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Percorso di lavoro, metodologia e relatori

Famiglia al centro del welfare lombardo

Politiche di conciliazione: dalle donne agli uomini per evitare le disuguaglianze

Politiche domiciliari. Promuovere una domiciliarità di qualità per contenere i rischi di nuove forme di istituzionalizzazione familiare

Piano dei tempi e politiche temporali delle città

ALLEGATO:

Sperimentazione dei consultori familiari - Saula Sironi

ALLEGATI ESTERNI (non compresi nel fascicolo):Immagina che il lavoro. Un manifesto del lavoro delle donne e degli uomini scritto da donne e rivolto a tutte e a tutti perché il discorso della parità fa acqua da tutte le parti e il femminismo non ci basta più -

Gruppo lavoro della Libreria delle donne di MilanoReazioni a “Immagina che il lavoro” - Gruppo lavoro della Libreria delle donne di MilanoIl bilancio di genere dei Comuni. Un manuale - IRS Istituto Ricerca Sociale per Provincia di MilanoOrari dei servizi e urbanistica, il funzionamento della città - Sandra BonfiglioliPiano dei tempi e degli orari della città di BolzanoSlide di presentazione sintetica dell’indice ragionato da cui ha preso avvio il percorso di lavoro

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Indice

CONCILIAZIONE

Ambito famiglia CONCILIAZIONE

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PERCORSO DI LAVORO, METODOLOGIA E RELATORI L’Ambito territoriale Famiglie ha iniziato a incontrarsi nel maggio 2010 e conclu-de i lavori ora, a febbraio 2012, con la stesura di questo documento, che ha l’o-biettivo di sintetizzare i temi trattati e consegnare riflessioni e proposte all’Ufficio di Piano, in vista della stesura del nuovo Piano di zona 2012-2014.

L’Ambito Famiglie è stato variamente partecipato, come si evidenzia nei verbali degli incontri, ma ha comunque visto, soprattutto nell’ultimo anno, una partecipazione costante dei seguenti soggetti: • Consorzio Comunità Brianza / Cooperativa Borgocometa - Alessandra

Giovannetti (coordinatrice per il Consorzio CB, in sostituzione dell’inizia-le coordinatrice Emanuela Menabue)

• Coooperativa Fraternità Capitanio - Chiara Teruzzi• Cooperativa Novomillennio - Laura Sala• Associazione Antonia Vita - Simona Ravizza • Istituto Pavoniano Artigianelli - Alessandra Pirovano• Centro Mamma Rita – Valentina Gandini• COF Centro Orientamento Famiglia - Saula Sironi• Politiche sociali CISL - Sergio Venezia• Politiche sociali CGIL - Danilo Villa

Dall’iniziale fatica a trovare un oggetto di lavoro che rispettasse la vastità e trasversalità dell’ambito “Famiglie” - senza che questo andasse a costituire un inutile doppio del lavoro di altri Ambiti specifici, quali Infanzia/Adolescenza, Giovani, Anziani, Disabili – il gruppo è arrivato alla decisione di affrontare il tema della conciliazione dei tempi, anche dei diversi membri di una famiglia.

Tale tema è stato analizzato secondo un indice ragionato, che ci ha con-sentito di definire e approfondire alcuni contenuti, attraverso l’incontro con diver-si soggetti che ci hanno aiutato a focalizzarne gli aspetti salienti.

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I punti di approfondimento del nostro indice ragionato sono stati:

Famiglie al centro del Welfare - Una lettura critica del diritto di famiglia, a cura di Simona Ravizza dell’Associazione Antonia Vita.Politiche di conciliazione: dalle donne agli uomini per evitare le disuguaglianze, attraverso l’incontro con Alessio Miceli, presidente dell’Associazione Maschile Plurale. Politiche domiciliari: promuovere una domiciliarità di qualità per contenere i rischi di nuove forme di istituzionalizzazione familiare, attraverso l’incontro con don Augusto, responsabile Caritas Diocesana Monza; Lucia Mariani, Caritas Monza e cooperativa Novomillennio; Roberto Mauri, Presidente cooperativa La Meridiana (RSA San Pietro).Piano dei tempi e politiche temporali delle città, grazie all’approfondimento con l’architetto Roberto Zedda del Politecnico di Milano.

Le sintesi di questi incontri costituiscono i contenuti dei capitoli suc-cessivi; in particolare nei box abbiamo evidenziato sollecitazioni, provocazioni e proposte che ne abbiamo tratto.

Con gli allegati, (non inclusi ma disponibili nel solo formato elettronico), abbiamo voluto condividere ulteriori documentazioni acquisite durante il percor-so.

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FAMIGLIA AL CENTRO DEL WELFARE LOMBARDO

“La famiglia è il luogo in cui si esprime una responsabilità stabile di generazio-ne, educazione e cura, non sostituibile da altre istituzioni sociali o politiche”. (DGR Piano Disabilità)

Una lettura critica del diritto di famiglia (fondato sul matrimonio) con lo sguardo a:le famiglie ri-costruite, le coppie omosessuali, le famiglie monoparentali e le loro possibilità di accesso ai sistemi/opportunità di welfare nazionali e locali.

Approfondimento a cura di Simona Ravizza.

Il diritto di famiglia è il ramo del diritto civile che regolamenta i rapporti familiari, quali il matrimonio, i rapporti personali fra i coniugi, i rapporti patrimo-niali nella famiglia, la filiazione, i rapporti fra genitori e figli, la separazione, il divorzio, le obbligazioni alimentari e gli obblighi di mantenimento del coniuge più debole.

La concezione del diritto di famiglia è profondamente mutata dal 1942 (anno in cui è entrato in vigore il codice civile). All’epoca, la famiglia era basata sulla subordinazione della moglie al marito, sia nei rapporti personali sia in quelli patrimoniali, sia nelle relazioni di coppia sia nei riguardi dei figli; e fondata sulla discriminazione dei figli nati fuori dal matrimonio (figli naturali), che ricevevano un trattamento giuridico deteriore rispetto ai figli legittimi. La riforma introdotta dalla legge 19 maggio 1975, n. 151, ha finalmente apportato sostanziali modi-fiche dirette ad uniformare le norme ai principi costituzionali. Con la legge del 1975 venne riconosciuta la parità giuridica dei coniugi, venne abrogato l’istituto della dote, venne riconosciuta ai figli naturali la stessa tutela prevista per i figli legittimi, venne istituita la comunione dei beni come regime patrimoniale legale della famiglia (in mancanza di diversa convenzione), la patria potestà venne so-stituita dalla potestà di entrambi i genitori. Il diritto di famiglia nel corso degli anni è soggetto ad ulteriori modifiche, frutto sia di elaborazioni Giurisprudenziali sia di importanti norme tra cui spiccano la legge sul divorzio (legge n. 898/1970, modificata nel 1987 con legge n. 74/1987), e la recentissima legge 54/2006, sull’affidamento condiviso che ha rivoluzionato la disciplina dei rapporti genitori-figli così come disciplinato dal codice civile.

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LA FAMIGLIA NELLA COSTITUZIONE

La Costituzione dedica alla famiglia tre articoli (collocati all’interno del Titolo II intitolato “Rapporti etico-sociali”).

L’art. 29 stabilisce che “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sulla eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare”.

L’art. 30 stabilisce che “È dovere e diritto dei genitori mantenere, istru-ire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio. Nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti. La legge assi-cura ai figli nati fuori dal matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima. La legge detta le norme e i limiti per la ricerca della paternità”.

L’art. 31 stabilisce che “La Repubblica agevola con misure econo-miche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose. Protegge la maternità, l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo”.

Da queste tre disposizioni costituzionali si possono desumere alcuni principi:

il principio di autonomia della famiglia, il principio di uguaglianza fra i coniugi, il principio di tutela dei figli nati fuori dal matrimonio, il principio dell’autonomia educativa, il principio del sostegno pubblico ai compiti educativi della famiglia.

LA FAMIGLIA NEL CODICE CIVILE

Il codice civile dedica alla famiglia il primo libro del codice intitolato “Delle persone e della famiglia”, Titoli V, VI, VII, VIII, IX, IX-bis, X, XI, XII, XIII, XIV.

Il diritto di famiglia nel corso degli anni subì diverse modifiche:

la legge n. 431/1967 integrò le norme del codice in tema di adozione e affi-do, che successivamente vennero riformati con la legge n. 184/1983 e con la legge 149/2001;

nel 1970 venne introdotto il divorzio (legge n. 898/1970), la cui disciplina venne modificata nel 1987 (legge n. 74/1987);

con la legge n. 121/1985 (legge che rese esecutivo l’accordo del 1984 che modificò il Concordato del 1929) venne modificata la disciplina del matrimo-nio concordatario;

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la legge 40/2004 regolamentò la procreazione medicalmente assistita; la legge 54/2006, la cosiddetta legge sull’ affidamento condiviso rivoluziona

l’assetto dei rapporti genitori-figli così come disciplinato dal codice civile.

CODICE CIVILE

Libro primo “delle persone e della famiglia”TITOLO V Della parentela e dell’affinità (Artt. 74-78)TITOLO VI Del matrimonio (Artt. 79-230)TITOLO VII Della filiazione (Artt. 231-290)TITOLO VIII Dell’adozione di persone maggiori di età (Artt. 291-314)TITOLO IX Della potestà dei genitori (Artt. 315-342)TITOLO X Della tutela e dell’emancipazione (Artt. 343-399)TITOLO XI Dell’affiliazione e dell’affidamento (Artt. 400-403)TITOLO XII Delle misure di protezione delle persone prive in tutto od inparte di autonomia (Artt. 404-432)TITOLO XIII Degli alimenti (Artt. 433-448)TITOILO XIV Degli atti dello stato civile (Artt. 449-455)

LEGGI SUCCESSIVE

1. Il primo libro del codice venne riformato dalla Legge 19 maggio 1975, n. 151 “Riforma del diritto di famiglia”

2. la legge n. 431/1967 integrò le norme del codice in tema di adozione e affi-do, che successivamente vennero riformati con la legge n. 184/1983 e con la legge 149/2001;

3. nel 1970 venne introdotto il divorzio (legge n. 898/1970), la cui disciplina venne modificata nel 1987 (legge n. 74/1987);

4. con la legge n. 121/1985 (legge che rese esecutivo l’accordo del 1984 che modificò il Concordato del 1929) venne modificata la disciplina del matrimo-nio concordatario;

5. la legge 40/2004 regolamentò la procreazione medicalmente assistita; 6. la legge 54/2006, la cosiddetta legge sull’ affidamento condiviso rivoluziona

l’assetto dei rapporti genitori-figli così come disciplinato dal codice civile. 7. Disegno di legge 30/6/2011, in merito all’equiparazione dei figli legittimi e

naturali8. legge n.112 del 12 luglio 2011 che istituisce l’Autorità garante per l’infanzia

e l’adolescenza.

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MODIFICHE TITOLO V – DDL del 30/6/2011

Art. 74. - (Parentela) – La parentela è il vincolo tra le persone che discendono da uno stesso stipite, sia nel caso in cui la filiazione è avvenuta all’interno del matrimonio, sia nel caso in cui è avvenuta al di fuori di esso, sia nel caso in cui il figlio è adottivo. Il vincolo di parentela non sorge nei casi di adozione di persone maggiori di età, di cui agli articoli 291 e seguenti.

PRIMA - in linea di principio il figlio naturale non istituirebbe rapporti di paren-tela con i parenti del genitore (tuttavia la giurisprudenza tende ampiamente al superamento di questa antica discriminazione); in caso di concorrenza tra figli legittimi e naturali in uno stesso asse ereditario, i primi possono liquidare i se-condi.

DOPO - i bambini nati fuori dal matrimonio potranno avere nonni, zii, fratelli, e più in generale vincoli parentali che prima venivano loro negati in assenza di legittimazione; la madre che riconosce per prima il figlio, non vedrà cancellato il proprio cognome se in un secondo momento il bambino verrà riconosciuto dal padre.Il figlio minore, che ha compiuto i 12 anni, e anche di età inferiore se capace di discernimento, ha il diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e le decisioni che lo riguardano. Il figlio deve rispettare i genitori e deve contribuire, in relazio-ne alle proprie capacità, alle proprie sostanze e al proprio reddito, al manteni-mento della famiglia finché convive con essa”.

SINTESI - Nel codice civile le parole: “figli legittimi” e “figli naturali” saranno sostituite, ovunque ricorrano, dalla parola: “figli”.

MODIFICHE TITOLO VI – L. 54/2006L’interesse morale e materiale del minore diviene linea guida nella decisione del giudice. Questi, nel regolamentare i rapporti figli-genitori, dovrà prediligere, in quanto compatibile con l’ interesse del minore, la soluzione dell’affido condiviso rispetto a quello monogenitoriale. Importante è il riferimento del nuovo art. 155 c.c. al diritto del minore, anche in caso di separazione personale dei genitori, di poter mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale.

PRIMA - Già la L. 898/70 (divorzio) ha introdotto nel nostro ordinamento il cri-terio preminente dell’interesse morale e materiale dei figli in tema di affidamento dei figli.Nel vecchio testo dell’articolo 155 c.c. nessun sistema di preferenza era indi-cato dal legislatore in ordine all’emanazione del provvedimento di affidamento,

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e l’ipotesi più diffusa era quella dell’affidamento esclusivo alla madre. Ciò non escludeva che in linea di principio il Giudice potesse far ricorso all’istituto dell’af-fido condiviso, anche se nella prassi l’affidamento esclusivo era la soluzione maggiormente adottata.

DOPO - Il nuovo articolo 155 c.c., stabilisce che il giudice deve valutare priorita-riamente la possibilità che i figli minori restino affidati ad entrambi i genitori e nel far ciò ribadisce il diritto del figlio minore a mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori e di ricevere da entrambi cura, educazione ed istruzione, confermando il criterio guida che il giudice deve seguire nell’adot-tare i provvedimenti relativi alla prole, ossia, ancora una volta, l’interesse morale e materiale di essa.

IN PRATICA - In molti dei nostri Tribunali sono frequenti i casi in cui il giudice consente ancora l’omologazione di affidamenti esclusivi concordati tra le parti senza che vi siano indicate le ragioni del pregiudizio a carico del genitore da escludere, derivando da ciò un evidente violazione del diritto indisponibile del minore ad un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori. Viene introdotta in giurisprudenza la figura del “genitore convivente” o “collocatario prevalente”.

PROPOSTE di Legge n° 2009 (giacente alla Camera dei deputati)uguale tempo di permanenza da entrambi i genitoridoppia residenza per i minorisanzioni efficaci in caso di inadempimentoforte deterrente economico in caso di allontanamento coatto o arbitrario del

minoresanzione penale per false accuse tra coniugivalutazione del comportamento pregiudiziale tenuto dai genitoriobbligo di consultazione del mediatore familiarecompetenza per tutti ai tribunali ordinari, equiparando così coppie legittime e

di fatto.

MODIFICHE TITOLO VI – I DICO E LE UNIONI DI FATTO

DICO - Il disegno di legge era finalizzato al riconoscimento giuridico alle “convi-venze” che risultano iscritte nei registri anagrafici di ogni comune, con il conse-guente riconoscimento di taluni diritti e doveri a seconda della rispettiva durata della convivenza

Diritti immediatamente fruibili:Decisioni in materia di salute e in caso di morte Permesso di soggiorno per ragioni affettive al convivente straniero

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Alloggi di edilizia pubblica : punteggi aggiuntivi per i conviventi.Utili di impresa - il convivente partecipa agli utili dell’impresa dell’altro convi-

venteTassa di successione - oggi per il convivente è fissata all’8%, scende al 5%

I diritti fruibili dopo un determinato periodo di tempo:

dopo tre anni, vengono riconosciuti i diritti e le tutele del lavoro;dopo nove anni, sono riconosciuti i diritti di successione

Doveri previsti

Assistenza e solidarietà reciproche -Obbligo alimentare Il disegno di legge giace abbandonato. Conseguentemente, l’unico modo di regolamentare queste materie rimane il contratto di convivenza, perfet-tamente legale e stipulabile tra le parti seguendo i dettami del CC e della Co-stituzione, ovvero secondi limiti della disponibilità dei diritti e della patrimonialità delle obbligazioni deducibili. Restano esclusi da questo tipo di contratto i diritti ereditari, per espres-so divieto di patti successori. Resta naturalmente possibile fare testamento a favore del convivente, preservando la legittima.

AUTORITA’ GARANTE SULL’INFANZIA E L’ADOLESCENZA

Ispirata al superamento della convinzione secondo cui nelle tematiche minorili lo Stato deve entrare in gioco solo quando il minore si trova senza fami-glia, la legge: crea una figura che vigili sul rispetto delle norme all’interno delle strutture

pubbliche e private nelle quali sono presenti minori;affida al garante il compito di difendere a tutto tondo i diritti dei minori in-

tervenendo sui grandi temi dell’infanzia e dell’adolescenza con uno sguardo particolarmente attento a bullismo, anoressia, bulimia, droghe, violenze, sfrut-tamento del lavoro minorile.

L’Autorità:è un organo monocratico, organizzativamente ed economicamente indi-

pendente, senza vincoli di subordinazione gerarchica;ha potere di proporre leggi ed offrire pareri ad altri organi istituzionali,

ascoltare minori, collaborare con organismi internazionali ed europei al fine di promuovere l’attuazione delle convenzioni internazionali e della normativa vigente;

promuove collaborazioni con analoghi istituti promossi dalle Regioni,

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promuove studi e ricerche sulle tematiche minorili;riceve segnalazioni relative a violazioni dei diritti dei minori, segnala agli

uffici competenti anche d’ufficio, può segnalare al tribunale dei minori le situazioni di disagio e direttamente alla Procura situazioni di rilevanza penale.

box n° 1 PROPOSTE PER IL PDZ 2012-14

A) Riformulare una definizione di famiglie che, a partire dalla definizione riportata dalla Costituzione e dal Codice, rifletta sulla pluralità delle famiglie esistenti nel territorio.

B) Sollecitare all’Ufficio Statistica un aggiornamento dei nuclei familiari effettivamente conviventi, soprattutto per quanto riguarda i nuclei con minori, per fotografarne l’effettiva realtà.

C) Formulare ipotesi e progetti di conciliazione che non riguardino soprattutto le donne (in quanto doppiamente occupate e divise di fatto tra cura familiare e lavoro), ma che possano essere costruite tenendo conto dei diversi tempi di tutti i membri del nucleo familiare.

D) Esplicitare a quali famiglie è possibile l’accesso ai diversi servizi territoriali. Identificare quali nuclei familiari di fatto ne risultino esclusi.

E) Organizzare percorsi formativi dedicati agli operatori dei servizi per l’acquisizione di specifiche competenze relative ai mutamenti familiari e alla rilevazione di effettivi bisogni, complessità e fragilità, come già avviato nella sperimentazione dei consultori.

F) Garantire mediazione familiare e linguistica affinché gli operatori di sportello siano pronti a rispondere alle diverse esigenze delle famiglie, in particolar modo multiculturali o straniere.

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POLITICHE DI CONCILIAZIONE:DALLE DONNE AGLI UOMINI PER EVITARE LE DISUGUAGLIANZE

• Il ruolo “esclusivo “ delle donne nelle prestazioni di cura e responsabilità famigliari pone il tema della conciliazione nella “questione femminile” e sollecita l’attenzione sulla conciliazione come raccordo tra numerose esigenze e compiti delle donne, escludendo di fatto dal tema una “questione maschile”.

• La paternità, diversamente dalla maternità si iscrive in un modello sociale, anzi è un suo prodotto e come tale contiene un modello di relazione genitoriale rappresenta-tivo del modello di relazione di genere e quindi di potere sociale.

• Come ricollocarsi nella relazione con le donne, nelle responsabilità famigliari e nel promuovere un nuovo modello famigliare basato sul rispetto delle differenze, valo-rizzato sulle pari responsabilità, sull’equità dei compiti di cura evitando i rischi del rafforzamento delle disuguaglianze di genere riaffermate da politiche per le donne (più servizi per le donne) che non modificano il modello del lavoro (maschile) e di

famiglia?

Questioni dirimenti sulle quali abbiamo invitato come relatore esterno Alessio Miceli - Presidente Associazione “Maschile Plurale” a riflettere con noi e ciò ha permesso di chiarire e approfondire alcuni importanti aspetti che attengono ad una nuova relazione di coppia nella quale si iscrive la relazione genitoriale e la possibilità di una nuova e diversa paternità.

Anzitutto va significativamente esplicitato che i documenti di riferimen-to su questi temi sono più che altro scritti da donne, e molti di loro pubblicati e ripresi dalla nota rivista di Via Dogana a cura della Libreria delle Donne. In essi si elabora un concetto del lavoro sia produttivo ( salariato) che del lavoro quotidiano delle donne (riproduttivo) che dovrebbe indurre ad un ri-pensamento del modello del lavoro. In queste riflessioni di donne, anche sinda-caliste, emergono proposte interessanti di conciliazione come per esempio una “paternità obbligatoria” che tolga ai padri il vincolo o l’alibi di non poter partecipa-re alla vita del figlio dopo i primi mesi o che comunque li interrogano nell’essere più collaborativi nella cura dei figli. Anche quando, soprattutto i nuovi padri, lo sono la sostanza del model-lo di relazione e di responsabilità non cambia e cioè presuppone il sottinteso che il figlio sia della madre e che sia lei a doversi organizzare. Va detto che resiste un atteggiamento delle donne a non avere recri-minazioni verso il proprio partner, ma soltanto verso il lavoro di entrambi. Nelle testimonianze raccolte dalle ricercatrici su questi temi appare come la respon-sabilità sia attribuita solo all’organizzazione del lavoro che lascia la donna nel doppio ruolo di lavoratrice e di madre che cura la famiglia e non gli permette di discutere con il padre sull’eventualità di chiedere e ottenere in azienda gli stessi

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istituti di conciliazione. Questo doppio ruolo, comunque, garantisce alla donna un’immagine pubblica di “brava persona” impegnata e coerente con i ruoli che le competono. Lo stesso doppio ruolo non sarebbe altrettanto positivamente riconosciuto all’uomo. Se dunque l’assenza di conflitto nella relazione tra padri e madri sui compiti di cura mantiene l’organizzazione familiare sulle spalle delle donne (volu-ta, subita o ambigua che sia) allora dovrebbero essere gli stessi padri a produrre cambiamento, portando il conflitto nei luoghi di lavoro verso proprie istanze di conciliazione dei tempi, con la richiesta di uscire prima, di lavorare part-time. Un secondo aspetto che attiene all’equità dei compiti di cura tra uomo e donna lo esprime in maniera interessante la testimonianza di una coppia che afferma: “possiamo scambiarci di posizione, senza dividerci rigidamente i compiti per ruolo e senza dover fare le cose nello stesso modo.” Ecco com’è importante allora incominciare a parlare di reciprocità, più che di parità tra donne e uomini. Ma, se la maggior parte gli uomini è incline a risolvere i problemi attraverso leggi, norme, “quote obbligatorie”, le donne, invece, dicono che la norma pratica funziona solo se accompagnata, o addirittura prece-duta, da una riflessione di cambiamento culturale. Una conciliazione che consente reciprocità non si limita a finanziare la donna nei compiti di cura perché è una conciliazione che mantiene lo status quo e non sostiene il cambiamento. I padri stanno però cambiando i gesti di accudimento (per esempio modi diversi dalle madri di cambiare un pannolino), le espressioni di tenerezza, le parole con cui esprimere le proprie emozioni ed esperienze, che costituiscono vere possibilità di disseminare il cambiamento. Il punto di vista dell’associazione Maschile Plurale si sofferma sulla diversità tra ruolo del padre e della madre. Oltre i compiti di cura reciprocamente assunti, il padre è il terzo che entra nella diade madre e figlio/a e porta il resto del mondo. Ma, posti di fronte a questa nuova paternità, quanti uomini accettano di esserci nella relazione con i figli? I padri tradizionali se ne vanno con il loro autoritarismo e lasciano spazio ad una trasformazione dei nuovi padri (innanzitutto per se stessi, ma anche per le ma-dri). E’ una possibilità di trasformazione reciproca. Si evidenzia un altro punto delicato, che si tende a non esplicitare: è il rapporto tra paternità, maternità e vita di coppia (come dimensione sessuale, intima). Questa dimensione non nominata, lavora “sotto”, mettendo a rischio le coppie. L’uomo ha vissuti differenti, di cui solo da pochissimo può e si sente di parlare, per esempio nei gruppi di ascolto di neo-padri. Dall’osservatorio dei Consultori Famigliari si nota come i codici “pater-no” (non patriarcale) e “materno” siano da ridiscutere all’interno di padri e madri reali, che agiscono non più secondo una pura identità di genere, ma che fanno comunque molta fatica ad emergere e ad assumere l’indispensabile responsa-bilità genitoriale. Soltanto da pochi anni il consultorio vede i padri partecipare

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alle iniziative o chiedere consultazione, seppur in coppia o spinti dalle proprie compagne.

In conclusione, queste stimolanti riflessioni suggeriscono alcune linee d’azione per sostenere i processi di cambiamento della paternità, ma con altret-tanta utilità anche della maternità, orientati ad una rivisitazione delle connessioni tra relazioni di genere, vita di coppia e scelte /politiche conciliative tra lavoro e famiglia. Proposte e opportunità che il sistema locale di welfare può offrire ai cittadini e alle cittadine se anch’esso si ripensa e si riprogetta verso modelli meno femminili della cura e assume l’impegno ad accompagnare processi di cambiamento, che concorrono alla diminuzione delle disuguaglianze di genere. Processi che possano sostenere padri pro-attivi nella relazione con i figli, uomini dialoganti nelle relazioni di coppia, adulti coscienti dei propri diritti di conciliazio-ne nei luoghi di lavoro.

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box n° 2 PROPOSTE PER IL PDZ 2012-14

A) formare/educare i giovani uomini per crescere... padri consapevoli e curanti, uomini in dialogo con le donne:- incontri di sensibilizzazione nelle scuole;- formazione agli adolescenti (maschi).

B) porre in evidenza “la questione maschile” nelle relazioni familiari:- promuovere/sostenere la formazione di gruppi di uomini e di padri (nei consultori, nelle scuole, etc.,)- incontri pubblici, seminariali e/o tematici, con utilizzo di esperti, film, altri stimoli rivolti ad un pubblico più vasto.

C) riconsiderare la modalità dei servizi nell’interlocuzione con la figura paterna:- costituire un gruppo di lavoro che si interroghi se e come sono curate le relazioni tra il sistema dei servizi (educativi - sanitari - sociali) che si occupano dei figli, con i padri: come stimolare il loro coinvolgimento? quale linguaggi usare? c’è necessità di una specifica competenza? c’è uno spazio al loro dedicato? si può immaginare una modalità premiante per coinvolgerli maggiormente? D) sperimentare uno spazio di ascolto dedicato agli uomini in difficoltà: - sull’esperienza di Torino si possono sperimentare centralini telefonici per il primo contatto per esempio con uomini maltrattanti;

E) promuovere una diversa immagine del corpo della donna e dell’uomo in città:- porre limiti in città all’utilizzo del corpo (femminile/maschile) negli spazi pubblicitari consentiti quando l’immagine non è consona alla

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box n° 3 PROPOSTE PER IL PDZ 2012-14

A) adottare il Bilancio di Genere E’ possibile una lettura di genere delle politiche pubbliche? Se i bisogni non sono neutri le politiche non possono allocare risorse e servizi non considerando le differenti esigenze e i bisogni di uomini e donne, anziani e bambini, disabili e poveri.Le lettura del bilancio che riclassifichi quanto viene destinato secondo alcune indicatori selettivi che permettono di comprendere come si possono ridurre le disuguaglianze di genere con opportune scelte di politiche sociali e dunque di risorse.Il Bilancio di Genere può essere uno strumento di lettura adeguato a rispondere alle seguenti domande: - le politiche di bilancio quali effetti hanno sulle donne e sugli uomini?- chi è più svantaggiato?- quali bisogni sono penalizzati?- ci sono alternative?- come considerare il lavoro domestico e di cura famigliare non retribuito?e presuppone la formazione di una contabilità comunale che aiuti l’amministrazione a fare scelte che tengono conto delle differenze di genere nell’accesso ai servizi, nel mercato del lavoro, nelle politiche di pari opportunità dentro i propri enti, nelle opportunità che qualificato la qualità delle vita in città ( sicurezza, tempo libero, formazione, ecc).L’ambito di Monza potrebbe sperimentare un progetto di adozione

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POLITICHE DOMICILIARI. PROMUOVERE UNA DOMICILIARITA’ DI QUALITA’ PER CONTENERE I RISCHI DI NUOVE FORME DI ISTITUZIO-NALIZZAZIONE FAMIGLIARE

- L’aumento degli anziani NAT e delle disabilità comporta un aumento del carico di cura per le famiglie, luoghi “caricati” del sostegno verso i famigliari più fragili. Le politiche di deistituzionalizzazione per una promozione della domiciliarità sono al centro del welfare lombardo realizzate con l’introduzione dei titoli so-ciali. La conoscenza e l’attenzione di “coloro che si prendono cura” (donne) è fondamentale per evitare le “seconde vittime” delle patologie che affliggono le persone assistite evitando di chiudere nelle mura domestiche l’uno e l’altra.

- In un’economia di relazioni famigliari fragili, la relazione di cura domiciliare, con il fenomeno delle assistenti famigliari, diventa merce di scambio non esente da rischi di ri-produzione di disuguaglianze anche nello stesso ge-nere femminile.

Relatori esterni: Don Augusto Panzeri - Responsabile Caritas Diocesana MonzaLucia Mariani - Caritas Monza e cooperativa Novo MillennioRoberto Mauri - Presidente cooperativa La Meridiana (RSA San Pietro)

Le seguenti note raccolgono alcuni spunti emersi dalla discussione:

Le politiche famigliari si basano su due presupposti: 1) i doveri di soli-darietà/responsabilità dei famigliari verso un proprio membro bisognoso; 2) la famiglia quale oggetto di attenzione. Con ciò si generano due risultati: a) si nega il diritto di qualcuno (donna, figli, nipoti, ecc.) a disattendere le attese del sistema istituzionale verso comportamenti adeguati ai doveri di solidarietà/responsabili-tà; b) non si restituisce alla famiglia il proprio protagonismo. La miopia di questo approccio porta a non considerare/contestualizzare le situazioni molto differenti nelle problematiche famigliari (soprattutto di relazione tra i membri), oppure a non valorizzarne il potenziale. Inopportuno procedere per atti istituzionali ingiun-tivi verso figli/nipoti che lo sono per via consanguinea ma senza una relazione stabile e consistente (p.es.: figli affidati e cresciuti in altre famiglie o nipoti che non conoscono il proprio zio).

Diversamente dal passato oggi sono le famiglie di mezzo (si intende quelle con coppie genitoriali in età adulta, 50/60 anni) che portano due pesi sulle spalle: l’accudimento delle famiglie di origine (genitori anziani e ammalati) e di quelle costituite dai propri figli (verso di loro e verso i nipoti). Il peso del doppio accudimento schiaccia le risorse della famiglia di mezzo che non può avvalersi di un sistema ampio com’erano i clan famigliari del secolo scorso.

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La presenza dell’assistente famigliare (badante) nella funzione di accudimen-to, alla luce dell’esperienza di questi anni, evidenzia dei problemi inediti:morale: è inopportuno chiedere alla badante di trasmettere affetto e vici-

nanza all’anziano/a (per altro la badante è una donna che ha dovuto lasciare la sua relazione affettiva con la propria famiglia);

ci si dimentica che è una lavoratrice e come tale titolare di diritti (come il diritto al riposo, allo svago), che, se negati, possono determinare come re-azione dei comportamenti inadeguati (per esempio trascorrere alcune ore in cucina davanti al televisore sintonizzato su un canale del proprio paese d’origine lasciando l’anziano/a in salotto davanti ad un altro televisore);

le badanti fanno cose pratiche, lavorano e “non (devono) prendere in carico” l’anziano/a, non sono titolari di una funzione affidata al care giver famigliare.

Si avverte il rischio di stigmatizzare culturalmente l’essere anziani come una condizione di estrema fragilità e che determina un problema sociale, di-menticandosi che per tanti anni molti sono in buona salute e costituiscono una risorsa per le reti famigliari. In età avanzata (oggi in genere sopra gli 80 anni) aumenta il rischio del-la disabilità e non è sempre possibile scegliere la domiciliarità perché le famiglie si compongono di pochi figli (a volte distanti) e gli anziani vivono in abitazioni con barriere architettoniche che non favoriscono il mantenimento delle pur limitate autonomie. La scelta della domiciliarità dev’essere una scelta culturale più che det-tata da una necessità di contenimento della spesa sociale istituzionale. In alcuni casi la spesa per garantire la cura a domicilio dell’anziano/a risulta più gravosa per la famiglia che non l’inserimento dello stesso in una RSA. La residenzialità risulta sicuramente più indicata nei casi di demenza senile, difficilmente gestibile a casa e assai dannosa per l’equilibrio emotivo di tutta la famiglia. La consapevolezza dei limiti dell’intervento domiciliare aiuta a evitare situazioni “stressogene” per la famiglia. Oltrepassare il punto in cui la migliore qualità della vita dell’anziano può essere offerta da un servizio diurno o residen-ziale genera sfilacciamento, tensione, conflitti tra i membri della famiglia. La do-miciliarità dev’essere sempre un progetto, individuale sull’assistito e sulla fami-glia che assiste. Il presupposto che “stare in casa è sempre meglio” se accettato acriticamente potrebbe generare comportamenti superficiali che determinano forme di “istituzionalizzazione domiciliare” (come nel recente passato avveniva in alcuni casi per le persone con disabilità). La domiciliarità non può però esaurirsi, come avviene, in fornitura di prestazioni; dev’essere un progetto a sostegno di tutta la famiglia (non solo dell’assistito) che si avvale di un sistema di protezione dotato di strutture ade-guate a favorire una buona relazione fra i partner famigliari (strutture anche intermedie, diurne, leggere, oltre che residenziali). Ogni carenza nel sistema si

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ripercuote sulla famiglia che non è in grado di organizzare, pur col sopporto degli specialisti (o del CeAD), un intervento domiciliare. Progetti di domiciliarità hanno bisogno di figure competenti, capaci di restituire ai membri della famiglia accudente una lettura delle dinamiche e dei fattori complessi in gioco: economici, storico-anagrafici, di attese reciproche, di relazione affettive, di disponibilità o impedimenti all’agire sui quali comporre l’intervento domiciliare. Sarebbe una funzione sociale da affidare ad un Case Manager o meglio ad Assistenti Sociali che possano avere le condizioni di esplicitare le pro-prie competenze di “Consiglieri Famigliari”.Nasce qui una riflessione più generale su quale sia l’organizzazione dei Servizi in grado di garantire una presa in carico più complessiva ed uni-taria della famiglia e non settorializzata ai bisogni dei singoli destinatari (anziani, minori, disabili, adulti in difficoltà,…).

Inoltre non può sussistere uno sviluppo di politiche domiciliari senza un qualificato apporto e collegamento con le politiche urbanisti-che. Qualificare l’abitare, favorendo le relazioni di vicinanza, la mobilità sociale, i servizi di prossimità, l’accesso ai servizi di sicurezza e assistenza, l’abbattimento delle barriere architettoniche, ecc. significa investire in un sistema urbano di opportunità e offerte che favoriscano la permanenza a domicilio, elevandone la qualità.

La crisi della cultura patriarcale, nella quale i doveri e le aspettative tra i membri della famiglia componevano le relazioni e soprattutto le identità delle donne (mogli o figlie), apre una riflessione sulla vita e sulle nuove relazioni tra i famigliari: da relazioni “invadenti” (il padre che impone alle figlie di occuparsi della sua fragilità) possono trasformarsi in atti di solidarietà e di accudimento in armonia con le proprie autonomie e necessità. Sapersi “ritirare” dai ruoli eserci-tati in tanti anni in famiglia per fare spazio ai membri del proprio nucleo familiare, dà loro la possibilità di scegliere cosa desiderano, possono e vogliono fare per aiutarsi l’un l’altro, per re-impostare una reciproca relazione affettiva e solidale. E’ un’impostazione di vita aperta alla relazione con l’altro. Investire su nuove paternità (o nuove genitorialità) è possibile e auspicabile, utilizzando i servizi a supporto della famiglia (nidi, scuole, consultori, RSA), coinvolgendo gli uomini in un itinerario formativo, continuo e dedicato allo sviluppo di nuove identità e competenze relazionali.

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box n.4 PROPOSTE PER IL PDZ 2012-2014

A) Necessità di una formazione specifica per le famiglie che accolgono una badante.

B) Supporto alle famiglie “di mezzo” (50 e 60 anni) attraverso consulenza e orientamento rispetto al miglior sistema di cura a partire dall’ anziano (domiciliarità o residenzialità) e dai servizi presenti sul territorio (centri diurni, soggiorni di sollievo etc.).

C) Per assumere le problematiche dell’anziano è necessario porre il tema più generale della presa in carico dell’intera famiglia, anche come riflessione sull’organizzazione dei Servizi Sociali di base e dei servizi consultoriali, in modo che tale organizzazione sia più funzionale possibile al nucleo nel suo complesso. Si veda come approfondimento inerente a questo punto l’allegato “Sperimentazione dei consultori familiari” e specificamente i progetti Tempo per sé e cura delle relazioni, Apertura punto di ascolto e orientamento per la famiglia.

D) Erogazione di un “buono di accudimento” per i caregiver, non solo per contribuire al pagamento di una badante, ma anche per risarcire un familiare che lasci il lavoro per occuparsi dei membri più fragili.

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PIANO DEI TEMPI E POLITCHE TEMPORALI DELLE CITTA’

Relatore esterno - Arch. Roberto Zedda – PoliMI – Politecnico di Milano

Le politiche temporali urbane nascono a metà degli anni ‘80, in Italia, da un’azione delle donne, dai gruppi del “doppio sì”, e rappresentano la denuncia delle difficoltà rispetto agli orari dei Servizi della città per le persone che lavo-rano1. Il progetto pubblico di trasformazione urbana che ne consegue è noto in Europa come Tempi della città. Il movimento di innovazione è stato caratterizza-to da un nuovo modo di affrontare i problemi della pianificazione e del progetto urbano sensibili al tempo. Questo movimento pone per la prima volta come focus di progetto il tema dell’organizzazione degli spazi e dei tempi di uso della città come concilia-zione tra 4 dimensioni temporali e di vita: i tempi della città, i tempi del lavoro, i tempi della famiglia, i tempi per sé. Si attivano dei gruppi di progetto che vedono coinvolte università, pro-fessionisti, amministratrici e grazie al fatto che il Sindaco di una città poteva intervenire per un adattamento degli orari dei servizi pubblici della città in base all’art. 36, comma 3, Legge 142/1980 (che recita testualmente: “Il sindaco è inoltre competente, nell’ambito della disciplina regionale e sulla base degli indirizzi espressi dal consiglio comunale, a coordinare gli orari degli esercizi commerciali, dei servizi pubblici, nonché gli orari di apertura al pubblico degli uffici periferici delle amministrazioni pubbliche, al fine di armonizzare l’espli-cazione dei servizi alle esigenze complessive e generali degli utenti.” ) si sono avviati in molte città progetti di politiche temporali urbane. Ad esempio dagli anni ’90 vengono istituite le “giornate del cittadino” in cui gli orari di apertura dei ser-vizi pubblici vengono organizzati in modo da presentare delle fasce di accessi-bilità oraria al di fuori degli orari di lavoro prevalenti. Ma presto ci si accorge che non basta l’orario desincronizzato, ma si deve curare anche l’accessibilità fisica ai servizi. Oltre l’orario occorre considerare: possibilità di fruire dei mezzi pubblici, la situazione del traffico, le possibilità di parcheggio, la sicurezza ciclo-pedonale, l’assenza di barriere architettoniche (L.118/71, L.13/89, DM 236/89). L’accessibilità è del corpo e il corpo ha le sue stagioni e le sue identità. La città è abitata e deve essere ospitale per tutti gli abitanti, cioè per tutti coloro che occupano anche temporaneamente, uno spazio della città per viverci. Un abitante deve poter aspettare un mezzo pubblico stando seduto, deve poter prendere un appunto con un piano di appoggio, deve poter abitare i frattempi tra un servizio e l’altro.

1 Domanda che si esprime a livello politico nella proposta di legge (1986) Le donne cambiano i tempi, promossa da un Comitato di donne dell’allora Partito Comunista Italiano e successivamente ripresa nel 1990 con il titolo: Le donne cambiano i tempi. Sottotitolo: Una legge per rendere più umani i tempi di lavoro, gli orari della città, il ritmo della vita, prima firmataria Livia Turco.

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Non si tratta quindi solo di una città per i residenti, dove come residente della città esco di casa alle 8 per poi ritornarci alle 20, ma per tutte le persone che la abitano e, viceversa, di tutte le città che come persona uso e abito. Sguardo dunque allargato. Le politiche temporali esistono o non esistono? Per alcuni esistono come missione, ma non esistono di fatto se non hanno finanziamenti, stanzia-menti e deliberazioni.Le politiche temporali nascono in Italia (per es. a Modena, Bergamo è oggi capo-fila della rete) e poi in Germania, in Francia, in Olanda, in Spagna (Barcellona ha costituito la rete internazionale delle città Usos del Temps che fanno politiche temporali urbane). Le politiche temporali sono sostenute dalla Legge 53/2000, che tratta dei congedi parentali per la conciliazione tra tempi di lavoro e tempi della vita, ma anche dei Piani territoriali degli orari. Il loro progetto e avvio è attuato tramite processi di partecipazione. Un metodo di successo è quello dei tavoli di co-progettazione in cui i portatori d’interesse sono attori che costruiscono assieme all’amministrazione pubblica i problemi da affrontare e le soluzioni. E’ un proces-so partenariale che, una volta avviato, non può essere disatteso, pena la perdita del consenso politico. Alcuni esempi di politiche sul tema della mobilità: troviamo iniziative come Car shering, Car-pooling (es. Azienda ST di Agrate: ha i parcheggi più vicino agli uffici riservati a chi usa il car-pooling almeno a tre viaggiatori e sono sempre pienissimi), Pedibus bimbi a piedi per andare a scuola, ecc.

STRUMENTI PER LE POLITICHE DEI TEMPI DELLA CITTÀ

Il vecchio piano regolatore vincolava luoghi/terreni per servizi pubblici e creava disparità tra cittadini e proprietari, permettendo ad alcuni quello che impediva ad altri in maniera incostituzionale. Ora il PGT non vincola ma programma, concordando forme di compen-sazione ai proprietari. Il PGT ha al suo interno il Piano dei Servizi (qualità e ac-cessibilità dei Servizi) e il Piano dei Servizi deve tener conto delle risorse anche limitrofe al proprio territorio per non duplicare servizi e deve tener conto anche dell’accessibilità effettiva di tali servizi. Ecco allora che come utile strumento troviamo il Piano territoriale degli orari (sostenuto oltre che dalla legge nazionale da leggi regionali): non basta che un servizio esista in un quartiere, ma deve essere accessibile in modo semplice e in un tempo opportuno per i cittadini. Per quanto riguarda la normativa, vi sono numerose leggi regionali ma volte - come in Friuli – esiste una costellazione di norme e non una sola legge organica. La legge lombarda obbliga tutti gli altri strumenti legislativi a raccor-darsi con la legge sui tempi.

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C’è la necessità di servizi diversi per luoghi e abitanti specifici: per esempio sono essenziali servizi di prossimità (negozi di quartiere) nei quartieri abitati da anziani, e sono invece necessari bar e punti di informazione nei quar-tieri abitati da persone in movimento (per es. vicino alle Stazioni ferroviarie). La conciliazione dei tempi è finalizzata a restituire tempo, in favore della qualità della vita dei vari cittadini e componenti dei nuclei familiari. Per questo negli anni si sono concepiti e costruiti strumenti di analisi e di progetto ad hoc, come le carte cronografiche (mappe della città colorate secondo la tipologia dei cittadini presenti in un certo calendario, dei servizi presenti e dei loro orari, ecc.). Il metodo è quello di costruire il problema reale, specifico, da affrontare in una zona particolare.

Domanda: questa zona ha dei buoni servizi sanitari?1) Analisi della soddisfazione di chi usa i servizi sanitari2) Chi e perché non usa neanche i servizi sanitari3) Tavolo partecipato da reali portatori di interesse per la costruzione del proble-ma, non del problema “immaginato” dagli amministratori.4) Integrazione delle progettazioni convocando i settori del comune che su quel progetto hanno competenza. Processo difficile, perché l’amministrazione agisce settorialmente: il traffico per l’ingegnere del settore traffico è soltanto traffico e mai mobilità.

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CONCLUSIONI

Il tema della pianificazione dei tempi, attiene al miglioramento della qualità della vita, dunque agli aspetti di eccellenza di una comunità locale, ed in-teressa l’intera cittadinanza che comprende portatori di esigenze e bisogni spes-so diversi o perfino confliggenti (si pensi alle esigenze del cittadino lavoratore nella fruizione di negozi e servizi contro quelli dei negozianti o dei dipendenti dei servizi). Per questo necessita di un approccio partecipato in tutte la fasi di lavoro dai concreti portatori di interesse coinvolti nel problema analizzato. Le soluzioni sulle quali gli amministratori dovranno assumere decisioni non potranno che essere concepite in modo concertativo. Il baricentro di riferimento delle azioni possibili, oltre a quello del lavoro, deve contemperare anche altri aspetti di solito meno considerati (es. disparità di genere nei carichi di cura familiari). Lo stesso contesto “temporale” non può essere affrontato a se stante ma necessita un approccio eclettico con le altre dimensioni che afferiscono alla vita della città, della persona, della famiglia e del lavoro. Dunque oltre il “tempo” occorre considerare gli “spazi” e la loro fruibilità in termini di accessi, dimensione, attraversamento (si pensi al traffico, corsie dedicate ciclo-pedonali, la pianifica-zione urbana, le barriere architettoniche), i “servizi” ed i vincoli a questi connessi (in primis PA, commercio, scuola e trasporti), l’”ambiente” con i suoi vincoli e le sue opportunità, la dimensione “sociale” in relazione alla fotografia dei bisogni specifici del territorio. Sul piano delle risorse necessarie, è difficile pensare in questa fase ad erogazioni sufficienti e dedicate, esclusivamente da fonte pubblica (con l’ec-cezione delle politiche di conciliazione promosse dalla Regione Lombardia e delle misure finanziate nella seconda parte della Legge 53/2000), per cui si deve entrare nell’orizzonte di progetti realizzati prevalentemente in economia, ottimizzando l’esistente in ottica dipartimentale e valorizzando i contributi e le sponsorizzazioni private e la partecipazione attiva del privato sociale. Facendo tesoro di quanto avviene nel territorio, occorre valorizzare il Ta-volo Territoriale sulla Conciliazione (ASL) recentemente costituito e le risorse di ambito attivate su temi contigui (es. Sportello Famiglia Monza), anche se questi non possono esaurire in se stessi il tema delle politiche temporali. Il territorio di riferimento non può che essere l’Ambito, con i suoi tre co-muni, valorizzando di conseguenza tutte le pianificazioni “integrate” già in essere. La Conferenza dei Sindaci del PDZ potrebbe, su proposte emergenti dal Tavolo di Sistema, definire i singoli e specifici obiettivi delle politiche tempo-rali attorno ai quali si comporrebbero i tavoli concertativi (attuali Gruppi di Lavoro del PDZ) allargati a tutti i portatori di interesse coinvolti sulla materia.

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box n.° 5 - PROPOSTE PER PDZ 2012-2014 A) Il Piano dei Tempi deve costruirsi nel bacino di Ambito e non in quello dei singoli comuni

B) Devono essere definite azioni specifiche per le quali attivare tavoli che vedano ampia partecipazione dei portatori di interesse

C) E’ necessario un Tavolo di Raccordo, in ottica dipartimentale, delle pianificazioni in atto:- Piano Sociale di Zona (Ambito 3 Comuni);- Piani Urbani del Traffico (3 Comuni);- Piani di Governo del Territorio (3 Comuni);- Tavolo della Conciliazione Territoriale (ASL);- Piani dei Servizi (3 Comuni);- Piano di Salute (Distretto ASL)- Piano Trasporti (Provincia).

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ALLEGATO

LA SPERIMENTAZIONE DEI CONSULTORI FAMILIARI

Alla luce delle Regole regionali di cui alla Dgr 937/10 e della Cir-colare del 4/3/2011 - Prime indicazioni operative per l’attuazione della dgr. 1/12/2010 n. 937 “ Determinazioni in ordine alla gestione del Servizio Socio-sanitario Regionale per l’esercizio 2011” - il gruppo di progettazione formato da operatori di consultori pubblici e privati, ha ritenuto di procedere ad un’a-nalisi e riflessione sulla realtà locale per poi poter giungere ad una proposta di sperimentazione che tenesse conto delle caratteristiche del territorio, della presenza e delle attività svolta dai servizi pubblici e privati e delle esperienze di integrazione o di rete già in essere con i diversi attori del territorio quali i Consultori pubblici e privati, gli Ambiti, le Aziende Ospedaliere e il Terzo Set-tore.

Si è deciso di centrare la sperimentazione dei Consultori familiari sul focus: ascolto e sostegno della complessità relazionale familiare, nelle varie fasi della vita, intendendo con complessità relazionale quell’insieme di rapporti, propri della vita di famiglia, carichi di significato dal punto di vista emotivo/relazionale e quindi pregnanti dal punto di vista della convivenza, che includono anche impegni consistenti per quanto riguarda il carico di cura

Le azioni sperimentali che si propongono sono una risposta a bisogni appartenenti a singole persone o gruppi, in fasi della vita che possono origi-nate da:• cambiamenti all’interno e all’esterno della famiglia, in presenza di con-

dizioni strutturali problematici (es. adolescenti stranieri e loro genitori )• risignificazione dei ruoli parentali e familiari (es. famiglie ricostituite e al-

largate)• riorganizzazione della vita personale e familiare a seguito di eventi signi-

ficativi (es. diventare padre e madre)• attivazione di modifiche del ruolo sociale o inversioni di ruolo (es. di-

ventare anziani, essere figli adulti di anziani bisognosi di cure, ingresso dei figli minori nel mondo della scuola e difficoltà di gestione del ruolo genitoriale)

• assenza di relazioni sociali o presenza di una rete familiare carente (don-ne straniere sole con monoreddito)

• fase della vita che determina cambiamenti all’interno e all’esterno della famiglia, in presenza di condizioni strutturali problematici (es. adolescenti stranieri e loro genitori )

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Ogni azione sperimentale sarà sperimentata in un preciso ambito ter-ritoriale coincidente con l’area dei cinque Distretti su cui si articola l’Asl Gli operatori dei vari enti parteciperanno a un percorso formativo per creare un linguaggio comune e dei graduali cambiamenti organizzativi da verificare attraverso le sperimentazioni (dalla presa in carico del singolo alla presa in carico del gruppo).Queste indicazioni generali sono diventate il fulcro della definizione e artico-lazione di ogni Azione Sperimentale. L’intero progetto per la sperimentazione dei Consultori coinvolge di-rettamente i cinque Ambiti territoriali insieme ai Distretti Socio-sanitari con i c.f. pubblici, ai quattro CF privati presenti sul territorio ( COF Monza, Ceaf Desio, Ceaf Vimercate, CF Decanale Seregno) e soggetti del Terzo Settore (Cooperativa La Grande Casa , Cav ) che sono quindi partner del progetto L’obiettivo generale del progetto da cui diramano le diverse Azioni sperimentali e che potrebbe essere definito come la valorizzazione e il so-stegno delle responsabilità personali e familiari, si fonda sui principi della sussidiarietà, della solidarietà oltre che della responsabilità e infine della per-sonalizzazione degli interventi. La sperimentazione, che nasce dall’esigenza di integrare il siste-ma d’offerta attualmente gestito dai servizi consultoriali del territorio, è finalizzata a sviluppare la funzione d’ascolto dei bisogni delle famiglie che risiedono nel territorio per meglio orientarle nell’utilizzo della rete dei ser-vizi.

L’attività di ascolto dei bisogni della famiglia che si intende realizzare attraverso lo sviluppo della capacità di accoglienza prevede l’attivazione di quattro progetti sperimentali.

apertura punto di ascolto e orientamento per la famiglia

L’istituzione di un Punto di Ascolto e Orientamento per la famiglia intende definire in modo specifico spazi e modalità di ascolto dell’utenza, che afferisce al Consultorio, per meglio orientarla e indirizzarla nell’utilizzo della rete dei servizi.L’attivazione avviene in via sperimentale in una sede di Consultorio familiare per ognuno dei Distretti Socio-sanitari e presso il CF privato di Desio che si è dichiarato interessato a questa innovazione. L’obiettivo è quello di offrire, in modo più strutturato, un accompagna-mento qualificato nell’utilizzo delle risorse territoriali, facilitandone l’accesso appropriato, grazie ad un ascolto attento che sia di supporto soprattutto alle situazioni di fragilità. Le attività connesse a questo spazio, che prevede l’impegno di opera-

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tori dedicati specificatamente, possono essere sviluppate su due versanti che riguardano l’organizzazione del servizio consultoriale:

o l’ampliamento della disponibilità di orari di apertura al pubblico in orario tardo –pomeridiano

o l’attivazione del Punto di Ascolto e Orientamento per la famiglia con relativa diffusione dell’informazione.

Tempo per sé-cura delle relazioni

Come i dati di popolazione documentano nella società attuale siamo di fronte ad una aspettativa di vita che negli anni è significativamente aumentata.

Numerosi sono pertanto i bisogni che emergono nella fascia di popo-lazione anziana per i quali è necessario individuare ed attivare diversificati interventi sanitari, sociali, psicosociali e di socializzazione.

Sempre più il soggetto anziano pone ai servizi richieste- dirette o in-dirette – di aiuto per affrontare disagi e malesseri nella dimensione affettivo-relazionale

Si tratta infatti di una fase della vita in cui eventi particolari evidenzia-no la difficoltà di adeguare il proprio impegno all’interno della famiglia e nel contesto sociale, spesso accompagnati da modificazioni del proprio ruolo che non trovano immediato riscontro in una competenza adeguata a fronteggiare i compiti di vita.

In particolare si intende offrire:

- consulenza agli operatori che operano con gli anziani finalizzata anche a far emergere la domanda e a sollecitare interesse a cogliere aspetti non mani-festi affinché possano essere fornite risposte più complessive e sempre più qualificate- interventi di consulenza e sostegno psicologico direttamente ai soggetti =/> 65 anni (consulenza di coppia – familiari) all’interno di percorsi personaliz-zati e contestualizzati.

Destinatari: Soggetti individuali – coppie – famiglie- caregiver interessati alla fascia età da 65 anni in poi

Ambito di sperimentazione: CF pubb. Monza e CF privato Vimercate

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Non da sola

E’ d’attualità il tema della difficoltà per le donne lavoratrici di conciliare le esi-genze della famiglia e dei compiti di cura che richiede con gli impegni professionali. Momento critico di questa duplice responsabilità risulta essere il momento del rientro al lavoro dopo il congedo di maternità: nonostante l’offerta di servizi per la prima infanzia, molte mamme lavoratrici lasciano il posto di lavoro entro il primo anno di vita del bambino. Il tema della conciliazione tempi della famiglie/tempi del lavoro è stata ogget-to di una recente articolata valutazione sul territorio della Asl ed ha portato alla defi-nizione di un Piano Territoriale della Conciliazione che prevede diversi interventi in questo ambito. La costruzione di virtuosi percorsi di accompagnamento alla mamma lavoratrici rappresentano uno delle direttrici dell’intero Piano. Si intendono in particolare affrontare e rispondere a difficoltà legate:a) all’attività lavorativa, b) alla separazione dal figlioc) alla necessità di ricostituire un nuovo equilibrio familiare dal punto di vista relazio-naled) all’impegno richiesto per ripristinare una nuova organizzazione concreta della vita familiare.

Destinatari: Donne in procinto di riprendere l’attività lavorativa dopo il congedo per maternità o che hanno ripreso da poco a lavorare

Ambito di sperimentazione: CF pubblico. Monza e CF privato Monza

Disegna la tua vita:

L’attività proposta, viene articolata su due piani: uno di studio e l’altro di atti-vazione di interventi specifici. Questa ipotesi sperimentale nasce come momento di riflessione sul percorso I.V.G., a partire dall’analisi delle motivazioni che portano una donna a chiedere di in-terrompere la gravidanza. L’input alla riflessione, la sua ri-attualizzazione, prende spunto dall’attivazione del progetto Nasko, progetto attraverso il quale la Regione Lombardia eroga un contri-buto economico alle donne che chiedono di interrompere la gravidanza e che, a fronte di un progetto personalizzato di aiuto, vi rinunciano. Le proposte operative conseguenti possono consistere in:a) percorsi di supporto psicopedagogico, individuali e di gruppo, per mamme che hanno attivato progetti Nasko o che siano seguite dal punto di vista assistenziale (ad es. dai Cav con il progetto Gemma) con la finalità di accrescere le loro competenze anche in ambito genitorialeb) percorsi informativi (individuali e di gruppo ) dedicati, per donne che hanno richie-

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sto l’IVG, quale azione preventiva del ripetersi della richiesta.

Destinatari: Donne che accedono ai CF.Ambito di sperimentazione: CF pubb. Seregno - CF privato Seregno ) in collabora-zione con: CF pubb. Desio, CF Monza, CF Carate, CF privato Seregno e CAV della zona.

Dall’attività realizzata attraverso i percorsi di formazione, dall’apertura del Punto di ascolto e Orientamento per la famiglia, dalla realizzazione di percorsi di so-stegno rivolti a soggetti particolarmente vulnerabili, si attendono dati e informazioni da cui trarre indicazioni operative, per verificare la riproducibilità dell’intervento e quindi definirne la modellizzazione.

Tempi: da dicembre 2011 a marzo 2012, gli operatori effettueranno il percorso di formazione che prevede anche la progettazione delle azioni; da aprile a dicem-bre 2012 si attiverà la sperimentazione vera e propria.