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LA FEDE È VISIBILE GRAZIE ALL'AMORE-CARITÀ G ià tra i primi cristiani (si veda il libro degli Atti degli apostoli e la Lettera di Giacomo) si pensava erroneamente che la fede fosse possibile anche senza il concreto servizio del prossimo, mentre negli Atti degli Apostoli è sottoli- neato a più riprese l'importanza dell'aiuto e della condivisione. Ma "credere" per la Bibbia significa "appoggiarsi", "radicarsi" su Dio. Se le nostre radici af- fondano nell'amore infinito, i nostri frutti non potranno essere che amore, gioia e pace (Galati 5,22). Ecco perché amiamo quel Dio che non vediamo nel prossimo che vediamo. La concretezza della nostra fede si rileva dalla no- stra condivisione. Saremo giudicati (Matteo 25, 31-46) da ciò che avremo o non avremo fatto per l'affamato, il profugo, il malato, il carcerato. Certo, la Chiesa sarebbe più credibile se si votasse completamente al servi- zio dei poveri di tutto il mondo, creando un minimo di fraternità tra tutte le persone. Vasi d'oro, stoffe preziose, secondo il pensiero dei Padri della Chiesa (voglio ricordare solo San Giovanni Crisostomo, vescovo di Co- stantinopoli) vanno venduti per sfamare i poveri. Secondo l'antica tradi- zione, se una persona moriva di fame si sospendevano le messe: "Avevamo lasciato morire il Cristo!". San Vincenzo de' Paoli, come il beato Federico Ozanam, del quale ricorre il duecentesimo anniversario della nascita, hanno risvegliato la Chiesa, che troppo poco si curava dei poveri, degli affamati. Non solo si è sviluppato un servizio concreto per dare un pane a chi non ne aveva, ma anche si è appro- fondita la riflessione sulle cause, combattute per eliminare l'ingiustizia sociale. Ogni persona nasce, secondo le statistiche, con un patrimonio di sette mi- lioni di franchi! Ma la ricchezza è così mal distribuita che i pochi hanno troppo e i molti nulla o quasi nulla. Temiamo l'invasione degli affamati verso i Paesi ricchi. Non ci proteggeranno le armi, bensì la giustizia. Se diventiamo nel mondo una Confederazione di Stati e promoviamo la con- divisione a livello planetario, fermeremmo le fughe dei disperati, facendo nascere occasioni di lavoro nel mondo intero. Le Missioni sono già oggi cen- tri di civiltà e di progresso, come anche le varie Associazioni che mirano a un giusto e rispettoso sviluppo: ma sono poca cosa di fronte ai bisogni che la co- lonizzazione e lo sfruttamento ha acuiti. La lotta contro la fame, la miseria, la disoccupazione ci impegna a livello planetario e ci fa cittadini del mondo. Cerchiamo di condividere, di soccorrere, di sacrificarci, coscienti che la fame annienterà l'umanità se l'umanità, finalmente, non annienterà la fame. Don Pietro Borelli assistente spirituale L A S AN V INCENZO Società di San Vincenzo de’ Paoli ANNUARIO 2013 1581 - 1660 in Ticino

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LA FEDE È VISIBILE GRAZIE ALL'AMORE-CARITÀ

Già tra i primi cristiani (si veda il libro degli Atti degli apostoli e la Letteradi Giacomo) si pensava erroneamente che la fede fosse possibile anche senzail concreto servizio del prossimo, mentre negli Atti degli Apostoli è sottoli-neato a più riprese l'importanza dell'aiuto e della condivisione. Ma "credere"per la Bibbia significa "appoggiarsi", "radicarsi" su Dio. Se le nostre radici af-fondano nell'amore infinito, i nostri frutti non potranno essere che amore,gioia e pace (Galati 5,22). Ecco perché amiamo quel Dio che non vediamonel prossimo che vediamo. La concretezza della nostra fede si rileva dalla no-stra condivisione. Saremo giudicati (Matteo 25, 31-46) da ciò che avremo onon avremo fatto per l'affamato, il profugo, il malato, il carcerato.

Certo, la Chiesa sarebbe più credibile se si votasse completamente al servi-zio dei poveri di tutto il mondo, creando un minimo di fraternità tra tuttele persone. Vasi d'oro, stoffe preziose, secondo il pensiero dei Padri dellaChiesa (voglio ricordare solo San Giovanni Crisostomo, vescovo di Co-stantinopoli) vanno venduti per sfamare i poveri. Secondo l'antica tradi-zione, se una persona moriva di fame si sospendevano le messe: "Avevamolasciato morire il Cristo!".

San Vincenzo de' Paoli, come il beato Federico Ozanam, del quale ricorre ilduecentesimo anniversario della nascita, hanno risvegliato la Chiesa, chetroppo poco si curava dei poveri, degli affamati. Non solo si è sviluppato unservizio concreto per dare un pane a chi non ne aveva, ma anche si è appro-fondita la riflessione sulle cause, combattute per eliminare l'ingiustizia sociale.

Ogni persona nasce, secondo le statistiche, con un patrimonio di sette mi-lioni di franchi! Ma la ricchezza è così mal distribuita che i pochi hannotroppo e i molti nulla o quasi nulla. Temiamo l'invasione degli affamati versoi Paesi ricchi. Non ci proteggeranno le armi, bensì la giustizia.

Se diventiamo nel mondo una Confederazione di Stati e promoviamo la con-divisione a livello planetario, fermeremmo le fughe dei disperati, facendonascere occasioni di lavoro nel mondo intero. Le Missioni sono già oggi cen-tri di civiltà e di progresso, come anche le varie Associazioni che mirano a ungiusto e rispettoso sviluppo: ma sono poca cosa di fronte ai bisogni che la co-lonizzazione e lo sfruttamento ha acuiti. La lotta contro la fame, la miseria,la disoccupazione ci impegna a livello planetario e ci fa cittadini del mondo.Cerchiamo di condividere, di soccorrere, di sacrificarci, coscienti che la fameannienterà l'umanità se l'umanità, finalmente, non annienterà la fame.

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Attività 2013

Con Federico incontro ai poveri

La figura del nostro fondatore, il beato Fe-derico Ozanam, del quale quest’anno sicommemora il duecentesimo anno dalla na-scita, mi dà l’opportunità di riflettere sullanostra Società, radicata in tutto il mondo,con circa quattrocentomila vincenziani at-tivi. In Ticino siamo in 130 e operiamo in11 conferenze su tutto il territorio canto-nale, ma non a caso il numero maggiore diconferenze che si adoperano nella carità èconcentrato proprio dove c’è una maggioreconcentrazione di persone e di ricchezza.

La vera povertà oggi è principalmenteun'assenza di valori. Atteggiamenti smodati,magari irrispettosi, all'insegna del "tutto èpermesso" senza porre limiti, non di rado

possono anche sfociare in una povertàanche dal punto di vista economico. Ma inquesto contesto il beato Federico Ozanamavrebbe ancora qualche cosa da dirci?

A mio avviso vi sono almeno tre inse-gnamenti che restano ancora validi ai giorninostri. Il primo, riproposto magistralmenteanche dal Santo Padre papa Francesco, ri-guarda la concezione cristiana della persona:non dobbiamo vedere in chi ci interpellaunicamente un bisognoso in cerca di aiuto,ma un essere umano con la sua dignità e i suoitalenti. Il secondo, non disgiunto dal prece-dente, riguarda la capacità di instaurare unrapporto: la visita a domicilio, pilastro del-l’opera vincenziana, è necessaria per creareprima di tutto una condivisione attraversoun momento di amicizia. Il terzo insegna-

mento non può che essere dedicato al rin-novamento: è fondamentale che ognuno dinoi sappia stimolare i giovani per far sì che simettano a disposizione delle nostre Confe-renze. La lucentezza dei talenti giovanili,amalgamati con la solidità dei talenti deimeno giovani, completano un meravigliosoarcobaleno.

Se qualcuno, leggendo queste righe, sisente nel suo cuore il desiderio di donarsi,non perda l’occasione. Sarà Lui a condurcicon amore. Quello che diremo e quello chefaremo, tutto gli sarà gradito.

Gianfranco Plebani, Presidente Cantonale

ASSEMBLEA DEL CONSIGLIO SUPERIORE SVIZZERO

Il 21 e 22 settembre si svolgerà a Lugano l'assemblea del Consiglio Su-periore Svizzero (CSS) delle Conferenze di San Vincenzo. L'ultima voltache il nostro Cantone ebbe l’onore di organizzare l'evento fu 25 anni fa.Si tratta dunque di un evento speciale, al quale il Consiglio Centrale Ti-cinese ha cercato di dare risalto, proponendo un programma ricco edequilibrato fra cultura e tradizione, all'insegna dello spirito "vincenziano",

indipendentemente dalle barriere linguistiche o dalle distanze geografiche.Sabato 21 settembre accoglieremo i partecipanti nel primo pomeriggio e nella Chiesa di San Nico-

lao ascolteremo una conferenza di padre Luigi Nuovo sul beato Federico Ozanam. Seguirà la Santa Messae la cena con menu "ticinese". La prima giornata terminerà al Centro San Carlo con un concerto offertodal Conservatorio della Svizzera Italiana. La domenica mattina sarà dedicata principalmente ai lavoriassembleari; seguirà il pranzo a bordo di un battello sul Lago di Lugano, con visita alla Madonna deiGhirli a Campione prima del rientro a Paradiso e il congedo dei partecipanti.

L'Assemblea del CSS ci offre anche uno spunto di riflessione su quanto sia estesa oggi l'opera di SanVincenzo. Spesso orientati esclusivamente alla nostra realtà locale, ci dimentichiamo che l'organizza-zione delle Conferenze di San Vincenzo de' Paoli ha una dimensione nazionale e addirittura interna-zionale. La gestione di queste dimensioni porta con sé una non trascurabile complessità, la quale puòessere affrontata solo in maniera professionale, con una chiara definizione degli obiettivi e un'attribuzionechiara di ruoli, compiti e responsabilità, una chiara definizione degli obiettivi, dei compiti e delle re-sponsabilità.

Il Consiglio Superiore Svizzero è presieduto da un gremio di quattro membri: un segretario, un cas-siere e due membri aggiunti al fine di assicurare un'equa rappresentanza di tutto il territorio nazionale. IlConsiglio è presieduto attualmente da Markus Jungo, entrato in carica in sostituzione del presidente, oraemerito, Hans-Ueli Gubser. Il Consiglio Superiore coordina e rappresenta in Svizzera e all'estero l'attivitàdelle 105 Conferenze di San Vincenzo sparse su tutto il territorio nazionale, con oltre 800 membri attivi.L'impegno e la dedizione di tutti questi membri concretizza il concetto di solidarietà e di vicinanza al pros-simo, pur in un contesto non sempre facile. Infatti, l'età media piuttosto elevata dei membri e la difficoltàper la Chiesa di far riconoscere l'attività diaconale sono temi d'attualità non solo in Ticino. Giova inoltrericordare che la San Vincenzo ha anche una dimensione planetaria e non solo nazionale. Conferenze di SanVincenzo sono infatti presenti in circa 150 paesi e aiutano ogni giorno 30 milioni di poveri.

Prendiamo dunque coscienza con fierezza di essere membri di una struttura importante nelle di-mensioni e negli obiettivi e cerchiamo di ricavarne i giusti stimoli per essere propositivi, dando il nostrocontributo, anche piccolo, in ogni circostanza che la vita ci proporrà.

Gabriele Domenighetti, segretario cantonale

Poco meno di quaranta vincenziani (membri delleConferenze di San Vincenzo e delle Volontarievincenziane) di tutto il Ticino si sono dati conve-gno sabato e domenica 25 e 26 maggio nella bel-lissima “Casa Incontri Cristiani” dei dehoniani diCapiago (Co) per l’annuale incontro di ritiro e diriflessione, stavolta incentrato sull’enciclica “Ca-ritas in veritate” di papa Benedetto XVI.Il vincenziano p. Antonello Erminio ha svolto iltema con grande efficacia, sottolineando come lasocietà abbia bisogno della carità e del dono percostituirsi nella giustizia. La carità appartiene al-l’essenza della Chiesa, insieme all’ascolto della Pa-rola di Dio e all’amministrazione dei sacramenti,perché Dio è carità e l’uomo, al termine della vita,sulla carità sarà giudicato. Il consueto scambio di esperienze che conclude ilconvegno ha messo in luce alcuni problemi attualidel rapporto tra il movimento vincenziano e l’am-biente sociale in Ticino. Tre di essi hanno solleci-tato soprattutto l’attenzione: la necessità diraggiungere i giovani, la messa in rete delle forze edelle competenze, il problema dell’indebitamentodelle famiglie.

EDITORIALE

IL CONVEGNO DI CAPIAGO

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Di questi tempi, poi, si fa sempre più impel-lente il problema dei flussi migratori che in-calzano da ogni parte del mondo e chenessun governo democratico è in grado difermare. Accanto a una moltitudine di indi-genti in cerca di lavoro, o almeno di un te-nore di vita dignitoso, ci sono tantissimiprofughi che fuggono dalle guerre che stannodistruggendo i loro Paesi; persone a cuimanca di tutto. E' sufficiente la nostra com-miserazione? O il falso senso di pietà chespesso nasconde un'insofferenza tanto avaraquanto tracotante?

Sta scritto: il Signore guarda il cuore del-l'uomo: ed è uno sguardo e un vedere di cuiterrà certamente conto nel giorno del Giudi-zio. Riflettiamo dunque, e non cerchiamopretesti per non dare a chi soffre, mentrespendiamo fortune per soddisfare le nostrepassioni e, a volte, i nostri capricci!

Giuseppe CrivelliConferenza di San Nicolao, Lugano

CHI È IL NOSTRO PROSSIMO ?

È stato un gesto molto bello e significativoquello che un Gruppo di Cresimandi di Mor-bio Inferiore ha compiuto con la venditadelle rose nel giorno della Festa dellaMamma, destinando il ricavato alla nostra“Conferenza San Vincenzo”, attenta alle fa-miglie in difficoltà della nostra Comunitàparrocchiale.

Per prepararsi in modo consapevole a ri - cevere il sacramento della Cresima non bastasapere alcune frasi del Vangelo e qualche no-zione di catechismo. È importante che i ra-gazzi comincino a dimostrare a loro stessi dinon essere più bambini e dunque di essere ingrado di assumersi le prime responsabilità.

La catechista Graziella, rifacendosi al-l’incontro avuto alcuni mesi prima fra i cre-simandi della parrocchia e il nostropresidente cantonale, Gianfranco Plebani (ilquale aveva presentato l’attività delle diverseConferenze di San Vincenzo che operano inTicino), propose ai ragazzi del suo gruppoquesta particolare ma molto concreta inizia-tiva. La proposta fu accolta con generosa di-sponibilità. I bellissimi fiori hanno portato intante famiglie un duplice e importate mes-saggio: amore per tutte le mamme e atten-zione ai poveri che magari abitano propriovicino alle nostre case.

Con immenso piacere abbiamo visto l'or-goglio e la soddisfazione nei loro occhiquando ci hanno consegnato il frutto dellaloro raccolta. Auguriamo a tutti i ragazzi dicontinuare il loro cammino cristiano conrinnovato impegno, sicuri che lo SpiritoSanto soffia sulla vela della loro vita per man-darli al largo, verso la giusta direzione, svi-luppando pienamente le loro qualità ecapacità e godendo della luce e della bellezzache Dio ha messo nei loro cuori.

Forse, un domani, saranno i nuovi vin-cenziani…

Conferenza di Morbio Inferiore

IN PROSPETTIVA

L’assemblea cantonale di quest’anno delleConferenze di San Vincenzo de’ Paoli si svol-gerà sabato 19 ottobre 2013 a Morbio Inferiore.

La giornata si aprirà con la Santa Messa inSantuario. La mattinata proseguirà con unaconferenza del Dottor Lorenzo Pezzoli delcentro INGRADO di Lugano sul tema"Francesco restaura la mia chiesa".

Il pomeriggio sarà destinato ai lavori as-sembleari.

UNA ROSA PER LE MAMME…

Dalle Conferenze

Tra gli innumerevoli cambiamenti che si sonoverificati durante gli ultimi decenni c'è anchequello dello stato di povertà. Quando la mi-grazione era contenuta, e in un certo sensodisciplinata, nella vecchia Europa ogni co-munità aveva i propri indigenti abituali, sta-bili e rassegnati.

Oggi, in Svizzera in modo particolare, gra-zie alle previdenze sociali che garantiscono ilminimo vitale a tutti, può sembrare che di veripoveri non ce ne siano più. In realtà non è così.

La vita riserva tante sorprese: si perde il la-voro, subentra una malattia, capita un infor-tunio, si fa un errore di valutazione, e uno sitrova in un vicolo cieco. E chi assicura il primoaiuto immediato in queste situazioni? Non loStato, il quale deve rispettare norme e proce-dure, non le banche, difficilmente i parenti ogli amici. E allora? Allora ci sono gli enti be-nefici privati, ci siamo noi della San Vincenzo,che con generosità e anche con avvedutezza eapprofondimento della situazione, diamo unamano a chi merita di essere aiutato.

“I RAGAZZI DELLA RACCOLTA”

stribuzione, si arricchisce di tanti nuovi fra-telli, di varie origini e religioni.

A chiusura della raccolta alimentare, citroviamo a pranzare e a passare del tempo as-sieme: parroco e vicario, ragazzi e adulti, col-laboratori e persone di buona volontà che cipreparano il pranzo. Capita spesso che, almomento di salutarci, ci rendiamo conto chela carità ha trasformato in senso positivo lestesse relazioni che intercorrono tra di noi.Ed è qualcosa che davvero ci tocca i cuori.

I Ragazzi della Raccolta,Cristo Risorto Lugano

Il nostro gruppo di ragazzi e adulti è natodalla necessità, avvertita dalla nostra Confe-renza, di raccogliere derrate alimentari peraiutare le famiglie più disagiate del quartiere.La raccolta si svolge, a intervalli regolari, ilsabato mattina presso tre supermercati del no-stro quartiere. Concretamente, noi portiamoi nostri scatoloni davanti ai negozi e chie-diamo alle persone che entrano a fare la spesadi donare qualcosa all’uscita del negozio.

La “Raccolta di San Vincenzo” ha avutoinizio un sabato di primavera di due anni fa;nel frattempo si è ben radicata nel tessuto delquartiere e gli alimentari e i beni di prima ne-cessità raccolti sono sempre aumentati. Lederrate alimentari sono poidistribuite alle famiglie piùdisagiate del nostro quartiere,sempre attraverso la San Vin-cenzo.

Insomma, ragazzi pocopiù che maggiorenni comesiamo, abbiamo mostratosensibilità verso lo spiritovincenziano. Crediamo diavere capito che al centro delnostro operare c’è sempre “lapersona”, in tutte le sue di-mensioni, materiali e spiri-tuali. La nostra comunità,attraverso la Raccolta e la Di-

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Federico Ozanam (1813-1853)

Immaginiamo di intervistarlo, Federico Ozanam, eimmaginiamo le sue risposte, che abbiamo tratto li-beramente in particolare dalle sue lettere.

• Un impegno p er i poveri e per il sociale, con allabase la luce del Vangelo. Qualcosa di più, quindi,della filantropia?La filantropia è un’istituzione orgogliosa per laquale le buone azioni sono una specie di orna-mento e che si compiace nel guardarsi allo spec-

chio. La carità è una tenera madre che tiene fissi gliocchi sul bimbo che allatta, che non pensa più a sestessa e dimentica la sua bellezza per il suo amore.(Cfr. Lettera a Léonce Cournier, 23 febbraio 1835).

La carità piange sui mali che non può riparare,siede benevola al capezzale dell’infermo. Quellacarità la può ispirare solo Dio (Cfr. Alla S. Vin-cenzo di Firenze, 30 gennaio 1853).

• Il senso della carità l’hai ricevuto in famiglia?Fin da piccolo ho respirato in casa l’impegno con-creto a favore degli ultimi. Papà, terminato il suoservizio in ospedale, era sempre a disposizione perle visite ai pazienti più poveri. E nelle case deiquartieri popolari di Lione anche la mamma erapraticamente di casa. Una volta, l’uno, all’insaputadell’altra, finirono addirittura per incontrarsi sullostesso pianerottolo.

• Eravate giovani studenti, sui vent’anni. Cosa viha spinto ad un impegno così forte verso i poveri?Durante una discussione alla Sorbona sulle dot-trine di Saint-Simon, il filosofo del socialismo,uscì fuori una domanda dai nostri interlocutori:“Voi cattolici che rifiutate il socialismo, che cosaproponente in alternativa, ma soprattutto che cosafate di concreto?”. La nostra risposta: la Chiesa siera sempre occupata dei poveri, non convinse nes-suno. La domanda infatti era diretta a noi giovanistudenti. Quella discussione fu uno stimolo per ilnostro impegno nel sociale in nome della carità.

• Non era certamente una Francia facile la vostra:nostalgie della rivoluzione, sogni di restaurazione,prospettive repubblicane, tensioni sociali all’oriz-zonte. Come vi ponevate voi studenti cattolici?Eravamo troppo giovani per intervenire nella lottasociale, ma non dovevamo rimanere inerti inmezzo al mondo che soffriva. Era però aperta unavia preparatoria: prima di fare il bene pubblico,potevamo provare a fare il bene individuale e pri-vato, prima di rigenerare la Francia potevamo al-leviare le sofferenze di alcuni dei suoi poveri.Sognavo una vasta e generosa associazione per ilconforto delle classi popolari. (Cfr. Lettera al cu-gino Ernest Falconnet, 21 luglio 1834).

• Nascono così dapprima le Conferenze di carità…Fu il 23 aprile 1833. Eravamo un gruppo di amici,tutti studenti alla Sorbona, che attraverso la caritàvoleva crescere insieme nella fede. Coglievo unforte legame tra quella esperienza e la rigenera-zione dell’intera società francese, in un tempo cosìdifficile. Non negavo e non respingevo alcunadelle varie combinazioni di governo, ma solamentele accettavo come strumenti per rendere gli uo-mini più felici e migliori. Credevo nell’autoritàcome mezzo, alla libertà come mezzo, alla caritàcome scopo. • Poi la “Conferenza di carità” cominciò a chia-

marsi “Conferenza di San Vincenzo” a partire dal 4febbraio 1834. Perché proprio quel santo, peraltrovissuto due secoli prima?Un santo patrono non è un’insegna banale per unasocietà, come un Saint-Denis o un Saint-Nicolasper un’osteria. Non doveva trattarsi neppure di unsemplice nome onorevole sotto il quale ci si po-tesse dare un buon contegno nel mondo religioso:si trattava di un modello che bisogna sforzarsi direalizzare, come Vincenzo ha realizzato il modellodivino di Gesù Cristo. È una vita che bisogna con-tinuare, un cuore nel quale poter riscaldare il pro-prio, un’intelligenza nella quale si deve cercare unaluce, un modello sulla terra e un protettore inCielo. Un duplice culto gli è dovuto: d’imitazionee di invocazione. L’avvicinarsi a San Vincenzo erastato facilitato dai nostri contatti con suor RosalieRendu, superiora delle Figlie della Carità, indica-taci quale punto di riferimento. Passavamo da leiogni martedì a prendere i nomi delle famiglie davisitare, insieme a un buono per ritirare il pane.Ai poveri, però, noi giovani dovevamo portareanche del nostro e ad ogni incontro si faceva unaquestua tra di noi facendo passare il cappello. Cia-scuno vi metteva quello che poteva. Questo avve-niva già con la Conferenza di carità. (Cfr. Letteraa François Lallier, 17 maggio 1838).

• La gente, la società, la Parigi-bene come vedevaquella vostra attività giovanile?Alcune… pie persone, persone molto serie, si sonospaventate; dicevano che una “banda” di giovanisollecitava le Figlie di carità della città a compilareliste di poveri, tra i quali qualcuno non era nean-che cristiano. I “buoni” commentavano cheavremmo screditato tutte le altre opere di carità.Allora ci siamo fatti molto piccoli, molto umili;abbiamo protestato le nostre intenzioni inoffen-sive, il nostro rispetto per le altre opere. Malgradole sinistre profezie sul nostro fallimento, riponevola mia fiducia non nelle protezioni e nel numero,ma nell’umiltà, nell’amore, nella grazia di Dio.(Cfr. Lettera a Henri Pessonneaux. 21 ottobre 1936).

• Una strada abbastanza facile, allora…Tutt’altro: la Società incontrava diffidenze ovun-que. Non ha mai cessato di essere oggetto di ves-sazioni da parte di molti laici, pezzi grossidell’ortodossia, dottori che sentenziavano, genteper la quale i nuovi venuti sono sempre mal ve-nuti, che si appropriano delle opere della carità.Dicevano con sicurezza: “Chi non è con noi è con-tro di noi”. Abbiamo dovuto soffrire molto, masiamo andati avanti. (Cfr. Lettera a François Lal-lier, 17 maggio 1838).

• Com’era l’incontro con le famiglie povere chevisitavate?Scrivevo ad un amico il 28 ottobre 1835: “Le per-sone povere che assistiamo dimostrano nei nostri

SCHEDA BIOGRAFICA

UN’INTERVISTA IMMAGINARIA

Federico Ozanam nasce in Italia, il 23 aprile1813, a Milano, il padre è ufficiale mediconell’esercito napoleonico. Dopo la disfatta diWaterloo rientra con la famiglia a Lione. Fre-quenta il liceo, studia alla Sorbona, partecipaall’attività dei giovani intellettuali cattolici. Silaurea in legge nel 1836 e in lettere nel 1839,con una tesi su Dante.

Ottiene a trent’anni una cattedra alla Sor-bona. Impegnato accademico, viaggiatore at-traverso l’Europa, frequentatore di circoliintellettuali, rimane vicino al mondo dei po-veri e alla Società di San Vincenzo: un’istitu-zione “cattolica, ma laica; povera, ma carica dipoveri da sollevare; umile, ma numerosa”, dicui fu uno dei fondatori.

Nel 1841 sposa Amélie Soulacroix, dallaquale ha una figlia, Marie. Muore a Marsiglial’ 8 settembre 1853. Giovanni Paolo II lo haproclamato beato a Parigi, il 27 agosto 1997,in occasione della XII Giornata Mondialedella Gioventù.

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Dovevamo far crescere nei cristiani la consapevo-lezza di avere un compito ben preciso dentro quelmondo in rapido cambiamento. Avvertivo la ne-cessità di una strada nuova, alternativa tanto al na-scente socialismo quanto all’egoismo dei nuovipadroni. Ero convinto che l’esperienza delle So-cietà di San Vincenzo fosse una strada che si do-veva cominciare a tracciare.

• Sarebbe stata utile l‘unità dei francesi in un grandepartito cattolico?Non ne ero convinto. Vedevo i cattolici intendersibene sulla meta, mentre differivano tanto sui mezzi.Ma pensavo che si è più forti quando si combatte inpiù reggimenti, e su più fronti alla volta. Soprat-tutto mi stava a cuore la questione sociale, che an-dava affrontata in fretta. C’erano parecchi nodi dasciogliere, come indicavo nelle mie lezioni di dirittocommerciale, prima fra tutte la questione del sala-rio: quello realmente erogato non era una retribu-zione equa perché i padroni massimizzavano ilprofitto e aspiravano dunque a tenerlo il più bassopossibile, trasformando il lavoratore in una mac-china (Lettera a François Lallier, 17 giugno 1845).

• Era l’analisi che in quegli ann i stava elaborandoanche un certo Karl Marx…Per noi cattolici era la modalità della risposta adover essere diversa. Io non credevo nella rivolu-zione collettivistica, pensavo a un salario “natu-rale” che permettesse ai lavoratori di soddisfare lenecessità della propria famiglia. E la strada per ar-rivarci era una “concezione imparziale” tra gli in-teressi del datore di lavoro e quelli dell’operaio.Sostenevo che doveva formarsi “un’associazionedei lavoratori”.

• Un’ultima domanda: quali furono i grandi mae-stri di Federico Ozanam?Prima di tutto i miei genitori. Papà Antoine morì il12 maggio 1837 per una caduta dalle scale, dopoaver visitato, era sera, un ammalato. La salute dimamma Marie era già allora seriamente minata. Erolegatissimo a mia sorella maggiore Elisa, che morì il20 novembre 1820 di meningite. Tra i miei mae-stri ricordo l’abate Jean-Mathias Noirot, insegnantedi filosofia; il celebre fisico André-Marie Ampère,del quale fui ospite per un certo tempo, EmmanuelBailly, fondatore della Société des bonnes études perseguire i giovani universitari e nostra guida nelle no-stre prime esperienze caritative; l’abbé Lacordaire,per il quale ci battemmo perché gli venisse asse-gnato il pulpito di Notre Dame.

Federico Ozanam (1813-1853)

confronti una freddezza e una indifferenza scorag-gianti. Si tratta di nature logorate dal bisogno ma-teriale, che non offrono più alcun appiglio allareligione, che non hanno più il senso delle cose in-visibili, che tendono la mano per avere il pane male loro orecchie restano quasi sempre sorde alla pa-rola che annunciamo. Spesso vorremmo incon-trare persone che ci ricevessero a bastonate, purchéne trovassimo altre che ci ascoltassero e ci capis-sero”. Ma si trattava di anime irritate dalla miseria,e noi non potevamo non capirle (Cfr. Lettera a Lé-once Cournier, 29 ottobre 1835).

• Con la gerarchia ecclesiastica, e il clero in partico-lare, come andavano le cose?Il 1. agosto 1838 scrivevo: “Occorre mettere finealle frequenti e gravi discussioni che sono nate al ri-guardo al ruolo che deve svolgere il clero nei nostriconfronti. Alcuni si lamentano già per la sua inva-denza, mentre altri lo accusano per la sua indiffe-rente freddezza”. Indicavo una giusta via di mezzoe tracciavo una pista molto chiara, sottolineandoil valore di una certa autonomia del laicato. Cosìscrivevo l’11 agosto 1838: “A cominciare dallaprossima Assemblea generale la presidenza effettivadella seduta dovrà essere esercitata non più dal cu-rato, ma dal presidente della Società. Il verbale siesprimerà in questi termini: “Il signor curato onorala riunione con la sua presenza”. Invitavo pure acercare un locale, per non più riunirsi in sacrestia(Cfr. Lettera a François Lallier, 11 agosto 1838).

• Quindi, un compito che andava ben al di là del-l’assistenza materiale alle persone nel bisogno…Certamente. Dalla visita alle industrie, con tuttol’apparato dei loro più arditi lavori, riportavoun’impressione triste, considerando a quali fatichespaventose migliaia di uomini dovevano sottoporsiper mettere il pane sotto i denti e per procurareopulenti godimenti ad un ristretto numero di for-tunati; e come, in mezzo a queste macchine, a que-sti immensi spiegamenti della forza materiale,l’intelligenza rischiasse di abbrutirsi e il cuore diindurirsi. Era uno scandalo, e credevo fortementein una via alternativa rispetto all’egoismo cheguardava solo al massimo vantaggio personale(Cfr. Lettera a Emmanuel Bailly, 22 ottobre 1836).

• Quale posto aveva allora la speranza?Il torto di molti cristiani, solevo ripetere, è di averepoca speranza, Ad ogni combattimento, ad ogniostacolo, temono la rovina della Chiesa. Sono gliapostoli nella barca durante la tempesta; essi di-menticano che il Salvatore è fra loro, dimenticanoche tutti i secoli della Chiesa hanno avuto abba-stanza pericoli da far temere, ma tutti sufficienteassistenza da far sperare. Vedevo le tempeste che siabbattevano sul cattolicesimo, ma anche i segnalirassicuranti di rinnovamento (Lettera a Domini-que Meynis, 29 gennaio 1845).

Scriveva negli ultimi anni: “Quello che miconsola di più è che nel diffondersi della SanVincenzo in tante città diverse, la Società nonha perduto o mutato lo spirito col qualevenne fondata. Questo occorreva che si man-tenesse. Il nostro fine è quello di mantenercipuri nella fede cattolica e di propagarla aglialtri per mezzo della carità… quella caritàsolo Dio può ispirare” (Intervento alla SanVincenzo di Firenze, 30 gennaio 1853). Vennela malattia: un lento regredire delle forze inquel corpo ancora giovane. Scrive il 23 aprile1853: “Sono preso da un male grave, osti-nato, e per questo molto più pericoloso, chenasconde uno sfinimento assoluto. Devo ab-bandonare tutti questi beni che voi stesso,mio Dio, mi avete elargito? […] Io vengo seVoi mi chiamate […]. Voi mi darete il corag-gio della rassegnazione, la pace dell’anima, equelle ineffabili consolazioni che vanno com-pagne alla vostra intima presenza; farete chein questa malattia io rinvenga una sorgentedi meriti e di benedizioni, e queste benedi-zioni le farete scendere sopra la mia compa-gna, sopra la mia fanciulla, e sopra tutti imiei, ai quali i miei lavori sarebbero per av-ventura meno utili che le mie sofferenze”.

Gli Ozanam trascorsero gli ultimi tempiin Italia, sperando nella bontà del clima, mainutilmente. A Livorno lo raggiungono i fra-telli Charles e Alphonse, sentendo che la suafine è vicina. Federico, però, desidera rivedereParigi.

Il 31 agosto si imbarcano per Marsiglia.Sarà l’ultima tappa. Al sacerdote che, ammi-nistrandogli l’Estrema Unzione, lo invita anon temere il Signore, risponde con serenità:“Perché dovrei temerlo? Io lo amo cosìtanto”. E aggiunge: “Se dovessi ricominciarela mia vita, non mi comporterei diversamenteda come ho fatto”. È una delle ultime frasiraccolte da chi gli sta vicino. Muore l’8 set-tembre 1853, dopo una breve agonia,

Un secolo dopo, nel 1952, così scrivevaGiorgio la Pira: “Qual è stata la scoperta diOzanam? […] Ricorrere al metodo di Gesù,quello che Gesù stesso insegnò nel suo primodiscorso di Nazareth: evangelizzare i poveri.Come? Portando loro il soccorso fraterno efacendo di questo soccorso un canale sacra-mentale di grazia e di redenzione. La graziaincorporata nel visibile aiuto; nell’olio amo-roso del Samaritano”.

Servizio diGianni Ballabio

TESTAMENTO SPIRITUALE

BIBLIOGRAFIA

- Gérard Cholvy, Frédéric Ozanam, ArtègeEdition, Paris 2012.

- Giorgio Bernardelli, Storia di F. Ozanam,Lindau, Torino, 2013.

Page 6: Società di San Vincenzo de’ Paoli Vincenzo 2013.pdf · San Vincenzo de' Paoli, come il beato Federico Ozanam, del quale ricorre il ... permesso" senza porre limiti, non di rado

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CommentoAlle Conferenze è lasciata l'indipendenza ne-cessaria affinché attraverso il contatto perso-nale possano rispondere ai bisogni specificidelle persone visitate, scegliendo fra le formedi aiuto più consone alle situazioni specifiche.Confratelli e consorelle non devono giudicarenessuno. Non c'è che Dio che possa giudi-care gli uomini. Noi aiutiamo le persone inbase ai loro bisogni, ma le persone in diffi-coltà esprimono i loro bisogni in un modoche non sempre comprendiamo. Il Vincen-ziano non impone nulla, ma presta il suoaiuto e cerca di essere un esempio di vita pergli altri. "C'è chi non sa che tra i poveri le mi-serie materiali sono spesso quelle minori, e ciòche li rattrista è che non ci sia una mano amica

che stringa la loro, un cuore che si apra al loro(…)" (Manuale della SSVP, 1845).

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