Speciale Anno X | n. 38 Agosto/Settembre 2017 · Rapporto Italiani nel Mondo curato dalla...

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Speciale SE MANCA UNA VISIONE STRATEGICA Il sistema produttivo regionale e la capacità di export di CARLO DE ROSE POSTE ITALIANE S.p.A. | Spedizione in A. P. D. L. 353/03 | conv. in L. n. 46 del 27/02/2004 | art. 1 comma 1 C/ RM/25/2017 Periodico trimestrale Anno X | n. 38 Agosto/Settembre 2017

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SpecialeSE MANCA

UNA VISIONE STRATEGICA

Il sistema produttivo regionale

e la capacità di export

di CARLO DE ROSE

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Periodico trimestrale Anno X | n. 38 Agosto/Settembre 2017

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Premessa

I dati dell’Anagrafe degli Italiani Residentiall’Estero (AIRE) riportati nell’ultimoRapporto Italiani nel Mondo curato dalla Fondazione Migrantes restituiscono

un’immagine della Calabria come di unaregione che continua a essere una terra di esodo. Nonostante siano lontani i tempidelle grandi emigrazioni che a più ripresehanno segnato la storia italiana, dalla Calabriasi continua a partire. Al 2016, sono circa393.000 i calabresi che, per motivi diversi,vivono al di fuori dei confini nazionali.L’insieme di questi cittadini temporaneamenteo definitivamente allontanatisi dal territorio di nascita equivale al 20% dell’interapopolazione regionale, una quota che è tra le più alte tra tutte le regioni italiane. Ciò significa che, ogni cinque calabresiresidenti nel territorio regionale, ce ne è unoche risiede in un paese estero, sia questo un paese della stessa Unione europea,oppure un paese che ricade in qualche altraarea geografica del mondo.

Ma se si dovessero considerare anchetutti i figli e nipoti delle precedenti generazionidi emigranti, l’incidenza demografica di questoesodo dei calabresi risulterebbe ovviamente ben più elevata. Pur circoscrivendo l’attenzione sugli effettidell’attuale mobilità dei cittadini calabresifotografata dal Rapporto della FondazioneMigrantes, si fa osservare che i datistatistici citati suggeriscono comunqueun interrogativo scomodo.La Calabria è una regione capace di esportareuomini e donne oltre confine; una regionecapace di portare i propri cittadini in contestilontani, distanti per lingua, cultura,organizzazione sociale. Ma questa Calabriapresente a ogni latitudine, è capaceallo stesso modo di esportare anchele proprie produzioni e di valorizzareall’estero il proprio territorio? A questa domanda è possibile dare unarisposta immediata, senza tanti giri di parole.La risposta è no.La Calabria non è capace di esportaresui mercati esteri i propri prodotti e i propriservizi, se non in misura davvero residuale.

Di ogni cinqueCalabresi residentinel territorioregionale, unorisiede in un paeseestero. QuestaCalabria presentea ogni latitudine, è capace allo stessomodo di esportareanche le proprieproduzioni e di valorizzareall’estero il proprioterritorio? La risposta è no

Come nasce questo numero speciale? È legato a un evento fortunato, l’incontro con il prof. Carlo De Rose, relatore a Lorica, lo scorso anno, durante lo svolgimentodella Consulta regionale dei Calabresi nel mondo. De Rose dedicò il suo intervento all’illustrazione dei fattori che ostacolano i processidi internazionalizzazione del sistema produttivo regionale. Penso di poter affermare di aver ascoltato un’autentica lectio magistralis.Una riflessione di grande rigore e chiarezza di proposizioni, libera dalla retoricache spesso ricorre nella trattazione dei temi dello sviluppo economico, politico e sociale.Ho da allora pensato che quella riflessione non dovesse andare dispersa, magariaccantonata in qualche faldone burocratico. E così, pur essendo trascorso quasiun anno, ho chiesto al prof. De Rose di riprendere quel suo report e aggiornarlo,in particolare nei dati statistici nel frattempo modificatisi.Ora possiamo proporlo con questo numero speciale di Itaca soprattutto all’attenzionedi tutti coloro che, a vario titolo, portano la responsabilità delle sorti della nostra regione. Una regione che continua a collocarsi in posizione sensibilmente arretratanelle attività di export così come nell’attrazione degli investimenti. Lo sviluppodella capacità attrattiva dell’offerta regionale, è questo il messaggio che si desumedalla riflessione di De Rose, presuppone un’analisi attenta, che sia finalizzataa individuare obiettivi realistici, iscrivibili all’interno di una vera e propria strategia. Nello stesso tempo richiede un definitivo superamento di quel modello di interventiche in passato ha portato a una sostanziale dispersione di risorse senzache si sia prodotto un impatto significativo sul sistema economico regionale.In questo quadro di riferimento anche la Consulta dei Calabresi nel mondo puòtrovare un suo spazio, così come affermava il prof. De Rose lo scorso anno:«Dovrebbe essere affidato alla Consulta un ruolo più chiaro, mettendo i consultoriin grado di realizzare effettivamente il ruolo loro affidato. Oltre ad agire comeun organo di rappresentanza delle comunità calabresi sparse per il mondo, la Consultapotrebbe oltretutto ricoprire un ruolo di supporto nelle attività delle “diplomazieeconomiche”, favorendo la creazione di una rete di contatti e l’organizzazione di unaserie di eventi all’estero, secondo un programma prestabilito, perseguendo obiettiviprecisi, coerentemente con la strategia regionale in materia d’internazionalizzazione».

Antonio MinasiDirettore ItacaMembro del Direttivo della Consulta dei Calabresi nel mondo

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Un interrogativo questo che non può essereaggirato. A tal riguardo occorre tener contoche il vantaggio derivante dalle esportazionideve comunque essere rapportato al volumedelle importazioni. È infatti il tipo di equilibrioche si stabilisce tra esportazioni e importazioniche in definitiva determina la posizione di forzao debolezza di un sistema economico territorialenella dinamica competitiva sui mercati. Il Rapporto ICE può a tal fine essere assuntoancora come riferimento per ricavare un quadro aggiornato delle dinamiche degliinterscambi con l’estero, tanto in rapportoal sistema paese considerato nel suo insieme,quanto in rapporto alle sue articolazioniterritoriali. Il primo dato di cui dare evidenzaè rappresentato certamente dal saldo positivodegli interscambi commerciali dell’Italiacon il resto del mondo. Pur collocandosia distanza dalla Germania che in Europamantiene il primato delle esportazioni,l’Italia nel 2016 ha ottenuto un risultato di tuttorispetto atteso che il valore economicodelle proprie esportazioni di merci ha superatodi circa 51,5 miliardi di euro il valoredelle corrispondenti importazioni. Ciò a conferma di un tessuto industriale che,nonostante le difficoltà dell’economianazionale spesso evidenziate (crescita ridotta,disoccupazione, costo del lavoro...), mantieneuna certa capacità competitiva, anchein un contesto profondamente mutatoper effetto dei processi di globalizzazione. Spostando l’attenzione dal livello nazionale a quello territoriale, risulta peròimmediatamente evidente che al positivorisultato nazionale contribuiscono in modomolto differenziato i singoli sistemi produttiviregionali. Il saldo negli interscambi commercialicon l’estero è nettamente positivo in alcune areedel paese e addirittura negativo in altre.All’interno del variegato scenario nazionale,la Calabria si colloca per l’appunto tra le areecaratterizzate da importazioni superiorialle esportazioni per ciò che attiene lo scambiodelle merci. Ciò significa che il valoredei prodotti che le imprese regionali importanodall’estero per i propri processi produttiviè superiore a quello che poi queste stesse impreserealizzano attraverso l’export di prodotti finiti.

Ciò perché la produzione finale resta in gran partecollocata commercialmente sul mercato nazionale,se non addirittura nel solo territorio regionale.Sommando il valore delle merci e dei serviziesportati e importati e calcolando il saldo finalesi ottiene per la Calabria un valore economicoresiduo di 28 milioni di euro. Tale valore corrisponde allo 0,04% del saldocomplessivo degli scambi commerciali per merci e servizi realizzati dall’insieme delle regioni italiane. È una frazione del tuttoirrisoria che finisce per far perdere di rilevanzaai pur apprezzabili risultati generati dalcomparto dei servizi turistici.La scarsa capacità delle imprese calabresi di accedere ai mercati e di promuovere la propria offerta di servizi trova per altroverso evidenza negli indicatori relativial grado di apertura internazionale.Ci si riferisce intanto al valore complessivodell’export di merci e servizi rapportatoal numero di occupati.Per il 2016, tale valore per la Calabria equivalea 1.466 euro contro una media di 8.100 eurodel Mezzogiorno e di 21.858 euro dell’interopaese. Un riscontro del tutto simile si ottieneprendendo in considerazione l’indicatorerelativo alla “Propensione a esportare”, intesocome rapporto tra il valore complessivo delleesportazioni (beni e servizi) e il PIL regionale.Per la Calabria, il valore di questo indicatore,espresso in termini percentuali, si attesta a 2,1,in posizione decisamente arretrata rispettoal valore medio dell’insieme delle regionidel Mezzogiorno (12,9) e ancor più distantedal valore medio nazionale (29,2).Se è vero che la quota dell’export di mercirealizzata dal sistema produttivo regionale è residuale, c’è tuttavia da segnalare checiò non è tanto da ricondurre al numerolimitato di aziende calabresi impegnatesui mercati esteri, quanto piuttostoal valore medio del loro fatturato realizzatosu detti mercati. Considerando il solo datorelativo al numero delle imprese calabresiattive nell’export di merci, infatti,il Rapporto ICE segnala per il 2016 la presenzadi circa 1.500 operatori, numero questocorrispondente ad una quota dello 0,7% di tuttigli operatori italiani attivi sui mercati esteri.

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Export e attrazione degli investimenti

A supporto di questa affermazioneiniziamo col considerare i dati di cui si dispone prendendo in considerazione a tal fine

il rapporto annuale dell’ICE.La prima considerazione trae spunto da una percentuale che riassume in modoestremamente efficace la posizione dellaCalabria: 0,1%. Espressa in terminidi proporzioni questa percentuale corrispondea un millesimo. Un millesimo è esattamentela quota dell’export della Calabria sull’interoexport italiano di merci nel 2016.In valore assoluto, questa quota equivalea 414 milioni di euro. Una cifra che dobbiamocommisurare all’intero export nazionaleche invece è di 417 miliardi di euro,dato questo che colloca l’Italia tra i maggioriesportatori mondiali di merci.Potremmo pensare che se la Calabria noneccelle nell’export delle merci, riesca megliosul fronte dei servizi offerti sui mercati esteri.I dati Istat disponibili per il 2016 segnalanoche il valore dell’insieme dei servizi esportatidalla Calabria si aggira intorno a 337 milioni,un valore questo che si attesta su una quotadello 0,5% dell’export nazionale di servizi,che nel 2015 è stato di circa 75 miliardi. A tale risultato contribuiscono in modoprevalente i servizi turistici. In ciò la Calabriarisulta allineata al resto del Mezzogiorno,dove la quota attribuibile alla voce viaggi e turismo costituisce oltre il 90% dei servizivenduti ad operatori e consumatori residentiall’estero. Sempre al comparto turistico,inoltre, occorre ricondurre il significativotasso di crescita registrato nell’ultimoquinquennio, con una quota sul valorecomplessivo dell’export nazionaleche per la Calabria è più che raddoppiata(dallo 0,2% allo 0,5%) per effetto soprattuttodell’aumento degli arrivi di stranieri resopossibile grazie ad una maggiore attrattivitàdelle strutture ricettive. Come documentatodall’Agenzia Nazionale del Turismo (ENIT),

Un millesimo, nel 2016,è la quotadell’export di mercidella Calabriasull’intero exportitaliano. E i serviziesportati? Intorno allo 0,5%. E in rapportoall’interoMezzogiorno? La Calabria si collocaall’ultimo posto,dopo il Molise che ha unapopolazione un sesto di quellacalabrese

Le importazioni della Calabria sono largamentesuperiori alle esportazioni. Ciò perché laproduzione finale resta in gran parte collocatacommercialmente sul mercato nazionale, se non addirittura nel solo territorio regionale. Il saldo finale è dello 0,04% di quello nazionale

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in Calabria nel 2015 è difatti confluitauna quota dello 0,44% di tutti i turististranieri arrivati in Italia. Nel tentaredi iscrivere questi dati in un contestopiù generale si potrà forse pensareche la Calabria condivida una situazione di scarsa performance nell’export con altreregioni del Mezzogiorno, persistendo ancoraquella famosa frattura economica tra nord e sud del paese. Questo è in parte vero. In effetti, se ci si concentra sulla collocazioneinternazionale delle sole merci (escludendoper il momento la quota dei servizi), emergeche circa il 90% dell’intero export italianoè generato dalle imprese del centro-nord Italia.Ma la Calabria, ci si potrà chiedere, nel panorama delle sole regioni delMezzogiorno, come si colloca? Purtroppo si colloca esattamente all’ultimo posto. La quota dello 0,1% sull’export di merci è la quota più bassa tra tutte le regioni italiane.È più bassa perfino di quella di una piccolaregione del Mezzogiorno quale il Moliseche al 2016 ha una popolazione di circa310.000 abitanti, corrispondentegrossomodo a un sesto della popolazionedella Calabria. Andando ancora avanticon l’analisi dei dati statistici a nostradisposizione c’è da chiedersi che rapportoesista tra export e import.

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Quali le cause?

Se questi dati segnalano sintomievidenti di un malessere e di unadebolezza del sistema produttivoregionale, occorre a questo punto

provare a identificare quelle che possonoconsiderarsi le possibili cause. A tal riguardo c’è intanto da evidenziare comeil modesto volume dell’export generatodalle imprese calabresi sia in parte riconducibilead alcuni fattori strutturali spesso richiamatidagli analisti economici. Ci si riferisce alle dimensioni ridotte delle unità produttive, all’assenza di vere e proprie filiere, alla scarsa specializzazione del comparto industriale, alla polverizzazioneterritoriale delle imprese. I dati statistici riportati nel Rapporto ICE del 2016 segnalano che le imprese italianeche hanno fino a nove addetti rappresentanoi due terzi di tutte le imprese che operanosui mercati esteri. La totalità di queste microimprese, però, riesce a realizzare un volumedi affari corrispondente solo al 6% di tuttol’export nazionale. Poi vi sono le impreseche hanno tra 10 e 49 addetti.Queste rappresentano un’altra significativaquota del 28% di tutte le imprese che operanosui mercati esteri. La totalità di queste piccoleimprese riesce a realizzare un volume di affaricorrispondente al 18% di tutto l’export nazionale.

Le restanti imprese, quelle con 50 addettie più costituiscono solo il 6,4% di tuttele imprese che operano sui mercati esteri,ma realizzano da sole un volume di affaricorrispondente al 75% di tutto l’export nazionale.È evidente, dunque, che la dimensione conta.Del resto questa semplice conclusionecui giungiamo alla luce dei dati era ancheprevedibile. Detto in altri termini, l’accessoai mercati esteri presenta delle barriere all’ingressoe queste barriere sono più facilmente superabilidalle imprese più grandi.Ciò non solo per una ragione che ha a che farecon la capacità produttiva, ma ancheper ragioni che hanno a che fare conl’organizzazione aziendale, con la presenzadi personale che può essere dedicato ai rapporticommerciali con l’estero, con la capacitàdi operare anche quei piccoli investimentida cui dipende la comunicazione, la costruzionedi relazioni commerciali...Se ribaltiamo queste considerazioni sul pianoregionale non possiamo non considerareche la struttura dimensionale delle impresecalabresi può effettivamente considerarsi un primo fattore di svantaggio nell’accessoai mercati esteri.Come si ricava dai dati Istat, infatti,il tessuto regionale delle imprese è costituitoper il 97,2% da micro imprese (fino a 9 addetti),per il 2,6% da imprese medio-piccole(tra 10 e 49 addetti) e solo per lo 0,3%da imprese maggiori (da 50 addetti in su).

Ciò significa che il sistema produttivoregionale non è tanto da considerarsi deficitarioin termini d’iniziativa imprenditorialeorientata all’export, quanto in terminidi efficacia commerciale di questa iniziativa.Detto in altri termini, le imprese calabresisono presenti sui mercati internazionali,ma realizzano su questi mercati un fatturatomedio annuo relativamente modesto(282.000 euro) se rapportato a quellomediamente realizzato dalle impresedel Mezzogiorno (1.538.000 euro)e a quello medio nazionale (1.893.000 euro).Oltretutto, considerando che, per comeindicato nel Rapporto ICE, il volumecomplessivo dell’export della Calabriaè realizzato per il 71% dai primi 50 operatori,il fatturato annuo delle 1.415 rimanentiimprese regionali impegnate in attivitàdi export si attesta a ben vedere su un valoremedio decisamente inferiore (84.000 euro).Un simile fatturato annuo non puòche segnalare una posizione di debolezzanell’operatività delle aziende calabresisui mercati internazionali, lasciandopresupporre di conseguenza anchedegli investimenti minimi da partedelle stesse aziende e verosimilmentemargini operativi risicati, che in alcunicasi possono anche tradursiin perdite di esercizio che col tempofiniscono per scoraggiare le stesse iniziativecommerciali oltre frontiera.

La debolezza commerciale sui circuitiinternazionali si rispecchia infine nel limitatolivello d’internazionalizzazione delle impreselocalizzate in Calabria.Sull’insieme delle 10.907 imprese italianea partecipazione estera censite al 2016,infatti, solo 32 risultano localizzatenel territorio regionale.Similmente, sull’insieme delle 28.034imprese estere a partecipazione italianarilevate nello stesso anno, solo 22 hannosede in Calabria. Tali dati lasciano intravedereun duplice problema di fiducia di cui soffreil sistema regionale nelle valutazionidegli operatori stranieri. Da una parte stannoa indicare che le imprese localizzate in Calabria non riescono ad attrarre capitali dall’estero.Dall’altra, che il territorio regionale non è percepito come un luogo favorevole agli insediamenti e alle partnership industriali.

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Non è deficitarial’iniziativaorientataall’export,piuttosto l’efficaciacommerciale. Il fatturato annuoè realizzato per il 71% dai primi50 operatori, il rimanente da 1.415. Una debolezzadimostrataanche dallalimitata presenza di impreseinternazionalilocalizzate in Calabria

In regionesono prevalenti le impresemedio-piccoleche a livellonazionalerealizzano il 18%di tutto l’export sui mercati esteri.Quelle con 50 addetti e più costituisconosoltanto il 6,4%ma realizzano da sole un volumedi affaripari al 75%. È evidente che contala dimensione

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Se poi si vuole prendere in considerazionepiù rigorosamente la questione delle distanze,occorrerebbe anche tener conto dei vantaggiderivanti per la Calabria dalle prossimitàgeografiche.Ci si riferisce qui ai mercati del fronte adriaticoe di quelli del Mediterraneo.Del resto non è un caso se le imprese calabresirealizzano una quota del 7% del proprio exportproprio sui mercati dei paesi dell’Africasettentrionale allorché sull’intero exportnazionale la quota realizzata su questi mercatidi sbocco è solo del 3%. La questione delle distanze non può che essereridimensionata, inoltre, in riferimentoai mercati oltre oceano, per i quali gli operatoridelle diverse regioni italiane si confrontanocon costi simili. La distanza, in definitiva, non può essereassunta neanche essa come la spiegazione ultimadei successi o insuccessi nell’export regionale.Resta un terzo elemento strutturaleda considerare che riguarda l’assettodel sistema produttivo regionale.Questo sistema produttivo è polverizzato.È polverizzato non solo perché prevalgono piccolee piccolissime imprese, ma perché le impreseche esistono non costituiscono a ben vedereun sistema produttivo in grado di competerecome tale sui mercati.

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Ma l’evidenza di questa conclusione è in parte contraddetta dal fatto che il tessutoindustriale della Calabria, in termini di composizione per classe di addettinon è dissimile da quello che caratterizzanel suo complesso l’insieme del Mezzogiorno,dove il valore medio dell’export per aziendaesportatrice è decisamente più alto.La verità è che l’Italia è caratterizzata nel suo insieme da un sistema produttivostoricamente costituito da un tessuto di microe piccole imprese. Se, dunque, possiamoattribuire un certo rilievo alla dimensionedelle imprese riconoscendo proprionella dimensione delle imprese un vincolo nell’accesso ai mercati esteri,dobbiamo al contempo riconoscere che questofattore da solo non potrebbe spiegare il divariocosì ampio tra la Calabria e le altre regioni in fatto di capacità di export.Prova ne è che altre regioni che pure presentanouna dimensione media delle imprese simile a quella calabrese riescono comunquea realizzare risultati migliori nell’export. L’altro elemento da considerare è la distanzadai mercati di sbocco.Un problema spesso evocato dagli stessiimprenditori calabresi.Effettivamente non si può disconoscere chesi tratta di uno svantaggio che ha il suo peso.

Uno svantaggio che risultaancor più evidentese si considera che una quotasignificativa dell’exportnazionale è indirizzatoproprio sui mercati del centronord Europa, con Germania,Francia, Svizzera in testa. Si intuisce cioè che è più facileper un’impresa della Lombardia o dell’Emilia Romagnaesportare in Germania,che non per una impresacalabrese. Oltretutto, a talesvantaggio legato al trasportoa destinazione dei prodottise ne aggiunge un altroche è quello degli svantaggiderivanti dai costi di trasportoper gli approvvigionamenti.Il che significa che le imprese calabresisono comparativamente svantaggiate due volterispetto alle imprese delle regioni del nord.Non c’è dubbio che la distanza ha il suo peso.Per lo meno se consideriamo i mercati di sbocco del centro-nord Europa.Diversa dovrebbe essere la situazionese si considerano altri mercati di destinazioneraggiungibili via mare, dove probabilmentele imprese calabresi potrebbero goderedi qualche altro vantaggio dovutoalla loro localizzazione geografica.Anche in questo caso, tuttavia, occorre osservareche si tratta di un fattore che probabilmentespiega solo in parte le difficoltà di accessoai mercati esteri. Non si vuole con ciò direche la distanza geografica dai mercatidi destinazione costituisca una condizionedi svantaggio da sottovalutare.Anzi. Essa resta sicuramente un problema di fondo rispetto al quale mantengono grandeimportanza tutti gli interventi strutturalifinalizzati ad una diversificazione delle rottedei trasporti commerciali. Operando un’analisi comparata, tuttavia, non si può non riconoscere che altre regioni del sud ugualmente distanti dai mercati del centro nord Europa presentano risultati più performanti di quelli calabresiin fatto di export.

La difficoltàdell’accessoai mercati esteriè determinataanche, comespesso lamentanogli imprenditori,dalle distanzegeograficheaggravatedai ritardiinfrastrutturalidel territorio.Un fattore peròche non puòspiegare da solol’ampio divariotra la Calabriae le altre regioni

Il sistema produttivo regionale è polverizzato.Non solo per le dimensioni piccole e piccolissime delle imprese ma anche per l’assenza di distretti industriali (in Italia sono 141)che favoriscano aggregazioni e integrazioni di filiera. Ogni impresa combatte la propria guerra da sola

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Non a caso la Calabria ha ottenutoil riconoscimento di ben quattro DOP.Nonostante si tratti di un comparto produttivointorno al quale si potrebbe costruire l’immaginedi una specializzazione regionale, questocomparto soffre però di una serie di limiti. Intanto esso è caratterizzato dall’assenzadi una vera filiera. I suini o le carni suineda lavorare sono prodotte solo in minima partenel territorio regionale. La più parte provienedal nord Italia o dall’estero. Questo fatto giàdi per sé costituisce uno svantaggio competitivosia perché si devono mettere in conto costidi approvvigionamento più alti dovutiall’incidenza dei trasporti, sia perché nonsi riesce a costruire una immagine coerentedel prodotto legata al territorio. Nella produzionedei salumi prodotti in Calabria, infatti, si usanoper lo più razze che non sono autoctone.

La consistenza in termini di numero di capi del così detto “suino nero di Calabria” è d’altronde molto limitata.A questa debolezza negli approvvigionamentidelle carni (cui sarebbero da aggiungerela dipendenza dall’esterno anche perl’approvvigionamento di altre materie primeutilizzate nella lavorazione dei salumi,compreso il peperoncino che rappresentaun prodotto simbolo della culturagastronomica calabrese) si aggiunge un’altradebolezza, che riguarda la dipendenzatecnologica dall’esterno.In Emilia Romagna, Veneto e Lombardia,regioni dove si realizza una quota importantedella produzione di salumi nazionali,non solo ci sono i salumifici, ma ci sono anchegli allevamenti, i produttori di foraggio,e poi ci sono anche i produttori delle macchinee degli impianti utilizzati nella lavorazionedei salumi e nel confezionamento.Questa integrazione in Calabria mancadel tutto e di fatto anche sul piano tecnologicole imprese soffrono una dipendenzadall’esterno che erode a sua volta risorsee che riduce la capacità competitiva sui mercati,soprattutto quelli esteri.Le macchine e gli impianti per l’industriadei salumi sono pensate, progettatee realizzate altrove, il che significache l’impresa calabrese spesso si limitaa far proprie tecnologie sviluppate da altri. E anche quando serve un pezzo di ricambio o un intervento di manutenzione si paga un costo connesso al fatto che la propria unitàproduttiva è isolata nel contesto territorialeregionale in cui opera. Anche questo terzo elemento potrebbe essereaddotto come un fattore di limitazione della capacità di export regionale.Tra quelli citati finora probabilmenteè quello che determina maggiori vincoli.L’assenza di distretti, la struttura delle filierecorte con la dipendenza che ne deriva

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A tal riguardo si potrebbe affermare chein Calabria ogni impresa combatte la propriaguerra da sola, muovendosi in una situazionedi relativo isolamento. Un isolamentocui corrisponde d’altronde un’assenza di reti.Le imprese calabresi non fanno sistematra loro e scarse sono le forme d’integrazionesia orizzontale che verticale. In Calabria di fatto non esistono dei distrettiindustriali. In occasione dell’Ultimo censimentodell’industria, l’Istat ne ha identificati ben 141.Nessuno di questi è in Calabria o interessaqualche comune della Calabria.Non esistono dunque sistemi territorialisovracomunali in cui è possibile riconoscereuna vera specializzazione, una concentrazionesignificativa di imprese operanti in uno stessocomparto produttivo.Anche quando esistono degli abbozzidi specializzazione, questi abbozzidi specializzazione non danno neanche luogoalla creazione di forme di integrazione di filiera. C’è qualche esperienza di integrazione nel settore agro alimentare,dove le imprese che si occupanodi trasformazione sono riuscite a mettere in piedi sistemi virtuosi di conferimento da parte dei produttori che operano a montedella filiera. Sono modelli interessanti,ma sono anche casi isolati, che ancoranon riescono a generare processi emulativi.

Anche quando degli abbozzi di specializzazioneproduttiva sono riconoscibili sul territorioregionale, inoltre, ci si confronta non di rarocon altri limiti.Prendiamo a titolo meramente esemplificativoil comparto produttivo dei salumi, prodottosimbolo della produzione tipica regionale.

C’è qualcheesperienzadi integrazionenel settoreagro-alimentare,ma sono casi isolati.Per esempio,nella produzionedei salumi,ben quattro DOP,comparto simbolodella culturagastronomicaregionale,l’assenzadi una vera filieracostituisceun notevolesvantaggiocompetitivo

L’assenza di distretti, la struttura dellefiliere cortecon la dipendenzache ne deriva siaper il rifornimento delle materie prime,sia nello sviluppotecnologico,non possono tuttaviaessere assunte come spiegazionisufficienti dellescarse performancedell’export regionale

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o ad adeguarsi alle normative e alla logicadei controlli di qualità (particolarmentestringenti proprio su quei prodotti alimentariche fanno parte dell’offerta regionale).Un insieme di difficoltà che trovano confermanei dati relativi al modesto fatturato medioannuo (84.000 euro) della stragrandemaggioranza (97%) delle aziende regionalicoinvolte nell’export. E a tal fine c’è anche da evidenziare l’effettonegativo indotto dalla diffusa e ostinatainclinazione di molti imprenditori,oltre che degli altri attori coinvolti (cameredi commercio, associazioni di produttori,esponenti del mondo istituzionale locale) a voler veicolare a tutti i costi una immaginedelle produzioni e delle risorse del territorioche è spesso ben al di sopra della realtà.Gli operatori del mercato, come anchei consumatori (compresi i turisti), in genere non premiano lo scarto percepito tra le parole e i fatti, tra rappresentazioni e realtà. Ciò in genere induce a ritirare la fiduciaaccordata e a considerare con sospettotutta l’offerta associata a un determinatocontesto territoriale, con un dannoche si riversa indistintamente anchesu quegli operatori calabresi più virtuosi.

Non serve, per fare un esempio, voler esaltarei salumi calabresi presentandoli come veree proprie eccellenze della norcineria nazionale.In verità l’offerta regionale di saluminon gode di un posizionamento sul mercatoper come ci si potrebbe invece aspettaresulla base della tanto spesso sbandierataqualità dei prodotti tipici regionalie dei riconoscimenti DOP ottenuti.Similmente, non serve a nulla esaltarele bellezze del territorio e l’invidiabilepatrimonio delle coste e delle aree montanepromuovendo spot pubblicitari comein una sorta di vetrina tutta virtualedi una Calabria incontaminata e accogliente.Meglio sarebbe riconoscere i problemiche esistono e intervenire su essi.Meglio sarebbe dirsi, senza intercedere in inutiliquanto insostenibili auto celebrazioni,che sulle centinaia di chilometri di costa esisteun grave e irrisolto problema che è quello del mare inquinato che scoraggia qualsiasiturista a preferire la Calabria o che fa pentirechiunque di averla scelta come meta estiva per le proprie vacanze; per cui tra gli abitualifrequentatori di queste coste per un periododell’anno strettamente limitato ai mesi di luglioe agosto, restano soltanto i bagnanti locali o della vicina Campania che si ritrovano ad avere una casa di proprietà che cederebberovolentieri se non fosse che il valore immobiliaredelle abitazioni è nel frattempo crollato,lasciando in eredità soltanto una insensata e poco lungimirante urbanizzazione del litoraleche non genera una effettiva ricchezzaper il territorio. Meglio sarebbe ammettereche una località come Lorica, spesso dipintacome un fiore all’occhiello del paesaggio silano,costituisce un esemplare fallimento dellepolitiche di attrazione turistica regionale.

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sia negli approvvigionamenti delle materie prime,sia nello sviluppo tecnologico, non possonotuttavia essere assunte come spiegazionisufficienti per dar conto in modo esaustivodelle scarse performance nell’export regionale. Il fatto è che il modesto volume dell’exportregionale è piuttosto l’espressione di altri vincolirintracciabili più precisamente nelle difficoltàoperative che molte imprese calabresihanno nel superare le barriere all’ingresso tipichedei mercati esteri e nell’affrontare in modopiù efficace la competizione internazionale.

Una difficoltà che non è riconducibile soltantoai vincoli strutturali, che pure esistono,ma che deriva semmai dal tipo di orientamentostrategico delle imprese stesse, risultandotale difficoltà condizionata altresì da alcunedebolezze sul fronte organizzativo e da una serie di inadeguatezze relative alla conoscenza dei mercati di sbocco, al tipo di comunicazione adottata, al corretto usodegli strumenti di promozione commerciale,alle competenze del personale.Tutte questioni, a ben vedere, sulle quali sarebbepossibile intervenire con azioni mirate.L’export di merci e l’attrattività del territorio è poi fortemente condizionata da una assenzadi coerenza nelle così dette “azioni di sistema”.I singoli operatori sono deboli nella competizioneinternazionale anche perché si muovonoin un contesto per così dire ostile, scarsamenteorientato alla valorizzazione dell’iniziativaimprenditoriale e alla cooperazione, dovesi fa fatica a far nascere collaborazioni effettivecon il mondo della ricerca sul frontedel trasferimento tecnologico, in cui non sonochiare neanche le direttrici su cui si fondala politica di sviluppo regionale, dovendooltretutto affrontare autonomamente alcunisvantaggi associati proprio alla localizzazione

periferica, come ad esempioquelli derivanti dallepenalizzanti condizionidi accesso al credito.Né si può pensare,per lo meno allo stato attuale,che l’export regionale possafondarsi sulla forza attrattivadell’identità territorialeassociata a una certatradizione produttiva,sempre che non ci si vogliailludere dei vantaggiche possono derivare dainostalgici ricordi dei “saporidi un tempo” dei tanticalabresi che vivono all’estero.Oltretutto, se è veroche la domanda dei calabresiall’estero ha consentitodi generare nel corso del tempoun certo volume di venditedei prodotti regionali in direzione per lo piùdella Germania e della Svizzera, è verosimileche questa specifica domanda sia piuttostodestinata a esaurirsi nei prossimi anni,allorché i figli di quei migranti calabresiavranno definitivamente adottato differentistili di vita (e di consumi) rispetto a quellidei propri genitori.Ad essere più realistici, occorrerebbeinvece riconoscere che nel panoramainternazionale l’offerta calabreseè poco visibile e scarsamenteattrattiva. E occorrerebbe ancheprendere atto che quando pure riescead ottenere un qualche riconoscimento,si tratta di un riconoscimentocircoscritto e talvolta discontinuo,a riprova anche del fatto che esisteuna difficoltà da parte di molteimprese che si affaccianosui mercati esteri a garantirenel tempo gli standarde i volumi di produzionerichiesti dai partnercommerciali che hannodato loro fiducia,oltre che una difficoltàa competere nel rapporto qualità/prezzo

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Nel panorama internazionale l’offertacalabrese è poco visibile e scarsamenteattrattiva. Esiste una difficoltà a garantirenel tempo gli standard e i volumidi produzione oltre che competerenel rapporto qualità/prezzo o ad adeguarsialle normative dei controlli di qualità

Non serve esaltare le bellezze del territorio e l’invidiabile patrimoniodelle coste e delle aree montanepromuovendo spot pubblicitari di una Calabria incontaminatae accogliente. Meglio sarebbe riconoscere i problemi e intervenire su essi

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l’attenzione e l’interesse di eventualiinvestitori e operatori internazionaliorganizzando con grande cura – e con modalitàcomunicative innovative – eventi di presentazioneinternazionale dei progetti imprenditoriali e delle soluzioni sviluppate dalle imprese calabresipiù competitive (comprese le giovani start-up)oltre che dei vantaggi e delle opportunità(e facilitazioni) localizzative connesseagli insediamenti industriali sul territorio.Tali eventi potrebbero essere organizzatiin collaborazione con le camere di commercio,con le autorità e gli enti locali coinvolti,con le università e i centri di ricerca del territorio.Si potrebbe anche pensare a una sortadi borsino delle innovazioni tecnologiche,uno strumento attraverso il quale richiamarel’attenzione sulla Calabria come laboratoriodi nuove idee e opportunità in contrastocon la sua immagine di periferia.Ancora, si potrebbero immaginare delle azioni a regia regionale improntate sul modello delle così dette “diplomazie economiche”,identificando nuovi partners (sia pubblici che privati) presso i quali promuovere il territorio regionale per la realizzazione

di investimenti o per il rafforzamentodei servizi esistenti, come ad esempioquelli afferenti al sistema portuale, sia turisticoche commerciale, cui oltretutto andrebbeassegnato un ruolo più rilevante, e rispettoal quale la stessa Regione dovrebbe operareuna negoziazione decisamente più incisivanelle sedi opportune, recuperando se necessariospazi di potere decisionale anche nei riguardidell’Autorità portuale o facendosi promotore di interlocuzioni strategiche con i più significativiplayer internazionali coinvolti nella gestionedelle rotte. A prescindere dalle ipotesid’intervento qui suggerite, le quali vanno intesecome delle esemplificazioni rispettoa un certo modo di intendere e affrontarele sfide dell’internazionalizzazione, si vuolein chiusura ritornare sulla questione più generaleche riguarda il processo di costruzione di unastrategia. Questo costituisce il vero vulnusdella politica regionale, rintracciabile anchenella programmazione attraverso cui si perseguel’attuazione delle politiche comunitarie.Manca una visione strategica, e questo è il temacruciale su cui varrebbe forse la pena aprireun dibattito costruttivo tra tutti gli attori in campo.

Quale strategia per la Calabria?

L’ analisi fin qui propostapotrebbe sembrare impietosaed eccessivamente focalizzatasulle debolezze della Calabria.

L’intento perseguito nel richiamare l’attenzionesul quadro esistente non è tuttavia quellodi proporre l’ennesima esternazione disfattista. Il proposito è piuttosto quello di suscitareuna riflessione meno compiaciuta intornoalla situazione del sistema economico regionalenella ferma convinzione che, diversamenteda quello che l’evidenza dei dati fin qui citatipuò indurre a pensare, esistono comunquemargini per promuovere dei processi virtuosidi cambiamento. Certo è necessario prendereatto con franchezza della gravità della situazioneed essere anche consapevoli che si impongonodelle scelte difficili. Circoscrivendo l’attenzione al solo temadell’export e dell’attrazione degli investimentioccorre intanto prendere atto che è necessariauna vera e propria strategia fondatasu un’analisi più rigorosa di quelli che sonoi fattori da cui dipende la capacità attrattivadell’offerta regionale. Una strategia sulla basedella quale siano identificate in modo convincentele priorità da perseguire e le azioni da metterein campo per attuarle. Da questo punto di vistasi scorgono ancora delle evidenti carenze. Si continua cioè a brancolare nel buioe a procedere senza avere degli obiettivi credibili e in assenza di un indirizzo chiaro, realizzandointerventi tra loro sconnessi che non generanoalcun impatto significativo.Un’azione più decisa e meglio pianificata inveces’impone con urgenza e ciò interpella in primoluogo l’ente Regione in ragione delle suefunzioni istituzionali. Ma l’azione chiamain causa anche altri soggetti della società civile.Ci si riferisce al sistema della ricerca e dellaformazione universitaria, al sistema dellecamere di commercio, alle associazioni deiproduttori, alle imprese stesse.La Regione Calabria dovrebbe intantoassegnare un maggiore rilievo al settoreInternazionalizzazione con il propositodi rendere più coerenti tra loro, e al contempopiù efficaci, tulle le azioni che possono avereuna concreta ricaduta sulle performancedel sistema regionale nella competizioneinternazionale. Tra queste, quelle che restanopiù urgenti riguardano proprio il supportoda dare alle imprese perché siano in gradodi competere in modo più qualificato.

Utilissima risulterebbe, ad esempio, un’azioneformativa di alto livello a favore del personaledelle imprese coinvolte nelle iniziative di exportsui temi che attengono la conoscenza deimercati, la messa a punto di una strategiadi marketing nel posizionamento dei prodotti, la contrattualistica, i sistemi distributivi nei mercati target, gli strumenti di promozionecommerciale (compreso l’e-commerce), le normative locali in materia doganale,le soluzioni per il trasporto delle merci,la gestione dei pagamenti internazionali... Tra le azioni da promuovere, inoltre,rientrerebbero quelle afferenti alle missionicommerciali (sia all’estero, sia in Calabria) che possono consentire forme di comunicazionepiù efficaci e la creazione di una rete di contattie di eventi basati su una attenta selezione a monte degli operatori coinvolti ed unaaccurata formulazione dell’offerta regionale da promuovere (sia essa un’offerta di merci o anche un’offerta di servizi turistici),magari anche in partnership con il sistemadelle camere di commercio o con le associazionidei produttori o anche con eventuali consorzisorti con il precipuo intento di favorirele esportazioni delle imprese regionali.Simili missioni commerciali, potrebberodiventare parte integrante di una strategia di internazionalizzazione più convincente; una strategia che preveda anche una presa di distanza da certe prassi inefficacidi rappresentanza della Calabria all’esterofin qui seguite dalla stessa amministrazioneregionale. Non serve infatti investire in costosistand regionali con i quali veicolare unaimmagine della Calabria nelle fiere in giroper il mondo, quando poi l’offerta regionale neicomparti produttivi interessati non è adeguata,qualificata, pronta a reggere il confronto.L’effetto che in questi casi si ottiene, oltretutto, è esattamente opposto a quello perseguito,contribuendo a veicolare presso gli operatoriuna immagine debole dell’offerta regionale.Detto in altri termini, ad una fierainternazionale la Regione Calabria dovrebbepensare di prendere parte solo e soltantose tale partecipazione costituisce effettivamenteun tassello di una strategia attentamentee scrupolosamente studiata (non decisaall’ultimo momento), e solo se dietro a quellapartecipazione esiste un tessuto di impresecapaci di competere sui mercati internazionali.Altrimenti si tratta solo di tempo e risorsepubbliche perse, il cui risultato finale si traduceparadossalmente solo in un danno d’immagineper il brand regionale. Sul fronte dell’attrazione degli investimenti,potrebbe poi risultare utile richiamare

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Carlo De RoseSociologo, ha conseguito il dottorato di ricerca pressol’Università Cattolica di Milano.Attualmente insegna presso il Dipartimento di ScienzePolitiche e Sociali dell’Universitàdella Calabria ed è direttore del Corso di alta formazione in Euro-progettazione presso la Scuola Superiore di Scienzedelle AmministrazioniPubbliche. Tra i temi di interessescientifico rientrano quellirelativi allo sviluppo locale,all’imprenditoria nelle areeeconomicamente svantaggiate,alla valutazione delle politiche pubbliche.

Una strategia sulla base della qualesiano individuatein modoconvincente le priorità da perseguire e le azioni da mettere in campo per attuarle. Ciò interpella in primo luogol’ente Regione con le sue funzioniistituzionali ma anche altri soggetti della società civile

L’internazionalizzazione chiama in causale stesse imprese e sollecita processi interni,non tanto di innovazione tecnologica,che da sola non basta, ma di innovazionedei contenuti strategici, organizzativi e comunicativi.Dunque, un grande lavoro da fareall’interno e a supporto delle imprese

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PERIODICO TRIMESTRALEAnno X - n. 38 Agosto/Settembre 2017Registrazione n. 2/08, Tribunale Palmi (RC)del 17.01.2008 | Iscrizione al ROC n. 29583 del 25.05.2017 | Associato FUSIE

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