Speciale LORIBAMOI - Padre Raffaele Di Bari

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Poste Italiane Spa - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in Legge n. 46 del 27/02/2004) art. 1 comma 2 - CNS BA Mensile della parrocchia SS. Crocifisso - Barletta anno VII 55 “PREMIO FALLANI Miglior Testata 2007” dicembre 2010 U n lavoro profondamente impegnativo, fatto di tante giornate spese a raccogliere testimonianze dall’Italia e dall’Uganda per porre in luce la vicenda umana di un uomo donatosi incondizionatamente al prossimo, fino al sacrificio della propria vita. Il risultato è LORIBAMOI, padre Raffaele Di Bari una vita per l’Africa, un testo in cui ho volutamente lasciato spazio ai racconti su padre Raffà, creando un collage con le voci di chi lo ha amato, standogli accanto nell’arduo ministero di apostolato tra gli Acholi. Queste voci sono una sorta di “tradizione orale”, che forse potrebbe apparire fuori contesto in questo nostro tempo fatto di notizie minuziose e asettiche. In realtà ogni testimonianza non è altro che un “documento del cuore” che mostra le mille sfaccettature dell’animo di padre Raffaele Di Bari, sempre prodigo verso la “sua gente”. Devo ammetterlo, sapevo ben poco di padre Raffaele, come poco si sa di lui, ahimè, nella nostra Barletta, che dimentica spesso chi le dà lustro. Mi auguro che queste pagine, per la maggior parte frutto di lunghe interviste telefoniche nelle quali il discorso era spesso interrotto da momenti di grande commozione, possano servire a far riflettere sul vero valore della generosità dell’uomo che in padre Raffà raggiungeva livelli altissimi. Tra i tanti titoli che avrei potuto scegliere per questa pubblicazione, LORIBAMOI, colui che crea comunione, mi è sembrato il più vicino alla figura di padre Raffaele. Loribamoi è un termine in lingua Acholi, formato da LO (persona), RIBÈ (unione), MOI (superlativo assoluto di eroe/persona speciale/vittorioso). Padre Raffaele Di Bari è stato, ed è ancora oggi, un loribamoi. Chi parla di lui, come nelle successive pagine, non fa altro che confermare questa sua vocazione alla comunione tra le persone e Dio. Queste pagine vogliono essere, in definitiva, un “grazie” della comunità diocesana, e perché no, dei barlettani, ad un loro fratello. Quello che padre Raffaele Di Bari ha fatto in vita, e che continua a fare anche dopo la sua morte, testimonia che Dio amerà sempre gli uomini. Ha dei giorni un missionario che passano come albe perse in un breviario, aperto verso dove sorge il sole, ad oriente, in attesa fedele che Dio parli e dia forza anche a te che sei suo servo impotente di fronte al male in cui ti sei calato e che ti reca dubbi assalitori da tenere per tutto il giorno e sconfiggere nelle veglie notturne. Tutti i giorni di un missionario sono in Cristo tra la gente, sono sugli altari di visi ed ossa, denutriti o malnutriti, su cui si celebra una Pasqua silenziosa, sottile, pari ad un mistero che sei vicino a scoprire e che si allontana dall’anima. È in quei giorni che senti di non avere nulla da insegnare: la lezione te la fanno quelli a cui credevi di portare la Buona Novella, Gesù te lo mostrano loro, scalzo e lacero, eppure inspiegabilmente pieno di speranza. Capisci che la rivoluzione serve a riempire i libri e le menti di chi la sogna pur continuando a vivere nei propri castelli ovattati di privilegi e buonismo che edificano falsi miti. La rivoluzione è farsi ultimo con gli ultimi, senza tante teorie. La rivoluzione è tornare ad essere uomo con l’uomo, spalla a fianco di un’altra spalla, compatire, cioè patire con, insieme. Non è un’utopia la missione, nemmeno un luogo per superuomini. Si sta con gli altri a cui si parla del Cristo risorto, di quello stesso Cristo che invia ancora oggi in terre lontane o vicine a parlare di dignità umana e carità divina a chi gli vuol essere amico, come “agnelli in mezzo ai lupi” (Lc 10,3). Da autentico testimone, padre Raffaele, ha reso vera, credibile e immortale la sua testimonianza. In questa nostra epoca abbiamo bisogno di profeti che alzino la loro voce per risvegliare l’umanità e il mondo cristiano dall’appiattimento culturale e spirituale in cui sembra adagiato. Si ha l’impressione di somigliare un po’ a quei gabbiani che, preoccupati solo di nutrirsi, passano la loro vita sulla spiaggia, invece di alzarsi in volo nell’immensità della luce del cielo. In questo momento storico, meta di falsi profeti, questo ci basta! don Ruggiero Caporusso [email protected] Padre Raffaele Di Bari una vita per l‛Africa speciale P. Raffaele Di Bari

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Poste Italiane Spa - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003(conv. in Legge n. 46 del 27/02/2004) art. 1 comma 2 - CNS BA

Mensile della parrocchia SS. Crocifi sso - Barletta

anno VII

n°55

“PREMIO FALLANI Miglior Testata 2007”

dicembre

2010

Un lavoro profondamente impegnativo, fatto di tante giornate spese a raccogliere testimonianze dall’Italia

e dall’Uganda per porre in luce la vicenda umana di un uomo donatosi incondizionatamente al prossimo, fino al sacrificio della propria vita. Il risultato è LORIBAMOI, padre Raffaele Di Bari una vita per l’Africa, un testo in cui ho volutamente lasciato spazio ai racconti su padre Raffà, creando un collage con le voci di chi lo ha amato, standogli accanto nell’arduo ministero di apostolato tra gli Acholi. Queste voci sono una sorta di “tradizione orale”, che forse potrebbe apparire fuori contesto in questo nostro tempo fatto di notizie minuziose e asettiche. In realtà ogni testimonianza non è altro che un “documento del cuore” che mostra le mille sfaccettature dell’animo di padre Raffaele Di Bari, sempre prodigo verso la “sua gente”. Devo ammetterlo, sapevo ben poco di padre Raffaele, come poco si sa di lui, ahimè, nella nostra Barletta, che dimentica spesso chi le dà lustro. Mi auguro che queste pagine, per la maggior parte frutto di lunghe interviste telefoniche nelle quali il discorso era spesso interrotto da momenti di grande commozione, possano servire a far riflettere sul vero valore della generosità dell’uomo che in padre Raffà raggiungeva livelli altissimi. Tra i tanti titoli che avrei potuto scegliere per questa pubblicazione, LORIBAMOI, colui che crea comunione, mi è sembrato il più vicino alla figura di padre Raffaele. Loribamoi è un termine in lingua Acholi, formato da LO (persona), RIBÈ (unione), MOI (superlativo assoluto di eroe/persona speciale/vittorioso). Padre Raffaele Di Bari è stato, ed è ancora oggi, un loribamoi. Chi parla di lui, come nelle successive pagine, non fa altro che confermare questa sua vocazione alla comunione tra le persone e Dio. Queste pagine vogliono essere, in definitiva, un “grazie” della comunità diocesana, e perché no, dei barlettani, ad un loro fratello. Quello che padre Raffaele Di Bari ha fatto in vita, e che continua a fare anche dopo

la sua morte, testimonia che Dio amerà sempre gli uomini.Ha dei giorni un missionario che passano come albe perse in un breviario, aperto verso dove sorge il sole, ad oriente, in attesa fedele che Dio parli e dia forza anche a te che sei suo servo impotente di fronte al male in cui ti sei calato e che ti reca dubbi assalitori da tenere per tutto il giorno e sconfiggere nelle veglie notturne. Tutti i giorni di un missionario sono in Cristo tra la gente, sono sugli altari di visi ed ossa, denutriti o malnutriti, su cui si celebra una Pasqua silenziosa, sottile, pari ad un mistero che sei vicino a scoprire e che si allontana dall’anima. È in quei giorni che senti di non avere nulla da insegnare: la lezione te la fanno quelli a cui credevi di portare la Buona Novella, Gesù te lo mostrano loro, scalzo e lacero, eppure inspiegabilmente pieno di speranza. Capisci che la rivoluzione serve a riempire i libri e le menti di chi la sogna pur continuando a vivere nei propri castelli ovattati di privilegi e buonismo che edificano falsi miti. La rivoluzione è farsi ultimo con gli ultimi, senza tante teorie. La rivoluzione è tornare ad essere uomo con l’uomo, spalla a fianco di un’altra spalla, compatire, cioè patire con, insieme. Non è un’utopia la missione, nemmeno un luogo per superuomini. Si sta con gli altri a cui si parla del Cristo risorto, di quello stesso Cristo che invia ancora oggi in terre lontane o vicine a parlare di dignità umana e carità divina a chi gli vuol essere amico, come “agnelli in mezzo ai lupi” (Lc 10,3). Da autentico testimone, padre Raffaele, ha reso vera, credibile e immortale la sua testimonianza. In questa nostra epoca abbiamo bisogno di profeti che alzino la loro voce per risvegliare l’umanità e il mondo cristiano dall’appiattimento culturale e spirituale in cui sembra adagiato. Si ha l’impressione di somigliare un po’ a quei gabbiani che, preoccupati solo di nutrirsi, passano la loro vita sulla spiaggia, invece di alzarsi in volo nell’immensità della luce del cielo. In questo momento storico, meta di falsi profeti, questo ci basta!

don Ruggiero [email protected]

Padre Raffaele Di Bariuna vita per l‛Africa

specialeP. Raffaele Di Bari

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Direttore editoriale:don Ruggiero Caporusso

Direttore responsabile:Ruggiero Dimonte

Vicedirettore: Angela Rizzi

Redazione:Rossella Acconciaioco, Mario Borraccino, Liana Caputo, Daniela D’Alba, Nicola Dileo, Antonio Diodovich, Floriana Filannino, Francesca Leone, Salvatore Mellone, Ruggiero Rutigliano, Massimo Serio

Hanno collaborato: Pasquale Delvecchio, Alfredo Negro

Premio “Fallani”

Miglior Testata 2007

LA STADERAMensile di informazione e formazio-ne della Parrocchia SS. Crocifi sso - BarlettaAnno VII - n. 55 dicembre 2010Registrazione n. 4 del 5/2/2007presso il Tribunale di Trani

Direzione, redazione e ammin.:Parrocchia SS. Crocifi ssoVia Zanardelli, 33 - 76121 BarlettaTel. e fax 0883.333382

Impaginazione e stampa:Editrice Rotas - Barletta

“Ho sentito l’esigenza profonda di celebrare la figura di quest’uomo, nel quale il

sacerdozio, la missionarietà e la bontà d’animo erano legate tra loro e ne costituivano il carattere di persona semplice ma ricca di spiritualità”. Con queste parole don Ruggiero Caporusso apre il libro in memoria della figura di padre Raffaele Di Bari, padre Raffà come lo chiamavano in Africa, il missionario comboniano barlettano trucidato il 1° ottobre di dieci anni fa.Un prete fuori dal comune, per molti scomodo, che ha portato avanti il suo ministero con fierezza e senza la paura di nascondersi, armato di una spada ai più invisibile ma che provoca tanti mal di pancia: la fede.Nel libro si possono notare vari riferimenti fatti riguardo la fede e il modo con cui padre Raffaele annunciava Cristo e il Vangelo agli acholi, la “sua gente”.Ne sono un esempio le parole del dott. Giuseppe Paolillo, cugino di padre Raffà, il quale ricorda come “amava ogni persona e riconosceva nell’altro il fratello da aiutare e a cui mostrare il Cristo… Lui come sacerdote era questo. Un sacerdote di preghiera, ma veramente molto semplice: non ricercava un parlare forbito per esporre i concetti”. Ed ancora: “Qui gli piaceva vivere. Qui ha portato l’uomo-Dio. Qui è stato ucciso”. Il cardinale Francesco Monterisi, arciprete della basilica papale di san Paolo fuori le Mura in Roma, lo paragona a San Paolo, Apostolo e martire della fede. Padre Raffaele è un martire della fede perché è morto da testimone di Qualcuno e per qualcosa in cui credeva fermamente, ricorda Fabio Salvatore; per padre Cosimo De Iaco,

comboniano, padre Raffaele è stato il modello di chi vede la fede intesa in senso missionario. Dal dono ricevuto scaturisce immediatamente l’esigenza e l’impegno della testimonianza, della condivisione della fede agli altri. Lo stesso padre De Iaco riporta, a pag. 140 del libro, una riflessione del martire barlettano sulla fede ritenuta il “fondamento e l’anima di tutta la vita”.Una fede forte come sostiene un altro confratello, padre Ponziano Velluto: “Penso che questi due atteggiamenti di donazione e di perdono, furono quelli che plasmarono e prepararono padre Raffaele a subire una morte invidiata da altri missionari”. “Su quella strada ha perso la vita, su quella strada lo aspettava il Signore Risorto per invitarlo ad entrare nel regno, poiché lo aveva accolto e aiutato negli affamati, negli assetati, nei malati, nei prigionieri, negli sfollati a causa della lunga guerra civile”, rievoca padre Leonsio Akena, figlio spirituale di padre Raffà.Non è stato un eroe, uno sprovveduto. È stato semplicemente un missionario. Nelle tante lettere scritte ad amici e parenti non nasconde mai il pericolo e a volte anche la paura per la situazione che viveva; in una del 1979 indirizzata al suo amico e confratello don Michele Morelli scrive: “sostenuti dalla fede e protezione divina, sono stati superati i continui ed inevitabili pericoli, naturalmente con prudenza, giocando a rimpiattino con la morte sempre e ovunque in agguato”. Sempre padre Raffaele, in un’intervista rilasciata a Riccardo Losappio, direttore del mensile In Comunione nell’ottobre del 1998 (riportata a pag. 239 del libro), alla domanda su quale posto avesse

il Vangelo nella sua opera, se fosse in secondo piano, lui risponde: “No, non è questione di precedenza. È tutto insieme: io vado in giro sempre per la catechesi, per annunciare il Vangelo. Ma, dimmi, che significato può avere ascoltare, pregare, annunciare la Parola se tu, poi, non metti niente nella vita concreta di questa gente che ogni giorno deve fare i conti con il proprio sostentamento?”.Aveva una fede forte il caro padre Raffaele. Il suo amico, il dott. Romeo Zendron, lo definisce un “seminatore con libertà di semina, cioè una persona che, andando in squadra a seminare, andava a cercare i terreni più difficili quelli che apparentemente sembravano non fertili. Il vangelo però dice che il germoglio può sbocciare anche in situazioni naturali sfavorevoli. Era un uomo di grande fede e di grande pazienza, virtù non da poco per un uomo del nostro tempo”.Ancora, don Michele Morelli: “Ti ringraziamo, Signore, per padre Raffaele, vero testimone della fede, umile, povero e fedele missionario della tua parola di salvezza, innamorato di te Crocifisso, interprete del bisogno dell’uomo e suo fraterno e provvidente aiuto, anima sacerdotale ed eucaristica, apostolo gioviale e sempre sorridente anche quando, venuto fuori miracolosamente da altri attentati, ha reagito con pacifica serenità e perdonando coloro che lo hanno ucciso”.Eh già! Dobbiamo ringraziare il Signore per avercelo donato. A noi non resta che diffondere la sua testimonianza cristiana!

Ruggiero [email protected]

il seminatore con libertà di semina… la fede di un martire “moderno”

SPECIALE SPECIALE

Nel catechismo della Chiesa Cattolica si legge: “Le virtù

teologali fondano, animano e caratterizzano l’agire morale del cristiano” (n. 1813) e “dispongono i cristiani a vivere in relazione con la Santissima Trinità” (Ibidem, n.1840). Tre sono le virtù teologali: Fede, Speranza e Carità. “Per la speranza noi desideriamo e aspettiamo da Dio, con ferma fiducia, la vita eterna e le grazie per meritarla” (Ibidem, n. 1843). “La virtù della speranza risponde all’aspirazione alla felicità, che Dio ha posto nel cuore di ogni uomo”, “salvaguarda dallo scoraggiamento; sostiene in tutti i momenti di abbandono; dilata il cuore nell’attesa della beatitudine eterna. Lo slancio della speranza preserva dall’egoismo e conduce alla gioia della carità” (Ibidem, n. 1818). “La speranza cristiana si sviluppa, fin dagli inizi della predicazione di Gesù, nell’annuncio delle Beatitudini” (Ibidem, n.1820). Le beatitudini “sono le promesse paradossali che, nelle tribolazioni, sorreggono al speranza” (Ibidem, n.1717). La speranza è “l’ancora della nostra vita, sicura e salda” (Eb 6, 19a); ci procura la gioia anche nella prova: “Lieti nella speranza, forti nella tribolazione” (Rm 12,12). “Nei suoi anni di apostolato in Uganda, padre Raffaele è stato un faro nella notte per tutti coloro i quali cercavano qualcuno che indicasse una giusta via” (Loribamoi. Padre Raffaele Di Bari, una vita per l’Africa, p. 23). In lui la carità si rivestiva di speranza. Raffaele “era un sognatore, un animo pieno di vita”. Era una persona ironica e forte, affrontava le situazioni in piedi, cercava soluzioni valide e concrete alle problematiche; non si fermava davanti a niente. “Era un uomo molto umano, cioè possedeva l’umanità di chi ama la vita, di chi è uomo ancor prima di essere prete ed ha mantenuto questo suo modo di essere fino alla

fine” (p. 91). Non aveva tempo per commuoversi per la mal nutrizione. Si batteva, si impegnava, litigava, perché era più forte di lui, era il suo carattere, era un uomo che si ribellava all’ingiustizia. Cercava di scuotere le coscienze e i responsabili capi anche a livello internazionale. Denunciava e chiamava in causa i media europei. Ha aiutato tanti bambini rapiti dai ribelli fuori dalle scuole e che poi divenivano “Baby- soldier”; si spendeva per loro, se poteva cercava di recuperarli, molti di questi erano stati suoi ragazzi in parrocchia. Egli sperava nella cancellazione di questo dramma. “Diceva: «Forse la colpa è che noi non siamo riusciti a spiegare loro bene cos’è la vita», perché troppo facilmente si allontanavano e si ritorcevano contro”(p.90). La sua posizione di contrasto a questa guerra, il non tacere le razzie che venivano fatte e la condanna verso tutti quelli che stavano commettendo questo genocidio sono un dato di fatto. P. Raffaele disturbava, semplicemente disturbava (cfr. p.116). “Volevano lui, volevano un simbolo, volevano un artefice di questa speranza che lui cercava, che lui continuava a seminare” (p. 90). “Uccidendo padre Raffaele hanno tolto la speranza al popolo ugandese” (p.165). “Era una persona che ha rischiato sulla sua pelle, ha pagato, ma ha lasciato una testimonianza di lavoro e di amore, di concretezza che pochi altri hanno saputo dare” (p. 120). Era un vulcano di iniziative. Padre Raffà ha lavorato con i malati di lebbra e di Aids. Era a disposizione di tutti, di tutta la gente povera, specie di quella più bisognosa. “Era questo un tratto caratteristico di padre Raffaele che subito colpiva, il coraggio cioè delle scelte fatte in nome del Vangelo e dei sofferenti seguendo l’impulso del cuore e meno i motivi che nascevano dalla ragione”(p.156); “quello che

aveva nel cuore lo diceva” (p. 102). “È stato tutto per noi, perché ha sempre risposto ad ogni richiesta di aiuto”. Nelle sue lettere scriveva: “Pace, serenità e consolazioni, nonostante le tante calamità e tribolazioni da umile ignoto comboniano barlettano; per solidarietà anch’io sono tranquillamente agitato e alle volte anche traumatizzato e arrabbiato per tutto quello che succede; siamo duramente provati e traumatizzati, ma non stroncati. Senza perderci d’animo eleviamo egualmente, sempre con grande fiducia, le nostre suppliche e preghiere, perché ovunque e chiunque in qualsiasi situazione si trova, riesca a vivere il dono della fede in Dio con operosa solidarietà e amorevole condivisione, così da poter dare il giusto senso a questa vita, ottenendo la vera pace del cuore che Gesù Redentore e Salvatore ci comunica sempre. Non ci rimane che sperare e pregare, aumentando la nostra fiducia in Dio e attingere forza, coraggio e conforto, ravvivando così la speranza che diventa certezza nel futuro vivendo realmente con coerenza il messaggio del Cristo Risorto”. Egli “fissava” la sua speranza in Dio e grazie a Dio la manifestava. «Ho sperato, ho sperato nel Signore, ed egli su di me si è chinato, ha dato ascolto al mio grido» (Sal 40,2). P. Raffaele ribadiva: “È proprio in queste sofferte situazioni che questa gente povera riesce a manifestare una fede straordinaria da comunicare anche a me forza e coraggio nell’affrontare le difficoltà e agendo senza paura pur di ottenere la vera pace nella giustizia e rispetto reciproco”. Sono i poveri che ti mostrano Gesù, “scalzo e lacero eppure inspiegabilmente pieno di speranza” (p.21). “C’era un altro desiderio nel cuore di p. Raffaele, cioè quello di vedere gli africani crescere e svilupparsi” (p.161). Egli chiedeva materiale, nel

campo della falegnameria, della meccanica, della sartoria, per far lavorare le persone del posto. P. Raffà sperava in una scuola professionale di arti e mestieri. ”La sua mano generosa si apriva a dare quell’aiuto, che il Signore benediceva dal cielo”. In un’altra cosa sperava, di non morire in Italia: “desidererei morire insieme ai miei ragazzi, voglio morire là, sono loro al mia famiglia” (p.102). Noi oggi gli chiediamo: “Ottieni anche a noi oggi una dose del tuo ottimismo, vero balsamo per gli occhi e l’anima in questo nostro mondo dove tanti microfoni si affannano a propagandare solo le brutte notizie, e dove la virtù della speranza è in così forte ribasso” (p.159). “Il Dio della speranza vi riempia di ogni gioia e pace nella fede, perché abbondiate nella speranza per la virtù dello Spirito Santo” (Rm 15,13).

Angela Rizzi [email protected]

il seminatoredi speranza

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IV

SPECIALE

La fede senza le opere è vana, inuti-le involucro di un'esistenza costru-ita sull'esteriorità di gesti fini a se

stessi, incarto di egoismo ed illusioni. Ma se essa accompagna e si lascia ac-compagnare dall'azione caritatevole, fa risplendere il volto di Dio sugli uomini. Da uomo semplice del Sud, sulle strade polverose dell'Uganda simili a quelle della fanciullezza trascorsa a Barletta, Padre Raffaele Di Bari aveva riempito la sua fede incrollabile in Dio con tante opere in favore di tutti coloro che consi-derava prima fratelli ed un attimo dopo persone nel bisogno. Le parole conte-nute in Loribamoi. Padre Raffaele Di Bari una vita per l'Africa raccontano il suo rendersi strumento di carità seguendo il progetto divino. Ogni te-stimonianza tira fuori la passione di un uomo normale, quale egli era, per un popolo: c'è la compassione nei tormenti, ma anche la gioia del vivere quotidiano. “La sua preoccupazione maggiore – dice S.Em. Francesco Monterisi a p.49 – era salvare i ragazzi della sua parrocchia nella diocesi di Gulu, che gli irriducibili soldati dell'Esercito della Resistenza del Signore, foraggiato dal Sudan islamico, rapivano per arruolarli come bambini-soldato. Forse è questa la causa del suo martirio”. Quei bambini, vittime prima di wiro ki-moo, una sorta di ipnosi di massa attuata da adulti senza scrupo-li, diventavano carnefici imbracciando fucili e “giocando” alla guerra. “Erano quei bambini soldato che lui andava a cercare ovunque – dice Anna Maria Di Bari, cugina di Padre Raffaele, a p.75 – per le pessime condizioni in cui vive-vano. Ci diceva che quando li trovava, pagava per riaverli. Mi disse una volta che doveva dare qualcosa in cambio, anche se non ricordo cosa, per poter avere indietro questi bambini; quasi che lui li ricomprasse da questa gente. Poi li riportava al campo e li accudiva.

Tanti, tanti bambini ha salvato”. Speso completamente nel

recupero e nella valoriz-zazione dei più piccoli,

Padre Raffaele non tralasciava l'impegno verso i più grandi. Afferma a tal propo-sito Mons. Michele Seccia, vescovo di Teramo-Atri, a p.54 che “lo spirito missionario dell'evangelizzatore non lo ha frenato nell'impegno concreto per far fronte alle esigenze più elementari dei villaggi: scuole, pozzi, coltivazione della terra, assistenza solidale e tanto impegno e sacrificio con spirito di ser-vizio per la promozione integrale delle persone e delle comunità, alle quali si sentiva inviato per l'annuncio del Van-gelo”. Questo annuncio era presenza costante e continua, nonostante le avversità e le situazioni contraddittorie che avrebbero scoraggiato anche i più fervorosi. “Viveva una solitudine rispetto a quello che aveva sperimentato negli anni – sottolinea a p.58 Padre Giulio Albanese, fondatore di MISNA – perché in fondo lui diceva: “Sai, in questi anni ho corso a destra e a manca, ho fatto tante cose, ho costruito chiese, cappel-le, poi arriva un colpo di stato, c'è la guerra civile, la ribellione e tutto viene distrutto e allora ricominci a costruire”. Con quella forza d'animo, come un sa-maritano dei tempi moderni, Padre Raffà, come lo chiamava la “sua” gente d'Africa, si spingeva oltre andando a cercare quelle situazioni ai bordi della vita in cui instillare gocce di speranza. “Incancellabile nella mia mente – dice a p.80 Francesco Di Bari, nipote di Padre Raffaele, con lui per un periodo in Uganda, – la situazione di una famiglia in cui il padre era morto e la madre era in fin di vita perché malata di AIDS. Avevano 6 figli piccoli. Padre Raffaele settimanalmente provvedeva in prima persona a far sopravvivere quei figli, sia sostenendoli in tutto quello che serviva per la scuola, sia fornendo loro alimenti ed altro ancora”. Sulla stessa linea le parole di Piergiorgio Da Rold, fondatore dell'associazione onlus “In-sieme si può...” e collaboratore di Padre Di Bari in Uganda. “Avevamo sposato un progetto – dice a p.106 Da Rold – mandammo dei soldi per acquistare

un puliriso nella missione di Opit, dove appunto lui aveva avviato proprio la coltivazione del riso. Fu uno dei primi ad introdurre questa coltivazione in Uganda. Questo permetteva alla gente di avere reddito che aiutava a vivere un po' meglio, tenendo in considerazione tutte le difficoltà dovute all'intensificarsi della guerriglia”. Padre Raffaele, secon-do Padre Ponziano Velluto (p.161), aveva il desiderio di “vedere gli africani crescere e svilupparsi economicamen-te. Perciò in tutte le missioni in cui ha lavorato, egli distribuiva semi a loro ancora sconosciuti, quali il granoturco, il girasole, il riso e nello stesso tempo egli impiantava semplici ma forti mulini per macinare i prodotti che la gente porta-va”. La carità dunque, che non è teoria ma prassi costante e quotidiana, emer-geva viva e sincera da semplici attività e grandi preoccupazioni. “Ci sono tanti missionari che fanno bene il loro dovere – commenta a p.165 Prisca Ojok, ra-gazza ugandese cresciuta con Padre Di Bari – e qualche volta, sia per carattere sia per scelta, restano chiusi nelle loro missioni. Padre Raffà no, era un uomo di villaggio”. Da uomo di villaggio Pa-dre Raffaele Di Bari è morto, ma il suo cuore arde ancora di carità per la sua missione, per ogni singolo suo fratello ugandese.

Salvatore [email protected]

martirio nella carità,testimonianza d’amore

Progetto diocesano interculturaleOGNI UOMO È MIO FRATELLO

Presentato alla Sala Rossa del Ca-stello di Barletta, giovedì 11 novembre scorso, il progetto “Ogni uomo è mio fratello. LA FORESTA SI RACCON-TA”, pensato dalla Commissione Evan-gelizzazione dei Popoli e Cooperazione tra le Chiese e dalla Commissione per l'Educazione cattolica, Scuola, Univer-sità e I.R.C., in collaborazione con il parco divertimento “Miragica-Terra dei Giganti”. La finalità di quest'anno è il sostegno da dare a due missioni: “Non dimentichiamo i bambini di Chernobyl” e “Missione di Pajule in Uganda”. Il tema del raccontare la foresta è quanto mai attuale poiché per volere dell'ONU il 2011 sarà l'anno internazionale della foresta. Coinvolti in questa iniziativa saranno gli alun-ni delle scuole dell'infanzia, primaria, secondaria di 1° e 2° grado: attraver-so percorsi di istruzione, conoscenza e abilità, essi potranno raccontare la foresta mediante drammatizzazioni, esibizioni musicali, fumetti, video o co-struendo una foresta in miniatura con materiale riciclato. Drammatizzazioni, esibizioni e video dovranno pervenire agli organizzatori entro e non oltre il 30 aprile prossimo su dvd. Le adesio-ni delle scuole partecipanti al progetto dovranno essere inviate all'Ufficio Mis-sionario Diocesano (c/o Curia Arcive-scovile, Via Beltrani 9 – 70059 TRANI - Fax 0883494248) indicando il nome dell'insegnante referente col suo nume-ro di telefono.

Sul sito www.crocifissobarletta.it il programma completo del progetto.

Salvatore [email protected]