Sommario: IL DIO - Mosaico di pace“I n un mondo in cui alnome di Dio viene a volte collegata la...

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I n un mondo in cui al nome di Dio viene a volte collegata la ven- detta o perfino il dove- re dell’odio e della vio- lenza, questo è un messaggio di grande attualità e di significato mol- to concreto. Per questo nella mia prima Enciclica desidero parlare dell’amore, del quale Dio ci ricolma e che da noi deve essere comuni- cato agli altri”. È questa espressione che si trova collocata all’inizio della Lettera Enci- clica di Benedetto XVI che ci ha fat- to guardare con particolare atten- zione al documento! Non un esercizio teologico-accade- mico, non una pura e semplice ripro- posizione in forma sintetica del nucleo essenziale della fede cristia- na... ma una preoccupazione di ordi- ne globale, mondiale, pratico: sot- trarre Dio all’uso strumentale dei violenti. Una straordinaria attualità politica che è nella logica stessa del Van- gelo, in cui Gesù svolge la propria azione lungo le strade impolverate della Palestina del suo tempo ed entrando nelle case in cui la gente vive la propria esistenza. Tra i tanti commenti suscitati dall’uscita del- l’Enciclica, ci piace citare quello di Eugenio Scalfari, un opinionista che neanche lontanamente potrebbe essere accusato di ateismo devoto o di particolari sim- patie nei confronti del mon- do religioso e dei suoi rap- presentanti. “In un’epoca nel- la quale i fondamentalismi avanzano – scrive Scalfari nel suo domenicale del 5 febbraio 2006 – anche quelli dichiaratamente cristiani o quelli che usano il Cristianesimo come instrumentum regni, il richiamo di Ratzinger alla centralità dell’amore, alla passione per l’amore, all’identifi- cazione tra amore e caritas, alla sua forza e alla sua mitezza, configura una posizione fermissima di resistenza contro ogni chiamata alle armi in nome del Dio unico e comune del- le tre grandi religioni monoteistiche e in particolare del messaggio evangelico del cristianesimo e del- la chiesa cattolica e apostolica”. Alla luce delle solenni, profonde e argomentate affermazioni del Papa, sarà difficile giustificare eventuali silenzi o accondiscen- denze della chiesa cattolica nei confronti della guerra e di ogni altro tipo di violenza. Nella riflessione cristiana la giusti- zia e la nonviolenza non sono l’e- laborazione di una corrente teolo- gica ma affondano le radici nella ragione prima (ultima?) del Cristia- nesimo, nella più importante delle virtù teologali, nel fondamento stes- so del messaggio del Cristo: l’a- more. Nel dossier di questo numero di Mosaico di pace abbiamo scelto di dare la parola a esperti e testimo- ni della giustizia e della nonviolen- za (Bettazzi, Pasini) e a commen- tatori differenti per sensibilità e cul- tura (Mokrani, Politi, La Valle), ma in particolare abbiamo ritenuto che una voce femminile ed esterna alla Chiesa cattolica, potesse meglio dare “corpo” alla sensibilità con cui ci si deve scaldare al tema e alla realtà dell’amore (Maggi). Quasi a dipingere con un mosaico di voci l’eco dell’amore che trasuda dalle pagine del Van- gelo e parla di pace. 15 Maggio 2006 DOSSIER A cura di Tonio Dell’Olio Sommario: Fuori dalla tana Lidia Maggi 16 Quali novità Giuseppe Pasini 18 La forza dell’eros L.M. 20 Impegno nonviolento Luigi Bettazzi 23 Più voci per un dialogo A cura di Salvatore Leopizzi 24 IL DIO DELL AMORE Le fotografie del dossier sono tratte dal Trittico delle delizie, realizzato nel 1503/4 da Hieronymus Bosch e ora conservato al Museo del Prado di Madrid.

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“In un mondo in cui alnome di Dio viene avolte collegata la ven-detta o perfino il dove-re dell’odio e della vio-

lenza, questo è un messaggio digrande attualità e di significato mol-to concreto. Per questo nella miaprima Enciclica desidero parlaredell’amore, del quale Dio ci ricolmae che da noi deve essere comuni-cato agli altri”.È questa espressione che si trovacollocata all’inizio della Lettera Enci-clica di Benedetto XVI che ci ha fat-to guardare con particolare atten-zione al documento!Non un esercizio teologico-accade-mico, non una pura e semplice ripro-posizione in forma sintetica delnucleo essenziale della fede cristia-na... ma una preoccupazione di ordi-ne globale, mondiale, pratico: sot-trarre Dio all’uso strumentale deiviolenti.Una straordinaria attualità politicache è nella logica stessa del Van-gelo, in cui Gesù svolge la propriaazione lungo le strade impolveratedella Palestina del suo tempo edentrando nelle case in cui la gentevive la propria esistenza. Tra i tanticommenti suscitati dall’uscita del-l’Enciclica, ci piace citare quello diEugenio Scalfari, un opinionista cheneanche lontanamente potrebbeessere accusato di ateismodevoto o di particolari sim-patie nei confronti del mon-do religioso e dei suoi rap-presentanti. “In un’epoca nel-la quale i fondamentalismi

avanzano – scrive Scalfari nel suodomenicale del 5 febbraio 2006 –anche quelli dichiaratamente cristianio quelli che usano il Cristianesimocome instrumentum regni, il richiamodi Ratzinger alla centralità dell’amore,alla passione per l’amore, all’identifi-cazione tra amore e caritas, alla suaforza e alla sua mitezza, configura una

posizione fermissima di resistenzacontro ogni chiamata alle armi innome del Dio unico e comune del-le tre grandi religioni monoteistichee in particolare del messaggioevangelico del cristianesimo e del-la chiesa cattolica e apostolica”.Alla luce delle solenni, profonde eargomentate affermazioni delPapa, sarà difficile giustificareeventuali silenzi o accondiscen-denze della chiesa cattolica neiconfronti della guerra e di ogni altrotipo di violenza.Nella riflessione cristiana la giusti-zia e la nonviolenza non sono l’e-laborazione di una corrente teolo-gica ma affondano le radici nellaragione prima (ultima?) del Cristia-nesimo, nella più importante dellevirtù teologali, nel fondamento stes-so del messaggio del Cristo: l’a-more.Nel dossier di questo numero diMosaico di pace abbiamo scelto didare la parola a esperti e testimo-ni della giustizia e della nonviolen-za (Bettazzi, Pasini) e a commen-tatori differenti per sensibilità e cul-tura (Mokrani, Politi, La Valle), main particolare abbiamo ritenuto cheuna voce femminile ed esterna allaChiesa cattolica, potesse megliodare “corpo” alla sensibilità con cuici si deve scaldare al tema e allarealtà dell’amore (Maggi). Quasi a

dipingere con unmosaico di voci l’ecodell’amore che trasudadalle pagine del Van-gelo e parla di pace.

15Maggio 2006

DOSS

IER

A cura di Tonio Dell’Olio

Sommario:

Fuori dalla tanaLidia Maggi 16

Quali novitàGiuseppe Pasini 18

La forza dell’eros L.M. 20

Impegno nonviolentoLuigi Bettazzi 23

Più voci per un dialogoA cura di Salvatore Leopizzi 24

IL DIODELL’AMORE

Le fotografie del dossier sono tratte dal Trittico delledelizie, realizzato nel 1503/4 da Hieronymus Bosch eora conservato al Museo del Prado di Madrid.

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FUORIDALLA TANA

L’amore è rishio.Responsabilità.

Capacità di affrontare le crisi.

Lettura diun’enciclica

alla lucedellavita.

Lidia MaggiTeologa battista, responsabile settore dei diritti umani UCEBI

Amore

Siamo plasmati d’amore,prendiamo forma dai desi-deri della madre che ci hatenuto in grembo, avvoltidalle braccia amorevoli di

chi ci ha accolto e consegnato al mon-do. Amore, lo succhiamo con il lattematerno e lo cerchiamo fin dai primiattimi di vita.Tutte le vitamine del mon-do non possono far crescere una per-sona forte, se non c’è l’amore. È l’a-more che ci insegna il linguaggio del-la fiducia, è l’amore che ci apre aglialtri, alla vita, allo stupore.È l’amore ricevuto dai genitori che cipermette di crescere e diventare auto-nomi. Il nostro essere è tessuto d’a-more: amore ricevuto, donato; amoredesiderato, perduto. La sete più gran-de è quella affettiva. Abbiamo bisognodi essere amati, di sentirci accompa-gnati nella vita da una presenza amo-revole. E sentiamo, a nostra volta, lanecessità di amare, di prenderci curadi qualcuno, unico al mondo per noi,speciale. Di fronte all’amore siamonudi, vulnerabili ed è facile sentirsiferiti. Le vittime più disperate, quelleche portano dentro di sé ferite cosìprofonde che faticano a cicatrizzarsi,sono quelle colpite negli affetti. Quan-do ci sentiamo traditi, non amati, cichiudiamo, ci isoliamo e la vita diven-ta una prigione.L’amore è un bisogno primario, comemangiare, dormire, respirare. Nessu-no può credere di poter vivere senzaricevere e dare amore. Si può soprav-vivere, ma non vivere. Ogni singolapersona al mondo conosce il bisogno

e la paura di amare.Dovremmo, dunque, sentirci a nostroagio nel riflettere sul mistero dell’a-more. Tutti pensiamo disaper amare. Tutti abbiamoqualcosa da dire sull’argo-mento. E invece siamo adisagio a intrecciare sultema una riflessione seria,radicata nel vissuto. Diven-tiamo afoni o, peggio, bana-li, superficiali. Abbiamo lasensazione di muoverci inun giardino conosciuto cheimprovvisamente diventaselvatico; la valle accoglien-te che ci ristora, rinvigoriscele nostre forze e ci solleva involo come l’aquila, si tra-sforma facilmente in forestae ci scopriamo fragili.In questo caso non ci aiutaparlare in astratto dell’amo-re universale, poiché un taleamore si rivelerebbe comeun ulteriore alibi per evitareil confronto, un muro dietro ilquale nascondiamo lenostre paure affettive. Non sipuò amare tutti. Non si puòamare in generale. L’amore ha biso-gno di un tu, di un prossimo, di uncompagno, di uno sposo, di un ami-co... di un fratello. E l’altro che ci sta difronte, a cui doniamo il nostro amo-re, non è mai come noi lo vogliamo,come lo immaginiamo o sogniamo. Hauna sua alterità che non è facilerispettare. E poi l’amore non si impo-ne, o non dovrebbe imporsi. Dunquel’altro potrebbe rifiutarci, rifiutare il

nostro amore, il nostro modo di ama-re, fino a trasformare l’incontro inscontro. Amare è un rischio. L’esito

non è mai scontato, se rivolto a unapersona concreta. E noi, normalmen-te, abbiamo paura di rischiare. I primiostacoli ci fanno indietreggiare. Le cri-si affettive si tramutano sempre piùfrequentemente in distacchi, separa-zioni. Forse abbiamo smesso di inse-gnare ai nostri figli che è proprio attra-verso le crisi che si cresce, si diventapiù profondi, più intimi, si demitizza l’a-more per imparare ad amare davve-

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ro. Forse i nostri stessi genitori non cel’hanno insegnato. Chissà se dietro lafragilità delle coppie non ci sia la

responsabilità di tante famiglie “tana”,che proteggono i propri ragazzi inve-ce di favorire da parte loro l’assun-zione di responsabilità. E lo stessomodello di famiglia “tana” lo ripropo-niamo in chiesa, quando ci aspettia-mo che l’oratorio, la parrocchia tuteli-no dal mondo esterno i nostri ragaz-zi. Figli eternamente infantili, dere-sponsabilizzati, che non trovano il giu-sto spazio per crescere, avvolti dallanostra placenta comunitaria protetti-va che impedisce loro di volare. Peramare bisogna essere liberi, respon-sabili, nella condizione di poter sce-gliere. Persino il primo uomo ha dovu-to scegliere la sua compagna. Non èun concetto moderno, reattivo nei con-fronti degli antichi matrimoni combi-nati. Già nel racconto della Genesi sinarra della fatica di Dio nell’aiutare atrovare una persona in grado di cam-minare affianco ad Adamo. Vengonopassati in rassegna tutti gli animali,prima che il Signore si decida nuova-mente a rimettere le mani nella pastadella sua creazione. Così Adamo vie-ne addormentato e al risveglio ecco difronte a lui Eva, nata dal suo sogno. EAdamo la sceglie, la riconosce comeparte di sé.Se anche i nostri progenitori hannoavuto bisogno di scegliersi reciproca-mente, come possiamo pensare direndere i nostri figli in grado di ama-re se non insegnando loro ad affron-tare le fatiche delle scelte? Per ama-re bisogna, dunque, essere liberi.Il tema non è semplice. È necessariauna riflessione appassionata sull’a-more, soprattutto oggi che ci sentia-mo smarriti nei legami più profondi.

Chi è Dio?L’intuizione che muove tutta la letteraenciclica di Benedetto XVI è che l’a-buso dell’amore umano e quello del-l’identità divina siano tra loro miste-riosamente collegati. Poiché non ci èdato di capire qualcosa di Dio senzaseriamente fare i conti con l’amoreche abbiamo conosciuto.Vuoi sapere chi è Dio? Vedi alla voceamore, ci dice il pontefice. Dire “Dio

è amore” significa annunciarci nuova-mente che Dio ci ama. Tu sei amatoda Dio. Questa certezza dovrebbe

fondare la tuaesistenza e aprir-ti all’amore la cuisorgente la rice-vi in Dio. Sempli-ce, disarmante edisarmata nellasua essenzialità,

questa lettera arriva direttamente alcuore. Non è parola consolatoria. Èevangelo, buona notizia che ti solle-cita a una scelta, che ti chiede di veri-ficare il tuo vissuto e di rendere ragio-ne dell’amore ricevuto. Attende unarisposta. E se questa risposta non èsollecitata dal contenuto della lette-ra, sicuramente la richiede il genereletterario con cui tale domanda èposta: una lettera enciclica, per suanatura, nutre l’intenzione di “entrare incircolo”, di suscitare un’ampia rifles-sione, per sollecitare al confronto eal dibattito la comunità cristiana.Essa, per quanto legata a un mitten-te autorevole, non dovrebbe sempli-cemente essere accolta e applicataacriticamente, quanto piuttosto offrirespunti, indicare percorsi per intra-prendere approfondimenti e suggeri-re integrazioni. Ancor più quando lalettera affronta argomenti così vasti,che vedono intrecciarsi l’identità di Diocon quella dell’umanità tutta, dellachiesa e dell’affettività di coppia.Bisognerebbe recuperare il dinami-smo dialogante dell’enciclica. Nonimbavagliarla, trasformandola in unodei tanti testi che arrivano nelle chie-

se, viene letto da pochi, catalogato ecitato, di tanto in tanto, in ulterioridocumenti da parte degli addetti ailavori. Aprire il confronto è particolar-mente importante in una stagionedove si discute poco e il dibattito vie-ne schiacciato entro forme gridate cheevitano i necessari distinguo, limitatonei tempi mediatici del talk show.Anche il confronto, oltre all’amore, varisollevato da terra, liberato dalleambiguità mediatiche, per tornare aessere vera esperienza di ascolto,ingrediente della fede.

Al cuoreIn questa sua prima lettera, il pasto-re che scrive alla Chiesa sente l’esi-genza di entrare nel cuore della fedecristiana, di ribadire un punto fermodell’identità evangelica. La data didivulgazione, a conclusione della set-timana di preghiera per l’unità dei cri-stiani, come ha sottolineato lo stessopontefice, rappresenta una felice coin-cidenza, un segno ecumenico cherimanda alla volontà di ricercare conle confessioni, appartenenti alla stes-sa famiglia cristiana, un confrontoampio.Dio è amore. Non è amorevole, ama-bile o amato: Dio è amore. Non unsemplice attributo tra i tanti. Preten-de di avere una specificità e una sin-teticità nel modo cristiano di dire lafede. È un punto fermo. Colui che hapreferito consegnare la vita piuttostoche difendersi, colui che ha amato finoalla fine, anche quando è stato tradi-to, abbandonato e crocifisso, ci harivelato il cuore di Dio: il suo amore.

Ma può il punto fermo dellafede divenire oggetto di con-fronto? Si può discutere diciò che viene presentatocome indiscutibile? Lasapienza cristiana vive diquesto paradosso. La Scrit-tura apre la discussione nonsolo sulle materie poco chia-re, ma sul cuore della fedestessa: su chi è Dio. La Bib-bia, infatti, nel parlare di Diopone il problema del rappor-to tra i falsi dei e il vero Dio.Il Dio biblico è amore e l’a-more non teme il confronto:venite, discutiamone, dice ilSignore. La rivelazione bibli-ca ci attesta di un Dio vivo,partecipe delle vicende uma-ne, delle singole storie: unDio che discute, dialoga,ama, litiga e si riappacifica.

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Sollevare da terra il nome diDio. Dio non è il signore della

guerra, il violento, ilvendicatore: Dio è amore.{ }

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La prima enciclica di papaBenedetto XVI ha spiazza-to un po’ tutti, ma special-mente gli operatori deimedia, compresi i cosid-

detti “vaticanisti”, proprio in ragionedel tema affrontato. Il “Deus CaritasEst” – a parte la lingua latina – puressendo infatti un argomento pie-namente organico con la dottrina ela vita della Chiesa, non è imme-diatamente collegabile con i granditemi che agitano la società moder-na: la guerra e la pace, la bioetica,il sottosviluppo, la giustizia, lademocrazia... papa Ratzinger nonsi è evidentemente molto preoccu-pato di colpire la fantasia e la curio-sità dei lettori, quanto piuttosto didare un messaggio che rispondes-se ai bisogni profondi anzitutto del-la Chiesa e dei cristiani e indiretta-mente anche dell’intera umanità.Il contesto storico-culturale in cui vivia-mo è caratterizzato da alcuni feno-meni che egli, prima da cardinale e poianche nei primi mesi di pontificato, hapiù volte denunciato come sintomi dipericolosa confusione:– Il relativismo religioso, cioè la con-vinzione che una religione vale l’altra;– Il relativismo etico che porta a con-siderare il bene e il male realtà mute-voli, legate alla cultura e alla volontàdegli uomini;– Il fondamentalismo, che fa della pro-pria appartenenza religiosa un asso-luto e tende a imporla anche alla vitacivile;– La strumentalizzazione della reli-gione in funzione di particolari opzio-ni politiche.

In questo contesto il Santo. Padre haritenuto prioritario ritornare alle radi-ci della fede cristiana per capire chi èDio, chi è l’uomo, chi è la Chiesa equale è il suo rapporto con la societàumana. In sintesi il papa apparepreoccupato di recuperare l’identitàcristiana, non con l’intento di isolarlae di custodirla come in uno scrigno,quanto piuttosto per sospingerla asprigionare tutte le sue potenzialità avantaggio dell’umanità.È difficile parlare di “novità” dell’enci-clica, giacché il tema della carità è uncontenuto ricorrente dell’insegnamen-to ecclesiale. Fa novità, però, il fattoche un papa abbia voluto affrontarequesto tema in modo organico nellasua prima enciclica, quasi a mettere unfondamento all’intero pontificato.Gli elementi dell’enciclica degni di par-

ticolare attenzione, anche senon indici di novità, sono:– Il legame tra l’identità diDio-Agape e l’identità del-l’uomo;– Il ruolo pastorale dellaChiesa nella testimonianza;– Il rapporto tra carità e giu-stizia e il conseguente con-tributo che la carità cristianapuò offrire alla realizzazionedella giustizia.

Identità a confrontoLa prima idea espressa daBenedetto XVI è il collega-mento tra l’identità di Dio e l’i-dentità dell’uomo. La Genesiriporta un’affermazione pre-cisa: “Dio disse: facciamol’uomo a nostra immagine e

somiglianza” (Gen 1,26). E ancora:“Dio creò l’uomo a sua somiglianza; asomiglianza di Dio lo creò; maschio efemmina lo creò” (Gen 1,27). Cosasignifica che la creatura umana èimmagine e somiglianza di Dio? A fer-marci al testo della Genesi si potevapensare che la somiglianza riguarda-va il dominio sulle creature, partecipa-to da Dio all’uomo. Infatti nello stessoversetto 1,26 Dio stabilisce che l’uomo“presieda ai pesci del mare, ai volatilidel cielo e alle bestie e a tutta la terra”.Ma alla conclusione della rivelazioneviene esplicitata l’identità precisa diDio: “Dio è amore”.Di conseguenza chivive nell’amore rimane in Dio, cioè solochi vive nell’amore esprime la propriaidentità di immagine e somiglianza diDio. L’evangelista Giovanni ne dedu-ce che l’uomo sviluppa pienamente la

QUALINOVITÀ?

La carità al centro.Che sia stimolo

alla giustizia. Coscienza critica

di fronte allo Stato. Per una Chiesa

sempre piùa somiglianza

di Dio.

Giuseppe Pasinigià direttore Caritas Italiana

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sua personalità solo se vive nell’amo-re, se si apre agli altri: “Chi non ama,è nella morte” (I. Gv. 3,14). La rivela-zione definitiva chiarisce inoltre che Dionon è un solitario, ma è una comunitàdi persone. Pertanto Egli diventa rife-rimento di identità per l’uomo non solocome individuo, ma anche considera-to nella sua “socialità”. Don Tonino Bel-lo sviluppa nei suoi scritti tutta unaserie di considerazioni sull’affermazio-ne del Concilio Vaticano II, che pre-senta la Trinità di Dio come causaesemplare della Chiesa e della comu-nità umana. Nella Trinità, egli afferma,ogni persona è se stessa, uguale odistinta dalle altre due. Nessuna delletre oscura od opprime le altre. Inoltreognuna delle Tre Persone è così aper-ta alle altre, in relazione così stretta conloro, da essere un Dio solo. La Chiesa– come pure la comunità umana – permuoversi a “immagine e somiglianza diDio”, dovrebbe per un verso rispetta-re la dignità di ogni persona, dal feto,al malato, all’anziano totalmente dipen-dente, allo straniero... Per altro versodeve preoccuparsi di educare ogni suomembro ad aprirsi agli altri nella soli-darietà e nel servizio. In sintesi la veracomunità umana deve realizzare “l’u-nità nel pluralismo”. Ogni oppressione,ogni emarginazione, ogni tentativo diesclusione di qualsiasi persona, comead esempio il lasciare morire milioni dibambini di fame e per malattia – con-clude Don Tonino Bello – prima cheuna violazione del codice civile o pena-le, costituisce un peccato contro la Tri-nità.

La carità di CristoChiesa e carità è il secondo temaaffrontato in termini nuovi dall’enciclica.Due sono, su questo problema, gli ele-menti innovativi. Anzitutto la colloca-zione della testimonianza di caritàall’interno della missione evangelizza-trice della Chiesa. L’esercizio dellacarità è una strada di evangelizzazio-ne, accanto all’annuncio verbale delVangelo e alla celebrazione dei miste-ri. I termini usati dal Santo Padre sonomolto chiari: “L’esercizio della carità èuno degli ambiti essenziali della vitadella Chiesa, insieme con l’ammini-strazione dei Sacramenti e l’annunciodella Parola... La Chiesa non può tra-scurare il servizio della carità, cosìcome non può tralasciare i Sacramen-ti e la Parola” (D.C.E. 22).Sempre su questo aspetto l’enciclicasottolinea che la testimonianza di caritàinveste la Chiesa in quanto tale e quin-di è sotto la responsabilità primaria delVescovo. Ci possono essere molteassociazioni cattoliche che si occupa-no di carità, ma “il vero soggetto... delservizio di carità è la Chiesa stessa eciò a tutti i livelli, iniziando dalle par-rocchie, attraverso le Chiese partico-lari, fino alla Chiesa universale” (D.C.E.3/B). “La carità non è per la Chiesa unaspecie di attività che si potrebbe anchelasciare ad altri, ma appartiene alla suanatura, è espressione irrinunciabile del-la sua stessa essenza” (D.C.E. 25).Naturalmente, non ogni atto di solida-rietà opera automaticamente evange-lizzazione, ma solo la carità che èautenticamente cristiana, che presen-ta cioè le caratteristiche della carità diCristo e quindi rimanda a Lui comefonte.Tra queste caratteristiche il SantoPadre evidenzia la gratuità, che esclu-de secondi fini, e perfino l’intenzionedi convertire il povero alla fede: “Lacarità non dev’essere mezzo in fun-zione del... proselitismo... Chi esercitala carità in nome della chiesa, non cer-cherà mai di imporre agli altri la fededella Chiesa...Egli sa che l’amore, nel-la sua pienezza e gratuità, è la miglio-re testimonianza di Dio nel quale cre-diamo e dal quale siamo spinti adamare (D.C.E. 31/B).Queste affermazioni non sono in realtànuove: la Caritas le va proponendo findalla sua nascita.Nuova è l’autorevolezza di chi leriprende e il dovere conseguente di tut-ti nella Chiesa di tenerne conto.

Carità e giustiziaL’ultimo elemento di novità dell’enci-clica riguarda il rapporto carità-giu-stizia.L’enciclica evidenzia due particolari:1. Anzitutto precisa che la compe-tenza e il dovere di attuare la giusti-zia è dello Stato e appartiene all’i-dentità della politica. Anche la Chie-sa è evidentemente interessata allarealizzazione di un ordinamentosecondo giustizia, ma essa “non puòe non intende prendere nelle suemani la battaglia politica e mettersial posto dello Stato.E tuttavia non puòe non deve neanche restare ai mar-gini nella lotta per la giustizia” (D.C.E.N. 28). Il papa sottolinea però che lagiustizia è necessaria ma insufficien-te.Si rende perciò indispensabile l’ap-porto della carità offerto dalla Chiesa.2. Il contributo della Chiesa, portatri-ce della carità cristiana, alla giustiziaconsiste:– nell’essere coscienza critica di fron-te allo Stato, cioè nell’essere stimoloalla giustizia, affinché i responsabilipolitici non siano inquinati dalla ricer-ca del potere e del proprio interesse;– nel contribuire alla realizzazione delbene comune con i propri servizi dicarità. Tali servizi devono caratteriz-zarsi per la prontezza nel rispondereai bisogni nuovi, per la competenzaprofessionale, per il senso di umanità– il papa lo chiama “l’attenzione delcuore” e per la disponibilità di quantioperano nella carità a coordinarsi,evitando così il rischio di creare deidoppioni nei servizi e di lasciare deivuoti nella risposta ai bisogni;– infine l’apporto della Chiesa si con-centra nella presenza dei fedeli laici,impegnati sotto la propria responsa-bilità a costruire una società anima-ta dai valori dell’uguaglianza, dellasolidarietà, della pace.Il papa conclude il suo messaggiorichiamando i fedeli laici a vivere lacarità come profezia. “Spetta loro nel-l’agire politico, di aprire nuove stradealla politica. A me sta particolarmen-te a cuore però sottolineare che lagiustizia non può mai rendere super-fluo l’amore. Solo l’amore dà un’ani-ma alla giustizia”.

La vera comunitàumana deve

realizzare “l’unitànel pluralismo”.{ }

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La vicenda di Dio con il suopopolo sembra percorrere lastessa parabola delle nostrerelazioni amorose. La Scrittu-ra, infatti, ricorre spesso

all’immagine sponsale per esprimereil legame che unisce Dio ai suoi. Il lin-guaggio dell’alleanza diventa erotico.Le metafore erotiche, inadeguate aracchiudere l’identità di Dio, sono usa-te invece per dire la qualità della rela-zione col suo popolo. In questo rap-porto Dio, per lo più, gioca il ruolo del-lo sposo fedele. Non è un rapportosereno, quello tra i due amanti. Siesprime nel linguaggio della passionesofferta. Dio “ha perso la testa” perIsraele. Per questo motivo non puòapplicare la sua giustizia, perché lapassione amorosa lo spinge di conti-nuo verso l’oggetto del suo amore,anche se questo fugge e nonne è degno, Questo continuovolgersi di Dio verso un’u-manità che lo rifiuta, conquale linguaggio potevameglio essere espresso senon con quello della passio-ne amorosa?

Senza vendettaPassione divina e passioneumana. Interrogarci sullanostra sessualità, sulle fati-che delle nostre relazioniaffettive ci aiuta a capiremeglio non solo noi stessi,ma anche il nostro rapportocon Dio.È una riflessione doverosa edolorosa, poiché sia l’imma-gine di Dio che quella dell’a-more sono oggi abitate dal

fraintendimento e dal-la distorsione. Signifi-cativo è il preambolodell’enciclica che rive-la la profonda preoc-cupazione del ponte-fice: In un mondo incui al nome di Dio vie-ne a volte collegata lavendetta o perfino il dovere dell’odioe della violenza, questo è un mes-saggio di grande attualità e di signifi-cato molto concreto. Per questo nel-la mia prima Enciclica desidero par-lare dell’amore, del quale Dio ci ricol-ma e che da noi deve essere comu-nicato agli altri.Ci sentiamo smarriti di fronte agli abu-si del nome di Dio. La realtà attuale,più che lacerata dall’assenza divina,sembra oggi segnata da un suo

eccessivo protagonismo.Nel nome di Dio si legittimano ingiu-stizie globali, guerre, azioni terroristi-che, sopraffazioni e vendette. Solle-vare da terra il nome di Dio: mi sem-bra una preoccupazione centrale inquesta lettera enciclica. Dio non è ilsignore della guerra, il violento, il ven-dicatore: Dio è amore. Tuttavia, notacon grande acutezza il Papa, non sol-tanto il nome di Dio è abusato, insoz-zato, lacerato; lo è anche l’amore

umano.Il termine “amore” è oggidiventato una delle parole piùusate e anche abusate, allaquale annettiamo accezionidel tutto differenti.Sentiamo l’esigenza di con-frontarci sulla nostra sessua-lità proprio perché siamo diso-rientati dall’uso e dall’abusodel corpo delle donne, nellasua sovraesposizione media-tica; perché ci inquieta il feno-meno devastante della trattadelle ragazze straniere, pro-venienti da Paesi poveri edeportate, segregate, control-late a vista e usate nel com-mercio sessuale. E, soprat-tutto, perché sperimentiamole relazioni affettive semprepiù precarie e sradicate.

LA FORZADELL’EROS

Stupore.Incanto.

Quando l’amoreè eros.

L’uomo e la donna

nel giardinodell’Eden.

L. M.

L’amore erotico può essereesperienza sacra, che

trasfigura; ma puòfacilmente trasformarsi indominio e sopraffazione.

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Non è anche questo che il Papa ci sol-lecita a riflettere? Non come di un pro-blema di morale sessuale, bensì del-la qualità della relazione con Dio e coni nostri simili, intimamente legate traloro. Egli ci invita a ridare corpo allanostra fede. Per non rischiare una spi-ritualità effimera, incorporea, abbia-mo bisogno di ripartire dall’eros, dalcorpo in relazione. E come la fede,anche la nostra sessualità si ritrovaferita, disorientata. Per questo ricer-chiamo parole terapeutiche, in gradodi sanare le nostre fratture. È neces-sario riscoprire una teologia dellatenerezza, una sessualità segnatadalla relazione teologale. Per fedeltàa un Dio, quello biblico, che ha rinun-ciato ad abitare i cieli ed è sceso sul-la terra, proprio come ci rivela la pre-senza del suo Figlio, Gesù.Dio è amore. Il nome di Dio e il nomedell’amore sono accomunati dallostesso destino: portano su di loro tut-te le nostre macchie. A noi è richie-sto di sollevarli da terra.

Ripartire dall’intimoNon basta, allora, riaffermare che Dionon è odio ma amore, e conseguen-temente percorrere le strade dellanonviolenza, impegnarsi nella diaco-nia della pace. Occorre ripartire anchedall’intimo delle nostre case, fare lafatica di soccorrere, purificare e gua-rire il nostro modo di amare, e nellospecifico l’amore erotico, poiché que-sto ne rappresenta la forma più alta:l’amore tra uomo e donna, nel qualecorpo e anima concorrono inscindi-bilmente e all’essere umano si schiu-de una promessa di felicità che sem-bra irresistibile, emerge come arche-tipo di amore per eccellenza, al cuiconfronto, a prima vista, tutti gli altritipi di amore sbiadiscono.Sentire ciò è già terapeutico. Lo sap-piamo che la sessualità non è con-seguenza della colpa, non è frutto del-la caduta; ma abbiamo bisogno disentircelo dire nuovamente. Altre voci

ci fanno credere il contrario. Non ècosì. L’amore erotico, troppo spessopensato come conseguenza del pec-

cato, abita in realtà nel giardino del-l’Eden fin dai primordi. Nasce con lacreazione stessa della prima coppia.Senza la sessualità non c’è relazione,reciprocità: viene meno l’immagine diDio. È proprio attraverso la sessualitàche l’uomo si apre alla comunicazio-ne: l’eros lo spinge fuori da sé versol’altra. Non è un caso che le primeparole pronunciate da Adamo sonoquelle dello stupore, dell’incanto,quando si è trovato di fronte alla don-na: “Questa è carne della mia carne,osso delle mie ossa!”.Le prime pagine del grande libro diDio si aprono con un racconto chevuole essere un memoriale, un moni-to all’umanità tutta: è solo nella rela-zione, nell’incontro con un tu, che ci èdata possibilità di comunicare. Prima,nella solitudine, si è afoni. Il linguag-gio è solo potenziale. E tuttavia, il luo-go dello stupore diventa, fin da subi-to, anche quello dello scandalo. Nel-la relazione si sperimentano anche lacrisi, la caduta, le parole che ferisco-no e ingannano.La sessualità, sigillo divino per la cop-pia, degenera presto in linguaggio disopraffazione e di morte. La nudità,simbolo della fiducia e della vulnerabi-lità accolta, diventa luogo di vergogna.Non è facile amare. Possono sembra-re parole caute, quelle che affermanoche l’eros, creato come cosa buona daDio per l’umanità, va educato.L’eros vuole sollevarci “in estasi” versoil Divino, condurci al di là di noi stessi,ma proprio per questo richiede un

cammino di ascesa, di rinunce, dipurificazioni e di guarigioni.

La coppia al centroSono parole sapienti.L’enciclica riafferma il pri-mato della relazione nellacoppia. Una relazione nel-la quale l’eros gioca unruolo “estatico”, di fuoriu-scita dal proprio piccolo ionella direzione dell’altro.

L’amore erotico può essere espe-rienza sacra, che trasfigura; ma puòfacilmente trasformarsi in dominio esopraffazione, sfigurando ciò cheabbiamo di più prezioso.Nessun amore umano è privo diambiguità. Nessun amore è perfetto.Anche le piante apparentemente piùforti si possono spezzare, se nonvengono concimate con la tenerez-za e la fiducia. E quando la tensio-ne e il rancore rischiano di spezza-re la relazione, abbiamo bisogno del-la sorgente del perdono per ridarlevigore.Ho ascoltato, come pastora, tantestorie d’amore. Amori appena nati,promessa preziosa di felicità; amo-ri più solidi; e anche tanti amori incrisi. Raramente mi è capitato diincontrare giovani coppie disilluse,ciniche. Ho visto sguardi di passio-ne, ho riudito la stessa voce delCantico nelle parole di giovaniamanti. Ho contemplato lo sguardotrasfigurato dell’amato nei confrontidell’innamorata.Per questi giovani innamorati, comeper noi, amanti di più lunga data, lascoperta del corpo dell’altro coinci-de con la terra tanto desiderata dovescorre latte e miele. Una terra che,per essere trovata, non ha bisognoche di un viaggio interiore: quel viag-gio del cuore che apre alla relazio-ne, la cui mappa è descritta negliocchi dell’amata. L’eros è un dono diDio perché ci radica nella vita e cilibera dalla nostalgia del cielo, dallefughe ascetiche. La felicità, infatti, èun corpo che si dona e si lasciaaccarezzare.Quanta forza ha l’eros! Quale donomeraviglioso abbiamo ricevuto noiche siamo entrati nel giardino del-l’amato e abbiamo gustato i suoifrutti. Ma come può questo amoreessere mantenuto vivo, una voltaricevuto e gustato, senza perdere lacaratteristica di dono che stupisce? Il desiderio è destinato a esaurirsi?Israele nel deserto reagì con grati-tudine al dono della manna. Eppure

“Dio è la parola più sovraccarica di tutto il linguaggio umano. Nessun altra è sta-ta tanto insudiciata e lacerata. Proprio per questo non devo rinunciare ad essa.Generazione di uomini hanno scaricato il peso della loro vita angustiata su que-sta parola e l’hanno schiacciata al suolo. Ora giace nella polvere e porta tutti iloro fardelli. Generazioni di uomini hanno lacerato questo nome con la lorodivisione in partiti religiosi; hanno ucciso e sono morti per questa idea e il nomedi Dio porta tutte le loro impronte digitali e il loro sangue... Non possiamo lava-re di tutte le macchie la parola ‘Dio’ e nemmeno lasciarla integra; possiamo peròsollevarla da terra...”.

Martin Buber

È necessario riscoprireuna teologia della

tenerezza, unasessualità segnata dalla

relazione teologale.{ }

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dopo poco riprende la mormorazione:la manna sembra non bastare più. Lacuriosità dell’inizio che colma un’as-senza, viene facilmente dimenticataquando subentra l’abitudine. E allorail desiderio si esaurisce e si raffreddail fuoco. Si muore, quando si smette didesiderare. Quanti amori vengonouccisi così! Come educare il nostroamore? Come ristabilire il desiderio?La Bibbia non dà soluzioni. Essaintreccia fili di stupore e crisi e, a vol-te, questi ultimi prevalgono sui primi.La Scrittura ci testimonia di una voca-zione all’amore, ci fa desideraredi scoprire il dono dell’eros por-tandoci nel giardino primordia-le e contemporaneamente cimette in guardia, narrandocivicende familiari dove l’affetto eil potere si contaminano. Puòsembrare poco, dal momentoche non ci è dato di trarre daqueste vicende un manuale sul-la sessualità. Tuttavia è proprioattraverso la condivisione dellefatiche d’amore di quanti primadi noi hanno amato che impa-riamo a riconoscere la forza e lafragilità dell’eros per abitarlo conpiù attenzione e con meno leg-gerezza.Quali indicazioni, a partire daqueste suggestioni, possiamotrarre noi, donne e uomini chenon hanno fatto scelte celibata-rie e che vivono quotidianamen-te l’esperienza di coppia? Sareb-be bello raccogliere testimo-nianze, parole di sapienza radicate nelvissuto di chi vive l’avventura matri-moniale. Sarebbe altrettanto impor-tante ascoltare la voce di coloro chehanno visto morire la loro storia d’a-more. Quanto sapere può esseredonato da chi ha dovuto riflettere sulproprio fallimento. E ancora, ascolta-re la voce di giovani fidanzati che cinarrano le loro speranze, le ragioni delloro amore, insieme alle difficoltà cheincontrano in noi, nelle chiese, nellarealtà lavorativa, nelle famiglie di pro-venienza, mentre si preparano alla vitainsieme. Mi piace pensare che a que-sta lettera enciclica, scritta dal pasto-re, seguano lettere “gregarie”, letteredi uomini e donne che vivono giornodopo giorno le gioie e le fatiche dellavita affettiva.

L’enciclica del Papa ha il fascino disar-mante dell’essenzialità: riflettere suDio a partire dall’amore. E anche ilcoraggio di ribadire la bellezza deldono dell’amore per la coppia.Un aspetto di questa lettera mi è par-ticolarmente caro: il pudore. Si badibene: il pudore non va confuso con lavergogna. Il pontefice evoca la bellez-za dell’amore erotico nella coppia e siritrae discretamente.Non entra nel tala-mo degli sposi. Benedice e confermacome divino il dono dell’amore; poi fasilenzio. Un silenzio particolarmente

apprezzato, in un’epoca che confondeil parlare, il disquisire dell’atto amoro-so, con la libertà sessuale. Parados-salmente è proprio il pudore che offrezone franche e tutela la coppia con iconfini della discrezione. Non si entranella camera da letto degli sposi. Per-sino Dio si ritira dopo aver creato lasessualità umana (Gen 2,21-24.).Dopoaver presentato la donna all’uomo,esce dalla scena. Sono soli, l’uomo ela donna. Nessuno sguardo indiscretodisturba la loro intimità. Nessuna paro-la estranea si fa sentire. Solo paroleappassionate, piene di stupore. Paroleche risuoneranno di nuovo nel Canti-co dei Cantici. È il linguaggio dell’a-more: “Questa sì! È osso delle mieossa e carne della mia carne” (Gen2,23). Dio ha creato la sessualità,

eppure quando l’uomo e la donna par-lano la lingua dell’eros, Egli è silente.Rispetta la loro intimità. Ecco perchéprobabilmente nel Cantico dei Canti-ci, il libro dell’amore, Dio non vienenemmeno menzionato!

Riscoprire il silenzio Il silenzio è uno degli spazi di libertàda rivisitare in una riflessione sullasessualità. Questo valore del silenziosappiamo essere stato messo indiscussione dalla modernità che lo haletto come repressione nei confronti diun argomento tabù. Contro questa tesibasterebbe sfogliare l’imponente rico-struzione storica di Michel Foucault,il quale, nella sua storia della sessua-lità – il cui primo volume è significati-vamente intitolato La volontà di sape-

re – denuncia la semplificazionedella lettura emancipazionista chevede nella repressione del discor-so sull’affettività l’intervento delpotere per controllare la libertàsessuale degli individui. In realtàla strategia del potere passa attra-verso una vera e propria scientiasexualis, attraverso l’invito conti-nuo a parlarne.La relazione, sia con Dio che tragli umani, si nutre soprattutto diintimi silenzi. Ma anche il silenzionon è un toccasana. Di nuovol’ambiguità di un silenzio pensatocome linguaggio dell’intimità chesi ritrova a esprimere chiusura,sospetto, inimicizia. Per questo èdecisiva la parola del perdono, diun amore che si mostri più fortedelle durezze umane, che siacapace di riaprire il camminononostante i pesanti fallimentisperimentati.Al cuore della fede cristiana c’è la

scena della croce, ovvero un amoreimmeritato, gratuito, possibile solo per-ché capace di perdono.Nel provare a dirci ciò che più ci sta acuore, il centro della nostra fede, misembra decisivo provare a coniugareil linguaggio della confessione di fedee quello della confessione di pecca-to. Per poter dire, sia nella relazionecon Dio che nelle relazioni affettive:io non sono all’altezza di quanto cre-do, ma questo è quanto credo.La conclusione di queste riflessioni,suscitate dalla lettura dell’enciclica diBenedetto XVI, non può che esserel’impegno a tenere fisso lo sguardosulla scena della croce, per continua-re a farci educare dall’amore divino eda lì ripartire per rischiarlo negli affet-ti quotidiani.

Il modo di esaltare il corpo, a cui noi oggi assistiamo, è ingannevole. L’erosdegradato a puro “sesso” diventa merce, una semplice “cosa” che si puòcomprare e vendere, anzi, l’uomo stesso diventa merce.

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Può sembrare fuoriluogo la richiesta diun articolo sull’en-ciclica Deus caritasest e la pace, dal

momento che Benedetto XVInon vi cita mai la parola“pace”; e non solo perché iltema è quello della “caritas”,ma anche perché quella scel-ta stessa potrebbe rivelarel’intento del nuovo Papa, nondico di ridimensionare il socia-le, quanto di radicarlo profondamen-te nell’essenziale umano, e di radica-re l’umano nel divino. Proprio questoradicamento ci guida a una concretariflessione sulla pace, se è vero –come ci viene rivelato (Ef 2,14) – che“Cristo è la nostra pace”. Del resto, gliangeli annunciavano ai pastori diBetlemme che era nato chi recavagloria a Dio (rilevando appunto cheDio è amore e dove c’è amore c’è Dio)e pace in terra per gli uomini che Dioama (Lc 2,14).Il primato dato all’amore non può nonportare a illuminare alla sua luce tut-ta la realtà e l’orientamento della vitaumana, recuperando una valutazionepiù autenticamente cristiana – quin-di più pienamente umana – della sto-ria, della politica, quindi di un impe-gno concreto nella vita sociale.

O Dio o mammonaBenedetto XVI mette in guardia dallasciarsi condizionare dall’ideologiamarxista nel valutare lacarità, quasi che potes-se indebolire l’impegnoper la giustizia (n. 26).Credo che la stessaattenzione dovrebbeimporci di non lasciarsi

condizionaredalla ideologia,che io chiamodella “mammo-na” (cfr. Mt6,24), e cioèdell’individuali-smo personalee sociale, tuttoincentrato su disé e prioritaria-mente sul pro-prio interesse e

sul proprio potere. È lì che si radica lospirito della guerra, come imposizionedelle proprie mire di potenza attraver-so la violenza. Come cristiani si capìsubito che la guerra, trasgressioneradicale del comandamento “non ucci-dere”, era radicalmente antievangeli-ca, e si è cercato di limitarla alle “guer-re giuste” e alle “guerre sante”, poi dicircoscriverla alle “guerre di difesa”,giungendo infine, nella Pacem in ter-ris di papa Giovanni XXIII, a porla “aldi fuori della ragione” (n. 42), a con-dannarla nella Costituzione conciliareGaudium et spes (n. 81 d) come “delit-to contro Dio e contro la stessa uma-nità” quanto meno nella sua dimen-sione di “guerra totale”, come allorasi indicava la guerra atomica, che “indi-scriminatamente mira alla distruzionedi intere città e di vaste regioni e deiloro abitanti”. Papa Giovanni Paolo II,nel dicembre 2003, arrivò a indicare lanonviolenza attiva come l’unica stradaodierna per risolvere i conflitti tra i

popoli; e questo coincide con l’affer-mazione di papa Benedetto, che giànell’introduzione dell’Enciclica (n. 1)dichiara di “voler parlare dell’amore, delquale Dio ci ricolma e che da noidev’essere comunicato agli altri” “in unmondo in cui al nome di Dio viene avolte collegata la vendetta o perfino ildovere dell’odio e della violenza”.

In camminoE credo che questa nonviolenza atti-va sia in realtà la forma più alta di “ser-vizio” in cui l’essere umano deve espri-mere il suo amore verso Dio (cfr. Deuscaritas est n. 18), tanto più appunto noicristiani e le nostre Chiese, chiamatea testimoniare questo amore verso tut-ti (n. 25). Credo allora che tra le operedel volontariato, come espressione tipi-ca della carità e dimensione dell’evan-gelizzazione (n. 30), ci debba esserel’impegno dei cristiani e delle Chieseper un cammino concreto di pace.Nella conclusione (n. 40-41) Benedet-to XVI addita come icone della carità isanti, e in primo luogo Maria, Madredel Signore e specchio di santità”. Pro-prio nel suo Cantico L’anima miamagnifica il Signore – largamente quicommentato – v’è l’indicazione di que-sto concreto cammino della pace, peri singoli e per i popoli, facendosi testi-moni del piano di Dio, che “ha disper-so i superbi nei pensieri del loro cuo-re, ha rovesciato i potenti dai troni e hainnalzato gli umili, ha ricolmato di benigli affamati e ha rimandato a mani vuo-te i ricchi” (v. Lc 1, 51-53).La Deus caritas est non parla espres-samente della pace, ma dà tutte le indi-cazioni perché le Chiese e i cristianisi rendano conto del loro impegno ine-ludibile di farsi profeti e operatori dipace.

IMPEGNONONVIOLENTO

Cristo è la nostra

pace. E la pace è

l’unico modopossibile

per esserecristiani.

Nonviolenti.

Luigi BettazziVescovo emerito di Ivrea

La nonviolenza attiva è laforma più alta di

“servizio” in cui l’essereumano deve esprimere il

suo amore verso Dio{ }

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PIÙ VOCIPER UN DIALOGO

Una lettura plurale

dell’enciclica papale. Religioni

e culture diversea confronto.Intervista a

Marco Politi,Raniero La Valle eAdnane Mokrani.

a cura di Salvatore Leopizzi

Una grande attesa hapreceduto la pubblica-zione della prima enci-clica di Benedetto XVI.Si attendevano in par-

ticolare indicazioni e linee pro-grammatiche del nuovo ponti-ficato, segnali di discontinuitàe di novità rispetto a quello diGiovanni Paolo II. Cosa emergea questo proposito, secondovoi, dalla lettura del testo?Marco Politi, vaticanista de La Repub-blica: Appare ormai chiaro che papaRatzinger non è pressato dall’urgenzadi fare un’enciclica programmatica. Alfondo il nuovo pontefice pensa chedurante il pontificato di Wojtyla sia sta-to scritto e detto tanto (e forse troppo,secondo il suo punto di vista) che è giu-sto inaugurare una fase di pausa, disobrietà e di elaborazione della produ-zione magisteriale precedente. Cosìl’enciclica corrisponde al suo obiettivodi concentrarsi sull’essenziale del mes-saggio di fede e, per quanto riguardail momento attuale segnato da fonda-mentalismi violenti e da egoismi eco-nomici, Benedetto XVI sente la neces-sità di proporre il nocciolo del Cristia-nesimo: Dio è amore. Chi ama Dio nonpuò odiare il prossimo. Chi fa la comu-nione deve “creare” la comunione.Raniero La Valle, giornalista, già par-lamentare: A giudicare dai dibattiti –anche televisivi – sul primo anno di pon-tificato di Benedetto XVI, il nuovo Papanon è ancora decifrabile.Tuttavia un giu-dizio basato sulla continuità o disconti-nuità rispetto a Giovanni Paolo II nonporta da nessuna parte. L’atto più impor-tante del primo anno è stato l’enciclicaed essa si pone su tutt’altro piano, per-ché salta ogni recinto istituzionale eriporta l’attenzione su Dio; e lo evoca

secondo quello che fino a questomomento è il culmine sia dell’espe-rienza umana del divino, sia dell’au-torivelazione di Dio, cioè mediante l’af-fermazione, umana e divina, che Dioè amore. Questa semplice formula-zione su Dio è oltre ogni religionecostituita, ne costituisce il punto fina-le, il punto omega, cui tendere, e nel-lo stesso tempo è prima di ogni diffe-renziazione religiosa, prima anche diogni discussione di continuità odiscontinuità, perché riconduce allasorgente, alla fons da cui ogni religio-ne e ogni esperienza umana del divi-no scaturiscono. Di più, questa defi-nizione di Dio come amore non è com-plementare, aggiuntiva, ma alternati-va ad altre percezioni di Dio, ad esem-pio a quella che essenzialmente lodescrive come il Dio del Giudizio, tan-to che lo stesso Benedetto XVI losegnala quando dice paradossal-mente che l’amore di Dio “è talmentegrande da rivolgere Dio contro se stes-so, il suo amore contro la sua giusti-zia” (n. 10). Per questo motivo l’enci-clica mi è apparsa bellissima e nuovarispetto alla serie delle enciclichesociali o ecclesiologiche, che findalle loro prime parole mette-vano avanti le ragioni dellasocietà o quelle della Chiesa.Qui la ragione di tutto è Dio,l’unica cosa per la quale laChiesa esiste, e senza la qua-le sarebbe un mostro, e dallaquale tutte le altre acquistanosenso e vigore.Adnane Mokrani, giornalistaAdnKronos, teologo islamico:Deus caritas est, Dio è amo-re (1 Gv 4,16). Tutto è qui, inquesto est. Che cosa è l’a-more? L’amore è. L’amore ci

spiega a noi stessi. L’amore è esse-re e vita che agisce e si manifesta informe e modi infiniti. L’amore è untema centrale per l’essere umano, equindi per la religione che dovrebbeinteressarsi alla pienezza della don-na e dell’uomo. I temi esistenzialisono difficili da trattare, è difficile par-lare dell’esistenza, dell’essere, del-la vita nel loro senso più profondo.Questi temi trascendono tutti idiscorsi, e nessun discorso puòesaurire i loro misteri che si mani-festano ogni giorno con un nuovovolto e un nuovo orizzonte. Ma,essendo umani, non possiamo evi-tare la parola, pur riconoscendo isuoi limiti. Il papa Benedetto XVI hascelto come tema della sua primaenciclica l’amore, Dio è amore, untema essenziale ed esistenziale pertutta l’umanità, che in una certamaniera rappresentail riassunto più indi-cativo del mes-saggio

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cristiano. Il Cristianesimonon ha creato l’amore, mala novità della formula gio-vannea sta nell’est, è nel-l’osare identificare Dio conl’amore, proprio tramitel’essere. Questo est con-tiene tutto. Per un musul-mano che ha una certafamigliarità con la misticaakbariana (la mistica diMuhyi al-Din Ibn Arabi,1164-1240), questo est haun suono particolare. Nel-la dottrina dell’Unicità del-l’Essere, wahdat al-wujud,Dio è identificato con l’Es-sere, è Lui l’Esistente,Fonte di tutti gli esistenti,e fuori di Lui non c’è nulla. Questorespiro esistenziale ha dato alla spiri-tualità islamica un dinamismo e unaenergia mai raggiunte dalla teologiaclassica.È un livello d’unità che va oltreil dualismo teologico (razionale), versoun tawhid, unicità di Dio, più radicale.

Rispetto al tema trattato, ilPapa ripropone verità di fedetradizionali e ben radicate nel-la cultura dei credenti e usa informa semplice e accessibile(per tutti i lettori) gli argo-menti del grande teologo sen-za disdegnare i riferimenti let-terari e filosofici di diversaradice. Come si possono valu-tare le scelte di stile e di lin-guaggio dell’enciclica? A qua-li finalità potrebbero corri-spondere?Marco Politi: Nell’enciclica comeanche nelle omelie, e specialmentenelle prediche durante le visite in par-rocchia o dinanzi a un uditorio tra-sversale di pellegrini, Benedetto XVIparla con una grande semplicità, pre-gnanza e – per chi ascolta – anchecon bellezza di immagini e concetti.Questo è proprio il suo stile, la suacaratteristica di predicare il Vangelo inmodo intimo, essenziale, che aiuti ilfedele a comprendere e a partecipa-re.Verità tradizionali? Forse. Ma espo-ste in modo non trito. E probabilmen-te tutto ciò corrisponde a una largafascia di credenti che ha bisogno di unpunto di riferimento un po’ pacelliano:sicuro, autorevole e (per quantoriguarda la natura autentica di Rat-zinger) anche delicato e sensibile.Adnane Mokrani: La formula, l’e-spressione illuminante Dio è amore,ci aiuta a riscoprire le verità innate edimenticate; come dice il Corano “e

ricorda, che il ricordo giova ai cre-denti” (Corano 51, 55).

A proposito delle categoriefilosofico-teologiche utilizza-te, come ad esempio quella dieros e di agape, si è parlato disvolta e di novità nell’approc-cio tra magistero e scienzeumane. Per quali motivi puòessere o non essere condivi-sibile tale pista interpretativa?Marco Politi: Direi di non esagerarecon l’esaltazione della novità. Averpresentato un intreccio e un rappor-to tra eros e agape è molto bello erappresenta anche uno sviluppo del-l’intuizione conciliare, che volle ilmatrimonio istituito non solo per laprocreazione dei figli, ma anche del-la “mutua donazione” dei coniugi.Resta però assente dall’orizzonte delPapa attuale come del magisteroecclesiale nel suo complesso un’a-nalisi seria della sessualità, un supe-ramento della demonizzazione deirapporti prematrimoniali, una rifles-sione su ciò che significa lo spezzar-si (e l’impossibilità di un riannodarsi)dell’intesa coniugale, un esame seriodei rapporti d’amore omosessuali.Sono passati tanti anni da quando ilcardinale Martini propose un nuovoConcilio per affrontare una serie ditemi precisi, fra cui anche quello del-la sessualità. La domanda resta ine-vasa e credo che dovremo attendereil pontificato post-ratzingeriano.Raniero La Valle: Riguardo al lin-guaggio mi sembra di grande impor-tanza il fatto che l’enciclica, per parla-re dell’amore di Dio, usi il termine eros,che in genere è riservato a identifica-re l’amore umano, e quel particolareamore che è legato alla carne delladonna e dell’uomo. La parola eros è

usata solo due volte nellatraduzione greca dell’AnticoTestamento (dei Settanta) emai nel Nuovo, dove amoreè reso piuttosto con la paro-la agápe. Naturalmente nonsi tratta, nell’enciclica, solo diuna sottigliezza linguistica,ma di un’opzione teologica eantropologica. L’amore è unosolo, quello di Dio e quellodell’uomo. Certamente l’a-more umano deve sempreessere purificato – cioè libe-rato da ciò che lo contraddi-ce – in un incessante salireverso l’alto e scendere versoil basso come sulla scala diGiacobbe. Ma se così stan-

no le cose, allora in ogni amore uma-no, se è amore, per quanto impoveri-to, disprezzato o non legittimato daicodici e dai riti, residua un barlume,una traccia dell’amore che è Dio. Que-sta è la buona notizia che alfine è venu-ta dalla Chiesa. Perciò dispiace l’unicacosa sbagliata dell’enciclica, che è ilsuo indirizzo, la delimitazione dei suoidestinatari, che non dovevano esseresolo i membri della Chiesa ma, comefu per la Pacem in terris, “tutti gli uomi-ni di buona volontà”.Adnane Mokrani: Il Papa nell’enci-clica ha toccato un tema molto deli-cato e attuale: il rapporto tra eroseagape, insistendo sul valore del cor-po e sulla complementarietà di cor-po e anima. Il Papa vuole, infatti,rispondere a una critica molto diffu-sa contro il cristianesimo e contro lereligioni in generale, di glorificare lospirito a discapito del corpo. Egli dice:Non sono né lo sprito né il corpo dasoli ad amare: è l’uomo, la persona,che ama come creatura unitaria, di cuifanno parte corpo e anima. Soloquando ambedue si fondono vera-mente in unità, l’uomo diventa piena-mente se stesso. Solo in questo modol’amore -l’eros- può maturare fino allasua vera grandezza.Tutto il problema, secondo me, è nelpassaggio dall’eros all’agape, dall’a-more possessivo all’amore donativo,dall’amore che soffre all’amore che sioffre, senza necessariamente esclu-dere né l’eros né l’agape; l’uno dà laconcretezza e l’immanenza e l’altrodà la trascendenza e lo spirito. È unaquestione di maturità umana, in cui lareligione dovrebbe avere un ruolo fon-damentale nell’iniziazione e nell’edu-cazione tramite esempi concreti d’a-more vissuto, donato e ricevuto. L’e-ducazione all’amore è il nucleo cen-

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trale della spiritualità, dell’umanizza-zione-divinizzazione dell’essere uma-no, e il metodo efficace è la liberazio-ne dall’egoismo, individuale e colletti-vo, la liberazione dalle tentazioni espli-cite e sottili del potere e del dominio,che si manifestano nelle famigliecome negli stati. L’egoismo e il pote-re sono gli ostacoli principali nella viadell’amore, soprattutto quando si pre-sentano sotto la maschera della reli-gione e nel nome di Dio. L’amore nonè una questione di parole ma piutto-sto di iniziazione alla vita piena e vera,essere in Dio è essere nell’Amore.Per me, orientale, non è abituale l’usodelle categorie della teologia e della filo-sofia per analizzare il tema dell’amore.In Oriente, e non solo, si usa piuttostola poesia, il racconto, il mito. La Bibbiastessa li usa per trasmettere la caricasimbolica ed emotiva dell’amore.

Il papa nell’enciclica sembramuoversi in un’ottica preva-lentemente eurocentrica. Sipuò considerare ecumenica,nell’accezione più ampia deltermine, la lettera “Deus Cha-ritas est”? Quali difficoltà dilettura e di accoglienza potreb-bero incontrare le Chiese e leteologie non europee?Marco Politi: Di per sé le linee por-tanti dell’enciclica, nel loro accentua-re che il Cristianesimo “è amore”,sono tutto sommato funzionali a unalettura trasversale nell’ecumene cri-stiana: valide per un ortodosso comeper un anglicano, per un evangelicocome per un cattolico.Più datate mi sembrano semmai leparti che polemizzano ex post conl’impegno eccessivamente sociale deipreti. Riguardo all’ecumenismo Rat-zinger è a un bivio. Il suo primo discor-so implica scelte concrete nell’orga-nizzazione interna della Chiesa cat-tolica e nella definizione delle relazionicon chiese che necessariamentedovranno essere considerate come“sorelle”, cioè non subordinate. Il tem-po corre. Se fra due anni non sivedranno i segni di un qualche risul-tato, si dovrà dire che la scommessaè stata persa.Raniero La Valle: È vero, il Papa par-la da dentro una cultura, che presu-mibilmente è quella europea, anchese ciò non vuol dire necessariamenteeurocentrica. Tutti parlano in una cul-tura. Anche Gesù, e perciò era “verouomo”. Però dalla cultura europea ilPapa estrae la concezione più alta cuila cultura europea è pervenuta, e che

ha impatto e valore universale. Essariguarda la politica che, contro le dot-trine nichilistiche e quelle imperniatesul criterio dell’amico-nemico, è defi-nita come lo strumento della giustizia.Anzi, senza la giustizia la politica nonavrebbe neanche titolo a esistere: per-ché la politica, secondo l’enciclica, hanella giustizia “la sua origine,il suo scopo” e anche la sua“misura”. Ciò naturalmente siestende alla definizione delloStato che, contro la giustifica-zione dell’assolutismo fornitada Thomas Hobbes, esiste peril perseguimento della giustizia,al punto che senza questa –remota iustitia – gli Stati nonsarebbero che dei grandi ladro-cinii, come diceva S. Agostino,o “una banda di ladri”, cometraduce papa Benedetto.Ma, al di là delle citazioni anti-che, la modernità dell’enciclicasi rivela laddove essa prova adire quale sia il contenuto del-la giustizia che agli Stati e allapolitica tocca realizzare; essoconsiste nel garantire a cia-scuno la sua parte dei benicomuni: problema questo chesi è posto in modo del tuttonuovo quando col sorgere del-l’industria moderna il rapporto tracapitale e lavoro è diventato la que-stione decisiva, dal momento che “lestrutture di produzione e il capitale”sono divenuti “il nuovo potere che,posto nelle mani di pochi, comporta-va per le masse lavoratrici una priva-zione di diritti contro la quale biso-gnava ribellarsi”. “Bisognava” ribellar-si: e quella ribellione ha dato i suoifrutti. Questa è una cosa che la Chie-sa ha capito solo lentamente, comeammette papa Benedetto, ma oggi nerende atto. E tuttavia, anche quandola giustizia degli Stati, anche in virtùdi quella ribellione, fosse adempiuta,non per questo verrebbe meno lanecessità dell’amore e delle opere dicarità che ne derivano, per giustifica-re le quali l’enciclica non ricorre maiall’argomento che “i poveri li avretesempre con voi”, parola di cui spes-so ci si è serviti per legittimare il per-durare di assetti sociali iniqui e per for-nire ai ricchi la via per cavarsela conpoco con l’elemosina e salvarsi anchel’anima.Dunque, dal kerigma alla ribellione,e poi di nuovo all’amore: è un bel trat-to di strada che l’enciclica compie; lasua accoglienza o il suo rifiuto, dentrola chiesa cattolica o a livello ecume-

nico o nella grande cultura laica daoggi dipendono dalla disponibilità apercorrere questa strada.Adnane Mokrani: La prima parte del-l’enciclica risponde a Friedrich Nietz-sche, e la seconda parte a Carl Marx,due grandi filosofi tedeschi. Ancoracome orientale, vedo nell’amore un

tema rilassante, che, per sua naturanon può essere affrontato con la pole-mica. La forza dell’amore è invasiva,sicura, riempie il cuore e non lasciaspazio per i dubbi. Invece il discorsoteologico, che è razionale, è polemicoper sua natura. Questa non è una cri-tica, è un parere di una persona cheosserva partendo da un’altra culturae da un’altra religione. Forse abbiamobisogno del dialogo dell’amore, doveil Gange e il Tevere si abbracciano econdividono i beni spirituali.Alcuni dicono che lo slogan dell’islamAllahu Akbar, Dio è sempre più gran-de, sembra contraddire lo slogan cri-stiano Dio è amore. L’islam confermala trascendenza, invece il Cristiane-simo conferma l’immanenza, l’incar-nazione e la vicinanza. Forse questovale per un certo Islam e un certo Cri-stianesimo. Ma se cerchiamo di met-tere insieme i due slogan, troviamoche: l’amore è sempre più grande, l’a-more è un cammino che cresce sem-pre, e che gradualmente abbracciasempre di più Dio e gli uomini. Non èun sincretismo che confonde le formee le superfici, ma l’incontro nell’es-senziale, nel profondamente umano edivino, l’incontro nel Centro che uni-sce. Lì Tutto è Amore.