Sirio Reali · finzione non significa, infatti, “falsità contraria al vero”, bensì vera...

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Sirio Reali Macchine, Finestre, Balconi, Case

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Altrove

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photoMargherita Reali, Massimo Zanconi

traduzione di | translation byMassimiliano Greghini

adgstudio

stampa | printed byTipografia San Giuseppe - Pollenza

dicembre 2013

© 2013 Liberilibri di AMA srl - MacerataISBN 978-88-98094-09-7

in copertina | on the coverCasa 31 (particolare), 2013, olio su tavola

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con uno scritto di | with a writing by

Anna Li Vigni

Sirio RealiMacchine, Finestre, Balconi, Case

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Provinciadi Macerata

Azienda PluriserviziMacerata SpA

PalazzoBuonaccorsi

Comunedi Macerata

Sirio RealiMacchine, Finestre, Balconi, Case

Macerata, Palazzo Buonaccorsi11 gennaio - 9 febbraio 2014

La mostra è promossa da

con il contributo di

con il patrocinio di

Assessorato alla CulturaStefania Monteverde assessoreAlessandra Sfrappini dirigente

Cura della mostra e del catalogoAnna Li VigniAntonello Di Geronimo

Ufficio stampaMaria Stefania Gelsomini

AllestimentoSimple srl

Servizi di accoglienzaSoc. Coop. Integra, Pulchra,Idrea, Oikos

Ordine degli Architetti,Pianificatori, Paesaggistie Conservatori dellaProvincia di Macerata

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Indice

Anna Li Vigni

Reali enigmi 11Real enigmas 23

Sirio Reali

Opere | Works 35

Nota biografica Biographical note 154

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Reali enigmi

Et quid amabo nisi quod aenigma est? Cosa potrò mai amare se non ciò che è un enigma? Così recita la scritta sulla base di uno dei numerosi autoritratti di Giorgio De Chirico. Una rappresentazione di sé in posa da malinconico – il me-lanconico, secondo il codice ermetico rinascimentale poi iconizzato da Albrecht Dürer, è chi ardisce avventurarsi con la mente ai limiti dell’inconcepibile –, con la mano che regge il mento e lo sguardo smarrito che tradisce pensieri circa cose impossibili.Il pittore non è solo un artigiano della matita e del pennello. Il pittore è un visionario, è colui che concepisce mondi impossibili a esistere, eppure con uno sforzo creativo li fa esistere per davvero sulla tela. È un inventore, ovvero, secondo l’etimologia della parola invenzione (dal latino invenire: ritrovare), è colui che trova dentro la sua mente realtà altre e le rende visibili. Ma sono realtà spesso contraddittorie, che esibiscono il loro mistero come un trofeo agli occhi dell’osservatore.L’enigmaticità stessa delle rappresentazioni di Sirio Reali rivela la sua capacità di vedere l’impossibile nel circostante, la sua audacia nel re-inventare le cose del quotidiano, la sua attitudine a interrogare filosoficamente il mondo.Un mistero è già presente nella vita di tutti i giorni, negli oggetti che affollano il nostro vissuto, ma noi non lo vediamo. L’arte persegue questo fine: cogliere il mistero delle cose, riuscire a far emergere questo segreto; l’arte, come vuole Maurice Merleau-Ponty, «non ripete le cose visibili, ma rende visibile».Sirio Reali ci fa dunque finalmente vedere il mondo in cui viviamo. Lo ritrae conferendo a esso un senso nuovo, un profondo sentimento poetico. Si po-trebbe asserire che lo imiti, se per imitazione si intende non la presentazione della copia conforme del modello originale, bensì la rappresentazione dell’es-senza di ciò su cui si posa lo sguardo. Ma quest’essenza ci si mostra, appunto, come un muto irresistibile arcano.

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Non è azzardato parlare di “realismo” per definire le rappresentazioni di Reali.Partiamo da questo assunto: che ogni rappresentazione artistica, per il nostro cervello, è reale a tutti gli effetti, perché – come dimostrato da recentissime sco-perte neuroscientifiche sull’area specchio del cervello visuo-motorio umano – l’immagine artistica si configura come un “set” immaginativo in cui con la mente possiamo simulare e quindi vivere esperienze che sono vere. In questo senso la parola finzione assume una connotazione diversa da quella consueta: finzione non significa, infatti, “falsità contraria al vero”, bensì vera realtà frutto di invenzione.Davanti alle opere del pittore maceratese, dunque, l’occhio dell’osservatore viene lentamente assorbito da una vera realtà, che è silenziosa e per certi versi metafisica, ma che non ha nulla a che vedere con la vulgata dechirichiana, ma forse più col surreale presente nei dipinti di René Magritte. Un luogo univer-sale d’esistenza, un punto a metà tra la fantasia e il mondo, dove è possibile compiere peregrinazioni impossibili.Per questo nei paesaggi di Reali non si trova mai la rappresentazione di una figura umana: perché è l’osservatore stesso la figura attiva che deve, con lo sguardo e con l’immaginazione, abitare i luoghi dipinti definiti dal pennello dell’autore.Si legge volentieri una certa suggestione tratta dalla grande pittura del Nove-cento italiano, sebbene non si possa cogliere un riferimento esplicito ad alcun autore in particolare, bensì soltanto un senso di appartenenza a una tradizione e la vocazione a portarla avanti in maniera innovativa e moderna: certi paesaggi urbani misteriosi e quasi lugubri di Mario Sironi; l’interrogazione degli oggetti ideali calati in una luminosità ironica di Giorgio De Chirico; la poetica emersione delle piccole cose quotidiane dallo sfondo opaco della vita di Giorgio Morandi; e, perché no, la rappresentazione comicamente capovolta del mito della macchina dei Futuristi.

Nella presente mostra il visitatore si trova di fronte a due tipologie di rappre-sentazioni – e l’autore, che non ha in simpatia le definizioni e i titoli, in passato denominava genericamente Rappresentazioni tutte quante le sue opere: le Macchine e le Case (a questa seconda categoria ne appartengono una terza e una quarta, quella delle Finestre e quella dei Balconi).

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Si tratta sempre di luoghi immaginali e di paesaggi immersi in un’atmosfera ambigua di inquieta immobilità, di ostinato silenzio.Sembra che manchi l’azione nelle opere di Reali, perché manca la figura umana. Eppure l’azione è ugualmente presente: se non sta per avvenire, è già avvenuta, e ha lasciato gli oggetti rappresentati pregni di storico paradosso. Le macchine, i balconi, le palazzine di cemento sono tutti contenitori privi di contenuto, che lasciano intuire la presenza che c’è stata o che sta per essere, che lascia lo spettatore in una condizione di incertezza e di attesa dell’inaspettato. Involucri vuoti, come a dire l’inanità esistenziale.La casa e l’auto sono le Cose per eccellenza del nostro quotidiano, sono i luo-ghi del nostro essere contemporaneo. Gli appartamenti ritagliati all’interno di un immenso alveare di cemento armato, bui di ogni libertà, come prigioni volon-tarie, con le loro tv perennemente accese e i monitor dei computer aperti sul web, nei dipinti di Reali non emanano bagliori dalle finestre e non pare di sen-tire il cicaleccio di alcuna voce mediatica, nemmeno l’eco. Qui non c’è nessuno. Nessuno è rimasto o qualcuno arriverà.E le automobili raffigurate con una giocosità quasi ilare, nostre vere abitazioni, luoghi-non-luoghi (Marc Augé) in cui sediamo per ore, in cui restiamo inerti mentre ci spostiamo, da cui osserviamo il mondo secondo una prospettiva affrettata e tediosa. Sono auto deserte, senza pilota, senza direzione.Gli oggetti esistono affinché li usiamo, ma l’abitudine all’uso li fa cessare d’esistere, perché non li vediamo più e non attribuiamo loro più alcun signifi-cato. Il silenzio e l’isolamento, invece, conferiscono agli stessi oggetti un “più” ontologico; l’astrazione dall’uso funzionale li rende interessanti, fa loro ac-quisire una sorta di grandezza, li fa apparire come potenziali attori di storie, oppure fossili che recano traccia della vita che c’è stata. Sono oggetti che, in mancanza di alcuna azione, ma nella promessa di un’azione, finiscono con l’assumere il valore di paesaggi impossibili. Lo stesso accadeva già nella serie degli Scolatoi, dove il pittore ritraeva questi oggetti fatti appositamente per far scorrere l’acqua, ma li rappresentava sempre rigorosamente a secco, per evocare l’assenza e l’attesa dell’elemento liquido che, se mai fosse arrivato, sarebbe stato più inquietante che rassicurante. Con un capovolgimento di quella che è la perce zione naturale, Reali attribuiva

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all’acqua un valore non positivo, di elemento necessario alla sopravvivenza, bensì negativo, di elemento evocatore di morte. La riflessione, implicita alla rappresentazione stessa, si svolgeva perciò in assenza dell’acqua e del suo mo-vimento che, celebrato da Eraclito, rimembra il divenire e quindi il tempo, la vita. Nei luoghi realiani ci si ritrova sempre immersi in un’atmosfera privata del movimento e del tempo, ma che non è nemmeno eterna. È un’atmosfera semplicemente sospesa.

Anche le Macchine di Reali, come l’acqua dei suoi Scolatoi, benché predisposte all’azione e al movimento, pare non riescano a spostarsi. La figura è disegnata secondo una forma estremamente aerodinamica, come se avesse la vocazio-ne a compiere uno sforzo enorme, come se stesse per “lanciarsi” verso una delle due direzioni (destra o sinistra) offerte dalla superficie del quadro. Ma il risultato percettivo della rappresentazione è l’immobilità, in virtù della massa figurale centralizzata assai voluminosa e di colore per lo più cupo, di tonalità “pesante”. Le macchine di Reali tentano dunque di avanzare, ma non possono. Se ne restano là, al centro della tela, in tutta la loro rigidità e gravezza, nell’av-vilente paradosso che contraddice la loro “natura” di enti auto mobili. Il che produce un effetto grottesco. Stasi e dinamismo sono la contraddizione sottesa alla realtà impossibile delle Macchine, sono il meccanismo del sottile gioco che l’autore suggerisce all’immaginazione dell’osservatore: auto con ruote che non possono girare o che sono addirittura sprovviste di ruote. E nel loro non potere andare né avanti né indietro si coglie un capovolgimento dell’enfatica poetica futurista, che ambiva a dare del movimento delle macchine una rappresenta-zione pittorica dinamica atta a esaltare la macchina come elemento essenziale della vita umana, necessario a rendere l’uomo un essere superiore. Si pensi al dipinto Automobile in corsa di Luigi Russolo, dove il volume della macchina, peraltro pure somigliante a quello delle macchine di Reali, si lancia forsen-natamente verso la sinistra del quadro, lasciando dietro di sé alcune ingenue “scie” di movimento.Le auto di Reali, invece, si mostrano quasi vanitosamente nella loro disfunzio-nalità. Sembrano gridare, a chi le guarda, «noi non ci muoviamo, non serviamo a niente!» e strappano allo spettatore una riflessione. Le forme tondeggianti e

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apparentemente slanciate riportano alla mente modelli assai diffusi di utilitarie alla moda che, scorrazzando per le trafficate strade delle nostre città, dicono l’ossessione per l’ostentazione di uno status symbol di chi le guida. Rappresen-tano la condizione di un’esistenza che acquista senso solo nel possesso di beni materiali che non hanno altro scopo se non l’apparenza. Ma questa rappresen-tazione è, a dispetto della prevalente scurità del colore, bonariamente sorrisa.Per questo le macchine di Reali, piccole ironiche metamorfosi, si tramutano sotto al nostro sguardo meravigliato: ora diventano un piccolo carro armato, chiuso carapace; ora assumono la forma quasi di un elmetto militare; ora somi-gliano a un piccolo elettrodomestico, quasi una macchina per fare il caffè; ora invece appaiono come un computer dotato di tastiera; ora sono la faccia di un totem buffamente incapace di qualsiasi minaccia; ora ostentano un piccolo quadro di erbetta fiorita. Le macchine affollano infatti la nostra vita, ma noi non sappiamo nulla su di esse, per lo più non sappiamo nemmeno come funziona-no, non conosciamo la loro costituzione interna: una volta che i produttori le hanno messe a punto e costruite, noi semplicemente le usiamo, talvolta senza nemmeno averne bisogno o sapere il perché, ci affidiamo a loro ciecamente.L’arte riesce a dire cose che le parole non sanno dire, le mostra direttamente utilizzando la metafora o la via metonimica, ma comunque le dice e queste arrivano alla percezione sensibile dello spettatore, prima ancora che alla sua intellezione. Questa è la strada attraverso cui l’arte sa essere uno strumento critico, che vuole insinuare una prospettiva critica nell’immaginazione e nell’immaginario di chi guarda. Con le sue Macchine Reali lascia un commento assai poetico e profondo sulla cosiddetta necessità delle macchine nella vita dell’essere umano contemporaneo.

Parlano una complessità un poco differente i paesaggi urbani delle Finestre e dei Balconi di Reali. E non a caso li definiamo “paesaggi”, sebbene la rap-presentazione non mostri altro che palazzine che paiono di cemento armato, casermoni sfiniti dalla vita che c’è passata o che ancora ci passa dentro, privi di alcun contesto naturale, un corso d’acqua, un filo d’erba, una minima orma di vita animale, l’ombra remota di qualcuno di passaggio che proietti la sua presenza silenziosa sullo scalcinato muro.

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È proprio di fronte ai Balconi di Reali che – e non me ne voglia l’artista, che sa bene come le opere d’arte non dovrebbero mai commentarsi perché parlano un loro linguaggio eloquente privo di alcuna verbosità – è forte la tentazione di chiamare in causa la categoria di “metafisico”. Ma si tratta, sia ben chiaro, di un metafisico tanto inquietante quanto minaccioso. In questo differisce assai il paesaggio urbano di Reali da quello triste e lirico di un Sironi, del quale pur-tuttavia il pittore maceratese richiama la poetica. Laddove Sironi sa essere an-che epico, Reali è tragico o talvolta, come si definisce lui stesso, «tragicomico».Si intende, per tragico e per comico, le categorie estetiche classiche, le quali chiamano in causa l’essenza stessa dell’arte: la sua capacità di rappresentare la vita umana sublimandola nell’invenzione, e la sua capacità di provocare una catarsi nel sorriso o nel pianto che essa riesce a suscitare in chi vi si accosta.Quando ci si accosta alle architetture di Reali, infatti, l’impatto percettivo è quasi lugubre, per la monocromia delle figure e per la solitudine e l’abbandono che esse comunicano: ma presto, all’osservatore acuto, non sfuggirà la vena quasi sarcastica di queste forme apparentemente banali e ripetitive.Alcune case sono di una semplicità aberrante: caserme, case di prigionia, peni-tenziari della vita borghese odierna, che ha smarrito ogni contatto con la natura e che è dimentica del mondo, concentrata com’è tutta all’interno della tana domestica dotata di ogni inutile “confort” elettrodomestico. Altre case assu-mono una complessità esagerata, esibiscono forme senza significato pratico; esse non hanno alcun senso per l’occhio che le osserva e che percorre la fuga di balconi, di finestre e di porte alla ricerca di una congruenza o di un signifi-cato abitativo o d’uso.L’artista si fa beffa così della “creatività” degli architetti che progettano i palazzi delle peri ferie delle nostre città i quali, malgrado ogni sforzo innovativo nella progettazione, non riescono mai a essere belli. Quella di Reali è un’umanità metropolitana che ha obliato ogni idea di bellezza e che si ritira, a sera, nel formicaio disadorno dalla struttura folle.Viene spontaneo evocare l’immagine di celebri architetture impossibili, come quella della Biblioteca infinita di Jorge Luis Borges, con la sua ripetitività ema-nata da una mente superiore, composta «di un numero indefinito, e forse infini-to, di gallerie esagonali, con vasti pozzi di ventilazione nel mezzo, circondati da

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ringhiere bassissime. Da qualunque esagono, si vedono i piani inferiori e supe-riori: interminabilmente». Un’architettura che corrisponde, nella sua perfezione, all’universo stesso. Così come avviene anche nelle architetture a struttura cir-colare di Maurits Cornelis Escher, la cui concezione, di precisione matematica, rinvia a un’idea di ossessiva ripetitività del tempo della vita umana, che nel suo ritmo contiene un frammento d’infinito.Tuttavia le architetture impossibili di Reali, lungi dall’accarezzare qualsiasi idea di perfezione cosmica o matematica, denunciano l’imperfezione morale della vita umana, ma questa denuncia non assume mai il crucciato tono morali-stico, bensì sempre un sorriso filosoficamente distaccato e cinico. Forse, se si dovesse ritrovare un immaginario di riferimento, allora potrebbe essere quello ironico delle Città invisibili di Italo Calvino.Le palazzine di Reali dalla pittura fanno emergere netto il disegno che le ha concepite. Coi loro contorni a linee decise, queste abitazioni delimitano un vuoto interno. La vita non c’è, è assente, è scomparsa, per presunto abbandono da parte di chiunque.Lo stile stesso, che delinea con precisione la conformazione di questi esterni ce-mentizi, con i loro interminabili prospetti, esprime una mancanza totale di libertà: prigionia dell’anima che non è solo di chi è destinato ad abitare queste costru-zioni assurde, ma anche di chi le osserva e si sente smarrito e preda di vertigine.La prospettiva assai ravvicinata, quasi un’“inquadratura” da vicino di molte delle facciate, suggerisce l’idea della mancanza di una via d’uscita, nell’avvicendarsi di forme geometriche in una città da incubo. Lo sguardo dell’osservatore percorre lo spazio rappresentato alla ricerca di una Ragione che non c’è: le balconate sono sghembe, talvolta dalle forme indecifrabili, tracciano labirinti verticali che non portano da nessuna parte, o talvolta si aprono pericolosamente sul baratro come assurdi trampolini o come lingue che si protendono di fantasiosi mostri. Alcune inferriate sono la caricatura di balaustre alla Gaudì, che strappano un sorriso di fronte a una “creatività” architettonica contemporanea delle nostre periferie che cerca di liberarsi, senza riuscirci, dal destino implacabile dell’alveare urbano cui la metropoli l’ha destinata.Ma mai e poi mai, anche laddove si intravede un filare nevrotico di finestrelle, queste costruzioni monocromatiche del color della terra si lasciano sfuggire

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un brano di vita. Ciò che contengono, che celano, è un enigma assoluto. Si intuisce, dalla forma esterna, la crudeltà della vita di tutti i giorni che vi si consuma all’interno, vita fatta di reiterate azioni e inutile follia.Reali si sofferma su ciò che di interessante ha contemplato nelle palazzine delle città che ha visitato. Spesso – così racconta – ha passeggiato osservan-do queste forme di cemento e cercando di indovinare la vita al loro interno. E spesso è riuscito a carpire, dall’analisi della irragionevolezza estetica delle facciate rivolte alla strada, il tragico della vita che vi abita. Una volta – ancora racconta l’artista –, venne a sapere che in una delle palazzine vicine a dove si trovava qualche giorno prima s’era consumata una strage familiare. Allora si è precipitato sul luogo, ha identificato la casa, l’ha osservata lungamente, e infine ne ha compiuto il “ritratto”, lasciando emergere dalla figura stessa della costruzione il suo mistero pericoloso e folle, la morte violenta, che altro non è se non l’altra faccia della medaglia di un’esistenza condotta nella rassegnata costrizione quotidiana e nell’ingorda consolazione offerta dai media.Il silenzio che pervade l’atmosfera delle Finestre è diverso dal silenzio in cui sono immerse le Macchine: perché quest’ultimo è un silenzio congelato, pro-dotto dall’assenza anomala di movimento e di rumore di motori; mentre quello delle Finestre è un silenzio tragico e sa di morte. Ricorda quello assordante che si ascoltava nelle Topografie di Reali, curiose mappe di città impossibili, visioni urbanistiche guardate dall’alto, dove le case corrispondevano a forme monolitiche e scure, quasi monumenti tombali, sicché la città appariva come un buffo cimitero.

Rispetto ai Balconi e alle Finestre, le Case, più che un’imitazione della realtà dei sobborghi marchigiani sono una completa invenzione della mente dell’artista, che si lascia trasportare da un giocoso impulso immaginativo, che è al con-tempo lieve e poetico.L’idea di fondo si ispira all’immagine archetipica della casa, quella elementare disegnata con pochi tratti da un geometra idiota o da un bambino alle prime armi. La creatività assolutamente derisoria di Reali aggredisce questa forma così cara alla nostra immaginazione, tale per cui chiunque di noi scarabocchi distrattamente si ritrova a disegnare una casa.

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Si tratta, stavolta, della caricatura dell’idea stessa di casa, più di quanto non avvenisse nelle Finestre e nei Balconi. Anche la presenza del colore spezza la monocromia funerea del beige presente nelle altre rappresentazioni; qui un colore sorprendente, che comprende le tonalità dal rosso vivo al verde brillante, alleggerisce la tensione patetica e suggerisce una visione infantile. Sono case anch’esse assurde, ma di un’assurdità esagerata e quasi beffarda. All’occhio di chi osserva non tocca dovere percorrere fitti labirinti per scoprire l’irragionevolezza della costruzione architettonica – come accade ad esempio nei Balconi: qui, al contrario, l’impossibilità architettonica è immediatamente percepibile nelle esuberanti deformazioni del modello classico di casa col tetto spiovente, due finestre e una porta.Una contaminazione di forme volutamente male assortite crea una disarmonia prestabilita e molto ben riuscita. Vediamo perciò case con rientranze volumi-nose tali da non potere accogliere alcuno spazio interno. Case senza porte e finestre o inferriate o balconi. Primi piani giganteschi aggettanti che si posano su una minuscola edificazione a pianterreno che a stento li sostiene. Case per metà cubiche e per metà curvilinee. Case panciute e altre dalle forme pesanti, che gravano sul pianterreno come a volere schiacciare chi osasse avventurarsi all’interno di esse. Ricordano, tutte, sebbene in maniera lirica e divertita, le piccole case abusive talvolta presenti nelle nostre periferie urbane, cresciute, piano dopo piano, in maniera insensata e caotica, come tumori di cemento.Vi sono case, infine, dalla forma esplicitamente totemica, con un “volto” che esprime una personalità goffamente minacciosa. E d’altronde – forse anche per l’attitudine propria del nostro cervello che vede in ogni forma o macchia un viso – la casa non somiglia, nella sua visione ingenua ed elementare, a un volto umano che ha la faccia nel prospetto, la bocca nella porta, gli occhi nelle due finestre e i capelli nel tetto spiovente? La casa abita l’essere umano che ci vive e lo rispecchia. Per questo i volti delle case di Reali è come se ghignassero e al contempo celassero un grande mistero al loro interno.

Senza mai moralismi, lungi dal ricorrere a facili simbolismi, l’arte visionaria di Reali è un perenne invito, per chi lo vuol cogliere, a una riflessione critica sul presente e sulle ossessioni della vita contemporanea.

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Noi, che siamo debitori del pensiero sull’arte di Walter Benjamin, non possia-mo non leggere in questa prospettiva anche la pittura realiana. Una pittura “critica”, capace di suggerire – senza parole, con la semplice immagine dipinta e con strategie percettive e coloristiche studiate ad hoc –, in un colpo solo una visione inconsueta del mondo, che ci apre a una interpretazione nuova della realtà che stiamo vivendo e che ci sveglia dal torpore dal quale ci siamo lasciati sopraffare, per riaprirci a nuovi sensi, a una riscoperta della nostra vita.I mondi impossibili offerti dalle rappresentazioni di Reali sfidano l’osservatore e lo invitano a prendere parte a un gioco immaginativo assai fatto di traboc-chetti percettivi, rebus e riflessioni continue. Un percorso che diviene divertente (nel senso del di-vertere, che ci fa cambiare direzione o prospettiva) mentre vieppiù si entra nella dinamica del gioco: perché, da sotto alla forma tragica e perturbante, può anche emergere il sarcastico che v’è celato.Ma, attenzione, il piacere che deriva dalla visione non è il fine perseguito dall’opera di Reali. L’arte in genere, come osserva Nelson Goodman, non è fatta per procurare uno sciocco diletto, come alcuni erroneamente pensano, o per distrarre. Per sorprendere sì, per meravigliare, ma è cosa assai diversa. L’arte attiva dinamiche cognitive importanti, e apre alla conoscenza di mondi nuovi, così come a una prospettiva critica, che contraddice quanto ci viene detto e imposto nella vita quotidiana, e che sbugiarda i falsi miti del nostro tempo.Per vivere l’esperienza dell’arte di Reali bisogna volere, perciò, seguire atten-tamente le indicazioni offerte dall’artista per arrivare a trovarsi assai vicini – solo vicini, di più non si può – al mistero delle sue rappresentazioni, anzi della sua realtà. Bisogna lasciarsi guidare da lui, se è vero quello che dice Kendall Walton, che l’attrattività delle opere d’arte dipende essenzialmente dalla dispo-nibilità di chi si appresta a osservarle, affinché la sua immaginazione si presti a “entrare a far parte del gioco” dell’arte, come fanno i bambini quando, impe-gnati in attività ludiche, in una scatola di cartone riescono a vedere un castello di maghi.Contemplare un’opera d’arte richiede impegno: solo in tal modo, attraverso la “semplice” attività della visione, avremo appreso molto sulla vita, su noi stessi, su chi ci circonda. Il gioco dell’arte è una cosa molto seria, e bisogna credervi.

Anna Li Vigni

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Real enigmas

Et quid amabo nisi quod aenigma est? Whatever shall I love if not that which is an enigma? reads the writing on the bottom of one of Giorgio De Chirico’s numerous self-portraits. A representation of himself in a melancholy pose – a melancholy person being, according to the hermetic Renaissance code, later iconified by Albrecht Dürer, someone who dares venture with their mind to the limits of the unconceivable –, their hand holding the chin, their lost eyes giving away thoughts about impossible things.The painter is not only an artisan of the pencil and the brush. The painter is a visionary, he who conceives the existence of impossible worlds, yet with a creative effort he manages to make their existence real on canvas. He is an inventor, that is, according to the etymology of the word invention (from Latin invenire: to discover), he who finds inside his mind different realities and makes them visible. However, they are often contradictory realities, which exhibit their mystery as a trophy to the observer’s eyes.Sirio Reali’s representations enigmatic nature reveals its ability to see the im-possible in the surroundings, its audacity in re-discovering daily things, its aptitude for philosophically questioning the world.The enigma is already present in everyday life, in the objects that crowd it, but we do not see it. Art pursues this goal: seizing the mystery of things, managing to make this secret emerge; art, as Maurice Merleau-Ponty wants, “does not reproduce visible things, but makes things visible”. Sirio Reali, therefore, lets us finally see the world in which we live in. He por-traits it bestowing a new meaning upon it, a profound poetic feeling. One could speculate that he imitates it, if by imitation one does not mean the presentation of the copy that conforms to the original model, but the repre-sentation of the essence of which that one lays their eyes on. However, this

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essence reveals itself to us exactly as a silent, irresistible mystery. Talking about “realism” to define Reali’s representation is not far-fetched at all.We start from the assumption that each artistic representation, as far as our brain is concerned, is real to all intents and purposes, because – as demon-strated by very recent neuro-scientific findings on the mirror area of the human visuo-motor brain – the artistic image is configured as an imaginative “set” in which we can simulate and therefore live real experiences by means of the mind. In this sense, the word fiction assumes a connotation that is different from the usual one: fiction does not mean, in fact, “falseness con-trary to the truth”, but actual truth resulting from invention.In front of the works by the painter from Macerata, the eye of the observer is thus slowly absorbed by an actual truth, which is silent and, in some aspects, metaphysical, but that has nothing to do with De Chirico’s vulgate, though, perhaps, it has something more in common with the surreal presence in René Magritte’s paintings. A universal place of existence, somewhere in between fan-tasy and the world, where it is possible to accomplish impossible peregrinations.This is why in Reali’s landscapes the representation of a human shape is no-where to be found: because the observer itself is the active shape that has to, by means of the eyes and of the imagination, inhabit the painted places defined by the author’s brush.It is not uncommon to read a certain fascination with the great painting of the Italian Novecento, though it is impossible to seize an explicit reference to any author in particular. There is rather a sense of belonging to a tradition and the vocation to carry it on in an innovative and modern way: certain mysterious and almost dismal urban landscapes of Mario Sironi; the interrogation of the objects sunken in an ironic luminosity of Giorgio De Chirico; the poetic emer-sion of small, daily things from life’s opaque background of Giorgio Morandi; and, why not, the comically overturned representation of the myth of the machine of the Futurists.

In the present exhibition the visitor is faced with two types of representations – and the author, who is not fond of definitions and titles, used to generically name Rappresentazioni all his works: the Macchine and the Case.

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This second category included a third and a fourth one, that of the Finestre and that of the Balconi.It is always a matter of imaginary places and landscapes plunged into an ambiguous atmosphere of troubled unsettling immobility, of obstinate silence.It looks as if action is missing from Reali’s works, because the human figure is missing. Yet, action is present all the same: if it is not about to happen, it has already happened, and it left the represented objects fraught with historical paradox. The cars, the balconies, the concrete apartment houses, they are all empty containers that hint at the presence that has been or that it is going to be, which leaves the spectator in a condition of uncertainty and of wait for the unexpected. Wrappings with no contents, that is, the existential void.The house and the car are the Things par excellence of our daily life; they are the places of our contemporary being. The apartments carved out of an enor-mous reinforced concrete beehive, devoid of any liberty, just like voluntary prisons, with their TVs eternally on and their computer screens on the web, do emanate glows from their windows in Reali’s paintings, and it does not seem like one can hear the chatter of any media voice, not even an echo. There is no one here. No one is left or someone will arrive.And the cars, which are represented with an almost cheerful playfulness, our actual home, places-not-places (Marc Augé) in which we sit for hours, in which we remain inert while we move, from which we observe the world according to a hurried and tedious perspective. They are deserted cars, with no pilot, with no direction.The objects exist in order for us to use them, but the habit to use them makes them cease to exist, because we do not see them anymore and we do not attribute any meaning to them anymore. Silence and isolation, on the other hand, confer to those same objects an ontological “plus”; the abstraction of functional use makes them interesting, makes them acquire a sort of grandeur, makes them look like potential tale actors, or fossils that bear traces of the life that has been. They are objects that, lacking any action, but promising it, end up assuming the value of impossible landscapes.The same already happened in the series of the Scolatoi, where the painter portrayed these objects whose purpose is to let water flow, but he always

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represented them strictly dried-up, to evoke the absence and the wait for the liquid element that, if it ever arrived, would have been more unsettling than reassuring. With an overturning of that which is the natural percep-tion, Reali attributed to water a value that was not positive, that of an ele-ment necessary to survival, but negative, that of an element which evokes death. The reflection, implicit to the representation itself, was developed in the absence of water and its movement that, celebrated by Heraclitus, reminds of the future and, therefore, of time and life. In Reali’s places, we are always immersed in an atmosphere deprived of movement and time, but that is not eternal either. It simply is a suspended atmosphere.

Reali’s Macchine, just like the water of his Scolatoi, though prearranged for action and movement, do not look like they can move either. The picture is drawn following a very aero-dynamic shape, as if it had the vocation to perform a tremendous effort, as if it were about to “leap” toward one of the two directions (left or right) offered by the surface of the painting. However, the perceptive result of the representation is immobility, due to the central-ized bulky figural mass, of a rather somber color as well, of a “heavy” shade. Thus, Reali’s cars try to advance, but they cannot. They just stay there, in the middle of the canvas, in their rigidity and gravity, in their disheartening par-adox that contradicts their “nature” of automobile beings. Which produces a grotesque effect. Stasis and dynamism are the implied contradiction to the impossible reality of the Macchine, they are the mechanism of the subtle game that the author suggests to the observer’s imagination: cars that have wheels that cannot spin or that go so far as to not have wheels. And in their inability to go either forward or backward, one catches the overturning of the emphatic futurist poetic, which aspired to give a dynamic pictorial representation of the movement of cars, a representation apt to extol car as an essential element in human life, necessary to make man into a superior being. The painting Automobile in corsa by Luigi Russolo comes to mind, where the car’s volume, actually quite similar to that of Reali’s cars, franti-cally hurls itself toward the left end of the painting, leaving behind some naïve movement “trails”.

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Reali’s cars, on the other hand, almost-vainly show themselves in their dis-functionality. They look like they are shouting, to whom is watching them, “we are not moving, we do not serve any purpose!” and force out a reflection from the spectator. The round and apparently slender shapes bring back to mind widespread models of fashionable economy cars that, scampering through the busy roads of our towns, talk about the obsession for the ostentation of a status symbol by whom is driving. They represent the condition of an existence that acquires meaning only in the possession of material goods that have no purpose other than appearance. However, this representation is, in spite of the darkness of the color, benevolently smiled. For this reason Reali’s cars, tiny ironic metamorphoses, transform under our amazed look: now they become a little tank, a shut carapace; now they almost take the form of a military helmet; now they look like a small home appliance, almost a coffee maker; now they look like a keyboard-equipped computer instead; now they are the face of a totem that is funnily unable to make any threats; now they flaunt a small patch of flowered grass. As a matter of fact, cars crowd our life, but we do not know the first thing about them; mostly, we do not even know how they work, we do not know their inner composition: once the producer fine-tunes and builds them, we just use them, sometimes without even needing them or without even knowing why; we blindly rely on them.Art manages to say things that words cannot, it shows them directly using the metaphor or the metonymic way, but it says them nevertheless and they arrive to the sensible perception of the spectator, even before getting to his/her intellection. This is the way through which art can be a critical instrument, which wants to insinuate a critical perspective in the imagination and in the imagery of who is watching. With his Macchine, Reali leaves a deep and poetic comment on the so-called necessity of cars in the life of the contemporary human being.

The urban landscapes of Reali’s Finestre and Balconi talk about a slightly dif-ferent complexity. And it is not a coincidence that we call them “landscapes”, though the representation does not show anything but apparently reinforced concrete apartment houses, barracks worn out by the life that has flown or

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that still flows inside them, lacking any natural context, a watercourse, a blade of grass, the smallest footprint of animal life, the remote shadow of a passerby that projected his silent presence on the shabby wall.It is right in front of Reali’s Balconi that – and I hope the artist, who knows how works of art should never be commented on because they speak their own eloquent language, void of any verbosity, does not take it personally – the temptation to implicate the category of “metaphysic” is strong. However, we are dealing, let it be clear, with a metaphysic that is as unsettling as he is menacing. This is why Reali’s urban landscape is so much different from Sironi’s sad and lyric one, whose poetic the Macerata painter refers to nev-ertheless. Whilst Sironi can also be epic, Reali is tragic or, sometimes, as he defines himself, “tragi-comic”. Tragic and comic are to be intended as the clas-sical aesthetic categories, which implicate the essence of art itself: its ability to represent human life sublimating her in the invention, and its ability to provoke a catharsis in the smiling or weeping that it manages to generate in whoever approaches it. In fact, when one approaches Reali’s architectures, the perceptive impact is almost lugubrious because of the monochromic nature of the figures and of the solitude and abandon that they communicate: soon, however, the acute observer will notice the almost sarcastic vein of these apparently dull and repetitive shapes.Some houses are of an abhorring simplicity: barracks, detention houses, peni-tentiaries of nowadays’ bourgeois life, which has lost all contacts with nature and is oblivious of the world, as focused as it is on the inside of the domestic den, provided with every useless home-appliance amenity. Other houses as-sume an exaggerated complexity, exhibiting shapes that lack practical mean-ing; they do not make any sense to the eye that observes them and that covers the run of balconies, windows and doors searching for a congruence or a living meaning, or a usage one.The artist, this way, mocks the “creativity” of the architects that design our sub-urbs’ buildings which, despite all innovative efforts in their design, always fail to look good. That of Reali is a metropolitan reality that has forgotten all ideas of beauty and that retires, come evening, in the bare anthill with its insane structure.

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Evocating the image of renowned impossible architectures comes natural, such as that of Jorge Luis Borges’ Infinite Library, with its repetitiveness ema-nated by a superior mind, made up of “an indefinite number, perhaps infinite, of hexagonal galleries, with wide ventilation ducts in the middle, surrounded by very low railing. From any hexagon, one can see the lower and upper floors: interminably”. An architecture that corresponds, in its perfection, to the uni-verse itself. This also happens in the circular-structured architectures of Maurits Cornelis Escher, whose conception, of a mathematical precision, refers to an idea of obsessive repetitiveness of human life’s time, which contains a frag-ment of infinite in its rhythm.However, Reali’s impossible architectures, far from cherishing any idea of cos-mic or mathematical perfection, denounce the moral imperfection of human life, though this denunciation never assumes the worried self-righteous tone, but rather an always philosophically detached and cynic smile. Perhaps, if one were to search for an imaginary to refer to, that could be the ironic one of Italo Calvino’s Invisible Cities.Reali’s apartment houses make the drawing that conceived them sharply emerge from the painting. By means of their strong outline, these houses mark an inner void. There is no life, it is absent, it has disappeared, allegedly aban-doned by everyone.The style itself, which denotes with precision the conformation of these con-crete exteriors, with their interminable fronts, expresses a total lack of free-dom: an imprisonment of the soul that is not only that of who is destined to live in these absurd buildings, but also that of whom is observing them and feels lost and dizzy.The much close perspective, which is almost a close-up “framing” of many of the façades, hints at the idea of the lack of a way out, in its alternation of geometrical shapes in a nightmare town. The eyes of the observer go through the represented space looking for a Reason that is not there; the balconies are crooked, at times indecipherably shaped, and trace vertical labyrinths that take nowhere, or at other times they dangerously open onto the abyss just like absurd springboards or tongues that stretch out of improbable monsters. Some of the gratings are a caricature of à la Gaudì balustrades, which makes

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us crack a smile in front of a contemporary architectural “creativity” of our suburbs that tries to free itself, with no success, from the implacable destiny of the urban anthill which the metropolis destined it to.Never ever, not even where a neurotic line of small windows is visible, do these earth-colored monochromatic constructions let out a life song. What they contain, what they conceal, it is an absolute enigma. One can sense, from the exterior’s shape, the cruelty of everyday life that goes on inside, a life made of reiterated actions and useless folly.Reali pauses on what he found interesting when contemplating the apart-ment houses of the cities he has visited. Often – he says – he went for a walk observing these concrete shapes, trying to guess the life inside them. And he often managed to seize, by analyzing the aesthetic unreasonableness of the façades that point to the road, the tragic of the life inside those walls. Once – adds the artist – he was told that there had been a family massacre in one of the apartment houses near where he had been a couple of days earlier. So, he rushed back, identified the house, observed it for a long time and, even-tually, “portrayed” it, letting the building’s picture show its dangerous and insane mystery, the violent death, that is nothing but the other side of the coin of an existence led in the resigned daily constriction and in the gluttonous consolation that media offer.The silence that permeates the atmosphere of the Finestre is a different type of silence than the one in which the Macchine are absorbed: the latter is a frozen silence produced by the anomalous absence of movement and engine noise; whereas the former is a tragic silence that smells of death. It reminds of the deafening noise that one could listen in Reali’s Topografie, curious maps of impossible towns, urban visions seen from above, where houses corresponded to dark, monolithic shapes, almost like tomb monuments, so that the city looked like an odd cemetery.

Compared to the Balconi and the Finestre, the Case, rather than an imitation of the reality of Marche’s suburbs, are something completely invented by the artist’s mind, that gets carried away with a playful imaginative impulse, which is delicate and poetic at the same time.

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The underlying idea draws inspiration from the archetypical image of the house, the elementary one drawn with a couple of strokes by an idiotic building surveyor or a fledgling child. Reali’s absolutely derisory creativity attacks this contour so cherished by our imagination that anyone who casually starts doo-dling finds themselves drawing a house.In this case, we are dealing with the caricature of the idea of house itself, much more than in the Finestre and in the Balconi. The presence of the color is a factor in breaking the funereal in monochrome beige present in the other representations: here, a surprising color, which includes shades going from bright red to bright green, eases the pathetic tension and hints at an infantile vision.They too are absurd houses, but their absurdity is exaggerated and almost mocking. The eye of the observer does not have to walk through thick laby-rinths to discover the unreasonableness of the architectonic construction – which happens, for example, in the Balconi: here, on the other hand, the ar-chitectonic impossibility is immediately perceptible in the exuberant deforma-tions of the classic model of a pitched roof house, two windows and one door.A contamination of deliberately ill-matched shapes creates a masterfully pre-arranged dishar mony. Therefore, we can see houses with nooks so volumi-nous that they cannot accom modate any inner space. Houses with no doors, windows, gratings or balconies. Huge jutting first floors that rest on a mi-nuscule edification on the ground floor that barely sustains them. Half-cubic and half-curved houses. Pot-bellied and heavy-shaped houses, which weigh on the ground floor as if wanting to crush whoever dared to venture inside them. They all remind, though in a lyrical and amused way, of the small abusive houses that one can sometimes find in our suburbs; grown, floor upon floor, in a chaotic and senseless way, as if they were concrete tumors.There are, finally, explicitly totem-like houses, with a “face” that expresses a ponderously menacing personality. After all – perhaps also because of our brain’s attitude itself, which makes out a face in every shape or spot – does the house not look like, in its naïve and elementary vision, a human visage whose face is the façade, its mouth is the door, its eyes are the two windows and its hair is the pitched roof? The house inhabits the human being that lives in it

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and mirrors him. That is why the faces of Reali’s houses look like they are grin-ning and hiding a big mystery inside them at the same time.

With no moralism, far from using easy symbolisms, Reali’s visionary art is a constant invitation, for whom wants to accept it, to a critical reflection on the present and the obsessions of contemporary life.We, who are debtors to Walter Benjamin’s thought on art, cannot but read under this perspective Reali’s painting as well. A “critical” painting, capable of suggesting in one fell swoop – with no words, by means of the simple painted picture and of perceptive and coloristic ad hoc strategies –, an unusual vision of the world, that provides us with a new interpretation of the reality we are living in while waking us up from the numbness by which we left ourselves overcome, in order to revive our sense, to let us rediscover our life.The impossible worlds offered by Reali’s representations challenge the obser-ver and invite him to take part in an imaginary game that relies heavily on per ceptive traps, puzzles and continuous reflections. A path that becomes divertente, amusing (in the sense of di-vertere, to divert, that which changes our direction or perspective) while getting more and more into the game’s dynamics: because, from under the tragic and perturbing shape, the hidden sarcasm might as well emerge.But pay attention, the pleasure that derives from looking is not the goal of Reali’s work. Art in general, as Nelson Goodman observes, is not made to provide with a silly amusement, as many wrongly think, or with a distraction. To as-tonish, yes, to amaze, sure, but it is something much different. Art activates important cognitive dynamics, and provides knowledge of new worlds, as well as a critical perspective, which contradicts what we are told and forced upon in our daily life, and which refutes our age myths.Thus, to experience Reali’s art, one has to want to closely follow the clues that the artist offers to get really close – because that is as far as one can get – to the mystery of his representations, nay, of his reality. He is to be the one guiding us, if what Kendall Walton says is true, that the attractiveness of works of art essentially depends on the willingness of who is watching them, so that their imagination volunteers to “take part in the game” of art, just like children do

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when, busy with recreational activities, manage to see a wizards’ castle in a cardboard box.Contemplating a work of art takes effort: only in this way, through the “simple” activity of looking, will we have learned a great deal about our life, ourselves, who is around us. The game of art is a very serious thing, and we had better believe it.

Anna Li Vigni

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Opere | Works

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Terra d’ombra mobile2001, olio su telacm 140x180,5

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Macchina avanti con luce2001, olio su tavolacm 50x70

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Macchina cava2001, olio su tavolacm 50x70

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Macchina aperta sul giallo2001, olio su telacm 50x70

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Macchina avanti in giallo2001, olio su tavolacm 50x70

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Macchina con giardino cieco2001, olio su telacm 50x70

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Montagna schiacciatutto con luci | 22001, olio su telacm 70x100

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Macchinacollina2001, olio su telacm 57x125

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Montagna mobile2001, olio su telacm 70x100

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In verde2002, olio su tavolacm 46x71,5

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Macchina in grigio2002, olio su telacm 42x75

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Macchina in grigio 22002, olio su telacm 60x92

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Macchina in grigio 32002, olio su telacm 60x92

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Estate 22002, carboncino su cartacm 53x69,5

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Estate 52002, carboncino e crete colorate su cartacm 50x76

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Estate 62002, carboncino e crete colorate su cartacm 50x76

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Estate 102002, carboncino e crete colorate su cartacm 50x69,5

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Estate 182002, carboncino e crete colorate su cartacm 50x74,5

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Estate 222002, carboncino, crete colorate e grafite su cartacm 50x75

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Estate 23 - armato in rosso2002, carboncino e crete colorate su cartacm 50x75

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Estate 272002, carboncino e crete colorate su cartacm 50x75

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Estate 282002, carboncino e crete colorate su cartacm 50x75,5

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Autunno 12002, crete colorate su cartacm 49x70

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Autunno 72002, crete colrate su cartacm 70x100

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Ruota nera2002, crete colorate su cartacm 50x76

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Al sole2002, crete colorate e grafite su cartacm 45x75

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Primavera 12003, crete colorate su cartacm 50x70,5

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Primavera 32003, carboncino e crete colorate su cartacm 50x69,5

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Inverno 12003, crete colorate su cartacm 70x100

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Inverno 22003, grafite su tavolacm 77x106

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Inverno 62003, crete colorate su cartacm 70x100

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Finestre 62005, carboncino, acrilico, crete colorate su cartacm 55x75

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Finestre 92005, carboncino, acrilico, crete colorate su cartacm 50x70

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Finestre 102005, carboncino, acrilico, crete colorate su cartacm 50x70

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Finestre 212005, carboncino, acrilico, crete colorate su cartacm 50x70

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Finestre 232005, carboncino, acrilico, crete colorate su cartacm 50x70

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Finestre 252005, carboncino, acrilico, crete colorate su cartacm 51,5x70

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Finestre 272005, carboncino, acrilico, crete colorate su cartacm 51,5x70

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Balconi 22008, olio su telacm 50x35

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Balconi 62009, olio su telacm 50x35

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Balconi 72009, olio su telacm 70x50

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Balconi 82009, olio su telacm 50x35

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Balconi 102009, olio su telacm 50x35

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Balconi 112009, olio su telacm 50x35

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Balconi 122009, olio su telacm 50x35

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Balconi 152009, olio su tavolacm 50x70

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Balconi 162009, olio su telacm 50x70

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Balconi 172009, olio su telacm 50x70

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Balconi 182009, olio su telacm 50x70

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Balconi 192009, olio su telacm 50x70

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Balconi 202009, olio su telacm 50x70

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Verso Sirolo 262009, olio su tavolacm 59x37,5

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Verso Sirolo 292010, olio su telacm 50x35

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Verso Sirolo 302010, olio su telacm 50x35

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Verso Sirolo 402010, olio su telacm 59x47

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Verso Sirolo 412010, olio su tavolacm 90,5x51,5

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Verso Sirolo 422010, olio su tavolacm 90,5x51,5

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Verso Sirolo 432010, olio su telacm 70x50

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Verso Sirolo 442010, olio su telacm 70x50

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Verso Sirolo 612010, olio su tavolacm 59x48

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Verso Sirolo 692010, olio su telacm 70x50

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Casa grigia 12007, olio su telacm 80x60,5

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Casa grigia 22007, olio su telacm 80x62

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Casa 02012, olio su telacm 80x60

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Casa 12012, olio su telacm 72x55,5

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Casa 22012, olio su telacm 80x60

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Casa 32012, olio su telacm 70x50

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Casa 42012, olio su tavolacm 70x50

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Casa 52012, olio su telacm 70x50

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Casa 62012, olio su tavolacm 70x50

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Casa 72012, olio su tavolacm 70x50

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Casa 82012, olio su tavolacm 70x50

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Casa 92012, olio su telacm 70x50

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Casa 102012, olio su telacm 70x50

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Casa 112012, olio su telacm 70x50

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Casa 122012, olio su telacm 70x50

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Casa 132012, olio su telacm 70x50

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Casa 142012, olio su telacm 70x50

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Casa 152012, olio su tavolacm 70x50

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Casa 162012, olio su telacm 70x50

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Casa 172012, olio su telacm 70x50

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Casa 182012, olio su telacm 70x50

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Casa 192012, olio su telacm 70x50

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Casa 202012, olio su telacm 70x50

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Casa 212012, olio su telacm 70x50

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Casa 222012, olio su telacm 70x50

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Casa 232013, olio su tavolacm 70x50

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Casa 242013, olio su telacm 70x50

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Casa 252013, olio su tavolacm 70x50

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Casa 262013, olio su telacm 70x50

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Casa 272013, olio su telacm 70x50

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Casa 282013, olio su tavolacm 70x50

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Casa 292013, olio su tavolacm 70x50

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Casa 302013, olio su telacm 70x50

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Casa 312013, olio su tavolacm 70x50

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Casa 322013, olio su tavolacm 70x50

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Casa 332013, olio su tavolacm 70x50

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Casa 342013, olio su tavolacm 70x50

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Casa 352013, olio su tavolacm 70x50

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Casa 362013, olio su tavolacm 70x50

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Casa 372013, olio su tavolacm 70x50

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Casa 382013, olio su tavolacm 70x50

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Casa 392013, olio su tavolacm 70x50

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Casa 402013, olio su telacm 70x50

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Casa 412013, olio su tavolacm 70x50

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Casa 422013, olio su telacm 70x50

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Casa 432013, olio su tavolacm 70x50

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Casa 442013, olio su tavolacm 70x50

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Casa 452013, olio su tavolacm 70x50

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Casa 462013, olio su tavolacm 70x50

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Casa 472013, olio su tavolacm 70x50

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Casa 482013, olio su tavolacm 70x50

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Casa 492013, olio su tavolacm 70x50

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Sirio Reali è nato a Macerata nel 1943, dove ha frequentato l’Istituto Statale d’Arte. Prosegue i suoi studi a Roma, Accademia di Belle Arti, sezione Scenografia.Inizia l’attività artistica nel 1966. Dal 1970 al 1990 insegna all’Istituto Statale d’Arte di Macerata. Hanno scritto di lui Fulvio Abate, Giulio Angelucci, Paola Ballesi, Massimo De Nardo, Flaminio Gualdoni, Gian Ruggero Manzoni, Ruggero Morresi, Cristina Petrelli, Nino Ricci, Franco Solmi, Italo Tomassoni. Ha esposto in numerose gallerie in Italia e all’estero. Attualmente vive e lavora a Chiarino di Recanati. www.sirioreali.it

Sirio Reali was born in Macerata in 1943, where he attended the local Art Insitute. He then continued his studies in Rome, at the Academy of Fine Arts.His artistic activity begins in 1966. From 1970 to 1990 he teaches at the Art Institute in Macerata. People that have written about him include: Fulvio Abate, Giulio Angelucci, Paola Ballesi, Massimo De Nardo, Flaminio Gualdoni, Gian Ruggero Manzoni, Ruggero Morresi, Cristina Petrelli, Nino Ricci, Franco Solmi, Italo Tomassoni. He’s held exhibitions in various galeries in Italy and abroad. He now lives and works in Chiarino di Recanati.