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Periferie Trimestrale Direzione Redazione v. Ludovico Pasini 47/2 00158 Roma Tel. 3407956470 Registrazione Tribunale di Roma 623/96 del 13/12/96 GENNAIO/GIUGNO 2020 ANNO XXIV N. 93 94 Poste Italiane SpA - Sped. Abb. Postale 70% - DBC Roma SPECIALE: Altre Lingue-Achille Serrao - II edizione alla Biblioteca Nazionale Centrale di Roma pp. 3-17 Ricordo di: Joseph Tusiani p. 18 Umberto Migliorisi p. 21

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Periferie Trimestrale

Direzione Redazione v. Ludovico Pasini 47/2 00158 Roma Tel. 3407956470

Registrazione Tribunale di Roma 623/96 del 13/12/96

GENNAIO/GIUGNO 2020

ANNO XXIV N. 9394

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SPECIALE: Altre Lingue-Achille Serrao - II edizione alla Biblioteca Nazionale Centrale di Roma pp. 3-17

Ricordo di: Joseph Tusiani

p. 18 Umberto Migliorisi

p. 21

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2 Periferie Gennaio/Giugno 2020SOMMARIO

SPECIALE 3-17 Altre Lingue-Achille Serrao: un successo 3 Anna Maria Farabbi 4 Fabio Franzin 5 Francesco Gabellini 6 Francesco Granatiero 8 Maria Lenti 9 Dante Maffìa 10 Enrico Meloni 11 Roberto Pagan 12 Marco Scalabrino 14 Gianpaolo Serra 15 Andreina Trusgnach 16 CI HANNO LASCIATO 16-20 Joseph Tusiani, poeta di due mondi e in quattro lingue 18 In ricordo di Umberto Migliorisi 21 PINOCCHIO IN DIALETTO L’avventure de Pinocchio di Pierino Pennesi 22 Stornellata de Pinocchio di Fabio Prasca 24 I NOSTRI LIBRI 26 Gí e ní di Ombretta Ciurnelli 26 Vanzature/Avanzi di Vincenzo Luciani 28 Il giorno che non sai di Claudio Porena 30

COME RICEVERE PERIFERIE - INVIARE 20,00 euro sul c/c/p 59612879 intestato a Asso-ciazione Periferie - Roma IBAN IT29I0760103200000059612879, indicando nella causale “sostenitore Periferie”. Il CENTRO POESIA DIALETTALE “VINCENZO SCAR-PELLINO” (presso la Biblioteca G. Rodari, in via Francesco Tovaglieri 237a - 00155 Roma - tel. 3407956470) invita a spe-dire gratis testi dialettali (poesie, antologie, riviste, monografie, dizionari, materiali video e audio). Il bollettino dei libri del Centro è sul sito www.poetidelparco.it (sezione Poeti in dialetto: “Centro di documentazione” del menu).

ANNO XXIV N. 93-94 Gennaio/Giugno 2020 TRIMESTRALE DIRETTORE RESPONSABILE Bruno Cimino DIRETTORI Manuel Cohen e Vincenzo Luciani REDAZIONE M. Gabriella Canfarelli Anna Maria Curci, Anna De Simone Nelvia Di Monte, Maria Lenti Claudio Porena, Maurizio Rossi, Cosma Siani, Rosangela Zoppi DIREZIONE E REDAZIONE via L. Pasini 47 int. 2 c/o Luciani 00158 Roma - T. 3407956470 E-mail [email protected] https://poetidelparco.it REGISTRAZIONE Tribunale di Roma n. 623/96 del 13/12/96 REALIZZAZIONE Cofine srl - Roma STAMPA Grafica 90 sas via delle Palme, 109 - Roma FINITO DI STAMPARE Luglio 2020 QUOTA ANNUA SOSTENITORI 20,00 € (con 4 numeri della rivista) sul c/c/p 59612879 intestato a Associazione Periferie - Roma IBAN IT29 I0760103200000059612879 – Arretrati 10,00 € - Tutti i numeri dal 36 (annoX, 2005) sono pubblicati in PDF su https://poetidelparco.it/rivista-periferie

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3 SPECIALE

Altre Lingue-Achille Serrao: un successo Alla Biblioteca Nazionale di Roma fusione del canto dei poeti nei dialetti d’Italia con quello dei cori popolari

La seconda edi-zione di “ALTRE LINGUE-Achille Serrao. Incontro e Reading di poeti nei dialetti e lin-gue d’Italia e Cori popolari”, che si è svolta il 14 feb-braio nella Biblio-teca Nazionale Centrale di Roma, è stata aperta con un saluto di Eleonora Cardinale, responsabile dell’Ufficio Ar-chivi e Biblioteche letterarie contempo-ranee della BNCR, la quale ha annun-ciato che è stata completata la cata- logazione del fondo di 3000 volumi do-nato dal “Centro di documentazione della poesia dialettale italiana ‘Vincenzo Scarpellino’” nel 2018, il quale è quindi accessibile per la consultazione e che la Biblioteca si adoprerà perché non sia smembrato, ma mantenga la sua inte-grità e unitarietà.

È stato poi proiettato un video in cui il poeta Luigi Bressan ha salutato i par-tecipanti, sottolineando l’amicizia e la frequentazione artistica con Achille Ser-rao e con Amedeo Giacomini.

Vincenzo Luciani ha sottolineato la peculiarità dell’incontro caratterizzato dalla fusione del canto dei poeti nelle Altre Lingue con quello dei cori popolari del ricco patrimonio delle regioni ita-liane. Con questo evento – ha affermato – si realizza il sogno di Achille Serrao di una verifica costante dello stato del-l’arte della poesia nei dialetti d’Italia.

Con la riconosciuta competenza il poeta e critico Manuel Cohen, condi-rettore di “Periferie”, ha introdotto i

poeti che hanno animato il rea-ding con sinteti-che annotazioni su vita ed opere.

La voce dei poeti si è poi mi-rabilmente fusa con i canti dei cori che, sotto la sa-piente regia del M° Paula Gal-

lardo Serrao, si sono alternati ese-guendo brani della tradizione popolare italiana: il coro giovanile Voci d’Oro dell’Istituto Comprensivo di via dei Se-sami di Roma Centocelle, il Nuovo Coro Popolare del Centro Studi Atelier Cen-todue di Roma Torpignattara – diretti dal M° Gallardo – il Coro CAI di Aprilia diretto dal M° Emanuela Della Torre e il Coro Incontrocanto di Ardea diretto dal M° Francesco De Stefani.

Ai partecipanti è stato offerto l’opu-scolo Altre Lingue - Achille Serrao II Edizione, con i testi dei poeti (Ed. Co-fine, pp. 32, € 5,00).

Molto apprezzato anche il rinfresco serale offerto da Panificio Rossello, Vini Cardeto e Sogester.

Altri approfondimenti e alcuni video dell’evento sono pubblicati in https:// poetidelparco.it/successo-della-2a-edizione-di-altre-lingue-achille-serrao/. Tutti i video con introduzione critica di Manuel Cohen dei poeti par-tecipanti al reading sono presenti nel canale youtube raggiungibile dalla pa-gina https://poetidelparco.it/altre-lin-gue-achille-serrao-seconda-edizione-2020-tutti-i-video-del-reading/

Da p. 4 a p. 17 testi e biografie dei poeti

Periferie Gennaio/Giugno 2020

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4 Periferie Gennaio/Giugno 2020SPECIALE

ANNA MARIA FARABBI (Dialetto umbro)

Poeta, narratrice, saggista e traduttrice, Anna Maria Farabbi di-rige la collana “Signature” per l’editrice Terra d’Ulivi e la collana

“Una via altra di pane, tavola, vino e molto silenzio” per Lietocolle. Tra le sue ultime pubblicazioni, per la poesia: Il segno della fem-

mina, 2000; La magnifica bestia (bilingue in italiano e tedesco) 2007; Adlujè, 2003; Dentro la O, 2016, Abse, 2013; la casa degli scemi, 2017; per

la narrativa: la tela di penelope, 2003; leièmaria, 2013; per la narrativa ragazzi: Caro diario azzurro, 2013; per il teatro: la morte dice in dialetto da Rossopietra, 2013. Per la saggistica: Louise Michel, è che il potere è maledetto e per questo io sono anarchica, 2017, Perugia, 2014; per la poesia per ragazzi: Talamimamma.

quillo che m’embocca achille e amedeo

vo da me a travento nciò bisogno del fojo canto a passra

quello che mi imboccano achille e amedeo1 vado da sola funambolicamente nel vento non ho bisogno del foglio canto a passera

1 Achille Serrao e Amedeo Giacomini

(Da dentro la O, Kammer edizioni, 2016) ***

ldialetto ldiceva lmi babbo e lmi babbo ce lò ncorpo si fo cadé la lengua nterra m’esce

il dialetto lo diceva il mio babbo e il mio babbo ce l’ho in corpo

se faccio cadere la lingua in terra mi esce (Da Abse, Il ponte del sale, 2013)

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5 SPECIALE

Rosso

Io so l’inferno briaco. Lingua nrabbita nfoco. La luminaria ntla trippa viva del taburo, lune luje luce la batterella del roscio. Io so lmosco ntol bucobujo dl’orecchio del demogno. E lfojo ceso ntrono.

Io sono l’inferno ubriaco. Lingua idrofoba in fuoco. L’intensità illuminata nella pancia ritmica del tamburo: vulcano in testa, scintilla, interiorità ustoria della lente: i tuoni miocardici del tuorlo. Io sono il morso nel bucobuio dell’orecchio del demonio. E il foglio acceso in trono.

(Da Adlujé, Il ponte del sale, 2003) FABIO FRANZIN (Dialetto Veneto-Trevigiano dell’Opitergino-Mottense)

Fabio Franzin è nato nel 1963 a Milano. Vive a Motta di Livenza (TV). È redattore della rivista “Smerilliana”.

Ha pubblicato le opere di poesia: Il groviglio delle virgole, 2005; Pare (padre), 2006; Mus.cio e roe (Muschio e spine), 2007; Fabrica, 2009; Rosario de siénzhi (Rosario di silenzi – Rožni venec iz tišine), 2010, edizione trilingue con traduzione in sloveno di Marko Kravos; Siénzhio e orazhión (Silenzio e preghiera), 2010; Co’e man monche (Con le mani moz-zate), 2011; Canti dell’offesa, 2011; Margini e rive, 2012; Bestie e stranbi, 2013; Fabrica e altre poesie, 2013; Sesti/Gesti, 2015; Erba e aria, 2017; Corpo dea realtà/Corpo della realtà, 2019.

Periferie Gennaio/Giugno 2020

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6 Periferie Gennaio/Giugno 2020SPECIALE

Mondo

Mondo sii, e buono (Andrea Zanzotto)

Son qua che varde mé fiòl e ’na só amighéta tuti intenti a zogàr col pongo, far su omenéti, caséte, strani animài, destiràdhi tel tàpeo, co’i pìnini descalzhi.

E dopo, come i fa òni tant i putèi (noàntri invezhe pì spess) stufarse, o chissà, ’n’antra forma de arte, divertirse a strazhàrle, schinzhàrle, incoeàrle su tute quante chee statue, a inpastàr ’na polpeta, un bàeon, (’na spèzhie de pìcoeo mondo de tanti cóeori), i se ’o passa de man, i ’o modhèa, ora lù ora ea, co’ i dedhìni che struca, i palmi che fraca, che slissa, e intant i se ’a ride e i se ’a gode, e intant che i se conta calcòssa i ’o fa ’ncora pì bon e rotondo. Co’ i só sesti i ’o salva.

MONDO - Sto osservando mio figlio / e una sua amichetta tutti intenti / a giocare col pongo, creare omini, / casette, strani animali, distesi / sul tappeto, coi piedini-scalzi. / E poi, come fanno ogni tanto i bambini / (noi adulti invece più spesso) stan-carsi, / o chissà, un’altra forma di arte, / divertirsi a distruggerle, schiacciarle, / incollarle su tutte quante quelle figure, / impastare una polpetta, un pallone / (una sorta di mondo in miniatura / di tanti colori), se lo passano / di mano, lo modellano, ora lui, ora / lei, coi ditini che premono, i palmi / che comprimono, che levigano, e intanto se la / ridono e se la godono, e intanto che si / raccontano qualcosa lo fanno ancora più buono / e rotondo. Coi loro gesti lo salvano. – (Da Corpo dea realtà, Puntoacapo, 2019) FRANCESCO GABELLINI (Dialetto romagnolo)

Francesco Gabellini è nato nel 1962 a Riccione, dove vive. Ha pubblicato le raccolte di poesie in dialetto romagnolo: Aqua de silénzie, 1997; Da un scur a cl’èlt (Da un buio all’altro), 2000; Sluntanès, 2003; Caléndre, 2008; A la mnuda, 2011. È presente in Poeti in romagnolo del secondo Novecento, a c. di Pietro Civitareale, 2005 e nelle antologie: Poeti in romagnolo del Novecento, a

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7 SPECIALE

c. di P. Civitareale, 2006; Guardando per terra - Voci della poesia contempo-ranea in dialetto a cura di Piero Marelli, 2011; L’Italia a pezzi, 2014; Dizionario dei poeti dialettali romagnoli del 900, a c. di Gianni Fucci e Giuseppe Bellosi, 2006. Nel 2016 ha pubblicato Zimmer frei, 5 monologhi teatrali in romagnolo. Collabora con “Città Teatro” di Riccione, che ha messo in scena suoi testi teatrali e col festival “Lingue di confine” di Rimini, diretto da Fabio Bruschi. A sò mort

A sò mort. U s’è fat tótt scur d’un bòt. Ò santì dal fride me cor, l’à cmènz andè piò pién, adès u s fèrma dafàt. A n sènt piò e’ pòuns, u m pèr … u n bat piò. Alè, a sò mort! L’era da un pò ad tèmp ch’al giva mè che un dè o cl’èlt a sarìa mort. Dìs ch’u s’arvèd a t’un mumènt la vita sèna, come t’un film, tótt i arcòrd i artòrna mèss insèn. Sarà! Mu mè ichè u m pèr d’nu vèda un caz! Vilma! Vilma! A sò mort! Tótt t’una volta a n vègh piò gnìnt, l’è un gran scur. Ta n gni crèd? At dèggh isè ch’a so mort, a n ti sènt gnènca piò, cus’è ti dètt? L’è andè via la luce?! Ti cès la lavatrice! A t l’avrò dètt mèll volte, l’è cès ènca la stufa e e’ forne. U n tìn! Adès e’ sarà sèlt l’automatic, u m tòca andè a’rtachèl, e’ piòv anchè. Già ch’ò e’ fridòr, isè a fnèss ad malèm e e’ va a fnì che un dè o cl’èlt a mòr.

SONO MORTO - Sono morto. D’un tratto si è fatto tutto buio. / Ho sentito delle fitte al cuore, ha iniziato / ad andare più piano, adesso finisce che si ferma. / Non sento più il polso, mi sembra … / non batte più. Alè, sono morto! / Era da un po’ di tempo che lo dicevo io / che un giorno o l’altro sarei morto. / Dicono si riveda in un momento / la vita intera, come in un film, / tutti i ricordi ritornano messi insieme. / Sarà! A me qui sembra di non vedere un cazzo! / Vilma! Vilma! Sono morto! / Tutt’ad un tratto non vedo più niente, / è un gran buio. Non ci credi? / Ti dico che sono morto, / non ti sento neanche più, cos’hai detto? / È andata via la luce? / Hai acceso la lavatrice! Te l’avrò detto / mille volte, sono accesi anche la stufa e il forno. / Non tiene! Adesso sarà saltato l’automatico, / mi tocca andare a riattaccarlo, piove anche. / Già che ho il raffreddore, così finisco di ammalarmi / e va a finire che un giorno o l’altro muoio.

Periferie Gennaio/Giugno 2020

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8 Periferie Gennaio/Giugno 2020SPECIALE

FRANCESCO GRANATIERO (Dialetto pugliese di Mattinata, FG) Francesco Granatiero è nato a Mattinata (Foggia) nel 1949. Dal 1972 vive a Torino. Ha pubblicato una quindicina di libri di poesia,

tra cui U iréne (1983), Énece (1994), Scúerzele (2002), Bbommine (2006), Passéte (2008), La chiéve de l’úrte (2011). Tra le numerose

altre opere, la Grammatica del dialetto di Mattinata (1987), La memo-ria delle parole (2002) e il monumentale Vocabolario dei dialetti garganici

(2012). Da alcuni anni sta lavorando a una grafia unitaria dei singoli dialetti del Centro-Sud. Sono del 2019 Spòreve (Potatura), edito da Aragno, e Premeture (Guidaleschi), un’antologia poetica personale, con una sezione di inediti, corre-data da un’ampia scelta (da Tesio a Brevini, da Gibellini a Loi) di contributi critici e biobibliografici a cura di Raffaele Marciano. Premeture

A u chépecíerre pragne ngènne sótte la còreve e u mule nen-ge lagne, avézze carne e còreie a u stúele i mmòsche sagne nu muscche de patòreie. Ata chiéje – e n-ge stagne – nd’u córe mie de sòreve...

Vejéte lu quatrére plu scýenucchie scuppéte, ca scýóche e n-ge ne cure. Amére la screjéte d’u córe a mè cchiù cchére m’ajèpre premeture. SBUCCIATURE - Al garrese piaga / brucia sotto l’arco del basto / e il mulo non si lagna, / avvezza carne e cuoio // al nugolo di mosche sanguina / una spalla di patimenti. / Altra piaga – e non stagna – / nel mio cuore di sorba... // Beato il ragazzo / con il ginocchio sbucciato, / che gioca e non se ne cura. // Amara il dileguo / del cuore a me più caro / mi apre sbucciatura. – (Da La chiéve de l’úrte)

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9 SPECIALE

MARIA LENTI (Dialetto di Urbino)

Maria Lenti, poeta, narratrice, saggista, giornalista-pubblicista, è nata e vive a Urbino. Studiosa di letteratura ed arte. Tra i suoi libri: Versi alfabetici, 2004 (poesie), Cambio di luci, 2009 (fi-nalista al premio di poesia “Pascoli”), Giardini d’aria, 2011 (rac-conti), Effetto giorno, 2012 (scritti critici già in quotidiani e riviste), Cartografie neodialettali, 2014 (sui poeti neodialettali di Romagna e d’altri luoghi), Ai piedi del faro, 2014 (poesie), Certe piccole lune 2017 (racconti, premio Fara “narrabilando”), Elena, Ecuba e le altre, 2019 (3° premio al Ponte-dilegnoPoesia, 2019), gli studi Amore del Cinema e della Resistenza, 2009, In vino levitas. Poeti latini e vino, 2014. Nel 2006 ha vinto lo “Zirè d’oro” (L’Aquila). Pan salat

sa de sal el pan diceva el mi ba’ lontano e solo non il mio pane sa di sale oggi un po’ de fortuna l’ho avutta tla mi vitta un po’ l’ho guadagnato con gioia sa de sal el pan che mi consuma ogni giorno per gli anni che scorrono per chi en c’è più da tant per chi la su’ giornata la suda a fond in ti paes divers del mond spintonato da rapine mostruose di risorse lavori a braccia nude su chi è allagato da infelicità che ci sia un colpevole (sa di sale lo pane altrui dice Dante) che colpevole sia la vita (esistenzialismo contato sulle dita) sa de sal, chel bon, el pan ch’ trov la matina prest quand s’alsa el sol

sa de sal…el mi ba’: sa di sale il pane, diceva il mio babbo; un po’ de fortuna l’ho avutta tla mi vitta: un po’ di fortuna l’ho avuta nella mia vita; en c’è più da tant: non c’è più da tanto tempo; la su’ giornata...divers del mond: suda la sua giornata a fondo / nei paesi diversi del mondo; sa de sal, ... el sol: sa di sale, quello buono, il pane che trovo / la mattina presto quando si alza il sole.

Periferie Gennaio/Giugno 2020

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10 Periferie Gennaio/Giugno 2020SPECIALE

DANTE MAFFÌA (Dialetto calabrese di Roseto Capo Spulico, CS)

Fu segnalato da Aldo Palazzeschi e da Leonardo Sciascia che, con Dario Bellezza, lo ritengono «uno dei più felici poeti dell’Italia moderna». Giudizio condiviso anche da Magris, Bodei, Ferroni, Pontiggia, Brodskji, Vargas Llosa, Dario Fo, Borges.

È tradotto in 18 lingue. Ha vinto i Premi: “Montale”, “Gatto”, “Stresa”, “Viareggio”, “Alvaro”, “Matteotti”, “Camaiore”, “Tar-

quinia Cardarelli”, “Circe Sabaudia”, “Rhegium Julii”, “Alda Merini”. “Eminescu”. Nel dialetto di Roseto (Calabria) ha pubblicato A vìti tùtt’i jùrne,1997;

U Ddìje poverìlle, 1990; I rùspe cannarùte, 1995; Papaciòmme, 2000. Nel 2004 il Presidente C. A. Ciampi lo ha insignito di medaglia d’oro per

meriti culturali. Il Consiglio Regionale della Calabria, le Fondazioni Spinelli, Guarasci, Farina, Di Liegro e Crocetta, l’Università di Craiova, lo hanno candidato al Premio Nobel. Recente il volume degli Atti del Convegno sulla sua opera, Ti presento Maffia, a c. di Rocco Paternostro (Aracne). Alla vurracchia cchiu’ ntajete

Egge sudète sètte cammìse prìm’i capìsce a lìnghe di vurràcchie; pe me fè capìsce. A nge vuguì nnènte, bastàvede jìd’ appriìsse allu rumòr’i llàque e guardè come se tuffàvene, guardè i jùche gùre.

Mo a nne fùjene cchiù quànne vìdene c’arrìve alla cìbbia, anze me mànnene parùgue nnammurète e me cùntene vìcchie pommedìje du sògue ca spìss’è stète nu fìglie i pùttene. A lùne no, ha sèmpe gauzèt’i vràzze pi reguardè. Ma non me vùglie mmesc’chè nti fàtte gùre. Egge preghèt’a vurràcchie cchiù ntajète de stèd’allèrte sùtt’a chèsa tùje, u mère jè tentatòre, a nze po mèje sapè

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11 SPECIALE

ca da llè pàssede angun’u cantastòrie e te cunvìnced’a jì cu jìlle.

ALLA RANA PIÙ FANGOSA - Ho sudato sette camicie / prima di capire la lingua delle rane; / per farmi capire. / Era molto semplice, / bastava seguire lo scroscio dell’acqua / osservare come si tuffavano / e osservare i loro giochi. /Adesso non fuggono più / vedendomi arrivare allo stagno, / anzi mi mandano messaggi d’amore / e mi raccontano antiche favole del sole / che più d’una volta è stato bastardo. / La luna no, / ha sempre alzato le braccia / per difenderle. / Ma non voglio entrare / nelle loro faccende private. / Ho pregato la rana più fangosa / di stare all’erta sotto la tua casa, / il mare è tentatore, / non si sa mai / che da lì passi qualche cantastorie / e ti convinca a seguirlo.

ENRICO MELONI (Dialetto romanesco)

Laureato in Storia moderna e in Documentazione, è dottore di ricerca in Italianistica. Insegna in un liceo statale di Roma. Ha pubblicato racconti, poesie, saggi letterari e storici in an-tologie, riviste cartacee e sul web. Sono usciti in volume: il ro-manzo TrePadri (2002), la silloge poetica Arca allo sbando? (2004), il poemetto dialettale Er davenì (2007), il romanzo Quando gli squali mangiano vento (2012), la raccolta di poesie Fratelli mia (2015), il saggio Del nostro caos e della solitudine (2017) sulla memoria letteraria dell’internamento dei militari italiani nei lager nazisti. Nel 2020 uscirà la nuova edizione di TrePadri. Canta Fabber

Che antro ve serve da ste vite? Mo’ cche sto celo ar petto l’ha ccorpite mo’ cche ’r celo a li bbordi l’ha scorpite. Na storiaccia sbajata canta Fabber ma un canto addietro

via de leggerezza ne li trascorzi de Pietralata sti regazzi c’asciutteno la vita siccome assorve er vento le corpe vicennevole de sogni senza staggione, diacci ner sol d’agosto o ccotti a la tropea.

Periferie Gennaio/Giugno 2020

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12 Periferie Gennaio/Giugno 2020SPECIALE

Na controvita nun cerca la sarvezza è na sfida svariata, tignosa affogata nell’ebbrezza de un fonno che nun vede la radice. Che antro ve serve da ste vite? Mo’ cche ’r celo a li bbordi l’ha scorpite mo’ cche er sabbione l’ha ariseppellite. Na storiaccia sbajata canta Fabber co un fiato de rimorzo na traccia biforcuta de corpe che sto novemmre assorve ne la mollaccia a lo sboccà der Tibber.

CANTA FABER - Cos’altro vi serve da queste vite? / Ora che il cielo al centro le ha colpite / ora che il cielo ai bordi le ha scolpite. // Una storia sbagliata canta Faber / ma un canto indietro / via di leggerezza / nei trascorsi di Pietralata / ragazzi che asciugano la vita / così come assolve il vento / le colpe vicendevoli di sogni / senza stagione, gelidi / nel sole di agosto o riarsi nella bufera. // Una controvita non cerca la salvezza / è una sfida molteplice, ostinata / affogata nell’ebbrezza / di un fondo che non vede la radice. // Cos’altro vi serve da queste vite? / Ora che il cielo ai bordi le ha scolpite / ora che il sabbione le ha riseppellite. // Una storia sbagliata canta Faber / con un alito di rimorso / una traccia biforcuta di colpe / che questo novembre assolve / nel fango alle foci del Tevere. (Poesia ispirata da una canzone di Fabrizio De André e dedicata a Pier Paolo Pasolini. Pre-miata alla X Edizione del Concorso nazionale di poesia in dialetto “Vittorio Monaco – Vie della memoria”)

ROBERTO PAGAN (Dialetto triestino)

Roberto Pagan è nato nel 1934 a Trieste, dove si è formato nella scia degli ultimi rappresentanti di quella grande stagione giuliana della cultura mitteleu-ropea: Saba, Giotti, Stuparich, Marin. Dal 1969 vive tra Roma e la Maremma toscana.

Scrittore, critico e poeta, la sua opera in versi è compresa in: Sillabe, 1983; Genealogie con ritratti, 1985; Il velen dell’argomento, 1992, Per linee interne, 1999; Miniature di bosco - 101 haiku, 2002; Vizio d’aria, 2003, Il sale sulla coda, 2005, Archivi dell’occhio, 2008, Alighe, 2011 (vincitore del premio “Città di Ischitella-Pietro Giannone” 2011); Le belle ore del Duca, 2012 Robe de no creder (Cose da non credere). Versi in dialetto triestino, 2014, Là dove il periplo si chiude. Poesie 1963-2016 (2017). Nel 2015 ha raccolto nel volume Un mare

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13 SPECIALE

d’inchiostro. Pagine su ‘pagine’ e altri cabotaggi la sua pro-duzione critica degli ultimi quindici anni.

I colori

Iera diversi una volta, no per dir, anca i colori. Presempio el zalo canarin, ch’el cantava, te capirà, contento sora i teti nel sol. Ghe iera alegro ch’el se ciapava el vento sul balcon el verde bandiera, come no? Ma el blu carta de zùcaro dove te vol trovarlo ’desso? E cussì el maronzin scartozo, che iera fin che iera el botegher col lapis copiativo su la ’recia, che po el faseva el conto come un bolide svelto che gnanca la machineta. Ma el color che mi più me comoveva, el più segreto, se ciamava (no rider, che no invento) panza de monega: sbiadì par su’ natura, ma cussì cangiante che ognidun se figurava altro come ch’el voleva, rosa, lila, un poco più violeto: palido, patido, ma perciò ch’el te piaseva, lagrima de passion e de mistero, sconto come l’osso del pèrsigo, un poco velenoso. Iera el color de le panchine frugade, dei tapedi rosigai dei sorzi che se vedi la trama, le coverte lise, i travi carolai nei castei, miseria e nobiltà. Anca de zerte vite tarlade, sufigade nei rimorsi, sole lassade come el suro sul mar. Te vedi ch’el galegia, parcossa no se sa.

I COLORI - Una volta, non faccio per dire, ma erano diversi / anche i colori. Per esempio il giallo / canarino, che cantava, capirai, tutto contento / sui tetti pieni di sole. Allegro era anche il verde / bandiera, che si godeva il vento sul balcone. Per forza. Ma il blu carta da zucchero, / dove lo trovi adesso? E così il marroncino / carta da impacco, che esisteva finché c’era il pizzicagnolo col lapis / copiativo in bilico sull’orecchio, che poi ti faceva il conto / svelto come un bolide meglio di una macchinetta calcolatrice. / Ma il colore per me più commovente, il più segreto / si chiamava (non ridere, perché non invento) / “pancia di monaca”: sbiadito per sua natura, ma così / cangiante che ognuno poteva figurarselo a modo suo / come vo-leva: rosa, lillà, violetto / pallido, sciupato, ma per questo ti piaceva, lacrima / di passione e di mistero, nascosto come il nocciolo / della pesca, un poco anche velenoso. Era il colore delle panchine / logore, dei tappeti rosicchiati dai topi che mostrano la trama / le coperte lise, le travi consumate / dei castelli, miseria e nobiltà. Anche di certe vite / tarlate, soffocate dai rimorsi, lasciate sole / come il pezzo di sughero sul mare. Vedi che sta a galla / ma non sai perché.

Periferie Gennaio/Giugno 2020

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14 Periferie Gennaio/Giugno 2020SPECIALE

MARCO SCALABRINO (Dialetto siciliano)

Marco Scalabrino è nato nel 1952 a Trapani. Ha pubblicato i libri in dialetto siciliano: Palori (1997); Tempu palori aschi emaravigghi (2002); Canzuna di vita di morti d’amuri (2006) e La casa viola ( 2010). Ha pubblicato Na farfalla mi vasau lu nasu, adattamenti in dialetto siciliano di testi scelti di autori stranieri (2014); La puisia di / The Poetry of Marco Scalabrino (U.S.A. 2018). Ha

raccolto parte del suo lavoro critico in Parleremo dell’arte che è più buona degli uomini. Saggi di poesia dialettale siciliana (2013).

Ha scritto tre commedie in dialetto siciliano: “Lu Carrubbu Di Titta” (1993), “L’affari Busillis” (1994), “B & B Paradisu” (2019). È stato compo-

nente della equipe regionale del progetto L.I.R.e.S., promosso dal Ministero dell’Istruzione, per lo studio del Dialetto Siciliano nella Scuola. C’è...

C’è tanfu di morti e scrùsciu di guerra. C’è in giru arrè pi st’Europa lasca crozzi abbirmati cu li manu a l’aria. C’è surci di cunnuttu assimpicati chi abbentanu ogni notti di cristallu li picca l’esuli l’emarginati. C’è forbici ammulati di straforu chi tàgghianu di nettu niuru e biancu lu sud lu nord lu pregiu lu difettu. C’è vucchi allattariati di murvusi chi masticanu vavi di sintenzi cu ciati amari chiù di trizzi d’agghia. C’è svastichi c’è fasci c’è banneri chi approntanu li furni a camiatura cu faiddi di libra e di pinzeri. C’è culi ariani beddi e prufumati chi strunzìanu fora di li cessi. C’è di quartiàrisi; c’è di ncugnari. C’è catervi di cazzi di scardari – droga travagghiu paci libirtà giustizia malatia puvirtà... e c’è na razza sula: chidda umana.

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15 SPECIALE

C’È... - C’è tanfo di morte e brontolio di guerra. / C’è in giro daccapo in quest’Europa lacerata / vermicai di teschi le braccia alzate al cielo. // C’è topi di fogna assatanati / che azzannano in notti di cristallo / i deboli i reietti i senza-voce. // C’è subdole forbici affilate / che tagliano senza pietà il bianco e il nero / il sud e il nord il pregio e il difetto. // C’è bocche sguaiate di mocciosi / che masticano bave di sentenze / dal fiato greve più di trecce d’aglio. // C’è svastiche c’è fasci c’è bandiere / proclivi a riaccendere fornaci / e lingue di fuoco a divorare sapere e civiltà. // C’è culi ariani lisci e profumati / che stanno facendo del mondo una latrina. / C’è da stare alla larga; c’è da tenersi stretti l’un l’altro e resistere. // C’è cataste di rogne da grattare / - droga lavoro pace libertà / giustizia malattia povertà... // e c’è una razza sola: quella umana. GIANPAOLO SERRA (Lingua sarda)

Gianpaolo Serra, nato a Orune (NU), nel 1961, vive a Olbia e lavora nel campo della Emergenza/Urgenza Sanitaria. Sin dal-l’adolescenza si è dedicato alla composizione poetica nel rispetto delle tradizioni popolari della Sardegna. Appartenente alla Accade-mia Tradizioni Popolari “Su Nugoresu” di Nuoro da un ventennio, è com-ponente del Coro della medesima ed è uno studioso del canto corale sardo e del canto a “Tenores”. Collabora con il periodico “Piazza del Popolo” di Berchidda (SS). Ha pubblicato il libro autobiografico Supra s’ala ’e s’ammentu. Ha raccolto in un volumetto 50 poesie in sardo con filo conduttore l’Amore in tutte le sue forme. Nel 2019 si è classificato 3° nel Premio Ischitella-Pietro Giannone con la raccolta inedita di filastrocche in nuorese A duru a duru (Ninna Nanna). Emigrantes

Sun tuccaos in bhiazu suzandesi sa vida che pedalos de ispera e de mele incravande miseria e rajolu a sa furca ’e sos maghiarjos sun tuccaos chena destinu e de parthimenta grabidos de olvidaduras craras imbolicaos ’e paramentos de miseros campadores sun moghios chin ballizas prenas de nudda calicunu chin fizos agrestes a tentu calicunu chin foeminas a cara perdia e trinta soddos

Periferie Gennaio/Giugno 2020

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16 Periferie Gennaio/Giugno 2020SPECIALE

sun moghios chenza limbazu isciaos de tempos chi nemos disizat e teraccos de isconnotos meres

MIGRANTI - Partirono per un viaggio / succhiando la vita / come petali di speranza e di miele / inchiodando miseria e rabbia / alle forche degli indovini // partirono privi di destino / e di condivisione / gravidi di chiari oblii / avvolti in paramenti / da miseri viventi // partirono su valigie colme di vuoto / qualcuno con bambini agresti per mano / qualcuno con donne dai volti smarriti // e trenta denari // par-tirono senza un linguaggio / schiavi dei tempi che nessuno volle / e servi di padroni sconosciuti ANDREINA TRUSGNACH (Dialetto sloveno delle Valli del Natisone, UD)

Andreina “Cekova” Trusgnach, appartenente alla minoranza linguistica slovena del Friuli Venezia Giulia, è nata a Cividale

(UD) nel 1961 e risiede a Cosizza di S. Leonardo (UD). Scrive prosa e testi poetici nel dialetto sloveno delle Valli del Natisone, pubblicati su riviste ed antologie. Nel 2011 ha pubblicato il li-bro di poesie Sanje morejo plut vesoko (I sogni possono volare

alti). Si è classificata al 1° posto al Festival Fronta (2013, Ko-barid, Slovenija), al Blue notte (2018, GO), nella sezione lingue

minoritarie Premio internazionale G. Bertacchi (2019, Sondrio), nella finalissima dello stesso premio (2019, Campidoglio, Roma) e al

2° posto al Premio Ischitella-Pietro Giannone (2019, Ischitella FG) con la rac-colta inedita Pingulauenca, ki jo nie bluo (L’altalena che non c’era). Kamanovi ziduovi

Staza je le tista ku k se jo zmislen od nimar kar naše mame zjutra po mlekarenci so hodile daj zad za brieg pobjerat kostanj an mi po šuol smo jin hodil pruot za ponosni parnest damu naš težki žaki

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Samuo par počivalah smo brieme snemali dol z ramaneh an se nomalo odpočil manku dokjer noge se nieso genjale trest Tenčas smo popil tiste pomarznjeno kafe uoz glažove staklenčiče ki grede ki smo šli gor smo bli skril u špranjah zidu an naše mame so se pokazale nimar prečudene za nas videt vesele Je bla nimar že tama kar smo še bližali vasi an use domače naloge so ble šele za narest Staza je nimar le tista pa malomanj popunoma požgarta an ziduovi le napri zgubiajo kamane ki omagani se spuščajo u pokrive Se tačajo teli kamani se tačajo do sarca

MURETTI A SECCO - Il sentiero è lo stesso / come lo ricordo da sempre // quando le nostre mamme / al mattino dopo la latteria / andavano fin dietro la montagna / a raccogliere le castagne / e noi dopo scuola / ci recavamo loro incontro / per ri-portare / orgogliosi a casa / il nostro pesante sacco // Solo su alcuni muretti prescelti / toglie-vamo il carico dalle spalle / e ci riposavamo un poco / almeno finché le gambe / non smettevano di tremare. // Allora bevevamo quel caffè raf-freddato / dalla bottiglietta di vetro / che all’an-data avevamo nascosto / nelle fenditure del muro / e le nostre mamme / ogni volta facevano finta di sorprendersi / per vederci felici. // Era immancabilmente buio / quando ci avvicinavamo al paese / e tutti i compiti per casa / erano ancora da fare. // Il sentiero è sempre lo stesso / ma quasi comple-tamente inghiottito / e i muri continuano a perdere pietre / che sconfitte si abban-donano alle ortiche. // Rotolano queste pietre / rotolano fino sul cuore

Periferie Gennaio/Giugno 2020

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18 Periferie Gennaio/Giugno 2020CI HANNO LASCIATO

Joseph Tusiani, poeta dei due mondi e in quattro lingue

di Cosma Siani

Joseph Tusiani è ve-nuto meno l’11 aprile scorso, all’età di 96 anni, a Manhattan, New York.

L’emigrazione era scritta nel destino di Jo-seph. Già i nonni ebbero esperienze emigratorie; e quando egli nacque, nel 1924 a San Marco in La-mis nel Gargano, il pa-dre, calzolaio, era partito da sei mesi per il Norda-merica. Non sarebbe mai più tornato.

Per ventitré anni padre e figlio si co-nobbero soltanto per lettera e qualche rara foto. Tusiani visse la propria infanzia con la sola madre, in una condizione so-ciale di povertà. Dopo le scuole elemen-tari, frequentate in paese, abbracciò la vocazione religiosa ed entrò nel seminario comboniano di Troia, presso Foggia. Vi frequentò le prime due classi di “ginna-sio”, continuò con la terza, quarta e quinta presso l’Istituto comboniano di Brescia, e fece l’anno di noviziato in quello di Venegono Superiore, Varese. Poi la vocazione venne meno, e fece ri-torno a casa. Completò gli studi nei propri luoghi con il triennio di liceo classico, e si iscrisse all’università di Napoli, dove conseguì la laurea in lettere nel luglio del 1947. Ai primi di settembre partiva per il viaggio irreversibile verso New York.

A New York, dove la famiglia ricon-giunta l’anno seguente si accrebbe di un rampollo, Tusiani si mise subito alla ri-cerca di lavoro come docente. In una uni-versità privata e cattolica, il College of Mount Saint Vincent, nel Bronx, si stabi-lizzerà insegnando ininterrottamente dal

1948 al 1971, per poi tra-sferirsi al Herbert H. Lehman College della City University of New York, sempre nel Bronx. Qui resterà fino al 1983, anno in cui ritirandosi dall’insegnamento di-viene emeritus.

Da questo punto l’atti-vità di Tusiani coincide con la stesura e la pub-blicazione dei suoi lavori.

È tuttavia da registrare il trasferimento dal Bronx, dove ha sempre abitato, a Manhattan nel 1997, evento dettato da ragioni familiari, ma vissuto come un’al-tra migrazione nell’animo irrisolto di chi per cinquant’anni ha dimorato nel cuore antico dell’etnia italiana.

Altro dato notevole, l’infoltirsi dei viaggi in Italia e al paese d’origine dai primi anni Novanta in poi, in un emigrato complessivamente restio al viaggio e ai ritorni nella madrepatria.

Fin dall’inizio la personalità di Joseph Tusiani appare come un magma di fer-menti anche disordinati, di aspirazioni forti, serviti da una velocità di apprendi-mento e capacità di lavoro non comuni. Le sue letture giovanili non furono siste-matiche ma casuali. Al ginnasio aveva letto tutti i libri di D’Annunzio malgrado fossero proibiti a un seminarista. Certi suoi appunti di lettura dell’epoca confer-mano il predominio dannunziano e la scarsa esposizione a tendenze letterarie novecentesche. Influenze seguenti e forti furono Pascoli, Carducci, i crepuscolari, e più duratura, quella del poeta inglese oggetto della sua tesi di laurea (“La natura

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nella poesia di William Wordsworth”), relatore Cesare Foligno che, nella prefa-zione a una raccolta poetica giovanile (Peccato e Luce, 1949), individuò come “serietà dolorante” un carattere perma-nente della sua produzione creativa.

La formazione degli anni giovanili si radicò ancor di più per via dell’emigra-zione e del suo portato di tempesta affet-tiva, memoria, persistente mal du pays, intellettualizzazione del nostos.

Ma i caratteri di fondo della personalità restano quelli plasmati negli anni italiani. Arrivando nella sua terra promessa, l’America, Tusiani portava con sé i tratti già impiantati nella sua personalità: un sentimento di distinzione attribuito agli studi letterari, un forte senso dei legami familiari, una dimensione latamente re-ligiosa della vita. Gli scritti giovanili an-teriori alla partenza e quelli immediata-mente posteriori, tutti in italiano, hanno valore per la storia della sua formazione. Le opere maggiori sarebbero venute dopo, e principalmente in lingua inglese.

Il giovane ambizioso di scrittura era alla ricerca di contatti e occasioni per esprimersi e promuoversi. Trovò gli uni e le altre nella “Leonardo da Vinci Art School”, a Manhattan, dove Onorio Ruo-tolo, nel suo studio di scultura, il sabato pomeriggio teneva un circolo letterario frequentato da italoamericani. Nei primi anni ‘’50 Tusiani venne in contatto con varie personalità: G. A. Borgese; Arturo Giovannitti, emigrato molisano, mina-tore, attivista socialista; e soprattutto la persona che avrebbe impresso alla sua vita una svolta determinante, la scrittrice Frances Winwar (1900-1985). Fu lei che lo persuase a staccarsi dall’ambiente ita-loamericano e impadronirsi della lingua inglese. Tusiani mise a buon frutto l’esempio e l’insegnamento della scrit-trice.

1956 - 1964 un periodo aureo - Ap-pena dieci anni dopo l’arrivo in America, vinceva un notevole premio di poesia in-

glese, il Greenwood Prize della Poetry So-ciety of England, nel 1956, per il poemetto “The Return” (M’ascolti tu mia terra?). Fu l’inizio del suo periodo aureo, che si estenderà per tutti gli anni ’60.

Introdotto dalla sua maestra e guida Frances Winwar, frequentò gli ambienti letterari di New York, ed entrò in due im-portanti associazioni, la Poetry Society of America e la Catholic Poetry Society of America. Della prima arrivò ad essere vi-cepresidente. E quando nei primi anni ’60 la Society stipulò un accordo con l’in-dustria d’arte vetraria Steuben Glass per una mostra di poesie associate a sculture in cristallo, Tusiani, con la lirica “Stand- still”, fu uno dei poeti i cui versi furono “esposti” con annessa scultura, con i nomi del Gotha poetico d’oltreoceano quali Conrad Aiken e W.H. Auden, Denise Le-vertov e William Carlos Williams.

La sua seconda raccolta di poesia in-glese, The Fifth Season (1964) fu ben ac-colta nell’ambito della Society, la quale quattro anni dopo gli assegnava un pre-mio per il dramma in versi inedito e in corso d’opera If Gold Should Rust.

La traduzione della poesia ita-liana in inglese - L’inglese fu anche la lingua in cui Tusiani svolse un lavoro di portata impensabile per una sola persona e una sola vita: la traduzione di poesia italiana in inglese opera che gli dà rino-manza nel mondo accademico anglosas-sone, e oggi comincia a emergere anche in madrepatria (Tusiani è fra le persona-lità a cui nel 2004 viene conferito il “Pre-mio Italiani nel Mondo”, del Ministero per gli Italiani nel Mondo; nello stesso anno l’Università di Foggia gli conferisce la laurea honoris causa in lettere e filo-sofia; e nel 2007 il Comune di Firenze gli assegna il Giglio d’Argento per aver di-vulgato la cultura italiana nel mondo).

A partire dal 1960, il regesto delle sue traduzioni include: un’antologia in tre vo-lumi che presenta 113 poeti e 581 com-posizioni da San Francesco al Futurismo;

Periferie Gennaio/Giugno 2020

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20 Periferie Gennaio/Giugno 2020CI HANNO LASCIATO

una serie di opere integrali in volume: le liriche di Dante, il Ninfale fiesolano del Boccaccio, il Morgante del Pulci, tutti i versi di Machiavelli, le Rime di Miche-langelo, la Liberata e il Mondo creato del Tasso, le cinque odi all’America libera dell’Alfieri, i Canti del Leopardi, L’Au-tunno di Lalla Romano; e un blocco rile-vante di traduzioni sparse in rivista o in volumi antologici: dieci sonetti del Boc-caccio, i poemetti Le lagrime di Maria Vergine e di Giesù Cristo e Il rogo amo-roso del Tasso, una selezione di lirici del Settecento, Le Grazie del Foscolo, gli Inni sacri e Il cinque maggio del Manzoni, i poemetti Italy e Paulo Ucello del Pascoli, Finisterre di Montale, numerosi poeti dialettali antichi e moderni.

Nel decennio 1970-80, con il con-solidarsi degli studi etnici, anche la poesia inglese di Tusiani imboccò tale filone, ed egli prese a scrivere su episodi e perso-naggi dell’epopea italoamericana, figure umili della Little Italy, atti quotidiani e rituali, fino all’ambizione di cantare il bi-centenario dell’indipendenza degli Stati Uniti in una sorta di carme secolare che celebrasse l’odissea di tutti gli emigrati – quel “Song of the Bicentennial” da cui sono tratti due versi molto citati: “Two languages, two lands, perhaps two souls… / am I a man or two strange halves of one?”. Ne risultò una collezione intitolata Gente Mia and Other Poems. Pochi anni dopo una autobiografia in lingua italiana.

Il latino e il dialetto - Le lingue della poesia per Tusiani non sono solo l’italiano e l’inglese. Fin dall’inizio egli si è eserci-tato nella misura dell’antica Roma, ed è fra i poeti accreditati nella comunità dei neolatini. La sua produzione è riunita in tre voluminose collezioni di Carmina la-tina. Ritornano nella poesia latina i temi dominanti: l’evocazione della terra d’ori-gine trasfigurata a simbolo, l’interrogarsi sulla propria identità, la meditazione sul passare del tempo, l’appressarsi della morte, la vicenda familiare e le sue figure,

il mondo nuovo e le sue contraddizioni. Risalgono alla giovinezza i primi testi

in dialetto garganico, ma la piena della sua produzione vernacolare è degli anni Novanta, in coincidenza con ritorni più frequenti alla terra d’origine.

Il volume Storie dal Gargano raccoglie i 16 titoli pubblicati in cinquant’anni, mentre è recentissima una collezione di sonetti, Sciusce de vente (2009).

La prosa - Va ricordata l’attività sag-gistica e critica. E non va dimenticata la prosa narrativa, una cui prova giovanile risale al romanzo Dante in licenza (rifatto poi in inglese col titolo Envoy from Hea-ven), ma che ha trovato piena espressione in una trilogia autobiografica: La parola difficile, 1988, La parola nuova, 1991, La parola antica, 1992, (abbreviata in edi-zione Bompiani col titolo In una casa un’altra casa trovo, 2016), e recente-mente in un vigoroso romanzo giovanile mai pubblicato prima, Quando la Daunia bruciava, composto nel 1948 ed edito nel 2020 a San Marco in Lamis, per le cure di Motta e Siani. Nella Parola antica tro-viamo i termini riassuntivi d’una espe-rienza di vita: “Timido per natura […] sono rimasto tale in tutti i miei anni d’America. Ho avuto la fortuna di incon-trare illustri personaggi del mondo lette-rario e artistico, ho frequentato salotti eleganti, ho avuto la gioia di sentirmi ben-voluto e stimato dai miei pari, ma sono rimasto condizionato, e quasi irrimedia-bilmente condannato, dal ricordo della solitudine dei miei giorni garganici”. E a bilancio quasi spietato: “L’America non era affatto la terra delle mie delicate e anacronistiche trepidazioni ma il paese dell’avventura appassionata e violenta che solo ai suoi cittadini violenti e appas-sionati offriva un’amplitudine di sogno, detta futuro”. Il sofferto punto di equili-brio nella coscienza divisa dell’emigrato, infatti, sta nell’armonizzazione – lacerata e mai pacifica – fra coscienza “etnica” e americanizzazione. Per altre notizie>>

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21 CI HANNO LASCIATO

In ricordo di Umberto Migliorisi Mi è giunta solo il 12

giugno, con una mail del figlio Massimo, la notizia che il poeta e amico Um-berto ci ha lasciato all’eta di 92 anni il 1° maggio 2020. Non sentivo la sua voce da diverso tempo e la notizia che non è più tra noi mi ha riempito di mestizia che ho cercato di dominare rileggendo i suoi testi poetici in dia-letto ragusano e in lingua dai due suoi libri che sono stati pubblicati da Cofine: Ppi-mmia fussi (2012) e Piangi che ti compro le arance (2013).

Migliorisi è nato a Sciacca (Agrigento) nel 1928, ma dagli anni ’30 è vissuto a

Ragusa. Ha cominciato a pubblicare versi sparsi su giornali e riviste verso la fine degli anni ’50.

La prima silloge con cui esordisce è del 1970, Rias-sunto (poesie 1953-1970). Di questa e di altre sillogi pubblicate in seguito, una selezione si può trovare nel libro antologico Ironia e altro (Messina, 2007).

Ha pubblicato anche di-verse raccolte di poesia in dialetto ragusano, di cui si può trovare una sele-

zione antologica nel libro Gn’ iàttu niuru (Un gatto nero) (Ragusa, 2005).

V. L.

Ppi-mmia fussi Figghiu miu, ppi mmia fussi nun murissi mai. Ma tu sai ca si mori, comu sai ca ri stati cc’è-ssempre u suli e ri-mmiernu ciovi. Comu sai ca si mori sulu picchì si nasci. Figghiu miu, ppi-mia fussi nun nascissi mai. Ma acciù ca sugnu natu e-bbedhu arrinisciutu cci pigghiài gustu a-ccampari e-ccianciennu e arririennu, cantannu e abballannu, pinzannu e scriviennu passu tiempu finu a quannu… nu-bbellu iuòrnu – sia faciennu ca nun faciennu corna! – se-mmi scura… nun m’agghiorna.

Periferie Gennaio/Giugno 2020

SE FOSSE PER ME Figlio mio, per me fosse / non morirei mai. / Ma tu sai che si muore, / come sai che d’estate / c’è sempre il sole / e d’inverno piove. / Come sai che si muore / solo perché si nasce. / Figlio mio, per me fosse / non nascerei mai. Ma ormai che sono nato / e abbastanza cresciuto / ho preso gusto a vivere / e pian-gendo e ridendo, / cantando e ballando, / pensando e scri-vendo / passo il tempo fino a quando… / un bel giorno / – sia facendo che non facendo corna! – / se la sera mi ad-dormento… non mi sveglierò il mattino.

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22 Periferie Gennaio/Giugno 2020Pinocchio in dialetto

L’avventure de Pinocchio di Pierino Pennesi di Fabio Prasca

Le analogie de L’avven-ture de Pinocchio di Pie-rino Pennesi (prefazione di Guglielmo Pinna, disegni di David Pennesi, Allu-miere), con la mia Stornel-lata de Pinocchio sono evi-denti, per l’uso del dialetto e il ricorso all’ottava che connotano entrambe le versioni del Pinocchio col-lodiano.

C’è però una differenza fondamentale, che ha cer-tamente  reso il lavoro di Pennesi più gravoso: l’ottava, nella tradi-zione lumierasca, presenta una concate-nazione di rime che lega tra loro le stanze nella chiusa e nell’esordio. Questa carat-teristica rende  senz’altro  più faticosa la versificazione,  perché  impone un anda-mento meno libero rispetto all'ottava clas-sica ariostesca.

L’avventure sono più fedeli al racconto collodiano, ma ci sono degli elementi di originalità,  perché  Pennesi vi interpola sovente le proprie argute osservazioni, che aiutano a sostenere l’andamento narrativo e a tener vive l’attenzione e la partecipa-zione del lettore.

Ne risulta una fresca vena del dettato poetico, che mi sembra avvicini l’opera di Pennesi più alla stornellata che al poema. Di questa caratteristica ritengo sia prova il frequentissimo ricorso all’indicativo pre-sente, che sembra ricordare più da vicino la occasionalità e la estemporaneità che connotano il canto degli stornellatori.

A volte l’andamento della versificazione è così incalzante da lasciare quasi senza fiato, tanto da non invidiare la condizione di chi quei versi volesse recitare a voce alta o cantare.

Della cennata freschezza sono gradevoli

manifestazioni anche talune felici espressioni coloristi-che che vivacizzano il rac-conto e lo popolano di im-magini che sembrano provenire dalla vita conta-dina. E i seguenti esempi possono rendere l’idea:

libbero scapriolà pe’ la pia-nura E ruzzava cussì come ’n gat-tino L’acqua ’ndove s’affuga è quella muta / statece attente a chi ve fa la cicia

e tre vorte lo chiese ’r ritornello / de cacio e burro a metta ’nder tigame se mise a curra ’n mezzo a la campagna / come ’n lepro cor cane a le carcagna, Le vinne para, come la pulenta si po’ per caso ’r bianco fusse nero / vo’ di ch’e proprio morto per davero Geppetto belle chiome ’nguattato come stesse a fa la cova e sculettenno ’nterra l’arischioppa nun portarete mae ’r grano a la mola, Nun confonna la poppa co’ la prora Hae capito che razza de cotenna! come curresse ’r palio a la Lumiera È interessante notare che si ritrovano

delle similitudini con la Stornellata, nel ricorso a talune metafore che vogliono descrivere le stesse situazioni:

doppo la buriana vinne ’r chiaro / poi che dar nuvolo tornò er sereno (la pace tra Geppetto e Mastro Ciliegia)

tutto sdilongato / tutto sbillongo (il serpente)

l’uva moscatella / ua pizzutello (pur nella scelta di una diversa qualità di viti-gni, sembra comune il bisogno di aggan-ciare l’episodio a immagini legate al ter-ritorio)

Altre volte, invece, si riscontrano dif-

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23 Pinocchio in dialetto

ferenze: l’ambulante che si avvicina a Pi-nocchio per comprare l’abecedario è de-scritto da Pennesi cor vecchio atteg- giamento da giudio; nella Stornellata c’è invece il riferimento a un tipo ben noto nella contemporaneità del commercio ambulante romano: il Tredicine.

Alcuni modi di dire, espressioni e ter-mini propri del lumierasco meriterebbero forse una nota a piè di pagina con una spiegazione per il lettore non autoctono.

In particolare, le seguenti belle e vivaci espressioni:

sgruppà la callaretta, sgavicchià la bocca, gravuzzelò, le farò paine, santa nega, sguicelònno, lo tironno appollo, ap-poriateme ’r bicchiere, mesto a la scar-trina, inucellito, marmo ’mmaquelato, de cajera, le tufa lavorare, ’nzellava co’ tutte le persone, casca senza da le strangujone, l’allisa appresso, ’na balletta, a tocchino, portracchio, gravuzzelato, sbevelenno, capagne, ’ngarzulito, de ’ntralice, profa-guela. L’opera consente di apprezzare le par-

ticolarità del dialetto lumierasco, ma an-che le sue affinità con altri dialetti. Che mi è sembrato di individuare:

col romano: la terza persona plurale del passato remoto (feceno, abbruciònno, gridonno, arzonno, ballònno, rivonno, se n’agnedeno, sentinno, strillonno, comin-cionno) la terza persona plurale dell’im-perfetto (èreno) e altre espressioni come ricrompà, liggero, ua, chiappalle, rispren-nente, cerqua, sangozzava, bionno, aric-conteme, annamo, tajola, cazzaccio, bu-riana, ojo, scojo, dimanna, barretto, ricconto;

col napoletano: nun ce la faciva, frace-cato, vuliva, vuliveno, faciveno, dimane, le (per “gli”) disse, abbraccecare, venète e fateve capace, nisciuno, subbeto, ri-sponniva, aviva;

col toscano: ma sentilo costì il che vol fare, pol star sicuro, la ti uncina.

Una notazione a sé merita il frequente

ricorrere della vocale “e” al posto della “i” nella seconda persona singolare del presente (voe, hae, poe, sae, fae) e del fu-turo (pentirae, vedarae, ritrovarae, fer-marae, sarae, farae, pagarae), così come in taluni avverbi (mae, ormae, assae), che dona un tocco di antico alla parlata lu-mierasca.

Le stanze corrono via piacevolmente e l’operazione di far approdare Pinocchio sui Monti della Tolfa pare ben riuscita: complimenti a Pennesi.

Periferie Gennaio/Giugno 2020

Pierino Pennesi è nato ad Al-lumiere; la sua ricerca poetica, iniziata durante la giovinezza in Toscana e coltivata con la lettura dei classici, prende una strada particolare quando, tor-nato a vivere in paese, riscopre tramite il dialetto della sua infanzia le valenze cul-turali della vita di paese. Fondatore e presidente dell’Associazione Poetica Allumiere (APA) e socio dell’A.N.PO.S.DI. (Asso-ciazione Nazionale Poeti e Scrittori Dialettali), ha pubblicato due raccolte di sonetti in vernacolo “Lumierasco”: Sonetti allumieraschi (2010) e Ferri vecchi (2015).

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24 Periferie Gennaio/Giugno 2020Pinocchio in dialetto

Stornellata de Pinocchio di Fabio Prasca di Pierino Pennesi

Lo voglio ringraziare il dottor Prasca per la bella lezione che ci ha dato, la storia di Pinocchio ha messo in tasca al “romano de Roma” innamorato e non è stato un fuoco, sai, di frasca ma un bel braciere ardente ed infiammato capace di arrostir sui suoi carboni tanti moderni belli, brutti o buoni. Spero che il dottor Prasca mi perdoni del paragone fatto del suo scritto; in questo tempo di tanti padroni che vuole l’uomo succube e sconfitto tra svolazzi elettronici di droni che provano a giocarselo il diritto, l’eterna storia di quel burattino può ridarci fiducia nel cammino.

Non ho mai fatto recensioni, però mi accingo volentieri a scrivere qualche nota sulla pubblicazione di Fabio Prasca per ricambiare l’atten-zione che lui ha vo-luto riservare al mio L’avventure de Pi-nocchio.

La sua Stornellata de Pinocchio (Roma, Edizioni Cofine) è veramente un gran bel lavoro pieno di spunti interessanti e arguti. Nell’organiz-zare il tutto l’autore sembra seguire il testo classico del Collodi fin dall’inserimento, all’inizio di ogni ca-pitolo, di un’ottava riassuntiva del conte-nuto proseguendo poi con l’accurata de-scrizione degli eventi che vi si svolgono.

Ma, al contrario di quanto ho fatto io nel mio lavoro, in cui tendo a sintetizzare i concetti e i fatti più rilevanti concentran-

domi sul linguaggio, la Stornellata allarga il discorso, si sofferma sui particolari in modo molto più descrittivo, si direbbe quasi che allunghi il brodo (ottima la de-scrizione ad esempio sul teatro dei burat-tini!) con l’intento di mettere in evidenza quello che, a mio parere, è il suo scopo principale: attualizzare la storia del bu-rattino Pinocchio.

L’autore crea così una fitta trama di ri-ferimenti alla città e alla contemporaneità. Tali riferimenti riguardano soprattutto il linguaggio poetico del Belli e del suo “mo-numento al popolo romano” (fino a og-gettivarlo nel massiccio libro scagliato con-tro Pinocchio nelle fasi finali del testo) ed

i riferimenti “geogra-fici” (quasi una guida turistica) della città di Roma e del suo “piano Rigalatore”, (la chiesa dei falegnami, la spina di Borgo, via Sannio ecc.) riferimenti che emergono come lampi nel corso di tutta l’opera in modo ina-spettato a suggerirci il senso di profonda at-tualità della storia di Pinocchio.

Trovo assoluta-mente geniale la tra-sposizione del “Gatto e la Volpe” e del “Campo dei Miracoli”

nel mondo dei faccendieri, delle banche e della finanza tra politici burattini, Barby& Yhanny, i blog, i Calisto, Sergigno, il Vati-cano, le isole Smargiasse fino a Renatino; riferimenti a vari livelli di fruizione e di godimento nella lettura.

I richiami all’attualità si incrociano sempre comunque con la lingua del Belli

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25 Pinocchio in dialetto

e le notazioni dei vari sonetti a cui si rife-riscono; quasi un collegamento continuo tra la fine del secolo XIX in cui fu scritta  l’opera  e quella del XX, ma si inseriscono altresì spunti di carattere culturale: dalle stanze dorate del duca di Urbino, alla “serva oscura” di Dante, al “tata perché m’hai abbandonato” dei Vangeli, in un continuo intersecarsi tra il racconto di Pi-nocchio e l’estro poetico dell’autore.

Questo gioco delle parti prosegue, a fasi alterne, per tutta l’opera; a momenti sem-bra dominare il testo collodiano e poi spunta il tocco di Prasca che ci ricorda la sua personalità e il suo intento inserendo in modo originale il suo punto di vista.

Molto efficace il contrasto tra il “coatto” Lucignolo e Pinocchio nel momento cru-ciale della scelta se andare o meno nel “Paese dei Balocchi”; qui l’autore impegna diverse ottave per sottolineare lo sforzo, vano, di Pinocchio nel resistere alla ten-tazione di seguire l’amico balordo. Così, non appena il burattino cede alle lusinghe, si apre un altro mondo: gli asinelli che ti-rano il “carrozzone” tra le “buche di Roma” sono assimilati ai calciatori delle più note squadre e il “Paese dei Balocchi” viene attualizzato con riferimenti da “via Orgettina”, a “slotte”, a “gratta e perdi”, a “biglietti verdi” fino alla trasformazione in asini dei due personaggi ed ecco che l’omino del “carrozzone” ci porta nel mondo del “Piscione” tra parlamentari, tele, pajacci, veline fino all’evocazione di un certo “Sarvini” (su cui avrei qualche riserva).

Insomma tutta l’opera è un melange tra serio e faceto, tra storia e cultura po-polare; un divertissement gradevole per tutti a vari livelli. Una vera “Stornellata” da cantare magari in un’osteria di Traste-vere dove ad ascoltare ci può essere dal muratore in pausa, al turista curioso, allo studente svogliato.

Un grande grazie a Fabio Prasca per averci regalato questo bel capolavoro di spirito romano.

I.

Mastro Cerasa in ne la su’ bottega trova un pezzo de legno ciorcinato,

che, si ce passa pianozza, ascia o sega, piagne, ride, apre bocca e je dà fiato. E dato ch’er mistero nun se spiega,

Cerasa casca in tera furminato: er naso, ch’era rosso com’er vino,

pe la paura addiventa turchino.

1. C’era na vorta…. “un Re!”, dite voi pupi. No! Era ’n pezzo de legno: ve sbajate! De quelli che, quann’è tempo da lupi, ne le stufe se butteno a palate, pe facce er foco e renne meno cupi l’inverni, co le stanze ariscallate. Sto pezzaccio de legno de catasta è er lèvito che fa cresce sta pasta. 2. Sto legno annò a finì, nun se sa come, ne la bottega d’un bravo carpentiere, a cui annava a pennello er soprannome Mastro Cerasa: stufo der mestiere, je s’era arrotonnato un bell’addome, ch’er magnà e er bève ereno er su piacere: tutt’a forza de fà ingozza e travasa, j’era sortita ar naso na cerasa.

Periferie Gennaio/Giugno 2020

FABIO PRASCA, nato a Roma nel 1967, vive da sempre al Tuscolano, dove ha frequentato la Casa dei Bambini di viale Spar-taco, fondata nel 1950 da Flaminia Guidi, allieva di Maria Montessori. Dopo il liceo classico, la laurea in giurisprudenza e l’abilitazione all’esercizio della professione di avvocato, ha lavorato alla Camera di Com mercio di Reggio Emilia, all’Avvocatura del Comune di Roma e all’Enea. È avvocato dell’Agen-zia Spaziale Italiana. Agli inizi degli anni ’90, ha co-minciato a interessarsi alla poesia dialettale del Novecento. Ispirato dalla lettura della raccolta di sonetti Daje de tacco… di Claudio Verdini, figlio di Raul, si è cimentato nella scrittura di sonetti in ro-manesco. La Stornellata de Pinocchio è la sua prima pubblicazione.

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26 Periferie Gennaio/Giugno 2020I NOSTRI LIBRI

Ombretta Ciurnelli, gí e ní di Anna Maria Curci

Ho avuto il privilegio di leggere in anteprima, oltre un anno fa, le poe-sie che hanno costituito il nucleo iniziale della raccolta gí e ní  di  Om-bretta Ciurnelli. Con la gioia di chi vede profi-larsi la forma e il suono del bello ho poi potuto leggere l’intera raccolta, pubblicata nel mese di marzo di questa strana e dolente primavera 2020 dalla casa editrice Cofine. Un altro privile-gio si è così aggiunto a quello menzionato po-c’anzi: la raccolta è an-data in stampa con al-cune mie annotazioni nella prima bandella.

Nel ripercorrere oggi le pagine di  gí e ní, vorrei partire, se-guendo la traccia dal testo in epigrafe, dall’origine dell’espressione che il titolo della raccolta riporta dal dialetto perugino e che significa viavai, andirivieni. Il testo in epigrafe è un passaggio da un libro dell’Antico Testamento, il libro del Qohé-let (Qoèlet), conosciuto nella versione ita-liana anche come Ecclesiaste. Il passaggio riportato da Ombretta Ciurnelli in epi-grafe è nella versione di Guido Ceronetti, il quale rende il famoso brano iniziale («Passa una generazione e ne viene un’al-tra;/ ma il mondo resta sempre lo stesso» nella Bibbia in lingua corrente, «Una ge-nerazione va, una generazione viene/ ma la terra resta sempre la stessa» nella Bib-bia di Gerusalemme) ricorrendo a un so-stantivo che assume un valore centrale nella raccolta gí e ní: “vaevieni”. Ecco dun-que la versione di Ceronetti: «Un vaevieni

di generazioni/ e la terra che sta nel tempo».

Non è arbitrario, allora – tanto più che siamo au-torizzati dalla stessa Om-bretta Ciurnelli che vi fa cenno nella sua nota ini-ziale – attribuire a quel “vaevieni”, al  gí e ní, la funzione di cardine di una visione del mondo, «alle-goria dell’esistere» (Ciur-nelli) nell’affanno del cor-rere e del tornare, del fare e del disfare.

Ne sono investite tutte le categorie dell’esistente, che si imbattono, scon-trandosi, nel mistero, con-tinuamente interrogante (e si potrebbe dunque dire, fin dal Libro del Qoè-let, fin dalla notte dei

tempi), dell’altalena che accompagna le generazioni, dall’infanzia e per tutto il tempo del trascorrere. Ecco che il terzo dei ventiquattro testi (in dialetto e con la versione italiana a fronte), tutti contras-segnati con numeri romani, coglie e re-stituisce a chi legge l’immagine dell’enig-matico dondolio nel vuoto: ch’arà volsúto dí/ la bilimbènza/ quan che nti passe/ sigura nunn’éva// (quil gran gí e ní ntól gòito/ ch’arà volsúto dí?).

In questa altalena dei giorni, dei desi-deri e degli affanni, il vento, altra costante presenza nella poesia di Ombretta Ciur-nelli, presenza peraltro ribadita dal brano biblico in epigrafe, passa soffia, spazza, scombina capelli e certezze, mette in fuga e pone nello stato permanente di preca-rietà: sarà che ‘l vento/ ntól su gí e ní/ spaja dentorno/ i triqle dela vita (sarà che il vento/ nel suo girare/ disperde in-

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27 I NOSTRI LIBRIPeriferie Gennaio/Giugno 2020

torno/ le briciole della vita), scrive Ciur-nelli nel testo V.

L’interrogazione, sostanza viva della poesia, si fa cura (assillo e sollecitudine) metapoetica nella poesia  XII, guanto di sfida e gancio prodigioso, perché rinnova lo stupore, a chi legge e a chi scrive, apo-

strofato, dal Didimo dell’io poetico, dal suo doppio incredulo, con il tu: «ch’aca-pirà na lèttra de qui sòne/ ch’a mbellettà giròn tal tu descurre?» (che capirà una lettera di quei suoni/ che andranno ad abbellire la tua poesia?).

quegli alberi che leggeri accarezzano l’acqua accompagnando lo scorrere lento del fiume giorno e notte stan sempre a chiacchierare

sarà che il vento nel suo girare disperde intorno le briciole della vita

ma che diranno mai dell’altalena che la bambina ha abbandonato al vento?    che capisce l’orologio del vaevieni di bambini ragazzi donne vecchi che ogni ora meticoloso scandisce? che capirà una lettera di quei suoni che andranno ad abbellire la tua poesia?

V qui albre che liggère lígion l’aqqua ’l currì lento del fiume acompagnanno giorne e notte stòn sempre a chiacchiarà

sarà che ’l vento ntól su gí e ní spaja dentorno i triqle dela vita

ma che dirònno mè dla bilimbènza che la mujína ha lassà ggí tal vento?   XII ch’acapisce l’arlóggio del gí e ní de muje mujarèlle donne vecchie che gni ora mitig(u)olóso arbatte? ch’acapirà na lèttra de qui sòne ch’a mbellettà giròn tal tu descurre?

OMBRETTA CIURNELLI nei suoi versi racconta e si racconta con i suoni aspri e terragni del dialetto di Perugia, utilizzando il registro arcaico del con-tado. Ha pubblicato: Badarellasse ncle parole, abbecedario di acrostici (Perugia, Guerra Edizioni, 2007), L’arcon-tastorie (Perugia, Guerra Edizioni, 2009), Si curron le formiche (Perugia, Guerra Edizioni, 2010), La città del vento (Roma, Edizioni Cofine, 2013), opera se-gnalata al Premio Nazionale di Poesia “Sandro Penna”. Ha al suo attivo un testo teatrale in lingua italiana, Dai campi di granturco ai gelsomini (Perugia, Effe Fabrizio Fabbri Editore, 2012) ed è tra i cura-tori dell’antologia oliveTolive, Poesia dell’Olio e del-l’Olivo da Omero a Oggi (Perugia, Fabrizio Fabbri Editore, 2011). Nel 2015 ha curato Dialetto Lingua della Poesia

(Roma, Edizioni Cofine), un’anto-logia frutto di una ricerca me-talinguistica con-dotta nell’intento di cogliere il va-lore e il signifi-cato del dialetto nella vita e nella scrittura poetica e nel 2019 ha pubblicato il saggio Lingue allo specchio. L’autotraduzione nella poesia dia-lettale (Perugia, Ali&no Editore). Vincitrice di premi letterari e inserita in numerose antologie, si occupa da tempo di letteratura dialet-tale con personali contributi critici apparsi in di-verse riviste.

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28 Periferie Gennaio/Giugno 2020I NOSTRI LIBRI

Vanzature/Avanzi di Vincenzo Luciani di Rosangela Zoppi

Termino di leggere Van-zature/Avanzi, di Vincenzo Luciani (pubblicato in e-book, Roma, Edizioni Co-fine, 2020) e mi soffermo in-nanzi tutto sul titolo che potrei definire “sbarba-riano”. Ho sempre amato tanto Sbarbaro a cominciare dai suoi titoli così secchi, la-pidari e diretti: Trucioli, Scampoli, Quisquilie, Gocce (non c'è forse anche qui il concetto di "avanzi", sposato con le virgiliane/pascoliane myricae?).

Per ammissione dello stesso poeta questa silloge, composta di due parti (una in lingua e una in dialetto garganico di Ischitella, suo paese natale), è la sintesi di un percorso cominciato da tempo, incentrato sul con-creto, su ciò che non abban-donerà più la mente, su ciò che rimane e che è pura sostanza, senza additivi di sorta. Il contenuto di quest’ultima fatica lettera-ria di Vincenzo Luciani è dunque profondo nella sua semplicità; frutto di quella sintesi che si riesce a fare soltanto con l’età e che ci fa dire con convinzione: “la semplicità è un punto di arrivo”. Vincenzo lo dice aper-tis verbis già nella prima poesia che dà il titolo alla raccolta, e che è una dichiara-zione d’intenti: Vote so’ i megghje cunte / i vanzature. Scine, / i vanzature. (A volte sono il meglio / gli avanzi. Sì. Sì, /gli avanzi). E già, soprattutto per quelli come noi, che hanno ormai accumulato parec-chie primavere, gli avanzi sono un cibo prezioso per l’anima, perché rappresen-tano i ricordi, le schegge del vissuto, che poi, leggendo questi testi, scopriamo es-

sere più o meno gli stessi per tutti, nonostante i luoghi e gli ambienti in cui siamo nati e cresciuti.

La memoria, quando la lunga serie di mutamenti su-bìti nella vita volge al ter-mine, si chiude alle compli-cazioni, le espunge, e trattiene per sé soltanto le fondamentali “insalatine mi-ste” dell’orto di casa. I cibi sofisticati, gli intellettualismi non li vuole più, non hanno più gusto per lei; desidera nutrirsi di cose leggere e semplici, come, appunto, le insalatine di zi’ Nardine, che staccava una foglia grande di zucca, “l’appoggiava vi-cino alla pisciarella della sor-gente” e al suo interno po-neva, con sapienza e precisione da speziale, i pre-cacchie, d’acce, a nzalatina

/ dilicate, tagghjate cima cime, / qualeche cascigne tenere (ma / nun assa’ che ama-riente / jèvene), a ruchette / ma sckitte a ponta ponte, vote / duje veticce de d’uve, creando un profumato e prezioso bouquet da offrire ai parenti, che sapevano apprez-zarne la squisitezza (Nzalate ammiscke) .

Com'è famigliare la parola “avanzi” quando si lega alla memoria! Quanti af-fetti, quanto calore domestico, quanta no-stalgia (intesa non soltanto come desiderio inappagato del ritorno, ma anche come rimpianto per la propria terra d’origine e per tutto ciò che essa rappresenta) questo termine racchiude in sé, compreso il rim-pianto per quell’amore infantile che “ra-schia tutto il miele rimasto dentro” (Tor-nare nella stalla). Tutti noi che abbiamo accettato di navigare “in un mare colloso

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29 I NOSTRI LIBRIPeriferie Gennaio/Giugno 2020

di solitudine social” per non sentirci troppo fuori dal mondo, rimpiangiamo “il gusto di una conversazione”, rimpian-giamo “il tempo perso”, rimpiangiamo “la noia che crea e ricrea”.

Ma se avanzi sono i ricordi, ciò che la memoria trattiene nel fondo del suo vaglio, dopo aver filtrato sovrastrutture e inutili orpelli, avanzi sono anche il tempo che ri-mane da vivere e che, nel caso si riesca a raggiungere un’età considerevole e si abbia ancora ragione e sensibilità, conduce a sperimentare quel processo di snelli-mento, di avvicinamento alla natura, di estrema semplificazione.

In una recente intervista Franco Loi, commentando le ultime tappe della sua lunga vita, ha detto di apprezzare ancora e soprattutto le cose semplici: “bisogna sa-per ascoltare le cose”, sostiene Loi. e, alla domanda “quali cose?” risponde: «I fiori. A me i fiori dànno una forte commozione, anche se non li vedo più . E un albero mi commuove, mi dà il senso di una vita. E poi gli animali”. Le stesse cose le avevo sentite dal mio amico poeta americano Stanley Kunitz alla stessa età di Loi: ciò che rimane alla fine, “gli avanzi”, sono le cose semplici, che poi sono le migliori, per-ché ci fanno sentire in sintonia con la na-tura, della quale ci accorgiamo, exitu vitae, di essere parte. “Quando abbiamo chiuso con le ansie pungenti e le complicazioni tipiche della giovinezza,” diceva Stanley, “con che cosa ci rimane da confrontarci se non con le grandi semplicità? Io non sono mai stanco del canto degli uccelli, del cielo, del tempo”.

Dunque la semplicità è veramente un punto di arrivo: tutto alla fine è incentrato nella semplicità, sia il vissuto, sia il da vi-vere. È così che il cerchio finalmente e se-renamente si chiude.

Ma nella parola “avanzi” ci sono anche tanti insegnamenti. Tutte le persone della nostra generazione, per non parlare di quelle delle generazioni precedenti, hanno imparato ad apprezzare gli avanzi;

l'odierno consumismo, invece, per sua de-finizione, li rifiuta: preferisce gettare ciò che rimane nel piatto. Ma non è detto che sia giusto. Alla fine, mi chiedo, di che cosa si nutrirà la memoria?

Ordino fogli, cartelle, ritagli… Ordino fogli, cartelle, ritagli, faldoni. Me ne ricorderò? E chi li leggerà? Forse neppure io, che tanti miei libri agli amici ho lasciato in testamento confidando nelle promesse o nella …carta straccia (Occhio non vede…). Spolvero, accarezzo, riordino in più angusti scaffali i superstiti libri. Ancora troppi per i miei, e destinati a nuova polvere, forse.

De vente e nùvele Ji de vente e de nùvele so’ fatte accume a te Scketedde che cagne facce a ’gni sciusce che i nùvele cagne. Nùvele a morre, numunne, accume i prete nu mare de prete maje li stesse prete e maje li stesse nùvele. Càgnene accume a mme che maje m’affije eppure stenghe accume a tte tu che de vente e nuvele m’hé fatte. DI VENTO E NUVOLE – Io di vento e di nuvole son fatto / come te Ischitella / che cambi aspetto a ogni soffio / che le nuvole cambia. / Nuvole in massa / tante, come le pietre / un mare di pietre / mai le stesse / pietre e mai / le stesse nuvole. / Cambiano come me / che mai mi fermo / eppure io sto / come te / tu che di vento e nuvole mi hai fatto.

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30 Periferie Gennaio/Giugno 2020I NOSTRI LIBRI

Il giorno che non sai di Claudio Porena

Il libro è suddiviso in otto parti: Colombo da Rebib-bia; Annego in riva; Ormai è estate e nubi; Espunti versi; Innesco della Via nel punto cieco; È do minore in chiave; È l’Ego Sum; Le onerose attese. Qui pubblichiamo alcune stanze tratte da Colombo da Rebibbia. Noi siamo qui chiamati a porre in atto il senso vero e proprio di un antico insegnamento e di una sacra scienza universale. Il Noi contiene l’Io: l’Io sono è in noi. Noi siamo l’Ego Sum� che dice Noi quando abbandona l’Ego egocentrista e abbraccia l’Universo. È tardi ormai, non c’è più tempo ormai: termina il tempo in cui doveva l’uomo aver assolto al proprio salvamento, al proprio bene.   Ormai chi sarà salvo avrà da tempo abbandonato tutto e dato tutto ai poveri di Dio, non trattenendo un solo soldo in tasca. È questo il prezzo

a tutti noi richiesto: è denudarci e farci trovar pronti alla chiamata ignudi come gigli incandescenti. Arriva il Giorno in cui su questa Terra un uomo sarà preso e l’altro no, portato sulle nubi, interamente ignudo come un bimbo.    […]   Spogliamoci di tutto, e adesso e qui viviamo come viene e rimaniamo ignudi d’ogni cosa e senza peso alcuno da portare! Ai privilegi e ai soldi incatenati, impantanati in tutti i nostri averi, appesantiti e senza il balenio d’una coscienza! Iddio bussa alla porta e ci richiama a rinunciare a tutto. E tutto è tutto: ignudi veramente, in senso stretto, e veramente santi.   È questo giorno, è questo giorno stesso il tempo estremo a noi concesso qui

Dalla nota dell’autore: «La Pa-rusia è vicina: lo attestano le Sacre Scritture, i profeti, i veg-genti e la scienza sacra ed eso-terica. Il giorno che non sai, se-guendo ritmi e strategie che sembrano (e non sono!) ab-bandonati al caos, vaglia e ri-cuce, esamina e dissemina nel testo in versi epiloghi di un transito terreno, intriso di dot-trina e di lirismo, in un tessuto metrico continuo». L’AUTORE: Claudio Po-rena, nato nel 1974 a Roma, dottore di ri-cerca in Storia della lingua italiana, diplo mato in chitarra clas sica, esercita l’insegna -mento di questo stru mento e ha diverse pub blicazioni all’at-tivo come linguista e poeta. Con Edizioni Cofine ha pub-blicato il volume Unità e va-rietà linguistica nella moderna poesia dialettale della provincia di Roma (tesi dot torale), pre-fazione di Gi anluca Biasci, Roma, 2015.

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31 I NOSTRI LIBRI

per ravvederci e per entrare in questa idoneità. Pochi saranno allora i veri eletti e poco più i chiamati a questa svolta, a questa estrema prova in cui mostrare a cosa si è disposti. E non sarà flessibile il giudizio. E tutti noi saremo giudicati in base ai fatti. E sarà questo il fio di tutti noi.   […]   I fiori e il vento, il canto degli insetti e il più sottile effluvio delle piante: è un Magistero il mondo in armonia con l’Assoluto. Iddio creò le parti e l’unità

come un’immensa cetra e li ha inseriti in un’economia di redenzione e in una gerarchia. Specchio ed enigma irradiano il divino e danno corpo e forma percettiva all’entità che abita nel cuore e lo trascende. […]   È già iniziato il tempo in cui la Terra affonderà nel caos più disperato, in cui ben pochi avranno facoltà spiritüali. Il guscio che imprigiona il nostro Io dovrà potersi aprire e far uscire un’energia che unisca il microcosmo all’armonia totale.

Abbandonato il proprio isolamento e diventato unicamente fluido, un uomo nuovo avrà trasfigurato il proprio stato. Anonimo e svuotato il cuore espande – effuso come un olio – i suoi confini e approda all’entità trasfigurata e fulgida dei Cieli.   Il mondo è bello, e la bellezza è il segno in cui si specchia Iddio nell’immanenza, e in cui la Terra assume la bontà del suo Creatore. Il giorno che non sai sarà un meriggio, un fulgido solstizio in cui lo Sposo inaspettatamente incontrerà la Sposa faccia a faccia. […]

Periferie Gennaio/Giugno 2020

In https://poetidelparco.it - ‘Poeti in Lin-

gua’ - segnaliamo le recensioni di ANNA MARIA CURCI a: Incroci obbligati di E. Roversi; Nudità di F. Ghenzovich; La linea Gustav di N. Iaco-vella; Chiamala febbre di N. Comunale; A gran-dezza naturale (2008-2018) di R. Fazio; Gra-nito e bauxite di M. Tufano; Il mondo come un clamoroso errore di P. Polvani; Fra le dita una favilla sembra sole di C. De Angelis; Le cose imperfette di G. Montieri; La Crepa madre di C. Tosetti; Taccuino dell’urlo di S. Caporossi; La Nauseatudine di L. Poggi; La «peculiare ca-tastrofe umana». Le Cronache di estinzioni di

L. Frisa; Tropaion di R. Fazio; Piccolo taccuino occasionale di D. Zizza; Trincea di nuvole e d’ombre di M. Spinelli; L. Argentino, Il volo dell’allodola e In canto a te. ➤ La recensione di MARIA GABRIELLA CANFARELLI a Autism Spec-trum, di P. Sardisco. ➤ Le recensioni di MAURI-ZIO ROSSI a: La presenza viva delle cose di L. Garavaglia; L’ombra e il davanzale di A. E. De Gregorio; Da sponda a sponda di L. Cecchinel; Ruggine e oro di M. Munaro; G. Rosato. Un al-tro inverno; Una sorta di felicità di M. Giovan-nelli. – ‘Poeti in dialetto’ - Recensioni di MAURIZIO ROSSI a: Crivu (Setaccio) di P. Sardi-sco; Arcorass-Rincuorarsi di M. Lenti; Cartou-lénax - Cartoline di G. Pinaffo; Corpo dea realtà di F. Franzin.

Page 32: SPECIALE: Altre Lingue-Achille Serrao - II edizione alla Biblioteca … · 2020. 7. 3. · Vincenzo Luciani REDAZIONE M. Gabriella Canfarelli Anna Maria Curci, Anna De Simone Nelvia

2019 - Cosma Siani, Il dialetto in letteratura, E-BOOK con link per approfondimenti, pp. 32, € 10,00 L’e-book, in formato PDF, riporta recensioni o schede di libri, relazioni a con-vegni ed altri testi di Cosma Siani sull’argomento del dialetto in letteratura, specie in poesia, scritti dall’Autore dagli anni Novanta a oggi . 2020 - Fabio Prasca, Stornellata de Pinocchio. Poema in ottave d’un burattino de noantri, pp. 224, € 30,00; disponibile anche in e-book € 10,00. In questa stornellata burlesca, in ambientazioni romane e con riferimenti al-l’attualità, l’Autore ripercorre in versi le tappe, o meglio, le stanze attraverso le quali Pinocchio si è fatto uomo. Si tratta di un giocoso abbandono al gusto della cantabilità dell’endecasillabo, che pare fatto apposta per essere recitato (o cantato) a teatro, “dove tutto è finto, ma gnente c’è de farzo”. 2020 - Ombretta Ciurnelli, gí e ní, poesie in dialetto perugino, pp. 60, € 12,00 Nelle poesie domina l’immagine del gí e del ní, andare e tornare. Quell'andiri-vieni allegoria dell'esistere e del fare e del disfare – o vedere disfarsi e disgre-garsi – è altalena in due movimenti, slancio pungente e ritrarsi sognante, che si nutrono vicendevolmente e non possono essere separati l'uno dall'altro. È un moto perpetuo, ponte sospeso su un abisso, coscienza dell'orrido che si spalanca, del vuoto in agguato. 2020 - Vincenzo Luciani, Vanzature/Avanzi, E-BOOK in formato PDF, pp. 50, euro 7,00. Gli avanzi di un pasto, di un trasloco (Traslochi/Straloche, titolava la sua pre-cedente raccolta) o di una vita, per Luciani sono comunque la parte migliore “Tutta la vita riduce in parole / di giorno in giorno sempre più poche / che noi scriviamo senza sapere / se qualcheduno se ne accorgerà / e qualche preli-batezza avanzerà” tale è la risposta elegante e misurata che fornisce a chi ri-tiene gli avanzi solo cose da scartare. 2020 - Claudio Porena, Il giorno che non sai, pp. 288, € 30,00; di-sponibile anche in e-book € 10,00. Il giorno che non sai, seguendo ritmi e strategie che sembrano (e non sono) abbandonati al caos, vaglia e ricuce, esamina e dissemina nel testo epiloghi di un transito terreno, intriso di dottrina e di lirismo, in un tessuto metrico con-tinuo.

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