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Stagione 2013 / 2014 TEATRO DELLE PASSIONI STAGIONE TEATRALE 2013/2014

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Stagione 2013 / 2014

TEATRO DELLE PASSIONISTAGIONE TEATRALE 2013/2014

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Stagione 2013 / 2014

A.H.drammaturgia Federico Bellini e Antonio Latella regia Antonio Latella con Francesco Manettielementi scenici e costumi Graziella Pepeluci Simone De Angelisassistente alla regia Francesca Giolivofonico Giuseppe Stellatoorganizzazione Brunella Giolivomanagement Michele MeleSTABILE MOBILE COMPAGNIA ANTONIO LATELLA

coproduzione CENTRALE FIES

in collaborazione con KANTERSTRASSE/VALDARNO CULTURE

Inaugura la Stagione 2013/2014 del Teatro delle Passioni il regista Antonio Latella che torna a Modena con la compagnia stabilemobile da lui fondata e presenta qui uno dei suoi ultimi allestimenti A. H., che si interroga sulle ragioni, l’origine del Male e di tutti quei meccanismi che hanno reso possibile il suo insediarsi all’interno del genere umano. Alla base di questo lavoro c’è la domanda quasi paradossale “E se invece di mettere i baffi alla Gioconda li togliessimo a Hitler?” come sottolinea lo stesso Latella che prosegue: «Questa domanda non vuole essere una provocazione ma è, nella sua assurdità, il punto interrogativo da cui partiamo. Spostare lo sguardo da quel quadratino peloso, quella mosca sotto al naso maschera dell'orrore di tutto il '900, a qualcosa di interiore, di terribilmente intimo, umano. Non è nostra intenzione mettere in scena la figura di Adolf Hitler, non vogliamo cucire una divisa e farla indossare ad un attore per portarlo a recitare, a interpretare, a personificare o più probabilmente a scimmiottare Hitler. Sarebbe una pazzia e un fallimento di intenti, una mancanza di gusto e altro ancora.Ci interessa invece intraprendere una riflessione sul male. Esiste il male? Certo, per esempio il cancro, un male terribile di cui tutti abbiamo paura perché uccide e non guarda in faccia a nessuno (ricco, povero, famoso, buono, cattivo, santo, peccatore, re, operaio, papa o laico…). Di fronte a un simile male, la domanda non è solo “come sconfiggerlo?” ma soprattutto “perché nasce?”. Partiamo da questo interrogativo per confrontarci con il cancro che ha colpito l'Europa, l'ha infettata, mutata, devastata, uccisa; è entrato nei cuori e nelle menti e si è trasformato in pensiero, in politica, si è mascherato da ragione, da bene ed ha sterminato senza nessuna pietà, come un angelo vendicatore. (…) Come è stato possibile che il cancro Hitler sia entrato nel cuore di milioni di persone? Come è stato possibile che queste persone abbiano creduto in lui e si siano messe la mosca sotto al naso?Questo progetto di stabilemobile, legato ad un percorso artistico sulla menzogna, nasce dal bisogno di riflettere intorno ad una semplice e terribile domanda: “c’è Hitler nel mio cuore?” A questo scopo abbiamo scelto una modalità di lavoro slegata dai tempi di produzione, una modalità molto intima fatta di discussioni continue che porteranno ad una drammaturgia di messinscena o, come auspico, ad una drammaturgia costruita sul corpo, un corpo a corpo con gli spettatori».

UN BALLOprogetto di Thea Dellavalle e Irene Petris

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Stagione 2013 / 2014

da “Il ballo” di Irène Némirovskyregia Thea Dellavallecon Lorenzo Bartoli, Ilaria Genatiempo, Sara Lazzaro, Marco Merzi, Irene Petris, Alice Torrianiluci Daria GrispinoPROGETTO RESIDENZE MAMIMÒ 2013in co-produzione con IL MULINO D’AMLETOPROGETTO DI PRODUZIONE SELEZIONATO E SOSTENUTO NELL’AMBITO DI CANTIERE CAMPSIRAGO 2012 DI SCARLATTINETEATRO – CAMPSIRAGO RESIDENZA MONTE DI BRIANZA

Thea Dellavalle e Irene Petris, già assistenti e interpreti di registi fra cui Massimo Castri, Marco Plini, Luca Ronconi, Alvis Hermanis, Romeo Castellucci e Pascal Rambert, presentano in prima assoluta Un ballo, allestimento tratto dal breve romanzo Le Bal della scrittrice francese di origini ucraine Irène Némirovsky. Una nitida fotografia del secolo scorso, capace di cogliere la dimensione più costretta, intima e distante dei suoi personaggi. Un piccolo mondo chiuso in una grande casa che ruota attorno ad una famiglia; gli Anni Venti, gli anni del boom economico caratterizzati da un momento di grande euforia che precederà la grave crisi economica; l’improvvisa ricchezza, il salto sociale; un impulso, una sfida e infine un ballo mondano: sono questi gli elementi attorno a cui ruota Un ballo e che uniscono i suoi sei personaggi. La famiglia Kampf, di origini modeste, si arricchisce grazie a un gioco speculativo in borsa e per affermare e continuare la sua ascesa sociale organizza una festa da ballo. La figlia quattordicenne Antoinette, troppo piccola per poter partecipare al ballo o forse già troppo grande per potervi prendere parte a fianco della madre ormai alle soglie dell’età matura, consuma la sua terribile vendetta gettando nella Senna tutti gli inviti al ballo. Solo una lontana parente, l’insegnante di pianoforte di Antoinette che ha ricevuto l’invito personalmente si presenterà al ballo diventando così unica testimone dell’inesorabile disfatta dei Kampf. Uno spettacolo che nella sua estrema semplicità e concretezza porta la valenza e la potenza archetipica di una fiaba crudele, come afferma la stessa regista: «Il gesto di Antoinette è un gesto istintivo, uno sfogo di cui lei stessa non conosce la portata, ma è un gesto, un passare all’azione che rompe il cerchio dell’infanzia, del timore dei genitori, del senso di estraneità subìta rispetto al mondo degli adulti. (…) Il conflitto tra madre e figlia non si gioca qui, come in altri testi della Némirovsky, in rapporto al maschile, come competizione sul piano erotico. Antoinette e Rosine condividono la speranza di un futuro diverso, sognano in fondo lo stesso sogno, “essere le regine del ballo”, ma vivono la contrapposizione tra chi corre contro il tempo e chi, impaziente, gli corre incontro. Questa condizione le rende nemiche, avversarie: una scuote la clessidra perchè la sabbia scenda più in fretta, perchè arrivi il proprio turno, l'altra cerca di rovesciarla, di invertirne il flusso, prima di essere esclusa dalla scena».

VIVA L’ITALIA

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Stagione 2013 / 2014

LE MORTI DI FAUSTO E IAIOdi Roberto Scarpettiregia César Briemusiche originali Pietro Traldicon Massimiliano Donato, Andrea Bettaglio, Alice Redini, Umberto Terruso, Federico ManfrediTEATRO DELL’ELFO

Il testo è stato insignito della menzione speciale Franco Quadri – Premio Riccione per il Teatro 2011

Un testo inedito, un nuovo autore e un teatrante di lungo corso come César Brie ci raccontano un fatto di cronaca del passato, uno degli episodi più oscuri ed emblematici della storia del nostro paese. Perché il teatro sia sempre un'esperienza necessaria e al centro della scena ci sia sempre l'essere umano. La storia raccontata da Viva l'Italia è quella delle morti di Fausto e Iaio, due diciottenni milanesi frequentatori del centro sociale Leoncavallo, uccisi a colpi di pistola la sera del 18 marzo 1978, due giorni dopo il rapimento di Aldo Moro da parte delle BR.«Rispetto agli spettacoli definiti di teatro civile - spiega l'autore - in Viva l'Italia non c'è un narratore onnisciente che conduce gli spettatori nei segreti e nei retroscena di un fatto storico: in questo caso la Storia è narrata in prima persona dai personaggi che l'hanno vissuta. Una drammaturgia storica, pensata in forma di monologo, anzi di cinque monologhi intrecciati tra loro a ricostruire un quadro d'insieme».L'ambizione è quella di far rivivere al pubblico il passato come fosse presente, con tutte le emozioni, i sentimenti, la disperazione di persone reali, persone che sono state coinvolte in qualcosa più grande di loro, mentre la vita di tutti i giorni andava avanti, come se non fosse successo niente.

Qualcuno definisce il mio lavoro come “teatro popolare”. Questa definizione a seconda deicontesti e le mode, significa cose diverse: naif, facile, impegnato, pedagogico, civile, ecc.È una definizione che non mi trova d’accordo. Non ho mai definito il mio lavoro se non come“teatro”. Quando insegno cerco di insegnare a pensare, ad avere il coraggio di dire ciò che si ha da dire. Sono interessato a cose antiche in realtà, la verità e la bellezza, e cerco di onorarle.Non è nemmeno teatro politico. La realtà che mi interessa è multipla, non è la banalità che sivede. Il reale è in agguato e la scena è uno dei luoghi dove possiamo percepire l’inespresso, illatente, ciò che pulsa e non ha voce. È così che affronto i testi, cerco di vedere cosa nascondono, non cosa mostrano. Quello che mostrano sta nelle parole scritte dall’autore, quello che nascondono sorge dalla nostra ricerca.

César Brie

LOLITAdi Valeria Raimondi ed Enrico Castellani

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Stagione 2013 / 2014

con la collaborazione artistica di Vincenzo Todescocon Olga Bercini e con Babilonia Teatriluci e audio Babilonia Teatri/Luca Scottonorganizzazione Alice Castellanigrafiche/elaborazione video Franciufoto Marco Caselli Nirmal e Sara CastiglioniFONDAZIONE CAMPANIA DEI FESTIVAL – NAPOLI TEATRO FESTIVAL ITALIA in coproduzione con BABILONIA TEATRI

Babilonia Teatri, una delle compagnie più premiate e più in vista del panorama di ricerca del teatro italiano, prosegue il pattern di lavoro avviato con Pinocchio che porta Valeria Raimondi e Enrico Castellani a lavorare con e fra le persone. La compagnia torna a Modena con il suo ultimo lavoro Lolita e scelgono come interprete Olga, una ragazzina di undici anni. Ma la Lolita dei Babilonia trae solo ispirazione da quella di Nabokov, Lolita non è Olga e Olga non è Lolita: il romanzo è solo punto di partenza e pretesto per portare in scena il tema dell’educazione, il ruolo dei genitori, la sessualità, l’immagine della donna e il suo rapporto con la società. Sola in scena, Olga, nel suo vestitino bianco attillato, viene ritratta nel delicato momento di passaggio dall’essere bambina a diventare donna. Voyeuristicamente il pubblico viene condotto nell’immaginario di Olga, l’osserva mentre scrive al computer, legge pagine dal suo diario e compie azioni come farebbe qualsiasi ragazzina della sua età come esercitarsi con l’hula-hop, fare alcune mosse di karate, darsi lo smalto o saltare con la corda.

Lolita è un sogno. Un brutto sogno. Un incubo. Sono pensieri e segreti consegnati a un diario.Pensieri di una ragazzina che corre che salta che cammina sul filo. Una ragazzina che ha pensieri di donna. Lolita è un urlo e uno sberleffo insieme. Lolita è un gioco dove non è chiaro il limite tra verità e finzione. Lolita è una farfalla. Quanti anni deve avere lolita per essere lolita. Per profumare di lolita. Sono i nostri occhi a vedere lolita. E’ la nostra testa a volere lolita. Sono le nostre mani a immaginare Lolita. Lolita è un modello che la società impone.È una tentazione e un monito. È la voglia di giocare col fuoco e la paura di bruciarsi.

Babilonia Teatri

HIMMELWEG – LA VIA DEL CIELOdi Juan Mayorgatraduzione Adriano Iurissevichregia Marco Pliniaiuto regia Thea Dellavallecon Giusto Cucchiarini,

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Stagione 2013 / 2014

Marco Maccieri, Luca Mammoli e con i ragazzi delle scuole medie inferiori e superiori di Reggio Emilia e Scandiano

Gioele Ballestrazzi, Edoardo Bocedi, Elena Castagnetti, Cecilia Comastri, Kristian Ferrari, Luca Goldoni,

Brian Oliviero, Giulia Vivi scene Serena Zuffo

costumi Nuvia Valestri / Cecilia Di Donato light designer Fabio Bozzetta CENTRO TEATRALE MAMIMÒ, CORTE OSPITALE DI RUBIERA

Dopo essere stato presentato nell’ultima edizione di VIE Festival, Marco Plini porta in scena al Teatro delle Passioni Himmelweg – La via del cielo: il regista, che lo scorso anno ha diretto per ERT Ifigenia in Aulide e che ha lavorato a fianco di Massimo Castri nel suo ultimo allestimento La cantatrice calva, si confronta qui con un testo dello spagnolo Juan Mayorga, uno dei drammaturghi più rappresentativi della sua generazione, già insignito di numerosi premi. Himmelweg si pone perfettamente in linea con la linea di ricerca che caratterizza Mayorga, impegnato in una costante rilettura del passato alla luce del presente, senza mai escludere un concreto confronto con i concreti problemi della società contemporanea. La Shoah, uno dei più tragici eventi del Novecento, viene qui riletta in una prospettiva inedita e crudelmente paradossale: un commissario della Croce Rossa chiede ed ottiene il permesso negli anni ’40, quando ancora la verità sui campi di concentramento non era venuta a galla, di visitarne uno. Per l’occasione il campo viene trasformato in villaggio modello che ha per scopo quello di sperimentare la vita ideale per la comunità ebraica. In modo estremamente paradossale e a loro malgrado, gli stessi prigionieri diventano attori di questa messinscena mentre il comandante assume il ruolo di regista.

Quello di Mayorga è un punto di vista estremamente affascinante da cui guardare questa immane tragedia. Il testo contiene una grande quantità di suggestioni sulla realtà e la sua manipolazione, ma soprattutto ha un grande valore di conservazione di una memoria livida e non patetica, utile in particolare ad un pubblico giovane che ormai si riferisce alla Shoah più o meno come alle Crociate: un evento storico lontano e irripetibile, sepolto in un punto della storia lontano e nebuloso.

Marco Plini

STUDIO SUL SIMPOSIO DI PLATONEdi Platonedrammaturgia Federico Belliniregia Andrea De Rosaassistente alla regia Thea Dellavallecon Giulia Briata, Eleonora Giovanardi, Leonardo Lidi, Annagaia Marchioro, Martina Polla,

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Stagione 2013 / 2014

Filippo Quezel, Massimo Scola, Annamaria TroisiEMILIA ROMAGNA TEATRO FONDAZIONE

Dopo averne ospitato il debutto lo scorso anno, torna al Teatro delle Passioni Studio sul Simposio di Platone: già regista di Molly Sweeney nel 2007 per Emilia Romagna Teatro in cui ha diretto Umberto Orsini, Valentina Sperlì e Leonardo Capuano e di una riuscita versione di Elettra di Hugo von Hofmannstahl, con un recente passato di assistente alla regia di Mario Martone e direttore del Teatro Stabile di Napoli, Andrea De Rosa dirige qui un gruppo di giovani e affiatati attori che si confrontano con uno dei dialoghi forse più conosciuti di Platone. Quello che ne emerge è un flusso di interrogativi che non perde di vista il presente: ecco quindi che il Simposio diventa materia prima da plasmare e da cui partire per costruire una ricerca attorno agli innumerevoli interrogativi che uno dei testi capitali della filosofia occidentale solleva, procedendo per immagini, frammenti di canzoni rock e voci di grandi personaggi come Pasolini, Jaques Lacan, Carmelo Bene, Jean Paul Sartre e di altri grandi del Novecento. Una sfida ben riuscita quella di De Rosa che affronta il Simposio in una cornice di assoluta contemporaneità, come affermano gli stessi Bellini e De Rosa: “Se è vero, come diceva Heidegger, che siamo entrati nell’epoca delle immagini del mondo, nell’epoca in cui le immagini del mondo si sono sostituite al mondo vero e proprio, allora la nostra si potrebbe definire anche come l’era del porno? Un’epoca in cui il consumo quotidiano di immagini, senza limiti di tempo e di spazio, assolve oggi al compito di colmare quel vuoto? Nell’era in cui le immagini sono disponibili e fruibili a livello planetario, Eros è forse morto definitivamente? Ma anche questa, in fondo, è soltanto una congettura, un’ipotesi, una domanda”.

POCO LONTANO DA QUIdi e con Chiara Guidi e Ermanna Montanarisuoni originali Giuseppe Ielasiideazione luci Enrico Isola cura del suono Marco Canali, Marco OlivieriSOCÌETAS RAFFAEL LO SANZIO E TEATRO DELLE ALBE/RAVENNA TEATRO

coproduzione EMILIA ROMAGNA TEATRO FONDAZIONE, COMUNE DI BOLOGNA,FONDAZIONE ROMAEUROPA,

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Stagione 2013 / 2014

FESTIVAL DELLE COLLINE TORINESI-TORINO CREAZIONE CONTEMPORANEA,RAVENNA 2019 CITTÀ CANDIDATA CAPITALE EUROPEA DELLA CULTURA,

SANTARCANGELO •12•13•14 FESTIVAL INTERNAZIONALE DEL TEATRO IN PIAZZA

Poco lontano da qui nasce dall’incontro fra Chiara Guidi e Ermanna Montari, rispettivamente attrici delle compagnie Socìetas Raffaello Sanzio e Teatro delle Albe, due delle maggiori compagnie del panorama italiano di teatro sperimentale. Le due attrici, che in un primo momento sembrano così lontane, distanti, si aprono una al lavoro e all’alter ego dell’altra: partono da se stesse, dal proprio lavoro scenico muovendosi nel percorso sonoro ideato da Giuseppe Ielasi e sullo sfondo di un paesaggio onirico fatto di veli bianchi e lenzuola semitrasparenti. Dal lavoro delle due attrici emergono strade e testi più disparati, fino ad approdare a parole sulla violenza, sulla libertà passando per i personaggi tracciati da Igort nei suoi Quaderni russi o da figure femminili come Anna Politovskaja o ancora Rosa Luxemburg. È proprio della Luxemburg la lettera che Chiara legge a Ermanna: nella lettera scritta dal carcere berlinese viene descritto l’orrore della violenza attraverso le percosse inflitte da un guardiano a un bufalo che diventa il simbolo della cecità della violenza. Il parlar franco è stato il patto iniziale del nostro incontro. La decisione di lavorare insiemenon aveva nulla di concreto su cui misurarsi: potevamo contare unicamente sulla potenzialitàdel nostro “dialogo” e della nostra trentennale ricerca vocale. I concetti che ogni volta affioravano, creavano quella combustione necessaria che ci permetteva di assumereuna forma che andava a comporre lo spettacolo. Finalmente attraverso la guida di Karl Kraus abbiamo incontrato le lettere di Rosa Luxemburg che si è posta come specchio oggettivo e autorevole nel nostro intarsio quotidiano. Quelle lettere dalla prigione hanno dato coraggio alle scelte dei nostri atti scenici, alla nostra impossibilità iniziale a dire, a vedere.Ci siamo moltiplicate per diventare ricettacoli di un luogo sonoro che il musicista GiuseppeIelasi ha raccolto e composto. Il nostro intarsio drammaturgico ha graffiato ogni giorno quella forma di cui non abbiamo tuttavia deciso di ostacolare la velatura.

Chiara Guidi e Ermanna Montanari

EDUCAZIONE SIBERIANAdi Nicolai Lilin eGiuseppe Miale di Mauro da un’idea di Francesco Di Leva e Adriano Pantaleo con Luigi Diberti e con Elsa Bossi, Ivan Castiglione, Francesco Di Leva, Giuseppe Gaudino, Stefano Meglio, Adriano Pantaleo, Andrea Vellotti regia Giuseppe Miale di Mauro FONDAZIONE DEL TEATRO STABILE DI TORINO/TEATRO METASTASIO STABILE DELLA TOSCANA/

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Stagione 2013 / 2014

EMILIA ROMAGNA TEATRO in collaborazione con

NestT (Napoli est Teatro)

Educazione Siberiana è il testo che segna l’esordio letterario di Nicolai Lilin, reso poi celebre dalla riduzione cinematografica di Gabriele Salvatores e interpretata da John Malkovich. Il testo ritrae la fine dell’impero sovietico e una società che sta per cambiare in modo irreversibile: su questo sfondo si muove la storia di due fratelli molto diversi tra loro. Da un lato c’è Boris, il giusto, legato agli insegnamenti della tradizione siberiana che porta rispetto per gli anziani e si forza di somigliare in tutto a loro; dall’altro lato c’è Yuri, il ribelle, pronto ad infrangere ogni regola pur di inseguire il sogno americano e a tradire la sua stessa famiglia per denaro. Fra i due si colloca Nonno Kuzja, portavoce della tradizione dei ‘criminali onesti’ che cerca di far sopravvivere nel delirio del consumismo occidentale che sta invadendo il suo mondo. Il conflitto, l’opposizione che scaturirà fra Boris e Yuri è sì volto a ritrarre il periodo post sovietico ma si fa anche metafora dei conflitti della società e del genere umano intero.

All’epoca della fine dell’URSS gli effetti collaterali di quell’evento, i fattori politico-sociali, hanno generato il caos nel popolo stremato dalla dittatura e affamato di libertà. Ed è proprio la percezione distorta della libertà che ha spinto le persone verso atti estremi, fino ad arrivare al drammatico degrado delle anime. Educazione Siberiana è una grande tragedia moderna. Una storia di sentimenti forti: l’amore, l’amicizia, l’odio, il tradimento, i sogni.È la caduta degli ultimi testimoni di una cultura che sta scomparendo e l’ascesa dei nuovi padroni di una società alla deriva. E nel mezzo c’è la guerra.Una comunità, quella degli Urka Siberiani, criminali che si definiscono onesti e combattono il potere comunista. Simbolicamente ho stretto la comunità intorno ad un semplice ambiente familiare, costringendola a convivere con l’invadente presenza di un muro che ricorda quello di Berlino, e che proprio come quello, delimita una linea di confine. Oltre quel muro c’è la vita che i vecchi criminali detestano e alcuni giovani ambiscono.Quello che colpisce di questi criminali onesti è il loro sentimento anarchico, la loro voglia di libertà, il loro legame con la vita e la morte, che a prescindere dal giudizio personale, non si può non sentire vicino. Ecco, è da qui che sono partito per raccontare una storia apparentemente lontana da noi, ma così vicina nei sentimenti primordiali dell’essenza umana.

Giuseppe Miale Di Mauro

LA SOFFERNZA INUTILEda “La rivolta” di Fëdor Dostoevskijdrammaturgia e regia Leonardo Capuanocon Leonardo Capuano e Corrado Muraassistente alla regia Elena Piscitilli luci Corrado Muraorganizzatrice Valeria Orani369 GRADI - ARMUNIA

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Leonardo Capuano, che il pubblico di Modena ricorderà di aver visto in scena nel 2007 in Molly Sweeney di Brian Friel diretto da Andrea De Rosa a fianco di Umberto Orsini e Valentina Sperlì, presenta qui in veste di regista e interprete La sofferenza inutile tratto dal capitolo “La rivolta” del romanzo I fratelli Karamazov di Fëdor Dostoevskij. “La rivolta” si apre con un incontro, quello fra Ivan e Alioscia Karamazov, che cenando assieme in una taverna arrivano a conoscersi più a fondo e ad aprire il proprio animo l’uno all’altro. Qui Ivan confessa al fratello che ha scelto di diventare frate, i motivi e le ragioni che lo hanno portato a mettere in discussione l’esistenza di Dio, il mondo stesso e a credere infine nel fallimento di Cristo che, donando all’uomo il libero arbitrio, non ha fatto altro che condannarlo all’infelicità. Motivo del dissidio con Dio è proprio la sofferenza inutile, quella degli innocenti, dei bambini più in particolare che ingiustamente e incomprensibilmente subiscono sopraffazioni e pene. Questa sofferenza, che Ivan argomenta al fratello attraverso testimonianze di un’agghiacciante crudeltà, sarà il motivo della rivolta di Ivan.

Lo spettacolo è l’ incontro tra i due fratelli come Ivan lo immagina : siamo nella sua immaginazione, immaginazione generata dal desiderio di poter esprimere il suo pensiero, dalla febbre di dar sfogo al suo sgomento ed alle ombre che lo abitano. Che suo fratello veda, che ascolti di quale abominio si tratta, che la sua innata dialettica possa innescare il dubbio, che i dubbi finalmente prendano forma, diventino azione, atto visionario e rivelatore. La fantasia di Ivan piano piano appare e diventa concreta sulla scena.

Leonardo Capuano

LA METAMORFOSIdal racconto di Franz Kafkaregia e drammaturgia Luca Micheletticon  (in o. a.) Dario Cantarelli, Laura Curino, Luca Micheletti, Claudia Scaravonatiscene Csaba  AntalEMILIA ROMAGNA TEATRO FONDAZIONE, CTB TEATRO STABILE DI BRESCIA

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Dopo il successo della fortunata produzione Emilia Romagna Teatro La resistibile ascesa di Arturo Ui che lo ha visto in scena a fianco del Maestro Umberto Orsini, Luca Micheletti firma la regia e la drammaturgia di La metamorfosi dal racconto di Franz Kafka. Celebre è la sorte del protagonista del racconto, Gregor Samsa, che si tramuta senza spiegazioni in un insetto, diventando così metafora di una richiesta d’aiuto, di un bisogno esistenziale. Imprigionato nella sua diversità cerca disperatamente un contatto, come afferma lo stesso Micheletti: “Il nesso che il teatro è utile a chiarire è proprio quello tra il protagonista – nell’originale, un anonimo commesso viaggiatore il cui disagio esistenziale si traduce in un incubo – e il disabile all’interno della società contemporanea. Così come la mitologia traduce in chiave allegorico-metaforica i ‘discorsi’ cruciali dell’umanità, la nuova contemporanea ‘mitologia’ di Kafka è in grado di offrire uno straordinario repertorio discorsivo intorno al disagio e alla non accettazione: lo spettacolo teatrale è l’occasione d’affrontare ardue soglie dell’umano innescando possibilità di conoscenza, d’accettazione e supporto del soggetto in difficoltà. (…) Kafka specula intorno alla necessità d’un aiuto concreto e vero, scevro da preconcetti e denso di significato, pronto al sacrificio, all’accettazione e alla metamorfosi, ma non dell’altro, bensì del proprio ‘io’, posto di fronte alla prova dell’incontro e della diversità. La messinscena di un’esperienza che, per quanto estrema, ciascuno può incontrare. Chi vive sul ciglio dell’umanità contribuisce a definirla”.

NATALE IN CASA CUPIELLOdi Eduardo De Filipporegia e adattamento Fausto Russo Alesicon Fausto Russo Alesi scene Marco Rossiluci Claudio De Pacemusiche Giovanni Vitalettiaiuto regia Giorgio SangatiPICCOLO TEATRO DI MILANO - TEATRO D'EUROPA

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«È con gioia, paura, emozionata curiosità ed una buona dose di follia, che mi avventuro alla scoperta del teatro di Eduardo De Filippo.È da molto tempo che coltivo il desiderio di accostarmi a questo grande attore-autore-regista e al suo patrimonio drammaturgico e Natale in casa Cupiello, in questa versione solitaria, mi è sembrato un modo possibile, una chiave d’accesso per incontrare la sua arte e il suo linguaggio. È difficile definire Natale in casa Cupiello, perché è un testo semplice e complesso allo stesso tempo. Semplice perché popolare, familiare e complesso perché umano, realistico sì, ma soprattutto metaforico. Quando leggo Natale in casa Cupiello, ho la sensazione di trovarmi davanti ad un meraviglioso spartito musicale, un vibrante veicolo di comunicazione, profondità e poesia. È incredibile, a soli 31 anni Eduardo recitava la parte del vecchio padre di famiglia, antieroe-bambino, Luca Cupiello, personaggio che avrebbe interpretato credo quasi fino agli ottant’anni. È come se con questo personaggio lui ci avesse raccontato una parabola sulla vita. Questa è oltre tutto un’opera di scambio tra generazioni a confronto. E fu Eduardo stesso che arrivò a affermare che il punto di arrivo dell’uomo è la nascita, mentre il punto di partenza dal mondo e punto di partenza per le nuove generazioni è la morte.Ed è da qui che io voglio partire: dalla malinconia di un’assenza. In casa Cupiello scorre appunto la vita: la vita di una famiglia, la vita del teatro, le fatiche, la ricerca di una felicità e di una bellezza fuori della quotidianità. Anche se la cifra è quella della leggerezza e dell’ironia, dal testo emerge una vena piuttosto amara e desolante. Ci viene presentata una casa misera, distrutta, inguaiata, sotto sopra, gelata, quasi terremotata; ed è Luca che definisce sua moglie Concetta, la regina della casa, come: “Vecchia, aspra e nemica”. È una famiglia la cui identità è alquanto precaria, non si dialoga più veramente ma si monologa, ed è per questo che credo nella sfida di attraversare questa storia in solitudine. E vorrei che questo effetto straniante di vedere un unico attore posseduto da tutte queste voci aiutasse il pubblico a vivisezionare le tematiche bellissime della tragicommedia.»

Fausto Russo Alesi

CLÔTURE DE L’AMOURuno spettacolo di Pascal Ramberttraduzione Bruna Filippicon Anna Della Rosa, Luca LazzareschiEMILIA ROMAGNA TEATRO FONDAZIONE

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Stagione 2013 / 2014

Clôture de l’amour è chiaramente la fine di una storia. Racconta una separazione, la separazione di una coppia che cerca di mettere alla propria storia comune, a una storia che vorrebbero chiudere per sempre. Sono mossi dalla rabbia e dalla necessità urgente di dividersi. Ma Clôture de l’amour può anche essere un inizio, perché clôture, che in italiano non si può tradurre esaustivamente con chiusura, significa anche racchiudere, e lo spettacolo racchiude qui lo spazio dedicato all’anima, lo spazio che definisce l’individuo come un territorio in carne ed ossa da difendere, un linguaggio essenzialmente organico e persino coreografico, in cui Anna e Luca, i due personaggi che si affrontano sul ring del palcoscenico, costruiscono con le parole una barriera di filo spinato che li divide, ripetendo incontinuazione in modo ossessivo espressioni che sembrano vorticare nei loro corpi. Duesoliloqui che non possono interrompersi a vicenda, due flussi verbali separati che nonsi fermerebbero se non fosse per l’irruzione improvvisa dei bambini. “Se dovessi andarepiù a fondo in quello che sento, lo descriverei come un testo di danza” afferma Pascal Rambert. Una danza mentale in un certo senso che porta alla luce il movimento invisibiledell’anima e dei nervi in palcoscenico. Si potrebbe dire che i corpi non si muovono, eppuresi lascia il teatro con la sensazione che è questo che hanno fatto per tutto il tempo:muoversi e combattere una battaglia interiore ma una battaglia rivelata allo spettatore dallapropria abilità di proiezione - un’abilità quasi olografica, l’abilità di costruire il movimentodal discorso, sì, puro linguaggio, come se la scena non avesse altro scopo che questavirtualità e non avesse altra sostanza se non quella che noi ci mettiamo.

Clôture de l’amour ha debuttato al Festival d’Avignon nel 2011. Da allora la versione francese è in tournée in tutto il mondo, in Corea, Italia, Svizzera, Belgio, Croazia, Cina.Prima del debutto italiano ospitato al Teatro delle Passioni la scorsa stagione, Rambert ha messo in scena una versione russa al Teatro d’Arte di Mosca, una versione croata al ZMK Theatre di Zagabria, una versione americana all’Abrons Art Centre di New York.

ANNA CAPPELLI, UNO STUDIOdi Annibale Ruccelloregia Pierpaolo Sepecon Maria Paiatoscene Francesco Ghisuluci Carmine Pierricostumi Gianluca Falaschiaiuto regia Sandra Conti FONDAZIONE SALERNO CONTEMPORANEA TEATRO STABILE DI INNOVAZIONE 

Page 14: Stagione 2013 / 2014 · Web viewInaugura la Stagione 2013/2014 del Teatro delle Passioni il regista Antonio Latella che torna a Modena con la compagnia stabilemobile da lui fondata

Stagione 2013 / 2014

Dopo una tournèe di grande successo fra le principali piazze italiane fra cui Genova, Milano, Bologna, Roma, Napoli e Torino arriva a Modena Anna Cappelli, uno studio che vede sola in scena una straordinaria Maria Paiato diretta da Pierpaolo Sepe. Dopo essersi confrontati con un testo di Giovanni Testori in Erodiadi, la Paiato e Sepe si cimentano nel testo di Annibale Ruccello, uno degli esponenti più in vista della nuova drammaturgia napoletana prematuramente scomparso nel 1986. Anna Cappelli è una comune donna di provincia in corsa contro il mondo: è in lotta con i genitori, a cui non perdona di aver lasciato alla sorella minore prendere la sua stanza, non sopporta le colleghe snob e pettegole e tantomeno l’anziana signora che la ospita a Latina dove Anna si trasferisce alla ricerca di occupazione. Nella giovane donna si sviluppa una vera e propria ossessione e morbosità per le cose, per la smania di possesso: lontana dagli occhi e dalle bocche di tutti i personaggi che affollano la sua vita a stento riesce a trattenere scatti d’ira e crolli nervosi che la Paiato restituisce magistralmente al suo personaggio attraverso espressioni del viso, movenze e voce. La vita di Anna è fatta di solitudini fino a quando non arriva l’incontro con il ragionier Tonino Scarpa, proprietario di un appartamento con dodici stanze. Contro ogni qualsiasi sfida, Anna si trasferisce a casa del compagno ma senza essere spinta da amore: nella sua vita non c’è spazio per questo sentimento, l’unico obiettivo è quello di possedere, accumulare e dominare, ossessione che la porterà a un tragico gesto finale. «L’intelligenza dell’autore sta nel nascondere, dietro la follia della normalità, un processo culturale drammatico che ha vissuto il nostro Paese: la protagonista del dramma porta in sé la miseria degli anni in cui divenne importante avere piuttosto che essere. Il principio del

possesso, che ancora guida le nostre vite, si affermò ingoiando tradizioni culturali nobili e preziose. Fu in quegli anni che Pasolini urlò il dolore di chi avvertiva il pericolo che la sua stessa opera potesse perdere forza poetica e politica a causa di una dispersione drammatica di senso e di una tentazione di immoralità capitalistica. Fu in quegli anni che perdemmo l’onore. Fu in quegli anni che nacquero i cannibali, i padri della cultura odierna. Il nostro studio segna un primo approccio a questo dramma complesso e dal significato profondo e doloroso. È l’oscuro scrutare di Ruccello che cercheremo di restituire con adesione intellettuale ed emotiva».

Pierpaolo Sepe

NOOSFERA MUSEUMdi e con Roberto Latinimusiche originali Gianluca Misitiluci Max MugnaiFORTEBRACCIO TEATRO

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Stagione 2013 / 2014

Autore e regista formatosi presso lo Studio di Recitazione e di Ricerca teatrale diretto da Perla Peragallo, con un recente passato di direttore del Teatro San Martino di Bologna, Roberto Latini è il fondatore della compagnia Fortebraccio Teatro con cui allestisce Noosfera, Museum, terzo movimento del progetto Noosfera.

Dopo Lucignolo che aspetta la mezzanotte per salire sul Titanic diretto al Paese dei Balocchi come fosse una delle Americhe possibili, dopo il naufragio senza tempo che accompagna la nostra generazione di asini, Museum immagina un approdo possibile all'isola di una scena in cui sono già trascorsi tutti i giorni felici.Il disagio dell'attesa di un futuro che si è dimesso dalle nostre aspirazioni, la cecità del fondo di un qualsiasi fondo, il mutismo dei pensieri di chi né servo né padrone parla, dopo la tempesta, alla sua sola solitudine, corrisponde a dove ci siamo rifugiati in attesa di nessuna aspettativa.Ai piedi della montagna dei giganti che non ci somigliano più, la cantilena di questo immobilismo è affidato alla consolazione della ripetizione e all'impossibilità della rappresentazione. La scena sfida la sintassi di ogni forma sensibile perché la bellezza possa intercettarci, ammetterci alla presenza della platea che l'ha custodita in questo tempo.Irrinunciabile, come la poesia che non è misura mai, ma il tentativo estremo di una condizione senza condizioni, capace, per quanto può concedersi da sé, di trasformare la resistenza in reazione.

Roberto Latini