Socrate e la filosofia greca

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VI. SOCRATE E LA RICERCA DELLE ESSENZE UNIVERSALI La fondazione di un nuovo metodo di ricerca Con Socrate per la prima volta si pose la cosiddetta questione degli universali. Egli fu infatti il primo a concepire la conoscenza come un risalire da alcuni fenomeni particolari a un’essenza universale che tutti li racchiude, unificandoli come sue estrinsecazioni particolari. La questione delle essenze, o dei concetti, o delle idee, o come le si voglia chiamare, sorge appunto con la speculazione socratica. Essa si trasmetterà innanzitutto agli immediati successori di Socrate, Platone e Aristotele (che tali universali collocarono rispettivamente “in cielo”, ovvero in una dimensione extracorporea, e “in terra”, ovvero negli stessi soggetti particolari portatori degli attributi di tali universali) giungendo attraverso i secoli sino alla scienza moderna, il cui fine è appunto quello di individuare le costanti o leggi (possibilmente matematiche) alla base di ambiti circoscritti di fenomeni, di natura fisica o in ogni caso oggettiva (osservati cioè dal soggetto conoscente come a sé estrinseci). Dalla ricerca della certezza a quella delle essenze universali Ma Socrate non si pose assolutamente, in prima battuta, il problema degli universali. Piuttosto, innanzitutto, egli si propose di scoprire come si possa giungere a una conoscenza certa e incontrovertibile di ciò che può essere argomento di studio. In questa sua estrema esigenza di esattezza, egli ricorda un altro filosofo greco, Parmenide, il quale, in nome di un’assoluta chiarezza logico-razionale, era giunto a sconfessare ogni conoscenza che provenisse dai sensi, arrivando alla paradossale conclusione che solo ciò che la logica afferma dell’Essere (ovvero dell’Esistente) può essere vero, con tutte le conseguenze che si ricordano (l’Essere è uno, privo di differenze al proprio interno e quindi sferico, al di là dello spazio e del tempo, ecc.) Socrate riprese e fece sua questa intolleranza assoluta verso tutto ciò che è ambiguo, indefinito e oscuro (…anche se magari, a uno sguardo affrettato, potrebbe apparire chiaro e conseguente), applicandola però a un campo di indagine più ristretto rispetto a quello dell’ontologia, cioè all’etica. Come già si diceva, egli si chiedeva cosa fossero nella loro essenza il Bene, la Giustizia, e tutti quei valori a cui è giocoforza improntare la condotta della vita sia individuale sia sociale. Egli fu dunque, senza alcun dubbio, un rivoluzionario e un riformatore, sia della conoscenza che della società. Ma rispetto a Parmenide sussisté anche un’enorme differenza: questi infatti fu colui che per primo cercò di applicare un metodo rigorosamente deduttivo allo studio del Tutto, giungendo a una serie di conclusioni necessarie a partire da un postulato a suo giudizio autoevidente: che l’Essere è e non può non essere. In questo egli ricorda Cartesio, un altro grande riformatore della conoscenza, nato parecchi secoli dopo, il quale fece della matematica (la scienza deduttiva per eccellenza) il modello stesso di ogni conoscenza, compresa quella filosofica. Socrate invece, non utilizzò per la sua ricerca del vero un metodo propriamente deduttivo ma induttivo, di cui peraltro appare in un certo senso come lo scopritore. Egli difatti non sviluppava ragionamenti meramente aprioristici, che partissero cioè da intuizioni astrattamente autoevidenti utilizzate come fondamento di una più ampia costruzione logico-deduttiva. Piuttosto, egli analizzava (o meglio, pretendeva che i suoi interlocutori analizzassero) un insieme di fenomeni classificabili come espressioni particolari di un medesimo concetto (ad esempio la giustizia, ma anche la ginnastica, la guerra, ecc.) per risalire poi criticamente, a partire appunto dall’analisi di tali fenomeni, alle caratteristiche del concetto loro sotteso. Ovviamente una tale indagine doveva essere condotta in base a un’analisi logica rigorosa, anzi inattaccabile. Ciononostante non si trattava, almeno in primo luogo, di un procedimento propriamente deduttivo, bensì induttivo, poiché esso partiva dall’analisi di casi particolari, oggetto di esperienza sensibile, per giungere all’individuazione di un’essenza logica astratta, come tale

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Missione e messaggio socratico

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  • VI. SOCRATE E LA RICERCA DELLE ESSENZE UNIVERSALI La fondazione di un nuovo metodo di ricerca

    Con Socrate per la prima volta si pose la cosiddetta questione degli universali. Egli fu infatti il primo a concepire la conoscenza come un risalire da alcuni fenomeni particolari a unessenza universale che tutti li racchiude, unificandoli come sue estrinsecazioni particolari. La questione delle essenze, o dei concetti, o delle idee, o come le si voglia chiamare, sorge appunto con la speculazione socratica. Essa si trasmetter innanzitutto agli immediati successori di Socrate, Platone e Aristotele (che tali universali collocarono rispettivamente in cielo, ovvero in una dimensione extracorporea, e in terra, ovvero negli stessi soggetti particolari portatori degli attributi di tali universali) giungendo attraverso i secoli sino alla scienza moderna, il cui fine appunto quello di individuare le costanti o leggi (possibilmente matematiche) alla base di ambiti circoscritti di fenomeni, di natura fisica o in ogni caso oggettiva (osservati cio dal soggetto conoscente come a s estrinseci).

    Dalla ricerca della certezza a quella delle essenze universali Ma Socrate non si pose assolutamente, in prima battuta, il problema degli universali. Piuttosto, innanzitutto, egli si propose di scoprire come si possa giungere a una conoscenza certa e incontrovertibile di ci che pu essere argomento di studio. In questa sua estrema esigenza di esattezza, egli ricorda un altro filosofo greco, Parmenide, il quale, in nome di unassoluta chiarezza logico-razionale, era giunto a sconfessare ogni conoscenza che provenisse dai sensi, arrivando alla paradossale conclusione che solo ci che la logica afferma dellEssere (ovvero dellEsistente) pu essere vero, con tutte le conseguenze che si ricordano (lEssere uno, privo di differenze al proprio interno e quindi sferico, al di l dello spazio e del tempo, ecc.) Socrate riprese e fece sua questa intolleranza assoluta verso tutto ci che ambiguo, indefinito e oscuro (anche se magari, a uno sguardo affrettato, potrebbe apparire chiaro e conseguente), applicandola per a un campo di indagine pi ristretto rispetto a quello dellontologia, cio alletica. Come gi si diceva, egli si chiedeva cosa fossero nella loro essenza il Bene, la Giustizia, e tutti quei valori a cui giocoforza improntare la condotta della vita sia individuale sia sociale. Egli fu dunque, senza alcun dubbio, un rivoluzionario e un riformatore, sia della conoscenza che della societ. Ma rispetto a Parmenide sussist anche unenorme differenza: questi infatti fu colui che per primo cerc di applicare un metodo rigorosamente deduttivo allo studio del Tutto, giungendo a una serie di conclusioni necessarie a partire da un postulato a suo giudizio autoevidente: che lEssere e non pu non essere. In questo egli ricorda Cartesio, un altro grande riformatore della conoscenza, nato parecchi secoli dopo, il quale fece della matematica (la scienza deduttiva per eccellenza) il modello stesso di ogni conoscenza, compresa quella filosofica. Socrate invece, non utilizz per la sua ricerca del vero un metodo propriamente deduttivo ma induttivo, di cui peraltro appare in un certo senso come lo scopritore. Egli difatti non sviluppava ragionamenti meramente aprioristici, che partissero cio da intuizioni astrattamente autoevidenti utilizzate come fondamento di una pi ampia costruzione logico-deduttiva. Piuttosto, egli analizzava (o meglio, pretendeva che i suoi interlocutori analizzassero) un insieme di fenomeni classificabili come espressioni particolari di un medesimo concetto (ad esempio la giustizia, ma anche la ginnastica, la guerra, ecc.) per risalire poi criticamente, a partire appunto dallanalisi di tali fenomeni, alle caratteristiche del concetto loro sotteso. Ovviamente una tale indagine doveva essere condotta in base a unanalisi logica rigorosa, anzi inattaccabile. Ciononostante non si trattava, almeno in primo luogo, di un procedimento propriamente deduttivo, bens induttivo, poich esso partiva dallanalisi di casi particolari, oggetto di esperienza sensibile, per giungere allindividuazione di unessenza logica astratta, come tale

  • inconoscibile coi sensi e conoscibile solo con lintelletto. Socrate insomma, contrariamente ai Sofisti, partiva dal presupposto che la doxa (la conoscenza basata sullesperienza del particolare sensibile, lopinione) dovesse e potesse essere trascesa nellepisteme, ovvero in una conoscenza astratta puramente intellettuale: la conoscenza delle essenze. Interessante, filosoficamente parlando, anche lopinione che Socrate aveva di se stesso e dei suoi concittadini. Su se stesso egli aveva ununica certezza, che tale peraltro rimase per tutta la sua vita: quella di non sapere nulla, cio di non avere certezze su nessun argomento. Ma in realt alcune certezze egli le aveva, dalle quali peraltro discendeva questa, e riguardavano i criteri in base ai quali si pu affermare di sapere, di conoscere effettivamente qualsiasi cosa. Egli cio, come gi si detto, aveva chiari i criteri discriminanti la conoscenza vera (episteme) rispetto a quella falsa o apparente (doxa), anche se non riusc mai, a suo dire, a enucleare alcuna conoscenza specifica. Fu e rimase quindi un ignorante per tutta la vita, ma seppe anche di esserlo. E proprio in questo, a suo dire, egli si distingueva dai suoi concittadini: nel fatto cio che, contrariamente a molti di questi, che ritenevano di conoscere in modo solido e inattaccabile se non certamente tutto, quantomeno i propri ambiti di competenza professionale, egli sapeva di non sapere. Socrate dimostr a costoro, con la semplice interrogazione critica, come il loro sapere fosse in realt incerto e contraddittorio, dimostrando cos, implicitamente, che nessun uomo conosceva con certezza, quindi veramente, alcunch. Ma a cosa mirava esattamente Socrate, a che tipo di conoscenza? Egli mirava a conoscere, a partire dai loro stessi fondamenti, i vari campi dellindagine umana, laddove con il termine fondamento si deve intendere come si detto ci che unifica come espressione di una medesima realt essenziale una serie di fenomeni particolari, che rientrano perci in un medesimo ambito di conoscenza e desistenza. Ad esempio, egli si chiedeva cosa fosse la Giustizia, ovvero ci che rende giuste tutte le azioni che tali definiamo. Non si accontentava insomma, di una definizione approssimativa di Giustizia, che magari escludesse alcuni fenomeni che pure, da altri punti di vista, riteniamo manifestazioni particolari di tale concetto. Se di Giustizia vogliamo parlare, affermava Socrate, dobbiamo prima conoscere con esattezza e in modo incontrovertibile cosa sia la Giustizia, in modo tale che tutti i fenomeni che riteniamo esserne manifestazioni rientrino effettivamente nel novero di tale definizione. Altra caratteristica di Socrate, stando quantomeno a ci che Platone (e Senofonte) ci hanno tramandato di lui, era il fatto di non cercare in prima persona la verit, ma di aiutare gli altri a trovarla. Il metodo da lui seguito per questo fine si chiama maieutica, un termine che in greco indicava larte di far partorire (ostetricia), e si basava sul dialogo, su una continua interrogazione da parte sua verso il suo interlocutore (un metodo, quello dialogico o dialettico, che il suo discepolo diretto, Platone, far suo). Come gi detto, tale interlocutore, che affermava di essere edotto su un dato argomento, era posto sotto il fuoco incalzante di una serie di domande penetranti di fronte allevidenza dellinconsistenza della sua presunta conoscenza, che si dimostrava contraddittoria e approssimativa. In questo modo, Socrate si poneva non come maestro ma come levatore della verit altrui, poich non insegnava nulla a nessuno ma aiutava i propri interlocutori a insegnare a se stessi, a comprendere con chiarezza ci su cui soffermavano la propria attenzione, il proprio sforzo di conoscenza. I suoi sforzi tuttavia, non andavano mai a segno. Al contrario, attraverso le domande socratiche linterlocutore si accorgeva sia di non sapere veramente alcunch, sia di non riuscire a colmare il vuoto della propria ignoranza con un nuovo sapere, che soddisfacesse i criteri socratici della conoscenza. Cos, alla fine dei dialoghi socratici riportatici da Platone, costui finiva

  • immancabilmente per trovarsi nella stessa condizione del suo interlocutore: quella cio di chi non sa e, seppure malincuore, deve riconoscere di non sapere. Ma esattamente, cosa ignorava costui? Egli ignorava lessenza stessa dellargomento che in precedenza aveva creduto di conoscere, cio i suoi fondamenti logici e concettuali. Non ne conosceva dunque con certezza laspetto universale, pur conoscendone in qualche modo le (o alcune delle) manifestazioni particolari. Torniamo cos ai Sofisti. Anche per loro la conoscenza umana era qualcosa di incerto e soggettivo, in quanto inevitabilmente legata alla dimensione sensibile, dellopinione. Ma quel che per essi era un destino ineluttabile, dovuto al fatto che ogni individuo valuti per forza di cose il mondo da un suo personale punto di osservazione e attraverso il prisma dei suoi interessi, per Socrate era invece qualcosa che doveva in qualche modo essere superato. Egli non riusc mai nellintento di questo superamento, ma pose comunque il problema. Platone per primo trov una soluzione.

    Socrate tra modernit e tradizione Pur rivoluzionario, Socrate non fu assolutamente un uomo ostile alle tradizioni, come ingiustamente dissero di lui i suoi accusatori, che poi per tale ragione lo mandarono a morte. Piuttosto egli si colloc a cavallo tra modernit e tradizione, ponendosi da una parte come erede della visione classica delluomo greco, che conosce a partire da se stesso, cio in ultima analisi attraverso un atto di introspezione (gnoti se autn: conosci te stesso, era il precetto della Pizia, la sacerdotessa di Apollo); dallaltra come espressione del nuovo razionalismo filosofico, che si emancipava radicalmente dalla visione arcaica delluomo, in particolare dallidea della forza fisica e della violenza come strumenti di affermazione sociale (visione ben esemplificata, ad esempio, dai poemi omerici). Il presupposto della ricerca socratica, era il fatto che ogni uomo dovesse e potesse scoprire la verit solo in se stesso, cio appunto attraverso un atto di introspezione. Ma un tale atto non era un perdersi nei meandri della propria soggettivit, bens un ascoltare la propria ragione, il logos che allinterno di ogni uomo, e che tutti in qualche modo unifica. In tal modo la ricerca del Vero veniva ad essere qualcosa al tempo stesso di estremamente personale e di universale, qualcosa quindi che poteva essere condiviso da pi persone ma che, in ultima analisi, era sempre sottoposto al giudizio del singolo uomo, il quale poteva esercitare una libera critica dei risultati della ricerca di altri uomini. chiaro altres che, se si eccettuano i Sofisti che credevano in una verit puramente soggettiva e relativa, tale presupposto metodologico era implicitamente condiviso anche dai filosofi precedenti, per i quali la scienza era in ultima analisi un dibattito tra diverse correnti e diversi ricercatori. Ma la grandezza di Socrate risied appunto nel fatto di rendere espliciti tali presupposti, ci che in particolare lo poneva in contrasto con la tendenza tipica della corrente sofistica a relativizzare il concetto di verit, a smarrirne cio laspetto di assolutezza a favore di quello meramente relativo e situazionale. La fiducia socratica nella Ragione si spinse oltre i limiti che fino ad allora erano stati della cultura greca su un punto specifico. Leroe antico era un uomo eccezionale, volitivo, diremmo oggi. La sua virt, e la virt umana in genere, era nella visione greca arcaica un misto di coraggio, saggezza e forza, qualit che davano alluomo la capacit di seguire una condotta impeccabile o che tendesse allimpeccabilit. La virt dava inoltre il diritto alluomo di dominare e guidare gli altri uomini, ovvero a volte, pi modestamente, di detenere un ruolo di spicco nella vita decisionale della comunit e nella guerra in particolare.

  • Socrate per la prima volta afferm una nuova concezione della virt. La virt era s, per lui, almeno in un certo grado il prodotto del coraggio e della forza (anche se senza dubbio, rispetto al passato, tale concetto assumeva un significato pi spiccatamente morale che fisico). Ma secondo lui tali qualit erano essenzialmente subordinate alla saggezza, al sapere. Socrate credeva cio, che colui che avesse conosciuto la natura profonda (il concetto) del Bene e della Virt, non avrebbe potuto non seguirli. Tale atteggiamento, definito comunemente intellettualismo etico (lidea cio che letica abbia in ultima istanza un fondamento razionale e intellettuale), costituiva il coronamento della sua ricerca della Verit. Gli sforzi per giungere a una comprensione solida e intellettualmente incrollabile delle questioni etiche, infatti, non erano per Socrate qualcosa di per cos dire gratuito, dettato da una semplice curiosit intellettuale, ma rispondevano allesigenza di rifondare la vita civile in direzione del Bene. Difatti, a suo giudizio, una volta che gli uomini avessero compreso esattamente cosa questo fosse, sarebbe stato per essi inevitabile vivervi conformemente. Lo sforzo metodologico socratico di rifondare la conoscenza dunque, aveva una radice essenzialmente etica e politica. Socrate fu lespressione della fiducia della cultura greca classica che, come sappiamo, ebbe rispetto a quelle coeve un carattere spiccatamente razionalistico nella possibilit di rifondare lumanit a partire dai lumi dellindagine critica, in particolare nel suo caso per ci che concerneva i temi etici. Anche se egli non giunse mai a definire in prima persona tali temi, pose comunque un problema metodologico cui il suo miglior allievo, Platone, riusc a dare una soluzione concreta attraverso un proprio pensiero. In questo senso, Platone e Socrate (quantomeno il Socrate descritto da Platone, cui tutti in sostanza si rifanno) sono figure strettamente complementari, tanto che non a torto molti considerano il pensiero socratico come una sorta di introduzione o preparazione a quello platonico immediatamente successivo.

    Socrate e Atene Socrate passato alla storia, quantomeno nell'immaginario collettivo, per due ragioni essenziali: il fatto di essere un individuo balzano, tanto trascurato e sgradevole nel suo aspetto esteriore quanto capace, nel suo modo di essere, di andare al di l di ogni stereotipo del suo tempo; e il fatto, strettamente collegato al precedente, di essere uno dei pi celebri martiri della libert di pensiero, nonch forse il primo riconosciuto. Entrambe queste caratteristiche peraltro, si possono comprendere solo in relazione al contesto storico in cui visse. Socrate fu un contemporaneo dei Sofisti, di cui si gi parlato. Si sente spesso stigmatizzare una tale corrente di pensiero, con le sue implicazioni scettiche e relativistiche, come il sintomo e la prova evidente di una presunta decadenza culturale e morale della polis classica. Ma in realt, come gi detto, gli esiti di pensiero della Sofistica erano assolutamente coerenti con gli stili di vita e di pensiero delle citt-stato greche in un tale periodo di estrema prosperit economica, e ci in particolare per quanto riguarda le citt democratiche, in cui le attivit di mercato e il rigoglio politico ed economico delle classi medie avevano fortemente contribuito alla formazione e alla diffusione di una temperie razionalistica e individualistica (Antropos mtron, ovvero luomo il metro di tutto, diceva come si ricorder Protagora). Accanto a una tale corrente politico-culturale tuttavia, ve nera unaltra, di matrice arcaica, che considerava la vita della societ come il prodotto dellaret o saggezza di una ristretta lite di uomini eletti, i nobili, portatori e custodi delle Verit eterne e non negoziabili della Tradizione, ai quali spettava perci di diritto il ruolo di guida delle comunit. Inutile dire che Sparta, la grande concorrente politica di Atene, costituiva il riferimento ideologico e politico delle forze conservatrici e nobiliari che in tutto il mondo greco si ispiravano a una tale concezione, radicalmente ostile al relativismo razionalistico della sofistica e alla democrazia.

  • Fu Socrate un nobile? Certamente no. Fu politicamente un conservatore? In un certo senso, molto probabilmente s. La sua idea di Verit, intesa come qualcosa che richiedeva una profonda disamina critica e che non era perci certamente alla portata di tutti, era senza dubbio estranea alla superficialit e alla faciloneria implicite nella democrazia in quanto sistema politico in cui tutti (indipendentemente dal proprio effettivo grado di preparazione) hanno il diritto di pronunciarsi pressoch su tutto. Certamente tuttavia, contrariamente alla mentalit nobiliare propriamente detta, Socrate non ebbe una visione eccessivamente elitaria del sapere, secondo la quale solo individui di sangue blu avrebbero il diritto e la capacit di accedere alla conoscenza e al comando. In questo senso, egli fu molto probabilmente un democratico genuino, oltre che in perfetta sintonia con le idee dei Sofisti. Sia come sia, pur essendone indiscutibilmente un prodotto in quanto libero pensatore, Socrate non fu un assertore entusiasta della democrazia ateniese. In lui, come nel suo discepolo Platone, vennero in un certo senso a convergere il razionalismo tipico delle societ greche moderne, e la fede nellesistenza di Verit assolute e incrollabili tipica di quelle pi arcaiche e tradizionali. Certamente, per questo suo carattere inafferrabile, Socrate fu poco simpatico a molti ateniesi, tanto conservatori quanto democratici. Egli certo aveva molti ammiratori e discepoli tra gli esponenti di quella giovane aristocrazia ateniese che da sempre sfornava i membri delllite di governo della citt, sia democratica sia conservatrice (tra di essi, su tutti brill Alcibiade, futuro erede di Pericle alla guida della fazione democratica ateniese.) Ma questo non toglie che la sua figura molto in vista fosse invisa sia alle classi dominanti che a gran parte della popolazione, che vi vedevano una fonte di confusione e corruzione sociale. Veniamo ora alla sua condanna. Perch Socrate fu condannato a morte, e quando? Dobbiamo ricordare a questo proposito che lAtene in cui Socrate esercit la maggior parte della sua missione educatrice fu uno stato libero e tollerante. Per tale ragione, sia pure tra sospetti e ironie, egli fu a lungo lasciato libero di mettere in pratica e manifestare pubblicamente le proprie idee. Le cose tuttavia cambiarono con la fine delle cosiddette guerre del Peloponneso (431-404 a.C.) nelle quali Atene e Sparta si fronteggiarono militarmente per la supremazia sulla Grecia. Il risultato della drammatica sconfitta ateniese (che peraltro si dovette in gran parte ascrivere allo stesso Alcibiade, il pi in vista dei discepoli di Socrate) fu linstaurazione di una tirannide filo-spartana di matrice nobiliare, comunemente detta dei Trenta Tiranni, che si accan conto molti degli esponenti pi in vista della vecchia Atene democratica, e alla quale fece seguito dopo pochi anni una faticosa e sanguinosa reinstaurazione dellantica democrazia (403-400 a.C.) Fu nel clima avvelenato di questa restaurazione che si collocarono il processo e la condanna a morte di Socrate, cos come in generale di molti cittadini ateniesi. La neorinata democrazia ateniese era difatti risorta in seguito a una sanguinosa guerra civile, ed era inoltre chiaro pi o meno a tutti i cittadini di Atene come gli splendori dei decenni precedenti alla sconfitta contro Sparta non si sarebbero pi ripetuti negli anni a venire. Il clima politico ateniese era quindi avvelenato, e molti cittadini colsero perci loccasione per sistemare questioni rimaste in sospeso nei decenni precedenti. Socrate fu una delle vittime di questa situazione. Gli odi e i rancori anche personali che egli aveva accumulato su di s trovarono in questo clima di epurazione un facile modo di sfogarsi ed egli si trov implicato in un farsesco processo per empiet. Era infatti accusato di corrompere i giovani insegnando loro a non credere negli dei tradizionali, cosa in realt assolutamente falsa. N una tale accusa era meno grave nella tollerante democrazia ateniese che in un qualsiasi regime oligarchico tradizionalista, dal momento che nessun greco (nemmeno un innovatore radicale come lui) avrebbe mai osato mettere in discussione, quantomeno pubblicamente, i fondamenti stessi della propria civilt. Stando a ci che ci racconta Platone in due suoi celebri scritti, lApologia di Socrate e il Fedone, limputato non prov neppure a difendersi dalla accuse intentategli, o quantomeno a farlo in modo da avere una qualche chance di convincere la giuria della propria innocenza. N accett di

  • fuggire clandestinamente quando gliene fu data la possibilit. In questo atteggiamento passivo, quasi di martirio volontario, vediamo altri aspetti della personalit e del pensiero socratici. Da una parte egli, stando quantomeno a ci che riferisce Platone, non temeva assolutamente la morte ma la concepiva al contrario come una liberazione dalla condizione di irrazionalit e di disordine (ingiustizia) in cui immersa la vita umana. Dallaltra, considerava un preciso e imprescindibile dovere morale del buon cittadino quello di non ribellarsi alle leggi e alle sentenze della citt, anche qualora (come in questo caso) esse si fossero dimostrate palesemente ingiuste. Perch questo? Essenzialmente per non seminare ulteriore disordine in una realt gi caotica, lacerata dalle passioni e dai conflitti (in quanto ancora lontana dalla Verit) quale era quella degli stati reali, non ancora conciliati con la realt dello stato ideale, retto da Giustizia. In molti, giustamente, hanno scorto una profonda affinit tra questo pacifismo socratico e il pacifismo di quei primi cristiani che accettavano serenamente di andare incontro alla morte in seguito alle sentenze dei tribunali romani che spesso li accusavano di crimini che non avevano mai commesso. Sia Socrate sia questi ultimi infatti, erano sorretti dallaspirazione a una vita migliore dopo la morte (o almeno, alla fine dei tormenti della vita terrena) e dalla convinzione di dover rispettare lautorit politica vigente, intesa come male minore, in attesa dellinstaurazione di un nuovo ordine di cose in cui la Giustizia avrebbe finalmente retto le sorti degli uomini.

    Conclusione La grandezza e limportanza di Socrate sono legate ad alcuni temi da lui sollevati, che rimasero in seguito cruciali nella storia del pensiero occidentale: la scoperta dellinduzione, ovvero di un processo conoscitivo basato su una risalita da un insieme di fenomeni particolari a unessenza universale che tutti li comprende; la ricerca dei fondamenti ultimi e assoluti delletica e della politica, sua estensione sul piano sociale e collettivo. Ma Socrate brill e brilla ancora oggi come una fulgida figura umana, larchetipo stesso delluomo che, senza astio e senza violenza, combatte per laffermazione della verit e della libert di pensiero, anche a costo della sua stessa vita. Pi di molti altri filosofi, egli divenuto col tempo non solo un personaggio celebre ma una figura dal forte valore simbolico, cosa tanto pi vera oggi, in una societ quale quella attuale, che ha fatto della libert personale e di un uso libero e spregiudicato della ragione la sua unica, vera religione. N gli eccessi libertari del nostro tempo, spesso irrazionali e distruttivi, rendono meno lodevoli e meritori il messaggio e il sacrificio di cui Socrate diede prova nel suo, ai suoi concittadini e implicitamente alle successive generazioni.