Sostenibilità ambientale in Sardegna. Guida e Vademecum...

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Sostenibilità ambientale in Sardegna. Guida e Vademecum per la Pubblica Amministrazione. SARDEGNA SOSTENIBILE

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Sostenibilità ambientale in Sardegna.Guida e Vademecum per la Pubblica Amministrazione.

SARDEGNA SOSTENIBILE

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Le trasformazioni del sistema economico, sociale e

politico intervenute negli ultimi anni, hanno deter-

minato un profondo ripensamento del ruolo e delle

funzioni degli Enti locali, divenuti progressivamente

i principali attori di regolazione economica, so-

ciale e ambientale.

In uno scenario complesso ed in continuo muta-

mento, il ruolo della Pubblica Amministrazione

diviene fondamentale al fi ne di realizzare nuovi

modelli di sviluppo dei sistemi locali della Regione

Sardegna che siano sostenibili economicamente,

equi dal punto di vista sociale ed ecologica-

mente compatibili per interpretare e affrontare il

cambiamento.

Molteplici sono gli strumenti che la Pubblica Am-

ministrazione ha a disposizione per mettere in atto

strategie di sviluppo sostenibile miranti a ridurre

gli impatti ambientali dei processi di produzione e

consumo, attraverso una gestione più responsabile

delle risorse naturali, dei rifi uti e delle fonti ener-

getiche.

Le scelte della Pubblica Amministrazione posso-

no servire, contemporaneamente, da modello di

buon comportamento per le imprese, le istituzio-

ni private e i cittadini, dando quindi un contributo

positivo alla protezione ambientale.

I criteri ambientali servono quindi a privilegiare beni

e servizi che:

• riducono la perdita di biodiversità;

• sostituiscono le fonti energetiche da non rin-

novabili a rinnovabili;

• riducono la produzione di rifi uti;

• riducono le emissioni inquinanti;

• riducono i pericoli e i rischi ambientali.

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Rete ecologicaLe aree protette ...............................................................................................................

La rete ecologica ...............................................................................................................

La biodiversità ...................................................................................................................

Il paesaggio .......................................................................................................................

Risorsa idricaLa raccolta delle acque di prima pioggia ............................................................................

L’utilizzo di fonti idriche alternative in ambito urbano ........................................................

Gli interventi per la riduzione dell’inquinamento diffuso ....................................................

La fitodepurazione e le aree umide ...................................................................................

Difesa del suoloLa manutenzione della rete idrografica minore ...................................................................

Individuazione di situazioni di pericolosità idraulica nella rete idrografica minore ...............

La difesa idraulica nelle trasformazioni del territorio ..........................................................

Interventi di sistemazione idraulico-forestale .....................................................................

Rifi utiServizi e prodotti verdi ......................................................................................................

L’informatizzazione dell’ecocentro .....................................................................................

Ottimizzazione delle modalità di raccolta differenziata ......................................................

La gestione dei rifiuti urbani in un contesto turistico ..........................................................

EnergiaEnergetica degli edifici ......................................................................................................

La ventilazione degli edifici ...............................................................................................

La certificazione energetica degli edifici ............................................................................

La produzione di energia elettrica e calore da fonti rinnovabili ..........................................

Sistemi efficienti di produzione e distribuzione dell’energia negli edifici ............................

L’illuminazione ..................................................................................................................

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La presente pubblicazione è stata realizzata dalla Regione Autonoma della Sardegna, nell’ambito del progetto Sardegna Sostenibile, fi nanziato dall’Unione Europea, attraverso il POR Sardegna 2000-2006.

A cura della ATS: • Progetto Verde Srl• Achab Group Srl• Cnos - Fap Regione Sardegna• Nordest Ingegneria Srl

Supervisione: Regione Autonoma della Sardegna• Assessorato della Difesa dell’Ambiente• Assessorato del Lavoro, Formazione professionale, cooperazione e sicurezza sociale

Elaborazione testi e grafi ca:• Progetto Verde Srl• Achab Group Srl

Consulenti scientifi ci:• Prof. Ing. Bixio Vincenzo - Univ. Padova• Prof. Dott. Borin Maurizio - Univ. Padova • Prof. Ing. Del Col Davide - Univ. Padova • Ing. Giacetti Walter

Illustrazioni:Tamiazzo Valentina

Foto:• Regione Autonoma della Sardegna• Archivio Achab Group Srl• Fotolia

Progetto Grafi co:Zamengo Federica

Stampa:Marca Print snc di Pizziolo & C.Quinto di Treviso (TV)www.marcaprint.it

Copyright:Regione Autonoma della Sardegna

Aggiornato a maggio 2008. Si esclude qualsiasi responsabilità per l’utilizzo improprio delle informazioni riportate. Per l’utilizzo di dati e normative vanno consultati i testi originali.

“PROGRAMMA GALAPAGOS“ Progetto cofi nanziato dall’Unione Europea mediante il Fondo Sociale Europeo (FSE) POR SARDEGNA 2000- 2006 Asse IMISURA 1.8 AZIONE B INFOAMB

UNIONE EUROPEA REGIONE AUTONOMA DELLA SARDEGNA

GUIDA

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RETE ECOLOGICA

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4. Come vengono gestiti i Siti Natura 2000?

I Siti Natura 2000 hanno la necessità di veder applicate misure di conservazione che implicano all’occorrenza appropriati Piani di Gestione (specifi ci od integrati ad altri piani di sviluppo) e le opportune misure regolamentari, amministrative o contrattuali che siano conformi alle esigenze ecologiche degli habitat e delle specie presenti nei siti. Il Piano di Gestione costituisce una misura di conservazione e dà indicazioni sulla gestione degli habitat e delle specie di interesse comunitario; è redatto sulla base di linee guida nazionali e regionali.L’iter di approvazione del Piano di Gestione è il seguente: l’adozione dello stesso da parte di tutti i Comuni interes-sati, la pubblicazione del piano per dar modo alla popolazione di partecipare, quindi la defi nitiva approvazione dei Comuni ed infi ne l’approvazione da parte della Regione con decreto dell’Assessore.

1. Cosa si intende per aree protette?

Le aree protette sono ambiti di particolare pregio naturalistico e geomorfologico nei quali si trovano specie vegetali ed animali caratteristici di quella determinata area o regione geografi ca. Numerosi sono gli ambiti che possono essere catalogati come “area protetta”: tra questi ricordiamo i parchi nazionali e regionali, le riserve naturali, i parchi archeologici, i biotopi, le oasi, le aree di tutela paesaggistica di interesse regionale e provinciale, i monumenti naturali, le riserve marine, le aree marine protette. A questo lungo elenco si sono aggiunti negli ultimi anni i Siti ricompresi nella Rete Natura 2000 (Siti di Importanza Comunitaria e Zone di Protezione Speciale), che è stata individuata in seguito all’applicazione di specifi che Direttive comunitarie per la salvaguardia della biodiversità negli Stati membri.

LE AREE PROTETTE

2. Perché istituire un’area protetta?

La necessità di istituire un’area protetta va ricercata nella sempre maggiore richiesta da parte della società moderna di tutelare gli spazi naturali e di proteggerli da futuri cambiamenti d’uso che ne alterino le caratteristiche. Questa necessità è emersa fi n dagli inizi del secolo scorso. In Italia, il primo parco è stato istituito nel 1922 (Parco Nazionale del Gran Paradiso) e successivamente numerose zone sono state designate con la seguente istituzione delle relative aree protette. Oggi, l’istituzione di un’area protetta, oltre che per diretta volontà dei cittadini, è promossa dalle Pubbliche Amministrazioni che vedono negli ambiti naturali anche delle possibilità di sviluppo turistico/ricreative di grande interesse.All’istituzione di un’area protetta deve seguire una azione di acquisizione e divulgazione di informazioni scien-tifi che, culturali, etnologiche, per poter attivare processi effi caci di promozione e di pianifi cazione. Il ruolo del parco non deve essere quello di musealizzare una porzione di territorio ma di poterla rendere fruibile in modo intelligente dalla maggior parte dei cittadini offrendo spazi di osservazione, conoscenza e svago in uno stretto rapporto con l’ambiente e secondo precisi piani di fruizione.Nel favorire l’esigenza e la necessità di tutelare ambiti di pregio, deve anche emergere il ruolo di vincolo nei confronti dell’urbanizzazione diffusa e della realizzazione di infrastrutture di comunicazione.

3. Come si gestisce un’area protetta?

Gli ambiti naturalistici individuati con le diverse leggi possono essere dati in gestione a fi gure differenti. Le piccole aree di interesse locale come oasi e riserve possono essere gestite da associazioni di volontari legate ad organismi nazionali come la LIPU o il WWF. I parchi regionali e nazionali sono invece gestiti da organi istituiti per legge e con specifi che funzioni (presidente, direttore, giunta, guardie, ecc.). I parchi sono dotati di specifi ci strumenti di gestione detti generalmente “Piani ambientali”. La loro defi nizione si trova a livello normativo nella legge qua-dro nazionale del 1991 e nelle leggi regionali di recepimento. I piani ambientali dettano gli indirizzi di gestione amministrativa, ambientale e di pianifi cazione urbanistica e sono da considerarsi come strumenti di tutela attiva e valorizzazione del territorio. Inoltre riportano i piani di lavoro pluriennali che l’Ente Parco intende perseguire per la realizzazione di interventi coordinati nel tempo.

5. Qual’è l’utilità dei Piani di Gestione dei SIC in ambito di valutazione di incidenza ambientale?

I Piani di Gestione per i Siti di Importanza Comunitaria, pur non essendo obbligatori per ogni area protetta dalla Direttiva Habitat, rappresentano uno strumento estremamente utile a qualsiasi decisione amministrativa o tecnica che si intende prendere in merito al territorio di competenza.Il Piano di Gestione, che può coincidere con il piano del parco qualora si tratti di un’area protetta così classifi cata, rappresenta il documento che racchiude tutte le informazioni riguardanti il SIC, ne individua le minacce e propone interventi di salvaguardia e ripristino.Per ogni piano o progetto ricadente all’interno del sito protetto è d’obbligo una valutazione di incidenza am-bientale che ne individui gli eventuali rischi e proponga le opportune mitigazioni o addirittura compensazioni. L’autorità competente a livello prima regionale, quindi provinciale e infi ne comunale, deve verifi care quanto af-fermato dai valutatori e approvare o meno il piano/progetto. Lo strumento più importante a cui fare riferimento, sia per la stesura della valutazione da parte dei tecnici incaricati, sia per la Pubblica Amministrazione in merito all’approvazione degli interventi proposti, risulta essere il Piano di Gestione.

1. Come nasce il concetto di rete ecologica?

Il concetto di rete ecologica nasce, a livello europeo, nei primi anni ‘90 come tentativo di contrastare la fram-mentazione della aree naturali creando delle connessioni fra esse. Fino ad allora le politiche ambientali dei vari paesi avevano portato alla creazione di aree protette più o meno estese ma isolate e disperse all’interno di un territorio fortemente antropizzato. Queste misure erano utili per la protezione delle specie, ma non consentivano gli scambi genetici tra gli individui. Oggi c’è un passaggio da questa concezione “insulare” ad una concezione “reticolare”: dalle aree protette alle reti ecologiche.

LA RETE ECOLOGICA

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Le siepi hanno numerose funzioni, sia per gli esseri umani che per gli animali. Queste funzioni aumentano consi-derevolmente quando, assieme alle siepi, sono presenti nel territorio altri elementi della rete ecologica, quali ad esempio corsi d’acqua, piccoli boschetti e campi incolti.Se in ambito ecologico rappresentano in primis corridoi ecologici necessari per la protezione e il movimento delle specie animali nonché elementi con molteplici aspetti positivi (azione frangivento, produzione di legname, soste-gno di sponde di canali o fossi, abbellimento del paesaggio e depurazione delle acque superfi ciali e di falda), in ambiente urbano possono svolgere le seguenti funzioni:• assorbire e ridurre il rumore causato dal traffi co veicolare e dalle fabbriche;• intrappolare le particelle solide e le polveri presenti nell’aria;• proteggere gli edifi ci dall’insolazione, dal freddo e dai venti forti;• mascherare zone industriali, cave e discariche;• ombreggiare le strade cittadine e periferiche;• mascherare l’intimità dei giardini privati;• creare corridoi di spostamento (es. marciapiedi, piste ciclabili) protetti dalle auto e dall’inquinamento.

2. Come è costituita la rete ecologica regionale della Sardegna?

Il patrimonio naturale della Sardegna è molto vario, ricco di specie animali e vegetali.La rete ecologica regionale interessa l’intero territorio ed è fi nalizzata alla protezione degli ambienti di maggiore pregio. Essa è costituita dalle seguenti aree protette: 2 Parchi nazionali e 2 regionali, 5 aree marine protette, 18 monumenti naturali e 93 Oasi di protezione faunistica. Vi sono poi 92 Siti di Importanza Comunitaria e 37 Zone di Protezione Speciale che si sovrappongono in parte alle aree protette precedenti e che vanno a costituire la Rete Natura 2000. Le reti ecologiche sono un importante strumento per la gestione sostenibile del territorio, per la tutela della natura e la salvaguardia della biodiversità. La presenza di reti ecologiche nel territorio consente il libero movimento degli animali e l’incontro tra individui di popolazioni differenti.

1. Che cos’è la biodiversità e come si valuta?

Con il termine biodiversità si intende la varietà delle forme di vita vegetali ed animali presenti su un certo territorio. Maggiore è la biodiversità, maggiore è la valenza ecologica di un’area geografi ca. Per determinare la biodiversità si dovrebbe stabilire il numero di specie presenti e il numero di individui per ciascuna specie. Poiché in campo non è possibile contare tutti gli individui di tutte le specie, si ricorre a stime (censimenti) e all’uso di indici (Shannon-Wiever, ecc.). I censimenti e i rilievi naturalistici devono essere effettuati da professionisti del settore, spesso con l’aiuto di volontari. In Sardegna, per esempio, l’Ente Foreste della Sardegna, tra le altre cose, fi n dagli anni 70 si occupa del censimento del cervo sardo.

3. Quali sono i campi di interesse della rete ecologica?

Le reti ecologiche presentano molteplici espressioni orientate allo specifi co campo di interesse: ecologico, infra-strutturale, paesaggistico, agro-ambientale. L’approccio ecologico è principalmente rivolto allo studio della componente animale e vegetale ed alle loro com-plesse interazioni con gli ecosistemi componenti il territorio. Il secondo prende in considerazione specifi che azioni di tutela e riduzione di impatto nella realizzazione e nel rinno-vamento di strutture viarie, sulla componente ecologica dell’ecosistema. L’approccio estetico-paesaggistico valuta invece il ruolo delle reti come elemento di abbellimento del paesaggio naturale. Dal punto di vista funzionale le reti ecologiche rientrano a pieno titolo nel vasto fi lone delle tematiche agroambientali, che negli ultimi anni hanno conosciuto un crescente sviluppo anche sotto la spinta delle normative comunitarie.

4. Quali sono gli elementi che costituiscono la rete ecologica?

Le reti ecologiche sono costituite da diversi elementi che si trovano nel territorio. I più importanti sono le “aree centrali” ad alta naturalità (es. parchi, oasi) ed i “corridoi ecologici” che mettono in collegamento le aree cen-trali (es. siepi, corsi d’acqua, strade di campagna). Altri elementi delle reti ecologiche sono le “aree sparse” intese come aree di superfi cie contenuta diffuse nel territorio con un ruolo di appoggio per animali molto mobili (es. grandi alberi, pozze d’acqua). Seguono le “fasce di protezione” che, distribuite intorno a tutti gli altri elementi, riducono gli impatti dall’esterno, ed infi ne le “aree da ripristinare” che sono aree degradate da riqua-lifi care o nuove unità ecologiche di realizzazione antropica e che possono essere inserite nella rete.

5. Qual è l’importanza delle siepi all’interno del verde urbano?

All’interno della rete ecologica assume un’importanza strategica la valorizzazione del verde urbano; l’incremento delle aree verdi da parte delle Amministrazioni comunali favorisce non solo una distribuzione continua di spazi naturalizzati ma anche una presa di coscienza da parte del cittadino sulla necessità di creare tali zone sul rispetto per la natura e le sue componenti.All’interno delle varie tipologie di zone di verde urbano che possono essere presenti all’interno di un Comune, assumono un ruolo determinante, elementi naturali quali le siepi.

LA BIODIVERSITÀ

2. La biodiversità in Sardegna

La Sardegna è un territorio molto ricco di habitat e paesaggi diversi e di conseguenza di biodiversità. Vi si trovano il 37% delle specie vegetali e il 50% dei vertebrati presenti in Italia. Inoltre, essendo un’isola, la discontinuità terra-acqua pone dei limiti ben precisi alla distribuzione delle specie, rendendo le sue comunità pressoché chiuse ad interazioni ecologiche con l’esterno. Ne deriva che la Sardegna è ricca di endemismi ovvero di specie vegetali e animali che si trovano solo in questo territorio. Gli endemismi sardi comprendono più di 200 specie vegetali e più di 20 specie di vertebrati.Le specie endemiche in Sardegna possono essere classifi cate in: sarde (specie con areale limitato al solo territorio regionale), sardo-corse (specie comuni alle due isole), tirreniche (specie diffuse sia nel territorio regionale che in altre isole del mediterraneo).

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3. Cosa sono le liste rosse e le liste blu?

L’uomo con molte delle sue attività è causa di modifi cazioni ambientali che sono un pericolo per la biodiversità, così si è iniziato ad emanare leggi, direttive e convenzioni per tutelarla. In questi documenti sono state elaborate liste di specie animali e vegetali cui dedicare interventi di protezione. Generalmente, quando si parla di specie estin-te o a rischio di estinzione, il pensiero vola all’elefante africano, al panda gigante, ecc. Tuttavia anche nel nostro territorio nazionale molte sono le specie minacciate di estinzione o che lo sono state nel recente passato. Le liste rosse, organizzate in diversi livelli (mondiale, nazionale, regionale), contengono le specie a diverso rischio di estinzione e le minacce che oggi gravano su di esse. Nelle liste blu invece si trovano quelle specie che, prece-dentemente incluse nelle liste rosse, grazie alla protezione della natura e dell’ambiente, sono state conservate o propagate con successo diminuendo così il loro rischio di estinzione.

IL PAESAGGIO

1. Cosa si intende per paesaggio?

La corretta defi nizione di paesaggio deriva dalla Convenzione Europea del Paesaggio secondo la quale esso de-signa una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni. In passato il concetto di paesaggio era molto più riduttivo, legato ad un carattere di valore e bellezza esclusivo di determinate porzioni di territorio molto limitate: le tipiche “bellezze da cartolina”. La Regione Sardegna è stata all’avanguardia nel recepire queste nuove indicazioni, redi-gendo il primo Piano Paesaggistico Regionale in Italia. Esso persegue il fi ne di preservare, tutelare, valorizzare e tramandare alle generazioni future l’identità ambientale, storica, culturale e insediativa del territorio sardo. Il Piano è uno strumento con cui la politica del territorio tutela i diritti dell’ambiente, dei beni storici e culturali.La biodiversità a livello di paesaggio si concentra sulla presenza degli habitat; la tendenza è quella di considerare i diversi habitat come ecosistemi in grado di sostenere le varie popolazioni. Il paesaggio in quest’ottica viene studiato come un insieme di habitat, più o meno naturali, che riportati nella cartografi a rappresentano diverse “patches”. Si valuta così la componente spaziale della diversità degli habitat: abbondanza, distribuzione, dispersione, connessio-ne, ecc., dei diversi patches (habitat). L’approccio può sembrare semplicistico ed effettivamente non è ancora del tutto accettato dalla comunità scientifi ca, ma risulta un ottimo strumento da utilizzarsi come supporto informativo per processi decisionali a livello politico.

2. Quali strumenti si possono adottare per lo studio del paesaggio?

Lo studio del paesaggio deve presupporre un approccio olistico e non può essere affrontato separatamente da diverse discipline senza un’opportuna integrazione. Deve essere una disciplina di tipo integrato, sia che si prendano in considerazione gli aspetti percettivi, sia che si intendano perseguire analisi scientifi che sugli elementi ecologici. Non si può più prescindere, insomma, dalla multidisciplinarietà e della trasversalità dell’argomento. Diversi possono essere gli strumenti adottati per lo studio del paesaggio, fra i quali, negli ultimi anni, stanno acquisendo sempre maggiore importanza gli indicatori di paesaggio. Questi fanno spesso riferimento a banche dati georeferenziate e vengono elaborate tramite l’utilizzo di Geographic Information System (GIS). Con questi strumenti è possibile gestire, acquisire, archiviare ed elaborare dati relativi al paesaggio ricavando infor-mazioni utili alla sua pianifi cazione integrata, fi nalizzata sia alla conservazione che alla valorizzazione. Attraverso un SIT (l’acronimo italiano che sta per Sistema Informativo Territoriale), ogni banca dati può essere associata al territorio da analizzare e possono essere costruite mappe tematiche leggibili e confrontabili tra loro in modo immediato.

3. Cos’è il Piano Paesaggistico Regionale?

Il Piano Paesaggistico della Regione Sardegna (D.G.R. n. 36/7 del 5 settembre 2006) è uno strumento con il quale la Regione riconosce le innumerevoli sfaccettature del paesaggio sardo, costituito da elementi naturali, storici e culturali, ne disciplina la tutela e ne promuove la valorizzazione. Il P.P.R. è rivolto a tutti i soggetti che operano nella pianifi cazione e gestione del territorio sardo: Regione, Province, Comuni, altri enti pubblici statali o regionali, come università e centri di ricerca, e privati. Oltre a tutelare e valorizzare il paesaggio, diventa il quadro di riferimen-to e coordinamento per tutti gli atti di programmazione e di pianifi cazione regionale, provinciale e locale.Tra le fi nalità fondamentali del documento, oltre a quella di preservare e tramandare alle generazioni future l’iden-tità del territorio sardo in tutte le sue caratteristiche, si trova quella di proteggere la biodiversità del paesaggio na-turale e la complessità culturale del territorio. Il P.P.R. promuove tutte le forme di sviluppo sostenibile del territorio, al fi ne di migliorarne la qualità.

Foresta Burgos

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RISORSA IDRICA

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6. Come si può intervenire se non risulta possibile realizzare vasche di prima pioggia da parte della Pubblica Amministrazione?

In questi casi si deve provvedere all’adeguamento delle norme tecniche del Piano Urbanistico Comunale, in modo da rendere obbligatoria la realizzazione di sistemi per la raccolta delle acque di prima pioggia a carico delle attività che provocano il rilascio nell’ambiente di sostanze inquinanti soggette a dilavamento.

7. Quali sono le analisi preliminari da effettuare per la progettazione di vasche per la raccolta delle acque di prima pioggia?

La prima operazione da effettuare è la perimetrazione del bacino di raccolta, il quale deve avere un’estensione limitata al fi ne di evitare la raccolta di acque non di prima pioggia. Successivamente va calcolato il volume di prima pioggia sulla base dei parametri di riferimento contenuti nella Disciplina Regionale della Sardegna per gli scarichi (in via di approvazione), ed infi ne va individuata la tipologia di vasca più idonea.

8. Esistono interventi alternativi alla realizzazione di vasche per la raccolta delle acque di prima pioggia collegate alla rete di fognatura?

Nei casi in cui non sia possibile realizzare vasche per la raccolta delle acque di prima pioggia per mancanza della rete di fognatura, si può intervenire realizzando sistemi di raccolta e stoccaggio delle acque non collegati alla rete, prevedendo il trasporto diretto al depuratore delle acque raccolte, oppure si può provvedere alla rea-lizzazione di interventi di mitigazione, quali corridoi inerbiti o fasce fi ltro. La vegetazione, che è la componente principale di tali sistemi, permette infatti di effettuare una prima depurazione delle acque intercettate, mediante la sedimentazione dei solidi sospesi e la rimozione dei nutrienti. Tali interventi, tuttavia, non sostituiscono del tutto la realizzazione di vasche per la raccolta delle acque di prima pioggia, in quanto non hanno un potere depurativo tale da permettere la rimozione effi cace di particolari sostanze quali ad esempio metalli pesanti e tensioattivi. Inoltre, alla pari delle vasche di raccolta, non possono essere realizzati in zone fi ttamente edifi cate, in quanto richiedono la presenza di superfi ci abbastanza estese da permettere lo sviluppo e l’azione effi cace della vegetazione.

1. Quali sono le informazioni necessarie per valutare la necessità di effettuare un intervento di raccolta delle acque di prima pioggia?

Le informazioni ed i dati che è necessario raccogliere riguardano due ambiti principali:1. le caratteristiche attuali del territorio e le trasformazioni previste;2. la confi gurazione del sistema fognario-depurativo. I dati raccolti durante questa prima fase conoscitiva potranno poi essere implementati in un sistema informativo, in modo da rendere più agevoli i successivi processi di analisi ed elaborazione delle informazioni.

2. Come infl uisce la tipologia di rete fognaria esistente nell’area in esame sulla realizzazione dell’intervento?

Dall’analisi dei dati e delle informazioni raccolti è possibile individuare la tipologia di rete fognaria presente e rilevare l’eventuale presenza di zone non servite dalla rete di fognatura. In quest’ultimo caso si deve prov-vedere innanzitutto alla realizzazione della rete fognaria, che dovrà essere obbligatoriamente di tipo separato. È necessario intervenire anche nel caso in cui sia stata rilevata la presenza di un sistema fognario di tipo misto: in questo caso si dovrà provvedere alla realizzazione della rete separata.

LA RACCOLTA DELLE ACQUE DI PRIMA PIOGGIA

3. Chi deve provvedere alla realizzazione di vasche di prima pioggia?

Le vasche di prima pioggia possono essere realizzate sia dalla Pubblica Amministrazione che dai privati. Nel pri-mo caso le vasche vengono costruite lungo la rete fognaria, mentre nel secondo caso vengono realizzate a servizio della superfi cie su cui vengono rilasciati gli inquinanti, e poi collegate alla rete fognaria.

4. Qual’è la normativa nazionale e regionale cui si può fare riferimento relativamente alle vasche di prima pioggia?

Il D.Lgs. 152/2006 prevede che le Regioni disciplinino i casi in cui può essere richiesto che le acque di prima pioggia siano raccolte e sottoposte a trattamenti di depurazione, quando vi sia il rischio di dilavamento da superfi ci imper-meabili di sostanze pericolose o che creano pregiudizio per il raggiungimento degli obiettivi di qualità dei corpi idrici. La Regione Sardegna ha in corso di approvazione una Disciplina Regionale per gli scarichi, che individua le attività che possono rilasciare nell’ambiente sostanze inquinanti e che possono venire dilavate dalle acque meteoriche.

5. Quali sono le zone cui assegnare la priorità di intervento?

• Insediamenti produttivi;• Aree industriali;• Superfi ci scolanti destinate al deposito o al carico/scarico rifi uti, combustibili e sostanze pericolose in generale.

9. È possibile, in attesa della realizzazione di interventi strutturali come la realizzazione di vasche di prima pioggia, ridurre l’entità dell’inquinamento dilavato dalle acque meteoriche?

Oltre a realizzare gli interventi strutturali, la Pubblica Amministrazione può intervenire attuando protocolli di ma-nutenzione delle pavimentazioni stradali urbane atti ad asportare le polveri e i depositi organici e inorganici mediante operazioni di lavaggio. La frequenza e la tipologia dei mezzi di lavoro infl uenzano decisamente il risultato conseguito, che può consentire un rilevante abbattimento delle sostanze inquinanti.

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RISORSA IDRICA

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5. Cosa fare se la disponibilità di acqua non potabile è inferiore al fabbisogno?

Se la disponibilità di acqua non potabile risulta inferiore al fabbisogno complessivo stimato, è necessario valutare quali siano gli utilizzi per i quali il fabbisogno può essere soddisfatto, e destinare ad essi la risorsa non potabile. In tal modo sarà possibile sostituire l’acqua non potabile a quella potabile per gli utilizzi per i quali la risorsa è attualmente disponibile in quantità adeguata, e realizzare in ogni caso una rete di distribuzione dell’acqua non potabile che potrà essere integrata in futuro quando la disponibilità della risorsa sarà maggiore o sarà possibile alimentare la rete anche con una differente tipologia di risorsa idrica alternativa.

1. Quali sono i principali fabbisogni privati di acqua non potabile in ambito urbano?

I principali fabbisogni privati di acqua non potabile comprendono l’alimentazione delle cassette di scarico dei WC e l’irrigazione di orti e giardini privati. Nella valutazione dei fabbisogni è necessario inoltre tenere conto delle eventuali fl uttuazioni stagionaIi, di notevole importanza soprattutto nelle aree soggette ad abbondante af-fl usso turistico.

L’UTILIZZO DI FONTI IDRICHE ALTERNATIVE IN AMBITO URBANO

2. Quali sono i principali fabbisogni pubblici di acqua non potabile in ambito urbano?

I principali fabbisogni pubblici di acqua non potabile comprendono principalmente il lavaggio delle strade, l’ir-rigazione del verde pubblico e l’alimentazione della rete antincendio.

3. Quali sono le fonti idriche alternative utilizzabili per alimentare la rete di distribuzione dell’acqua non potabile?

• Acque marine o salmastre;• Acque grezze;• Acque refl ue.Prima dell’utilizzo, tali acque devono essere sottoposte ad adeguati trattamenti, che dipendono dalla tipologia di acqua e dall’uso che se ne deve fare (per maggiori dettagli si rimanda al progetto “Reti duali e riutilizzo dei refl ui depurati” contenuto all’interno del Manuale).

4. In base a quali elementi deve essere effettuata la scelta della tipologia di risorsa idrica alternativa da utilizzare?

La scelta va effettuata innanzitutto sulla base della stima del fabbisogno di acqua non potabile per i vari utilizzi, pubblici e privati. Il fabbisogno stimato, che generalmente risulta pari al 50% della dotazione di acqua potabile in assenza di una rete di distribuzione di acqua non potabile, deve poi essere confrontato con la quantità disponibile di ciascuna risorsa considerata, e devono essere valutati tutti i vincoli connessi all’utilizzo di ciascuna risorsa. Successivamente deve essere valutata la disponibilità della risorsa, in base alla vicinanza della fonte idrica alternativa al luogo di utilizzo, alla disponibilità della risorsa durante i vari periodi dell’anno ed alla qualità della risorsa in base alla qualità richiesta dai potenziali utilizzatori.

6. Ci sono casi in cui la realizzazione della rete di distribuzione dell’acqua non potabile in zone urbanizzate risulta agevolata?

I casi in cui può essere conveniente provvedere alla realizzazione di una rete di distribuzione dell’acqua non pota-bile sono essenzialmente due:• La realizzazione della rete in concomitanza con gli interventi di manutenzione della rete di acquedotto: in tal caso infatti sarà possibile intervenire laddove risulti comunque necessario effettuare operazioni di scavo;• La possibilità di riutilizzare la rete acquedottistica dismessa: in questo caso dovranno essere effettuati adeguati interventi di ripristino, che risulteranno tuttavia meno onerosi rispetto alla posa ex-novo delle condotte.

GLI INTERVENTI PER LA RIDUZIONE DELL’INQUINAMENTO DIFFUSO

1. Quali sono le cause principali dell’inquinamento diffuso?

L’inquinamento diffuso è causato dal dilavamento di superfi ci sulle quali sono state rilasciate sostanze inquinanti. In particolare è dovuto a:• Dilavamento di superfi ci urbane (oli lubrifi canti, liquidi antigelo, sali);• Dilavamento di superfi ci agricole (azoto e fosforo, fi tosanitari);• Dilavamento di superfi ci adibite ad attività zootecniche (sostanza organica, nutrienti, agenti patogeni).

2. Quali sono i parametri che descrivono lo stato di salute di un corpo idrico?

Lo stato di salute di un corpo idrico superfi ciale è descritto da specifi ci indicatori che nel loro complesso ne defi -niscono lo Stato Ambientale. Il D.Lgs. 152/2006 prevede l’utilizzo di un metodo di valutazione della qualità dei corsi d’acqua superfi ciali basato sulla determinazione di parametri denominati macrodescrittori. Mediante l’utilizzo di questi parametri viene calcolato il cosiddetto Livello di Inquinamento da Macrodescrittori (LIM). Oltre al LIM viene calcolato un altro indice, l’IBE (Indice Biotico Esteso), che si basa sulla popolosità delle comunità di macroinvertebrati che vivono al livello del substrato di fondo. Sulla base di questi due indici viene valutato lo Stato Ecologico del corso d’acqua, suddiviso in classi dal valore 1 (qualità elevata) al valore 5 (qualità pessima).

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7. I sistemi vegetati per la riduzione dell’inquinamento diffuso necessitano di operazioni di manutenzione?

Tutti i sistemi vegetati necessitano di periodiche potature e sfalci, in modo da rinnovare la capacità delle piante di rimuovere i contaminanti, così come è necessario effettuare la rimozione dei sedimenti accumulati grazie all’intercettazione da parte della vegetazione. Per quanto riguarda le fasce tampone, sono necessarie ispezioni periodiche al fi ne di mantenerne intatta la funzionalità. Gli alberi e gli arbusti morti o morenti dovranno essere tempestivamente rimossi e sostituiti, e dovrà essere effettuata l’estirpazione delle piante in competizione, per garantire il pieno attecchimento.

3. Chi cura la classifi cazione dei corsi d’acqua in Sardegna

La classifi cazione dei corsi d’acqua viene effettuata a cura dell’ARPA regionale della Sardegna (ARPAS), ed i dati raccolti possono essere reperiti presso il servizio di Tutela delle Acque dell’Assessorato della Difesa dell’Ambiente della Regione Sardegna, dove dal 2005 è attivo il Centro di Documentazione dei bacini idrografi ci (CeDoc).

4. Quali sono le operazioni che la Pubblica Amministrazione può svolgere per prevenire il fenomeno di inquinamento diffuso?

• Effettuare indagini per l’individuazione delle fonti di inquinamento diffuso, sia in ambito agricolo che urbano, e perimetrare le aree interessate. I dati e le informazioni necessari riguardano le caratteristiche attuali del territorio e gli usi del suolo nel bacino scolante, e possono essere reperiti presso la Regione o ricavati dai Piani Urbanistici Comunali;• Evidenziare i collegamenti esistenti tra la tipologia di sostanze rilasciate nell’ambiente dalle varie attività e gli effetti della contaminazione eventualmente osservati nel corpo idrico;• Stimare i carichi inquinanti prodotti nelle aree agricole ed in quelle urbane individuate all’interno del perimetro;• Individuare le zone maggiormente a rischio;• Intervenire adattando le norme tecniche dei Piani Urbanistici Comunali in modo da rendere obbligatori, in fu-turo, interventi per la prevenzione e la riduzione dell’inquinamento diffuso.

5. Quali sono gli interventi che possono essere effettuati in aree agricole dalla Pubblica Amministrazione per far fronte al problema dell’inquinamento diffuso?

• Realizzazione di aree di fi todepurazione;• Realizzazione di fasce tampone boscate e tutela della vegetazione riparia;• Adozione di specifi ci Programmi d’Azione per le zone più a rischio.

6. Quali sono gli interventi che possono essere effettuati in aree urbane dalla Pubblica Amministrazione per far fronte al problema dell’inquinamento diffuso?

Per fronteggiare il problema dell’inquinamento diffuso in aree urbane la Pubblica Amministrazione può intervenire realizzando interventi di mitigazione, come:• Canali inerbiti;• Fasce fi ltro;• Filtri a sabbia superfi ciali;• Canali infi ltranti.In caso non vi siano spazi disponibili per la realizzazione di tali sistemi la Pubblica Amministrazione può intervenire adeguando le norme tecniche del Piano Urbanistico Comunale. Il rilascio della concessione edilizia per interventi che causino elevata impermeabilizzazione del terreno, può quindi essere subordinato alla realizzazione di interventi di mitigazione preferibilmente di tipo vegetato.

8. Possono esserci dei vantaggi trasversali nella realizzazione di sistemi vegetati per la riduzione dell’inquinamento diffuso?

La realizzazione di sistemi vegetati non comporta solo vantaggi in relazione alla riduzione dell’inquinamento dif-fuso ma, a seconda della tecnica considerata, si hanno anche notevoli benefi ci aggiuntivi, di carattere ambientale ed economico. In particolare:• Produzione di legna da ardere o da opera e produzione di nettare per le api;• Possibilità di favorire lo sviluppo della selvaggina a fi ni venatori e l’abbellimento del paesaggio;• Possibilità di favorire l’infi ltrazione delle acque nel sottosuolo.

1. Cos’è la fi todepurazione?

La fi todepurazione è un processo naturale di depurazione delle acque che si avvale dell’azione di particolari essenze vegetali macrofi te, in grado di svilupparsi in condizioni di parziale o totale sommersione. Le piante per crescere utilizzano sostanze nutrienti, quali azoto e fosforo, contribuendo alla rimozione di queste dall’acqua, e nel contempo fungono da substrato per i microrganismi responsabili dei processi di denitrifi cazione e degradazione della sostanza organica.

LA FITODEPURAZIONE E LE AREE UMIDE

2. Quali sono gli ambiti in cui può essere effi cacemente applicata?

Il processo di fi todepurazione che avviene spontaneamente in natura può essere riprodotto artifi cialmente median-te appositi impianti. I trattamenti di fi todepurazione possono essere utilizzati:• Per l’affi namento dei refl ui a valle dei depuratori, anche ai fi ni del riutilizzo;• Per la riduzione dell’inquinamento diffuso in aree agricole o urbane;• Per la riduzione dell’inquinamento puntuale a livello domestico, industriale o commerciale.

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3. Quali sono i vantaggi connessi all’utilizzo della fi todepurazione?

In generale la tecnica di fi todepurazione, essendo una tecnica che si avvale dell’azione di piante, presenta van-taggi economici derivanti dall’assenza di macchinari, fatta eccezione per i casi in cui è necessaria la presenza di sistemi di sollevamento. Le operazioni di manutenzione degli impianti sono inoltre molto contenute, e riguardano principalmente i periodici sfalci della vegetazione e la rimozione degli eventuali accumuli di sedimenti.

4. Quali sono i vantaggi trasversali per le aree umide artifi ciali?

Le aree umide artifi ciali possono essere utilizzate come bacini di laminazione delle portate di pioggia sfi orate dal-la rete di fognatura mista e possono presentare, se adeguatamente progettate, gestite ed integrate nell’ambiente, il vantaggio aggiuntivo di permettere la rinaturalizzazione dell’area in cui sono situate, grazie alla creazione di habitat naturali che portano alla ripopolazione fl oristica e faunistica dell’area stessa. Un’altimetria irregolare, ad esempio, è un elemento di attrazione per un elevato numero di specie di avifauna, in quanto le diverse profondità creano condizioni differenti e compatibili con le modalità di alimentazione preferite dalle diverse specie di uccelli. Anche dal punto di vista paesaggistico, ad esempio per la fruizione del sito ad uso ricreativo, la diversità e la com-plessità di componenti permettono un migliore impatto visivo e una generale attrattiva, oltre a contribuire a creare una varietà di habitat.

5. Quali sono i dati e le informazioni da raccogliere per valutare la possibilità di utilizzare un’area umida esistente per l’affi namento dei refl ui o per realizzarne una apposita?

Per valutare la possibilità di realizzare un’area umida di fi todepurazione è necessario come prima cosa individuare gli standard di qualità da raggiungere, valutare il grado di pretrattamento delle acque, la portata in ingresso e la tipologia di area umida realizzabile in relazione alle essenze vegetali utilizzate. Sulla base di questi viene poi calco-lata la superfi cie necessaria. Successivamente è necessario:• In presenza di un’area umida naturale: valutare la superfi cie disponibile, l’idoneità delle specie presenti alla rimozione delle sostanze inquinanti per il raggiungimento degli standard stabiliti;• In assenza di un’area umida naturale: scegliere il sito più adatto alla realizzazione dell’area umida, partendo dall’analisi di almeno tre siti potenzialmente utilizzabili, valutandone la distanza dal luogo in cui avviene lo scarico delle acque refl ue da sottoporre a fi todepurazione, la presenza di ecosistemi soggetti a particolare tutela, le carat-teristiche topografi che, pedologiche e geologiche del sito e gli espropri necessari.

6. Cosa è possibile fare se la superfi cie a disposizione non risulta suffi ciente per il raggiungimento degli standard di qualità delle acque richiesti?

In tal caso è necessario aumentare il livello di pretrattamento delle acque in ingresso all’area umida di fi to-depurazione: così facendo si riducono le percentuali di rimozione richieste, e di conseguenza anche la superfi cie necessaria al trattamento.

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DIFESA DEL SUOLO

1. Cosa si intende per manutenzione della rete idrografi ca?

Le attività di manutenzione del reticolo idrografi co devono essere fi nalizzate al mantenimento dell’assetto dei corsi d’acqua (opere ed alvei) che garantisce condizioni di rischio compatibili con le caratteristiche del territorio circo-stante, e devono riguardare ciascuna delle tre componenti che caratterizzano l’alveo fl uviale. Esse si compongono quindi delle seguenti parti:• Operazioni di manutenzione delle opere di difesa idraulica;• Attività per la tutela ed il controllo della vegetazione ripariale;• Attività per la gestione dei sedimenti d’alveo.

LA MANUTENZIONE DELLA RETE IDROGRAFICA MINORE

2. Quali sono le criticità connesse alla mancata manutenzione delle opere di difesa idraulica?

L’abbandono dei manufatti di difesa idraulica può creare situazioni di pericolo derivanti dallo sviluppo incontrol-lato della vegetazione o dall’accumulo di materiale solido in prossimità dell’opera, che ne riduce la funzionalità e ne può causare il degrado.

3. Quali sono le attività da svolgere per effettuare la necessaria manutenzione delle opere di difesa idraulica?

Gli interventi principali che vanno previsti sono la rimozione della vegetazione, che può ostruire le sezioni di passaggio dell’acqua, e la rimozione degli accumuli di sedimenti o altri materiali in prossimità dell’opera, in modo che sia garantito il libero defl usso della portata. Inoltre se l’opera risulta degradata può rivelarsi necessario il suo rifacimento.

4. Quali sono le criticità connesse al mancato controllo della vegetazione ripariale?

Le criticità connesse alla vegetazione ripariale sono la crescita incontrollata in alveo e sulle sponde ed il traspor-to di materiale vegetale (rami, ecc.) da parte della corrente che in alcuni casi può provocare l’ostruzione delle sezioni di defl usso.

5. Quali sono le attività da svolgere per il controllo della vegetazione ripariale?

Per evitare che si creino situazioni di pericolo derivanti dalla riduzione della sezione di defl usso è opportuno effet-tuare periodiche manutenzioni atte ad eliminare la vegetazione cresciuta all’interno dell’alveo. Per garantire il mantenimento di condizioni di stabilità delle sponde è inoltre necessario effettuare periodici sfalci fi nalizzati al controllo ed alla tutela della vegetazione, anche per evitare la caduta in alveo di rami secchi o altro materiale vege-tale che potrebbe ostruire le luci di passaggio di eventuali manufatti di attraversamento posti a valle.

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6. Quali sono le criticità connesse al deposito dei sedimenti in alveo?

Le criticità connesse al fenomeno del trasporto solido sono il deposito dei sedimenti in alveo, che causa la ridu-zione della sezione di defl usso, e l’erosione del fondo e delle sponde, che ne causa l’instabilità.

7. Quali sono le attività da svolgere per la gestione dei sedimenti d’alveo?

La riduzione della sezione di defl usso determinata dall’accumulo dei sedimenti in alveo può causare l’innalzamen-to del pelo libero e quindi creare una situazione di pericolo per le zone circostanti. Per tale motivo è necessario effettuare periodiche manutenzioni fi nalizzate alla rimozione dei sedimenti accumulati sul fondo: tali interventi potrebbero essere effettuati ad esempio dopo eventi di piena, durante i quali si registra il maggior trasporto solido. È importante tuttavia che i sedimenti asportati non vengano totalmente rimossi dall’alveo, ma riutilizzati per in-terventi di regolarizzazione e sistemazione all’interno dello stesso corso d’acqua. L’instabilità causata dall’erosione delle sponde può essere affrontata mediante interventi atti a regolarizzare e ridurre la pendenza oppure a dissipare l’energia della corrente. Nel primo caso si provvede alla realizzazione di soglie e briglie, in grado di trattenere i corpi solidi trasportati dalla corrente; nel secondo caso si utilizzano invece opere quali rampe in massi, che dissipano l’energia della corrente e comportano il vantaggio aggiuntivo di contribuire alla stabilità dell’alveo.

8. Quali sono gli strumenti attraverso i quali la Pubblica Amministrazione può programmare la manutenzione della rete idrografi ca?

Lo strumento è il Piano di manutenzione della rete idrografi ca, che dovrebbe essere redatto sulla base di quanto previsto dal Decreto del Presidente della Repubblica del 14 aprile 1993. Tale decreto individua infatti gli interventi manutentori da effettuarsi, distinguendo tra corsi d’acqua regimati e non regimati, per il ripristino ed il mantenimento delle condizioni di sicurezza idrogeologica dell’area considerata. Esso indica inoltre la necessità di prevedere dei programmi di intervento, elencando nel contempo le priorità degli interventi da fi nanziare per ciascun programma.

9. Quali sono i dati e le informazioni da raccogliere per individuare i casi di potenziale pericolosità idraulica e/o geologica del territorio dovuti a criticità della rete idrografi ca minore e per la redazione di un Piano di manutenzione?

Per redigere un Piano di manutenzione della rete idrografi ca minore è necessario che vengano innanzitutto effet-tuate le seguenti indagini conoscitive preliminari:• Caratterizzazione fi sica dell’ambito di studio, che comporta la ricostruzione del reticolo idrografi co in esame e la delimitazione dei relativi bacini idrografi ci;• Raccolta ed organizzazione dei quadri conoscitivi del sistema fi sico, derivante da studi o Piani vigenti interessanti il territorio in esame;• Esame degli archivi storici;• Esame delle criticità e delle proposte di intervento derivanti da studi, progetti e dai Piani vigenti.

10. Quali sono le operazioni da effettuare, dopo avere raccolto tutte le informazioni necessarie, per la redazione di un Piano di manutenzione della rete idrografi ca?

Perché sia possibile pianifi care le operazioni di manutenzione è necessario effettuare la rappresentazione dell’asset-to attuale del territorio in relazione alle esigenze di manutenzione. Tale operazione deriva dalla sintesi delle infor-mazioni raccolte precedentemente e contiene l’analisi dei problemi di dissesto verifi catisi nel tempo, l’analisi delle opere esistenti, la tipologia costruttiva ed il loro stato di funzionalità attuale, l’effi cienza e la funzionalità nel tempo di tali opere e l’analisi delle situazioni critiche per assenza di manutenzione. Successivamente vanno individuati gli obiettivi di manutenzione del territorio in relazione alle criticità rilevate ed alle caratteristiche della zona in esa-me. Il Piano di manutenzione dovrebbe contenere inoltre tutte le procedure e le metodologie necessarie alla realizzazione degli interventi previsti, al controllo ed al monitoraggio delle opere. Infi ne devono essere individuate le competenze ed i fi nanziamenti da destinare alla realizzazione degli interventi previsti.

INDIVIDUAZIONE DI SITUAZIONI DI PERICOLOSITÀ IDRAULICA NELLA RETE IDROGRAFICA MINORE

1. Quali sono i dati e le informazioni da raccogliere per individuare i casi di interferenze tra la rete idrografi ca minore e le aree urbane, potenzialmente in grado di creare situazioni di pericolosità idraulica e/o geologica?

Per individuare la presenza di situazioni di pericolosità idraulica nell’area in esame è necessario acquisire dati ri-guardanti:• Il reticolo idrografi co minore;• La posizione dei centri e dei nuclei urbani rispetto alla rete idrografi ca minore;• La posizione delle vie di comunicazione rispetto alla rete idrografi ca minore.I dati e le informazioni sopraelencate sono reperibili presso la Regione, i Comuni interessati (facendo ad esempio rife-rimento ai Piani Urbanistici Comunali) oppure mediante il CeDoc (Centro Documentazione sui bacini idrografi ci), un sistema informativo istituito dalla Regione Sardegna e consultabile in internet all’indirizzo http://cedoc.infogis.it.

2. Come va effettuata un’analisi del rischio idraulico in presenza di interferenze tra la rete idrografi ca minore e le aree urbane?

Una volta individuate le interferenze tra la rete idrografi ca minore ed i centri urbani è necessario valutare la peri-colosità, rappresentata dalla probabilità di superamento della portata al colmo di piena, individuare gli elementi a rischio, ovvero persone e cose suscettibili di essere colpiti da eventi calamitosi, ed infi ne valutare la vulnerabilità, ovvero la capacità di resistere alle sollecitazioni indotte dall’evento e quindi il grado di perdita degli elementi a rischio in caso del manifestarsi del fenomeno. Una volta determinate queste variabili, è quindi possibile defi nire il grado di rischio idraulico.

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Il procedimento che può essere seguito per l’effettuazione di un’analisi di rischio idraulico è il seguente:• Effettuazione di rilievi e indagini sul campo: in questa fase vengono verifi cati i dati ricavati inizialmente dalla cartografi a, e vengono effettuate le ricerche necessarie ad una più approfondita conoscenza della porzione di territorio in esame e della confi gurazione del reticolo idrografi co minore; vengono inoltre individuate e catalo-gate, eventualmente mediante la compilazione di schede apposite, tutte le opere di interferenza signifi cative quali attraversamenti stradali, tombinamenti, ecc.;• Verifi ca idraulica delle sezioni di interferenza: per ciascun bacino ed in ciascuna sezione di interferenza individuata vengono calcolate le portate di piena relative ad un determinato tempo di ritorno;• Valutazione della pericolosità idraulica ed individuazione degli elementi a rischio: una volta calcolate le portate di piena e noto il grado di insuffi cienza di ciascuna sezione, è possibile stimare l’estensione delle superfi ci potenzialmente allagabili e perimetrare le aree a rischio di allagamento, individuando gli elementi a rischio;• Calcolo del rischio idraulico: a ciascuna delle aree individuate al punto precedente è possibile associare un livello di rischio idraulico;• Individuazione degli interventi per la mitigazione del rischio idraulico: sulla base dei risultati ottenuti è possibile individuare delle ipotesi di intervento per la messa in sicurezza idraulica delle sezioni risultate critiche.

5. Quali sono gli interventi possibili per il ripristino delle condizioni di sicurezza delle zone risultate pericolose?

Interventi di manutenzione:• La rimozione dei sedimenti accumulati ed il taglio della vegetazione sviluppatasi all’interno dell’alveo;• Il ripristino delle opere di protezione delle sponde e degli argini.

Interventi di messa in sicurezza:• Il rifacimento del manufatto di attraversamento che è risultato essere di sezione non adeguata;• La realizzazione di un canale scolmatore in grado di deviare le portate in eccesso e di restituirle a valle della sezione critica;• La realizzazione di un invaso di laminazione a monte della sezione critica che permetta di regolare le portate di defl usso.

Per maggiori approfondimenti si rimanda al progetto “Interventi di sistemazione e manutenzione della rete idrografi ca” contenuto all’interno del manuale.

3. È suffi ciente effettuare la determinazione del rischio idraulico nelle intersezioni rilevate o sono necessarie ulteriori analisi?

Per una corretta determinazione delle situazioni di pericolosità idrogeologica connesse alla rete idrografi ca minore, non è suffi ciente effettuare l’analisi del rischio idraulico dove è stata rilevata la presenza di opere di interferenza signifi cative, quali tombinamenti ed attraversamenti stradali, ma è anche necessario effettuare indagini relative allo stato di manutenzione dei corsi d’acqua della rete minore ed alle caratteristiche del territorio all’in-terno dell’area in esame.

4. Come viene classifi cato il rischio idraulico?

La classifi cazione del rischio idraulico effettuata dal DPCM 29/09/98 e ripresa dal Piano per l’Assetto Idrogeolo-gico della Regione Sardegna (PAI) è la seguente:

R1 MODERATO Danni sociali, economici e al patrimonio ambientale marginali.

R2 MEDIO Sono possibili danni minori agli edifi ci, alle infrastrutture e al patrimonio ambientale che non pregiudicano l’incolumità del personale, l’agibilità degli edifi ci e la funzionalità delle attività economiche.

R3 ELEVATO Sono possibili problemi per l’incolumità delle persone, danni funzionali agli edifi ci e alle infrastrutture con conseguente inagibilità degli stessi, la interruzione di funzionalità delle attività socio-economiche e danni rilevanti al patrimonio ambientale.

R4 MOLTO ELEVATO Sono possibili la perdita di vite umane e lesioni gravi alle persone, danni gravi agli edifi ci, alle infrastrutture e al patrimonio ambientale, la distruzione delle attività socio-economiche.

1. Quali sono i dati necessari per valutare la necessità di un intervento per la difesa idraulica del territorio?

Gli elementi sui quali effettuare le valutazioni sono la conoscenza degli allagamenti avvenuti nel territorio e la pianifi cazione territoriale. Le fonti da cui reperire i dati per il rilievo degli allagamenti storici avvenuti nel territo-rio sono: dati raccolti dai Comuni e da altri Enti locali; dati reperibili in vari studi condotti sul territorio comunale; segnalazioni di cittadini; memoria storica di cittadini, di tecnici comunali, di tecnici dei Consorzi di bonifi ca e/o delle (ex) Comunità Montane. È inoltre necessario individuare nei piani urbanistici (PUC, ex PDF, PRG) la previsione di nuove aree di espansione urbana, sia di tipo residenziale che industriale-commerciale, la cui realizzazione va accompagnata a interventi atti a garantire l’invarianza idraulica del territorio.

LA DIFESA IDRAULICA NELLE TRASFORMAZIONI DEL TERRITORIO

2. Sulla base dei dati raccolti, quali sono i parametri principali cui fare riferimento nella valutazione della necessità di un intervento per la difesa idraulica del territorio?

Il parametro fondamentale da considerare è il tempo di ritorno dell’allagamento della zona in esame. In parti-colare se dai dati raccolti è emerso che una parte di territorio è stata soggetta ad allagamento con una frequenza superiore a uno ogni 5 anni (quindi il tempo di ritorno è minore di 5 anni) si può dedurre che, con buona probabi-lità, la rete di drenaggio delle acque è inadeguata. Ciò può essere causato da un sottodimensionamento della rete, da una crescita del territorio urbanizzato non congruente con le caratteristiche della rete oppure dalla presenza di criticità nella rete stessa come intersezioni con la rete viaria inadeguate, interimmenti delle condotte o rotture.

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3. Come si individuano le cause degli allagamenti?

Se dai dati raccolti il tempo di ritorno risulta inferiore a 5 anni è necessario effettuare uno studio idraulico del territorio, al fi ne di individuare le cause principali degli allagamenti. Queste possono essere rappresentate ad esempio da un sottodimensionamento della rete, da una crescita del territorio urbanizzato non congruente con le caratteristiche della rete oppure dalla presenza di criticità nella rete stessa come intersezioni con la rete viaria inadeguate, interrimenti delle condotte o rotture.

4. Quali sono gli interventi da realizzare, in caso la zona in esame sia risultata soggetta a frequenti allagamenti, per garantire la sicurezza idraulica del territorio?

Gli interventi da realizzare per la messa in sicurezza idraulica del territorio dipendono dallo specifi co contesto e dalle cause degli allagamenti individuate dallo studio idraulico. In generale, gli interventi più comuni sono riportati nella seguente tabella.

Incapacità della rete idrografi ca o delle condotte della rete fognaria di smaltire la portata di piena

CAUSE DEGLI ALLAGAMENTI

Presenza di criticità quali attraversamenti di sezione inadeguata, bruschi cambi di pendenza, interrimento e rottura delle condotte fognarie

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• Realizzazione di casse di espansione;• Risezionamento dell’alveo;• Realizzazione o sovralzo degli argini;• Realizzazione di canali scolmatori.

• Rifacimento delle condotte con diametri maggiori.

• Sistemazione delle opere di attraversamento;• Sistemazione della pendenza;• Stabilizzazione del fondo;• Opere di difesa delle sponde.

• Pulizia delle condotte;• Rifacimento della rete in corrispondenza dei punti di rottura.

3. Quali sono gli interventi da attuare in caso la zona in esame non sia soggetta a frequenti allagamenti ma sia prevista la realizzazione di nuove aree di espansione?

Se nella zona in esame è prevista la realizzazione di nuove aree di espansione è necessario adottare interventi di mi-tigazione per garantire l’invarianza idraulica. Gli interventi, da prescrivere nei regolamenti edilizi comunali, sono ad esempio la realizzazione di volumi di invaso temporaneo delle acque e di sistemi di infi ltrazione facilitata delle acque nel suolo (vedi progetto “Opere di laminazione per garantire l’invarianza idraulica” contenuto nel Manuale).

1. In quali casi è necessario effettuare un intervento di sistemazione idraulico-forestale di un versante?

• Movimento franoso in atto: l’intervento viene effettuato al fi ne di ridurre i pericoli connessi al fenomeno;• Frana avvenuta: l’intervento ha lo scopo di ridurre o di eliminare le conseguenze della frana;• Rischio di frana: l’intervento è indirizzato a migliorare le condizioni di stabilità e ad aumentare il coeffi ciente di sicurezza.

INTERVENTI DI SISTEMAZIONE IDRAULICO-FORESTALE

2. Quali sono i fattori da considerare per la scelta della soluzione più effi cace da applicare per la sistemazione idraulico-forestale di un versante?

• La condizione di stabilità del pendio;• Il tipo, le dimensioni e la velocità della frana;• La situazione dell’ambiente fi sico e di quello socio-economico;• Gli effetti collaterali dell’intervento;• La disponibilità economica e tecnologica.

3. Cosa è necessario fare una volta accertata la necessità di un intervento?

Per prima cosa è necessario individuare la tipologia di intervento che si intende realizzare, ovvero:• Intervento diretto ad evitare il problema: in questa categoria rientrano le limitazioni d’uso o i vincoli in generale sulla zona interessata dal dissesto, che riducono il valore delle aree vincolate;• Interventi atti a diminuire l’intensità delle forze motrici o ad aumentare l’intensità delle forze resistenti, tra cui: - Interventi per il mantenimento della situazione del pendio; - Interventi che modifi cano la situazione del pendio al fi ne di conferire stabilità; - Interventi che interessano l’acqua nel terreno, impedendo che essa sia causa di erosione e di fenomeni di instabilità.Successivamente è necessario individuare la tecnica più effi cace e con il minimo impatto sul territorio, sce-gliendo tra tecniche di ingegneria naturalistica, tecniche tradizionali di sistemazione idraulico-forestale o interventi che utilizzino entrambe le tecniche in maniera complementare.

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4. Quali sono gli interventi preliminari di tipo idraulico che devono essere effettuati in modo da non compromettere la stabilità di un versante prima della realizzazione di un’opera di ingegneria civile (un edifi cio, una strada, ecc.)?

Per non infl uenzare negativamente la stabilità di un versante con la realizzazione di un’opera come un edifi cio o una strada, e quindi introdurre condizioni di rischio nell’area considerata, è opportuno prevedere la realizzazione di una serie di interventi fi nalizzati alla raccolta ed allo smaltimento delle acque superfi ciali. Tali interventi consistono nella realizzazione di una rete adeguata di fossi, piccoli canali scoperti o cunette superfi ciali di varie forme, in grado di intercettare l’acqua meteorica su tutta l’area di intervento ed in particolare nella zona posta im-mediatamente a monte dell’intervento stesso. In questo modo viene impedita la penetrazione di eccessive quantità d’acqua nel terreno, limitandone l’azione instabilizzante e consentendo inoltre all’opera di mantenere nel tempo la propria funzionalità.

5. Quali sono gli errori più comuni nell’applicazione e realizzazione di opere con tecniche di ingegneria naturalistica?

In passato le tecniche di ingegneria naturalistica sono state a volte applicate senza adeguati studi preliminari fi -nalizzati all’acquisizione della necessaria conoscenza delle caratteristiche dell’area in esame, e senza l’adozione di accorgimenti di primaria importanza per la conservazione della naturalità del sito e per la funzionalità e la durabilità dell’opera. Gli errori che vanno evitati sono principalmente:

• Sottodimensionamento delle strutture;• Sopravvalutazione e superamento dei limiti delle possibilità biotecniche dell’ingegneria naturalistica;• Errate applicazioni iniziali con fallimento funzionale e/o mancato sviluppo delle piante;• Impiego prevalente di materiali inerti e uso del verde non funzionale ma a scopo di mascheramento;• Impiego di specie esotiche, con problemi di contaminazione genetica e di infestazione.

6. Quali sono gli incentivi all’utilizzo di tecniche di ingegneria naturalistica negli interventi di sistemazione idraulico-forestale?

La Pubblica Amministrazione, in collaborazione con l’Ente Foreste, può favorire la diffusione e l’utilizzo delle tecni-che di ingegneria naturalistica mediante:• Il fi nanziamento, totale o parziale, degli interventi di difesa idrogeologica e di rinaturazione che utilizzano tecniche di ingegneria naturalistica;• L’effettuazione di attività di ricerca, informazione e divulgazione, anche mediante la realizzazione di ap-positi manuali di assistenza alla progettazione;• Il supporto tecnico alla progettazione per la realizzazione di interventi di ingegneria naturalistica.

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RIFIUTI

1. Come riconoscerli?

Per acquistare verde è importante che le Pubbliche Amministrazioni dispongano di una buona conoscenza del mercato. In fase di acquisto di beni, servizi o lavori, una considerazione particolare deve riguardare:• Lo smaltimento dei rifi uti (la durata del prodotto, il volume e l’eterogeneità di rifi uti che potrà generare, il grado di riciclabilità),• L’effi cienza energetica: un minor utilizzo di energia comporta un risparmio in denaro e minori emissioni.

SERVIZI E PRODOTTI VERDISERVIZI E PRODOTTI VERDI

2. Cosa sono le etichette ecologiche?

Le etichette ecologiche identifi cano le caratteristiche ambientali dei prodotti e dei servizi e aiutano il con-sumatore a scegliere quelli a minor impatto ambientale. Forniscono, secondo precise norme, delle informazioni non ingannevoli e scientifi camente valide che riguardano l’intero ciclo di vita dei prodotti: utilizzo di materie prime, consumo di energia, smaltimento fi nale.Le ecoetichette possono essere obbligatorie o volontarie. Sono obbligatorie quando vincolano i produttori, gli utiliz-zatori, i distributori ad attenersi alle prescrizioni normative. Riguardano ad esempio i seguenti gruppi di prodotti:• Sostanze tossiche pericolose;• Elettrodomestici: l’etichetta energetica (Energy Lebel) fornisce informazioni al momento dell’acquisto sul con-sumo energetico dell’apparecchio;• Imballaggi: il Packaging Label, fi nalizzato alla raccolta, il recupero e il riciclo dei materiali da imballaggio a fi ne vita.

Le etichette volontarie si riferiscono a marchi ecologici certifi cati da enti terzi o possono essere semplicemente uno strumento di informazione sulle caratteristiche ambientali dei prodotti. Quelle rispondenti alla norma tecnica ISO 14024 (dette tipo I) e ISO 14025 (dette tipo III) sono etichette volontarie certifi cate da enti terzi. Appartengono a questa categoria:• Il marchio europeo Ecolabel che attualmente può essere assegnato ad oltre 20 gruppi di prodotti rientranti nei seguenti settori: tessile, carta, turismo, pulizia, ecc.;• L’etichetta nazionale tedesca Blauer Engel;• La Nordic Swan etichette dei Paesi Scandinavi;• Il marchio giapponese Eco Mark.

Le dichiarazioni, le etichette e simboli di valenza ambientale presenti sulle confezioni dei prodotti e degli imballaggi fanno parte delle autodichiarazioni non certifi cate da enti terzi e rispondono alla norma tecnica ISO 14021 (dette tipo II). Solitamente riguardano un solo aspetto ambientale come ad esempio la riciclabilità, il contenuto di mate-riale riciclato, l’assenza di sostanze dannose per l’ambiente.Per ulteriori dettagli, si possono consultare i siti internet:www.eco-label.comwww.blauer-engel.dewww.iso.org

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RIFIUTI

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3. Cosa deve fare una Pubblica Amministrazione per acquistare servizi e prodotti verdi?

La scelta di procedere agli acquisti verdi implica una decisione della Pubblica Amministrazione che dovrebbe con-cretizzarsi nelle seguenti attività:• Comunicazione: informare e sensibilizzare direttamente il maggior numero di produttori e fornitori di beni e servizi;• Formazione del personale addetto agli acquisti verdi, affi nché sia in grado di valutare nella procedura di appalto, la migliore soluzione nel rapporto qualità/prezzo/prestazioni ambientali;• Valutazione delle reali esigenze di acquisto;• Adozione di un approccio graduale: iniziare con una gamma di prodotti e servizi caratterizzati da minor im-patto ambientale (carta, lampadine, apparecchiature elettriche a basso consumo energetico);• Verifi ca dell’esistenza sul mercato di beni in grado di assolvere le stesse funzioni dei prodotti tradizionali ma con minor impatto ambientale a prezzi competitivi;• Inserimento di criteri ambientalmente sostenibili nelle procedure di approvvigionamento di beni e servizi;• Adozione di buone pratiche quotidiane;• Monitoraggio delle azioni: verifi ca dei risultati e rimodulazione degli obiettivi da perseguire in un arco di temporale prestabilito;• Informazione a tutto il personale dipendente;• Sensibilizzazione dei cittadini sull’impegno assunto dall’Amministrazione a tutela dell’ambiente.

L’INFORMATIZZAZIONE DELL’ECOCENTROL’INFORMATIZZAZIONE DELL’ECOCENTRO

1. Quali obiettivi possono essere raggiunti attraverso un’informatizzazione dell’ecocentro fi nalizzata al controllo degli accessi alla struttura?

Il controllo degli accessi rappresenta uno degli strumenti fondamentali di miglioramento funzionale degli ecocentri e può essere ottimizzato attraverso l’implementazione di elementi di identifi cazione dell’utenza con consegna di tessere magnetiche lette e registrate con palmare al momento dell’accesso.L’informatizzazione di un ecocentro può essere attuata al fi ne di perseguire uno o più dei seguenti obiettivi:• Precisa e univoca identifi cazione degli utenti;• Controllo del funzionamento complessivo dell’ecocentro: il gestore può valutare i dati di conferimento, il numero di accessi, la ripartizione tra utenze domestiche e non domestiche;• Controllo del comportamento delle singole utenze: per esempio vengono individuati i conferimenti delle utenze non domestiche che accedono tramite l’utilizzo di una tessera non domestica;• Programmazione degli svuotamenti;• Personalizzazione dei profi li degli utenti: ad esempio è possibile bloccare il conferimento di ramaglie alle utenze che usufruiscono dello sconto per il compostaggio domestico;• Trasparenza del sistema verso l’esterno, con la possibilità di rendere visibili i dati agli enti di controllo;• Effettivo controllo sull’assimilabilità dei rifi uti speciali: tramite soglie impostabili, è possibile bloccare l’ac-cesso all’ecocentro alle utenze che hanno superato i limiti di quantità previsti o che cercano di conferire rifi uti non assimilabili per qualità;• Valutazione dell’effi cienza dell’intero sistema di raccolta differenziata, determinando le criticità, gli obiet-tivi e gli standard qualitativi raggiunti e da raggiungere, ecc.;• Defi nizione degli interventi correttivi eventualmente necessari;• Adozione ed applicazione di sistemi di tariffazione di particolari servizi (ingombranti, verde, ecc.) o siste-mi premiali per il conferimento di particolari frazioni, come per esempio i rifi uti da imballaggio.

2. In che modo si sviluppa un sistema di informatizzazione dell’ecocentro?

FASE 1: Predisposizione del sistemaQuesta fase prevede il caricamento dei dati delle utenze domestiche e non domestiche nel sistema informatico e la defi nizione dei profi li degli utenti in funzione di particolari restrizioni o limiti di accesso.

FASE 2: Stampa e distribuzione delle tessere magneticheLa distribuzione delle tessere presso le utenze può avvenire sotto diverse forme (distribuzione diretta presso l’ecocen-tro, tramite invio postale massivo a tutte le utenze abilitate, attraverso specifi ca richiesta presso gli sportelli, ecc.).

FASE 3: Software di gestioneGli operatori dell’ecocentro vengono dotati di palmare con specifi co software in cui sono registrati tutti gli utenti abilitati al conferimento presso l’ecocentro.

FASE 4: Registrazione dei conferimentiL’utente si presenta all’ecocentro esibendo la tessera, senza la quale non è consentito l’accesso: effettuato il rico-noscimento (viene verifi cato se la tessera è abilitata al conferimento), vi è la possibilità di registrare nel palmare i rifi uti conferiti dall’utente ed il relativo quantitativo.

FASE 5: Gestione dei datiI dati così raccolti vengono trasmessi al sistema informativo centrale e nel contempo vengono anche aggiornati i dati relativi alle utenze presenti nel palmare. Lo scaricamento dei conferimenti e il caricamento dei nuovi dati, listini, ecc. può avvenire in due modi:1. Direttamente tramite il terminale, nel caso questo sia dotato di SIM GPRS. In questo caso a fi ne turno l’operatore effettua l’allineamento del data-base con un’opzione di invio dal palmare;2. Tramite PC. In questo caso lo scaricamento dei dati può avvenire a cadenze settimanali o mensili presso una sede prefi ssata.

FASE 6: RendicontazioneI dati dei conferimenti raccolti con i palmari presso gli ecocentri, vengono poi elaborati. In caso siano stati defi niti degli importi per certe tipologie di conferimento, questi vengono addebitati agli utenti direttamente in bolletta.

3. Quali risultati possono venire raggiunti attraverso un controllo informatizzato degli accessi all’ecocentro?

I risultati dell’introduzione di un sistema di controllo informa-tizzato degli accessi possono essere esemplifi cati dal grafi co a lato, dove si riporta il dato re-lativo ai rifi uti in ingresso ad un ecocentro avviati a smaltimento (ingombranti e altri secchi non recuperabili) prima dell’attiva-zione del controllo informatiz-zato (2004) e dopo questa mi-glioria (da marzo/aprile 2005): la riduzione è stata di oltre il 54% nel 2005 rispetto al 2004.

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RIFIUTI

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1. Quale strumento può venire utilizzato per individuare spazi di miglioramento di un sistema di raccolta differenziata?

Uno strumento fondamentale per defi nire strategie di miglioramento ed ottimizzazione della raccolta differenziata, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo, è rappresentato dalle indagini merceologiche sulla composi-zione del rifi uto. Le tipologie di rifi uto che possono venire sottoposte ad indagine merceologica possono essere:• Frazioni differenziate, con l’obiettivo di individuare il grado di qualità del materiale raccolto ed eventualmente introdurre opportune azioni al fi ne di migliorare la raccolta (ad esempio: controlli sui materiali conferiti; modifi che al sistema di raccolta);• Rifi uto residuo, cioè la quota di rifi uto che non viene conferito in modo differenziato, al fi ne di individuare la presenza di frazioni ancora valorizzabili.

OTTIMIZZAZIONE DELLE MODALITÀ DI RACCOLTA DIFFERENZIATA

2. Quali informazioni utili possono venire ricavate da un’indagine merceologica?

L’utilità di un’indagine merceologica e le informazioni ottenibili possono venire esemplifi cate da un esempio sinte-tizzato di seguito.In un Comune con raccolta domiciliare secco-umido e percentuale di raccolta differenziata attorno al 65% (con buona qualità delle frazioni merceologiche raccolte in modo differenziato, confermata dai riscontri che arrivano dagli impianti ai quali tali frazioni vengono inviate) sono state attivate specifi che indagini merceologiche sul rifi uto residuo fi nalizzate ad individuare gli spazi di miglioramento del sistema complessivo di raccolta. I risultati sono stati i seguenti:

Umido 8%

Verde2%

Vetro3%

Cartoni per bevande4%

Metalli2%

Plastica12%

Carta e cartoni14%

Sottovaglio0-4 mm

14%

Altri rifi uti8%

Tessili e pellame 3%

Pannolini (di qualsiasi tipo)

24%

Legno 4%

RUP2%

Dal momento che oltre il 30% del rifi uto secco residuo è risultato composto da imballaggi o frazioni similari (in par-ticolare il 12% plastica e il 14% carta e cartoni) è stata condotta un’analisi di dettaglio per queste due frazioni, che ha rilevato una consistente presenza di imballaggi in plastica diversi dai contenitori per liquidi nella frazione plastica e di una maggioranza di carta grafi ca nella frazione carta/cartone. A titolo esemplifi cativo si riporta di seguito la tabella con la classifi cazione completa della frazione PL (plastica) prevista dal manuale ANPA (CTB_RIF 1/2000), con l’indicazione delle modalità di aggregazione prese in considerazione nell’analisi specifi ca: tale classifi cazione ha te-nuto in considerazione le diverse modalità con cui vengono classifi cati gli imballaggi secondo COREPLA (Consorzio Nazionale per la Raccolta, il Riciclaggio ed il Recupero dei Rifi uti di Imballaggi in Plastica) in raccolta fi nalizzata ai soli contenitori per liquidi ed estesa (comprensiva anche di tutti gli altri imballaggi in plastica).

PL 1 plastica fi lm sacchetti sacchetti supermercato, sacchi spazzatura, sacchi compost, fertilizzanti

PL 2 altra plastica fi lm fi lm per imballaggio alimentare e non alimentare

PL 3 bottiglie trasparenti PVC acqua minerale, liquidi alimentari

PL 4 bottiglie trasparenti PET acqua minerale, liquidi alimentari

PL 5 bottiglie e contenitori detersivi, contenitori alimentari opachi PVC

PL 6 bottiglie e contenitori detersivi, contenitori alimentari opachi PET

PL 7 altra plastica rigida contenitori alimentari e non alimentari, alveoli, blister

PL 8 altra plastica polistirolo ed altri poliespansi

PL

- p

last

ica

Dettaglio carta e cartone

Carta (riviste, giornali in fogli singoli o rilegati)

Cartone e cartoncino (cartone ondulato, cartocinco delle confezioni per alimenti, come ad esempio confezioni della pasta, del tonno, ecc.)

10,3%

3,8%

Dettaglio plastica

Plastica (contenitori per liquidi in PE, PVC e PET di qualsiasi dimensione)

Altri imballaggi in plastica (shopper, vaschette polistirolo, confezioni varie, buste alimenti, ecc.)

Altra plastica non da imballaggi (giocattoli, canne di gomma, tubi, video e audiocassette, bicchieri e piatti plastica, penne, ecc.)

1,9%

7,7%

1,9%

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RIFIUTI

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Suddivisione

plasticaSuddivisione

carta e cartone

Cartone e cartoncino (cartone ondulato,

cartoncino delle confezioni per alimenti,…)

27%

Carta (riviste, giornali in fogli

singoli o rilegati)73%

Altra plastica non imballaggi (giocattoli, canne di gomma, tubi,

cassette, bicchieri e piatti plastica, ecc.)

17%

Plastica (contenitori per liquidi in PE, PVC e PET di qualsiasi

dimensione)16%

Altri imballaggi in plastica (shopper,

vaschette polistirolo, confezioni

varie, buste alimenti, ecc.)

67%

3. Quali azioni possono venire intraprese sfruttando le informazioni derivanti dalle indagini merceologiche?

Le indagini condotte nell’esempio appena illustrato hanno portato ad individuare la presenza di importanti quanti-tativi di rifi uti di imballaggio all’interno del rifi uto residuo. Nonostante gli elevati risultati conseguiti dal sistema nel suo complesso è stato possibile progettare alcune azioni fi nalizzate a migliorarne ulteriormente le performance, in particolare:• Estensione della raccolta della plastica a tutte le tipologie di imballaggio al fi ne di incrementare i livelli di raccolta differenziata e il valore complessivo dei corrispettivi previsti da COREPLA per la raccolta differenziata degli imballaggi in plastica;• Attivazione di una campagna comunicativa di rafforzamento sulla raccolta differenziata di carta e cartone.

Innanzitutto occorre capire che distribuzione ha il fenomeno turistico nel corso dell’anno, valutando se si concentra nello spazio di pochi mesi (ad esempio con un picco estivo, tipico delle località balneari) o se si presenta distribuito in modo più o meno costante nel corso dell’anno (come ad esempio nelle città d’arte). Un secondo aspetto importante, comunque legato al primo, riguarda la tipologia di turismo che può essere legato alla pre-senza di seconde case (e quindi, per tornare alla frequenza, con presenza concentrata nei periodo di ferie e durante i fi ne settimana), alla presenza di strutture ricettive di vario tipo (all’interno della categoria delle strutture ricettive occorre distinguere se si tratta principalmente di alberghi oppure di residence o campeggi) o a fenomeni di turismo pendolare “mordi e fuggi”.

2. Che impatto hanno i diversi modelli di turismo sulla produzione di rifi uti e sulla gestione della raccolta e della comunicazione?

Differenti tipologie di turismo hanno impatti diversi sugli aspetti quantitativi e qualitativi della produzione di rifi uti.Il dato quantitativo più ovvio, ma fondamentale per determinare le modalità di organizzazione del servizio di rac-colta, è quello della stagionalità delle presenze, che ha una correlazione diretta ed immediata con l’andamento della produzione complessiva di rifi uti. La presenza di “picchi” produttivi concentrati in particolari periodi dell’anno necessita pertanto di uno specifi co dimensionamento del servizio di raccolta, che non potrà essere lo stesso (in termini di mezzi e personale addetto) in bassa ed alta stagione.Entrando nel dettaglio della qualità del rifi uto prodotto per effetto dei diversi fenomeni turistici si possono fare alcune semplici osservazioni su aspetti di cui tenere conto e approfondire in fase di progettazione di un servizio in una specifi ca realtà:

• Un turismo di tipo “mordi e fuggi” (tipico ad esempio delle città d’arte o di altre aree con presenza di attrattive molto specifi che) porterà presumibilmente ad un aumento dei rifi uti da spazzamento a causa dell’alta mobilità dei turisti che lo caratterizzano. Una parte importante dei rifi uti sarà inoltre veicolata da strutture legate alla ristora-zione o alla vendita di souvenir: per queste tipologie di utenza occorrerà quindi progettare specifi che azioni comu-nicative e servizi di raccolta dedicati ad intercettare i principali fl ussi di rifi uti che ci si può attendere (imballaggi di vario tipo, principalmente cellulosici e di plastica, frazione organica);

• Un turismo legato alla presenze di seconde case tenderà a produrre un rifi uto qualitativamente del tutto simile a quello prodotto dalle normali utenze domestiche residenti tutto l’anno. Particolare importanza in questi casi dovrà essere data alla puntuale individuazione delle utenze al fi ne di calibrare una comunicazione specifi ca e alla progettazione di specifi che modalità di raccolta (nel caso di raccolta domiciliare particolare attenzione dovrà venire posta nello scegliere i giorni di raccolta e nel comunicare alle seconde case le modalità di accesso ad un ecocentro che dovrà possibilmente essere aperto al sabato e/o alla domenica);

• Gli interventi descritti al punto precedente risultano sicuramente più complessi nel caso di abitazioni in affi tto, per le quali occorre coinvolgere nella responsabilizzazione della gestione l’affi ttuario che si relaziona direttamente con l’inquilino al quale dovrà trasmettere le regole di gestione dei rifi uti;

• Se il turismo è legato alla presenza di strutture ricettive, dovranno essere queste ultime a venire interessate da specifi che azioni di comunicazione e da servizi di raccolta dedicati. Le tipologie di strutture che si possono presen-tare sono diverse e diverso è il modello di gestione che può venire effi cacemente adottato: nel caso di strutture alberghiere la maggior parte del rifi uti verrà generato dalle attività di gestione diretta della struttura (imballaggi di vari materiali, rifi uti organici da preparazione dei pasti, vegetali da manutenzione del verde) mentre in strutture tipo campeggi un’importante quota parte dei fl ussi verrà generata direttamente dagli ospiti ai quali la struttura dovrà rivolgere specifi ci servizi e impostare una comunicazione dedicata.

LA GESTIONE DEI RIFIUTI URBANI IN UN CONTESTO TURISTICO

1. Che tipo di turismo interessa la realtà in analisi?

Una corretta gestione dei rifi uti urbani in un contesto turistico necessita di un’attenta conoscenza del fenomeno al fi ne di approntare le strategie più adeguate per organizzare al meglio il sistema di raccolta e ottenere risultati ottimali in termini di percentuale di raccolta differenziata e qualità dei materiali raccolti.I fl ussi turistici che interessano una certa area possono essere molto diversi tra loro per consistenza, frequenza, stagionalità, impatto sul contesto economico, sociale ed ambientale.

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ENERGIA

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LA VENTILAZIONE DEGLI EDIFICILA VENTILAZIONE DEGLI EDIFICI

1. La ventilazione degli edifi ci è fondamentale

Per ventilazione si intende l’insieme di operazioni volte a sostituire, in tutto o in parte, l’aria viziata di uno spazio confi nato con aria pulita; la ventilazione può comprendere una o tutte le seguenti operazioni: l’immissione, l’even-tuale fi ltrazione, la movimentazione e l’espulsione dell’aria. La ventilazione è di fondamentale importanza, visto che le persone vivono oramai per l’80% del loro tempo all’interno di ambienti confi nati (mezzi di trasporto, scuola, lavoro, casa), pertanto il tempo di esposizione a possibili inquinanti di diversa natura nell’ambiente interno (chimici, biologici, fi sici) è il maggiore responsabile di discomfort legati a spossatezza, problemi della pelle, allergie.In opportune condizioni, la ventilazione può assolvere anche ad una funzione di raffrescamento.La ventilazione può essere posta in atto autonomamente o funzionare come parte di un sistema di climatizzazione ad aria, in cui è previsto il trattamento dell’aria stessa, al fi ne di realizzare, e mantenere, condizioni di comfort.Esistono diverse possibilità per provvedere al necessario ricambio d’aria di un edifi cio:• Aerazione;• Ventilazione naturale;• Ventilazione meccanica: impianti aeraulici e VMC (Ventilazione Meccanica Controllata):• Ventilazione ibrida.È importante distinguere tra aerazione e ventilazione. Per aerazione si intende l’approvvigionamento di aria esterna attraverso operazioni come l’apertura delle fi nestre, al quale si somma l’apporto dovuto alle infi ltrazioni provenienti da serramenti e dall’involucro dell’edifi cio. La ventilazione naturale indica il moto dell’aria generato da una differenza di pressione riconducibile a due feno-meni: effetto camino ed azione del vento agente sulle facciate dell’edifi cio.Alla ventilazione corrisponde necessariamente un costo, necessario perché connesso al mantenimento della qualità ambientale interna. Non si tratta quindi di uno “spreco” energetico, ma di un costo inevitabile come qualsiasi altro che sia connesso al mantenimento della qualità ambientale.

1. Esiste una gerarchia di interventi per la riduzione del consumo di energia negli edifi ci?

Il primo passo è di evitare sprechi inutili di energia. Il primo obiettivo è quindi quello di limitare i consumi energe-tici con una buona progettazione dell’involucro edilizio: quindi isolare termicamente le superfi ci rivolte verso l’esterno e locali non climatizzati, installare elementi schermanti esterni alle superfi ci vetrate, ecc. Successivamente bisogna cercare di utilizzare apparecchi illuminanti ed elettrodomestici a basso consumo, generare il calore o il freddo con macchine energeticamente più effi cienti. Parallelamente è utile ricorrere all’utilizzo di fonti primarie rinnovabili, come per esempio i collettori solari termici e gli impianti fotovoltaici, le caldaie a biomasse, le turbine eoliche.

ENERGETICA DEGLI EDIFICIENERGETICA DEGLI EDIFICI

2. Che cosa si intende con il termine bioclimatica?

Con il termine bioclimatica si intende un insieme di strategie atte allo sfruttamento delle caratteristiche clima-tiche del luogo in cui vengono costruiti gli edifi ci, per ridurre i consumi energetici. È un termine molto di moda e troppo spesso usato in modo approssimativo o errato. Un edifi cio che si basa sull’applicazione della bioclimatica è studiato appositamente per sfruttare in modo passivo le caratteristiche climatiche della zona, ossia radiazione solare, direzione prevalente dei venti, ecc.

3. Come devono essere disposte le schermature solari negli edifi ci?

La radiazione solare aiuta a riscaldare l’edifi cio gratuitamente in inverno, ma in estate tende a surriscaldarlo. Oc-corre quindi pensare a tecnologie che permettano al sole di entrare liberamente in inverno e che blocchino invece la radiazione solare nelle giornate estive. Allo stesso tempo occorre permettere alla luce di entrare nell’ambiente, in modo da favorire l’illuminazione naturale (daylighting). D’altro canto bisogna tener presente che un eccesso di luminosità dell’ambiente provoca sensazioni di discomfort, conosciute con il termine di abbagliamento.La tipologia di schermatura dipende dall’orientamento della superfi cie. Per un orientamento a sud è suffi ciente un aggetto (una superfi cie orizzontale sporgente al di sopra della superfi cie trasparente) in modo da permet-tere l’ingresso di radiazione solare in inverno, quando il sole è basso, e impedirlo quando il sole è alto, in estate.Negli orientamenti ad est e ad ovest, invece, l’unica possibilità di schermare è il ricorso a sistemi verticali, quali tende, frangisole o veneziane. Ovviamente la migliore soluzione è adottare schermature mobili che rimangano alzate in inverno e si abbassino in estate, quando il sole è basso all’orizzonte.

2. L’importanza della ventilazione nelle scuole

I soggetti più critici ai fi ni dell’esposizione all’ambiente interno sono i bambini, poiché hanno una maggior frequen-za respiratoria (40-60 volte al minuto un bambino, 16-20 volte al minuto un adulto); inoltre i bambini hanno un mi-nor controllo sull’ambiente rispetto agli adulti. I gruppi di bambini più facilmente sensibili agli effetti di esposizione ad ambiente interno sono i prematuri, bambini con patologie polmonari, bambini con patologie cardiache.Occorre pertanto garantire una buona qualità dell’ambiente indoor per le scuole, prevedendo obbligatoriamente il ricorso alla ventilazione degli ambienti e garantendo un ricambio di almeno 10 L/s per bambino.Recenti studi hanno dimostrato che la ventilazione infl uisce sulle capacità di apprendimento dei bambini, fi no ad aumentare la produttività in classe del 12% circa.

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ENERGIA

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4. Che cosa deve contenere il decreto attuativo o una legge regionale in materia di certifi cazione energetica?

Il decreto attuativo deve contenere gli intervalli dei valori di riferimento per la determinazione delle classi energeti-che, stabilire chi può effettuare la certifi cazione energetica e le modalità di accreditamento per il certifi catore.

1. Si possono certifi care oggi gli edifi ci?

Gli edifi ci in Sardegna non hanno l’obbligo della certifi cazione energetica, visto che il D.Lgs. n. 311/2006 ha delegato alle Regioni di legiferare in materia di certifi cazione, in attesa dei decreti attuativi sulla certifi cazione energetica. Fino a quando una Regione non emana una legge sulla certifi cazione energetica, in tale Regione non vi è l’obbligo della certifi cazione. Quando verranno emanati i decreti attuativi nazionali, le Regioni che non hanno emanato leggi in materia sono obbligate a seguire le linee guida nazionali.Tuttavia le singole amministrazioni possono, in attesa dell’obbligatorietà del certifi cato energetico, proporre una certifi cazione volontaria: in pratica chi vuole può esibire un certifi cato energetico. In tal caso occorre che l’am-ministrazione locale stabilisca le regole di certifi cazione.

LA CERTIFICAZIONE ENERGETICA DEGLI EDIFICILA CERTIFICAZIONE ENERGETICA DEGLI EDIFICI

2. A che punto siamo nel cammino verso la certifi cazione?

La certifi cazione emanata recentemente in alcune Regioni e Province autonome riguarda il consumo energetico per il riscaldamento e la produzione dell’acqua calda sanitaria. Alcuni esempi sono riportati nel manuale.Di fatto oggi esistono già gli strumenti per valutare i consumi di riscaldamento degli edifi ci; il calcolo infatti può essere fatto con la norma EN 13790, che costituisce l’attestato di qualifi cazione energetica. Questo attestato, defi nito nel D.Lgs. n. 311/2006, quantifi ca l’energia primaria consumata ai fi ni del riscaldamento all’interno del-l’edifi cio, sulla base di calcoli standardizzati, indica i valori limite di riferimento di legge e i suggerimenti in merito agli interventi più signifi cativi e convenienti per aumentare l’effi cienza dell’edifi cio. Ciò che manca oggi è la corre-lazione tra il consumo specifi co di un edifi cio in inverno e la corrispondente classe energetica.

3. A che cosa serve l’attestato di qualifi cazione energetica?

In questa fase transitoria il certifi cato energetico è sostituito dall’attestato di qualifi cazione energetica.Gli edifi ci nuovi e quelli esistenti sottoposti a ristrutturazione integrale con superfi cie in pianta superiore a 1000 m2 devono essere dotati di attestato di qualifi cazione energetica. Il D.Lgs. n. 311/2006 prevede dal 1 luglio 2007, per gli edifi ci con superfi cie netta calpestabile superiore a 1000 m2, la redazione obbligatoria dell’attestato di qualifi cazione energetica per il trasferimento dell’intero immobile. Dal 1 luglio 2008 l’attestato di qualifi ca-zione energetica è previsto per gli edifi ci con superfi cie inferiore a 1000 m2 per il trasferimento dell’intero immobile con l’esclusione delle singole unità immobiliari. Dal 1 luglio 2009 l’attestato di qualifi cazione energetica è previsto per il trasferimento delle singole unità immobiliari.Dal 1 gennaio 2007 l’attestato di qualifi cazione energetica è necessario sia per accedere agli incentivi ed alle agevolazioni, che per la stipula o il rinnovo di contratti relativi alla gestione degli impianti termici o di climatizza-zione degli edifi ci pubblici o dei soggetti pubblici.La conformità delle opere realizzate rispetto al progetto e alla relazione tecnica, nonché l’attestato di qualifi cazione energetica dell’edifi cio, devono essere asseverati dal direttore dei lavori e presentati al Comune contestualmente alla dichiarazione di fi ne lavori. Il Comune (anche avvalendosi di esperti o di organismi esterni) defi nisce le modalità di controllo, accertamenti e ispezioni in corso d’opera, entro cinque anni dalla data di fi ne lavori, volte a verifi care la conformità alla documentazione progettuale. I Comuni effettuano tali operazioni anche su richiesta del commit-tente, dell’acquirente o del conduttore dell’immobile. Il costo è posto a carico dei richiedenti.

5. Cosa manca oggi per la certifi cazione?

Modalità di identifi cazione dei valori di riferimento che separano le varie classi.

Oggi manca il riferimento tra il consumo di energia primaria specifi co per il riscaldamento e gli intervalli di riferimento per le classi energetiche. Questo do-vrebbe essere fatto in coerenza con il prCR 15217, dove è data indicazione del contenuto del certifi cato energetico. L’appendice C propone le differenti tipologie di certifi cato, come ad esempio con indicatore e classifi cazione (fi gura a sinistra) oppure senza classifi cazione (fi gura a destra). Il prEN 15203, inoltre, fornisce alcune vie per defi nire la prestazione energetica. Le norme europee utilizzano la parola “rating”, che indica la stima della prestazione ener-getica di un edifi cio basata sulla somma pesata dell’uso (calcolato o misurato) di più vettori energetici.

La competenza per identifi care i valori di riferimento che separano le diverse classi, spetterà al Ministero oppure alle Regioni. Tuttavia la norma europea suggerisce l’utilizzo di tre riferimenti, i cui valori sono differenziabili in base al clima ed alla destinazione d’uso (fi gura seguente). Essi sono:• Rr: il riferimento della legislazione energetica (“Energy Performance Regulation”), corrispondente al valore richie-sto dei nuovi edifi ci secondo la legislazione in vigore;• Rs: è il riferimento del parco edilizio (“Building Stock”), corrispondente al valore che dovrebbe essere raggiunto approssimativamente dal 50% del parco edilizio nell’anno in corso;• R0: è il riferimento al cosiddetto edifi cio a zero energia, corrispondente all’edifi cio che produce tutta l’energia che utilizza.La norma propone di collocare il riferimento Rr al confi ne tra le classi B e C, il riferimento Rs al confi ne tra le classi D ed E, il riferimento R0 al valore più alto della classe A.

Due schemi di certifi cato energetico (Fonte: prCR 15217, appendice C).

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6. Che cos’è la certifi cazione dell’ambiente interno?

La certifi cazione dell’ambiente indoor è predisposta da un professionista assieme ad un eventuale ente di certifi ca-zione pubblico o privato. Il criterio è di tipo prestazionale, relativo alla qualità dell’ambiente interno, dal punto di vista del comfort termico, comfort acustico, comfort luminoso, qualità dell’aria, effi cienza di ventilazione. La norma di riferimento è la EN 15251, di recente emanazione, che attribuisce 4 classi ambientali e defi nisce i criteri di valutazione della qualità indoor di un ambiente.

7. Che cosa devono fare le Pubbliche Amministrazioni sui propri immobili ai fi ni della certifi cazione energetica?

Il certifi cato energetico dell’edifi cio deve essere affi sso all’ingresso e in un luogo visibile nel caso di edifi ci pubblici di superfi cie calpestabile superiore a 1000 m2.Inoltre, la Direttiva Europea 2002/91/CE prevede che gli edifi ci pubblici, oltre ad esporre il certifi cato energetico in luogo visibile, dovrebbero esporre anche il certifi cato di qualità dell’ambiente interno.

8. Si sente parlare anche di certifi cazione ambientale. Di che cosa si tratta?

La certifi cazione ambientale prevede non soltanto la stima dei fabbisogni energetici di un edifi cio, ma conside-ra anche altri aspetti, quali materiali utilizzati, accessibilità dei mezzi di comunicazione, utilizzo delle acque pluviali, permeabilità del suolo esterno, riciclabilità dei materiali di costruzione, emissioni di sostanze inquinanti da parte dei materiali di fi nitura, ecc.La metodologia di analisi più interessante e completa risulta pubblicata dal Green Building Council (GBC), un network internazionale a cui afferiscono 25 Paesi di tutto il mondo. Tale metodo può essere adattato alle condizio-ni locali in cui viene applicato (clima, condizioni economiche, e culturali, priorità ambientali, ecc.), pur mantenendo la medesima terminologia e struttura di base. Ogni nazione all’interno del processo GBC è rappresentata da un gruppo nazionale il cui compito è adeguare il sistema alla realtà locale, correggendo i valori e i pesi dei criteri utilizzati nel sistema. Il metodo GBC è del resto stato progettato per rifl ettere le differenti priorità ambientali, le tecnologie e le peculiarità costruttive e culturali delle diverse nazioni.In Italia, per volontà delle Regioni italiane, è stata fondata nel 1996 l’associazione federale senza fi ni di lucro I.T.A.C.A. (Istituto per l’Innovazione e Trasparenza degli Appalti Pubblici e la Compatibilità Ambientale). Il gruppo di lavoro I.T.A.C.A. a conclusione di un’indagine preliminare, ha ritenuto di prendere come riferimento il metodo di valutazione proposto dal GBC. La base di partenza è il metodo di attribuzione dei punteggi: essi sono stati individuati, in analogia con il sistema GBC, all’interno di una scala di valori che va da -1 a +5 e dove lo zero rappresenta il valore del punteggio riferibile a quella che deve considerarsi come la pratica costruttiva corrente (benchmark), nel rispetto delle leggi o dei regolamenti vigenti.Occorre sottolineare comunque come il protocollo I.T.A.C.A. non rappresenta il GBC Italia, che è stato recentemen-te costituito e che porterà entro due anni all’introduzione in Italia del certifi cato LEED (Leadership in Energy and Environmental Design), basato su sei criteri di valutazione.

LA PRODUZIONE DI ENERGIA ELETTRICA E CALORE DA FONTI RINNOVABILILA PRODUZIONE DI ENERGIA ELETTRICA E CALORE DA FONTI RINNOVABILI

1. È obbligatorio l’utilizzo delle energie rinnovabili negli edifi ci?

Il decreto legislativo n. 311/2006 sancisce che, nel caso di edifi ci di nuova costruzione o in occasione di nuova installazione di impianti termici o di sostituzione di quelli esistenti, l’impianto di produzione di energia termica sia progettato in modo da coprire almeno il 50% del fabbisogno annuo di energia primaria richiesta per la produzione di acqua calda sanitaria con l’utilizzo delle fonti rinnovabili. Tale limite è ridotto al 20% per gli edifi ci situati nei centri storici. Le modalità applicative devono tuttavia ancora essere defi nite, per cui in attesa del decreto attuativo tale obbligo nella pratica non è effettivo.

2. Esiste una taglia ottimale per i pannelli solari termici?

Non esiste una regola fi ssa, poiché dipende dalla particolare applicazione e quindi dalla quantità di acqua calda sanitaria che viene consumata. In ambito residenziale, nel caso di soluzioni con integrazione nel tetto, occorre circa 1 m2 di superfi cie captante per ogni persona. Come regola generale per ogni metro quadrato di superfi cie captante lorda è necessario prevedere circa 70 - 100 L di accumulo termico in un serbatoio con idonea coibentazione. Generalmente l’esposizione migliore è a sud con un’inclinazione di circa 30°, come si vede nella fi gura seguente, dove è riportato il fattore di trasposizione (FT) in funzione dell’azimut della superfi cie. Il fattore di trasposizione esprime il rapporto tra l’energia captata dalla superfi cie di area unitaria in una certa posizione rispetto a quella captata da una superfi cie di area unitaria orizzontale.Occorre sempre valutare comunque le possibilità di integrazione architettonica; può essere preferibile inserire i collettori in falda, piuttosto che inclinarli in modo ottimale, utilizzando eventualmente anche falde orientate a sud-ovest o sud-est.Molto interessanti risultano le applicazioni del solare termico nell’ambito di edifi ci con attività sportive (campi da calcio, palestre, piscine) o anche in edifi ci adibiti ad uso turistico. Un esempio è riportato nel Manuale.

Fattore di trasposizione in funzione dell’azimut della superfi cie (0°=sud, -90°=est, 90°=ovest) e dell’angolo di inclinazione della stessa (0°=orizzontale, 90°=verticale).

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Nel caso di impianti il cui soggetto responsabile è una scuola pubblica o una struttura sanitaria pubblica, e per impianti i cui soggetti responsabili siano enti locali con popolazione residente inferiore a 5000 abitanti, la tariffa può essere incrementata del 5%. La Legge Finanziaria 2008 ha inoltre stabilito che, per impianti di cui siano responsabili gli enti locali, si applicano sempre le tariffe più alte, senza distinzione di integrazione architettonica. Inoltre, se il soggetto responsabile dell’edifi cio sia una scuola pubblica o una struttura sanitaria pubblica, le tariffe incentivanti sono cumulabili con incentivi pubblici in conto capitale o in conto interessi anche se eccedenti il 20% del costo dell’investimento. Grazie all’incentivo in Conto Energia, installare un impianto fotovoltaico è econo-micamente conveniente, nel senso che il tempo di ritorno dell’investimento è sensibilmente più basso rispetto alla vita dell’impianto. Tale tempo di ritorno economico è tuttavia molto variabile: dipende dal tipo di impianto oltre che dagli eventuali incentivi di cui si è usufruito all’atto dell’investimento. Maggiori informazioni sono riportate nella trattazione svolta nel Manuale.

6. Si può consigliare l’utilizzo delle biomasse nel riscaldamento degli edifi ci?

In generale è vero che lo sfruttamento delle biomasse non produce emissioni di CO2, ma occorre prestare attenzio-ne che la loro combustione può provocare l’immissione in atmosfera di altri inquinanti. Può essere necessario ad esempio prevedere sistemi di fi ltrazione ed abbattimento dei fumi, soprattutto quando si brucia legno derivante da scarti.Generalmente sono quattro le tipologie di biomassa utilizzate nel riscaldamento degli edifi ci: i ciocchi di legno, i pellets, i bricchetti o il legno cippato.Il pellet è ottenuto con la polvere derivata dalla sfi bratura dei residui legnosi, la quale viene pressata da apposite macchine in cilindretti di diverse lunghezze e spessori (1,5-2 cm di lunghezza, 6-8 mm di diametro). Presenta bassa umidità (<12 %), elevata densità e regolarità del materiale. Il presupposto per l’utilizzo di questo prodotto è l’im-piego di legname vergine, non trattato cioè con sostanze corrosive, colle o vernici. A tal fi ne è importante verifi care la qualità dei pellets utilizzati.I bricchetti sono dei tronchetti pressati, ottenuti con residui e polveri più grossolane, in genere di 30 cm di lun-ghezza e 7-8 cm di diametro. L’utilizzo è assimilabile a quello del legno in ciocchi.Il cippato è costituito da pezzettini di legno ricavati dagli scarti di segherie. Requisito fondamentale è che derivi da piante prive di sostanze inquinanti quali vernici, ecc. È un ottimo combustibile, ma richiede molta attenzione all’abbattimento di polvere nei fumi di combustione, cosa che rende questo combustibile interessante per applica-zioni in impianti di media e grande taglia.

3. Esiste una tecnologia ottimale per i pannelli solari fotovoltaici?

I moduli fotovoltaici commercialmente più diffusi sono costituiti da celle in silicio cristallino (monocristallino e policristallino) ma si trovano anche moduli in silicio amorfo.I moduli in silicio monocristallino presentano la maggiore effi cienza, tra il 14 e il 16%. I moduli in silicio policristal-lino invece hanno un’effi cienza più bassa, intorno al 11-13%. Infi ne il modulo in silicio amorfo è meno costoso rispetto a quello in silicio cristallino ma presenta un rendimento sensibilmente inferiore, intorno a 6-8%. Inoltre, a differenza del silicio cristallino, il rendimento del modulo in silicio amorfo diminuisce del 10-20% nelle prime ore di esposizione alla luce, ma poi presenta una maggiore stabilità nel tempo. Il silicio amorfo presenta caratteristiche di fl essibilità per quanto riguarda la forma che si può dare alle celle.Esistono in commercio anche celle che nascono come combinazione delle celle in silicio cristallino e quelle in sili-cio amorfo: esse sono chiamate celle a eterogiunzione HIT. Queste celle sono costituite da una parte centrale formata da silicio monocristallino, rivestito da entrambi i lati con un sottile strato di silicio amorfo. I moduli HIT hanno effi cienza del 16-17%, una maggiore stabilità nel tempo dell’effi cienza ed un effetto della temperatura più contenuto rispetto al comportamento delle tradizionali celle in silicio cristallino.I diversi moduli hanno anche prezzi differenti. La scelta del tipo di modulo dipende dalla applicazione. Se ad esempio si vuole sfruttare al massimo la superfi cie a disposizione per l’installazione dei moduli, converrà installare moduli ad alto rendimento, i quali però presentano anche prezzi più alti.

4. Come conviene installare i pannelli fotovoltaici?

I moduli devono essere installati, se possibile, verso sud. L’angolo di inclinazione dei pannelli rispetto alla superfi -cie orizzontale deve essere scelto in modo che la radiazione solare arrivi perpendicolarmente alla superfi cie del pannello: questa condizione massimizza la raccolta di energia solare. Un impianto fotovoltaico collegato alla rete funziona senza soste; esso deve pertanto massimizzare la produzione annua di energia. Questa condizione può essere realizzata installando i pannelli con un angolo di inclinazione di circa 20° - 30° rispetto alla super-fi cie orizzontale. La scelta della disposizione dei moduli fotovoltaici gioca un ruolo essenziale sulla producibilità dell’impianto. Se si installano i moduli fotovoltaici in un edifi cio, laddove è possibile conviene optare per un im-pianto integrato all’edifi cio. In questo caso i pannelli fotovoltaici vanno a sostituire una parte della copertura o altri elementi dell’edifi cio. L’integrazione architettonica degli impianti è elemento importante anche ai fi ni dell’in-centivazione in conto energia. Informazioni dettagliate sull’argomento sono reperibili nella guida del GSE (“Guida agli interventi validi ai fi ni del riconoscimento dell’integrazione architettonica del fotovoltaico”).Nel tentativo di perseguire l’integrazione architettonica però non si deve perdere di vista il fatto che esistono un angolo di azimut e una inclinazione ottimale per i moduli e che allontanarsi troppo da queste condizioni può com-promettere in maniera importante la producibilità dell’impianto.

5. Conviene economicamente installare un impianto fotovoltaico?

In Italia all’energia elettrica immessa in rete e prodotta da sistemi fotovoltaici viene riconosciuto un valore eco-nomico maggiore rispetto all’energia elettrica prodotta dalle centrali convenzionali. L’incentivo in Conto Energia prevede infatti un premio, detto tariffa incentivante, per ogni chilowattora elettrico prodotto tramite impianto fotovoltaico. Il ricavo derivante dal Conto Energia costituisce la fonte di ricavo principale per il soggetto titolare dell’impianto fotovoltaico, ma un’ulteriore fonte di ricavo è costituita dalla valorizzazione dell’energia elettrica prodotta dall’impianto, che può essere poi autoconsumata oppure venduta al mercato.La tariffa incentivante dipende dalla potenza nominale dell’impianto e dalla tipologia dell’impianto fotovoltaico. La tariffa incentivante è maggiore per impianti più piccoli e con integrazione architettonica.

7. Dove può essere installato un impianto eolico?

L’energia eolica rappresenta sicuramente una opzione di interesse in una Regione ad alta ventosità come la Sarde-gna. I moderni impianti eolici presentano infatti un tempo di ritorno energetico tra i più bassi tra i sistemi di produzione di energia elettrica; ciò signifi ca che un impianto eolico di media potenza può produrre in pochi mesi l’energia che è stata spesa per la sua realizzazione. Gli impianti eolici sono anche convenienti da un punto di vista economico. Il costo di generazione di un chilowattora elettrico prodotto da impianto eolico è più basso per impianti di media-grande taglia, i quali d’altro canto presentano un maggiore impatto ambientale.La Regione Sardegna ha di recente emanato uno studio per l’individuazione delle aree dove ubicare gli impianti eolici. Tale studio (Studio per l’individuazione delle aree in cui ubicare gli impianti eolici - Art. 112 delle Norme tecniche di attuazione del Piano Paesaggistico Regionale - art 18, comma 1 della L.R. 29 maggio 2007 n. 2) stabilisce che le aree idonee ai fi ni della realizzazione di fattorie eoliche sono le grandi aree industriali del territorio regionale e le aree rela-tive ai piani per gli insediamenti produttivi di grande estensione. Per quanto riguarda gli impianti realizzati da parte di Enti Locali, si prevedono altre aree idonee per gli impianti di piccola potenza, non superiore a 100 kW, con al massimo tre aerogeneratori. Per maggiori informazioni si rimanda allo studio sopra citato.

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4. Si possono costruire centri turistici sostenibili?

La sostenibilità in edifi ci adibiti ad attività turistica rappresenta sicuramente una sfi da interessante. Il periodo di maggiore affl usso di turisti è l’estate, pertanto il risparmio energetico può essere conseguito con alcune strategie di non diffi cile implementazione. Peraltro non bisogna dimenticare che un centro turistico a basso impatto ambientale può rappresentare un’attrattiva interessante per il turismo.Tutto deve partire da una buona progettazione dell’edifi cio, per quanto concerne la circolazione dell’aria, per poter sfruttare il raffrescamento passivo dell’edifi cio mediante ventilazione naturale. Molta cura deve essere posta agli elementi di schermatura, così come all’ambiente che circonda l’edifi cio, mediante l’inserimento di vegetazione, la cui funzione è di attenuare il clima esterno. In questo modo è possibile evitare il ricorso alla climatizzazione degli ambienti. Inoltre occorre prevedere sistemi di illuminazione a basso consumo. Infi ne occorre utilizzare pannelli solari termici ed eventualmente fotovoltaici.

1. Dove possono essere applicate le pompe di calore?

Le pompe di calore possono essere applicate in tutti gli edifi ci sia per il riscaldamento che per l’acqua calda sanitaria, specialmente in sostituzione degli scaldabagni elettrici a resistenza.Le pompe di calore più effi cienti sono quelle accoppiate al terreno (denominate anche geotermiche), poiché esso è mediamente a temperatura più alta rispetto all’aria esterna in inverno. Le pompe di calore geotermiche però comportano costi aggiuntivi dovuti all’installazione delle sonde. Nella zona climatica D una pompa di calore ad alta effi cienza ad aria può comunque garantire una riduzione di consumo di energia primaria, e quindi minori emissioni di CO2, anche rispetto al riscaldamento con sistemi a com-bustione. Condizione necessaria è un impianto a bassa differenza di temperatura per il riscaldamento, in modo che la temperatura di produzione dell’acqua di riscaldamento tramite pompa di calore sia sempre inferiore a 40°C.Maggiori informazioni circa il funzionamento delle pompe di calore sono riportate nel Manuale.

SISTEMI EFFICIENTI DI PRODUZIONE E DISTRIBUZIONE DELL’ENERGIA NEGLI EDIFICI

2. Terminali di impianto a bassa differenza di temperatura

I terminali di impianto più idonei ai fi ni di un uso razionale dell’energia e di un utilizzo sempre più esteso di fonti di energia rinnovabile sono quelli a bassa differenza di temperatura (rispetto alla temperatura ambiente), ossia a bassa temperatura in riscaldamento e alta temperatura in raffrescamento. Questi impianti sono idonei per l’accop-piamento a caldaie a condensazione o pompe di calore, vista la bassa temperatura di esercizio del sistema. In raffrescamento, l’utilizzo di fl uido termovettore ad alta temperatura (12°C) rispetto agli usuali 5°C consen-te il miglioramento del COP della macchina frigorifera, nel caso sia necessario il raffrescamento dell’edifi cio.Terminali di impianto di questo tipo sono i sistemi radianti, i ventilconvettori e le travi attive. Nel caso sia necessario il trattamento dell’aria, occorre prevedere due macchine per la produzione del freddo (chiller), una a temperatura più bassa, per il trattamento dell’aria, l’altra per l’impianto ad alta temperatura. L’utilizzo di una sola macchina per la produzione di freddo a temperatura convenzionale, anche se accoppiata ad impianti di distribu-zione innovativi ad alta temperatura, non garantisce risparmi energetici, dato che il COP peggiora all’abbassarsi della temperatura minima nella macchina.

3. Ci sono vincoli all’applicazione della geotermia?

I possibili vincoli nell’uso del terreno come sorgente termica dipendono fondamentalmente dal tipo di circuito: se il circuito di scambio di calore è aperto (utilizzo di acqua di falda) o chiuso con sonde accoppiate al terreno. Se si utilizza l’acqua di falda l’autorizzazione a pescare l’acqua dovrebbe essere data dal Genio Civile. Per la reimmissio-ne eventuale dell’acqua in falda in genere sono le province che danno il consenso e comunque occorre un’analisi preliminare per verifi care di non turbare l’equilibrio termico della falda o in generale del sottosuolo.Un’applicazione interessante può essere costituita dall’utilizzo dell’acqua di mare per l’attivazione di sistemi di distribuzione dell’energia termica e frigorifera. Nel Nord Europa infatti l’acqua del mare viene utilizzata in inverno per il teleriscaldamento delle città, mentre in estate l’utilizzo diretto dell’acqua di mare permette il raffrescamento degli edifi ci.

1. Illuminazione in edifi ci residenziali: quali azioni possibili?

In nome del contenimento dei consumi energetici, sarebbe consigliabile sostituire le lampade ad incandescenza tradizionali con le lampade a fl uorescenza, aventi una più lunga durata (dalle 1000-2000 ore alle 5000-8000 ore) e maggiore effi cienza (dai 13 lm/W ai 50-60 lm/W). Per il futuro si può prevedere un utilizzo sempre maggiore della tecnologia a LED, perché è caratterizzata da alta effi cienza (i LED emettono solo nel visibile) e da lunga dura-ta. Disporre di sistemi di illuminazione effi ciente si traduce anche in una minor dispersione termica e quindi in una ri-duzione dei costi di raffrescamento estivo. Occorre inoltre ottimizzare l’illuminazione naturale, mediante sistemi di automazione: ciò determina da un lato una riduzione dei consumi e dall’altro una migliore qualità dell’ambiente interno. Il fattore che valuta l’apporto di luce naturale è denominato fattore di luce diurna (FLD), che indica il rapporto, in percentuale, tra l’illuminamento di un punto interno e quello misurato in un punto esterno, schermato dalla radiazione diretta. Per incrementare questo fattore è necessario aumentare la superfi cie delle fi nestre, il fattore di trasmissione visiva del vetro e i coeffi cienti di rifl essione delle pareti opache. È importante non solo l’orientazione delle aperture, ma anche la loro forma: fi nestre verticali sono preferibili a quelle orizzontali, perché apportano un contributo di luce diurna maggiore.

L’ILLUMINAZIONEL’ILLUMINAZIONE

2. Illuminazione in uffi ci: quali azioni possibili?

I requisiti illuminotecnici per i posti di lavoro interni, relativamente alle esigenze di comfort visivo e di prestazione visiva sono specifi cati nella norma UNI EN 12464-1 del 2004. L’obiettivo da perseguire nel progetto illuminotecnico all’interno degli uffi ci, oltre a garantire la sicurezza, è quello di aumentare la produttività del lavoratore, consentendo un corretto e confortevole svolgimento dei compiti visivi anche in circostanze diffi cili e di lunga durata. Per incrementare l’uniformità di illuminamento interno, occorre agire sui coeffi cienti di rifl essione delle pareti opache: è consigliabile prevedere pareti abbastanza chiare (fattore di rifl essione compreso tra 0.3 e 0.8), pavimenti più scuri (fattore di rifl essione compreso tra 0.1 e 0.5) e soffi tti chiari (fattore di rifl essione compreso tra 0.6 e 0.9).

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Il vetro curvo, invece, consente da un lato di risparmiare energia e, dall’altro, di aumentare l’interdistanza degli apparecchi e quindi di ridurre i costi iniziali di installazione. Dal momento che la maggior parte degli impianti di illuminazione è schermata dagli edifi ci e, in seguito alle diverse diffusioni, la distribuzione dell’emissione luminosa è di tipo lambertiano, la luminanza artifi ciale del cielo è dovuta in gran parte al fl usso luminoso installato, più che all’emissione diretta degli apparecchi stessi. Particolare attenzione si deve quindi rivolgere alla luminanza del manto stradale e delle facciate degli edifi ci e quindi ai rispettivi coeffi cienti di rifl essione. La pubblicazione CIE 126, in fase di revisione, fornirà delle utili prescrizioni per il contenimento della luminanza artifi ciale del cielo.

L’ottica degli apparecchi riveste un ruolo fondamentale: la qualità di un apparecchio si misura anche in base alla sua capacità di direzionare la luce nel punto desiderato, contrastando però l’abbagliamento.Dal momento che le sorgenti più utilizzate negli ambienti di lavoro sono quelle a fl uorescenza, per impedire lo sfar-fallamento, causa di cefalee, è suffi ciente alimentarle ad alta frequenza. A tal proposito è utile considerare la Diret-tiva 2000/55/EC sui Requisiti di Effi cienza Energetica degli Alimentatori per lampade a fl uorescenza.Per quanto riguarda i requisiti di illuminazione, in termini di illuminamento medio mantenuto, UGR (abbagliamen-to) e indice di resa cromatica, relativi ad alcune tipologie di ambienti lavorativi, compiti e attività svolte, si rimanda alla norma UNI EN 12464-1, la quale fornisce anche indicazioni per l’illuminazione di postazioni di lavoro munite di videoterminali. Per ridurre i consumi elettrici per l’illuminazione artifi ciale, è consigliabile, oltre ad utilizzare sorgenti ad alta effi -cienza e a lunga durata, ottimizzare l’illuminazione naturale e prevedere sistemi di automazione (accen-sione e/o spegnimento della luce mediante sensori di presenza, dimmeraggio del fl usso in base all’illuminamento esterno, ecc.). È importante, però, ricordare che, in un progetto illuminotecnico, il perseguimento del risparmio energetico non deve anteporsi a quello del comfort degli utenti. Infi ne, un sistema di illuminazione dinamica, che cambi nell’arco della giornata temperatura di colore e quantità di fl usso emesso, infl uisce positivamente sulla qua-lità ambientale e sul benessere del lavoratore, conferendo un valore aggiunto all’edifi cio.La recente norma europea, la EN 15193, recepita in Italia nel marzo 2008, permette di determinare quanta energia richiedono gli impianti di illuminazione degli interni. Tale norma specifi ca una metodologia di calcolo, applicabile agli edifi ci di nuova costruzione o in fase di ristrutturazione, defi nendo un indicatore numerico, chiamato LENI (Lighting Energy Certifi cation Number), che misura l’energia elettrica richiesta in kWh/m2 annui, da utilizzare per la certifi cazione energetica.

3. Illuminazione nelle scuole: quali azioni possibili?

Per quanto concerne l’illuminazione negli edifi ci scolastici, vige la norma UNI 10840 del 2000, revisionata nel 2007, che specifi ca i requisiti illuminotecnici per l’illuminazione artifi ciale, in termini di illuminamento medio man-tenuto, UGR (per l’abbagliamento) e indice di resa cromatica, in base alla tipologia di interno, compito o attività svolta. Particolare attenzione è rivolta all’illuminazione naturale, per la quale viene illustrata la metodologia di calcolo del fattore medio di luce diurna, defi nito come il rapporto tra l’illuminamento medio dell’ambiente e quello esterno, misurato su una superfi cie orizzontale, dovuto alla sola componente diffusa. Per evitare fenomeni di abbagliamento dovuti ad un eccessivo contrasto di luminanza tra superfi ci vetrate e su-perfi ci opache, è necessario valutare con attenzione le dimensioni e la posizione delle fi nestre, la rifl essione delle pareti opache e prevedere sistemi di schermatura solare, possibilmente regolabili. Ai fi ni di assicurare una buona percezione della lavagna, occorre evitare che su di essa si manifesti ogni tipo di rifl essione. Qualora siano presenti dispositivi, quali tende, pellicole per vetri, ecc. che possano alterare il colore dell’ambiente, è richiesto il rilevamento della temperatura di colore, così da ostacolare qualsiasi tipo di affaticamento psico-fi sico.

4. Illuminazione pubblica: quali obiettivi?

Nella progettazione dell’illuminazione pubblica, nella maggior parte dei casi in ambito stradale, gli obiettivi da perseguire sono la sicurezza, il risparmio energetico e la compatibilità ambientale. Risparmiare energia si-gnifi ca anche contribuire limitatamente all’accrescimento della luminanza del cielo e quindi ridurre l’inquinamento luminoso. A tal proposito, la norma UNI 10819 del 1999 prescrive i requisiti che devono avere gli impianti di illu-minazione esterna ai fi ni di limitare la dispersione del fl usso luminoso verso l’alto. Nonostante si pensi che l’utilizzo del vetro piano consenta di ridurre l’inquinamento luminoso, si è visto che gli apparecchi con vetro piano emettono una maggiore quantità di fl usso verso l’alto.

5. Illuminazione pubblica: quali azioni possibili?

In ambito pubblico, è consigliabile sostituire le tipiche lampade al mercurio, ineffi cienti e altamente inquinanti, con le lampade al sodio o a ioduri metallici, sorgenti di dimensioni minori e quindi più facilmente direzionabili, più effi cienti e con più lunga durata, riducendo conseguentemente i costi di manutenzione.Sorgenti che emettono luce bianca, con alta resa cromatica, come i LED o le lampade ad alogenuri, oltre a pre-starsi per installazioni di prestigio, consentono di vedere meglio gli ostacoli in visione periferica (tipica notturna), pertanto si possono ridurre i livelli di illuminamento richiesti, riducendo quindi le potenze installate. I LED, inoltre, non rifl ettono la luce nella parte posteriore e permettono di direzionare la luce dove si desidera, diminuendo così i consumi. Ad esempio, installare sorgenti a LED nelle gallerie, dove i costi di manutenzione sono molto elevati (sono richiesti macchinari particolari, è necessario deviare il traffi co, che può portare a possibili incidenti, ecc.) riduce notevolmente i consumi, perché, seppure il loro costo sia ancora elevato, hanno lunga durata, quindi comportano poca manutenzione.La possibilità di prevedere sistemi di telecontrollo per monitorare l’impianto, controllandone i consumi, ottimiz-zando le sostituzioni e gli interventi di manutenzione, impostando la regolamentazione del fl usso luminoso in base ad esempio al traffi co o all’orario, sarebbe vantaggioso in termini di risparmio energetico. La nuova tecnologia in ambito pubblico si sta muovendo verso l’illuminazione dinamica, soprattutto per quanto riguarda viali pedonali e piste ciclabili: da una lato le sorgenti a LED, con accensione e fl usso istantaneo, dall’altro sensori di movimento che, rilevando il passaggio delle persone, azionano l’impianto quando è necessario e suc-cessivamente lo spengono. Certamente la nuova tecnologia richiede un investimento iniziale maggiore rispetto a quella tradizionale, ma occorre valutarlo nel lungo periodo, perché si tratta anche di un investimento per la salvaguardia dell’ambiente.

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Rete ecologicaLe aree protette ...............................................................................................................

La rete ecologica ...............................................................................................................

La biodiversità ...................................................................................................................

Il paesaggio .......................................................................................................................

Risorsa idricaLa raccolta delle acque di prima pioggia ............................................................................

L’utilizzo di fonti idriche alternative in ambito urbano ........................................................

Gli interventi per la riduzione dell’inquinamento diffuso ....................................................

La Fitodepurazione e le aree umide ..................................................................................

Difesa del suoloLa manutenzione della rete idrografica minore ...................................................................

Individuazione di situazioni di pericolosità idraulica nella rete idrografica minore ...............

La difesa idraulica nelle trasformazioni del territorio ..........................................................

Interventi di sistemazione idraulico-forestale .....................................................................

Rifi utiServizi e prodotti verdi ......................................................................................................

L’informatizzazione dell’ecocentro .....................................................................................

Ottimizzazione delle modalità di raccolta differenziata ......................................................

La gestione dei rifiuti urbani in un contesto turistico ..........................................................

EnergiaEnergetica degli edifici ......................................................................................................

La ventilazione degli edifici ...............................................................................................

La certificazione energetica degli edifici ............................................................................

La produzione di energia elettrica e calore da fonti rinnovabili ..........................................

Sistemi efficienti di produzione e distribuzione dell’energia negli edifici ............................

L’illuminazione ..................................................................................................................

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1. Valorizzare i 92 SIC presenti in Sardegna.La Direttiva n. 92/43/CEE del Consiglio del 21 maggio 1992, comunemente denominata Direttiva “Ha-bitat”, nell’Allegato III riporta che ogni Stato membro deve redigere un elenco di siti che ospitano ha-bitat naturali e seminaturali e specie animali e vegetali selvatiche. In base a tali elenchi e d’accordo con gli Stati membri, la Commissione adotta un elenco di Siti d’Importanza Comunitaria (SIC). In Sardegna sono stati defi niti 92 SIC.

2. Valorizzare le 37 ZPS presenti in Sardegna.Un’altra importante Direttiva è la Direttiva “Uccelli” 79/409/CEE, concernente la conservazione di tutte le specie di uccelli selvatici. Questa prevede una serie di azioni per la conservazione di numerose specie di uccelli, indicate negli allegati e l’individuazione da parte degli Stati membri dell’Unione di aree da desti-narsi alla loro conservazione, le cosiddette Zone di Protezione Speciale (ZPS). In Sardegna sono presenti 37 ZPS.

3. Attuare tutte le strategie per ridurre la perdita di biodiversità: Countdown 2010.Nel 2002 si è tenuto a Johannesburg il secondo Summit della Terra in cui i governanti del mondo si sono impegnati a ridurre signifi cativamente la perdita di biodiversità entro il 2010; da qui nasce la dicitura Countdown 2010, Conto alla rovescia 2010 (CD2010).I soggetti che possono essere coinvolti nell’iniziativa sono: governi, ONG, il settore privato ed i cittadini. Anche l’Ente Foresta della Sardegna si è assunto diversi impegni nell’ambito dell’iniziativa del Countdown 2010.

4. Sfruttare le opportunità di Agenda 21.Dalla Conferenza sull’Ambiente e lo Sviluppo delle Nazioni Unite tenutasi a Rio de Janeiro nel giugno del 1992, è nata l’idea di Agenda 21.Agenda 21 è un piano d’azione per lo sviluppo sostenibile, da realizzare su scala globale, nazionale e locale con il coinvolgimento più ampio possibile di tutti i portatori di interesse (stakeholders) di un deter-minato territorio. Essa delinea strategie da perseguire da governi e amministrazioni in ogni area in cui la presenza umana ha impatti sull’ambiente. La cifra 21 che fa da attributo alla parola Agenda si riferisce al 21° secolo, in quanto temi prioritari di questo programma sono le emergenze climatico-ambientali e socio-economiche che l’inizio del Terzo Millennio pone inderogabilmente dinnanzi all’intera umanità.

Livello dipianifi cazione

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Rete ecologicaLivello di pianificazione ......................................................................................................

Livello gestionale ...............................................................................................................

Livello operativo ................................................................................................................

Risorsa idricaLivello di pianificazione ......................................................................................................

Livello gestionale ...............................................................................................................

Livello operativo ................................................................................................................

Difesa del suoloLivello di pianificazione ......................................................................................................

Livello gestionale ...............................................................................................................

Livello operativo ................................................................................................................

Rifi utiLivello di pianificazione ......................................................................................................

Livello gestionale ...............................................................................................................

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EnergiaLivello di pianificazione ......................................................................................................

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5. Promuovere le attività certifi cate dal marchio di qualità Ecolabel.L’Ecolabel (regolamento CE n.1980/2000 del parlamento e del consiglio europeo) è un marchio europeo di certifi cazione ambientale previsto per 23 gruppi di prodotti e servizi, fra cui sono compresi i servizi di recettività turistica e di campeggio. In una Regione a forte vocazione turistica come la Sardegna, la promozione di attività certifi cate può divenire un fi ore all’occhiello per le amministrazioni e le imprese del settore e un elemento di traino per il consolidamento dei fl ussi di visitatori e per il soddisfacimento delle loro aspettative.

6. Valutare scrupolosamente le VINCA nell’approvazione di piani e progetti.Secondo la direttiva 92/43/CEE, qualsiasi piano o progetto non direttamente connesso e necessario alla gestione di un SIC o di una ZPS ma che possa avere incidenze signifi cative su tale sito, singolarmente o congiuntamente ad altri piani e progetti, forma oggetto di una opportuna valutazione di incidenza ambientale, tenendo conto degli obiettivi di conservazione. Alla luce delle conclusioni della valutazione dell’incidenza sul sito, le autorità competenti danno il loro accordo su tale piano o progetto soltanto dopo aver avuto la certezza che esso non pregiudicherà l’integrità del sito.

7. Strumenti di valutazione dei progetti: VIA (Valutazione di Impatto Ambientale).La VIA (Direttiva 85/337/CEE) nasce come strumento per individuare, descrivere e valutare gli effetti diretti ed indiretti di un progetto sulla salute umana e su alcune componenti ambientali quali la fauna, la fl ora, il suolo, le acque, l’aria, il clima, il paesaggio e il patrimonio culturale. I progetti che possono avere un effetto rilevante sull’ambiente, inteso come ambiente naturale e ambiente antropizzato, de-vono essere sottoposti a valutazione di impatto ambientale. La VIA inoltre è concepita come uno stru-mento preventivo, che abbia un’impostazione ex-ante, cioè che sappia intervenire a monte di problemi potenzialmente indotti dalla realizzazione e dalla presenza di una particolare opera. Questa procedura prevede che esista una partecipazione da parte di tutti i soggetti coinvolti, compresi i privati cittadini, all’intero processo decisionale, poiché la partecipazione permette di fornire un’informazione più com-pleta a chi deve decidere e, contemporaneamente, consente ai cittadini di esercitare un controllo sulla democraticità della decisione.

8. Strumenti di valutazione dei progetti: VAS (Valutazione Ambientale Strategica).La valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull’ambiente naturale è stata introdotta nella Comunità europea dalla Direttiva 2001/42/CE, detta Direttiva VAS. La valutazione ambientale strategica si applica ai piani e ai programmi che sono elaborati per la valu-tazione e gestione della qualità dell’ambiente, per i settori agricolo, forestale, pesca, energetico, indu-striale, trasporti, gestione dei rifi uti e delle acque, telecomunicazioni, turismo, pianifi cazione territoriale o destinazione dei suoli, e che allo stesso tempo defi niscono il quadro di riferimento per l’approvazione, l’autorizzazione, l’area di localizzazione o comunque la realizzazione di opere o interventi i cui progetti sono sottoposti a VIA.

1. Sostenere il ruolo del volontariato.Il volontariato è una risorsa spesso sottovalutata che permette notevoli risparmi economici ottenendo comunque ottimi risultati. Le associazioni di volontariato sono di solito molto attive nel settore ambien-tale. Possono diventare una risorsa veramente preziosa purché il personale abbia una buona formazio-ne, esperienza in campo e vi sia un adeguato coordinamento. Coinvolgendo questa categoria inoltre si aumenta il contatto con i cittadini favorendo la fi ducia reciproca e lo scambio di informazioni.

2. Favorire il movimento della fauna selvatica.Il movimento è fondamentale per la fauna selvatica che compie tragitti più o meno lunghi per mangiare, per accoppiarsi, per trovare luoghi di rifugio, ecc. Spesso questi percorsi compiuti dagli animali si incro-ciano con infrastrutture umane che per loro sono barriere invalicabili (autostrade, ferrovie, ecc.). Per risolvere questo problema si possono costruire sottopassi e sovrappassi, oppure ricorrere alla mitigazione di reti elettriche, all’installazione di catarifrangenti e vegetazione lungo le strade, ecc.

3. Controllare l’immissione delle specie esotiche nel territorio.Per specie esotica o aliena si intende una specie che originariamente non era presente in un territorio e che per vari motivi adesso invece troviamo. Purtroppo spesso non si è conoscenza di quali gravi conseguenze possa avere l’introduzione sconsiderata di animali o piante aliene; ogni ecosistema è frutto di millenni di evoluzione ed adattamenti da parte di fl ora e fauna che in un attimo possono essere distrutti da una azione umana poco attenta. Un caso tipico della Sardegna è quello della trota macrostigma, pesce tipico sardo che a causa dell’immissione di altri tipi di trote rischia oggi l’estinzione.

4. Valorizzare i collegamenti con le Università.La presenza delle Università rappresenta una risorsa da utilizzare al meglio nelle attività di conoscenza, analisi e valorizzazione delle risorse ambientali. La collaborazione fra istituzioni universitarie e Ammini-strazioni Pubbliche può svilupparsi a vari livelli: collaborazione in progetti di ricerca, organizzazione di stage e tirocini pratico-applicativi, svolgimento di tesi di laurea, programmi di dottorato di ricerca.

5. Promuovere il turismo sostenibile.La caratteristica fondamentale del turismo sostenibile è la gestione locale dei servizi e la partecipazione attiva delle comunità locali, con conseguenti effetti benefi ci anche sul tessuto socio-economico delle località visitate. La Sardegna investe importanti risorse nel rilancio e nella promozione dei territori interni ricchi di risorse ambientali e culturali, valorizzando le aree appartenenti alla Rete Ecologica Regionale e quelle gestite dall’Ente Foreste.

Livellogestionale

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6. Valorizzare l’agricoltura multifunzionale.Il settore agricolo, oltre a produrre cibi e materie prime, si trova nella privilegiata posizione per soddisfa-re la crescente domanda da parte dei cittadini e dei turisti in tema di qualità ambientale, di occasioni di fruizione, di svago e di crescita culturale. Sono quindi da promuovere le iniziative che portano i cittadini in contatto col mondo rurale, come l’organizzazione di feste popolari, la creazione di percorsi enoga-stronomici, le fattorie didattiche e così via.

7. Creare percorsi enogastronomici.In un mondo che si dirige sempre più verso l’omologazione, la specifi cità di una produzione locale di-venta ricchezza culturale ma anche economica, senza scordare i vantaggi per la salute di chi consuma produzioni di qualità. Il prodotto tipico è testimone della storia di un territorio, ed è in grado di raccontare usi e tradizioni di un paese e rappresentarne l’identità, attraverso la sua storia e le tecniche di produzione. È indispensabile quindi favorire lo sviluppo di micro-fi liere territoriali e creare percorsi che le sappiano far conoscere al cittadino.

8. Orientare un fruizione corretta del bosco e della macchia.Il bosco e la macchia sono formazioni forestali in cui è racchiuso il più alto indice di biodiversità, sia di ecosistemi che di specie, dove trovano le condizioni di vita ideali centinaia di organismi vegetali ed animali, spesso esclusivi della nostra isola. Sono ambienti dove la conservazione della natura va coniugata con la fruizione sostenibile da parte di turisti e popolazione. Assieme a tutte le strategie di protezione dai fattori di rischio, andranno sviluppati percorsi, sentieri e infrastrutture che consentano le visite senza arrecare disturbo a piante ed animali.

9. Promuovere la rete sentieristica nel territorio.L’uso dei sentieri è un mezzo chiave di un nuovo modo di fare turismo, per vivere la natura, per co-noscere storia, tradizioni, e cultura delle popolazioni locali. Percorrere queste vie “alternative” offre la possibilità di conoscere luoghi poco noti, lontani dal modello tipo di marketing turistico, ma meritevoli di essere visitati e vissuti in tutte le loro sfaccettature (dalla geologia al paesaggio, ma anche cultura e tradizioni). Per questo realizzare una rete sentieristica può rappresentare un’inedita e profonda espe-rienza di “viaggio” culturale, storico, ambientale ed estetico.

10. Affrontare il problema complesso della gestione dell’ambiente con un approccio multidisciplinare.Una corretta gestione ambientale da parte delle Amministrazioni Pubbliche richiede innanzitutto una dettagliata conoscenza del territorio. Data la complessità e la multidisciplinarietà del tema, il primo passo da compiere è quello di formare un gruppo di lavoro interdisciplinare di esperti che comprenda almeno un rappresentante di alcune fi gure professionali signifi cative tra cui un agronomo, un biologo, un forestale, un geologo, un naturalista, un pianifi catore territoriale, un ingegnere ambientale.

11. Stimolare il marketing territoriale.La Regione Sardegna riconosce nel patrimonio naturale, culturale e paesaggistico, una base fondamen-tale per l’attuazione di progetti di marketing territoriale in quanto fattori di attrazione per lo sviluppo di attività turistiche e artigianali nelle zone rurali. Le amministrazioni locali oggi non devono essere più considerate come semplici fornitrici di servizi alla cittadinanza, bensì come soggetti attivi nello sviluppo economico complessivo del territorio.

1. Operare una corretta manutenzione del verde pubblico.Il territorio urbano deve essere integrato con un sistema diffuso a rete, di verde pubblico che possa garantire anche all’interno dei centri abitati una certa superfi cie di naturalità; queste aree più o meno estese ospitano piante e animali che maggiormente tollerano la presenza umana. La manutenzione di questo sistema deve essere fatta con una programmazione annuale, che tenga conto delle esigenze delle specie sia vegetali che animali presenti, mirando ad una sua conservazione futura.

2. Effettuare controlli nei parcheggi limitrofi o interni alle aree protette.Le aree protette fruibili dalla popolazione locale e dai turisti dovrebbero essere dotate di un sistema di parcheggi in zone idonee che tenga conto delle capacità recettive della zona. Il controllo dell’utilizzo corretto di queste zone adibite a parcheggio e l’accertamento di eventuali trasgressioni, risulta fonda-mentale nel processo di salvaguardia dell’ambiente e delle specie che vi abitano.

3. Promuovere campagne di sensibilizzazione della cittadinanza.Il rapporto che ogni uffi cio comunale tiene con la cittadinanza è di estrema importanza per il successo di ogni iniziativa rivolta al territorio. Una corretta informazione delle attività in programazione e dello scopo di queste, rivolta alla popolazione locale, è fondamentale per la loro buona riuscita; oltre all’informazione ci dev’essere anche un coinvolgimento attivo della cittadinanza in modo da ricevere aiuti concreti e far sentire direttamente partecipe la gente.

4. Controllare le procedure per la pulizia delle spiagge.Il fragile equilibrio delle dune costiere è minacciato sempre più da meccanismi sia di natura ambientale, sia in modo più signifi cativo di natura antropica; l’uomo, attraverso inquinanti, distruzione di particolari ambienti ed un uso indiscriminato del territorio, minaccia la stabilità delle spiaggie. Attraverso una cor-retta pulizia delle spiaggie si può attenuare questo rischio: ad esempio la rimozione manuale della Posi-donia oceanica spiaggiata consente di non rovinare il substrato che fà da basamento per la formazione delle dune e per la colonizzazione di importanti specie vegetali dell’ambiente costiero.

Livellooperativo

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TUTELA QUANTITATIVA DELLA RISORSA IDRICA1. Incentivare, negli edifi ci di nuova costruzione, la predisposizione per l’allacciamento alla rete di acqua non potabile.In vista della futura realizzazione di una rete duale di distribuzione, incentivare la predisposizione dei nuovi edifi ci per l’allacciamento a tale rete, in modo da poter sostituire l’acqua non potabile a quella potabile per gli utilizzi consentiti (alimentazione scarichi dei servizi igienici, irrigazione parchi e giardini, ecc.), non appena la rete sarà disponibile.

2. Favorire l’installazione di sistemi di raccolta e riutilizzo delle acque piovane negli edifi ci.Incentivare la raccolta ed il riutilizzo delle acque piovane mediante il supporto tecnico ed eventuali age-volazioni economiche a favore di coloro che intendono installare sistemi per la raccolta, il trattamento ed il riutilizzo di tali acque.

3. Incentivare le aziende agricole ad utilizzare metodi di irrigazione ad elevata effi cienza.Incentivare le aziende del settore agricolo ad adottare sistemi di irrigazione a rendimenti più elevati, come la microirrigazione. Ove possibile, potranno essere date delle agevolazioni economiche per l’in-stallazione dei nuovi sistemi e per i consumi energetici aggiuntivi derivanti dall’utilizzo di tali tecniche.

4. Favorire l’installazione di sistemi di riciclo delle acque grigie negli edifi ci.Promuovere la raccolta ed il riutilizzo delle acque grigie provenienti dagli scarichi dei lavandini attraver-so l’assistenza tecnica e, dove possibile, anche mediante incentivi economici, a coloro che intendono installare sistemi per la raccolta, il trattamento ed il riutilizzo di tali acque.

TUTELA QUALITATIVA DELLA RISORSA IDRICA 1. Prevedere all’interno degli strumenti di pianifi cazione la realizzazione di aree di fi todepurazione.Per la riduzione dell’inquinamento dei corpi idrici una buona pratica è quella di prevedere all’interno degli strumenti di pianifi cazione, la realizzazione di aree di fi todepurazione a valle di depuratori, in aree urbane o in aree agricole. Si otterrà in questo modo la rimozione di nutrienti e sostanze inquinanti con-tenute nelle acque e quindi la possibilità di ridurre i fenomeni di inquinamento diffuso.

2. Prevedere all’interno degli strumenti di pianifi cazione, il recupero e la riabilitazione delle aree umide.Il recupero e la riabilitazione delle aree umide danneggiate da attività antropiche dovrebbero essere previsti a livello di pianifi cazione, in accordo con i principi stabiliti dalla convenzione di Ramsar, in quanto tali aree possiedono notevoli valenze sia di carattere ambientale che economico-paesaggistico, quali la riduzione dell’inquinamento grazie all’azione depurativa delle piante, la ricarica della falda, il supporto alla rete ecologica, la riqualifi cazione paesaggistica e la possibilità di incrementare le attività turistico-ricreative nell’area.

3. Adottare piani d’azione specifi ci per le zone vulnerabili ed i corpi idrici maggiormente soggetti ad inquinamento.Per le zone vulnerabili ed i corpi idrici maggiormente soggetti ad inquinamento, è opportuno adottare piani d’azione specifi ci nei quali siano elencate e descritte tutte le operazioni da effettuare ed i tempi entro cui raggiungere i risultati stabiliti.

4. Promuovere presso le aziende agricole la realizzazione di fasce tampone.Al fi ne di salvaguardare la qualità delle acque dei corpi idrici riceventi le acque di dilavamento delle superfi ci agricole, sarebbe opportuno promuovere la realizzazione o il mantenimento di fasce tampone lungo i bordi di separazione tra i campi di proprietà dell’azienda ed i corpi idrici riceventi le acque di dilavamento da tali superfi ci.

Livello di

pianifi cazione

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5. Per interventi che causino elevata impermeabilizzazione del terreno, promuovere la realizzazione di interventi di mitigazione quali canali inerbiti o fasce fi ltro.L’aumento del ruscellamento derivante dall’impermeabilizzazione del terreno porta all’immissione nel corpo idrico ricettore in tempi più brevi di volumi maggiori, ad un incremento del rischio di inquinamen-to dei corpi idrici ed alla diminuzione della ricarica della falda, fenomeni che possono essere effi cace-mente evitati mediante la realizzazione di sistemi di mitigazione adeguati come fasce fi ltro e canali iner-biti. Tali interventi permettono una prima depurazione delle acque intercettate e favoriscono la ricarica della falda, permettendo quindi di far fronte al problema del progressivo abbassamento del livello della falda dovuto ai sempre più consistenti emungimenti. L’intercettazione del defl usso superfi ciale permette inoltre di ridurre i volumi immessi nel corpo idrico ricettore e nel contempo di allungare i tempi impiegati dalle acque per raggiungere il corpo idrico.

6. Sviluppo di collettamenti fognari che favoriscano l’eliminazione di piccoli impianti di depurazione poco effi cienti.Gli impianti di depurazione di piccola dimensione spesso possiedono un’effi cienza depurativa scarsa, in quanto le ridotte dimensioni dell’impianto fanno sì che non risulti conveniente l’applicazione di tratta-menti più spinti e molto più costosi. Sarebbe utile che l’ente gestore del servizio idrico integrato provve-desse allo sviluppo di collettamenti fognari che favoriscano l’eliminazione di piccoli impianti di depura-zione poco effi cienti.

7. Individuare e delimitare correttamente le aree di salvaguardia dei pozzi di estrazione di acqua sotterranea ad uso idropotabile.Le aree in prossimità dei pozzi ad uso idropotabile sono soggette a limitazioni d’uso stabilite dal D.Lgs. 152/2006, in modo da salvaguardare la qualità delle acque captate. Le Pubbliche Amministrazioni do-vrebbero stabilire delle linee guida per la corretta delimitazione di tali aree ed effettuare periodici controlli per verifi care l’effettivo rispetto dei divieti. Sarebbe inoltre opportuno che venissero effettuate anche delle periodiche analisi per verifi care l’assenza di fonti di contaminazione delle acque.

TUTELA QUALITATIVA DELLA RISORSA IDRICA 1. Realizzare trattamenti di affi namento mediante tecniche di fi todepu-razione fi nalizzati al miglioramento della qualità dei corpi idrici a valle dei depuratori.Per garantire la salvaguardia dei corpi idrici nei quali vengono scaricati gli effl uenti degli impianti di depurazione, è opportuno prevedere dei trattamenti terziari mediante tecniche di fi todepurazione, in modo da ridurre la quantità di nutrienti ed altre sostanze inquinanti eventualmente ancora presenti nell’effl uente chiarifi cato.

2. Realizzare un sistema automatico di monitoraggio della qualità delle acque superfi ciali e sotterranee.In aree particolarmente vulnerabili in cui siano state rilevate delle criticità, ma non solo, sarebbe utile prevedere la realizzazione di sistemi automatici di monitoraggio della qualità delle acque in modo da caratterizzare gli aspetti chimico-fi sici delle acque con un passo temporale più ristretto rispetto a quello utilizzato per l’effettuazione del monitoraggio manuale.

3. In casi particolari imporre, secondo la normativa vigente, la realizza-zione di vasche per la raccolta delle acque di prima pioggia.Per ridurre l’inquinamento delle acque dei corpi idrici, per attività per le quali esiste il rischio di rilascio di sostanze contaminanti sul suolo, promuovere la realizzazione di vasche per la raccolta delle acque di prima pioggia collegate alla fognatura nera o mista, che quindi provvedano all’invio di tali acque al trattamento.

4. Realizzare vasche per la raccolta delle acque di prima pioggia nelle zone in cui si ritiene ce ne sia maggiore necessità.Le Pubbliche Amministrazioni dovrebbero provvedere all’adeguamento delle strutture fognarie principali mediante la realizzazione di vasche di prima pioggia nelle zone in cui si ritiene si possa avere un maggior dilavamento di sostanze inquinanti.

Livello

gestionale

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TUTELA QUALITATIVA DELLA RISORSA IDRICA 1. Effettuare il lavaggio delle strade.Il periodico lavaggio delle strade (da effettuare esclusivamente con acqua non potabile) permette di asportare le sostanze inquinanti depositate sulle superfi ci. Le acque di lavaggio vengono poi raccolte e inviate alla depurazione, come se si trattasse di acque provenienti da fognatura nera. In questo modo si massimizza l’effi cienza di rimozione delle sostanze inquinanti dal suolo, si riduce il rischio di inviare al corpo idrico recettore acque inquinate e nello stesso tempo si evita la risospensione in atmosfera delle polveri depositate sul suolo.

2. Controllare e censire periodicamente gli scarichi.È opportuno effettuare il periodico controllo e censimento degli scarichi per verifi care che le concentra-zione delle sostanze scaricate rientrino nei limiti di legge e non ci siano scarichi abusivi.

3. Sollecitare la cittadinanza a segnalare la presenza di discariche abusive.La presenza di depositi incontrollati di rifi uti può creare il rischio di contaminazione delle acque sotter-ranee e superfi ciali, in quanto vengono rilasciate sul suolo sostanze altamente inquinanti che possono percolare e raggiungere la falda, in tempi più o meno brevi a seconda delle caratteristiche del terreno e della profondità della falda stessa. È quindi importante informare la cittadinanza sui rischi di inquinamento e le potenziali ripercussioni sulla salute umana, in modo da incentivare le segnalazioni di depositi abusivi di rifi uti.

4. Acquistare prodotti con marchio Ecolabel.Nell’acquisto di prodotti di pulizia quali detergenti da porre nei servizi igienici pubblici o prodotti per il lavaggio delle superfi ci è opportuno preferire quelli contrassegnati dal marchio Ecolabel, maggiormente ecocompatibili.

5. Effettuare periodici spurghi del sistema fognario per mantenere alta l’effi cienza. Periodicamente è opportuno effettuare operazioni di spurgo del sistema fognario, in modo da evitare la formazione di accumuli di materiale che potrebbero ostacolare il defl usso delle portate.

TUTELA QUANTITATIVA DELLA RISORSA IDRICA 1. Creare una rete coordinata di scambio di informazioni tra le Pubbliche Amministrazioni e l’ente gestore del servizio idrico integrato.Le pubbliche amministrazioni, di concerto con l’ente gestore del servizio idrico integrato, dovrebbero promuovere e sviluppare una fi tta rete di scambio di informazioni in modo che anche la comunicazione del singolo cittadino relativa ad esempio alla rilevazione di una perdita nella rete di acquedotto, venga tempestivamente trasferita all’ente gestore, consentendo di intervenire nel tempo più breve possibile.

2. Prevedere trattamenti di affi namento negli impianti di depurazione situati in prossimità di aree agricole in modo da rendere possibile il riu-tilizzo dei refl ui a scopi irrigui.L’ente gestore dell’impianto di depurazione dovrebbe effettuare studi fi nalizzati alla realizzazione di trat-tamenti di affi namento dei refl ui depurati, privilegiando i trattamenti di fi todepurazione, in modo da renderne possibile il riutilizzo per l’irrigazione delle colture. In questo modo sarebbe possibile non solo risparmiare considerevoli quantità d’acqua, ma anche far fronte ai periodi di siccità che metterebbero in crisi i raccolti, data la scarsità delle precipitazioni.

3. Negli edifi ci di nuova costruzione di elevata dimensione promuovere la realizzazione di sistemi di raccolta e riutilizzo dell’acqua piovana, ed incentivarne l’installazione anche a livello domestico.Per edifi ci di elevate dimensioni, quali centri commerciali, zone residenziali, ecc., di nuova costruzione, è opportuno promuovere la realizzazione di impianti per la raccolta, il trattamento e lo stoccaggio delle acque piovane, che possono essere riutilizzate per molteplici scopi, come ad esempio l’irrigazione, l’uso antincendio e l’alimentazione degli scarichi dei servizi igienici. Il sistema di riutilizzo delle acque meteo-riche può inoltre essere combinato con quello di riciclo delle acque grigie, riunendo i due fl ussi a monte dell’impianto di trattamento e provvedendo all’installazione di vasche di stoccaggio di volume maggiore.

4. Realizzare campagne di sensibilizzazione e informazione della cittadi-nanza sul tema del risparmio e della tutela della risorsa idrica.È importante effettuare a livello locale delle campagne di informazione per sensibilizzare la cittadinanza ri-guardo ai problemi connessi all’utilizzo non razionale e all’inquinamento della risorsa idrica. Tali campagne possono prevedere ad esempio la distribuzione di riduttori di fl usso da installare nei rubinetti di casa.

Livellooperativo

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TUTELA QUANTITATIVA DELLA RISORSA IDRICA 1. Installare riduttori di fl usso nei rubinetti dei servizi pubblici.Nei servizi igienici degli edifi ci pubblici è opportuno installare dei riduttori di fl usso al posto dei normali rompigetto. I riduttori di fl usso sono dei dispositivi che imprimono all’acqua un moto vorticoso che tra-scina con sé una notevole quantità d’aria, permettendo di ottenere un getto avente lo stesso vigore di quello uscente da un rubinetto tradizionale ma con un risparmio di acqua fi no al 30%.

2. Installare sistemi per la chiusura automatica dei rubinetti nei servizi pubblici.Per evitare che qualche utente poco attento dimentichi il rubinetto aperto o gocciolante, è opportuno prevedere nei servizi igienici degli edifi ci pubblici, l’installazione di sistemi di apertura/chiusura automati-ca dei rubinetti come fotocellule, pulsanti o pedali. Da un rubinetto gocciolante infatti possono scendere ben 4.000 litri di acqua all’anno.

3. Installare nei servizi pubblici sistemi di scarico dotati di dispositivi per la regolazione della quantità d’acqua necessaria.Nei servizi igienici degli edifi ci pubblici, ancor di più che in quelli domestici in quanto utilizzati molto più frequentemente, è bene provvedere all’installazione di sciacquoni dotati di tasti a doppia funzione o a rilascio, in modo da regolare la quantità di acqua utilizzata.

4. Non utilizzare acqua potabile per la pulizia delle strade.Per la pulizia delle strade non è necessario utilizzare acqua proveniente dalla rete di acquedotto. L’uso di ac-qua non potabile, come acqua piovana o acque refl ue o grezze è suffi ciente, e permette di risparmiare no-tevoli quantità di acqua potabile, con conseguenti vantaggi dal punto di vista ambientale ed economico.

5. Predisporre gli edifi ci pubblici per l’allacciamento alla rete duale.Gli edifi ci pubblici dovrebbero essere predisposti per l’allacciamento alla rete duale, in vista della futura realizzazione di una rete di distribuzione dell’acqua non potabile. In questo modo sarà possibile sostituire l’acqua non potabile a quella potabile per gli utilizzi per i quali è consentito (alimentazione scarichi dei servizi igienici, irrigazione, ecc.) non appena la rete sarà disponibile.

6. Dotare gli edifi ci pubblici di sistemi per la raccolta ed il riutilizzo delle acque piovane.È opportuno dotare gli edifi ci pubblici, in particolar modo quelli di maggiore estensione e comprendenti delle zone a verde, di un sistema di raccolta e riutilizzo dell’acqua piovana e di un sistemi di raccolta, tratta-mento e riutilizzo delle acque grigie in modo da non utilizzare acqua potabile per scopi che non richiedono acqua di qualità elevata, come ad esempio gli scarichi dei servizi igienici o l’irrigazione delle aree verdi.

7. Segnalare la presenza di pozzi abusivi.Le perdite di acqua nelle reti di acquedotto non sono esclusivamente di tipo fi sico: esistono anche perdite di tipo commerciale che comprendono ad esempio i prelievi d’acqua non autorizzati. Per limitare tali perdite e consentire una più effi ciente distribuzione della risorsa idrica, è quindi importante segnalare immediata-mente alle autorità competenti la presenza di prelievi abusivi.

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1. Porre attenzione alle aree di abbandono e marginali.L’abbandono di determinate aree da parte delle attività agricole o pastorali e di aree marginali, provoca spesso l’innesco dei fenomeni di degrado dei suoli. È importante porre attenzione a queste aree, in particolare attraverso gli strumenti di pianifi cazione, prevedendo opportuni interventi di riqualifi cazione attraverso il recupero naturalistico.

2. Evitare la realizzazione di elementi vulnerabili in aree pericolose (pe-ricolo idraulico, geologico) per limitare il livello di rischio.La pericolosità idrogeologica di un territorio non costituisce un problema se non vi è la presenza di elementi vulnerabili che comportino quindi anche un rischio. Gli strumenti urbanistici devono vincolare le aree a pericolosità idrogeologica, recependo i contenuti del Piano di Assetto Idrogeologico, al fi ne di evitare la realizzazione in tali aree di elementi vulnerabili. È indispensabile inoltre svolgere attività di mo-nitoraggio per individuare eventuali aree pericolose non censite dal Piano di Assetto Idrogeologico.

3. Adottare un regolamento per i tombinamenti di fossi e corsi d’acqua.Il tombinamento è una pratica generalmente da evitare, perché crea una condizione di pericolosità idrau-lica non essendo garantito il libero defl usso della corrente. In particolari condizioni, come ad esempio per realizzare l’accesso carraio ad abitazioni o a fondi agricoli, può essere consentito il tombinamento di fossi o corsi d’acqua minori con tubi o scatolari aventi sezione non inferiore a quella attuale e comunque con diametro ovvero larghezza e altezza minimi di 80 cm, affi nché sia garantito l’accesso per interventi di pulizia. Per le aree rurali si può fi ssare ad esempio una lunghezza massima non superiore a 6 m, mentre per le aree urbane, ove richiesta una lunghezza superiore, vanno inseriti dei pozzetti di ispezione ogni 20 m di condotta e il tracciato deve essere rettilineo.

4. Adottare un regolamento per la manutenzione della rete idraulica minore privata.I proprietari di terreni soggetti a servitù di scolo di fossi o canali privati, vanno obbligati alla pulizia dei tratti di loro competenza in maniera che il defl usso delle acque si verifi chi senza pregiudizio e danno delle proprietà contermini. Anche i tombinamenti esistenti, effettuati per la realizzazione di accessi car-rai, dovranno avere accurata manutenzione ed essere conservati sgombri a cura e spese dei proprietari. I fossi delle strade comunali, vicinali e rurali devono essere mantenuti a cura e spese dei frontisti, dei consortisti e dei proprietari limitrofi , che dovranno provvedere all’espurgo ogni qualvolta sia ritenuto necessario.I fossi privati di scolo devono avere sezione adeguata a garantire il defl usso, devono avere decorso tra-sversale alla pendenza del terreno, con pendenza tale che le acque non possano produrre erosioni.

Livello dipianifi cazione

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5. Adottare un regolamento per le lavorazioni agricole.È opportuno adottare un regolamento per le lavorazioni agricole in particolare per le aree collinari e montane. I terreni seminativi devono essere lavorati di regola nel senso del minor pendio. Le lavorazioni non devono essere profonde al fi ne di ostacolare i movimenti di infi ltrazione verticale delle acque. Non devono essere interessate dall’attività agricola, prevedendo apposite fasce di rispetto, le scarpate di argini, i margini degli alvei e i cambi di pendenza sui versanti.

6. Incentivare le colture frutticole in aree collinari.Le colture frutticole consentono di lasciare libera buona parte della superfi cie dei terreni agricoli lungo i versanti collinari, limitando così anche le lavorazioni meccaniche dei suoli. Questo tipo di coltura può essere incentivato attraverso agevolazioni fi scali e contributi.

7. Incentivare sistemi colturali che offrano una duratura copertura dei terreni.La protezione dei terreni, specie quelli collinari, dall’erosione, può essere attuata incentivando, soprattut-to nelle aree collinari, con agevolazioni fi scali e contributi le colture estensive a prato e la conversione di seminativi a pascoli permanenti.

8. Incentivare le attività agro-forestali.Le attività agro-forestali e silvicolturali, da incentivare ad esempio attraverso agevolazioni fi scali e con-tributi, sono utili a contrastare processi di degrado dei suoli, quali la desertifi cazione e i fenomeni di instabilità dei versanti, grazie alla diffusione di interventi di rimboschimento. L’agro-forestazione in par-ticolare comprende, fra le varie tecniche, la realizzazione di fi lari di alberature intercalate alle tradizionali coltivazioni o ai pascoli; si tratta di un’attività che può garantire un ritorno economico per l’agricoltore oltre a fornire altri effetti benefi ci, quali la protezione dal vento e l’ombreggiamento.

9. Far rispettare le distanze corrette tra edifi ci e bosco, nelle aree di interfaccia urbano-foresta.Mediante la riduzione della biomassa bruciabile è possibile contenere l’intensità del fronte di fi amma ed evitare così che il fuoco possa investire gli edifi ci. Lo spazio difensivo è l’area compresa tra la struttura e la vegetazione boschiva limitrofa: se opportunamente gestito, lo spazio difensivo può impedire all’incendio di raggiungere gli edifi ci anche in assenza di interventi di estinzione, nonché la propagazione dell’incen-dio oltre gli edifi ci. Tale spazio può essere utile anche allo svolgimento delle operazioni di spegnimento. Lo spazio difensivo deve aumentare al crescere della pendenza (da 30 m per pendenze fi no al 20%, a 60 m per pendenze oltre il 40%), e deve essere comunque maggiore nella parte a valle, con un incremento di circa il 30%. Nei primi dieci metri è ammesso solo il prato, di altezza massima di 15 cm, nella fascia successiva è ammessa un’altezza massima di 45 cm e le alberature vanno spalcate dei rami fi no a 2.5 m dal suolo e devono avere una distanza tra le chiome di almeno 2.5 m.

10. Impedire la realizzazione di nuove strutture o edifi ci in aree collinari e montane vicino ad aree boschive e in presenza di suoli in forte pendenza.La pendenza infl uenza in modo determinante il comportamento del fuoco. La colonna di convezione ten-de alla verticalità per cui investe in maniera differente gli elementi combustibili a seconda che si trovino su un piano orizzontale o inclinato. Se l’elemento combustibile è situato in pendenza e si trova a monte della fi amma, quindi più in alto, sarà maggiormente soggetto all’irraggiamento del fuoco; ciò favorisce un preriscaldamento e quindi un’accelerazione del fronte di fi amma. Tale situazione è signifi cativa per pendenze maggiori del 20%. Se tali situazioni sono già esistenti allora è necessario creare uno spazio difensivo.

1. Imporre l’adozione di interventi per la mitigazione degli effetti dell’impermeabilizzazione dei suoli sul regime idraulico del territorio per garantire l’invarianza idraulica.L’incremento dell’impermeabilizzazione dei suoli causa l’aumento dei defl ussi superfi ciali con conse-guenti fenomeni diffusi di allagamento. È opportuno adottare interventi che aumentino la permeabilità del suolo, come pavimentazioni drenanti e aree a verde, e opere che consentano di invasare tempora-neamente i volumi e rilasciarli gradualmente con portate ridotte.

2. Realizzare interventi per la laminazione delle portate dei corsi d’acqua: bacini di laminazione, percorso a meandri, aree golenali di espansione.Alcuni interventi di sistemazione dei corsi d’acqua, come le rettifi che fl uviali o i rivestimenti delle sponde e del fondo per diminuirne la scabrezza e favorire il defl usso delle portate, sono in alcuni casi sconsi-gliabili, in quanto causano il trasferimento del problema a valle del tratto sistemato, potendo aggravare le condizioni di pericolosità idraulica. Questi interventi non consentono infatti di ridurre le portate che transitano, ma permettono solo di ridurre il tirante della corrente, che giunge a valle con velocità più ele-vate. A questo tipo di sistemazioni sono da preferire interventi che consentano, nel tratto a monte, una laminazione delle portate attraverso la realizzazione di casse di espansione o di aree golenali allagabili durante le piene. Questi tipi di intervento consentono di ridurre le portate transitabili in una determinata sezione e di limitare quindi la velocità della corrente.

3. Realizzare interventi per limitare la pericolosità di un corso d’acqua: scolmo delle portate.Dove non sia possibile attuare interventi per la laminazione, è opportuno ridurre le portate transitanti in condizioni di piena realizzando un alveo artifi ciale, detto scolmatore, nel quale verranno derivate le portate in eccesso, che saranno restituite o nel medesimo corso d’acqua, a valle del tratto critico, o in un altro corpo idrico. Lo scolmatore va realizzato, ove possibile, con caratteristiche di naturalità, evitando ad esempio il rivestimento di calcestruzzo e creando un percorso meandriforme. Con gli opportuni interventi lo spazio adiacente allo scolmatore può trasformarsi in un’area ricreativa di pregio fruibile dalla popolazione.

4. Effettuare interventi di rimboschimento per garantire la stabilità dei pendii, contrastare l’erosione e la desertifi cazione dei suoli.I fenomeni di instabilità dei pendii, di erosione e desertifi cazione sono indotti e accentuati o da un uso non sostenibile dei suoli o al contrario da un loro abbandono. È indispensabile adottare misure di tutela atte a garantire la difesa dei suoli come ad esempio subordinare la realizzazione di nuovi pascoli e colti-vazioni al rimboschimento delle aree abbandonate o di aree in stato di degrado.

Livellogestionale

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5. Realizzare strade e ferrovie su viadotto anziché intagliando i versanti, dove la roccia non è adatta.Il territorio della Sardegna presenta particolari condizioni morfologiche, essendo costituito in prevalen-za da aree collinari e montane. Ciò rende, se non diffi cile, quantomeno complessa la realizzazione di infrastrutture di trasporto, sia stradali che ferroviarie. Quando queste strutture sono realizzate senza tener conto delle particolari condizioni geologiche e strutturali del territorio possono innescare o aggra-vare fenomeni di pericolosità geologica. Gli intagli effettuati su versanti, anche con mezzi che a volte possono risultare impropri per le particolari condizioni del sito, per la realizzazione della sede stradale o ferroviaria, instaurano condizioni di rischio geologico. In tali casi può essere quindi preferibile realizzare l’opera su viadotto.

6. Tutelare le sugherete e la macchia mediterranea.La sughereta è la specie meno vulnerabile all’azione degli incendi presentando notevoli capacità di ripre-sa. La vegetazione tipicamente mediterranea possiede una elevata infi ammabilità causata dalla presenza di un numero notevole di specie con un alto contenuto di resine e di olii essenziali; tuttavia ha un’elevata capacità di recupero dopo il verifi carsi di un incendio e i problemi ambientali legati al fuoco permangono per un limitato numero di anni dopo che l’incendio si è verifi cato.

7. Interventi per contrastare la salinizzazione dei suoli e delle falde acquifere in aree costiere.L’eccessivo sfruttamento delle falde acquifere nelle aree costiere, per l’approvvigionamento idrico sia dei centri turistici che delle attività agricole, sta causando fenomeni di salinizzazione delle falde stesse, a cau-sa dell’intrusione di acque salate, nonché fenomeni di salinizzazione dei suoli, che innescano processi di desertifi cazione. È necessario intervenire contrastando gli emungimenti abusivi, convertendo gli schemi acquedottistici che si approvvigionano da fonti sotterranee e incentivando il riutilizzo dei refl ui depurati per l’uso irriguo. Un altro tipo di intervento utile al contrasto della salinizzazione sono le barriere antisale alle foci dei fi umi, che arrestano la risalita del cuneo salino lungo i corsi d’acqua.

8. Realizzare interventi di protezione, sistemazione e ricostituzione dei sistemi dunali costieri.La tutela delle coste deve essere attuata anche con sistemi che in apparenza possono limitare la fruibilità turistica delle spiagge. Gli interventi di protezione, sistemazione e ricostituzione dei sistemi dunali costieri rappresentano un’azione fondamentale per la salvaguardia delle aree costiere dall’erosione e il conse-guente arretramento della linea di costa.

9. Realizzazione di laghetti collinari ad uso antincendio.Per la protezione dagli incendi è possibile realizzare nelle zone collinari degli invasi artifi ciali in cui può essere accumulata acqua come fonte di approvvigionamento ad uso antincendio, utilizzabile sia da mezzi aerei che terrestri. Inoltre i laghetti collinari, se realizzati in zona di interfaccia urbano-foresta, possono esercitare anche una funzione difensiva per i centri urbani.

1. Censire le risorse idriche comunali defi nendo le aree di pertinenza e le fasce di protezione.La conoscenza del territorio comunale è un’attività indispensabile per la pianifi cazione e la corretta pro-grammazione di interventi urbanistici e di trasformazione del territorio. Uno degli aspetti più importanti è senz’altro costituito dalla conoscenza delle risorse idriche presenti, per le quali è opportuno effettuare un censimento comprendente in particolare i corpi idrici minori, le risorse sotterranee, i bacini e le aree di ricarica delle falde. Le azioni di tutela vanno attuate attraverso l’adozione di vincoli a determinate trasformazioni del territorio, limitazioni di particolari attività e soprattutto la creazione di opportune fasce di rispetto (previste tra l’altro anche dal D.Lgs. 152/2006).

2. Effettuare interventi di pulizia degli alvei: rimozione dei rifi uti solidi e taglio di alberature in alveo.Questi interventi sono necessari al fi ne di garantire la sicurezza idraulica del territorio. I materiali e la vegetazione possono costituire ostacolo al libero defl usso della corrente o causare l’ostruzione della sezione. L’intervento può essere svolto con l’ausilio di gruppi di volontariato e la supervisione del Corpo Forestale e Vigilanza Ambientale.

3. Adeguamento degli attraversamenti con sezioni adeguate.Le intersezioni della rete viaria con il reticolo idrografi co devono essere sempre studiate con particolare cura. Le opere di attraversamento devono rispettare alcuni importanti criteri, tali da limitare o annullare ogni possibile rischio idraulico: devono avere una sezione adeguata al libero defl usso, l’attraversamento deve avvenire ortogonalmente al corso d’acqua, la luce dell’impalcato deve essere suffi ciente al transito di materiali galleggianti, vanno evitate, per quanto possibile, spalle e pile in alveo.

4. Realizzare delle fasce boscate con funzione di protezione dalla caduta di materiale in aree a rischio frane.Il bosco di protezione è un’area boschiva che viene realizzata per mitigare il rischio legato a fenomeni come il distacco di massi, il franamento di versanti e le lave torrentizie. Questo tipo di intervento deve essere considerato in particolare nelle aree individuate dal Piano di Assetto Idrogeologico quali aree a rischio geologico. Negli interventi di rimboschimento per la stabilità dei versanti e di ricostituzione boschiva in seguito ad incendi, è importante seguire criteri di progetto che tengano conto, nella scelta delle essenze arboree, delle dimensioni dei tronchi e della distanza fra le alberature, in funzione della eventuale azione protettiva che la fascia boschiva dovrà esercitare.

Livellooperativo

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5. Utilizzare l’ingegneria naturalistica per interventi di sistemazione idraulico-forestale e la rinaturalizzazione.L’ingegneria naturalistica consente di realizzare opere integrate nel territorio e a basso impatto am-bientale. Essa viene utilizzata per le sistemazioni idrogeologiche e il consolidamento dei terreni, per la creazione o la ricostituzione di un ambiente naturale degradato attraverso l’impiego della vegetazione autoctona, per il recupero ambientale e l’inserimento paesaggistico di cave e discariche e per la loro rinaturalizzazione.

6. Dotare il nucleo di Protezione Civile di mezzi adeguati per fronteggiare le situazioni di emergenza.Perché le emergenze date da incendi o altri fenomeni improvvisi quali piene, alluvioni ecc. possano essere fronteggiate con la necessaria effi cienza e tempestività, è necessario che il nucleo di Protezione Civile sia dotato di tutti i mezzi necessari allo svolgimento rapido e sicuro delle attività previste in questi casi.

7. Segnalare immediatamente la presenza o la costruzione di edifi ci in aree pericolose.La presenza di elementi vulnerabili in aree pericolose causa l’insorgere del rischio per la popolazione. Per tale motivo è necessario rivolgersi immediatamente alle autorità competenti in caso di presenza di edifi ci in aree a pericolosità idrogeologica.

8. Segnalare la presenza di discariche abusive.La presenza di depositi incontrollati di rifi uti costituisce un pericolo di contaminazione del suolo, in quanto vengono rilasciate sostanze altamente inquinanti che possono contaminare anche gli strati più profondi.

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1. Perseguire l’attivazione di sistemi di raccolta differenziata integrale.Come previsto dal Piano Regionale di Gestione dei Rifi uti Urbani, perseguire l’attivazione di sistemi di raccolta differenziata integrale, costituiti da circuiti dedicati, prioritariamente di tipo domiciliare, per le varie frazioni di rifi uto sia a matrice secca che umida, da tarare operativamente in funzione dell’assetto territoriale del comprensorio omogeneo da servire.La raccolta differenziata domiciliare e l’abbandono del cassonetto stradale non presidiato rappresenta-no gli elementi base per un’effettiva responsabilizzazione del cittadino-utente ad una corretta gestione dei rifi uti. Queste modalità di organizzazione delle raccolte, accanto a campagne di informazione e comunicazione mirate e all’attivazione di centri di conferimento locale presidiati, inducono il singolo ad adottare comportamenti virtuosi, contribuiscono ad orientare le scelte del consumatore-utente verso i beni a minor produzione di rifi uti e minimizzano i conferimenti impropri nel circuito degli urbani di rifi uti di altra natura, in particolare di natura pericolosa.

2. Seguire i criteri guida per la pianifi cazione stabiliti dal Piano Regionale di Gestione dei Rifi uti Urbani.Come previsto dal Piano Regionale di Gestione dei Rifi uti Urbani, orientare le scelte di pianifi cazione in materia di gestione dei rifi uti secondo:• l’adozione di politiche gestionali coerenti con le più generali politiche ambientali e territoriali regionali;• la valutazione delle scelte fi nalizzate al conseguimento del miglior bilancio economico-energetico ambientale;• il perseguimento dell’obiettivo del miglioramento delle complessive condizioni ambientali, sia a livello locale (ottimizzando dal punto di vista tecnico e gestionale la fase della raccolta) sia a livello globale (contraendo i trasporti, aumentando i quantitativi di materiali recuperati, ottimizzando la fi liera del recupero di materia e di energia).

3. Fare propri gli obiettivi di riduzione della produzione dei rifi uti pre-visti dal Piano Regionale di Gestione dei Rifi uti Urbani.Il Piano Regionale di Gestione dei Rifi uti Urbani individua come obiettivo al 31/12/2012 la prosecuzione e il consolidamento della riduzione della produzione dei rifi uti urbani già osservata nel corso del 2006 in alcuni comprensori provinciali. Il Piano prevede, entro il 2012, l’obiettivo di una riduzione della pro-duzione complessiva dei rifi uti urbani di almeno il 5% rispetto alla produzione registrata nel 2004-2005 (biennio di massima produzione) in ciascun territorio provinciale, fatto salvo il mantenimento del livello produttivo registrato nel 2006 nei comprensori che hanno già conseguito maggiori livelli di riduzione.Per il periodo successivo, l’obiettivo è quello di mantenere inalterata l’entità della produzione comples-siva del rifi uto urbano.

Livello dipianifi cazione

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4. Fare propri gli obiettivi di raccolta differenziata previsti dal Piano Regionale di Gestione dei Rifi uti Urbani.Il Piano Regionale di Gestione dei Rifi uti Urbani stabilisce un obiettivo generale di raccolta differenziata nell’Ambito Territoriale Ottimale, e negli eventuali sub-ambiti nella soglia guida del 70% della produ-zione complessiva dei rifi uti, in conformità agli indirizzi di cui alla deliberazione di Giunta regionale n. 53/10 del 27/12/2007, da raggiungere progressivamente entro il 2012, secondo la seguente scansione temporale:

• 40 % al 31/12/2008, • 60 % al 31/12/2010, • 70 % al 31/12/2012.• 50 % al 31/12/2009, • 65 % al 31/12/2011,

Stanti i valori guida stabiliti dalla Regione, va precisato che i limiti imperativi stabiliti dalla normativa statale (D.Lgs. n. 152/2006, legge n. 296 del 27/12/2006), risultano i seguenti:

• 45% al 31/12/2008, • 60% al 31/12/2011,

• 50% al 31/12/2009, • 65% al 31/12/2012.

La scansione stabilita dagli indirizzi regionali risulta in difformità rispetto a quanto riportato nella norma-tiva statale solo per il 2008, in quanto l’obiettivo del 45% risulta tropo ravvicinato per il suo raggiungi-mento nell’intero territorio regionale. Le linee di indirizzo risultano invece più restrittive per le ultime sca-denze temporali, nelle quali vanno comunque rispettati i limiti imperativi fissati dalla normativa statale.

5. Rispettare gli obiettivi previsti dal Piano Regionale di Gestione dei Rifi uti Urbani in materia di Rifi uti Urbani Biodegradabili (RUB), rifi uti di imballaggio, Rifi uti da Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche (RAEE).Il Piano Regionale di Gestione dei Rifiuti Urbani recepisce gli obiettivi specifici stabiliti dalle norme na-zionali e comunitarie inerenti i rifiuti biodegradabili, i rifiuti di imballaggio ed i rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche. In particolare:

• Per i rifiuti biodegradabili è necessario rispettare le prescrizioni del D. Lgs. n. 36/2003 alle varie scadenze temporali: - limite massimo di 173 Kg/ab/anno (Marzo 2008), - limite massimo di 115 Kg/ab/anno (Marzo 2011), - limite massimo di 81 Kg/ab/anno (Marzo 2018).

• Per gli imballaggi è necessario rispettare gli obiettivi precisati nell’allegato E al D.Lgs n. 152/2006, conseguenti alle disposizioni comunitarie di cui alla Direttiva 2004/12/CE, ovvero garantire che entro il 31/12/2008 almeno il 60% in peso dei rifiuti di imballaggio sia recuperato o incenerito e che entro la stessa data sia garantito l’avvio a riciclo di almeno il 55% in peso dei rifiuti di imballaggio con i seguenti obiettivi minimi di riciclaggio per i vari materiali: - 60% in peso per il vetro, - 60% in peso per la carta e il cartone, - 50% in peso per i metalli, - 26 % in peso per la plastica, - 35 % in peso per il legno.

• Per i rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche provenienti dai nuclei domestici è ne-cessario rispettare le prescrizioni del D. Lgs. n. 151/2005 che, tra le altre, indica il raggiungimento entro il 31.12.2008 di un tasso di raccolta separata pari almeno a 4 kg in media per abitante all’anno.

1. Censire i rifi uti prodotti e ottimizzare la raccolta differenziata.Conoscere quali sono i rifi uti prodotti nell’ambito della propria attività, sia all’interno degli uffi ci che in altre strutture come mense, scuole, ecc. Censire i punti “critici” in funzione della quantità e qualità dei rifi uti prodotti (ad esempio produzione di rifi uti organici in mensa; oppure di plastica e/o lattine da distributori automatici, carta negli uffi ci, imballaggi vari nei magazzini) e allestirli con opportune attrezzature per la raccolta differenziata (contenitori separati e facilmente associabili al tipo di rifi uto cui sono destinati). Prevedere modalità di differenziazione effettive, cioè coerenti con il sistema in vigore nel proprio Comune e che possano quindi portare ad un effettivo recupero dei materiali.Nella defi nizione dei contratti per la pulizia dei locali, assicurarsi di inserire clausole che prevedano lo svuotamento dei contenitori in modo differenziato secondo le modalità e le regole previste.

2. Promuovere la raccolta differenziata.Analizzare i risultati in termini di qualità e quantità dei rifi uti urbani raccolti nell’ambito del proprio territorio e valutare possibili azioni di ottimizzazione o modifi ca dei sistemi di raccolta. Prima di intra-prendere tali azioni confrontarsi con gli enti preposti (Province e Regione) sull’esistenza di linee guida, prescrizioni vincolanti o incentivi in relazione alle modalità di organizzazione del servizio di raccolta differenziata e dei relativi risultati.

3. Gestire correttamente l’ecocentro.Se presente, analizzare i dati relativi ai quantitativi e alle tipologie di rifi uti conferiti in ecocentro al fi ne di individuare eventuali problematiche (scarsa intercettazione; ingenti quantitativi che vengono avviati a smal-timento anziché a recupero; orario di apertura insuffi ciente; mancanza di controllo degli accessi, ecc.).Se non esiste l’ecocentro, valutare la possibilità di attrezzare il proprio Comune, previa verifi ca con gli enti sovraordinati in merito all’esistenza di linee guida, prescrizioni o incentivi per la realizzazione o gestione di tali strutture.

4. Ridurre la produzione di rifi uti in mensa.• Prevedere l’utilizzo di stoviglie lavabili, o preferire stoviglie “usa e getta” in materiale biodegradabile, per servire i pasti;• Attrezzare le mense con distributori d’acqua collegati alla rete idrica;• Preferire l’utilizzo di salviette e tovagliette in carta riciclata;• Attrezzare le mense con contenitori per la raccolta del rifi uto organico da avviare al compostaggio domestico attraverso l’utilizzo di compostiere;• Prevedere circuiti di recupero e distribuzione agli indigenti delle eccedenze alimentari prendendo contatti con associazioni locali (Caritas, ecc.).

Livellogestionale

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5. Ridurre la produzione di rifi uti in uffi cio.• Prevedere, per le strutture di propria responsabilità-competenza, modalità di archiviazione e trasmissione dei documenti in formato elettronico;• Prevedere l’utilizzo di carta da stampa riciclata;• Prevedere l’utilizzo di carta riciclata anche per usi igienici;• Prevedere l’adesione a programmi per il riutilizzo e riciclo dell’apparecchiatura hardware: il noleggio può essere un’alternativa effi ciente da prendere in considerazione per garantire il recupero dell’hard- ware e la disponibilità di apparecchiature più effi cienti;• Prevedere il riutilizzo e il riciclo di alcuni prodotti di consumo come le cartucce e i toner di stampanti, fax e fotocopiatrici;• Verifi care la compatibilità con l’utilizzo di carta riciclata di stampanti, fax e fotocopiatrici;• Nella scelte delle apparecchiature considerare: la durata di vita, la disponibilità di ricambi e la possibi- lità di disassemblaggio dei diversi materiali e componenti.• Nell’acquisto di arredi e complementi d’arredo privilegiare: - I prodotti realizzati in materiali riciclati in particolare per i componenti contenenti parti in legno, metallo o materiale plastico, - I prodotti non trattati con sostanze nocive o pericolose soprattutto nei processi di fi nitura, rivestimento o protezione, - La possibilità di disassemblaggio dei diversi materiali e componenti a fi ne vita per il recupero dei materiali.• Preferire distributori di bevande che utilizzano bicchieri “usa e getta” in materiale biodegradabile;• Attrezzare il luogo di lavoro con distributori d’acqua collegati alla rete idrica;• Evitare prodotti e alimenti confezionati con imballaggi superfl ui.

6. Verifi care le modalità di pulizia dei locali al fi ne di ridurre la produ-zione di rifi uti pericolosi.Nella defi nizione degli appalti per la pulizia dei locali, prevedere clausole per l’utilizzo di prodotti a ridotto impatto ambientale per ridurre la produzione di rifi uti pericolosi:• Esclusione di prodotti e ingredienti pericolosi (tossici, corrosivi, nocivi, ecc.);• Utilizzo di prodotti rapidamente biodegradabili ed ecologici.

7. Formare il personale.Particolare importanza riveste la formazione e l’informazione del personale, sia per quanto riguarda le procedure di acquisto, i criteri per la selezione dei fornitori e la tipologia dei materiali, sia riguardo le procedure e le modalità di fruizione dei prodotti ecosostenibili. Ad esempio:• Prevedere l’organizzazione di moduli formativi periodici;• Divulgare le informazioni attraverso la rete internet o intranet;• Predisporre dei capitolati di gara “tipo” da mettere a disposizione in rete;• Prevedere l’affissione di cartelli, o di adesivi sui contenitori, con le istruzioni corrette per la raccolta differenziata.

8. Promuovere iniziative e campagne sulla riduzione dei rifi uti da pro-porre alla cittadinanza.• Attivare sportelli informativi e organizzare eventi pubblici sul tema del GPP (Green Public Procurement);• Attivare campagne di promozione del compostaggio domestico attraverso formule di incentivazione come la fornitura gratuita della compostiera;• Prevedere l’attivazione di circuiti per il vuoto a rendere soprattutto per il latte coinvolgendo rivenditori locali o attraverso la dislocazione sul territorio di distributori automatici;• Promuovere presso gli asili nido o attraverso incontri pubblici l’utilizzo di pannolini lavabili.

Livellooperativo

1. Attuare correttamente la raccolta differenziata.Nell’ambito delle proprie strutture e sedi, operare la differenziazione dei rifi uti secondo le modalità previste e utilizzando le attrezzature a disposizione. Per quanto riguarda il servizio ai cittadini, accompagnare sempre le modifi che al servizio di raccolta con opportune campagne di informazione e comunicazione. Nella fase di avvio del servizio, in particolare in caso di raccolte di tipo domiciliare: • Prevedere un’indagine accurata delle utenze presenti sul territorio al fi ne di defi nire in modo puntuale il dimensionamento dei contenitori per la raccolta differenziata da consegnare e esigenze specifi che di particolari utenze o categorie di utenze (in particolar modo condomini e utenze non domestiche); • Accompagnare la distribuzione dei contenitori ad una campagna di comunicazione puntuale che raggiunga tutte le utenze.

2. Ridurre la produzione di rifi uti in uffi cio.• Stampare fronte e retro i documenti;• Riutilizzare i fogli già stampati su un lato, per la stampa di documenti ad uso interno;• Evitare di stampare e-mail e documenti di piccole dimensioni: consultarli in formato elettronico;• Se non necessario, evitare di stampare l’intero documento, ma selezionare per la stampa solo le pagine interessate;• Riutilizzare le buste usate per la posta interna, scrivendo sulle buste con la matita per poter cancellare e riscrivere;• Per l’invio dei fax, utilizzare più volte la copertina scrivendo a matita;• Ridurre il consumo di cartucce per stampante utilizzando la modalità a bassa risoluzione e/o prevedendo l’utilizzo di cartucce per stampa rigenerate;• Privilegiare l’uso di matite colorate, al posto di evidenziatori, in quanto contengono solventi; per lo stesso motivo limitare l’uso del bianchetto;• Usare prevalentemente matite, evitando così l’impiego di penne che, oltre a contenere l’inchiostro, sono di plastica.

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1. La certifi cazione energetica degli edifi ci.Ai fi ni della pianifi cazione e anche del rilascio del permesso di costruire, è bene verifi care la normativa vigente in tema di certifi cazione energetica dell’edifi cio. La certifi cazione energetica degli edifi ci, quale strumento di conoscenza del livello di consumo di energia nelle abitazioni, è stata introdotta in Italia dalla Legge n. 10/1991. I Decreti Legislativi 192/2005 e 311/2006 hanno stabilito che tale certifi cazione è obbligatoria. La normativa relativa a tale materia tuttavia è ancora in itinere, come riportato anche nel manuale. Anche se gli edifi ci in Sardegna non hanno ancora l’obbligo della certifi cazione energetica, perché si attende l’uscita di linee guida che stabiliscano le modalità con cui vengano fi ssate le varie classi, un Ente locale può promuovere una certifi cazione volontaria. In tal caso occorre che l’Ammi-nistrazione locale stabilisca le regole di certifi cazione.

2. Favorire l’architettura bioclimatica.Con il termine architettura bioclimatica si intende una costruzione generata da una specifi ca metodologia di progettazione in grado di utilizzare l’apporto delle fonti energetiche ambientali, nel pieno rispetto dei cli-mi locali, garantendo il mantenimento delle condizioni di benessere e di funzionamento interno. Per poter parlare di edifi cio bioclimatico devono essere rispettati alcuni canoni progettuali di carattere generale:• rispetto dell’ambiente;• riduzione al minimo dell’uso delle risorse inquinanti;• uso di materiali biocompatibili (bioedilizia);• mantenimento di un buon livello di comfort e salubrità degli ambienti;• riduzione del consumo energetico e sfruttamento di energie rinnovabili;• risparmio nei costi di manutenzione.

3. Utilizzare la fonte solare tramite conversione fotovoltaica.Per quanto riguarda gli impianti fotovoltaici, è bene prevedere l’installazione di pannelli fotovoltaici sulle coperture degli edifi ci pubblici.Il costo per la realizzazione di un impianto fotovoltaico è ancora piuttosto elevato, ma diventa economi-camente conveniente quando intervengono forme di incentivazione fi nanziaria come il Conto Energia, che tra l’altro prevede premi più alti per impianti installati presso scuole o strutture sanitarie pubbliche.

Livello di

pianifi cazione

4. Sistemi di riscaldamento da fonte solare e biomasse.Per quanto riguarda gli impianti solari termici:• le possibilità applicative vanno valutate considerando che la resa dell’impianto è tanto maggiore quan-to più bassa è la temperatura che si richiede;• l’impianto funziona in modo ottimale quando il calore prodotto viene completamente consumato: la soluzione ideale è rappresentata quindi da un’utenza che ha una richiesta di energia termica abbastanza regolare nell’arco dell’anno, ad esempio piscine, palestre, ecc. ;• può essere interessante valutare la possibilità di integrare l’impianto solare termico con una caldaia a biomassa: la disponibilità di biomassa deve essere tale da garantire l’autosuffi cienza energetica.

5. Utilizzare la fonte eolicaLa Sardegna rappresenta una Regione ad elevata ventosità, pertanto tale tecnologia risulta molto ap-petibile. I moderni impianti eolici presentano un tempo di ritorno energetico tra i più bassi tra i sistemi di produzione di energia elettrica. Il problema maggiore è sicuramente rappresentato dall’impatto am-bientale; a tal proposito la Regione ha svolto uno studio per l’individuazione di opportune aree dove installare gli impianti eolici (Studio per l’individuazione delle aree in cui ubicare gli impianti eolici - Art. 112 delle Norme tecniche di attuazione del Piano Paesaggistico Regionale). Nello studio si fa riferimento anche al caso di impianti di piccola potenza realizzati da parte di Enti Locali.

6. Azioni per la promozione delle fonti rinnovabili.La produzione di energia da fonti rinnovabili deve essere fortemente legata al territorio e diventare elemento di sviluppo.Oltre alle risorse di cui le Amministrazioni locali possono disporre, risulta interessante e conveniente favorire nel proprio territorio l’investimento di terzi (aziende private o a partecipazione pubblica) nel settore delle rinnovabili. A tale riguardo occorre pianifi care e standardizzare le procedure per le autoriz-zazioni riguardanti le installazioni delle rinnovabili all’interno delle zone di pertinenza. Inoltre è utile prevedere dei servizi di informazione alla cittadinanza riguardanti i vantaggi delle rinno-vabili, le incentivazioni disponibili, nonché gli eventuali obblighi introdotti dalla legislazione in merito all’utilizzo delle rinnovabili. Infi ne, le Amministrazioni locali possono diventare punto di riferimento per creare ad esempio dei grup-pi di acquisto, in modo da abbassare il prezzo da pagare per l’investimento in sistemi ad energia rinno-vabile. Esempi di azioni di questo tipo in Sardegna sono già presenti nel campo dei sistemi fotovoltaici.

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Livellooperativo

1. Utilizzare correttamente computer, stampanti e fotocopiatrici perridurre il consumo di energia.È bene prestare attenzione all’uso degli apparecchi in ufficio:• spegnere il computer, il monitor e la stampante locale durante la pausa pranzo e alla fine dell’orario di ufficio;• utilizzare preferibilmente la stampante di rete;• inserire l’opzione stand-by dopo l’uso della fotocopiatrice e spegnerla alla fine dell’orario di ufficio;• non lasciare in stand-by apparecchiature quali scanner, dischi esterni, casse acustiche e assicurarsi che il led luminoso sia spento.

2. Ridurre i consumi di illuminazione e climatizzazione.Risparmi di energia si possono ottenere anche attuando i seguenti comportamenti: • se possibile, privilegiare l’illuminazione naturale e spegnere le luci quando non servono;• in inverno non mantenere una temperatura interna superiore a 19-20°C;• in estate non mantenere una temperatura interna inferiore a 24-25°C (non più di 8°C al di sotto della temperatura esterna);• regolare il climatizzatore in modo che sia acceso solo per il tempo in cui è effettivamente necessario e spegnerlo prima di uscire dall’ufficio;• utilizzare abbigliamento leggero nel periodo estivo, evitando il ricorso a giacca e cravatta.

3. Adottare semplici abitudini per contribuire a ridurre l’inquinamento.Ci sono diverse piccole azioni che si possono fare per ridurre il consumo di energia dovuto ai nostri spostamenti:• privilegiare le scale rispetto all’ascensore;• preferire i mezzi di trasporto pubblico;• utilizzare quando è possibile la bicicletta;• organizzarsi con i colleghi per spostarsi con un’unica auto, sia per i viaggi casa-ufficio, che per gli appuntamenti di lavoro.

Livello

gestionale

1. Ridurre il fabbisogno di riscaldamento.Il fabbisogno termico è dovuto principalmente alla necessità di riscaldamento degli spazi abitativi e alla produzione di acqua calda sanitaria. Pur mantenendo lo stesso livello di comfort è possibile diminuire drasticamente i consumi termici attraverso interventi che rendano più effi ciente l’involucro edilizio.Altri interventi di miglioramento dell’effi cienza energetica riguardano la sostituzione degli impianti ter-mici con sistemi a maggiore effi cienza, come pompe di calore e caldaie a condensazione, oppure l’uti-lizzo di sistemi solari termici.

2. Ridurre il fabbisogno elettrico.Il fabbisogno elettrico civile è per la maggior parte legato all’illuminazione e all’alimentazione di apparec-chiature per la climatizzazione. Una maggiore effi cienza può essere raggiunta ad esempio con una migliore tecnologia per i corpi illuminanti (lampade ad alta effi cienza). Inoltre, vanno possibilmente sostituite le utenze termiche alimentate a resistenza elettrica, utilizzando al loro posto sistemi solari termici, pompe di calore e caldaie a condensazione.

3. Promuovere una corretta gestione energetica degli impianti.La Legge 10/1991 prevede la presenza di un “energy manager” all’interno dell’Amministrazione che gestisce e controlla gli edifi ci e gli impianti, con la raccolta e l’analisi dei dati sui consumi energetici. In tal modo è possibile una supervisione degli edifi ci e degli impianti, permettendo di conseguire possibili politiche di risparmio energetico, attraverso l’analisi degli audit energetici che consentono non solo di identifi care i percorsi gestionali maggiormente rispettosi dell’ambiente, ma anche di identifi care le pos-sibili aree di miglioramento (impiantistico, gestionale, ambientale).

4. Ottimizzare l’illuminazione pubblica e degli ambienti interni.Nella progettazione dell’illuminazione pubblica, utilizzare vetri curvi che consentono da un lato di rispar-miare energia e dall’altro di aumentare l’interdistanza degli apparecchi e quindi di ridurre i costi iniziali di installazione.Si possono inoltre sostituire le tipiche lampade al mercurio con le lampade al sodio o a ioduri metallici, sorgenti di dimensioni minori e quindi più facilmente direzionabili, più effi cienti e con più lunga durata, riducendo così i costi di manutenzione. E’ da preferire l’installazione di LED che permettono di ridurre le potenze installate, non rifl ettono la luce nella parte posteriore e permettono di direzionare la luce dove si desidera. Infi ne, sono da prevedere sistemi di telecontrollo per monitorare gli impianti di illuminazione pubblica, impostando la regolamentazione del fl usso luminoso in base al traffi co e all’orario.Per ottimizzare l’illuminazione degli ambienti interni si possono adottare sistemi per l’utilizzo dell’illumi-nazione naturale e la gestione della illuminazione artifi ciale, come negli esempi riportati nel manuale.

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Ambito territoriale: tutte le otto province

Periodo di attuazione: anno 2008

Gli obiettivi• elevare il livello medio di percezione dei problemi ambientali nella intera collettività regionale• modifi care i comportamenti mediante una maggiore conoscenza delle emergenze ambientali

La fi losofi a• copertura totale del territorio• generalità dei temi ambientali trattati• trasversalità delle azioni di comunicazione e coinvolgimento• trattazione di argomenti specifi ci e di esperienze reali

• le fonti energetiche• la gestione integrata dei rifi uti

COINVOLGIMENTO• laboratori • forum

Materiali di educazione e di supporto

Temi trattati

INFORMAZIONE

• distribuzione manuali, guide e vademecum• campagna radio televisiva• affi ssione statica in tutti i comuni• affi ssione dinamica nei centri maggiori• comunicati stampa• bacheche

www.infosardegnasostenibile.it

• la rete ecologica regionale• la gestione della risorsa idrica• la difesa del suolo

SARDEGNA SOSTENIBILEper la Pubblica Amministrazione

• poster• sito internet• approfondimenti• normative• bibliografi a• fi lo di Arianna• albo d’oro • test e questionari

• convegni

“PROGRAMMA GALAPAGOS“ Progetto cofi nanziato dall’Unione Europea mediante il Fondo Sociale Europeo (FSE) POR SARDEGNA 2000- 2006 Asse I – MISURA 1.8 AZIONE B INFOAMB UNIONE EUROPEA REGIONE AUTONOMA DELLA SARDEGNA