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SOMMARIO FILM ANALISI HOME VIDEO «Perché cercare altrove?» di Nicola Varcasia Le «gang» del Multiplex di Nicola Varcasia Chicago di Raffaella Giancristofaro Bowling a Columbine di Matteo Columbo Io non ho paura di Silvia Colombo La nestra di fronte di Federico Calamante Ubriaco d’amore di Barbara Frigerio People I know Signs Spider di Alessandro Franzini ITINERARI MEDIALI ANNO IV MAGGIO/GIUGNO 2003 N.3 Spedizione in abb. postale 45% Art. 2 comma 20/b Legge 662/96 Filiale di Torino Registrazione Tribunale di Roma n. 567/99 del 1-12-1999 Direttore responsabile: Dario Edoardo Viganò Direzione e redazione: ACEC Via Nomentana, 251 00161 Roma Tel. 06.440.2273 Fax 06.440.2280 [email protected] www.acec.it Editore: Effatà Editrice Via Tre Denti, 1 10060 Cantalupa (To) Tel. 0121.353.452 Fax 0121.353.839 [email protected] www.effata.it Hanno collaborato: Federico Calamante, Silvia Colombo, Matteo Columbo, Mario Dal Bello, Oddone Demichelis, Roberto Falciola, Alessandro Franzini, Barbara Frigerio, Raffaella Giancristofaro, Stefano Gorla, Enrica Mancini, Guido Michelone, Dimitri Papanikas, Federico Pontiggia, Giorgio Simonelli, Matteo Torterolo, Aldo Maria Valli, Nicola Varcasia Grafica: Claudio Bellini Stampa: Tipografia Stargrafica Grugliasco (To) Canone di abbonamento: Una copia: K 6,20 Annuo (6 numeri): K 26,00 Abbonamento Itinerari Mediali + Filmcronache: K 41,60 Versamento su c/c postale n. 33955105 intestato a: Effatà Editrice Via Tre Denti, 1 10060 Cantalupa (To) 23 33 55 RUBRICHE 5 SAGGI Mohammed Alì non la spunta sui Monster di Nicola Varcasia 14

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SOMMARIO

FILM ANALISI

HOME VIDEO

«Perché cercare altrove?»di Nicola Varcasia

Le «gang» del Multiplexdi Nicola Varcasia

Chicagodi Raffaella Giancristofaro

Bowling a Columbinedi Matteo Columbo

Io non ho pauradi Silvia Colombo

La nestra di frontedi Federico Calamante

Ubriaco d’amoredi Barbara Frigerio

People I know

Signs

Spiderdi Alessandro Franzini

ITINERARI MEDIALI

ANNO IVMAGGIO/GIUGNO 2003 N.3

Spedizione in abb. postale 45% Art. 2 comma 20/bLegge 662/96Filiale di TorinoRegistrazione Tribunale di Roman. 567/99 del 1-12-1999

Direttore responsabile:Dario Edoardo Viganò

Direzione e redazione:ACECVia Nomentana, 25100161 RomaTel. 06.440.2273Fax [email protected]

Editore:Effatà Editrice Via Tre Denti, 110060 Cantalupa (To)Tel. 0121.353.452Fax [email protected]

Hanno collaborato:Federico Calamante, Silvia Colombo, Matteo Columbo, Mario Dal Bello, Oddone Demichelis, Roberto Falciola, Alessandro Franzini, Barbara Frigerio, Raffaella Giancristofaro, Stefano Gorla, Enrica Mancini, Guido Michelone, Dimitri Papanikas, Federico Pontiggia, Giorgio Simonelli, Matteo Torterolo, Aldo Maria Valli, Nicola Varcasia

Grafica: Claudio BelliniStampa: Tipografia StargraficaGrugliasco (To)

Canone di abbonamento:Una copia: 6,20Annuo (6 numeri): 26,00Abbonamento Itinerari Mediali + Filmcronache: 41,60Versamento su c/c postale n. 33955105 intestato a: Effatà Editrice Via Tre Denti, 110060 Cantalupa (To)

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RUBRICHE

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SAGGI

Mohammed Alìnon la spunta sui Monsterdi Nicola Varcasia

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FUMETTO

TEATRO

MUSICA

TELEVISIONE

NEW MEDIA

LIBRI

Le «gang» del Multiplexdi Nicola Varcasia

Castigat ridendo moresdi Stefano Gorla

Il ritorno di Caligola e l’attualità diAlbert Camus nel teatro contemporaneodi Matteo Torterolo

My name is Pasquale! (Nicola Arigliano)Controllo del livello di rombo (Subsonica)di Guido Michelone

Guerredi Giorgio SimonelliGuerra e TVdi Aldo Maria Valli

Bergamo Film Meeting 2003di Federico Pontiggia

AVVENIMENTI

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Bidibibodibu...La formula magica per conoscerela lingua italiana giocandodi Enrica Mancini

Andrej Konchalovskij. I lm il cinemaNicolas Philibert. I lm il cinemadi Roberto Falciola

Il violinista sul tetto.Dal musical Fiddler on the roof di Joseph Steindi Dimitri Papanikas

72 RADIOAudiradio. Indagine sull’ascolto radiofonicodi Oddone Demichelis

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Editoriale

Dario E. Viganò

I saggi di questo numero di «Itinerari Mediali» sono dedicati a sondare le diverse modalità di fruizione dello spettacolo cinematografico che si sono delineate con l’avvento di alcune importanti novità. Un unico autore, Nicola Varcasia, ha approfondito il tema con un metodo che si potrebbe definire inchiesta commen-tata, andando a raccogliere di prima mano una sorta di fenomenologia del con-sumo cinematografico nei luoghi in cui oggi esso avviene.

Tre sono i versanti dell’indagine. Si apre con i multiplex, che hanno preso piede in molte località italiane, stabilendo delle cattedrali dell’intrattenimento in cui la sala cinematografica si frammischia con il centro commerciale, e le strategie di attrazione degli spettatori e di gestione del loro afflusso lasciano intravedere una consapevole mistura tra innovazione tecnologica e disservizio, tale da provo-care una gravitazione delle persone intorno al centro di consumo con un indotto economico non indifferente. Nello spettatore si ingenera perciò uno slittamento dall’andare a vedere un certo film (visto che spesso questo obiettivo può rivelarsi irraggiungibile) all’andare al cinema (poiché, comunque, uno spettacolo lo si vedrà).

Il secondo saggio si occupa dell’home cinema, cioè della fruizione domestica, più o meno tecnologicamente avanzata ma caratterizzata da un tratto di socia-lizzazione nettamente più spiccato, con la gettonatissima possibilità del «com-mento in diretta» a farla da padrone nei pomeriggi e serate trascorse in famiglia o tra amici.

Il terzo saggio infine è dedicato al presente e al futuro delle monosale, quei cinema che mantengono per scelta il volto della sala classica, e che dimostrano una insospettata vitalità, oggetti di predilezione da parte di una consistente fetta di pubblico desiderosa di attingere allo spettacolo cinematografico in un ambiente più a misura di persona, con la possibilità di una relazione più forte con la sala, i valori che ne guidano la programmazione e le persone che la frequen-tano.

IL CONSUMO DEL CINEMA TRA MULTISALE, CINEFORUM E VISIONE DOMESTICA

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14 Itinerari Mediali Maggio-Giugno 2003

MOHAMMED ALÌ NON LA SPUNTA SUI MONSTER

Un film visto a casa non è mai lo stesso film visto al cinema. Sono in molti a pensarla così, forse tutti quelli che almeno una volta hanno organizzato o partecipato ad una serata con gli

amici per gustare una videocassetta. Una prima differenza è, natu-ralmente, la grandezza dello schermo. Seguono la qualità dell’im-magine e le altre differenze tecniche, da un lato, e il diverso contesto sociale, dall’altro: al cinema ci si trova in un posto pubblico mentre a casa, per definizione, no. Ma a prescindere da queste considerazioni, due modi così diversi di vivere il film fanno capo a due esperienze che in comune hanno ben poco. Eccezion fatta, s’intende, per il fatto di vedere un film.

D’altra parte, l’idea stessa del cinema in casa non è solo una trovata di marketing delle grandi aziende per vendere un numero maggiore di impianti home theatre, ma è una tendenza che si sta affermando praticamente ovunque nel nostro Paese. È sufficiente per questo dare uno sguardo alla composizione delle liste nozze delle giovani coppie o alla crescita esponenziale della penetrazione dei lettori DVD nelle case degli italiani: in entrambi i casi si parla di incrementi a doppia cifra negli ultimi tre anni.

Che cosa accade quando la sala da pranzo si trasforma in una sala cinemato-grafica? Come si modificano i comportamenti degli spettatori casalinghi? Queste pagine non intendono fornire una risposta teorica. Semplicemente raccontano le suggestioni accadute durante due serate trascorse tra alcuni amici, finite un po’ per caso e un po’ per scelta a vedere un film.

I. FINO ALL’ULTIMO ROUND«Ma con tutti i film che ci sono in giro proprio questo dovevi scegliere? Lo sai, no, che il pugilato non mi piace?».

Saggi

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«Cara, preferivi forse Evolution? Oppure L’era gla-ciale?».

«Vabè, vabè allora bec-chiamoci sto Alì, speriamo almeno che non sia la solita menata».

Da incorniciare. La serata a casa di Gianni comincia così, «ma non ci fare caso, tanto ha sempre qualcosa da ridire sui film che prendo».

«Ci credo tu vai a vedere Mortal Kombat e la Famiglia Addams, e se te li perdi li noleggi appena escono».

«Invece a te piace la roba tipo Le onde del destino e via lacrimando: ma come si fa a vedere solo i mattoni? Pippo lo diceva sempre: il cinema deve emozionare, mai far piangere».

Niente paura, sono solo dei siparietti in stile Sandra e Raimondo, saranno uno dei tormentoni di tutta la visione. «Il bello di vedere il film a casa è che ci si può scherzare su, non è vero?». Certo, soprattutto quando i due bebè sono a letto e più di tanto rumore non si può fare. «E allora che cosa c’è di meglio di una bella videocassetta?».

I protagonisti di questa storia sono Gianni ed Elisabetta, sposati da sei anni, con due figli di cinque e due anni. Abitano in zona Farini a Milano. Mi hanno invitato a vedere un film da loro insieme ad altri due amici: Dorian e Matteo. Ma non sanno che più del film per me sarà interessante notare il contorno, i comportamenti, le battute che la visione provocherà.

Tutto comincia un’oretta prima del-l’accensione del vide-oregistratore, verso le 20,30. Bisogna noleg-giare la videocassetta. «Andiamo noi tre, così scegliamo bene». «Ci conto», dice Elisabetta,

L’idea del cinema in casa è una tendenza

che si sta affermando praticamente

ovunque nel nostro Paese

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anche se andrà a finire come sappiamo. La videoteca è poco distante. «Le prime visioni ci sono ma ha anche tutti quei

film che da Block Buster non trovi. Per tutto ciò che non è prima visione è il mas-simo: mi viene in mente un film che mi sono perso e spesso lì lo trovo. Giovanna d’Arco, non quello famoso, ce l’aveva solo lui. All’Odeon c’è stato appena una settimana e poi è scomparso. Peccato, era veramente un bel film», dice Gianni, interrotto da Matteo: «Ma siamo veramente sicuri di ciò che stiamo per fare? Mi hanno detto che è una celebrazione acritica del mito di Alì». «Chi, quello dei quaranta ladroni? Non è meglio Amore a prima svista?». «Ma dai, piuttosto rive-diamo Notting Hill, così tua moglie è contenta. Comunque grazie per aver detto “acritica”». Il conciliabolo prosegue davanti allo screen della videoteca un po’ tra il serio e il faceto, ma la storia del pugile vince al ballottaggio contro L’Uomo Ragno: non tutti avevamo voglia di rivederlo.

È una fredda serata di gennaio. Intorno al negozio altri due ragazzi si accin-gono a noleggiare il loro film. «All’Alcatraz ci sarà il solito casino, stasera danno un concerto». «Chi suona?». «Mah, son giovani, non li conosco». «Sta a vedere che ci sono Paola e Chiara e noi non lo sapevamo…».

ATTORI O SPETTATORI?Si rientra, tutto è pronto. Pietro e Francesca sono già nel mondo dei sogni. Il soggiorno si è rivestito dello scenario da film. «Come ci mettiamo, hai preso la sedia comoda? Tu e Nicola vi mettete lì. Dorian e Matteo vicino al tavolo, Gianni ed io sul divano».

«Hai capito i padroni di casa, si beccano i posti migliori», incalza Dorian. «Così almeno se dormo non rompete», risponde Elisabetta. «Ma che dormire e dormire, vedrai, ti terrà incollata allo schermo, anzi vorrai

conoscere Don King», replica Gianni. Io chiedo: «Ma perché c’era già Don King negli anni ’60?». Pronta la risposta: «Ma con chi è che passo il tempo, Don King arriva alla fine, nell’ultimo incontro, quello contro Foremann, nel ’74». Dorian: «Allora sai tutto!». Ed Elisabetta: «Beh, se sai già come va a finire quasi quasi raccontacelo e poi vediamo qualcos’altro». Silenzio. «Vabè, scherzavo».

Urge una mozione d’ordine: «Ragazzi, se continuiamo così non arriveremo mai alla fine. Allora, cominciamo?». «Ah, perché, quello non è già il film?». Risata generale, in realtà il televisore era ancora spento.

Partono i titoli iniziali. «Chi è questo Michael Mann?». «Il regista». «Grazie, questo si era capito». «È quello di Heat, la sfida, con Al Pacino e De Niro insieme», riprende Gianni.

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«Ah, sì, ma non si inti-tolava Jackie Brown?». «Ma no, ma no, quello è di Tarantino e Al Pacino non c’è». «Oh, ma allora è vero che sa tutto», chiosa Dorian.

La luce del lampadario viene spenta. «L’altra lampada la teniamo?», chiede Gianni. «Lo chiede tutte le volte e poi la spegne, non farci caso» commenta Elisabetta. Effettivamente senza è meglio.

Il film apre con Cassius Clay che corre per strada indossando la classica felpa da pugile col cappuccio in testa. Fin dalle prime scene si capisce che il film non sarà dei più leggeri. Passa un’auto della polizia. «Già lo arrestano?», dice Dorian. «Guarda che è un mito, non me lo rovinare così», interviene Gianni, con il clas-sico tono da finto rimprovero. E il mito non delude. Il combattimento contro Sonny Liston del ’64 sta per lanciare il giovane Cassius ad appena ventitre anni sull’Olimpo dei pesi massimi. «Qualche domanda sfidante? – chiede l’arbitro – voglio un incontro leale…». «Io ce l’avrei una domanda: quando finisce?», dice Elisabetta. Risate. Il nostro eroe vince sorprendendo anche il buon Howard, il giornalista che scandirà a suon d’interviste esclusive la sua gloriosa ma travagliata carriera.

... E LA TORTA A MEPer me, che pur gustando il film lo guardo con un occhio particolare, è sorpren-dente constatare quanto in questa serata il commento in presa diretta diventi il fatto più atteso, come se fosse un necessario completamento del film. Come se le scene avessero bisogno di essere seguite e interpretate in modo nuovo e originale. Questo film, in particolare, offre poi lo spunto anche per accenni di discorso più impegnati. Come quando viene ucciso Malcom X, amico di Cas-sius, oppure quando al giovane pugile viene assegnato il nome di Mohammed Alì dalla Nazione Islamica, alla quale aveva aderito. Certo, il tipo di commenti dipende anche dal pubblico, in questo caso composto da persone colte, che non si lasciano sfuggire le provocazioni che il film vuole lanciare. Tuttavia il clima rimane allegro, quasi scanzonato. E poi, bisogna dirlo, la lentezza di certe scene si presta con facilità ad essere commentata ironicamente.

«Ma non ha mai perso?» ci si comincia a chiedere con insistenza. Qualche altro

È sorprendenteconstatare quanto ilcommento in presa

diretta diventiil fatto più atteso

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fotogramma e siamo subito accontentati. La sconfitta arriva ed è anche bruciante: Alì perde contro il gigante Freja, l’attuale campione in carica che gli consentirà di rimanere in gioco conce-dendogli anche la rivincita. In precedenza il nostro eroe raccontato da Mann si è reso renitente alla leva rifiu-tandosi di partire per il Vietnam, ha subìto il ritiro della corona di campione del mondo e ha divorziato dalla prima moglie.

«Beh, ha perso, festeggiamo?». La domanda era nell’aria perché la serata, oltre al film, prevede anche l’assaggio di un dolce preparato per l’occasione da Elisa-betta.

«Facciamo finire il primo tempo, che ne dite?», dice Gianni. «Ma no, lascia-molo andare avanti, tanto procede in tempo reale». Si decide però di spegnere, per non perdere troppo il filo.

«Certo che ’sti manager musulmani non ci fanno una gran figura, no? Quando va in rovina lo abbandonano al suo destino. Ma è andata davvero così?». «Busi-ness is business…», risponde Matteo.

«Per me non è vero». «Che cosa, che lo hanno abbandonato?». «No, non è vero che i Raleiani hanno clonato la bimba». Il commento, in apparenza non pertinente, è giustificato dal fatto che il giornale posto sul tavolo era aperto nelle pagine dedicate all’episodio che ha destato scandalo in tutto il mondo. «L’unica cosa che hanno clonato è il loro cervello, ma la quantità di intelligenza è rimasta invariata, così sono rimasti a secco», aggiunge Gianni prima di passare a tutti una fetta di torta. «Sì, penso anch’io che Cragnotti abbia fatto bene a dimettersi, e poi gliel’hanno imposto le banche per salvare la società». Le pagine sportive chiudono il giornale ed anche la meritata pausa.

«Foreman è al tappeto, Alì sale di nuovo sul tetto del mondo. Incredibile». Il caro vecchio Howard, il tempo è passato anche per lui, commenta «il match più bello della storia di questo sport» alla sua maniera.

«Forse era meglio andare al concerto di Paola e Chiara». «Ma non c’erano loro». «Appunto». E così, all’insegna del paradosso, finisce la serata: «Per favore,

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però, di Don King non voglio più sentir parlare», dice Elisabetta salutandoci e ricordando la battuta di qualche ora prima.

Un ultimo particolare: Gianni non ha ancora un lettore DVD e il film lo abbiamo guardato con una videocassetta tradizionale. La cronaca a questo punto si sposta a casa di Massimo, che ha ricevuto per Natale in dono un lettore DVD con l’offerta promossa da una nota catena di videonoleggio: un DVD gratis al giorno per un mese.

2. QUEI MOSTRI NON FANNO PAURAProvate ad avvicinarvi ad un Blockbuster una domenica qualsiasi tra le 18,00 e le 19,00; fermatevi un istante e ne vedrete delle belle. Noleggiatori solitari fanno a gara per districarsi tra i gruppi di cinque o sei persone, convinte che per scegliere il film giusto sia sufficiente essere in di più. «Beh, però così si evitano i doppioni, non succede spesso che qualcuno abbia voglia di rivedere un film già visto. Ci pensa già la vita ad essere ripetitiva». Spunta addirittura l’inquietudine esisten-ziale fra i commenti raccolti nel negozio di via Gran Sasso, a Milano. Il viavai di persone è foltissimo. La febbre del sabato sera sembra slittata di ventiquattro ore: a ognuno il suo film, quindi, non serve altro. «Sì, perché noi l’armamenta-rio di patatine varie ce l’abbiamo già pronto», dicono altri due ragazzi mentre si incamminano alla cassa. Gli impreparati dovranno invece accontentarsi dell’of-ferta proposta dal negozio che ha fatto del modello film+coca+patatine la sua bandiera.

Con Massimo e Simone, due amici fin dai tempi dell’università, mi accingo a noleggiare Monster&Co. Anche in questo caso, a loro insaputa, l’attenzione sarà rivolta principalmente alle scene reali e ai commenti in presa diretta che acca-dranno guardando il film.

Questi giorni di vacanza successivi al primo dell’anno hanno fatto venire voglia di giocare. «Meglio di Shrek non c’è nulla», ne è convinto Simone. «Avremo tutto il tempo di ricrederci», risponde Massimo. L’idea di concludere la giornata con un film è piaciuta subito a tutti. È venuta all’improvviso, come suc-cede spesso con le buone idee. La casa di Massimo non è molto grande, «ma ho fatto attenzione a disporre lo spazio in modo che ci stessero più persone comode possibile, quando si vedono i film». «Scientifico il ragazzo». «Ah, già stai andando via?». «No, volevo solo apparecchiare». La cena a base messicana passa tra i com-menti di calciomercato – «in mancanza del calcio giocato, meglio che niente» - e le proteste di Simone il quale non ama molto lo sport: «Svegliatemi quando inizia», dice sorridendo e facendo finta di addormentarsi.

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La storia di James P. Sul-livan e Mike Wazowski, la coppia di mostri più strana che si sia mai vista sugli schermi, è leggera e diver-tente. «Piace anche ai più grandini».«Sì, ma meglio di Shrek non c’è nulla». «Ma non l’ha già detto?». «Pian-tatela».

Si comincia. Anche qui lo scenario da home cinema ci ha subito coinvolti: luci spente, «ma lascio accesa quella dell’anticamera», spiega Massimo, come a dire che dopo varie prove la situazione-luci migliore è quella che ci ha appena propo-sto.

Dopo un po’ i «mostri eroi», come li ha definiti Massimo, hanno cominciato a scoprire che le risate dei bambini sono molto più efficaci delle urla. «Bisogne-rebbe dirlo ai vicini, quel povero bambino piange in continuazione». Il riferi-mento è ai rumori che provengono da qualcuno degli appartamenti al piano superiore.

«Certo che la piccola Boo ci sta alla perfezione nel mondo dei mostri. Tra tutti mi sembra il disegno più brutto». Bisogna sapere che Simone e Massimo sono entrambi appassionati d’arte: l’uno fa l’incisore di mestiere e l’altro ha fatto una tesi di laurea sul disegnatore Folon. Quindi mentre guardano il film lo giudicano anche tecnicamente. E vai con le consuete domande: «In quanti saranno ad aver fatto i disegni?». «Guarda che si fa tutto al computer». «Secondo me almeno due-cento». «Può darsi, ma la Marta lavora ancora alla Disney?». «Mah, non so, non l’ho più sentita, mi sa che ha cambiato».

E così tra un discorso, un MMn’s e la Caipirina preparata ad hoc prima del-l’inizio, la piccola Boo fa ritorno per sempre nel mondo degli umani.

FUORI PROGRAMMAMa a caratterizzare la serata non è stata tanto la semplice visione del film. Non è solo la storia a poter far appassionare. Grazie alla potenza del DVD anche tutto quello che le sta accanto può diventare l’occasione per passare ancora un po’ di tempo insieme. Infatti, il film, pur tra alterne fasi di commenti ed altre di silen-

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zio è volato via in fretta. Il bello in realtà è comin-ciato alla fine. Pensavamo di cavarcela rincasando abbastanza presto, ma poi non abbiamo resi-stito. Abbiamo «perso» quasi un’altra un’ora a giocare con il DVD.

«Dai, guardiamo le strade alternative, vai al menù principale». «Ma ancora non lo domini per niente ’sto affare». «Ecco,

da dove partiamo?». «Dai, clicca su “contenuti speciali”». Ed ecco cominciare con Il gioco della porta di Boo e le numerose scene scartate.

È come assistere ad un film nel film. «Dai, rivediamolo in inglese…». Risata.Prima di vedere Monster&Co, infatti, avevamo guardato con i sottotitoli in

madrelingua un paio di puntate del celebre telefilm Friends. Fra gli altri con-tenuti speciali Finding nemo è la presentazione del prossimo lungometraggio, mentre Pennuti spennati è uno spassoso cartoon con una simpatica gag nello stile del «chi la fa l’aspetti».

L’apoteosi del divertimento l’abbiamo raggiunta però durante La nuova mac-china di Mike, un condensato di battute vecchie e nuove: il mostriciattolo verde

con un occhio solo invita Sullivan a salire sul suo nuovo bolide, ma natural-mente non funziona nulla e l’apparecchio, coi suoi mille accessori impazziti, ha il sopravvento sui due malca-pitati amici. Mentre si ride vengono così alla mente tutte le volte che qualcuno di noi si è ritrovato in panne con l’automobile, oppure quando credendo di fare un

Senza quasi volerlo, durante la visione fra i partecipanti

si instaura un legame tra il lm e la situazione, che fa sentire complici

di ciò che staaccadendo sullo schermo

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colpaccio ha acquistato un bidone. «Mi ricorda da vicino la Renault 5 Turbo di qualcuno». «Quant’è che ti è durata?». «Non commento».

Si ritorna bambini, si manda indietro per cinque volte la stessa scena, si ferma un fotogramma con l’immagine più buffa. E poi si conclude con tutti gli altri numerosi Fuori scena ed i piccoli spezzoni da fuori programma. «Te lo riconsegno io?». «No, non fa niente, tanto domani vado a prenderne un altro, la pacchia del noleggio gratis scade fra un mese». «Sì, ma io domani mi rivedo Shrek!».

UN GUSTO IRRIPETIBILEC’è un aspetto per cui vale la pena di citare anche questi ultimi episodi e che li fa apparire significativi, al di là del fatto che, certamente, fanno parte della normalità di una qualsiasi serata tra amici.

Il punto è che senza quasi volerlo, durante la visione fra i partecipanti si instaura un legame tra il film e la situazione, che fa sentire complici di ciò che sta accadendo sullo schermo. Il mondo della visione si fonde con quello reale e il dialogo con i personaggi in presa diretta, che al cinema non può avvenire per ovvie ragioni, diventa qualcosa di naturale. In un certo qual modo li rende più veri, questi personaggi.

A questo proposito vien quasi da scomodare l’estetica gadameriana, quando nella prima parte di Verità e Metodo l’autore nota come la fruizione dell’opera d’arte renda l’opera stessa ancora più vera di quanto non lo fosse in rapporto al suo autore originario. Questo perché la visione consente il riaccadere di quel qualcosa di misterioso che possiamo definire il senso. Chissà se questo può valere anche per l’opera filmica, che è riproducibile infinite volte e quindi per defini-zione non è mai la stessa opera, almeno fisicamente? Un film visto a casa non è mai lo stesso film visto al cinema, si diceva all’inizio. E allora ogni commento e ogni sguardo della serata acquistano un sapore particolare, tipico delle cose irri-petibili.

Ma qui finisce la cronaca e cominciano le interpretazioni teoriche. Rimane comunque la magia del cinema. Anche di quello vissuto in casa.

Nicola VarcasiaGiornalista.

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L’antro cieco di una grotta da cui sollevare lo sguardo per trovarsi fuori, al sole, nel-

l’oro del grano e sotto l’azzurro del cielo. Nell’ascesi del primo movi-mento, l’ultimo film di Gabriele Sal-vatores già riassume l’intento che sorregge l’operazione, il nucleo poe-tico della sua narrazione.

Film Analisi

IO NON HO PAURA

(ITALIA, 2002)REGIA: Gabriele SalvatoresSCENEGGIATURA: Niccolò

Ammaniti, FrancescaMarciano, dal libro omo-nimo di Nicolò Ammaniti (Einaudi)

INTERPRETI: Aitana Sánchez-Gijón, Dino Abbrescia, Giorgio Careccia, Giuseppe Cristiano, Mattia Di Pierro, Diego Abatantuono

FOTOGRAFIA: Italo Petriccione MONTAGGIO: Massimo FiocchiMUSICA: Ezio Bosso, Pepo

SchermanPRODUZIONE: Colorado Film,

Cattleya, Alquimia Cinema, The Producers Film, Medusa

DISTRIBUZIONE: Medusa DURATA: 1h e 49’

IL MONDO DIVISO A METÀTratto dall’omonimo romanzo di Nic-colò Ammaniti e ambientato in un Sud archetipico, popolato da figure dall’im-mediato valore simbolico (il padre, la madre, il bambino), Io non ho paura racconta la storia di un ragazzino di dieci anni che vive con i genitori e la sorellina in un casolare sperduto di campagna. In un giorno d’estate, sco-razzando per i campi con gli amici, arriva in un casolare abbandonato dove

fa una scoperta sorprendente: in un buco nel terreno vive incatenato un bambino dai capelli biondi e occhi azzurri. Prima spaventato, e poi sempre più curioso, Michele scopre le vere ragioni dell’accaduto: l’intera comunità del paese è invischiata in un progetto di rapimento e nasconde il bambino in attesa di ricevere il riscatto.

Nel lavoro di messinscena, Gabriele Salvatores sviluppa un’unica idea e la

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Io non ho paura racconta la storia

di un ragazzino di dieci anni

che fa una scopertasorprendente

porta fino in fondo coerentemente, con rigore e consapevolezza. Il mondo è diviso in due: sotto la linea dell’oriz-zonte c’è un buco nero, popolato dalle creature del sottosuolo e della notte; esseri ciechi e urlanti che rivelano il volto mostruoso della materia corrut-tibile. Questo buco scavato nel sot-tosuolo è un motivo visivo dotato di ricchezza polisemica: ricettacolo della strega cattiva (la «madre in nero»), utero morto e infecondo che marcisce lentamente con tutti i suoi bambini mai nati. È la grotta dove vivono i mostri delle fantasie infantili, è lo spazio sotto il letto, è il buio dello sgabuz-zino dove si annida l’eterno «babau». È lo spazio della fiaba: luogo dell’in-terdizione, vietato agli occhi infantili, contrassegnato dal «no» imposto dal-l’educazione adulta. È il segreto che non bisogna violare, perché vedere significa diventare adulti. Ma questa grotta buia ricavata nelle viscere della terra è anche

spazio eminentemente teatrale: palco-scenico illuminato dall’alto e arredato con pochi oggetti di scena. Il nero del sipario dietro le spalle, una corda che cade dalle quinte, qualche straccio but-tato per terra, bastano ad indicare una situazione e un’atmosfera.

A questa bocca spalancata sull’in-ferno, dal quale ritornano i morti (paura atavica a cui l’episodio biblico di Lazzaro prima e la figura dello zombi poi ha dato raffigurazione) è contrap-posto un mondo superiore contrasse-gnato dalla luce: sotto il cielo volano e camminano gli animali diurni e ogni cosa è incisa nel disegno privo di ombre di uno zenit eterno e mediterraneo.

NASCITA E CREAZIONE«C’era una volta», «mille anni fa, o forse più», «al tempo che gli animali parlavano ancora», «una volta, in un vecchio castello nel cuore di un vasto e

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Fil

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fitto bosco»: sono tutti inizi che potreb-bero trasporre sulla pagina l’indeter-minatezza di tempo e di luogo del film di Salvatores. Molte sono le riso-nanze e le evocazioni; siamo di fronte ad uno spazio sincretico in cui con-vivono suggestioni psicanalitiche, fia-besche, oniriche e mitiche. Io non ho paura, proprio come le fiabe, racchiude significati palesi e insieme velati, rag-giunge la mente ineducata del bam-bino come quella dell’adulto. In questo modo, l’avvio del film è il gesto sem-plice e potente di Dio che crea il mondo e supera il caos separando «la luce dalle tenebre». Il gesto della divinità ripor-tato dalla Bibbia è quello primitivo del bambino, che per dare leggibilità alla sua visione del mondo divide ogni cosa in opposti.

Come un personaggio di un mito arcaico, Michele deve calarsi nel mondo degli inferi, affrontare le paure, andare incontro alla morte per poi tornare nel mondo dei vivi con una nuova consa-pevolezza e una più complessa visione della realtà e di se stesso. Il bambino chiuso nella grotta, invece, incarna gli stadi e le forme della paura della morte e del diverso: all’inizio è solo un «pezzo» di corpo, che la retorica horror prov-vede a smembrare, sollecitando la pri-mordiale paura della disgregazione e il disgusto atavico per il cadavere. Poi è quasi un animale affamato, posseduto da istinti primari (la sete e la fame), che palesa il terrore infantile di essere

divorati. In seguito diventa creatura fantascientifica, un alieno iconografica-mente simile all’extraterrestre spielber-ghiano, minaccioso nella sua diversità. In questa lenta metamorfosi, solo nel finale Filippo conquisterà una natura umana: al momento in cui «viene alla luce» tentando di aprire gli occhi cor-risponde una seconda creazione del mondo. Il bambino, nascendo, crea un universo intero.

LE COSE SONO DI CHI LE VEDE PER PRIMOL’ultimo lavoro di Salvatores (molti dei suoi meriti arrivano dal romanzo da cui è tratto e dalla sceneggiatura, scritta dallo stesso Ammanniti) si muove quindi nella dialettica degli opposti (alto/basso, luce/buio, adulti/bambini) per poi arrivare a sciogliere le sue dico-tomie in un finale in grigio. La finale scena notturna è girata sotto le luci di un elicottero, che illumina debolmente i colori della notte. Nel grigio della polvere si annullano le accensioni esa-sperate del film, come i suoi picchi di

L’ultimo lavorodi Salvatores

si muove nella dialettica

degli opposti

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Silvia Colombo

pece: la realtà è una sfumatura nella quale si unifica la duplice natura del-l’umano, si integrano le tensioni con-flittuali e si supera l’ambivalenza dei sentimenti. Michele è in braccio al padre che lo tiene stretto, ma il suo orizzonte si estende già al di là della sua spalla; guarda oltre, proteso verso l’adulto che diventerà.

Il film non è girato, com’è stato detto da molti, «all’altezza di bambino» (la macchina da presa si posiziona in modo strettamente funzionale all’uni-verso rappresentato: le scene in cui compaiono gli adulti si compongono di campi e controcampi convenzio-nali), ma è semplicemente girato «dalla parte» dei bambini. Michele mette in scena la sua fiaba, scrive la storia della sua infanzia ed ha il coraggio di viverla. O meglio, trova il coraggio di guardare la realtà e di appropriarsene («Le cose sono di chi le vede per primo» senten-zia il capobanda del gruppo di ragaz-zini).

Ma più che costruire una riflessione sullo sguardo (il cinema di Salvatores non ne ha la forza sufficiente), il film vive di una complessa orchestrazione sonora, ricca di dati uditivi non acces-sori ma significanti. L’universo infan-tile è caratterizzato dai rumori della campagna (il frinire delle cicale, lo stridìo degli uccelli, lo stormire degli alberi): un coro che evoca il branco sul-l’arca salvifica, un Paradiso che aspetta l’onta della cacciata. La comunità pre-umana degli adulti si annuncia invece con l’eco di canzonette balbettate alla radio, universo sonoro più articolato, affascinante e pericoloso come il canto delle sirene: un bestiario cui è preclusa la riconquista dell’Eden.