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GINO FANO Spazi di Riemann e geometrie Riemanniane Loro generalizzazioni Conferenze tenute nel gennaio - febbraio 1932-X 2

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GINO FANO

Spazi di Riemann e geometrie Riemanniane

Loro generalizzazioni

Conferenze tenute nel gennaio - febbraio 1932-X

2

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I.

1. Geometria intrinseca di una superficie. — Partiamo dalla rappresentazione analitica di una superficie, pensando le coordinate cartesiane ortogonali tv, y, z di un suo punto generico date come funzioni di due parametri distinti u, v (coordinate curvilinee sulla superficie) :

.(1) x = j1(u,vyì y=ft(u, v); s = fs(u,v)ì

funzioni definite in un certo campo di variabilità delle u, v, e, per valori generici di queste, finite, continue, derivabili finché occorre. La distanza ds di due punti infinitamente vicini della superficie (x, y, z) e (x -j- dx, y + dy, z + dz), di coordinate (u, v), (u + du, v + dv) — distanza comunemente detta elemento lineare della superfìcie — è data da ds2 — dx2 -f- dy2 + dz2. Esprimendo da, dy, dz mediante u, v e loro differenziali, e ponendo:

\ou J cu cv \d v/

dove ciascuna somma va estesa ai termini analoghi ottenuti cam­biando x in y e z, si ha:

(2) ds2 = E du2 + 2F dudv +G dv2-,

forma differenziale quadratica nelle u, v, nella quale i coefficienti E, G e il discriminante E G — F2 [quadrato della matrice jaco-biana delle (1)] sono essenzialmente positivi, e possono soltanto

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annullarsi in punti particolari della superficie. Si può allora cal­colare la lunghezza di un arco qualunque di linea sulla superficie, ricavandola per integrazione da quella dei suoi elementi infini­tesimi; l'angolo di due linee, ossia di due direzioni (du, dv), (8u, $v) uscenti da un punto generico della superfìcie e sopra di questa, si esprime anche mediante E, F, G, e gli incrementi d, S ; l'elemento d'area sulla superficie è dato da r E G — F2 du dv, e da questo si può ricavare l'area di una figura qualunque tracciata sulla superficie, decomponendola in parallelogrammi elementari. Se noi, seguendo un concetto introdotto da GAUSS nelle sue Disquisitiones generale,? circa superfìcie^ ctirvas (1827), materializziamo la super­fìcie, considerandola come un velo sottilissimo, flessibile ma ine­stendibile, che si possa curvare, deformare, piegare comunque, ma senza lacerarlo né dilatarlo, le figure tracciate sulla super­fìcie assumeranno, in conseguenza delle dette deformazioni, con­figurazioni spaziali diverse, ma la lunghezza di ogni arco di linea, l'angolo sotto cui due linee s'incontrano, l'area di una figura sulla superfìcie rimarranno invariati; e così più generalmente per tutte le proprietà che dipendono geometricamente dai soli elementi suddetti, e analiticamente dalle sole funzioni E, F, G è loro deri­vate. Per es. deformando una superficie qualunque nel modo suin­dicato, le sue linee geodetiche (linee di lunghezza stazionaria) rimar­ranno tali; in particolare, se si tratta di un cono o cilindro che distendiamo (sviluppiamo) sopra un piano, le geodetiche del cono o cilindro si sovrapporranno alle rette, geodetiche del piano. Le proprietà geometriche di una superfìcie che sono indipendenti dalle deformazioni di questa, nelle quali non intervengono elementi estranei a questa, che si possono studiare senza escire dalla super­fìcie (come la geometria piana senza escire dal piano), costituiscono la geometria intrinseca della superficie: in questo senso appunto la geo metria intrinseca del cilindro o del cono coincide, limitatamente a regioni opportune (il che in tali questioni è sempre presupposto), colla geometria del piano. Due superfìcie sulle quali il ds2, rispetto a parametri u, v opportuni, si esprime colla stessa formola (2) (colle medesime funzioni E, F, G) si possono, limitatamente a regioni convenienti, applicare l'una sull'altra, in quanto vi risultano eguali tutte le lunghezze corrispondenti, gli angoli, le aree; ciascuna è una deformata dell'altra; esse si dicono applicabili o isometriche, hanno la stessa geometria intrinseca. Da ciò l'interesse che presen-

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tano tutti quei teoremi di geometria su una superficie, di cui può darsi espressione analitica mediante i soli coefficienti del ds2 e le loro derivate ; essi esprimono proprietà pertinenti alla geometria intrinseca di quella superfìcie.

Introducendo in luogo dei parametri u, v altri due u\ v', funzioni univoche, continue ed univocamente invertibili dei primi, l'espressione del ds2 nelle nuove variabili sarà dello stesso tipo della precedente, ma con funzioni E, E, G in generale diverse; perciò la superficie e la sua geometria intrinseca sono legate non tanto alla singola forma differenziale quadratica Edw2 + , quanto all'intera classe delle forme differenziali equivalenti a questa (cioè riducibili a questa con trasformazioni del tipo anzidetto). E criterio analitico dell'applicabilità o meno di 2 superficie è la possibilità o meno di trasformare l'una nell'altra le espressioni dei loro ele­menti lineari mediante un cambiamento di coordinate curvilinee su una di esse.

2. Curvatura totale di.una superficie in un punto. — GAUSS

per primo ha messo in evidenza che elemento importantissimo della geometria intrinseca di una superficie è la curvatura totale di essa nei singoli suoi punti. Questa può definirsi in vari modi:

1° Come concetto analogo a quello della curvatura di una linea piana o sghemba in un punto assegnato. Consideriamo un punto generico P di una superfìcie F non sviluppabile, un'area a di questa (convenientemente limitata) che comprenda P nel suo interno, e una sfera di centro arbitrario O e raggio unità; e rife­riamo F a questa sfera per « parallelismo di normali », orientando la normale a F in P in modo arbitrario, variabile con continuità al variare di P entro or, e facendo corrispondere ai punti di o- i punti intersezioni della detta sfera coi raggi paralleli a quelle normali nel senso positivo convenuto. All'area a corrisponderà sulla sfera un'area T; assunta come positiva la misura della prima (<j), assumeremo la seconda come positiva o negativa, secondo che, preso un cammino che circuisca l'area or per esempio in senso positivo e stando rispetto a F dalla banda delle normali positive, il cammino corrispondente sulla sfera, stando dal lato esterno di questa (cioè delle normali positive), circuisce T in senso anche positivo, o negativo. Questo secondo caso si presenta quando le sezioni normali di F in. P non volgono tutte la convessità dalla

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stessa parte, sicché F ha in P forma concavo-convessa, cioè forma di sella; così per esempio per le rigate non sviluppabili, e per le superfìcie rotonde nelle zone in cui la linea meridiana volge la convessità verso l'asse. In ogni caso, si chiama curvatura totale (K) della superfìcie F nel punto P il limite (costante) del rap-

T porto — quando l'area a tende a zero concentrandosi nel punto P ;

a questa curvatura, che ha la dimensione inversa di un'area, è una misura del come (a seconda del suo segno) e di quanto rapidamente la F in prossimità di P si discosta dal suo piano tangente. Per una superficie sviluppabile (ad es. per il piano) l'area T è sempre nulla, e così anche, in ogni punto, la curvatura.

2° Le oo1 sezioni normali della superfìcie F in P hanno in P raggio di curvatura generalmente variabile; e questo raggio, considerato in grandezza e segno rispetto a un verso positivo comunque fissato sulla normale a F, assume valori stazionari R1? R2

per due sezioni normali, determinate da piani perpendicolari fra loro (sezioni normali principali, raggi principali di curvatura):

1 si ha allora K = . Se le sezioni normali in P hanno raggio

Ri R2 1

di curvatura costante R, per es. sulla sfera, si ha K = — . 3° Per un triangolo geodetico sopra una superficie arbitraria

la somma dei tre angoli è in generale diversa da re, e la differenza A -f- B ~\- C — n, positiva o negativa, si chiama eccesso geodetico del triangolo. La curvatura totale K di F in P è il limite del rapporto di questo eccesso geodetico all'area del triangolo (presa in valor assoluto) quando il triangolo tende a concentrarsi nel punto P.

GAUSS ha dimostrato che la curvatura totale di una superficie in un punto può esprimersi per mezzo delle sole funzioni E, F, G e loro derivate, ed è perciò invariante rispetto a deformazioni arbitrarie della superficie. Questa invarianza appare anche mani­festa in base alla terza delle definizioni suindicate ; anzi, la determi­nazione della curvatura e tut ta la geometria intrinseca di una superfìcie possono già dedursi da misure eseguite sopra questa: si può rendersi conto per es. che la terra non è piana per mezzo di misure su di essa, estese a una regione abbastanza grande. E le ricerche di GAUSS sulle superfìcie trassero origine appunto dai suoi lavori geodetici nell'Hannover.

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3. Ricmann. Spazi di Riomann. -— La considerazione delle coordinate curvilinee u, v è stata estesa allo spazio da LAMÉ (Legons sur les coordonnees curvilignes, 1859) e si è dimostrata molto utile nella fisica matematica. Ma già prima, nel 1854, il concetto fon­damentale di GAUSS era stato esteso a spazi a n dimensioni a opera di BIEMANN, nella lezione di prova per la libera docenza pub­blicata però solo nel 1868, dopo la sua morte: Ueber die Hj/pothescn, wélche der Geometrie zu Grunde liegen (*).

RIEMANN, laureato a Gòttingen nel dicembre 1851 (disserta­zione di laurea, la Memoria sulla teoria delle funzioni di una varia­bile complessa), aveva presentato due anni dopo come « Habilita-tionschrift » la Memoria sulla rappresentazione di una funzione mediante serie trigonometriche. Dovendo proporre alla Facoltà per la lezione di prova tre temi, aveva presentato quello anzidetto, sui fondamenti della geometria, come terzo, senza averne nem­meno preparato lo svolgimento, tranquillo che, conforme alla consuetudine, sarebbe scelto uno dei due primi. Ora GAUSS, che aveva 76 anni compiuti, fino dai suoi giovani anni (dal 1792) si era occupato dei fondamenti della geometria, in particolare della teoria delle parallele; e, pur non avendone mai pubblicato nulla (perchè temeva «gli strilli dei beoti»), si era convinto della pos­sibilità logica della geometria non euclidea, e ne aveva trovato parecchie proposizioni — lo x3ossiamo affermare con tutta sicurezza in base alla sua corrispondenza con altri scienziati, e ad alcuni suoi appunti, documenti oggi tutti pubblicati —; e aveva poi conosciuti e sanzionati colla sua autorità i risultati di geometria non euclidea pubblicati da LOBACEVSKY, dal 1826 in poi, e da GIOVANNI BOLYAI (1833), ma ancora pochissimo conosciuti nel mondo scientifico. Egli ebbe pertanto la curiosità di vedere come un giovane se la cavava con un argomento del quale egli stesso già aveva misurate tutte le difficoltà; e scelse il terzo tema. Da ciò la necessità per RIEMANN di prepararne in fretta lo svolgimento,

(*) Abhtmdl. der K. Ges. d. Wiss. zu Gòttingen, voi. 13, 1867-68; Gesamm. mathem. Werke, 1876; 2a ediz., 1892. Avendo E IEMANN vissuto 40 anni soltanto (1826-66), ed essendo stato negli ultimi anni ripetutamente indisposto e obbli­gato a lunghi soggiorni in Italia (fra altro a Pisa, dove si legò in amicizia col BETTI e con altri nostri scienziati), la quasi totalità della sua produzione scien­tifica è del breve periodo 1853-61.

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a cui non aveva gran che pensato ; mentre d'altra parte la lezione fu- poi ritardata dalle poco buone condizioni di salute di GAUSS.

Anzi, chiuso il semestre invernale 1853-54, si era già concordato di rinviare la lezione all'agosto, quando improvvisamente GAUSS

« um die Sache vom Halse los zu werden » il venerdì 9 giugno a mezzogiorno fissò l'adunanza per l'indomani alle 10,30. Alcuni dettagli furono perciò elaborati all'ultimo momento, adattando anche la lezione a un pubblico non matematico, quale era quello di una Facoltà filosofica. Il risultato della lezione pare abbia notevolmente superata l'aspettativa di GAUSS, il quale parlò a GUGLIELMO WEBERJ con vivacità e insistenza in lui insolite, della profondità del pensiero di EIEMANN. La lezione non era però destinata ad essere pubblicata ; così di essa, fino alla pubblicazione postuma (1868), fu pressoché perduto ogni ricordo; tanto più che GAUSS, il solo forse che era stato in grado di apprezzarla, morì pochi mesi dopo (23 febbraio 1855).

EIEMANN nella sua costruzione della .geometria, anziché pren­dere le mosse da uno dei soliti sistemi di postulati, generalmente di origine sperimentale, ma che si assumono validi incondizionata­mente, anche fuori del campo a cui si riferiscono le nostre osser­vazioni, si propone (idea nuova) di partire da nozioni puramente analitiche e relative a una regione piccolissima dello spazio. Nella geometria di una superfìcie, come io l'ho presentata testé, possiamo vedere, con concetto puramente analitico, astratto, una OD 2 di coppie di numeri, nella quale la formola ds2 = E du2 -\- dà (definisce) la distanza di due elementi infinitamente vicini, e quindi dà la possibilità di calcolare lunghezze finite, angoli, aree, cioè di costruirne la metrica; e, se si conservano le coordinate u, v, ma si cambia quella formola, cioè le funzioni E (u, v), , cambia la relativa metrica (« Massbestimraung»). La co 2 analitica delle coppie di numeri (u, v) è uno spazio (a due dimensioni) amorfo, nel quale la formola dell'elemento lineare introduce un principio di organizzazione geometrica; e ciò, variando quella formola, può avvenire in infiniti modi diversi, in un'ordine di infinità dipendente da funzioni arbitrarie.

EIEMANN estende questo concetto a uno spazio 0 varietà a n dimensioni (Vn), insieme di elementi, o punti, in corrispondenza biunivoca e continua coi gruppi di enumeri x17 x2, xn, variabili in un certo campo; e in questa varietà Yn pone — postula come

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data — una metrica, mediante una forma differenziale quadra­tica ds2 = S aik dxt dxk, dove le aik — aki sono funzioni assegnate delle xi:, continue e derivabili finché occorre, e il ds si intende esprimere la distanza dei due punti infinitamente vicini (x) e {x~\~dx)f

da riguardarsi come invariante rispetto a tutti i cambiamenti di coordinate risultanti dal sostituire le a?f con altre n variabili x' {, funzioni univoche, derivabili finche occorre, e univocamente inver­tibili delle prime (quindi con determinante jacobiano non nullo). La forma quadratica che esprime il ds2 si suppone con determi­nante A == \aik\ non identicamente nullo, e inoltre definita positiva, tale cioè da risultare sempre positiva (in particolare non mai nulla) per valori reali delle dxL non tutti nulli, e ciò ad evitare che punti reali distinti possano avere distanza nulla o immaginaria; questo richiede che le aik soddisfacciano nel campo considerato solo a certe diseguaglianze (per la (2) del n. 1, E > 0, E G — F 2 > 0; il che implica pure G > 0). Una varietà Vn così fatta, spesso anche prescindendo dalla condizione che il ds2 sia forma definita positiva, si chiama spazio di Riemann. E geometria riemannìana è la geo­metria intrinseca di questo spazio, cioè lo studio di tutte le pro­prietà di questo spazio e delle figure ih esso contenute che si conservano nelle anzidette trasformazioni di coordinate x'i=x'i (x); proprietà comuni cioè allo spazio proposto e a tutti quelli ad esso applicabili; geometria dipendente essenzialmente dalla classe di forme quadratiche equivalenti cui appartiene il dato ds2.

La determinazione metrica dipende, apparentemente, dalla

scelta arbitraria di tutte le funzioni aik (x), in numero di

in realtà, potendosi ancora operare, sull'espressione del ds2, una trasformazione arbitraria delle variabili x,;, assumendo come nuove variabili n loro funzioni indipendenti, come dianzi accennato, quel numero va diminuito di n; la metrica suindicata dipende

dunque da I I funzioni del luogo.

La limitazione posta da RIEMANN che il ds'2 sia forma definita positiva viene oggi generalmente abbandonata, soprattutto dopo che la teoria della relatività speciale di A. EINSTEIN ha fornito col suo spazio-tempo (cronotopo, universo) un esempio importante di spazio a 4 dimensioni a elemento lineare indefinito. In essa l'intervallo fra due eventi infinitamente vicini (x, y, z, t) e {x -f dx,

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y -f- dy, z -f- dz, t -f dt)j che ha appunto carattere invariante, è espresso (quando gli si dia la dimensione di intervallo temporale)

da ds2 = dt2 (dx2 -j- dy2 -j- dz2), dove e è la velocità (costante) e2

della luce nel vuoto. In questo spazio vi sono perciò elementi lineari e linee finite reali a estremi distinti e di lunghezza nulla;

dx2 -f dy2 -\- dz2

tutti gli elementi pei quali ' = e2, e le linee com-dt2

poste con elementi così fatti, vale a dire le linee di propagazione dei fenomeni luminosi (e di tutti i fenomeni che si propagano colla velocità della luce nel vuoto). E vi sono pure elementi reali a lunghezza (temporale) immaginaria. Comprenderemo perciò fra gli spazi di EIEMANN anche quelli a elemento lineare indefinito.

EIEMANN pertanto, sciogliendosi da vincoli bimillenari, parla per primo della possibilità di infinite geometrie, in corrispondenza all'arbitrarietà nella scelta dei coefficienti aik (x) del ds2. Nello spazio a 3 dimensioni, la metrica euclidea, definita in coordinate cartesiane ortogonali dalla forma quadratica ds2 = dx2 -j~ dy2 -|- dz2, e in coordinate curvilinee qualunque dalla classe di forme quadra­tiche equivalenti alla precedente, è soltanto una di queste infinite possibilità, particolarmente notevole per ragioni di semplicità e di concordanza coi dati sperimentali.

4. Primi elementi di geometria Ricmanniana. — Introdotta così nella varietà la nozione di distanza elementare, ne segue, per integrazione, quella di lunghezza di un arco finito di linea (definito col dare le xt come funzioni di un parametro, in un certo intervallo); e si hanno pure criteri spontanei per definire ango i, aree, volumi, : per es. l'angolo co di due direzioni (dx), (Sa?) uscenti da uno stesso punto mediante la formola:

£ aik (dx{ hxk + 8&i dxk) COS co = •

ds .Ss

Pensando gli elementi lineari ds, Ss come vettori dP, SP uscenti da un punto generico P, la formola di cos co può scriversi mod. dP . mod. SP . cos co =t= 2 aik (dx{. Sxk -f S«?; . dxk); e perciò dare la espressione di ds2 come forma differenziale quadratica

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nelle coordinate equivale a dare la legge della moltiplicazione in­terna (scalare) dei vettori uscenti da uno stesso punto.

Si possono anche determinare le equazioni differenziali delle linee geodetiche, come linee di cui ogni arco abbia lunghezza stazio­naria (e se il ds2 è forma definita positiva, lunghezza minima) rispetto a deformazioni infinitesime che non ne spostino gli estremi. Indicando con A,,,, il complemento algebrico dell'elemento ahk

nella matrice \ahk\ = A, e ponendo ahk •=--•••—- (elementi della 1 A matrice reciproca di \cihk\), si possono introdurre i così detti sim­boli di Christoffel di 2 a specie:

{il) [li') 1 "

I * J l fc j 2 ,= 1

/fi _|_ j_ \

in numero di ni ; e allora le equazioni differenziali delle geo­detiche sono:

% + 2 ^ V^a>' , = 0 (k = 1,2, n)

dove le derivazioni si intendono fatte rispetto all'arco s. Tali geodetiche dipendono da 2 (n — 1) parametri, e si può indivi­duarne una assegnandone ad arbitrio un punto, e la direzione (cioè i mutui rapporti degli incrementi dx^: dx2: : dxn) in questo punto.

Ponendo 2 T — S aik x't x/k, le equazioni differenziali delle d 3T 3T

geodetiche possono anche ricevere la forma . -- •-— = 0, ds ex'i cx,L

cioè delle ben note equazioni generali di LAGRANGE del moto di un sistema con n gradi di libertà, di cui T rappresenta la forza viva, nel caso che il sistema non sia sollecitato da forze (moto spontaneo) e il tempo coincida colla variabile s, lunghezza d'arco; vale a dire, se le n coordinate lagrangiane del sistema si inter­pretano come coordinate di punto di una Yn nella quale la forza viva raddoppiata fornisca l'espressione dell'elemento lineare, le posizioni successive del sistema al variare del tempo saranno rap­presentate dai successivi punti di una geodetica di questa V„

da, ih

CX, dx,.

Ut,

ìx,

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(fatto notissimo per il caso n = 2, del movimento spontaneo di un punto sopra una superfìcie). E come le proprietà meccaniche essenziali di un sistema in movimento sono virtualmente conte­nute nell'espressione analitica della sua forza viva, così la geo­metria intrinseca di uno spazio di RIEMANN è virtualmente con­tenuta nell'espressione del suo elemento lineare.

Nell'ipotesi di un ds2 definito positivo, RIEMANN chiama varietà piana ogni Vn nella quale il ds2, in coordinate opportune, si riduca alla somma dei quadrati di queste coordinate, ds2 = S dx*. Tale

i

è appunto lo spazio ordinario, qualora in esso si assuma valida la geometria euclidea. Oggi si chiamano varietà piane, più gene­ralmente, tutte quelle nelle quali il ds2, in coordinate opportune, ha una delle forme ds2 ~H ±: dx{

2, con termini anche non tutti positivi; distinguendo come spazi euclidei quelli con ds2 a termini tutti positivi, e pseudoeuclidei gli altri, come, per es., lo spazio­tempo della relatività speciale (nei quali il ds2 può anche ricevere la forma 2 dxf, facendo uso di immaginari). Sono varietà piane tutte quelle in cui il ds2 è espresso da una forma differenziale a coefficienti aik costanti (potendo questa ridursi al tipo S i dx? con una sostituzione lineare delle coordinate). Gli spazi non piani si dicono curvi (o anche non euclidei) (*). In ogni spazio rieman-niano le aik possono tuttavia considerarsi costanti nelVintorno di ogni punto generico (x) ; e perciò il ds2 può ridursi a una somma di quadrati affetti da segni convenienti limitatamente a questo intorno; ciò, naturalmente, per l'intorno di ogni punto, ma cambiando le coordinate x{ da un punto all'altro. Uno spazio di Biem,ann può dunque considerarsi come piano in ogni sua parte infinitesima (e se il ds2 è definito positivo, si può anche dire che in questa parte infi­nitesima vale il teorema di Pitagora generalizzato ds2 = E. dx?);

i

esso è come un insieme di tanti pezzetti euclidei (analogamente

(*) In una Vn piana, le coordinate rispetto alle quali il ds2 è espresso da una forma a coefficienti costanti si chiamano spesso coordinate cartesiane (e tali sono appunto nello spazio ordinario); per esse sono ovunque nulle tu t te le derivate delle a^, e quindi t u t t i i simboli di CHKISTOFFEL. Per uno spazio comunque curvo esiste però, per ogni punto P , un sistema, di coordinate local­mente cartesiane o geodetiche, tal i cioè che nel punto P i coefficienti a^ abbiano tu t te le derivate prime nulle, e siano perciò nulli t u t t i i simboli di CHRISTOFFEL.

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ad una superfìcie, che può considerarsi come insieme di pezzetti dei piani ad essa tangenti), senza però che questi pezzetti siano in alcun modo tra loro legati, o orientati l'uno rispetto all'altro (d'accordo col fatto che la superfìcie, o lo spazio, si pensano de­formabili a piacere).

5. Curvatura. Spazi a curvatura costante. — Il concetto di curvatura totale di una superficie dello spazio ordinario in un punto si può estendere a uno spazio di RIEMANN a n dimensioni. Nella stella oo" - 1 delle direzioni uscenti da un punto generico P della V„, RIEMANN considera un fascio qualsiasi di direzioni (ossia una giacitura uscente da P). Analiticamente, pensando ogni dire­zione entro la stella suddetta determinata dagli n parametri

%i — —— (legati dalla relazione S aik ut uk = 1), il fascio conte-ds

nente le due direzioni u,- = - - - - , vf- =—- sarà composto delle ds ' ' Ss l

direzioni aventi parametri A ui -f \x v t1 normalizzati in modo che sia sempre £ aik (X ut -\~ \xv%) '(kuk + M-v*) = !• Risulteranno così individuate le OD1 geodetiche di V„ uscenti da P secondo le oo1

direzioni del fascio suddetto, e la superficie (V2) luogo di queste linee. Questa superficie, come luogo oo2 di punti, rappresentabili in funzione di due parametri, avrà un elemento lineare in due varia­bili (che si deduce dal ds2 della Yn esprimendovi le xt in funzione di quei due parametri), e quindi una certa curvatura totale nel punto P (nel senso di GAUSS, n. 2); questa si chiamerà la curvatura riemanniana della Vn in P, secondo la giacitura considerata. È, come per le superficie, una misura del quanto la varietà, nelle vicinanze di P e secondo la detta giacitura, si discosta dall'essere piana; la sua espressione analitica, in funzione delle aikì loro derivate, e degli elementi necessari a definire la giacitura considerata, è stata anche trovata nei manoscritti di RIEMANN (in un lavoro su un argomento di propagazione del calore, da lui presentato per un concorso a premio indetto dall'Accademia delle Scienze di Parigi). Spazi applicabili hanno in punti e giaciture corrispondenti la stessa curvatura.

RIEMANN ha considerati in particolare gli spazi da lui detti a curvatura costante, nei quali cioè la curvatura in un punto P e secondo una giacitura assegnata ha un valore costante, qualunque

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siano il punto P e la relativa giacitura. Sono gli analoghi delle ordinarie superfìcie a curvatura costante (piano, sfera, superfìcie pseudosferiche). Anzi per n =s 3 è stato dimostrato in seguito (da F. SCHUR) che, se la curvatura dello spazio in ogni singolo punto si mantiene costante al variare della giacitura, essa non varia nemmeno da punto a punto, ossia lo spazio è a curvatura costante: in altri termini, uno spazio localmente isotropo è pure isotropo in tutta la sua estensione. Gli spazi a curvatura costante nulla sono gli spazi piani (euclidei e pseudoeuclidei). Uno spazio a curvatura costante può essere applicato su sé stesso in modo analogo a ciò che avviene per il piano euclideo, la sfera, e le super­fìcie pseudosferiche ; e precisamente in guisa da sovrapporre due suoi punti arbitrari P, P ' e due qualunque nple di direzioni mutua­mente ortogonali e di egual senso uscenti da essi. In altri ter­mini, in questo spazio vi è libera mobilità delle figure, dipen­dentemente da ("J1) -parametri: mentre invece in uno spazio di EIEMANN del tipo più generale un corpo rigido sarebbe legato alla posizione che occupa, e non se ne potrebbe nemmeno con­cepire l'esistenza fuori da questa posizione. La metrica degli spazi a curvatura costante § 0 è la geometria elementare non euclidea, risp. ellittica (cioè la geometria sferica, purché limitata a una regione abbastanza piccola di questa superfìcie) e iperbolica (d i LOBACEVSKY).

6. Osservazioni sull'opera scientifica di Riemann. — La geo­metria Eiemanniana è dunque una geometria differenziale, fondata su proprietà dello spazio essenzialmente locali; distinguendosi così nettamente dall'ordinaria geometria elementare, che contempla solamente leggi (postulati e teoremi) di carattere globale. A E I E -MANN ripugna di sottomettere le nozioni geometriche fondamentali a leggi che fanno intervenire in questioni singole, per es. nella nozione di rette parallele, lo spazio intero ; egli si domanda invece, date le premesse fatte per la geometria in un campo infinitamente piccolo, quali possibilità logiche si presentano per lo spazio intero. Per es. se lo spazio avesse curvatura costante positiva, anche molto prossima a zero, si dimostra che le geodetiche avrebbero lunghezza finita (sarebbero cioè rientranti, come i cerchi massimi della sfera); e lo spazio stesso, in analogia alla sfera, sarebbe bensì illimitato (senza frontiere), ma finito. Per lo spazio fisico, questa

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ipotesi è stata considerata da RIEMANN per primo, e la si ritrova altresì in qualcuna delle recenti teorie dell'Universo.

È appunto concetto filosofico fondamentale, riconoscibile in tutta l'opera di RIEMANN, lo studio delle proprietà dei vari enti, qui dello spazio e in particolare della nozione di distanza, acqui­sito dal loro comportamento nell'infinitamente piccolo ; come, altro esempio classico, la teoria delle funzioni di una variabile cora-

dw plessa w (z), costruita a partire dall'ipotesi che la derivata — sia

dz indipendente, in ogni punto, dall'incremento (ossia dalla dire­zione) dz, il che equivale a dire che la corrispondenza risultante fra i due piani delle z e w sia conforme, cioè simile nelle parti infinitesime. È l'analogo di ciò che, in fisica, si è verificato col progressivo abbandono delle azioni a distanza, e colla tendenza a spiegare i fenomeni mediante propagazione graduale attraverso un mezzo continuo. F. KLEIN afferma che idee consimili erano allora, a Gòttingen, per così dire, nell'aria che si respirava (almeno dagli spiriti «sensibili»), diffuse tra coloro che, come RIEMANN,

erano cresciuti all'ombra del binomio matematico-fisico GAUSS-

GUGLIELMO W E B E R : idee che precorrevano lo svolgimento ulte­riore che ha ricevuto la fìsica; certo MAXWELL, e forse anche EINSTEIN, per quanto concerne la gravitazione. Già GAUSS in una lettera a G. WEBER del 19 marzo 1845 (Opere, voi. V, pag. 629) aveva accennato alla trasmissione delle azioni elettriche a distanza col tempo « auf àhnliehe Weise wie beim Licht », senza però essere ancora riuscito a formarsi « eine construierbare Vorstellung » del modo con cui essa avviene (il che, secondo lui, avrebbe costituito la chiave di volta di tutta l'elettrodinamica); e RIEMANN, in una lettera 28 dicembre 1853 al fratello (Ges. Math. Werke, 2a ediz., pag. 547), conferma che GAUSS aveva pensato da anni a questo argomento, e a qualcuno, fra altri a G. WEBER, aveva comunicato le proprie idee, confidenzialmente e con promessa di assoluto segreto. RIEM;ANN stesso, nella Memoria Ein Beitrag zur ffléktro-dynamik, parla dell'azione di una massa elettrica, che si tras­mette con velocità costante ed eguale, nei limiti degli errori di osservazione, alla velocità della luce; onde la propagazione della luce, calore, energia elettrica, sarebbe retta dalle stesse equazioni differenziali. Nella lettera al fratello già citata parla di ulteriori ricerche: « ueber den Zusammenhang zwischen Elektricitàt, Galva-

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nismus, Licht, und Schwere», onde appunto KLEIN conclude (*): « Eiemann denkt sich den Eaum mit kontinuierliehem Stoff erfiillt, « der die Wirkungen der Gravitation, des Lichtes und der Elektricitàt « ubertràgt ». E alla fine della Memoria sui fondamenti della geo­metria, EIEMANN dice ancora : « Bei einer stetigen Mannigfaltikeit « muss das Prinzip der Massverhàltnisse von anders her hinzu-« kommen... Der Grund der Massverhàltnisse muss ausserhalb des « Eaumes, in darauf wirkenden bindenden Kràften gesucht werden ». Con ciò egli sembra davvero preconizzare l'avvento di una fìsica teorica tale che la metrica dello spazio, almeno nelle immediate vicinanze dei corpi e nell'interno di questi, debba dipendere dai fenomeni che vi si svolgono; fenomeni dei quali essa sarebbe stata indice, ed avrebbe potuto divenire interpretazione.

II .

7. I continuatori di Riemann. Il calcolo differenziale assoluto. — La Memoria di EIEMANN, come appare dall'analisi sommaria che ne abbiamo fatta, conteneva elementi profondamente inno­vatori nel campo matematico, critico e filosofico. E infatti, appena pubblicata (1868), per quanto la lettura, allora specialmente, non ne riuscisse facile, essa fu l'origine di nuove correnti di idee, affer­matesi in più modi. Va anche ricordato che, circa contempora­neamente, vennero pubblicate traduzioni italiane e francesi dei lavori di geometria non euclidea di LOBACEVSKY e BOLYAI, le quali contribuirono pure a richiamare l'attenzione dei matematici sulla Memoria di EIEMANN, che investiva tutto il problema dei fondamenti della geometria.

Come continuatori immediati di EIEMANN, secondo diversi indirizzi, vanno segnalati:

1° EUGENIO BELTEAMI, per la teoria generale degli spazi a curvatura costante, cioè (se la curvatura è diversa da zero) degli spazi non euclidei, nel senso ordinario di questa parola. Egli stabilì che questi spazi sono quelli stessi nei quali le linee geodetiche, in coordinate opportune, sono rappresentate da equazioni lineari (e nei quali perciò, limitatamente a regioni opportune, vale la

(*) Vorlesung uber die Eritwicìcelung der Mathematik im XIX Jahrundert, voi. I (1926), pag. 251.

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geometria proiettiva, colle linee geodetiche come sostitute delle rette); e determinò per essi talune espressioni caratteristiche del­l'elemento lineare.

2° CHRISTOFFEL e LIPSCHITZ, e particolarmente il primo, per la teoria generale analitica delle forme differenziali quadratiche a n variabili, e la ricerca delle loro condizioni di equivalenza rispetto a trasformazioni biunivoche e continue delle variabili; il problema cioè dell'applicabilità degli spazi di EIEMANN, risoluto in alcuni casi da CHRISTOFFEL, mentre altri casi, meno facili, furono trattati molto più tardi da L. BIANCHI e dalla sua scuola.

3° H. v. HELMIIOLTZ, per quanto concerne più particolar­mente il problema dei fondamenti della geometria. Eipugnando a HELMHOLTZ l'assunzione a priori di una forma differenziale qua­dratica per esprimere la distanza di 2 punti infinitamente vicini, egli vi sostituì alcune ipotesi, desunte dall'esperienza, sulla libera mobilità dei sistemi rigidi, dalle quali ipotesi può dedursi come conseguenza l'espressione suindicata della distanza. L'enunciato di queste ipotesi e il ragionamento di HELMHOLTZ furono più tardi (1886-1893) perfezionati da S. L I E .

A seguito particolarmente dei lavori di CHRISTOFFEL, si è svi­luppata gradualmente la geometria intrinseca di uno spazio o varietà Yn Riemanniana, intesa a mettere in evidenza, entro Yw

tutto ciò (proprietà, formole, leggi matematiche, ) che è indipen­dente dalla scelta delle variabili o coordinate x.h comunque curvi­linee, nonché tutti gli enti legati invariantivamente al dato ds2, cioè alla metrica della Yn (linee geodetiche, curvatura, ); a dare procedimenti per ricavare questi enti l'uno dall'altro; a vedere come si comportino nelle trasformazioni di coordinate x/ = /z {x) i parametri che determinano quei vari enti, e scegliere di conse­guenza quei tipi di parametri pei quali queste trasformazioni risul­tano più semplici. Geometricamente, interpretando le trasforma­zioni x/ —ft(x) come trasformazioni puntuali della Yn, diremo che la geometria intrinseca di questa ha come gruppo fondamen­tale (nel senso di F. KLEIN) l'insieme di quelle sue trasformazioni puntuali, che ne conservano invariato l'elemento lineare (*), trasfor-

(*) Essendo nota la legge di trasformazione delle XÌ, quindi quella dei

differenziati dx/ — E dxjc , e dovendo il ds2 — 2 a^ dx{ dz/c rimanere k dxk

3

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mazioni che conservano perciò inalterata anche la lunghezza di ogni arco finito di linea; che mutano geodetiche in geodetiche, in particolare geodetiche di lunghezza nulla (reali o no, secondo che l'elemento lineare è indefinito o definito) anche in geodetiche così fatte, e il cono quadrico (reale o no) degli elementi lineari di lun­ghezza nulla uscenti da un punto arbitrario di Yn nell'analogo cono quadrico uscente dal punto omologo. L'algoritmo di calcolo rispondente a questo intento, cioè a tradurre in forma analitica proprietà geometriche intrinseche della V„ e della sua metrica, è stato fornito da G. RICCI col suo Calcolo differenziale assoluto, oggi anche designato come Calcolo di Ricci, avviato attorno al 1885 in lavori sulle forme differenziali quadratiche, e che verso il 1900 giunse a piena maturazione (*). Ma solamente l'applicazione fat­tane da A. EINSTEIN alla teoria della relatività generale (1915) assicurò definitivamente ai metodi di EICCI l'attenzione dei cultori della matematica e della fisica ; mentre d'altra parte perfezionamenti ulteriori furono introdotti da T. LEVI-CIVITA col suo « parallelismo » di cui diremo in seguito (n. 10).

8. Scalari, vettori, tensori; calcolo relativo. — Il calcolo dif­ferenziale assoluto estende a una qualsiasi Vn Eiemanniana i concetti di scalare (grandezza numerica, funzione del luogo), vettore, tensore, già abituali per lo spazio ordinario, e il calcolo relativo; quindi anche i concetti di campo scalare o vettoriale, gradiente, divergenza, ecc. Per la parte algebrica esso si è modellato sulla teoria delle forme algebriche, cioè delle proprietà di queste forme e delle espressioni formate coi loro coefficienti e colle variabili, che hanno carattere invariante rispetto a sostituzioni lineari omo­genee delle variabili a coefficienti costanti; cosa possibile, perchè in una trasformazione generale di variabili x/ = fi(x) i differen-

invariante, ne deve risultare implicitamente determinata la legge di trasfor­mazione delle aih, che è quella dei tensori doppi covarianti (v. più avanti, n. 8).

(*) V. per es. la Memoria riassuntiva di G. RICCI e T. LEVI-CIVITA nei Mathem. Ann., 54 (1900). Dopo che il calcolo differenziale assoluto ha fornito alla teoria della relatività generale il suo strumento matematico, ne sono stati pubblicati vari trattati; cfr. per es. quelli di SCHOUTEN (Der Bicci-KalJcùl, 1924), di LEVI-CIVITA (Lezioni di càlcolo differenziale assoluto, 1925), di CARTAN

(Lecons sur la Geometrie des espaces de Eiemann, 1928).

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ziali dx{ si sostituiscono secondo lo schema dx't = Efc--~- dxk, e

perciò linearmente, con coefficienti funzioni bensì del luogo, ma costanti per l'intorno di ogni singolo punto (x); sicché la corri­spondenza fra le stelle di elementi lineari uscenti da punti omologhi generici (x), (x') risulta proiettiva.

Vettore contrariante è ogni insieme di n funzioni del luogo A* (indici superiori, i'• = 1, 2, ..... n) le quali in una qualsiasi trasfor­mazione di variabili x/ = fi (x) si trasformano come i differenziali dx^ vale a dire:

dx'i . (1) An =s - r—^A* .

k dxk

I differenziali stessi dxv dx2, dxn ne forniscono un esempio (e si scrivono perciò, generalmente, quando occorra mettere in evidenza questa loro qualità, facendo uso di indici superiori dx1).

Vettore covariante è ogni insieme di n funzioni del luogo A?;

(indici inferiori) le quali si sostituiscono come le derivate prime di una funzione invariante (scalare), ossia:

(2) A', = S - f Afc ;

3 CD il gradiente -^-- (i = 1, 2, n) di uno scalare cp ne costituisce un

dXi esempio.

Pensando la Yn come contenuta in uno spazio euclideo a un numero conveniente N" > n di dimensioni (il che è sempre possi­bile per E" = Ct1)? e eventualmente anche per un valore più piccolo di TS) (*), e in un punto variabile di Vn , entro SN, un vettore

(*) Si tratta infatti di dare al ds2 la forma £ dyf, dove le y^ sono N fun-1 N

zioni incognite delle a?z\ Sostituendo in questa somma £ dyf alle dyi le espres­si/* *

sioni dyi — S ' * dxk , ed eguagliando nell'espressione del ds2 così ottenuta k d%k

e in 2 dik dxi dxk i coefficienti dei termini omologhi, nascono, fra le N fun­zioni incognite yi (x), (n "£ *) equazioni alle derivate parziali del 1° ordine, le quali, salvo incompatibilità che all'atto pratico non si presentano, ammet­tono sempre soluzioni per N = (n "£ *), e eventualmente anche per un valore inferiore di N.

/

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tangenziale rispetto a VB, nel senso ordinario, funzione del luogo, e sia R, di grandezza E e direzione dxx: dx2: : dxn, le quantità

dir • E*= E —* costituiranno un vettore contravariante, le E,; = S aik Efc

ds k. (dove le aik(x) sono i coefficienti del ds2) un vettore covariante; esse potranno allora chiamarsi componenti contravarianti, risp. cova­rianti di R. — Esse possono esprimersi anche vettorialmente. Se /(P) è funzione numerica del punto P, variabile in Vn, con grad,, / = gra­diente superficiale di /, o gradiente di f sulla varietà Yn, si intende il vet­tore tangente a Vn in P e tale che, per ogni spostamento dP tangente a Vw in P, sia df = grad„ / x dP. Esso è la proiezione ortogonale sullo spazio tangente a Yn in P del grad / calcolato nello spazio euclideo SN in cui Vn è immersa. Ciò premesso, le componenti contra varianti del vettore R sono espresse dai prodotti R x gradr xt ;

3P le componenti covarianti dai prodotti R x -^— (*).

Per due vettori A, B, funzioni del luogo, il prodotto interno è dato da S aik A* B* = 2 A* B, = 2! A7 B*, ed è invariante, fun­zione puramente del luogo. Per es., pensando un vettore come rap­presentativo di una forza, di componenti covarianti E?:, l'inva­riante £ E, dx% esprime il lavoro elementare compiuto da questa forza per lo spostamento elementare dxl.

Il prodotto scalare di due vettori funzioni del luogo è espresso dalla somma dei prodotti delle componenti di egual indice, contra­varianti delVuno e covarianti delValtro, ed è uno scalare del campo. Nello spazio ordinario e in coordinate cartesiane ortogonali, le componenti contravarianti e covarianti di uno stesso vettore coin­cidono, e il prodotto interno di 2 vettori è perciò la somma A, Bj -f A2 B2 + A3 B3.

Consideriamo ora due vettori, dei quali siano A,, B t le compo­nenti covarianti. Se ds, Ss sono spostamenti infinitesimi di compo-

(*) B U R A L I FORTI-BOGGIO, Espaces courbes (parte I I , Càp. I-III) , 1924; BURGATTI-BOGGIO-BURALI F O R T I , Analisi vettoriale generale e applicazioni

dP (voi. I I , par te I I ; BOGGIO), 1930. I vettori gradv Xie—— sono entrambi uni-

da­tari (versori), il primo normale alla varietà X{ = cost, mentre il secondo ha la direzione della linea coordinata d'indice i; coincidono, per ogni indice *, in coordinate ortogonali.

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nenti (contravarianti) dx{, 8#% avranno carattere intrinseco i due prodotti scalari 2 A* dxi e 2 Bk§xk; quindi anche il loro prodotto 2 (A^Bfc) dx^xk, forma bilineare nelle dx, Sx (con n2 termini). Più generalmente, pensiamo adesso una qualsiasi forma bilineare nelle dette dx\ §xk (o anche nelle componenti di due vettori contra­varianti) 2 Aik dxi 8xk, dove le Aik sono funzioni del posto. Se

ik

questa forma risulta avere un significato intrinseco, si suol dire che le At-& formano un tensore (o sistema) doppio o di 2° ordine covariante. Dalla legge nota colla quale, passando a nuove varia­bili X £ , SI trasformano le dx1, oV, si ricava quella delle Aik, vale a dire:

dxh dsol A i k = 2 - • - , - . •••--,- Ahl

hi 3#« -3¾

come è anche confermato dall'esempio precedente, in cui Aik — A^ z>k.

Questo tensore può essere in particolare simmetrico (Aik = Afc/), o emisimmetrico (Aìk = — A k i ; Au •— O). Le aik (coefficienti del­l'elemento lineare) formano il tensore doppio fondamentale covariante simmetrico.

In modo analogo, sostituendo ai vettori contravarianti ds, Ss due vettori covarianti, si definisce il tensore doppio contravariante Aik; con un vettore covariante e uno contravariante, il tensore doppio misto Aj. In un cambiamento di variabili, essi subiscono le sostituzioni :

nk _ v v Ml " w k \>'l \'i V v u u , i * \l

CXi

A . Per es., colle notazioni già usate, le aik = *& formano un

tensore doppio contra variante. Un tensore doppio è dunque una matrice quadrata, vincolata

a trasformarsi in certi modi nei cambiamenti di coordinate (*).

1 ^ * A « A'Ì = = *lxh hi °Xh dXi hi Wk

(*) Per es., nella deformazione di un mezzo continuo, se, riferendoci a una origine O, vogliamo, per un punto generico P , esprimere la variazione del vettore P — 0 in funzione di questo stesso vettore, e perciò le componenti dell'uno mediante quelle dell'altro, troviamo appunto un tensore.

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Si può quindi interpretarlo geometricamente come un'omografia, funzione del luogo, come meglio preciseremo fra breve.

In modo analogo si definiscono tensori multipli, diciamo mpli, o di rango m, a nm componenti, non necessariamente tutte distinte (potendo intervenire vari ordini di simmetria o emisimmetria); le rìn componenti si possono pensare come elementi di un deter­minante a m dimensioni. Anche questi tensori possono essere con­travarianti, covarianti, misti; in generale, m' volte contravarianti (ossia con m' indici superiori) e m" volte covarianti (m" indici inferiori), essendo m' + m" — m. Scalari e vettori sono tensori di rango risp. zero e uno (semplici).

Tensori di egual rango e di egual numero di indici di ciascun tipo possono sommarsi, sommando le loro componenti omologhe (così, per es., due scalari, due vettori contra varianti, ). Due ten­sori qualunque possono moltiplicarsi, moltiplicando ogni compo­nente dell'uno per ogni componente dell'altro ; in questa operazione i ranghi e i quantitativi di indici, sia superiori che inferiori, si sommano. Altra operazione importante sui tensori è la contrazione o saturazione degli indici. Se in un tensore misto A;;;£, dove i puntini denotano indici qualunque, in numero anche qualsiasi, zero incluso, si sommano tutte le n componenti per le quali r = s = 1, 2, n, conservando costanti in ogni somma gli altri indici, queste somme X;;; costituiscono a loro volta un nuovo tensore, tensore contratto, con un indice di contra varianza e un indice di covarianza in meno, mutuamente saturati. E così anche più volte di seguito, purché nelle X;;; rimangano ancora indici di entrambi i tipi. Per es., dati i due vettori A* contra variante, B/c covariante, dal loro prodotto, tensore doppio misto A* B7c, per contrazione dei due indici si ha lo scalare S A* Bt-, prodotto interno dei due vettori dati.

Similmente, da un tensore doppio covariante <x.ik, moltiplican­dolo per un vettore contra variante A1, nasce un tensore triplo <xikA

1', e da questo, saturando gli indici h, l, il vettore covariante S a-iic A*= B?;. Introducendo i tensori oihi, <x.hl associati al precedente, k

e legati ad esso dalle relazioni a*< = E ahk oak, aw — E ail OL,1Ì , e il

k i

vettore contra variante B* = £ aik B& (dove le a con indici supe­riori e inferiori hanno il solito significato), si hanno le relazioni:

(1) S.a t tA* = Sa* < À f c =B < ; S <x\. A* = S a** Afc = Bi

k k k k

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che possono riassumersi scrivendo simbolicamente a . A = B. Siamo così condotti a considerare il tensore doppio a, insieme dei 3 tensori associati suddetti, come un operatore (lineare) che muta vettori A in vettori B; e più precisamente come un'omografìa, a n — 1 dimensioni, funzione del luogo, entro la stella delle oc'1 - 1 direzioni uscenti da un punto generico (ce) di Vn. Entro lo spazio Sn tangente a Vn in (x) sarebbe una affinità (secondo BTJRALI FORTI-BOGGIO, omografia vettoriale) che muta appunto vettori in vettori; le varie relazioni (1), cioè le sostituzioni lineari definite dai tensori associati OLÌ1C , afc, , a*, esprimono le componenti contravarianti o covarianti di B mediante quelle di A.

Più generalmente, un tensore mpl° moltiplicato per un tensore (m — l)pl° (di tipo conveniente) e con m — 1 saturazioni di indici produce anch'esso un vettore. Questi tensori si possono rappresen­tare geometricamente con omografìe di ordine superiore (m — 1), iperomografie, che sarebbero rappresentate analiticamente da matrici a m dimensioni. Come operatore, una tale iperomografia muta un tensore (m — l)pl° in vettore; e poiché da m — 1 vet­tori, moltiplicandone le componenti, nasce un tensore (m — l)pl°, si suol dire che l'omografìa di ordine m — 1 è un operatore lineare che muta (m — l)ple di vettori in vettori (*).

Le proprietà intrinseche di una Yn Riemanniana devono espri­mersi mediante equazioni fra tensori (riducibili ciascuna all'annul­larsi identico di un tensore, ricavato eventualmente da più altri con certe operazioni) ; equazioni che valgono naturalmente, in una data metrica, per qualunque sistema di coordinate curvilinee; hanno quindi, al pari delle operazioni su tensori sopra definite, carattere assoluto.

9. Derivata covariante. Tensore di Biemann-ChristofM. — Strumento essenziale del calcolo differenziale assoluto è la così detta derivata covariante. Mentre le derivate di una funzione del luogo sono le componenti di un vettore covariante (ossia da un sistema invariante di rango zero si ricava, per derivazione, un sistema covariante di rango uno), il sistema delle derivate di

(*) BUKGATTI-BOGGIO-BURALI FORTI , 1. C.

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un sistema di rango uno, in numero di n2, non è in generale un tensore doppio. Per es. dalle (2) del n. 8 si ricava:

dA't dxk dxh dAk d2xk

dx'j kit dx'i dx'j dxh ti dx'i dx't

con termini contenenti derivate seconde delle xk, che non dovreb-3 A',

bero comparire se le — costituissero un tensore. Non compa-dx\

iono in uno spazio euclideo, e finché ci limitiamo a coordinate cartesiane, perchè allora le dette derivate seconde sono nulle. Però,

die1

indicando con A; un vettore covariante, la somma £ A^ —— è i ds

funzione del luogo; e la velocità di variazione di questa funzione lungo una linea qualsiasi, purché quest'ultima sia individuata in modo intrinseco, sarà perciò anche un invariante. Derivando

d2x* 3 A,- dxk dxl

A, — - + rispetto all'arco s, si ha E

i, k fee questa

ds2 dxk ds ds derivata s'intende fatta sopra la geodetica uscente da (x) nella direzione dx, tenendo conto delle equazioni differenziali delle geo­detiche (n. 4), il detto invariante assume la forma seguente:

i. k axk ?t l h J (xx ax ax ax

. .. E poiché ? sono ds ds ds ds

vettori contravarianti, l'insieme delle quantità in parentesi quadre è un tensore covariante doppio At-|fc = Aik1 che si dice tensore deri­vato covariante di A*. Questa derivazione covariante è dunque ope­razione inerente alla metrica di V„, e cambia con questa metrica. La derivazione covariante differisce da quella ordinaria per la presenza di un certo termine sottratto (*); termine che scompare nel caso delle varietà piane e se si fa uso di coordinate carte­siane, essendo allora le aik tutte costanti, e perciò nulli i simboli di

clAi (*) Dal primo termine — — , gradiente apparente, si sottrae la pseudovaria-

óxk

zione, dipendente dai simboli di CHRISTOFFEL, che può attribuirsi alla natura curvilinea delle coordinate.

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CHRISTOFFEL (e d'altronde le xt sono allora funzioni lineari di s, e perciò le loro derivate seconde nulle). Per derivate covarianti di tensori a più indici di covarianza il procedimento si estende facilmente; il caso in cui vi siano indici di contrarianza si ricon­duce al precedente con saturazione di indici.

La derivata covariante è anche suscettibile di un'espressione vettoriale. Consideriamo in un punto generico P di Vn un vettore tangenziale u, funzione del luogo. Dando a P uno spostamento infinitesimo dV su V„, il vettore u subirà un incremento vetto­riale dw, vettore pur esso entro lo spazio euclideo Sx che contiene VB, ma in generale non più tangente a Vn. Di questo incremento du prendiamo la componente tangenziale, cioè la proiezione orto­gonale sullo spazio Sw tangente a V„ in P, che indicheremo con dv u e chiameremo differenziale di u su V„, o differenziale superficiale di u. Il sistema derivato covariante di un vettore u, di componenti

dvu 3P covarianti uit ha componenti u{\k =••--— x ——. Vale a dire: La

P t t / j . 0 X j

derivata covariante di indice le della componente covariante ut di u 9,.u

è la componente covariante di indice i del vettore -.'—-, derivata super-dxk

fidale di u rispetto a xk. Essa può pensarsi ottenuta derivando 3P

superficialmente l'espressione ut = u x —— rispetto a xk e riguar-ap

dandovi -——- come costante. Le derivate covarianti delle componenti dXi

di un vettore sono dunque a loro volta le componenti di derivate superficiali di questo vettore. Derivare covariantemente un vettore, vuol dire prendere le componenti covarianti dei vettori derivati superficiali del primo.

Nella derivazione covariante si conservano la maggior parte delle proprietà e regole di derivazione del calcolo differenziale ordinario (derivata di una somma, prodotto, ); però l'ordine di due derivazioni successive non è in generale invertibile. La diffe­renza Aikl — Ailk non è identicamente nulla, ma è a sua volta un tensore triplo, e può ricevere la forma E Bm Am, dove B m è un

x ' x m ikl "* ' ilk

nuovo tensore, il tensore di Eiemann-Christoffel, cui spetta la pro­prietà caratteristica di essere identicamente nullo per tutte le varietà piane, e per esse soltanto; allora naturalmente (come è

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ovvio, se si usano coordinate cartesiane) l'ordine della derivazione covariante è invertibile. Il tensore di Riemann-Christoffel ha anche esso il tensore associato puramente covariante BMkl — 2 aim B "J.

La curvatura di uno spazio di Eiemann in un punto e secondo una giacitura comunque assegnata può esprimersi mediante una fra­zione i cui termini sono entrambi forme di 2° grado nei binomi dxh 8 xl — dx% 8 xh, che possono pensarsi come coordinate della gia­citura; i coefficienti del numeratore sono le Bhm, componenti covarianti del tensore di Riemann-Christoiìfel, mentre i coefficienti del denominatore sono minori di 2° grado estratti dal determinante A--=\aik\:

E BMU {dxh Sx* — dx^x71) {dxk Sxl — dxlBxk)

È (ahk aa — % ailc) (dxh 8xl — dx% 8xh) (dx,c $xl — dxl 8xk)

Dal tensore di Riemann-Christoffel, con due successive con­trazioni, si ricavano gli altri due tensori

l'ultimo dei quali, diviso per n (n — 1), è la così detta curvatura scalare della Yn nel punto considerato: questa e le BA& compaiono nelle equazioni gravitazionali di Einstein.

Introducendo la così detta Omografia di Riemann, particolare omografìa di 3° ordine, che muta perciò terne di vettori in vettori, definita da:

éft d Q 8 Q u = 8V d.„ u — dv 8V u

(funzione del punto Q e della giacitura contenente gli spostamenti dQ, 8Q, ma non di questi ultimi singolarmente), la curvatura K è espressa vettorialmente da:

$ a b a x b Jv

a2b2 —(a xhf

dove a, b sono vettori arbitrari appartenenti alla giacitura di cui trattasi.

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10. Parallelismo di Levi-Civita. — Fino a questo momento non ci si è presentata nessuna possibilità di confrontare tra loro, in una Yn Riemanniana, due vettori di diversa origine ; riescirebbe quindi impossibile ogni enunciato, nel quale intervenissero due vettori di origine diversa. Uno spazio di Eiemann è euclideo (o pseudoeuclideo) nei suoi pezzetti infinitesimi, ma questi pezzetti appaiono fra loro disgregati, come d'altronde inevitabile, almeno finora, se la geometria intrinseca di esso deve essere indipendente da flessioni. Nasce ora l'opportunità di stabilire una connessione tra i vari pezzetti anzidetti; il che, a prescindere da qualche accenno precedente, ha fatto appunto LEVI-CIVITA (Bend. Palermo, voi. 42, 1917). Alla nuova teoria, che ha portato un notevole perfezionamento al calcolo differenziale assoluto, è rimasto il nome di « parallelismo di Levi-Civita ».

LEVI-CIVITA è partito dal concetto di estendere la nozione di parallelismo dal piano euclideo alla geometria intrinseca di una superfìcie qualunque, e da questa a uno spazio di Riemann, orientando l'uno rispetto all'altro gli intorni di due punti qualunque infinitamente vicini di questo spazio ; e ciò mediante una relazione biunivoca senza eccezioni di parallelismo fra le direzioni uscenti da questi punti sulla Yn, e quindi di equipollenza fra i vettori tangenziali nei punti stessi. E così, di punto in punto, lungo un'intera linea sulla 'Vn. Questa relazione di parallelismo diffe­renziale non è però in generale integrabile; cioè, trasportata di punto in punto lungo una certa linea da una posizione iniziale P a una posizione finale Q a distanza finita dalla prima, conduce a un risultato (una direzione) che dipende, in generale almeno, dalla linea PQ considerata, e varia al variare di questa, anche se ne restano fìssi gli estremi.

Nel caso di una superficie F dello spazio ordinario, LEVI-CIVITA

considera la sviluppabile circoscritta a questa lungo la linea L = E P Q

anzidetta; sviluppabile che ha per generatrici le rette intersezioni delle coppie di piani tangenti a F in punti infinitamente vicini di L, ed è toccata da ognuno di questi piani lungo l'intera gene­ratrice corrispondente (per es., se F è una sfera e L un cerchio su di essa, questa sviluppabile è un cono). Questa sviluppabile, nelle vicinanze della linea L, si può considerare coincidente colla superficie F, a meno di infinitesimi di ordine superiore. Egli chiama allora parallele per spostamento lungo la linea PQ due direzioni

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uscenti rispettivamente da P e da Q sulla superfìcie F (ovvero, il che fa lo stesso, sulla sviluppabile anzidetta) quando, eseguito lo sviluppo di questa sviluppabile sopra un piano euclideo, tali direzioni risultano, nel piano, parallele in senso ordinario. E così anche per l'equipollenza di due vettori tangenziali uscenti rispet­tivamente da P e da Q. Questo trasporto per parallelismo con­serva evidentemente gli angoli, ossia l'angolo di due direzioni uscenti da P sulla superfìcie è sempre eguale all'angolo delle dire­zioni ottenute da queste trasportandole entrambe per paralle­lismo in Q lungo una stessa linea PQ. In particolare, se la linea L è una geodetica della superfìcie F, e quindi tale anche per la svi­luppabile ad essa circoscritta lungo L (perchè in tal caso i piani osculatori a L nei suoi singoli punti sono tutti normali a F, e quindi anche alla sviluppabile), la L si distende nel piano secondo una retta, e saranno perciò parallele tutte le direzioni che, nei vari punti di questa geodetica, formano con questa un angolo costante in ugual senso. Fra altro, i vari elementi lineari di una geodetica sono tutti paralleli fra loro per trasporto lungo la geodetica stessa ; ossia le geodetiche di una superficie sono linee autoparallele.

Questa definizione, per quanto si valga di elementi estranei alla superficie F, ha tuttavia carattere intrinseco rispetto a questa. Ciò è ovvio se il trasporto ha luogo lungo una geodetria; perchè, indicati con P, Q due punti qualunque di questa geodetica, e fissata una direzione arbitraria uscente da P sulla superfìcie, e formante colla detta geodetica l'angolo a, la direzione parallela a questa uscente da Q sarà individuata dalle due condizioni di stare sulla superficie e formare in Q colla geodetica di trasporto lo stesso angolo a. E questa considerazione si estende al caso gene­rale, pensando il trasporto lungo una linea qualunque scisso in trasporti elementari fra coppie di punti P, P ' infinitamente vicini, fra i quali l'arco PP ' può sempre considerarsi come un arco di geodetica.

Il parallelismo di LEVI-CIVITA conduce pertanto a considerare sopra una superficie tutta la zona immediatamente circostante a un arco finito di linea L qualsiasi — zona comune alla superficie e alla sviluppabile ad essa circoscritta lungo L — e a distenderla per deformazione sopra un piano, trasportando la nozione di parallelismo per questa zona di larghezza infinitesima dal piano alla superfìcie proposta.

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La non integrabilità (in generale) del parallelismo equivale al fatto che una direzione arbitraria uscente da un punto P, tras­portata per parallelismo lungo una linea chiusa fino a che il punto origine ritorni in P, non riprende in generale la posizione iniziale. E lo scarto angolare di questa direzione è una specie di misura della curvatura della superficie nella zona circuita dalla detta linea chiusa. Per es., considerando una sfera e su di essa un cerchio y non massimo, la sviluppabile circoscritta alla sfera lungo y è un cono ; sviluppando tale cono sopra un piano, il cerchio y si dispone secondo un arco di cerchio di eguale lunghezza, ma di raggio maggiore, e quindi di ampiezza < 2 n • perciò a direzioni paral­lele uscenti dagli estremi di quest'arco nel piano di sviluppo cor­rispondono sulla sfera direzioni uscenti da uno stesso punto ma distinte.

Il parallelismo di LEVI-CIVITA è evidentemente integrabile nel piano e sulle superficie sviluppabili; ed è questo anzi l'unico caso di integrabilità, o, come si suol dire, di parallelismo assoluto, o teleparallelismo.

Il parallelismo di LEVI-CIVITA si estende agli spazi di Riemann. Anche per una Vri il trasporto per parallelismo lungo una linea assegnata equivale a una specie di sviluppo della regione di Vn

immediatamente circostante alla linea di cui si tratta (e infinite­sima in ogni altra direzione) sopra un Sn euclideo (sicché la geo­metria di Riemann, integrata col parallelismo di Levi-Civita, può considerarsi euclidea nelle immediate vicinanze di un'intera linea). Il detto parallelismo è anche suscettibile di un'espressione geome­trica molto intuitiva: Essendo P, P ' punti infinitamente vicini della Yn, prendere in P ' la direzione parallela a una direzione assegnata uscente da P entro Yn equivale a prendere in P ' la dire­zione parallela alla precedente entro l'SN euclideo contenente la Vn)

e proiettare questa ortogonalmente sullo spazio tangente a Vn

in P' . Di qui si deducono facilmente espressioni analitiche semplici della relazione di parallelismo:

1° L'incremento vettoriale SR che il vettore R di lunghezza costante subisce nel trasporto per parallelismo da P a un punto infinitamente vicino qualsiasi P ' è sempre perpendicolare a qualsiasi spostamento tangenziale di P sulla Vn proposta. Da ciò l'equazione simbolica del parallelismo SR x dP = 0, per ogni spostamento dP sulla V„.

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2° Introducendo le componenti contravarianti E* o cova­rianti Efc del detto vettore R, si trova che gli incrementi dEft, dR>k di queste componenti nel trasporto per parallelismo da P a P ' sono espressi da :

dW + S { " } E* dxt = O ; dlùk — S { */} E, (tot = O.

Questi incrementi, nel trasporto per equipollenza lungo il cam­mino elementare ds, sono dunque espressi mediante le dx, compo­nenti del cammino stesso, le E* ovvero E,, componenti del vettore di cui trattasi, e i simboli di Christoffel, i quali a loro volta dipen­dono solo dal ds2. I simboli di Christoffel ricevono perciò il nome di componenti della attuale connessione (connessione di Levi-Civita).

3° Dire che l'incremento dR dev'essere normale a Yn equi­vale a dire che deve essere nullo il differenziale superficiale dJR = O. Perciò un vettore di lunghezza costante si trasporta per paralle­lismo lungo una linea assegnata quando lungo la linea stessa è ovunque nullo il suo differenziale superficiale (dv~R = O). Perchè il parallelismo sia integrabile (o assoluto), occorre e basta che la dvR = O, come equazione nel punto P, sia completamente inte-

}'. grabile; ed allora la Yn è uno spazio euclideo. Il parallelismo di Levi-Civita permette anche di presentare in

nuova forma, semplice e intuitiva, il concetto della derivazione covariante. Sia X, un vettore covariante, e perciò invariante la

.-:1 forma 2 X^ dx1 = $. Quando da un punto P si passa al punto P ' infinitamente vicino, la forma O subisce un incremento, che a meno di infinitesimi di ordine superiore, è la somma di quelli che risultano dalla variazione delle X<, come funzioni del posto, e di quelli dovuti alla variazione del vettore ausiliario di componenti dx\ variazione a priori indeterminata.. Se si conviene che, nel passaggio da P a P', il detto vettore si trasporti per parallelismo, l'incremento di ¢, nel quale intervengono le componenti di PP ' —Ss, si presenta come una nuova forma $ ' = SXi]fc dx1 $xk, con signifi­cato intrinseco, e quindi invariante. Le ~Xik così definite costitui­scono il tensore derivato covariante di X<:

X i fc = -= ^ { ) A.- «

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Più generalmente, dato un tensore qualsiasi, con esso e con vettori covarianti u e contravarianti £ possiamo formare una funzione O invariante. Calcoliamo il SO introducendo in luogo di u, 5 i vettori uscenti dal punto (x + 8x) e rispettivamente equi­pollenti ai primi (trattandosi di trasporto infinitesimo, non inter­viene la curva relativa). Nasce una espressione pure invariante (perchè dotata di significato intrinseco) nelle componenti dei detti vettori u, £ e nelle Bx% (contravarianti). I coefficienti di questa nuova forma avranno un indice di covarianza in più di quelli del tensore proposto; essi formano il tensore derivato covariante dal primo.

L'annullarsi della derivata covariante Au esprime che il vet­tore A si trasporta per parallelismo lungo la linea coordinata di indice l (xk == O per 1c=\=l)', ossia che i vettori A e A + (¾A, otte­nuto dal primo per variazione lungo la linea l, sono fra loro paralleli.

La derivazione covariante si può dunque definire anche in tutti quegli spazi più generali (e ne vedremo esempi) in cui sia definito il trasporto per parallelismo dei vettori tra punti infinitamente vicini. In questi spazi più generali avremo egualmente delle linee « autoparallele », che sostituiranno in certo qual modo le geode­tiche; la derivazione covariante sarà «derivazione in relazione a questo sistema di linee autoparallele ». ,.--.'"iv^yX?/;* '<}•

III .

11. Cenno sulla teoria della relatività generale di Einstein. — Il calcolo differenziale assoluto ha fornito a EINSTEIN lo strumento matematico necessario alla sua teoria della relatività generale (1915). EINSTEIN stesso, a proposito del calcolo differenziale assoluto, scrisse che la sua teoria costituisce « einen wahren Triumph der «durch GAUSS, RIEMANN, CHRISTOFEEL, EICCI begriindeten Methode «des allgemeinen Differentialkalkiils ».

Il fenomeno fondamentale della gravitazione consiste in questo : Ogni corpo che si muove sotto l'azione esclusiva delle gravità acquista una accelerazione, che è indipendente dalla sua natura, dal suo stato fisico, dalla sua massa (sicché per questo corpo sono eguali la « massa inerte » e la « massa ponderale ») ; in altri termini, questa accelerazione ha carattere puramente geometrico.

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Immaginiano ora un ambiente chiuso, per es. una cabina, che cada liberamente nel vuoto, sotto l'azione della gravità; sicché, per es., un sasso abbandonato entro di essa, senza impulso, a una certa altezza dal pavimento, discenderebbe colla stessa velocità, e apparirebbe quindi immobile a un osservatore interno alla cabina; e, se lanciato in una direzione qualsiasi, descriverebbe, per lo stesso osservatore, una traiettoria rettilinea, con moto uniforme. Questo ci conduce a ammettere che per un campo abbastanza piccolo, entro il quale le variazioni locali e temporali della gravità siano trascurabili — in teoria, per un campo infinitamente piccolo — esista un sistema di riferimento K0 — la cabina — entro il quale la gravità non influisce sul movimento di un punto materiale, né su altri fenomeni fisici. Nell'infìnitamente piccolo, il campo di gravitazione si può eliminare con un cambiamento del sistema di riferimento. Ammettiamo pertanto che, entro K0, per il movimento di un punto materiale soggetto alla sola gravità, valga la teoria

1" della relatività speciale, cioè ds2 = dt2 {dx2 -\- ), con dt, dx,

e2

convenientemente misurate. E così per tutte le posizioni nel cro­notopo, variando tuttavia il sistema K0 da luogo a luogo. Adottando nel cronotopo un sistema unico di coordinate, comunque curvilinee, il ds2 sarà ancora espresso, rispetto a queste coordinate, da una

4

forma differenziale quadratica a 4 variabili 2 g™. dx1 dxk, ma con U'= 1

le gik funzioni del luogo; il cronotopo sarà quindi uno spazio Eiemanniano, pseudoeuclideo nelle sue parti infinitesime. Quanto alle linee orarie del movimento libero (caduta) dei punti materiali, per ogni punto del cronotopo vi è un corrispondente sistema di coordinate K0, nel quale, per quel piccolo intorno, le equazioni di queste linee sono lineari, le linee stesse quindi geodetiche (rispetto al ds2 della relatività speciale); EINSTEIN postula che esse siano anche per tutta la loro estensione linee geodetiche del cronotopo, in relazione alla metrica definita dall'elemento lineare suddetto ds2 = S gik dxi dxk.

La presenza di materia modifica dunque il ds2 della relatività spe­ciale, sostituendo alla sua espressione a coefficienti costanti un'altra a coefficienti funzioni del luogo; e questo è ciò che in linguaggio geometrico si esprime dicendo che il cronotopo, dianzi piano, ora è curvo. In altri termini, la presenza di materia, e perciò la gravi-

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tazione, incurva lo spazio-tempo; la gravitazione, fenomeno fisico, riceve così un'interpretazione geometrica; viene geometrizzata. La metrica dell'universo dipende, sia pure in pratica molto tenuamente, dai fenomeni che vi si svolgono; è l'espressione matematica delle proprietà e distribuzione della materia (*). E ciò in modo che un punto materiale non soggetto a forza alcuna (moto per inerzia) descrive una geodetica del cronotopo (ammettendo trascurabile il campo di gravitazione prodotto dal punto stesso): è questa l'attuale generalizzazione del principio d'inerzia di Galileo.

Lo spazio non appare ora più come una specie di gran caserma, che possa essere occupata, momento per momento, dai vari corpi; ma la materia (l'insieme dei corpi) ha, istante per istante, per così dire, la sua casa, e col passare del tempo se la trascina dietro e se la modifica; l'insieme di tutte queste case è il cronotopo.

La determinazione delle gik potrebbe, almeno concettualmente, farsi per via sperimentale, col mezzo di osservazioni opportuna­mente condotte (**). Riferendoci a un qualsiasi particolare sistema di coordinate oc, y, z, t, possiamo pensare abbandonati nello spazio, a partire da posizioni note, punti materiali, e osservarne le traiet­torie, cioè x, y, z come funzioni del tempo t dell'osservatore, imma­ginando inoltre connesso a ciascuno di quei punti mobili un orologio che ne misuri in modo leggibile il tempo proprio, cioè la lunghezza dell'arco di linea oraria. Immaginando fatto questo per ogni punto e per ogni istante origine, e per 10 archi elementari che ne escano, abbiamo (teoricamente) la possibilità di determinare per ogni punto del cronotopo i valori delle dieci gik.

L'ordinario principio di relatività: «Le leggi naturali devono essere indipendenti dal sistema di riferimento » va ora così preci­sato, per quanto concerne i fenomeni gravitazionali : « Le leggi di questi fenomeni devono tradursi in proprietà dello spazio-tempo, che siano intrinseche dopo aggiunta la forma differenziale quadra­tica ds2, quindi in equazioni fra tensori)). In particolare, come gene-

(*) Dopo RIEMANN (n. 6), anche CLIFFORD scrisse, fino dal 1875 (The unseen Universe; Essays and Lectures, 2a ediz., 1886, p . 161): « The theory of «space curvature h i n t s a t a possibilityof describing mat ter and motion in terrns «of extension only ».

(**) CASTELNUOVO, Spazio e tempo secondo le vedute di A. Einstein, Bologna, 1923.

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ralizzazione dell'equazione di Poisson A2 9 = — 4 n p fra i due sca­lari 9 (energia potenziale riferita all'unità di massa) e p (densità di massa), EINSTEIN, in base a considerazioni che non posso qui riferire, è giunto alle sue equazioni gravitazionali:

B.-ft o" R Qlk = — x T*'7c

dove al potenziale 9 è sostituito il tensore fondamentale gik (donde appunto il nome di potenziali gravitazionali'dato alle gik), e alla p il così detto tensore energetico Tik; mentre ~Rik, R sono il tensore e lo scalare ottenuti al n. 9 per contrazione dal tensore di Biemann-Christoffel, e x una costante. Poiché i fenomeni gravitazionali richiedono che l'universo sia curvo, e pertanto la legge B w = O,

che caratterizza l'universo piano (n. 9), può valere solo a distanza grandissima da ogni materia, EINSTEIN è stato naturalmente con­dotto a considerare i tensori contratti ~Rik, R e quindi le combinazioni R,-fc + [iB.gik -({JL costante), una delle quali è appunto identificata con Tik. In assenza di materia e energia, ma pur tuttavia in pros­simità di queste, si ha Tik = O, quindi E,-fc = lgik, dove X è picco­lissimo; perciò prossimamente Rifc = O (spazio curvo in 1° grado).

Nel caso di un centro di attrazione unico (quale il Sole, di gran lunga preponderante rispetto a ogni altra massa del sistema solare), le equazioni di Einstein conducono a ritrovare, almeno in prima approssimazione — fatto notevolissimo — le leggi di Keplero, senza che intervenga alcuna ipotesi sulla legge dell'attrazione (che questa sia cioè inversamente proporzionale al quadrato della distanza); e si riesce altresì a dare ragione di uno spostamento, prima inesplicato, di circa 43 " al secolo, riscontrato nel perielio di Mercurio. Nel campo gravitazionale, anche la legge della pro­pagazione luminosa è rappresentata da una geodetica, di lunghezza nulla; e il raggio luminoso si incurva, come si è constatato speri­mentalmente durante le ecclissi, quando passa in vicinanza del Sole. Viene così conseguita, nella descrizione dei fenomeni naturali, e per un campo già abbastanza vasto, una notevole unità, quale appunto rispondente all'ideale di ogni teoria fisica.

12. Generalizzazioni degli spazi di Riemann. — Questa geome-trizzazione di un ampio campo della fìsica non poteva a meno di

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richiamare in larga scala l'attenzione degli scienziati sugli spazi di Eiemann e sul calcolo differenziale assoluto. Ebbe così inizio un lavoro, nel campo matematico, che portò anzitutto a semplifi­care il calcolo differenziale assoluto e il concetto della derivazione covariante (parallelismo di Levi-Civita, 1917). Ma soprattutto la ricerca matematica si volse a creare possibilmente spazi più gene­rali di quelli di Eiemann, con una metrica dipendente da un maggior numero di funzioni arbitrarie, dei quali era perciò presumibile che avessero una maggior capacità di rappresentazione fìsica, fossero cioè capaci di geometrizzare un più ampio gruppo di fenomeni fisici, soprattutto i fenomeni elettromagnetici (tanto più che nella teoria di Einstein era già compresa la propagazione della luce secondo le geodetiche di lunghezza nulla del cronotopo); cercando perciò di pervenire a una teoria unitaria del cam,po, cioè ad una geometria che dia ragione, per mezzo di sole proprietà del continuo spazio-temporale e senza l'intervento di alcuna nozione di forza, delle azioni gravitazionali ed elettromagnetiche ad un tempo; riducendosi inoltre, in assenza di elettricità, almeno con grande approssimazione, alla teoria einsteiniana della gravitazione. In questi spazi più generali, tutte le leggi fìsiche (almeno per quanto riguardino fenomeni continui) dovrebbero esprimersi mediante equazioni intrinseche; la fìsica tutta dovrebbe ridursi a un sistema di equazioni fra tensori, a un «catalogo di coincidenze tensoriali » (*)'.

Generalizzazioni consimili si sono avute da vari punti di vista (e senza che ancora ne esista una teoria riassuntiva completa). Le principali sono dovute a WEYL (dal 1918) e CARTAN (dal 1923); altre a EDDINGTON, SCHOUTEN, e alla scuola americana di Princeton (EISENHARDT, VEBLEN, e loro allievi e collaboi'atori). CARTAN afferma anzi che, in mezzo a queste geometrie più generali, talora anche chiamate « Geometrie non Eiemanniane », la geometria di Eiemann ha oggi una posizione analoga a quella che è rimasta alla geometria elementare euclidea, come geometria delle relazioni metriche, in confronto alla geometria affine, proiettiva, con­forme, ecc. : invero, uno spazio di Eiemann può considerarsi come euclideo nelle sue parti infinitesime, e questi nuovi spazi più

(*) In queste ricerche, svoltesi dal 1918 (WEYL) in qua, non è però tenuto conto, per la fìsica, della meccanica quantistica, portatasi in primo piano in questi ultimi anni.

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generali possono considerarsi invece, nelle loro parti infinitesime, come spazi affini, proiettivi, ecc.

13. Geometria di Weyl (*). — WEYL costruisce la sua geo­metria differenziale (Nohe-geometrìe) in tre stadi successivi, ch'egli pone senz'altro in raffronto colle corrispondenti teorie fisiche:

1° continuo amorfo, nel senso dell'Analyis Situs; dal punto di vista fisico, die leere Welt, il mondo vuoto;

2° lo spazio a connessione affine; nella fìsica la connessione affine appare come campo gravitazionale;

3° il continuo metrico; in senso fisico Vetere, i cui stati fisici si manifestano nei fenomeni elettromagnetici.

Nello spazio anche puramente amorfo di Weyl si possono già introdurre coordinate, scalari, vettori, tensori, ...; per es. vettori contravarianti, come sistemi di n funzioni del luogo, le quali, in ogni cambiamento di coordinate, si sostituiscono come i diffe­renziali dx^ Si dice poi che il punto P è in connessione affine col punto P ' ad esso infinitamente vicino, quando è data una corri­spondenza affine tra il sistema dei vettori uscenti da P e il sistema dei vettori uscenti da P', in base alla quale per ogni vettore uscente da P risulti determinato in quale vettore uscente da P ' esso si muta per lo spostamento parallelo infinitesimo PP' . All'uopo WEYL introduce un postulato : Vi è, per l'intorno di P, un sistema di coordinate (dette « coordinate geodetiche ») nel quale, — come per le coordinate cartesiane, anche comunque oblique, entro spazio euclideo — le componenti di un vettore qualunque uscente da P non si alterano se questo vettore subisce lo spostamento parallelo infinitesimo PP ' . Questa connessione affine tra P e P ' va riguardata come la legge di pro­pagazione infinitesima dei vettori. Come si traduce analiticamente questa propagazione, in un sistema di coordinate qualunque? Siano (oc), (x -]- dx) le coordinate dei due punti P, P', e _(£), (£ -|- di) due vettori corrispondenti. Dovranno, come in ogni rappresentaT zione affine o lineare, le £» -f d^t e quindi le d^t esprimersi linear­mente e omogeneamente mediante le £z, ossia d\t = —£dy : *£ r ,

r r

dove le dy sono quantità infinitesime che dipendono solo dal punto P,

(*) Baum, Zeit, Materie; 1918, con parecchie edizioni e traduzioni successive.

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cioè dalle xtì e dallo spostamento infinitesimo PP', di componenti dXi, ma non dal vettore (£); tali inoltre che il loro determinante sia 4= 0. Uno spazio (varietà) si dice a connessione affine se ogni suo punto è in connessione affine con tutti quelli ad esso infinita­mente vicini. Considerazioni ulteriori che non ci fermiamo a svilup­pare portano WEYL a concludere che le dy sono a loro volta forme lineari nei differenziali dxi7 ossia dyl = ^ T\ dxsì dove le F dipen­dono solo più dalle xt. Esse si chiamano componenti della con­nessione affine, e soddisfano, in qualsiasi sistema di coordinate, alla legge di simmetria F*8 — Vl

sr (come i simboli di Christoffel dei quali prendono qui il posto). Si ha quindi:

dli = — S VÌslrdxs. rs

Se P, Q sono due punti congiunti da una linea sulla Yn, un vettore qualsiasi di origine P potrà spostarsi parallelamente a sé stesso lungo tale linea da P in Q. Ma questo trasporto (dipendente analiticamente da un sistema di equazioni diffe­renziali) non sarà in generale integrabile (cioè quel sistema di equazioni differenziali non sarà in generale completamente inte­grabile): il vettore di origine Q a cui si perviene varierà, in generale, al variare della linea PQ lungo la quale il trasporto si è effettuato.

Linee geodetiche (o rette) sono quelle di cui ogni elemento è parallelo al successivo, cioè quelle descritte dall'origine di un vet­tore il quale si trasporta nella stessa sua direzione e parallelamente a sé stesso; perciò linee « autoparallele ». Si può anche estendere il concetto di curvatura (in un punto, e secondo una giacitura asse­gnata); e pensare lo spazio a connessione affine, a pari del crono­topo della relatività generale di Einstein, come un campo gravi­tazionale in cui le geodetiche suindicate rappresentano la legge del moto libero dei punti materiali pesanti.

Per un sistema di coordinate che sia geodetico in P, sono nulle in P stesso tutte le d\ (qualunque siano le £ e le dx), e quindi tutte le componenti !"75 ; allora le componenti di un qualsiasi vettore di origine P si mantengono invariate per una qualsiasi traslazione infinitesima PP ' . In linguaggio fisico, ciò equivale a dire che il campo gravitazionale, ossia le F*8 sue componenti,

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possono ridursi a zero in un punto qualsiasi, con una scelta oppor­tuna del sistema di riferimento.

Passando poi a parlare del continuo metrico (terzo stadio della geometria), AVEYL, con osservazione nuova e originale, si propone di liberare la geometria di RIEMANN, che è pur già una geometria differenziale, meglio ancora una « Nahe-Geometrie » (geometria da vicino), da un'ultima inconseguenza, da « ein letztes ferngeometri-sches Element », residuo del suo passato euclideo. RIEMANN sup­pone infatti che si possano confrontare tra loro le lunghezze di due elementi lineari posti in luoghi comunque diversi, aventi cioè origini in punti a distanza finita tra loro ; mentre questa possibilità di un confronto a distanza finita non può ammettersi in una «iSFahe-Geometrie», che sia tale in tut ta l'estensione del termine; in questa è ammissibile solamente un principio, che consenta il trasporto di un campione di lunghezza da un punto qualunque a un altro ad esso infinitamente vicino. E aggiunge ancora WEYL: «Come la «fìsica dei mezzi continui vuole oggi rappresentarsi i fenomeni «naturali solo a mezzo di azioni da vicino, mediante legami fra « gli stati fisici in punti infinitamente vicini, così la struttura dello « spazio deve essere caratterizzata solo con enunciati che mettano « ogni punto in relazione soltanto coi suoi infinitamente vicini ».

WEYL introduce anch'egli, per esprimere la lunghezza di un elemento lineare ds, la forma quadratica llaik(x)dxidxk1. ma affetta in più da un fattore X2 (x), funzione del luogo e essenzial­mente positivo. Dare questa funzione in un certo campo, assu­mendovi poi:

(1) ds^X(x) . \i S a < f c dXi dxk

è tarare (ted. eichen, frane, étalonner) gli elementi lineari in ogni singolo punto di quel campo; fissare la metrica nell'intorno di 1° ordine di questo punto. Ma elementi lineari uscenti da punti infinitamente vicini, che, per una certa taratura X (x), hanno eguale lunghezza, sono cioè congruenti, non sono più tali, in generale, cambiando la X(#); occorre perciò ancora stabilire la legge del trasporto per congruenza degli elementi lineari tra due punti infinita­mente vicini, cioè dotare lo spazio di una connessione metrica. Anche qui WEYL ammette un postulato: Per ogni punto P esiste una tara­tura tale, che un elemento uscente da P il quale si sposti per con-

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gruenza da P a un punto qualsiasi P ' infinitamente vicino a P con­serva, in base alla (1), eguale lunghezza. E di qui egli trae che.la corrispondenza fra elementi uscenti da P, P ' che per una certa tara­tura X(a?) è congruenza in base alla (1), cambiando la taratura diventa proporzionalità; ogni lunghezza l subisce, nella nuova taratura, un incremento di proporzionale a l per quei dati punti

di P e P ' ; e più precisamente —- = — S ^i (x) dx{, dove le cp̂ sono

l i

funzioni del luogo, componenti di un vettore covariante. La metrica di Weyl è perciò caratterizzata, rispetto a un dato sistema di riferi­mento (coordinate, più taratura), da due forme differenziali, una quadratica, Valtra lineare. Cambiando coordinate, ciascuna delle due forme varia entro classi di forme equivalenti; cambiando taratura, la radice quadrata della prima, cioè il ds (o l), vengono

di moltiplicati per una funzione del luogo p (x) ; la seconda, cioè — , viene diminuita di d log p.

Il trasporto di un elemento lineare per congruenza da un punto P, lungo una linea assegnata, a un punto Q (a distanza finita da P) dipende in generale da questa linea, cioè non è inte­grabile. Lo è quando E <pt- dxt è un differenziale esatto, cioè è iden­ticamente nullo il tensore emisimmetrico (curvatura segmentarla)

3 (£>i 3 cpfc Fik = -• 7rL—'ì allora soltanto e possibile parlare in via asso-

dxk dxi luta di lunghezze eguali in posizione comunque diversa. Ponendo infatti 2 (pi dx'i = d log p, e assumendo come nuova taratura X' = pX, la nuova S <pt dx{ risulta identicamente nulla.

In ogni altro caso, le cp* sono 4 nuove funzioni del luogo, in attesa di interpretazione fìsica. « È più che una coincidenza (osserva EDDINGTON) che il fisico per determinare lo stato elettrico in un «punto assegnato dell'Universo abbia bisogno di quattro quantità, « il potenziale scalare elettrostatico O e le 3 componenti F, G, H « del potenziale vettore elettromagnetico, e che queste appunto gli «siano fornite dalla soppressione di una restrizione illogica della «nostra geometria». Scrivendo in luogo delle 9Z rispettivamente F, G, H, — O, e indicando con x, y, z, et (per omogeneità) le varia­bili, le sei ¥ik assumono la forma:

3H 3G _ 3 $ _ 1 3jP_ dy dz ! dx e dt ' '

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si identificano cioè colle componenti della forza magnetica e della forza elettrica. La connessione alfine e la connessione metrica dello spazio di Weyl forniscono dunque un'interpretazione geometrica rispettivamente del campo gravitazionale e del campo elettromagnetico. L'uno e l'altro campo appaiono come espressioni di stati geometrici dell'Universo, come emanazioni della sua metrica. L'uno e rispetti­vamente l'altro sono identicamente nulli quando ogni cammino chiuso riconduce: se si tratta di campo gravitazionale, ogni dire­zione spostata per parallelismo alla direzione iniziale; se si tratta di campo elettromagnetico, ogni elemento lineare spostato per congruenza alla lunghezza iniziale.

WEYL stabilisce ancora il seguente teorema fondamentale della geometria infinitesimale: Ogni spazio metrico ha per la sua stessa natura una determinata connessione affine; il principio di trasporto delle lunghezze porta con sé senz'altro un principio di trasporto delle direzioni. In linguaggio fisico: Lo stato dell'etere determina il campo gravitazionale. In uno spazio metrico la nozione di spostamento parallelo si può definire in uno e un solo modo, in guisa che lo spostamento parallelo di un vettore conservi inalte­rata la lunghezza del segmento corrispondente.

14. Spazi con torsione (Cartan). — In uno spazio di Biemann dotato del parallelismo di Levi-Oivita, per ogni coppia di punti infinitamente vicini A, A' gli incrementi dxt da darsi alle coordinate di A per avere quelle di A' si possono pensare come coordinate di A' rispetto ad A quale origine ; la legge di parallelismo dà inoltre l'orientamento della stella A' rispetto alla stella A. Pensando in A, A' due wpIe di assi locali arbitrari, variabili con continuità, la legge di parallelismo dà l'orientamento dell'una wpla rispetto all'altra. Il parallelismo di Levi-Civita è però soltanto un modo di dare questo orientamento; e se ne possono immaginare infiniti altri. Nel caso più elementare di una superficie dello spazio ordinario, il parallelismo di Levi-Civita, applicato a partire da un punto A ai successivi punti di una linea L della superfìcie uscente da A, conduce a distendere (sviluppare) sul piano tangente alla super­ficie in A la sviluppabile circoscritta alla superfìcie stessa lungo la linea L (n. 10); e ciò per mezzo di successive rotazioni infinite­sime di ognuno dei piani tangenti di questa sviluppabile intorno alla retta sua intersezione col precedente. Ma noi possiamo anche

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pensare aggiunta a ognuna di queste rotazioni infinitesime del piano tangente anche un « pivotement » (CARTAN) pure infinitesimo dello stesso piano, cioè una piccola rotazione intorno al punto di con­tatto, o alla normale alla superfìcie in questo punto (di ampiezza funzione, per es., dell'arco di linea L); colla quale variante non si altera la lunghezza della linea sviluppata, ma si produce tra i due sistemi di riferimento annessi rispettivamente al punto di partenza A e al punto di arrivo B uno scarto di posizione e di orientamento diversi, in generale, dai precedenti; si ha pertanto una « connessione » più generale di quella di Levi-Civita.

Indichiamo con xAy e x'By' la posizione iniziale e finale del sistema di riferimento entro il piano di sviluppo. Si dimostra allora che, per una data connessione, e per un contorno chiuso sulla superfìcie racchiudente un'area infinitesima da, i due rapporti

vett. BA Bx', Ax , . . . — i , con opportune convenzioni per 1 segni,

da do quando la detta area tende a zero, tendono a loro volta, per ogni punto A assegnato, a valori indipendenti dal contorno chiuso considerato. Questi due limiti (del rapporto della traslazione e della rotazione elementare del sistema di riferimento all'area da) definiscono rispettivamente ciò che CARTAN ha chiamato la torsione e la curvatura dell'elemento di superficie considerato, ossia della superfìcie proposta nel punto A.

Eiferiamoci, ad es., ad una sfera di raggio E, e consideriamo su di essa un cerchio piccolissimo, proiettato dal centro secondo un cono rotondo di semiapertura a. Adottando la connessione, cioè il parallelismo di Levi-Civita, la sviluppabile circoscritta alla sfera lungo quel cerchio è un cono; distendendo questo cono sul piano euclideo, il cerchietto, di raggio E sen a, si dispone secondo un arco di cerchio di raggio E tg a; e la differenza di quest'arco da un'intera circonferenza è 2TT E (tg a — sen a), corrispondente a

2 u E (tg a — sen a) un angolo al centro co = - = 2 n (1 — cosa),

E tg a

infinitesimo di 2° ordine. Perciò la distanza AB degli estremi di quest'arco è infinitesima di 3° ordine; il suo rapporto all'area, infinitesima di 2° ordine, è zero; e la torsione in A è anche zero. Invece, poiché l'angolo delle tangenti al cerchio di sviluppo anzi­detto nei punti A e B è eguale all'angolo al centro corrispondente,

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la curvatura in A sarà data dal rapporto - = — — = _ > 1 F cr TU E 2 a 2 E 2

che è appunto la curvatura nel senso ordinario della sfera di raggio E. — Adottiamo invece una diversa legge di parallelismo (con « pivotement »); per es., la legge di parallelismo assoluto risultante dal fissare sulla sfera un sistema di meridiani (cerchi massimi contenenti due punti fìssi diametralmente opposti), e dal considerare come paralleli, in due punti qualunque della sfera, due elementi lineari che formino coi meridiani passanti per questi punti angoli eguali e di egual senso. Sono allora linee auto-parallele gli OD X meridiani, gli co* paralleli, e più generalmente tutte le lossodromie. Consideriamo ora un contorno chiuso infinitesimo quadrangolare, composto eli due archi di meridiano e due archi di parallelo. Si vede immediatamente che, per uno spostamento di assi per parallelismo lungo il detto contorno, la rotazione finale è nulla; quindi nulla, con la connessione attuale, la curvatura della sfera in ogni punto. Non è nulla invece la traslazione, data la differenza fra i due archetti di parallelo, pur vicinissimi, lati

•opposti del quadrangolo. Indicando con u, v rispettivamente la lati­tudine e la longitudine sulla sfera, sarà E cos u dv l'arco di paral­lelo; la differenza dei due archi perciò E dv (cosw — cos (u + du)

/ du\ du E sen u. du dv = 2 E . dv . sen u -\ . sen , e la torsione

\ 2 / 2 E2 cos u. du dv tgu Cambiando la connessione, si attribuiscono dunque

E alla superficie curvatura e torsione diverse.

Tutto questo si può estendere al caso di più dimensioni (con risultato dipendente, in ogni singolo punto, dalla giacitura dell'ele­mento d'area considerato); sia per la connessione euclidea (o di Levi-Civita), sia per una connessione semplicemente metrica (unità di lunghezza variabile da un punto all'altro), sia per una connes­sione affine, o altra più generale. Gli spazi di Eiemann sono spazi a connessione euclidea senza torsione ; gli spazi a connessione affine di Weyl sono anche senza torsione. Vi è invece parallelismo assoluto ogniqualvolta è nulla ovunque la curvatura, sia o non sia nulla la torsione; se sono poi nulle entrambe ovunque, si hanno sempli­cemente gli spazi euclidei. Il parallelismo di Clifford nello spazio ellittico, indicato dall'A. fino dal 1873, rientra anche nella presente teoria generale, come un esempio di parallelismo assoluto.

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Ritorniamo a uno spazio 2 a connessione euclidea. Per ogni contorno chiuso che parte da un punto A di 2 e vi ritorna possiamo pensare che la zona di 2 immediatamente circostante a questa linea chiusa venga sviluppata, come si è detto, sullo spazio euclideo tangente a 2 in A; e a quel contorno viene così associato, in questo ultimo spazio, un movimento che permette di passare dalla posi­zione iniziale del sistema di riferimento a quella finale. Variando il contorno chiuso uscente da A, cambia quel movimento ; e questi vari movimenti, sempre nello spazio euclideo tangente in A a 2, formano un gruppo. Cambiando il punto A, origine e estremo di quei contorni chiusi, al gruppo considerato ne viene sostituito un altro ad esso equivalente entro il gruppo totale dei movimenti euclidei, e perciò sostanzialmente identico (gruppo di olonomia). Limitandoci a considerare i movimenti risultanti da contorni infini­tamente piccoli, può avvenire che le corrispondenti trasformazioni infinitesime lascino tutte fìsso il punto A, o anche che non lo lascino. Il primo caso è caratteristico per gli spazi a torsione ovunque nulla. — La determinazione dei vari tipi di spazi a connessione euclidea è perciò un problema di gruppi di movimenti in uno spazio euclideo. Gli spazi a connessione euclidea si chiamano perciò anche spazi euclidei non olonomi (in relazione alle diverse posizioni che può assumere nello sviluppo il punto finale B rispetto all'ori­gine A del contorno chiuso). Si può anche dire che lo spazio a connessione euclidea ammette anch'esso il gruppo fondamentale G dei movimenti dello spazio ordinario euclideo, soltanto la trasfor­mazione (movimento) che fa passare da un sistema di riferimento di origine assegnata a un altro di diversa origine è data, per punti a distanza finita, solo in funzione di una linea congiungente le due origini. E questo si estende ad altri qualsiansi gruppi, fondamentali per corrispondenti geometrie, nel senso di F. KLEIN ; in particolare al gruppo delle similitudini (spazi non olonomi a connessione me­trica), al gruppo affine (spazi a connessione affine), al gruppo pro­iettivo (spazio a connessione proiettiva), al gruppo conforme, ecc. Per gli spazi a connessione affine con torsione, la connessione è rappresentata analiticamente da formole analoghe a quelle di W E Y L ; soltanto, in dipendenza della torsione, le componenti T 'rii della connessione non sono più simmetriche ; e le differenze V ìs — T ̂ sono le componenti di un nuovo tensore. Si ha, per es., uno spazio proiettivo non olonomo (spazio a connessione proiettiva), collegando

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in abstracto a ogni punto di una varietà numerica uno spazio pro­iettivo, da considerarsi come tangente alla varietà in questo punto, e dando inoltre una legge che permetta di raccordare in un solo e medesimo spazio proiettivo i due spazi proiettivi collegati a due punti qualunque infinitamente vicini della varietà proposta. Supponendo di avere in ciascuno dei due anzidetti spazi proiettivi un sistema di riferimento proiettivo, tetraedro fondamentale più punto unità, la legge suddetta dovrà tradursi analiticamente in una trasformazione infinitesima entro lo spazio proiettivo tangente in A, nella quale trasformazione si corrispondono il sistema di rife­rimento in A stesso e l'immagine del sistema di riferimento in A'. Per gli spazi non olonomi, le operazioni del gruppo fondamentale, invece di costituire già l'essenza della geometria, costituiscono sol­tanto un « principio di organizzazione », da un punto ai suoi infi­nitamente vicini. Le rette, che hanno importanza fondamentale in geometria euclidea, affine, proiettiva, hanno come linee analoghe negli spazi a connessione euclidea, metrica, affine, proiettiva, le geodetiche, definite ora come linee che negli sviluppi sopraindicati si distendono secondo rette (quindi, « rette » in un senso più generale).

Altre ricerche di EINSTEIN per una teoria unitaria (Mathem. Annalen, voi. 102, 1929) si sono concentrate sopra uno spazio con torsione, ma a curvatura nulla (precisamente l'opposto dello spazio della relatività generale), quindi a parallelismo assoluto. Altre ricerche, principalmente di STRANEO (*), si sono invece rivolte a uno spazio curvo e distorto in pari tempo, ma con connessione espressa in termini relativamente semplici, pensando la curvatura legata all'esistenza di un campo gravitazionale (e la linea oraria di un punto materiale libero è una autoparallela), la torsione legata all'esistenza di elettricità. In assenza di elettricità, questa teoria si riduce a quella Einsteiniana della gravitazione. Il vecchio detto di Platone : « Dio eternamente geometrizza » non è mai stato tanto vero come adesso, perchè un numero sempre maggiore di fatti fisici tendono a descriversi come modificazioni della metrica spaziale.

Torinoi febbraio 1932.

(*) Teorie unitarie della gravitazione e dell'elettricità {Nuovo Cimento, 1931); nonché altre note nei Rend. della E. Acc. dei Lincei.