realtà nuda

e cruda di economia di mercato, i costi crescenti delle cure sanitarie ed i conseguenti cambiamenti che si

verificano nel sistema sanitario, come descritto all'inizio di questa monografia.

Queste forze esterne si fondono poi con quelle interne al campo. La più influente di tutte queste forse

può essere ricondotta alla nascita, nel 1988, della Association for Psychological Science (APS, conosciuta

come l'American Psychological Society fino al 2006), un’organizzazione professionale intensa che offre

un'alternativa credibile all’APA (nel suo ventesimo anniversario, nel 2008, l’APS ha superato il traguardo di

20.000 membri).

Piuttosto che cercare di servire più circoscrizioni, l’APS si è impegnata a far progredire la scienza

psicologica. Sin dalla sua nascita, ha dato un sostegno forte ed efficace allo sviluppo della scienza

psicologica clinica.

Uno sviluppo fondamentale dell’APS è stata l'istituzione dell'Accademia di Scienza Psicologica Clinica

(APCS). Nel 1994 i rappresentanti di 24 dei più importanti programmi di formazioni orientati alla ricerca

hanno partecipato ad una conferenza sulla "Psychological Science in the 21st Century" [Scienza psicologica

nel 21 esimo secolo], sponsorizzati dal National Institute of Mental Health ed APS, presso l’Indiana

University. I partecipanti hanno condiviso le loro visioni del futuro della formazione nella scienza psicologica

clinica, nonché sui programmi di dottorato in psicologia clinica; hanno poi valutato le modalità per

promuovere l'applicazione e la formazione in Scienza psicologica clinica. La conferenza si è conclusa con la

nomina di un comitato direttivo che ha l'incarico di creare una nuova organizzazione di programmi di

formazione dedicati a far progredire la scienza clinica. Nel 1995 l’APCS è stato istituito ufficialmente ed ora

(maggio 2009) riconosce 62 programmi (52 di dottorato e 10 di stage) che costituiscono la base scientifica

primaria dei programmi di formazione in Nord America.

L'obiettivo generale dell’APCS è quello di riconoscere i programmi che offrono una formazione di alta

qualità. Criteri per la formazione del genere comprendono (a) standard elevati per gli studenti che richiedono

l’ammissione; (b) una facoltà di ricercatori compiuta e produttiva, come evidenziato dalle pubblicazioni di alta

qualità, sovvenzioni, e dai risultati di altre ricerche; (c) la prova oggettiva che gli studenti sono formati nella

scienza di base ed applicata ed in terapie supportate empiricamente, e (d) la prova che gli studenti siano

capaci ed intenzionati a produrre ricerche scientifiche sia durante che dopo la loro formazione universitaria.

Un altro segno distintivo di programmi APCS è l'elevato livello d’integrazione e di sinergia tra teoria e metodi

clinici da un lato, e teoria della scienza di base e dei metodi, dall'altro. L’accento posto su questo marchio

nasce dal principio secondo il quale la piena comprensione ed il trattamento dei problemi di salute clinici e

comportamentali richiede l'applicazione delle teorie e dei metodi di settori come la genetica

comportamentale e molecolare, la psicologia sociale, le neuroscienze cognitive, l'apprendimento della

ricerca, della farmacologia, la Psicologia dello Sviluppo e la biologia. La psicologia clinica non esiste sui

generis. La conseguenza ultima di tale integrazione è che i problemi psicologici e comportamentali saranno

sempre di più sottoposti ad un'analisi di ampio respiro scientifico, così come è accaduto a molti disturbi

medici dopo che è avvenuta l'integrazione tra scienza e medicina.

Tale integrazione sta già pagando imponenti dividendi: gli psicologi clinici stanno introducendo nuove

conoscenze sui diversi problemi di salute mentale e comportamentale. Questa integrazione ha portato a

nuove importanti intuizioni sulla base di una richiesta di genetica molecolare e comportamentale (Baker et

al., 2009; Conti et al., 2008; Swan et al., 2005), delle neuroscienze cognitive e di neuroimaging (Gloria et al.,

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2009; Schaefer, Putnam, Benca, e Davidson, 2006), dello sviluppo delle neuroscienze cognitive (Dalton et

al., 2005), della teoria dell'apprendimento (Mineka & Oehlberg, 2008), della psicofarmacologia e

psiconeuroimmunologia (Greeson et al., 2008), e via dicendo. Questa scienza integrativa sta portando a

nuovi interventi ed è promettente per i disturbi mentali come pure per problemi di salute pubblica

precedentemente considerati al di fuori del dominio della psicologia clinica: per esempio, per l'HIV / AIDS

(Antoni et al., 2006), l’Addiction (Hatsukami et al., 2005), ed disturbi del sonno (Bootzin & Stevens, 2005). Se

gli psicologi clinici in futuro comprenderanno ed useranno alcuni approcci e tecniche nelle loro ricerche e

nelle attività applicative, dovranno avere un background culturale scientifico per capire i contributi offerti dai

settori quali la genetica molecolare e le neuroscienze cognitive, ed inoltre potrebbe essere necessario

padroneggiare le tecnologie connesse, il che significa che le politiche di accreditamento devono essere di

durata sufficiente affinché avvenga una tale formazione e per sottolineare la sua importanza. Tentando di

imporre tempi di formazione uniformi, un gran numero di ore di pratica clinica e una sorta di ampi requisiti

arbitrari, il sistema di accreditamento dell’APA attualmente ostacola una formazione basata sulla scienza.

Diversi fattori rendono i tempi propizi per far largo ad una riforma della formazione di dottorato in

psicologia clinica. La riforma della medicina è stata inaugurata dalla convalida di una epistemologia

scientifica attraverso l'identificazione di molteplici trattamenti supportati sperimentalmente. Come dimostrato

in precedenza, numerosi interventi psicosociali efficaci sono adesso pronti per essere insegnati e diffusi.

Inoltre, l'integrazione senza precedenti della scienza clinica e di base inaugura oggi nuove strategie per la

comprensione ed il trattamento dei problemi di salute mentale e comportamentale. Il Paul Wellstone ed il

Pete Domenici Mental Health Parity and Addiction Equity Act del 2008 (Sottotitolo B dell’atto di

stabilizzazione dell’emergenza economica del 2008) indica che è sempre più importante per la psicologia

clinica svolgere un ruolo di guida nella scoperta e messa a disposizione di interventi efficaci e convenienti.

Inoltre, il sostegno della psicologia scientifica dell’APS offre ampio appoggio per un nuovo sistema di

accreditamento. Infine, il successo dell’APCS rende questa organizzazione un’ideale piattaforma su cui

montare un nuovo sistema di accreditamento che riconosca e promuova programmi scientifici di alta qualità

clinica.

Caratteristiche del Sistema

Un nuovo sistema di accreditamento dovrebbe accreditare solo i programmi migliori – quelli cioè che

sono evidentemente impegnati nel fare formazione secondo un modello scientifico, che hanno stabilito dei

track record di scienziati della psicologia clinica che hanno concluso la formazione con successo e che

soddisfano i criteri e gli standard più elevati – e poi operare una distinzione tra tali programmi e gli studenti

che ad essi hanno aderito, e gli altri. Gli scopi da perseguire in un futuro più immediato, attraverso questo

sistema di accreditamento, sarebbero creare e promuovere un nuovo “marchio” di formazione scientifica

clinica, garantirne al qualità, promuoverne il miglioramento e salvaguardarne l’integrità. In una prospettiva

più a lungo termine, invece, l’obiettivo del sistema sarebbe quello di promuovere una nuova generazione di

scienziati clinici integrati che lavorerebbero per riformare il sistema di cura della salute mentale, promuovere

la salute pubblica e diffondere un modello di formazione che metta i programmi di dottorato in psicologia

clinica nella condizione di fornire il meglio che il campo di studi ha da offrire al pubblico.

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Nel Dicembre 2007, il lancio ufficiale del PCSAS Sistema di Accreditamento Scientifico della Clinica

Psicologica (www.pcsas.org) ha rappresentato una risposta alla necessità che ci fosse un nuovo sistema di

accreditamento scientificamente fondato. Questo sistema, creato dalla APCS (Academy of Psychological

Clinical Science, n.d.t.), stabilisce e marca un nuovo genere di psicologia clinica, chiamata psicologia clinica

scientifica (o scienza della clinica psicologica). I criteri specifici utilizzati da questo sistema, che erano in

fase di sviluppo mentre questo lavoro veniva scritto, sono ora completi e pubblicati sul Sito Web della

PCSAS. Tali criteri servono ad accreditare quei programmi di formazione in psicologia clinica che forniscano

agli studenti le competenze e l’orientamento professionale necessari per produrre e applicare le conoscenze

scientifiche. L’approccio del PCSAS differisce da quello del sistema dell’APA. Mentre il sistema dell’APA

valuta soprattutto la conformità di un dato programma ad un elenco di variabili input legate solo

lontanamente, quando lo sono, a criteri scientifici, l’obiettivo principale del PCSAS è fornire prove della

qualità complessiva di un programma e della effettiva capacità di formare specializzati in grado di produrre e

applicare la psicologia clinica secondo un metodo scientifico.

I criteri di accreditamento del PCSAS si possono evincere da domande di questo tipo:

(a) Gli studenti sono sufficientemente preparati e qualificati per trarre vantaggio da una

formazione clinica scientificamente fondata? Cioè, gli studenti che intraprendono il

programma di formazione clinica hanno delle basi di scienze e matematica tali da

comprovare sia un interesse sia una vera e propria attitudine ad un training di tipo

scientifico? I curricula degli studenti mostrano un livello sufficientemente elevato di risultati

accademici tale da indicare che il processo di formazione ha buone probabilità di

concludersi con successo? Questo criterio può essere verificato attraverso un esame dei

corsi universitari fatti dagli studenti, delle loro medie, della qualità dei loro programmi

universitari, dei punteggi dei test etc.

(b) Il programma di facoltà è qualificato per formare psicologici clinici che siano a tutti gli

effetti degli scienziati? A questa domanda viene data una parziale risposta mediante la

valutazione della capacità della facoltà presa in esame di produrre scienza clinica. La

facoltà è riuscita a produrre, attraverso dei progetti di ricerca di alta qualità, delle

pubblicazioni su riviste di alto livello? E’ stata in grado di trovare un sostegno esterno alla

ricerca e di sviluppare, testare e implementare interventi supportati sperimentalmente?

(c) E, cosa più importante, esiste una prova consistente che chi studia e chi si specializza in

questi programmi sia capace di produrre e applicare in maniera efficace una psicologia

clinica scientifica? Per esempio, negli anni in cui frequentano il programma di formazione,

gli studenti sono attivamente coinvolti in programmi scientifici di alto livello? Mostrano di

saper utilizzare tecnologie e competenze scientifiche? Sono produttivi? La produttività può

essere valutata in termini di presentazioni ad incontri scientifici e pubblicazioni. Che tipo di

posizioni gli studenti vanno a ricoprire dopo la laurea e quanto sono capaci e produttivi nei

ruoli che rivestono? Se lavorano in ambiti applicativi, si avvalgono di metodi scientifici?

Hanno diffuso interventi scientificamente fondati? I dati legati a questo criterio includono

gli andamenti delle carriere professionali, le pubblicazioni, i riconoscimenti ottenuti e le

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attività rilevanti svolte nell’applicazione di strategie scientificamente supportate a favore

della salute mentale e comportamentale.

Un elemento cruciale del PCSAS è che i suoi criteri di accreditamento valutano quanto la parte pratica

del programma da accreditare si focalizzi su tecniche supportate sperimentalmente e sulle nozioni

scientifiche necessarie a sviluppare, valutare, implementare e diffondere queste tecniche. I criteri includono

anche la valutazione della produzione, dell’implementazione e della diffusione della scienza psicologica da

parte degli studenti laureati, intesa a produrre vantaggi per la salute pubblica. Se da un lato i criteri valutano

con attenzione se la scienza di base si traduca effettivamente in soluzioni per problemi applicativi, dall’altro

essi enfatizzano la necessità che queste soluzioni vadano al di là della soddisfazione degli standard di

efficacia tradizionali e siano orientate a questioni socio-politiche più ampie relative all’efficacia delle soluzioni

adottate e alla diffusione potenziale dell’intervento, ai costi ed al rapporto costo-efficacia nonchè alla

attendibilità scientifica.

Sono stati presi in esame anche altri criteri oltre a quelli appena elencati: le esperienze formative

promuovono una formazione scientifica clinica? C’è un numero sufficiente di membri di facoltà e di altre

risorse per formare gli studenti in maniera adeguata? La lunghezza e l’intensità del training sono sufficienti a

garantire che i laureati possano lavorare in maniera indipendente come scienziati della psicologia clinica? Il

PCSAS si fonda sul concetto secondo cui le caratteristiche di un dato programma di formazione che non

siano direttamente legate a risultati scientifici sono condizioni necessarie ma non sufficienti per

l’accreditamento e non possono essere valutate tramite una checklist omnicomprensiva e aspecifica.

Chiaramente la valutazione PCSAS dei programmi necessita di un’analisi dettagliata e non solo di un

tabulato dei punteggi su una lista di controllo. In questo senso, il sistema è simile al processo di valutazione

utilizzato per la revisione delle sovvenzioni federali presentato al National nstitutes of Health e dalla National

Science Foundation. Le revisioni fatte dal PCSAS hanno lo scopo di valutare se le caratteristiche di un

programma, in particolare dei suoi risultati, dimostrino in maniera convincente che gli studenti che si siano

formati secondo quel determinato programma abbiano svolto una formazione di alta qualità scientifica e

abbiano acquisito le conoscenze, le competenze e la serietà necessarie ad applicare e produrre scienza

clinica di alta qualità.

Meccanismi ed effetti di questo nuovo sistema di accreditamento

Perché un nuovo sistema di accreditamento migliorerebbe la formazione clinica, la salute mentale e

comportamentale? Ci aspettiamo che un’adozione diffusa di questo nuovo standard di formazione e di

accreditamento del sistema avrà i seguenti effetti positivi:

a) Fornirà un marchio, da lungo tempo atteso, che distinguerà per il pubblico e per gli altri soggetti

interessati quegli psicologi clinici che davvero si sono formati con successo in un programma di

formazione che ha dimostrato di essere rigoroso e scientificamente fondato. Allo stato attuale, il

settore della psicologia clinica racchiude all’interno di un’unica rubrica tutte le variazioni che

invece, in altri campi della cura della salute fisica, sono più distinte (ad esempio, l’omeopatia, la

medicina ufficiale, la naturopatia, la medicina chiropratica, la fitoterapia), ma non dispone del

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marchio che permetta al pubblico di comprendere le profonde differenze che esistono tra gli

operatori psicologici.

b) Dal momento che l’accreditamento PCSAS rappresenterà un marchio distintivo, esso servirà

come punto di riferimento a cui tendere; in altre parole, esso dovrebbe attirare tutti coloro che

aderiscono ad un modello clinico scientifico, aumentando così il numero di programmi di

formazione in psicologia clinica che offrono un training scientificamente centrato ed il numero dei

candidati a tali programmi. Non vi è dubbio che uno dei motivi per cui la riforma nel campo della

medicina si è dimostrata efficace è stata la stigmatizzazione di quei programmi che non riuscivano

a guadagnare l’imprimatur dell’AMA. Certo, l’esistenza di un nuovo sistema di accreditamento

scientificamente fondato porterebbe alcuni programmi di formazione più marginali a tentare di

ottenere credibilità scientifica. Esso inoltre fornirà a tutti i programmi di formazione una visione più

chiara delle caratteristiche e dei processi che promuovono la formazione scientifica e questo, a

sua volta, dovrebbe migliorare la qualità della scienza prodotta in programmi scientificamente

orientati.

c) L’accreditamento PCSAS dovrebbe promuovere un training sulla scienza clinica più efficace,

svincolando i programmi dalla necessità di soddisfare criteri di controllo antiquati, irrilevanti, che

richiedono l’impiego di risorse preziose e di molto tempo, ma che materialmente non

contribuiscono alla qualità della formazione.

d) Programmi di formazione migliore dovrebbero produrre ricercatori migliori, capaci di fare luce più

rapidamente sulla natura dei problemi mentali e comportamentali e favorire lo sviluppo e la

validazione di valutazioni ed interventi efficaci.

e) Dal momento che i programmi di formazione accreditati dal PCSAS saranno incentrati sulla

selezione, l’erogazione, la valutazione e la diffusione di interventi che abbiano un supporto

sperimentale, la disponibilità, l’applicazione e la diffusione dei trattamenti scientificamente validati

dovrebbe espandersi in modo significativo. In sintesi, la PCSAS rafforzerebbe la psicologia,

gioverebbe alla scienza e migliorerebbe la salute pubblica della nazione.

Un esempio positivo ed efficace è spesso la via più sicura per cambiare. Sarà sempre difficile

raggiungere un calibro elevato di formazione clinica scientifica, ma l’individuazione di programmi di qualità

dovrebbe fornire a tutti i programmi una tabella di marcia che indichi la strada da percorrere in direzione di

questo obiettivo. Il punto è che riportare pubblicamente gli esempi positivi produrrà inevitabilmente effetti

forti, perché collegherà visibilmente le caratteristiche di un programma all’evidenza del suo successo.

Inoltre, per completare e rendere pubblici i propri criteri di accreditamento, la PCSAS sta per adottare

alcune misure tra cui: (a) chiedere il riconoscimento da parte di un’organizzazione di accreditamento e

certificazione riconosciuta (come il Council for Higher Education Accreditation), (b) invitare i programmi di

formazione ad iscriversi per una revisione e per l’avvio di una prima analisi, (c) perseguire il consenso

all’accreditamento del PCSAS da enti come il Veterans Affairs e Licensing Boards statali, e (e) assicurare il

sostegno finanziario necessario per garantire la redditività futura del PCSAS. È probabile che i programmi

accreditati dal PCSAS manterranno il loro accreditamento APA, almeno fino a quando diventerà chiaro che

l’accreditamento PCSAS garantisce tutte le affordances cercate in un accreditamento.

Per promuovere una scientificità della psicologia clinica, sicuramente andrebbero compiuti altri

passaggi, parallelamente alla costituzione del PCSAS. Questi potrebbero includere l’istituzione di borse di

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studio per il training in scienze della clinica da parte del National Institute of Mental Health, del National

Institute on Drug Abuse, National Institute on Alcohol Abuse and Alcoholism o da parte di altre unità del

National Institutes of Health; l’adozione di azioni atte a promuovere una maggiore attenzione su questioni

scientifiche negli esami di stato e nelle esperienze di formazione continuative; ed il miglioramento della

formazione scientifica di base al college, nella scuola superiore, e nella scuola elementare. Indubbiamente,

nessun passaggio, preso singolarmente, sarebbe sufficiente a riformare il settore in maniera incisiva.

Le speranze del settore - le prospettive future di un’elevata qualità di assistenza sanitaria mentale e

comportamentale - sono riposte in una nuova generazione di psicologi formati come scienziati clinici

attraverso i migliori programmi di formazione in scienze psicologiche presenti negli Stati Uniti e in Canada.

Dal momento che questi nuovi tipi di formazione e di valutazione rappresentano una svolta radicale rispetto

alla formazione e alla valutazione tradizionali, è fondamentale che gli scienziati clinici formati nell’ambito di

questo nuovo sistema abbiano un marchio di identificazione che permetta ai datori di lavoro, ai pazienti, agli

studenti, ai responsabili politici e al grande pubblico di distinguerli dagli psicologi clinici formati nella maniera

tradizionale. E’ nostra convinzione che gli psicologi clinici scienziati addestrati da programmi accreditati dal

PCSAS diventeranno una nuova generazione di scienziati i cui sforzi porteranno a progressi straordinari

nella scienza psicologica e nell’applicazione di questa conoscenza per il miglioramento della salute pubblica,

garantendo finalmente che valutazioni valide ed interventi efficaci siano prontamente disponibili per chi ne ha

più bisogno.

Nota conclusiva

La riforma delle scienze mediche è scaturita dalla consapevolezza delle carenze presenti a livello

pratico e teorico e da un profondo senso di responsabilità professionale che spingeva a porre rimedio ad

esse:

“La verità della proposizione secondo cui nella nostra professione ci sono gravi carenze è,

in questo momento, a tal punto riconosciuta da tutti che non si rendono necessarie ulteriori

dimostrazioni. E’ evidente che per la realizzazione del grande scopo per cui questa società è

stata organizzata, ci si debba attendere poca o nessuna assistenza legale o altri tipi di assistenza

extra-professionale. Il potere si trova quasi esclusivamente nelle nostre mani. Le nostre menti

devono suggerire, i nostri giudizi portare a delle decisioni, le nostre stesse energie dirigere e

spingere verso il mezzo con cui l’obiettivo può essere raggiunto” (Stevens et al., 1848, p.241).

Il sistema di accreditamento PCSAS rappresenta un’opportunità per gli psicologi di assumersi la

responsabilità della loro professione e di riformarla per il bene pubblico. Il PCSAS non eliminerà i modelli di

formazione meno scientifici. Infatti, è importante che in un intervento di salute mentale e comportamentale

rimangano presenti le variazioni delle strategie di formazione, proprio come l’omeopatia e la chiropratica

hanno persistito al fianco della medicina moderna. L’obiettivo non è quello di riabilitare il vecchio sistema, ma

è quello di crearne un nuovo, come alternativa migliore che svolge una missione vitale e mirata.

Gli ultimi sviluppi indicano che se oggi non venisse intrapresa questa azione coraggiosa, l’attuale

situazione sarebbe destinata a peggiorare e gli psicologi di formazione scientifica costituirebbero un gruppo

sempre più ridotto tra tanti medici. Se le cose andassero in questo modo, il giudizio clinico personale e le

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credenze esperienziali andrebbero a sostituire la scienza e noi non saremmo più in grado di riconoscere le

insidie presenti in tale approccio. Coloro che credono nel valore della scienza come la via più sicura verso il

progresso e che contemporaneamente intravedono un grosso rischio nel continuare a fare affidamento su

valori, modelli di formazione e prassi prescientifiche dovrebbero dare il loro entusiastico sostegno al nuovo

sistema di accreditamento PCSAS e agli altri sforzi tesi alla riforma dei programmi di formazione. Oggi

abbiamo una opportunità rara e forse unica per riformare la psicologia clinica e per fornire un sostanziale

contributo alla salute pubblica della nazione.

APPENDICE

La Terapia Cognitiva e la Terapia Cognitivo-Comportamentale per la Depressione

Efficacia

La terapia cognitivo comportamentale per la depressione si è dimostrata efficace relativamente ad una

varietà di condizioni di controllo e terapie alternative in molteplici trial clinici (es., Butler, Chapman, Forman,

& Beck, 2006; Feldman, 2007; Gloaguen et al.,1998; Kuyken, Dalgleish, & Holden, 2007). L’efficacia a breve

termine della TCC è comparabile ai trattamenti con farmaci antidepressivi, anche in quei pazienti i cui

sintomi sono particolarmente severi (DeRubeis, Gelfand, Tang, & Simons, 1999; DeRubeis et al., 2005).

Comunque vi è una consistente evidenza, sulla base dei diversi trial effettuati, che gli effetti della terapia

cognitiva TC/TCC sono più duraturi nel tempo rispetto all’utilizzo degli anti depressivi; quando il trattamento

non avviene in maniera continua, i tassi di ricaduta nei pazienti che hanno condotto una TCC sono circa la

metà rispetto a quelli che hanno preso i farmaci (DeRubeis & Crits-Christoph, 1998; Gloaguen et al., 1998;

Hollon et al., 2005). Non è chiaro se la combinazione TC/TCC e farmaci porti dei vantaggi (Otto & Deveney,

2005), ma vi sono evidenze che la TC/TCC è efficace nei pazienti che non rispondono alla terapia

farmacologica (Rush et al., 2006; Shelton, 2006; cf. Nelson, 2006).

Efficacia e potenziale divulgazione

La ricerca suggerisce che la TCC può essere efficacemente utilizzata nei setting dell’assistenza

sanitaria e in altri setting reali con diversi gruppi di pazienti (Barrett et al., 2001; Revicki et al., 2005).

Supportando la fruibilità della divulgazione, la TCC può essere applicata via telefono (Mohr et al., 2007) ed il

tipico corso del trattamento nella depressione è breve, tra le 10 e le 20 sedute, con risultati che si iniziano a

vedere dall’inizio del trattamento (tra le 4 e le 6 settimane in tutto) (Tang & DeRubeis, 1999).

Rapporto costo-efficacia

Vi è evidenza che la TC/TCC è più conveniente dei farmaci antidepressivi, soprattutto a lungo termine

(Antonuccio et al., 1997; Revicki et al., 2005). Dal punto di vista del sistema assistenziale sanitario, la TCC è

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conveniente rispetto alle attuali risorse per l’intervento presenti nella comunità (Revicki et al., 2005). In un

periodo di 2 anni, i costi previsti per la fluoxetina e per il trattamento cognitivo comportamentale sono

approssimativamente il 33% in più rispetto alla sola TCC (Antonuccio et al., 1997). La combinazione di

TC/TCC con i farmaci sarebbe comunque più conveniente nel trattamento della depressione grave (Simon et

al., 2006). Anche se non sono state stabilite delle relazioni formali tra dosaggio e risposta per la TC/TCC,

grossi sforzi della ricerca suggeriscono che cicli che vanno dalle 10 alle 20 sedute producono risultati ottimali

(Feldman, 2007). Questa relativamente breve esposizione alla terapia, ed il fatto che può essere fornita da

terapisti senza dottorato, supporta la sua potenziale convenienza.

Meccanismo

Ci sono molte evidenze che i trattamenti di TC/TCC per la depressione possono mitigare la reattività

cognitiva da stati umorali negativi o dei sintomi depressivi e questi risultati non sembrano verificarsi con altri

approcci psicosociali o con la farmacoterapia (Beevers & Miller, 2005; Segal et al., 1999; Segal et al., 2006).

Riassumendo, le evidenze disponibili mostrano che la terapia cognitiva/cognitivo-comportamentale è

efficace, funziona ed è relativamente conveniente rispetto ad altri interventi sulla depressione. Inoltre,

l’utilizzo di queste tecniche è supportato dalla crescente evidenza che producano alcuni dei loro effetti

attraverso un unico meccanismo di azione. Sarebbero necessarie comunque altre ricerche per documentare

come la TC/TCC influisca a valle sui costi dell’assistenza sanitaria e sui costi dei datori di lavoro. Inoltre,

anche se la TC/TCC per la depressione può produrre risultati in diversi ambiti, compresi quelli attivati da altre

forme di terapia (Wampold, Minami, Baskin, & Callen Tierney, 2002), questo non riduce l’importanza del fatto

che questa terapia si sia mostrata efficace e relativamente conveniente rispetto alla maggior parte degli altri

interventi (es., la farmacoterapia) che competono per avere l’appoggio del sistema socio-assistenziale.

TCC per il Disturbo di Panico

Efficacia

La TCC per il disturbo di panico è stata dimostrata efficace in molti e ben controllati trial clinici (Mitte,

2005). In generale la ricerca mostra che la TCC per il disturbo di panico è molto più efficace del placebo e ha

risultati analoghi o superiori alla farmacoterapia (es., imipramina; Barlow, Gorman, Shear, & Woods, 2000;

anche cf. Otto et al., 2000). In più, le evidenze suggeriscono che la TCC fornisce molti più benefici rispetto

alla farmacoterapia (Craske et al., 2005). La TCC da sola potrebbe essere efficace come la combinazione di

TCC e farmaci (Barlow et al., 2000; Telch & Lucas, 1994) ed i pazienti con disturbo di panico che non

rispondono alla farmacoterapia potrebbero venir trattati con successo con la TCC (Otto, Pollack, Penava, &

Zucker, 1999; Pollack, Otto, Kaspi, Hammerness, & Rosenbaum, 1994). I guadagni del trattamento prodotti

dalla TCC sono piuttosto duraturi una volta che il trattamento è terminato. Per contro, gli interventi

farmacologici spesso richiedono un’applicazione continua affinché forniscano effetti persistenti (Craske et al.,

1991; Pollack & Otto, 1994).

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Efficacia e potenziale divulgazione

La TCC per il disturbo di panico si è dimostrata efficace in setting naturali con davvero molti tipi diversi

di pazienti (es., Addis et al., 2004; Barlow et al., 2007; Roy-Byrne et al., 2005; W.A. Wade et al., 1998). Per

esempio la TCC per il disturbo di panico si è dimostrata efficace rispetto alle cure usuali o alle terapie non

comportamentali con pazienti che si sono presentati nei centri di assistenza di base o in cliniche di

assistenza integrata (Addis et al., 2004; Roy-Byrne et al., 2004). In molte applicazioni reali, la TCC è efficace

anche quando viene condotta da terapeuti che non hanno conseguito la specializzazione, o educatori che

hanno soltanto una piccola esperienza e comunque non la principale in TCC e che hanno ricevuto solo un

modesto insegnamento di queste tecniche (es., Addis et al., 2004; Roy-Byrne et al., 2005) e questo ne

accresce il suo potenziale di divulgazione. La TCC per il disturbo di panico è davvero molto accettata anche

dai pazienti. Rispetto agli antidepressivi o ai farmaci ansiolitici, i pazienti mostrano inizialmente un simile o

più grande interesse nella TCC per il disturbo di panico ed un attrito sempre minore dopo che il trattamento è

iniziato (Otto et al., 2000).

Rapporto costo-efficacia

I costi a lungo termine ed i profili di convenienza della TCC per il disturbo di panico sono più favorevoli

rispetto alla farmacoterapia (McHugh et al., 2007; Otto et al., 2000).

Recenti ricerche hanno mostrato che la combinazione di TCC e farmaci, quando sono forniti nei centri di

assistenza di base, producono un miglioramento degli anni di vita trascorsi in perfetta salute ad un costo che

è comparabile a quello destinato ai comuni interventi di prevenzione come i trattamenti farmacologici per

l’ipertensione e l’ipercolesterolemia (Katon et al., 2006; also cf. Heuzenroeder et al., 2004).

Meccanismo

Recenti ricerche indicano che il miglioramento osservato nella risposta alla TCC è mediato da

cambiamenti all’interno delle cognizioni di paura (Hofmann et al., 2007). I dati indicano che la TCC (ma non

la terapia con Imipramina) riduce le cognizioni di paura e questo effetto è collegato direttamente a benefici

clinici, suggerendo che esista un meccanismo terapeutico specifico.

TCC per la Bulimia Nervosa

Efficacia

La TCC è stata notevolmente accreditata dalla ricerca come intervento efficace nella Bulimia nervosa

e che produce risultati superiori in relazione a diverse condizioni di controllo e a terapie alternative (Fairburn,

Marcus, & Wilson, 1993; Wilson & Fairburn, 2002). Una review sistematica di 47 studi suggerisce che, se nel

breve termine la TCC e la Fluoxetina hanno effetti simili, nel lungo termine solo la prima mantiene certi

risultati (Shapiro et al., 2007). Sulla base di un forte supporto di molti trial randomizzati fortemente controllati,

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le guide linea del NICE (2004) indicavano da 16 a 20 sedute di TCC per la bulimia nervosa come la miglior

raccomandazione terapeutica (con un livello A). Eì stata la prima volta che il NICE ha determinato che un

disturbo psichiatrico fosse affrontato principalmente con un intervento di tipo psicologico (Wilson et al.,

2007). Vi è una scarsa evidenza che applicare contemporaneamente anche la farmacoterapia od utilizzare

altri trattamenti, aumenti l’efficacia della TCC nella Bulimia Nervosa (Wilson et al., 2007).

Efficacia e potenziale divulgazione

Gli effetti della TCC nella Bulimia nervosa sembrano essere robusti quando il trattamento viene

effettuato in un setting naturalistico (Tuschen-Caffier, Pook, & Frank, 2001; Wilson et al., 2007). Il suo

potenziale di divulgazione è potenziato dal fatto che produce pochi effetti collaterali rispetto alla

farmacoterapia, richiede un numero relativamente modesto di sedute e non richiede che chi la somministra

sia un professionista con dottorato.

Rapporto costo-efficacia

C’è bisogno di molte ricerche che dimostrino che la TCC per la Bulimia Nervosa sia relativamente

conveniente rispetto ad altri interveti come alla terapia con la desipramina (Koran et al., 1995; J.E. Mitchell,

Peterson, & Agras, 1999; Schmidt et al., 2007). La convenienza di questo intervento può aumentare

considerevolmente con lo sviluppo di programmi di auto aiuto cognitivo-comportamentali che hanno mostrato

qualche primo favorevole risultato (Murray et al., 2007; Sysko & Walsh, 2007). Le linee guida del NICE

(2004) hanno visto che altri tipi di intervento psicosociale (come la terapia interpersonale) tipicamente

richiedono 8-12 mesi di trattamento per raggiungere risultati simili, suggerendo che la TCC è più

conveniente.

Meccanismo

Vi sono evidenze di un meccanismo che agisce sulla riduzione nella restrizione alimentare, con un

parallelo aumento del senso di auto efficacia attraverso il quale la TCC produce i suoi effetti terapeutici nella

Bulimia Nervosa (Wilson, Fairburn, Agras, Walsh, & Kraemer, 2002).

La TCC nel Disturbo Post Traumatico da Stress (PTSD)

Efficacia

Vi sono convincenti evidenze che il trattamento di esposizione prolungata, con o senza altri

componenti della TCC, costituisca un efficace trattamento psicosociale del PTSD e che la TCC che include

tecniche espositive sia efficace nella fase acuta del disturbo. Lavorando su pazienti traumatizzati

recentemente che hanno già esibito sintomi di stress acuto, Bryant, Sackville, Dang, Moulds, e Guthrie

(1999) hanno condotto 3 ben controllati studi che hanno mostrato che la TCC è superiore al counseling

supportivo in un follow-up a sei mesi, un tempo critico per lo sviluppo di PTSD cronico. Se dal 58% al 67%

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dei pazienti del gruppo di controllo ha poi sviluppato PTSD, solo dall’8% al 19% dei pazienti del gruppo

sperimentale si è qualificato per la stessa diagnosi 6 mesi dopo il trattamento. Sebbene gli studi di Foa e

colleghi (1995) non mostrino differenze ai follow-up dei due gruppi, la velocità di guarigione nella fase acuta

dei pazienti trattati con la TCC è più alta.

L’immediata reazione allo stress è diversa nel recupero naturale dove i sintomi del PTSD che durano

almeno da 3 mesi sono lontani da una remissione spontanea senza nessun tipo di trattamento.

Fortunatamente, vi sono evidenze a supporto del fatto che l’esposizione prolungata del PTSD cronico

è anche più forte rispetto agli interventi di supporto per i sintomi dello stress acuto (Foa, Cahill, et al., 2005;

Foa, Hembree, et al., 2005). Inoltre, la combinazione di trattamenti che utilizzano altri componenti cognitivo-

comportamentali (es., la ristrutturazione cognitiva delle credenze disfunzionali, lo stress inoculation training)

non sono più efficaci della condizione con la sola esposizione (Foa & Meadows, 1997).

Diversi trial controllati randomizzati hanno mostrato che dopo il trattamento di esposizione che si

svolge per 9-15 sedute, dal 40 % all’87% dei pazienti non ha più le caratteristiche criteriali per la diagnosi,

mentre solo il 5% dei pazienti che affronta altri tipi di trattamento, come gruppo di controllo ha perso i criteri

per la diagnosi di PTSD (es., Foa, Rothbaum, Riggs, & Murdock, 1991; Marks, Lovell, Noshirvani, Livanou, &

Thrasher, 1998; Paunovic & Ost, 2001; Resick, Nishith, Weaver, Astin, & Feuer, 2002). Simili risultati sono

emersi nei tassi riportati negli studi che hanno seguito i pazienti per un anno (es., Foa et al., 1999). Alla fine,

sebbene la TCC per il PTSD non sia stata comparata direttamente con la farmacoterapia, i dati suggeriscono

che produca effetti più duraturi. I trial di farmacoterapia per i sintomi acuti hanno fornito risultati misti, mentre

i trattamenti farmacologici efficaci per il PTSD cronico (SSRI come la paroxetina [Paxil]) vedono tassi di

ricaduta dal 25% al 50% rispetto al gruppo che ha assunto il placebo in studi a doppio cieco (Martenyi,

Brown, Zhang, Prakash, & Koke, 2002).

Efficacia e divulgazione

Gli effetti dei trattamenti espositivi del PTSD sono ritenuti molto robusti e ben applicabili nei setting

naturalistici (Foa, Hembree, et al., 2005). L’effettiva applicazione non richiede che il professionista che li

eroga abbia un livello di dottorato o comunque terapeuti particolarmente esperti in TCC. Questo trattamento

è stato utilizzato con successo in ambulatori di comunità degli Stati Uniti e di tutto il mondo. Comunque,

nonostante l’alto potenziale per la divulgazione e le chiare raccomandazioni per l’utilizzo di guide linea nella

pratica (Foa, Keane, & Friedman, 2000), meno del 30% dei terapeuti hanno avuto un’istruzione in tecniche di

esposizione e solo la metà di questi hanno utilizzato tecniche espositive durante la terapia (Becker et al.,

2004).

Quando abbiamo chiesto la ragione del non utilizzo di queste tecniche espositive, il 25% dei terapeuti

ha espresso una preferenza contro l’utilizzo di manuali di trattamento. Questa immagine si mostra in chiaro

contrasto con la popolarità del debriefing psicologico (es., Critical Incident Stress Debriefing; J.T. Mitchell,

1983), un intervento che, nonostante la prova che possa dare più danni che benefici, è ancora quello più

praticato negli interventi durante le crisi delle vittime di trauma (McNally, 2003).

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Rapporto costo-efficacia

Il trattamento espositivo nel PTSD rappresenta un chiaro esempio di come gli psicologi non hanno

provveduto alla presa di decisioni nell’assistenza sanitaria con l’evidenza necessaria a promuovere l’uso di

questo intervento in maniera più massiva. Una piccola evidenza sulla convenienza di questo approccio

esisterebbe; ancora la convenienza è supportata dall’evidenza della straordinaria efficacia del trattamento,

dai costi clinici e societari per il PTSD e dalla relativa persistenza del PTSD se non viene trattato. Con quello

che deriva dalla guerra, dagli attacchi terroristici, dai disastri naturali, la prevalenza di PTSD ed i suoi costi

potrebbero aumentare improvvisamente. Ad oggi, circa l’8% della popolazione soffre di PTSD (Centro

Nazionale del PTSD, 2006), ed alcune stime, dal 16% al 19% dei soldati attualmente in Iraq ed in Afganistan

hanno sviluppato PTSD cronico. I disturbi raramente si risolvono da soli, senza un trattamento. Per esempio,

nel periodo tra il 1999 ed il 2004, quando il numero dei Veterani del Vietnam, che percepivano un assegno

per la disabilità aumentò dell’80%, si è registrato un aumento del 149% delle pensioni d’invalidità (McNally,

2006). Le persone con PTSD perdono in media 3,6 giorni di lavoro al mese e l’88% dei costi dei posti lavoro

è attribuito ad una minor produttività mentre si è a lavoro (Kessler & Ustun, 2000, vedi anche Kessler et al.,

1999). Sebbene sia più semplice utilizzare dei farmaci SSRI che fare una TCC, e sebbene essi funzionino

meglio dei placebo, i loro effetti non sono così forti e persistenti nel tempo come la TCC (Martenyi et al.,

2002). In studi di confronto diretto, la TCC dà risultati migliori della farmacoterapia anche in altri disturbi

d’ansia (es., la fobia sociale, Clark et al., 2003).

Meccanismo

La terapia prevede di mandare in abituazione il paziente verso gli stimoli di paura mentre si modificano

le percezioni erronee sul pericolo e sulla propria capacità di fronteggiarlo (Cahill & Foa, in press; Foa &

Kozak, 1986). Infatti Foa e Raung (2004) trovarono che il trattamento diminuiva molte delle cognizioni

negative e che questi cambiamenti cognitivi predicevano la riduzione della gravità del PTSD: inoltre

un’organizzazione crescente della narrazione del trauma nel corso della terapia prediceva i risultati di essa

sui pazienti (Foa et al., 1995). Infine, tra le sessioni di abituazione agli stimoli di paura si prediceva la

riduzione in termini di sintomi del PTSD (es., Kozak et al., 1998; van Minnen & Hagenaars, 2002).

Terapia comportamentale di Coppia per l’alcolismo e l’abuso di sostanze

La terapia comportamentale di coppia (O'Farrell & Fals-Stewart, 2006) per il trattamento dell’alcolismo

e dell’abuso di sostanze è un approccio basato sull’assunzione che a) i partner intimi possono compensare

l’astinenza e b) la riduzione dei problemi nella relazione abbassano il rischio di ricaduta. Nella terapia

comportamentale di coppia, il terapeuta lavora con entrambe le persone, quella che abusa delle sostanze ed

il suo partner per costruire una relazione che si manifesti come supporto durante l’astinenza. I componenti

del programma comprendono un contratto di guarigione o sobrietà tra i partner ed il terapeuta; le attività ed i

compiti sono studiati per incrementare i sentimenti positivi, le attività condivise e la comunicazione

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costruttiva; vi sono poi programmi di prevenzione della ricaduta. I partners generalmente si sottopongono a

sedute di 12-20 ore per un periodo di 5-6 mesi.

Efficacia

Molti trial controllati randomizzati (Fals-Stewart, Birchler, & O'Farrell, 1996; Fals-Stewart et al., 2000)

hanno rilevato che i clienti maschi che si sottopongono alla terapia comportamentale di coppia hanno

miglioramenti significativamente maggiori rispetto a coloro che si sottopongono ad una terapia individuale

utilizzati come gruppi di controllo per la misurazione dell’alcolismo e dell’abuso di sostanze. I clienti che

utilizzavano oppioidi avevano maggiori campioni di urine puliti e riportavano, attraverso un automonitoraggio,

un numero maggiore di giorni di astinenza da alcol e droga nel corso di un anno di trattamento (Fals-Stewart

& O'Farrell, 2003). Tra i clienti trattati con una terapia comportamentale per il mantenimento del metadone,

venivano ottenuti risultati simili alla fine del trattamento in particolare per coloro che abusavano di cocaina e

narcotici, così come mostrato dalle analisi delle urine e dai punteggi all’Addiction Severity Index (Fals-

Stewart, O'Farrell, & Birchler, 2001). Tra le donne alcoliste, le partecipanti al trattamento comportamentale di

coppia hanno riportato un numero minore di giorni in cui bevevano ed un numero inferiore di conseguenze

derivanti dall’abuso di alcol, in follow-up ad un anno, rispetto a coloro che hanno ricevuto un trattamento

alternativo (Fals-Stewart, Birchler, & Kelley, 2006; Winters, Fals-Stewart, O'Farrell, Birchler, & Kelley, 2002).

Efficacia e divulgazione

La ricerca suggerisce che la terapia comportamentale di coppia possa essere applicata con efficacia

nei SerT (metadhone clinics) e nelle comunità dove si effettuano programmi di trattamento (Fals-Stewart et

al., 2001) e con diversi tipi di gruppi di pazienti come le coppie con problemi di violenza domestica (Fals-

Stewart, Kashdan, O'Farrell, & Birchler, 2002; O'Farrell et al., 2004). Manuali dettagliati e manuali operativi

sono disponibili su siti web facili da usare. Sono disponibili corsi on-line di 1-2 giorni

(http://www.irata.org/onlineEd/) e dal vivo, con una supervisione clinica (fino a 24 ore) a prezzi ragionevoli

per coloro che partecipano al corso di 2 giorni. Il format session-by-session dà l’opportunità di avere un

feedback dettagliato dell’aderenza e competenza del terapeuta. Sono inoltre disponibili protocolli che

supportano la fedeltà dell’implementazione.

Rapporto costo-efficacia

Nel 1997, Fals-Stewart, O'Farrell, and Birchler (Fals-Stewart et al., 1997) hanno scoperto che sebbene

i costi per mettere in atto la terapia comportamentale di coppia fossero equivalenti ad altri trattamenti

individuali, la riduzione media in totale dall’inizio della diagnosi ad 1 anno successivo, per il follow-up era

superiore (6.000$ contro 1904$). Più recentemente Fals-Stewart et al. (2005) hanno scoperto che una

versione più breve della terapia comportamentale di coppia era egualmente efficace ed aveva costi più ridotti

rispetto alla terapia individuale.

Meccanismo

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Sebbene non vi siano analisi che medino i risultati di diverse terapie a confronto, vi è un’evidenza che

al confronto con altri trattamenti, la terapia comportamentale di coppia riduce gli episodi di violenza

domestica e potenzia la qualità della relazione di coppia (Fals-Stewart et al., 1996); inoltre le coppie che

riportano minori violenze verbali ed aggressioni fisiche ed un aumento nella qualità relazionale, sono più

capaci di reggere l’astinenza (Fals-Stewart et al., 1996; Fals-Stewart et al., 2002). In più, gli uomini

dipendenti da oppioidi che hanno partecipato ai counseling comportamentali familiari, mostravano una

compliance maggiore anche in regime farmacologico (naltrexone) rispetto a coloro che hanno affrontato il

trattamento individuale (Fals-Stewart & O'Farrell, 2003).

Riassumendo, le evidenze disponibili mostrano che la terapia comportamentale di coppia è efficace,

funziona ed è conveniente rispetto ad altri tipi di interventi sull’alcolismo e l’abuso di droga.

Altri interventi

Certamente gli altri interventi psicosociali accumulano analoghi supporti sperimentali che provvedono

a rinforzare gli affari ed a finanziare casi clinici per una più ampia applicazione.

Per esempio, l’esposizione con prevenzione della risposta e la terapia cognitiva per il disturbo

ossessivo compulsivo (da sole o in combinazione) producono benefici clinici importanti in una grande

percentuale dei pazienti con i quali vengono utilizzate (Abramowitz, 1996; Foa & Kozak, 1996; Franklin &

Foa, 2007).

Questi approcci, appaiono essere simili in efficacia ai farmaci (es., fluvoxamina), sono superiori a molte

condizioni di controllo, (Lindsay, Crino, & Andrews, 1997; McLean et al., 2001; van Balkom et al., 1998),

paiono potenziare l’efficacia farmacologica e curano i pazienti refrattari all’utilizzo dei farmaci (O'Connor,

Todorov, Robillard, Borgeat, & Brault, 1999; Tundo, Salvati, Busto, Di Spigno, & Falcini, 2007). Esiste poi

una forte evidenza che questi trattamenti sono altamente efficace nel contesto naturalistico con pazienti che

hanno un’ampia varietà di condizioni di comorbilità (Franklin, Abramowitz, Kozak, Levitt, & Foa, 2000;

Rothbaum, 2000; Warren & Thomas, 2001). È stato promettente che i primi risultati della ricerca siano stati

riportati sui metodi affinché se ne promuovesse la divulgazione (es., Tumur, Kaltenhaler, Ferriter, Beverley,

& Parry, 2007), la relazione dosaggio/risposta (Abramowitz, Foa, & Franklin, 2003; Franklin et al., 2000), la

convenienza ed il rapporto costi/benefici (Diefenbach, Abramowitz, Norberg, & Tolin, 2007).

Altri tipi di intervento, come l’attivazione comportamentale, può inoltre essere indagata sotto la stessa

luce. Ci sono diverse evidenze che questo intervento possa essere efficace quanto la terapia cognitiva nel

trattamento della depressione e caratteristiche dell’attivazione comportamentale (facile da dimostrare) lo

rendono ideale per la divulgazione (Dimidjian et al., 2006; Jacobson et al., 1996).

L’evidenza ha mostrato che specifici interventi psicologici possono essere altamente efficaci anche nel

caso di importanti stati psicotici. Per esempio i dati presi da una dozzina di trial controllati randomizzati,

supportano consistentemente e fortemente l’efficacia della terapia familiare per la schizofrenia (Baucom,

Shoham, Mueser, Daiuto, & Stickle, 1998; Dixon & Lehman, 1995; Goldstein & Miklowitz, 1995; Miklowitz,

Goldstein, & Nuechterlein, 1995). In aggiunta alla farmacoterapia, i trattamenti familiari basati su principi di

terapia comportamentale (es., Faloon et al., 1984) e sulla terapia familiare sistemica (Hogarty et al., 1991)

permette un tasso di riospedalizzazione medio del 27% (in un range che va dal 10% al 32%), mentre il tasso

per la condizione con la farmacoterapia da sola è del 64% (40%-83%; Bauncom et al., 1998). Inoltre, la

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superiorità degli interventi centrati sulla famiglia si dimostra nel periodo di follow-up a due anni (Tarrier et al.,

1989) ed è molto forte quando i trattamenti sono stati condotti in modo più economico, con gruppi di familiari

(McFarlane et al., 1995). Al contrario, altri tipi di terapia familiare hanno registrato risultati meno

impressionanti (Kottgen, Sonnichsen, Mollenhauer, & Jurth, 1984). Data la ricchezza dell’evidenza a

supporto della terapia familiare per la schizofrenia, le linee guida del trattamento raccomandano che il

trattamento familiare sia previsto per tutti i pazienti con schizofrenia che sono risultati in contatto con i propri

familiari (es. Lehman & Steinwachs, 1998).

I metodi della terapia familiare sono costosi e richiedono un trattamento abbastanza lungo.

Comunque, il costo di una psicosi grave sono ben più alti ed aumentano la convenienza del trattamento

familiare in relazione ad altri interventi psicosociali per la schizofrenia (Penn & Mueser, 1996). Infatti, due dei

trial controllati randomizzati riportati sopra (Faloon et al., 1984; Tarrier et al., 1989) includono analisi sulla

convenienza dei trattamenti ed hanno rilevato che i trattamenti familiari, rispetto ad altri approcci psicosociali

sono risultati inferiori di costi in totale, principalmente come risultato della riduzione dei giorni di assistenza in

degenza. Il confronto della convenienza tra i diversi approcci ha un range di risparmio per paziente che va

dal 17% (Cardin et al., 1986) al 27% (Tarrier et al., 1989), con una maggiore convenienza (ultima

valutazione) nei pazienti che hanno famiglie con un funzionamento maggiormente compromesso.

Successivamente al successo degli interventi sulla famiglia per la schizofrenia, Miklowitz e Goldstein

(1990) hanno sviluppato un trattamento focalizzato sulla famiglia (FFT) da svolgere assieme alla

farmacoterapia nei pazienti che hanno avuto recentemente un Episodio Bipolare. Oltre all’iniziale trattamento

focalizzato sulla famiglia, per il disturbo bipolare, (Clarkin, Carpenter, Hull, Wilner, & Glick, 1998; Clarkin et

al., 1990),

E’ stato mostrato un più recente trial controllato randomizzato che ha dimostrato che la FFT ha

superato, in termini di resa, un breve controllo psicoeducazionale, precedendo di 5 mesi in più la remissione

dei sintomi, valutati in un periodo di follow-up a due anni (Miklowitz, George, Richards, Simoneau, &

Suddath, 2003). Un altro studio condotto da Rea et al. (2003) ha messo a confronto la FFT con la terapia

individuale, amministrata similmente per tempi e frequenza, rilevando differenze drammatiche nei tassi di

riospedalizzazione tra i due gruppi: 12% con la FFT e 60% nel gruppo di controllo nel secondo anno di

follow-up. Sebbene la FFT abbia costi superiori nel breve termine (21 sedute in circa 9 mesi) la differenza

del 50% nei tassi di riospedalizzazione ed un carico ridotto, ha un impatto economico più conveniente sui

pazienti e sui loro caregiver nel lungo termine (Miklowitz & Johnson, 2006; Wolff et al., 2006). Infine, uno

studio randomizzato di efficacia ha dimostrato che la FFT “può venir efficacemente esportata nei setting

delle comunità dove i professionisti hanno un’esposizione precedente minima agli interventi basati sull’uso di

manuali” (Miklowitz, 2007, p. 195).

Altri dati a supporto della FFT sono stati generati dallo studio “Systematic Treatment Enhancement

Program” (Miklowitz et al., 2007) condotto in 15 centri di trattamento statunitensi, dove un totale di 293

pazienti con disturbo bipolare in fase depressiva acuta erano stati assegnati a 3 gruppi attivi di trattamento

(incluso la FFT) o ad un gruppo di controllo di assistenza minima. Dopo un anno, durante i follow-up si è

scoperto che il tasso di remissione dei pazienti che avevano affrontato la FFT è stato del 77% (rispetto al

52% di quelli nelle condizioni assistenziali minime) e tale remissione era avvenuta precocemente in tutte e

tre le condizioni di trattamento, risparmiando una media di 110 giorni di forti sintomi depressivi.

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Nota 1: molti di questi trattamenti sono comportamentali o cognitivo comportamentali, ciò che molti

trattamenti fanno, infatti, è garantire un forte supporto in termini di convenienza, facilità di divulgazione e così

via. Queste ricerche potrebbero essere il risultato della loro natura (es., è facile insegnare e standardizzare

queste tecniche, colpiscono più efficientemente i meccanismi di cambiamento, sono più economiche da

implementare). O, potrebbero dipendere da un supporto maggiore che offrono rispetto ad altri tipi

d’intervento su criteri ben definiti a causa della loro facilità nella ricerca o perché i ricercatori che sono

interessati a queste tecniche producono più facilmente analisi rilevanti (es., le analisi sulla convenienza).

Questo è certamente possibile, è difatti altamente probabile che la ricerca futura identificherà tipi addizionali

di trattamenti che funzionano bene rispetto a determinati punti di riferimento

Nota 2: molti professionisti rigetterebbero la nozione che un addestramento para-professionale possa

titolarsi effettivamente psicoterapia. In ogni caso esiste una piccola evidenza che avvalora fortemente questo

punto di vista.

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