Social media: una strada obbligata
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p. 8Il quotidiano della comunicazioneanno XXII n°111lunedì 18 giugno 2012
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Nell’attuale dibattito sulla tra-sformazione in atto nel mondo della comunicazione, i social media occupano una posi-zione di grande rilievo, dovuta naturalmente alla loro premi-nenza nella “dieta” mediati-ca degli italiani. Gli ultimi dati ci dicono infatti che gli utenti Facebook in Italia hanno rag-giunto - e probabilmente su-perato, ormai - i 22 milioni di unità (marzo 2012 - Audiweb/Nielsen), e che - dato questo ancor più dirompente - ogni cinque pagine visitate online nel mondo una appartiene al più famoso tra i social network (www.thenextweb.com).Una recente ricerca del Poli-tecnico di Milano in collabora-zione con Mimesi ha messo in luce come 8 milioni di italiani modifichino le loro scelte d’ac-quisto a seguito delle infor-
mazioni recuperate attraver-so i social media, mentre sono 15 milioni quelli che dichiara-no di fidarsi pienamente delle informazioni riguardanti pro-dotti e servizi reperite su blog e forum.Sono numeri impressionan-ti, che mostrano chiaramen-te quanto ubiquo, pervasivo e determinante sia diventa-to questo fenomeno: se anche solo un paio d’anni fa c’era chi lo liquidava come “una cosa da ragazzini” o una moda passeggera, oggi possiamo affermare di essere in presenza di un mezzo di comunicazione di massa a tutti gli effetti.In tutto ciò, sebbene anche da noi la comunità dei marketer abbia in sostanza abbracciato questa visione, nei fatti molte aziende esitano a impegnar-si con strategie di lungo pe-
riodo nel mondo nuovo delle conversazioni online, spesso perché non sono in grado di valutarne il ritorno, che non è facilmente misurabile con le metriche classiche. Ciò che conta in un dialogo, infatti, non è solo il numero di perso-ne teoricamente contattate (i “fan” o i “follower”), ma soprat-tutto con quante si sta effetti-vamente parlando e a quale livello di coinvolgimento: il co-siddetto “engagement”.Le aziende devono compren-dere che stare sui social media vuol dire innanzitutto stabili-re una relazione reale con per-sone reali, che non funziona in una logica di “campagne”, ma che richiede piuttosto una pre-senza e un impegno costante nel tempo. Inoltre, per “ingag-giare” qualcuno in un dialo-go, si presuppone esista una condivisione di interessi: a dif-ferenza della comunicazione tradizionale in cui l’azienda parla e l’utente ascolta passi-vamente, in una conversazio-ne tra pari bisogna essere in-teressanti per l’interlocutore. In altre parole, per avere atten-zione e coinvolgimento occor-re offrire del valore in cambio, che si tratti di un servizio, di in-trattenimento, di informazio-
ni in anteprima, ecc.. Nessuna ricetta preconfezionata dun-que, ma una strategia che ten-ga conto dello scenario com-petitivo, dei punti di forza e di debolezza della marca, delle opportunità e – perché no – dei rischi connessi all’”aprirsi” al dialogo.Le agenzie digital, dal canto loro, devono ripensare il loro ruolo, integrando i servizi tra-dizionali con una nuova of-ferta che ponga al centro la capacità di agire contempo-raneamente e sinergicamen-te su tutte le leve di comuni-cazione, dai media posseduti (ad esempio il sito azienda-le) ai media pagati (come di-splay e keyword advertising), ai media guadagnati (social network). E’ ormai chiaro che per presidiare efficacemente i mezzi digitali occorre saperne sfruttare tutti i touchpoint di-sponibili.E’ questa la vera sfida che le agenzie hanno di fronte: esse-re per i propri clienti il partner a 360°, progettando e attuan-do una strategia digital conti-nuativa e misurabile, in linea con gli obiettivi prefissati.
* Amministratore delegato di Innexa
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