SINODO DEI GIOVANI Generazione protagonista · da sé per farsi prossimi, vivificati dalla Parola e...

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Generazione protagonista del futuro Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1 Aut. GIPA/ C / RM Segno nel mondo 1,70 - Contiene I.P. nel mondo 2/2018 SINODO DEI GIOVANI Aprile/Maggio/Giugno

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Generazioneprotagonista del futuro

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2/2018

SINODO DEI GIOVANI

Aprile/Maggio/Giugno

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[email protected]. 06 661321

l’alfabeto della preghiera

€ 7,50 • pp. 52

Una piccola perla di spiritualità – proposta dal Vescovo di Foligno e Assistente Generale dell’Azione cattolica – ci aiuta a scoprire che la preghiera e l’amore parlano il medesimo linguaggio.

Facendo silenzio in Dio, possiamo rintracciare le parole della nostra preghiera.

GUALTIERO SIGISMONDI

è quello dell’amore

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&Fatti paroledi Carlotta Benedetti

«Generare significa “apprendere la virtù dell’in-contro” (Vittorio Bachelet), accogliere l’invito a primerear (prendere l’iniziativa), ad uscire fuori da sé per farsi prossimi, vivificati dalla Parola e dall’Eucaristia che continuamente ri-generano e rinnovano nell’amore» («Vi precede in Galilea», Orientamenti triennali Ac 2017-2020).Queste parole degli orientamenti triennali ci forni-scono un quadro di riferimento chiaro per quanto ci aspetta nel prossimo anno associativo: un anno caratterizzato dall’attenzione alla vita degli uomini e delle donne del nostro tempo attraverso la cura della loro vita spirituale, una vita spirituale che sia in grado di animare la passione verso l’impegno per il mondo, di generare relazioni nuove, di pre-ferire gli orizzonti inclusivi ai confini limitanti.Nel dicembre 2018 concluderemo i festeggiamenti per i 150 anni della nostra associazione: sarà l’oc-casione per ripartire con slancio nuovo, pieno di gratitudine per il passato, ma colmo di speranza e di aspettative per il futuro presente che ci aspetta. Sarà proprio da questo anniversario, festeggiato in questi mesi in tante località di Italia (parrocchie, città, diocesi), che ripartiremo ricaricati di nuova energia associativa, per far sì che i nostri gruppi e le nostre associazioni parrocchiali e diocesane si sperimentino sempre in relazione alzando lo sguar-do verso quanti condividono con noi l’attenzione alla promozione umana e al bene comune.Generare è il verbo che accompagnerà il prossimo anno associativo, un verbo che impegna perché significa fare proprio l’atteggiamento materno di chi non si limita a dare inizio alla vita ma compie il proprio mandato iniziando alla vita, “donando alla vita”; a questo ci spingono anche le parole pronunciate dal Santo Padre il 27 aprile 2017 in occasione del II Congresso internazionale del Fiac

(Forum internazionale di Ac): «Un’Azione cattolica più popolare, più incarnata [...] È una sfida alla maternità ecclesiale dell’Azione cattolica; ricevere tutti e accompagnarli nel cammino della vita con le croci che portano sulle spalle».Luogo di sintesi di tutto ciò è Betania, dove Mar-ta e Maria si pongono in atteggiamento diverso rispetto alla visita del Signore nella loro casa: en-trambe sono però necessarie in questo cammino generativo, perché da un lato Maria ci aiuta ad aver cura della nostra vita interiore, dall’altro Mar-ta ci ricorda che il sigillo di garanzia di una spi-ritualità non intimista sta nella capacità di acco-gliere e nella disponibilità al servizio. Betania può diventare dunque, nel prossimo anno associativo, l’immagine dei gruppi, delle associazioni, delle comunità che accolgono amichevolmente, ascol-tano profondamente, servono generosamente, avendo ben chiare le parole dello slogan che ci accompagnerà: Di una cosa solo c’è bisogno. ■g

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Nel segno diMarta e Maria:Ac incarnatae generativa

Cristo nella casa di Marta e Maria, Jan Vermeer

(1655 circa), National Gallery of Scotland, Edimburgo

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22Matti per il calcio

di Simone Esposito

24Politica: che vinca il megliodi Simone Esposito

4Giovani sulle strade della fededi Michele Falabretti

8Generazione presentein cerca di futurointervista con Alessandro Rosina di Barbara Garavaglia

12Grande sfida per la comunità credente intervista con Paola Bignardi di Alberto Ratti

Trimestrale dell’Azione Cattolica Italiana

Direttore Matteo TruffelliDirettore Responsabile Giovanni BorsaIn redazione Gianni Di Santo

e-mail Redazione [email protected]@azionecattolica.itTel. 06.661321 (centr.) Fax 06.6620207

Hanno collaborato a questo numero:

Luisa Alfarano, Carlotta Benedetti,

Claudia D’Antoni, Tony Drazza,

Simone Esposito, Michele Falabretti,

Barbara Garavaglia, Luca Marcelli,

Antonio Martino, Michele Pace, Alberto Ratti,

Giovanni Tangorra, Marco Testi,

Michele Tridente, Mariagrazia Vergari.

Editore Fondazione Apostolicam Actuositatem

Via della Conciliazione, 1 - 00193 Roma

Direzione e Amministrazione

Via Aurelia, 481 - 00165 Roma

Grafica e impaginazione: Veronica Fusco

Foto: pixabay.com, SIR, Romano Siciliani

Stampa MEDIAGRAF S.p.A.

Noventa Padovana (Pd)

Reg. al Trib. di Roma n. 13146/1970

del 02/01/1970

Tiratura 55.100 copie

Alle copie cartacee si aggiunge la

pubblicazione del pdf nel sito dell’Azione

cattolica e gli altri 85.000 lettori, giovani e

adulti, soci o abbonati, che ricevono Segno

in versione digitale.

Chiuso in redazione il 30 maggio 2018

Pubblicazione associata all’USPI

(Unione Stampa Periodica Italiana)

Per versamenti: ccp n.78136116

intestato a: Fondazione Apostolicam Actuositatem

Riviste - Via Aurelia, 481 – 00165 Roma

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2/2018APRILE/MAGGIO/GIUGNO

nel mondo

la copertina

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Il tema del prossimo Sinodo dei giovani ci aiuta a capire come possiamo accompagnare la capacità generativa della comunità cristiana a una vita di fede. In questo percorso, che coinvolge anche la dimensione liturgica, la catechesi e la partecipazione, i giovani sono al centro dell’interesse per riscoprire la loro vocazione

tempi moderni sotto i riflettori cittadini e palazzo

1Nel segno di Marta e Maria: Ac incarnata e generativadi Carlotta Benedetti

fatti e parole

sotto i riflettori

16Provocare l’oggi per preparare il domanidi Luisa Alfarano e Michele Tridente

18A servizio della comunità

20Rappresentanti si diventa

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mar

io48Papa Francesco: Paolo VI e mons. Romero santi

26 Quella pace cercata dal Papa venuto da lontano…intervista con Riccardo Cristiano di Marco Testi

28Senza di te lo sviluppo sostenibile non c’è

30Insieme ai santi della porta accantodi Claudia D’Antoni

32Buongiorno, popolo! Per un’Ac in mezzo alla gentedi Luca Marcelli

34Un’altra splendida estate insiemedi Carlotta Benedetti

36Dicono che c’è un tempo per seminaredi Michele Pace

46Campi scuola, il tempo della gratuitàdi Tony Drazza

44A proposito di popolo di Diodi Giovanni Tangorra

il primato della vita12

cittadini e palazzo

la foto

perché credere

senza confini

quale chiesa

orizzonti di Ac

40Mario Agnes: da presidente Acalla guida del giornale del Papa

41Lettere

ieri e oggi

spazio aperto

38Bibbia, silenzio e missione nel segno di fratel Carlo

42Che fine ha fatto il ’68di Antonio Martino

43Acquaderni, “fare gli italiani”:fede, Ac e Risorgimento

orizzonti di Ac

titoloni

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Giovani sulle strade della fede

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Il tema centrale del prossimo Sinodo dei giovani (3-28 ottobre 2018) ci rimanda alla questione fondamentale su come possiamo accompagnare la capacità generativa della comunità cristiana a una vita di fede. In questo percorso, che coinvolge anche la dimensione liturgica, la catechesi e la partecipazione alla vita della comunità, le nuove generazioni sono al centro dell’interesse per riscoprire, insieme, la loro vocazione. Il responsabile della Pastorale giovanile della Cei traccia per Segno le tappe di una strada e di un’attesa per una fede “contagiosa”

Quando a settembre 2016 uscì l’annun-cio sul tema del prossimo Sinodo dei Vescovi (ottobre 2018), fu un coro una-nime di esultanza. Poi, anche solo dopo

poche settimane, cominciavano a crescere le do-mande su come istruire un lavoro che sarebbe apparso tutt’altro che facile. Ma lì per lì, l’idea fu accolta con favore.

L’annuncio del Sinodo e il suo percorsoNei mesi successivi ci si mise al lavoro per cercare di immaginare percorsi possibili. La creatività pa-storale, soprattutto in Italia, non è mai mancata: il processo che ne è scaturito, in effetti, è stato molto creativo. Fino a che punto sarà generativo, lo sta-biliremo molto più in là.A gennaio 2017 è uscito il Documento preparato-rio, una sorta di prima riflessione che ha cercato di affrontare il tema e di permettere che la sen-sibilità nei confronti di questo lavoro crescesse. Il documento aveva una parte finale costituita da un questionario rivolto alle Conferenze episcopali di tutto il mondo e in forme diverse a tutti, gio-vani compresi. Il sito ufficiale, infatti, permetteva a chiunque di rispondere alle domande e offrire il proprio contributo.

Contestualmente anche la Chiesa italiana apriva il suo percorso: a gennaio 2017 il Consiglio perma-nente decideva di scandire il cammino in tre grandi tappe. La prima riguardava un discernimento pa-storale a partire dalle pratiche educative presenti in Italia. Ne è scaturito un gran lavoro che in par-te è confluito nella risposta che i Vescovi italiani hanno inviato al Sinodo dei Vescovi nel novembre del 2017 e in parte è diventata pervasiva, coin-volgendo anche le più piccole realtà (parrocchiali, associative, legate a movimenti e vita consacrata) guidate da un sussidio preparato dalla Segreteria generale (Considerate questo tempo) ancora di-sponibile sul sito Cei.La seconda tappa del cammino è stata dedicata all’ascolto dei giovani. Le loro istanze, i loro sogni e speranze, i tormenti del cuore insieme alle fatiche, sono state fatte convergere su un’indagine “aperta”: attraverso un portale (www.velodicoio.it) ancora disponibile sul web, si è cercato di in-nescare una riflessione a partire da dieci parole/temi che possono animare la vita dei giovani. L’in-dagine, molto “leggera”, non ha nessuno scopo scientifico e non è fatta per produrre uno studio; essa, piuttosto, si offre come pista di riflessione, di scambio, come ouverture di confronti che possono

di Michele Falabretti*

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I giovani

con papa Francesco

in occasione

della riunione in

preparazione

al Sinodo che si

svolgerà nel mese di

ottobre 2018

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continuare a lungo. Era importante, infatti, che gli adulti trovassero il modo di riprendere contatto con il mondo giovanile: senza conoscersi a fondo, non è possibile alcun tipo di trasmissione.Nel bel mezzo di questo tempo, papa Francesco ha convocato a ridosso della domenica delle Palme, una Riunione presinodale dove 300 giovani sono stati fisicamente presenti a Roma e altri 15.000 si sono uniti via web per contribuire alla riflessione e allo scambio. Ne è uscita una grande esperien-za di partecipazione, dove a prevalere non è stata la produzione di un pensiero, quanto la possibili-tà di un confronto. Questo processo ha mostrato che il desiderio dei giovani di parlare alla Chiesa come istituzione e il bisogno della stessa di tornare a sentirli per capirli, sono passaggi dai quali non possiamo prescindere.Ora si apre il tempo di un’esperienza: quella che porterà i giovani italiani sulle strade della fede e dei

cammini per vivere un’esperienza di pellegrinaggio (prima) e di incontro (poi) a Roma tra i giovani e il Santo Padre. Sarà il primo incontro dei giovani italiani con il Papa e il desiderio è che sia una pos-sibilità forte per esprimere un cammino vero di cui tutti abbiamo bisogno.A giugno uscirà l’Instrumentum laboris, il testo che guiderà i lavori dell’Assemblea Sinodale vera e pro-pria. Dal confronto e dalle riflessioni prodotte na-scerà, infine, l’esortazione apostolica che indicherà le piste di lavoro future.

Offrire libertàDa molto tempo i cristiani affrontano la questio-ne giovanile pensando che sia, semplicemente, un problema di trasmissione: sono “loro”, i gio-vani, che non capiscono i valori della tradizione; sono “loro”, i giovani, a essere ubriachi di cose e perennemente in ricerca di evasione. In real->>

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tà aprendo gli occhi sui loro desideri, pensieri e sogni potremo renderci conto di quanto essi stia-no portando avanti le conseguenze di un mondo strutturato esattamente come abbiamo voluto e deciso noi adulti: un mondo dove l’uomo com-piuto non risponde alla dedizione evangelica, ma piuttosto alla sua capacità di avanzare sgomitan-do in ogni direzione. Un Sinodo dei giovani è la scommessa di chi pen-sa che, aprendo un dialogo vero e sincero si pos-sa costruire una cultura aperta al futuro e capace di rigenerarsi: l’apertura alle nuove generazioni mette in gioco la Chiesa nel suo essere comunità di giovani e adulti.

Generare una vita di fedeIl tema centrale del Sinodo ci rimanda ad al-cune questioni che abbiamo sempre avvertito come decisive: su tutte, la capacità generativa della comunità cristiana a una vita di fede. A seguire, in stretta connessione, la capacità di coinvolgimento delle diverse attività pastorali: la dimensione liturgica (non più percepita dai giovani come necessaria nella sua cadenza set-timanale e non sempre capace di fondare in loro un ascolto e un dialogo fecondo con il Signore); quella della catechesi (ormai relegata al solo tempo della iniziazione cristiana o in occasione di eventi particolari); quella di una partecipa-

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zione viva alla vita della comunità. Quando la trasmissione intergenerazionale sembra incep-parsi, le domande si fanno più urgenti.Le nostre comunità infatti non riescono più a «produrre» cristiani adulti. Manca la capacità di generare il credente adulto, in grado di non sprofondare nell’ansia o nel risentimento di fronte alla fatica di rielaborare l’immaginario religioso ricevuto.I giovani sanno farsi coinvolgere se si sentono davvero ingaggiati, se sentono di poter dire la loro. Come fa oggi un giovane a diventare gran-de, a cimentarsi nell’impresa che è la sua vita, il mondo, le relazioni...? Noi dovremmo essere preoccupati del fatto che i giovani non vedono che il vangelo è tale (notizia buona) perché nella vicenda di quell’uomo, Gesù di Nazareth, c’è di mezzo la maniera di stare al mondo. La questione del cammino del Sinodo, non ri-siede nella ricerca di ricette o soluzioni. Noi ab-biamo bisogno di riprendere il cammino accanto alle persone (anche giovani) con le quali sentire che stiamo condividendo un destino e un com-pito. Con la semplicità e il coraggio di chi crede alla forza dei segni (piccoli) di cui parla il Van-gelo. E questo non per accontentarci o giocare al ribasso: abitare il quotidiano, stare nel mondo accanto agli altri, amare la storia è una fatica grande. Ma è anche la evangelica pazienza del contadino, chiamato a non perdere il sonno. ■g

*responsabile del servizio nazionale della Cei per la Pastorale giovanile

Noi abbiamo bisogno di riprendere il cammino accanto alle persone (anche

giovani) con le quali sentire che stiamo condividendo un destino e un compito.

Con la semplicità e il coraggio di chi crede alla forza dei segni (piccoli)

di cui parla il Vangelo. E questo non per accontentarci o giocare al ribasso: abitare il quotidiano, stare nel mondo

accanto agli altri, amare la storia è una fatica grande. Ma è anche la evangelica

pazienza del contadino, chiamato a non perdere il sonno

Nelle foto:

don Michele Falabretti

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di Barbara Garavaglia

Generazione presente in cerca di futuro

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La Chiesa si interroga e ascolta i giovani. Dopo i sinodi sulla famiglia, ha deciso di puntare l’attenzione sui ragazzi. I giovani, la fede e il discernimento vocazionale è

infatti il titolo dato al Sinodo che si svolgerà in ot-tobre, nel corso del quale sarà dato spazio alla do-

manda sul come accompa-gnare i giovani a riconoscere e seguire la propria vocazio-ne alla vita in pienezza e sa-ranno ascoltati i giovani per scoprire con quali modalità oggi sia necessario puntare per annunciare il Vangelo.La società italiana fa i con-ti con un invecchiamento costante e preoccupante. I giovani subiscono le con-seguenze di un’inclemente etichettatura e scarsi inve-stimenti sul cosiddetto ca-pitale umano. Il demografo Alessandro Rosina, do-

cente dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, offre un’interessante chiave di lettura della realtà giovanile e piste di riflessione per consentire ai ragazzi di vivere l’oggi e costruire

il futuro.

I dati Istat restituiscono un qua-dro a tinte grigie. Nel 2065 l’Italia perderà oltre 6 milioni di abitan-ti e sarà un paese di “vecchi”, pensato da “vecchi”. La nostra società lascia lo spazio ai giova-ni per crescere e per trovare la propria collocazione?La questione vera non sta tanto

nel crescente numero di persone anziane, ma nell’atteggiamento culturale del paese nei con-fronti delle nuove generazioni. Alla base dei cambiamenti che vive il genere umano c’è il rinnovo continuo della popolazione. Un ricambio che porta sguardi nuovi sulla realtà con nuovi desideri, nuove sensibilità, nuovi progetti da realizzare. Ma il cambiamento diventa espres-sione positiva delle nuove generazioni solo se l’esistente non diventa resistente, se accetta di farsi mettere in discussione dai nuovi sguardi, se consente alle energie e intelligenze nuove di trovare spazio e strumenti per dare il meglio di sé, di diventare nuovo che fa la differenza nell’arricchire il bene comune in coerenza con il proprio tempo. Il “nuovo” dei giovani va, allora, capito prima ancora che giudicato. Va aiutato e

Nella foto: il demografo

Alessandro Rosina

intervista con Alessandro Rosina

«I giovani più che essere il futuro devono poter abitare pienamente e gioiosamente il presente. Devono poter considerare l’oggi non come il luogo dell’attesa, ma come il tempo delle scelte in cui ci si riconosce e che proiettano una luce positiva sul proprio percorso successivo». Per il demografo Rosina, se la società si impegna ad accompagnare con sapienza gli under30 ci guadagniamo tutti

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incoraggiato a emergere, a conquistare consa-pevolezza di ciò che può diventare, a raffinarsi e trarre il meglio di sé. Questo significa, da parte delle generazioni più mature, aiutare le nuove generazioni a riconoscere le proprie specificità, sia in termini di fragilità da contenere che di po-tenzialità da sviluppare.

Ci sono opportunità nel mondo del lavoro? La staffetta generazionale funziona ancora op-pure il tappo costituito dai lavoratori anziani non è superabile?Lavoro dei giovani e della popolazione più ma-tura non è necessariamente in competizione. Interessante, a questo proposito, è il confronto con la Germania che sta subendo un processo di invecchiamento analogo al nostro, ma pre-senta tassi di occupazione sia degli under 35 che degli over 55 superiori non solo ai nostri ma anche alla media europea. Ma non basta, la Germania per compensare il deficit di giovani di qualità e alimentare la propria crescita, attira capitale umano anche dagli altri paesi avanzati. Non a caso l’Italia ha un saldo negativo tra in-

vestimento in formazione di giovani che vanno all’estero, rispetto al capitale umano che attrae, mentre per la Germania tale saldo è positivo. Questo come conseguenza di una diversa stra-tegia tedesca che ha contrapposto alla riduzione quantitativa dei giovani una compensazione sul versante qualitativo, potenziando, appunto, il ca-pitale umano delle nuove generazioni e la sua valorizzazione nel sistema produttivo.

Che cosa accade, invece, se le opportunità per i giovani sono carenti?Dove, invece, non crescono le opportunità per i giovani, anche l’economia non si espande e si scade in una competizione al ribasso nei posti di lavoro, con le nuove generazioni che si trovano a temere la concorrenza di anziani, immigrati e robot, anziché ambire a essere “nuovo” che pro-duce “nuovo”.

In questa nazione, in questo quadro, i nostri giovani possono scegliere il proprio futuro, anche dal punto di vista delle relazioni sociali e dei legami affettivi?

Presinodo: circa 300

giovani provenienti

da tutto il mondo

hanno partecipato alla

riunione svoltasi dal

19 al 24 marzo scorsi

(www.synod2018.va)

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Per quanto sa problematico il presente, il futuro non è qualcosa che può essere rubato. È un luogo che ancora nessuno conosce e in cui nessuno è ancora stato. Più che chiederci quale futuro ci

aspetta dovremmo chiederci cosa ci aspettiamo noi dal futuro e iniziare da oggi a costruirlo. Da un lato ci sono le difficoltà oggettive che frenano l’azione dei giovani, la realizzazione piena dei propri obiettivi di vita, dall’altro i giovani stessi vengono spesso ritratti come parte di una ge-nerazione apatica e indifferente. Ciò è vero solo quando non trovano ambienti supportivi e stimo-lanti, esempi autentici a cui ispirarsi, possibilità di fare esperienza positiva di sé e del fare con gli altri. Esempi ed esperienze di questo tipo aiu-tano a passare dalla “libertà da” alla “libertà di” arrivando a una “libertà per”. Ciò consente di fare scelte di impegno personale (anche quelle “per sempre”, come avere un figlio o una vo-cazione religiosa) e di farle diventare scelte di successo per sé e nel contesto in cui operano.

Quindi è opportuno non chiudersi in pregiudizi?È necessario liberare il discorso sui giovani da luoghi comuni e frasi retoriche. I giovani più (e

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prima) che essere il futuro devono poter abitare pienamente e gioiosamente il presente. Devo-no poter considerare l’oggi non come il luogo dell’attesa, ma come il tempo delle scelte in cui ci si riconosce e che proiettano una luce positiva sul proprio percorso successivo.

Su che cosa debbono puntare i giovani per porre le basi di una società più dinamica e aperta?La narrazione dei giovani incapaci e indolenti in un paese destinato a un futuro di marginalità, non deve diventare una profezia che si auto-a-dempie. Le nuove generazioni devono incaricarsi di dimostrare di essere diverse da come vengo-no dipinte da chi le ha messe nelle condizioni attuali e che un destino diverso da quello che si è cercato di cucire sin qui su di esse, è possibile. Il successo di questo dipende soprattutto da loro – dal loro impegno a capire la realtà che cam-bia e agire come protagonisti in essa –, ma può essere notevolmente favorito dalle generazioni

In alto: il sito web

del prossimo Sinodo

dei giovani

La narrazione dei giovani incapaci e indolenti in un paese destinato a un futuro di marginalità, non deve diventare una profezia che si auto-adempie. Le nuove generazioni devono incaricarsi di dimostrare di essere diverse da come vengono dipinte da chi le ha messe nelle condizioni attuali e che un destino diverso da quello che si è cercato di cucire sin qui su di esse, è possibile

più mature, se passeranno dal far pesare il loro giudizio ipercritico sulle nuove generazioni a ri-conoscere il valore aggiunto di cui i giovani sono portatori e aiutarlo a emergere al meglio delle sue possibilità. L’investimento sulle nuove gene-razioni richiede generosità e intelligenza, perché ha bisogno di risorse economiche e intellettuali, oltre che di riconoscimento che ciò che migliora la capacità di essere e fare dei giovani aumenta in prospettiva il benessere di tutti. ■g

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«I giovani chiedono alla Chiesa di essere evangelica, di offrire loro comunità dove sperimentare relazioni calde, dove incontrare persone significative e poter fare esperienze belle e coinvolgenti». Per la curatrice del Progetto giovani (Istituto Toniolo), già presidente nazionale di Ac, la realtà giovanile offre, al mondo adulto, ampie pagine di speranza e cambiamento tutte da scrivere

Quanto valgono i giovani italiani? Il mon-do del lavoro li valorizza oppure no? Quali sono i valori trasmessi dalle ge-nerazioni precedenti e come vengono

considerati e rielaborati dai giovani di oggi? Que-ste sono solo alcune delle domande a cui prova a rispondere il Rapporto Giovani 2018 dell’Istituto Toniolo dell’Università Cattolica, giunto ormai alla sua quinta edizione. Abbiamo intervistato su que-sti temi la prof.ssa Paola Bignardi, già presiden-te nazionale di Ac e che ora, come membro del Comitato di indirizzo dell’Istituto Toniolo, segue la realizzazione del Progetto giovani.

Prof.ssa Bignardi, qual è il desiderio più grande dei giovani che traspare dall’ul-tima edizione del Rapporto Giovani?Mi pare che il desiderio più grande che i giovani hanno den-tro di sé sia quello di poter dare il proprio contributo alla vita del-la società. I giovani sono consa-pevoli di avere delle risorse, anzi di essere una risorsa importante per la società. Hanno idee, ener-gie, progetti, visioni della vita aperte sul futuro. Desiderano cambiare ciò che in questa so-cietà non funziona e di cui loro stessi sono vittime: l’inerzia, la mancanza di grandi orizzonti, il modo lamentoso di porsi di fron-te ai problemi, anziché l’audacia di pensare come cambiare le cose. Vorrebbero potersi mettere alla prova, mostrare in concreto che un mondo migliore è pos-sibile, che relazioni diverse tra le persone sono possibili, che

provare a combattere la povertà, l’ingiustizia e la disuguaglianza è possibile. Sono mortificati dal dover restare in un angolo ad “aspettare il proprio turno” per prendersi delle responsabilità e ope-rare secondo ciò che hanno in mente. Tutti sap-piamo quanta anticamera deve fare un giovane prima di essere trattato da adulto, perché tutti lo vediamo nella nostra famiglia, tra i nostri amici, figli, nipoti. Il desiderio dei giovani è quello di es-sere considerati un valore per la società.

Leggendo il Rapporto, emerge l’energia con la quale il 73,8% degli intervistati ritiene che sia ancora possibile impegnarsi in prima persona nella società. Come interpreta e valuta que-sta indicazione, in controtendenza rispetto all’immagine che si ha della realtà giovanile italiana?L’immagine che gli adulti hanno della realtà gio-vanile italiana è uno stereotipo che alcuni opinion leader e alcuni media hanno contribuito a coniare e a diffondere: basti pensare alle etichette con cui i giovani sono stati catalogati: sfigati, schizzi-nosi, bamboccioni, sdraiati… Se i giovani italiani, a fronte di questi pregiudizi, sono ancora capaci di reagire e di dichiarare in larga maggioranza che è possibile impegnarsi in prima persona nella società, significa che dentro di loro vi sono ve-ramente delle energie buone, vigorose, robuste. E questo è un motivo di speranza per la nostra società, per l’oggi e per il futuro, solo che que-ste energie siano valorizzate, riconosciute, messe nelle condizioni di esprimersi. Certo vi sono anche giovani che hanno un atteggiamento inerte e pas-sivo; penso soprattutto ai neet, quei giovani che non studiano e non lavorano. Ma prima di giudi-carli, perché non interrogarsi? Forse sono giovani che sono disillusi, che si sentono rifiutati, che non riescono più a sperare. Non sono bambini viziati, ma spesso sono persone sofferenti che con il loro atteggiamento stanno chiedendo aiuto.

Grande sfida per la comunità credente

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di Alberto Ratti

intervista con Paola Bignardi

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Un altro aspetto che emerge dall’indagine è il modo con cui i giovani si pongono di fronte all’esperienza religiosa e alla trascendenza, che sta subendo profonde trasformazioni. Vie-ne rivelata, infatti, una sensibilità religiosa non spenta, ma attutita, costruita individualmente e in grossa difficoltà rispetto alle esperienza comunitarie. Quali sfide lanciano i giovani alla Chiesa? Il prossimo Sinodo che si svolgerà a ottobre sarà in grado, secondo lei, di dare ri-sposta ai bisogni e alle domande delle nuove generazioni?Leggere le interviste che il Toniolo ha raccolto tra centocinquanta giovani che hanno raccontato la loro storia religiosa, i loro pensieri su Dio, sulla Chiesa e sulla vita cristiana è una profonda espe-rienza spirituale. Ci si incontra con la domanda di autenticità che i giovani portano dentro di sé, con un modo di pensare Dio ricco: non il Dio un po’ astratto delle nozioni catechistiche, ma un Dio personale, riconosciuto e incontrato dentro una relazione viva. Leggere ad esempio la testi-

monianza dei giovani che affermano che è bello credere perché chi crede non è mai solo fa mol-to pensare: è un Dio dentro la vita, che aiuta ad affrontare le proprie solitudini. Certo sono espe-rienze di fede che hanno bisogno di crescere e di maturare, ma in fondo questa è l’esperienza spirituale di ciascuno di noi, impegnato a cresce-re in Dio fino all’ultimo giorno. La loro distanza dalla Chiesa nasconde il desiderio di una Chiesa più autentica, più evangelica, che spesso si ma-nifesta attraverso l’ammirazione per la persona di papa Francesco e per il suo stile semplice ed evangelico. Il Sinodo sui giovani penso che non debba dire come la Chiesa deve comunicare con i giovani, ma come la Chiesa deve cambiare per avere credibilità presso i giovani. I giovani le chie-dono di essere evangelica, di offrire loro comunità dove sperimentare relazioni calde, dove incontra-re persone significative, dove poter fare esperien-ze belle e coinvolgenti. E questo non significa che le chiedono di essere una Chiesa migliore? Una grande sfida!

Nell’altra pagina:

Paola Bignardi

>>

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Dunque, quale il ruolo del Sinodo?Il Sinodo potrà dare risposta alle domande dei gio-vani se le comunità cristiane sapranno continuare ad ascoltarli, a farsi mettere in discussione dalla loro critiche. Se la Chiesa nel suo insieme saprà mettersi in un cammino di conversione. Credo che i giovani in qualche modo siano uno dei segni del nostro tempo, per usare un linguaggio caro a papa Giovanni XXIII. “Segni dei tempi” sono i modi in cui lo Spirito ci parla nella storia e ci chiama a conversione. I giovani, col bisogno di comunità e di autenticità che esprimono, ci rimandano l’esigenza di una Chiesa che testimoni Dio in modo sperimen-tabile, gustabile, incontrabile. Un Dio molto più in-teressante di quello che tanti nostri sforzi pastorali comunicano. ■g

Il Sinodo potrà dare risposta alle domande dei giovani se le comunità

cristiane sapranno continuare ad ascoltarli, a farsi mettere in discussione dalla loro critiche.

Se la Chiesa nel suo insieme saprà mettersi in un cammino di

conversione. Credo che i giovani in qualche modo siano uno dei segni

del nostro tempo, per usare un linguaggio caro a papa Giovanni XXIII. “Segni dei tempi” sono i

modi in cui lo Spirito ci parla nella storia e ci chiama a conversione

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riLa ricerca del Toniolo, tra impegno e cambiamentoI giovani ritengono che c’è bisogno di rimboccarsi le maniche

La ricerca condotta dall’Osservatorio Giovani del Toniolo continua a essere il principale riferimento empirico sul mondo giovanile nel panorama nazionale. Dall’analisi compiuta emerge come vi siano ancora elementi di rasse-gnazione, disillusione e perdita di speranza, sostenuti da una situazione generale del paese che stenta a migliora-

re, e nello stesso tempo segnali di ripresa e di speranza. Rispetto alle precedenti edizioni colpisce come il 73,8% degli intervistati ritenga ancora possibile impegnarsi in prima persona nella società, rimboccandosi le maniche e mettendo da parte le avversità e le situazioni difficili. Il 67,7% degli intervistati, inoltre, è predisposto al cambiamento. Il filo conduttore di questa nuova edizione sono i valori, nella loro accezione più ampia: quelli in salute e quelli declinanti; i sistemi formativi e di orientamento; l’importanza delle soft skills; la domanda di rappresentanza e orientamento politico; la vita nella rete, i disvalori dell’hate speech e della violenza verbale; l’immigrazione e il multiculturalismo; la coppia e la genitorialità; la fede e la religione. Il Rapporto 2018, infine, accende i riflettori sugli «snodi principali della transizione alla vita adulta: il lavoro, l’autonomia e le scelte di vita a partire dalla scuola e dalla formazione».

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L’Ac ha tutte le carte in regola per seguire il monito di papa Francesco e dare ascolto vero alla voce e alle istanze di tutti i giovani. «A ognuno di noi, dalle parrocchie al centro nazionale, tocca il compito di portare avanti questa sfida giorno dopo giorno». Si dialoga insieme non solo con teste diverse, ma anche con età differenti per costruire insieme un progetto comune

di Luisa Alfarano e Michele Tridente* Quando papa Francesco ha annunciato

l’intenzione di dare vita a un Sinodo interamente dedicato ai giovani, l’entu-siasmo in Ac è stato grande. E come

avrebbe potuto essere altrimenti? La Chiesa ha espresso il desiderio di mettere al centro i giova-ni, di partire da loro e dall’ascolto dei loro desideri e delle loro paure, sentendo fortemente la neces-sità di accompagnarli nelle scelte importanti e quotidiane della loro vita. Da sempre l’Ac crede fortemente nel protagonismo dei giovani nella vita della Chiesa e dei nostri territori, ma la chiamata rappresentata da questo Sinodo è un’occasione senza precedenti: il mondo e la Chiesa hanno bisogno di giovani che sappiano (e, soprattutto, vogliano) essere protagonisti non tanto di un ne-buloso domani, quanto di un concretissimo oggi. Troppe volte in questi anni si è parlato dei giovani come di coloro che dovranno occuparsi solo del futuro, senza aver posto alcuno nel presente: ma quale futuro erediteranno questi giovani se non possono partecipare oggi alla sua ideazione, alla sua concretissima costruzione? A volte anche la Chiesa stessa non è stata esente da questo er-rore di prospettiva. Eppure le figure dei santi e dei beati a cui ci ispiriamo come modelli di un

Vangelo incarnato nella vita di tutti i giorni hanno quasi tutte, in un modo o in altro, maturato la propria vocazione e assunto il loro stile peculiare proprio negli anni della gio-ventù: cosa sarebbe successo se San Francesco, appena

venticinquenne, non avesse avuto il coraggio di approcciarsi alla fede in modo così nuovo solo perché qualcuno gli aveva detto che le sue idee non avrebbero portato da nessuna parte? E se a Pier Giorgio Frassati qualcuno avesse iniziato a dire «ciò che fai ora non è importante, importerà ciò che farai domani» cosa sarebbe stato della sua fede? Ecco, ogni educatore, ogni credente, ogni giovane ha il diritto (e il dovere) di coltivare la speranza che la vita del prossimo diventi incre-dibile bellezza, ma non possiamo farlo se, prima, non impariamo a rimettere al centro i bisogni, i desideri, le paure di quel prossimo, soprattutto di chi sta cercando la propria strada e ha bisogno di aiuto e sostegno per calcolare il percorso.

Essere accompagnatori oggiEcco il primissimo ruolo degli accompagnatori oggi: aiutare i giovani a imparare l’arte di un di-scernimento serio per affrontare ogni scelta che la

Provocare l’oggi per preparare il domani

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A lato: il logo

del Sinodo.

In basso:

i giovani di Ac

all’incontro con il Papa

il 30 aprile 2017

in piazza San Pietro

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vita pone davanti. Non è difficile affermare che per quanto riguarda l’accompagnamento e il discerni-mento vocazionale, l’Ac sente una grande respon-sabilità per sua stessa vocazione costitutiva. Tra le molteplici risorse che l’associazione mette a di-sposizione vi sono certamente, accanto all’accom-pagnamento personale, l’esperienza del gruppo, l’intergenerazionalità, l’apostolato negli ambienti di vita quotidiana. L’esperienza del gruppo è uno strumento fondamentale non solo nella formazio-ne, ma anche per accompagnare il cammino per-sonale dei giovani che sono stimolati dal confronto con gli altri a riflettere su se stessi, sulla propria spiritualità, sulle proprie relazioni e sul proprio ruo-lo nella realtà che abitano. Essere un’associazione intergenerazionale educa i giovani a prendersi cura della propria realtà e a dialogare non solo con teste diverse, ma anche con età differenti per costruire insieme un progetto comune. Oltre ai settori, il Movimento studenti e il Movi-mento lavoratori accompagnano giovanissimi,

giovani e adulti a vivere da laici consapevoli i luoghi che abitano quotidianamente, spronando a essere protagonisti e partecipi a scuola e nei diversi ambienti di lavoro. E come non parlare anche delle altre realtà associative con cui l’Ac cammina da anni? Come la Fuci, Federazione di giovani studenti universitari cattolici che promuo-ve la formazione culturale, politica e spirituale e l’impegno attivo all’interno dell’università; o come la Gioc che vive la propria missionarietà accom-pagnando i giovani lavoratori nella loro formazio-ne e nella revisione di vita attraverso l’esperienza del gruppo.Insomma, l’Ac ha tutte le carte in regola per se-guire il monito di papa Francesco e dare ascolto vero alla voce e alle istanze di tutti i giovani. A ognuno di noi, dalle parrocchie al centro naziona-le, tocca il compito di portare avanti questa sfida giorno dopo giorno. ■g

*vicepresidenti nazionali per il settore Giovani di Ac

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Anna ha ventuno anni. Uno sguardo fresco, appassionato alla vita, pieno di voglia di fare. “Ecclesialmente” fa parte della diocesi di Milano, mentre

studia Scienze politiche alla Statale di Milano. Sarà per questo che i suoi interessi oggi siano la Politica, quella con la P maiuscola, quella che si “sporca le mani” al servizio degli altri. Un’in-clinazione che le è venuta anche dal suo essere educatrice Acr nella sua parrocchia.«Tante discussioni fatte a tavola in famiglia, ma anche tante sollecitazioni con gli amici, e ovviamente l’Ac». Anna Zambon sprizza gioia da ogni parte. «Da tutto ciò – racconta a Se-gno – ho imparato a sviluppare un mio sguar-do sul mondo ma soprattutto l’importanza del confronto, dell’ascolto, dell’impegno. L’Ac mi ha formato a prendermi cura dell’altro. È nata così la mia passione per la politica, intesa come at-

tenzione al bene comune e strumento per dare voce a chi non ha voce. Sono stata prima rappresentante d’I-stituto del mio liceo: qui, ho potuto capire quanto fosse importante e arricchente il confronto con gli adulti, ma anche quanto fosse essen-ziale l’ingrediente della fre-schezza e della grinta dei giovani. Poi, mi sono can-didata alle amministrative di Gallarate con il Partito democratico».

Consigliere di opposizione, ci tiene a dire Anna. Qui è terra di Lega. «L’anno scorso, quando ho ascoltato il papa dire proprio all’Azione cattolica italiana che è ora di impegnarsi alla Politica con la P maiuscola, ho pensato che questo mio desi-derio avesse anche la benedizione di Francesco. Poi, la politica, in qualsiasi ambito, nazionale e locale, vuol dire dedicarsi a risolvere i problemi di ogni giorno del cittadino “normale”».

Con gli occhi dei giovani«Concretamente sono riuscita a far votare in con-siglio comunale una mozione sui trasporti pubblici a servizio dei giovani, l’Interrail Giovani Lombar-dia. Il progetto prevede l’istituzione di un pass gratuito per permettere ai giovani tra i 16 e i 29 anni, residenti in Lombardia , di viaggiare gratui-tamente per quattro mesi sulla rete del trasporto locale pubblico e di accedere a musei, parchi, mostre, collezioni e ville presenti numerosi nel-la nostra regione. Un atto di indirizzo affinché si mettano in campo tutti gli atti e le risorse neces-sarie per far partire questo progetto dall’estate 2018. L’obiettivo del progetto è quello di mettere al centro i temi della mobilità sostenibile, della cultura e del turismo interno giovanile».Altre cose concrete? «Molti progetti… però siamo in minoranza. Ho provato, invano, con lo Sprar, il progetto nazionale per i migranti. Il Sistema di protezione per richiedenti asilo e ri-fugiati (Sprar) è costituito dalla rete degli enti locali che per la realizzazione di progetti di ac-coglienza integrata accedono al Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo. A livello ter-

Nella foto:

Anna Zambon

consigliera

comunale

di Gallarate

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«Mettersi a disposizione della propria città costa fatica, pregiudizi, sacrifici. Eppure quello che si riceve è molto più di quello che si dà. E chi meglio dei giovani può sprigionare questa energia?». Segno incontra Anna Zambon, giovane consigliera comunale a Gallarate, una passione sincera per il “bene comune”

A servizio della comunità

Esperienze di Ac/1

Vocazione alla politica

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In alto: una seduta

del Consiglio comunale

e, sotto, uno scorcio

di Gallarate con

la basilica di Santa

Maria Assunta

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riritoriale gli enti locali, con il prezioso supporto delle realtà del terzo settore, garantiscono inter-venti di “accoglienza integrata” che superano la sola distribuzione di vitto e alloggio, prevedendo anche misure di informazione, accompagna-mento, assistenza e orientamento, attraverso la costruzione di percorsi individuali di inserimento socio-economico».

Il momento di “restituire”Una vocazione al servizio del paese e della Chie-sa. «Io ero estremamente consapevole di quello

a cui stavo andando incontro, eppure, in fondo, avevo in mente e nel cuore uni-camente un obiettivo: in tutti questi anni Gallarate mi aveva dato tanto, era giunto il momento di restituire ciò che avevo ri-cevuto. La campagna elettorale è stata intensa, ricca di incontri; caratterizzata soprattutto dall’ascolto delle esigenze di moltissimi cittadini, dalle riunioni di par-tito ed eventi con parlamentari e sindaci, dagli aperitivi con i giovani. Quest’ultimi sono stati la rete più bella e solida che ho potuto scoprire durante tutta la campa-gna: tantissimi ragazzi e ragazze si sono messi in gioco, mettendoci la faccia, e

sostenendoci a vicenda. Ed ecco il post-elezioni: 222 cittadini mi hanno dato fiducia, hanno visto in me la possibilità di cambiamento, di aria nuova. Ho dovuto e voluto prendere le mie responsabilità e ho accolto con fervore questo mio nuovo incari-co in consiglio comunale, seppur in opposizione. Mettersi a servizio della propria città costa fatica, pregiudizi, sacrifici. Eppure quello che si riceve è molto più di quello che si dà, e chi meglio dei giovani può sprigionare questa energia?». ■g

[giadis]

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È segretaria diocesana del Msac di Ma-zara del Vallo. Una diciannovenne che vuole “spaccare” il mondo e che non se ne sta con le mani in mano. Ul-

timo anno al liceo scientifico per poi prendere destinazione Bologna e studiare Lettere moder-ne. Ludovica Mangiapanelli ha la scuola che le scorre nelle vene. Le piace, ha voglia di impe-gnare le sue energie per un’istruzione rinnovata a servizio degli studenti ma dove essi dicano la loro, e non immagina il suo futuro lontana dal mondo della scuola.Si è data da fare nella sua comunità territoria-le, attraverso degli incontri di formazione alla rappresentanza nella scuola. Un’iniziativa del Msac, ovviamente. Che «è partita il 2 dicembre scorso – spiega Ludovica – a Marsala presso il centro sociale “Giovanni Paolo II”, di fronte al Li-ceo scientifico P. Ruggieri. Il perché di un corso di formazione? La risposta è in queste domande

che ci siamo fatti noi giovani stu-denti: sappiamo realmente cosa vuol dire essere rappresentanti? Cosa siamo chiamati a fare e a sapere? Purtroppo, nonostante l’entusiasmo inziale, spesso la vita da rappresentante si dimo-stra più complessa di quanto ci aspettiamo e a volte si perdono di vista i nostri reali compiti e obiet-tivi. Per questo il Msac ha voluto portare avanti questa iniziativa. Responsabili si diventa, attraverso lo studio, la disponibilità al con-fronto e ai percorsi formativi. Io stessa faccio parte della Tfr, che sta per Task Force Rappresen-tanza, una commissione formata

da alcuni responsabili del Movimento studenti di Azione cattolica che vengono scelti per le loro esperienze di rappresentanza e di partecipazione durante le scuole superiori. Lo scopo della Tfr è prendersi cura dei rappresentati dei vari organi collegiali, ideando e sviluppato anche diversi sus-sidi e materiali specifici, a uso di studenti e classi per le scuole superiori. Si sta curando la prepa-razione di proposte condivise con i rappresentati da presentare al Ministero e si sta lavorando alla realizzazione di incontri cittadini, diocesani, regio-nali o interregionali (a seconda delle esigenze del territorio) di formazione e informazione per tutti i rappresentanti degli studenti, msacchini, giova-nissimi e non».

Per una #BellaScuolaUn progetto impegnativo che ha visto la parte-cipazione di cinquanta ragazzi, costruito su tre step di studio, confronto e condivisione. «Cosa un rappresentante deve necessariamente sapere? Quali sono i documenti da conoscere? Come si fa a essere sempre informati sulle nuove riforme e novità varie riguardo al mondo della scuola senza fermarsi alle semplici e a volte del tutto errate voci di corridoio? E poi: quali sono le problemati-che comuni alle varie scuole della diocesi? Quali potrebbero essere le possibili soluzioni? Come af-frontano i vari rappresentanti dei diversi istituti e delle diverse città il loro compito? Per concludere: quali progetti potrebbero nascere dall’incontro e dal confronto precedentemente avvenuto? Cosa dobbiamo migliorare per rendere la nostra scuola una #BellaScuola?

Partecipazione attivaUna vocazione dentro la scuola per servire anche il Vangelo. «Certo – conclude Ludovica –. Grazie

Rappresentanti si diventa

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Esperienze di Ac/2

Vocazione alla scuola

Una “chiamata” dentro la scuola per servire anche il Vangelo. Per Ludovica, segretaria del Msac di Mazara del Vallo, «grazie al Movimento io non mi sento sola e, anzi, al contrario, mi sento parte integrante della Chiesa nel mondo. Cerco di mettere dentro la scuola, da laica e da cristiana, quanto di più bello ho imparato dal Vangelo. E, da studentessa faccio mia la parola d’ordine tra noi di Ac: #AdoroIlLunedì»

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Nella foto piccola:

la studentessa

Ludovica

Mangiapanelli.

Sotto, uno degli

incontri della Sfs

del Msac che si è

tenuto a Montesilvano

nel marzo 2016

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al Msac io non mi sento sola e, anzi, al contrario, mi sento parte integrante della Chiesa nel mon-do. Cerco di mettere dentro la scuola, da laica e da cristiana, quanto di più bello ho imparato dal Vangelo. E, da studentessa, non potrei non fare mia quella che ormai è diventata la parola d’or-dine tra noi di Ac: #AdoroIlLunedì per tutte quelle cose che abbiamo imparato e per tutte quelle che ancore dobbiamo imparare. #AdoroIlLunedì per le idee e i progetti che sono nate tra la mura del centro sociale “Giovanni Paolo II”. #AdoroIlLunedì per tutti i rappresentanti di classe e istituto che con coraggio si sono assunti questa responsabi-lità e che, con passione e determinazione, ogni

giorno si impegnano a migliorare le proprie scuo-le. #AdoroIlLunedì per tutti i ragazzi a cui sta a cuore la partecipazione attiva e non si acconten-tano di vivere la scuola da comparse. #AdoroIlLu-nedì per questo weekend speciale che come tutti i weekend finisce per lasciare spazio al lunedì, il giorno giusto per ricominciare, per ripartire, per mettersi in movimento».Anche Ludovica adora il lunedì. L’inizio settimana di una settimana normale, di un cittadino norma-le. Per una vita normale. La straordinarietà, da queste parti, è l’infinita bellezza di passi ordinari. Da giovani. Con Sorriso. ■g

[giadis]

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Poche cose sono capaci di alimentare la follia collettiva come il calcio. E nessuna occasione è in grado di rappresentare l’apoteosi di questo impazzimento pla-

netario come quei trenta giorni ogni quattro anni in cui Eupalla (così chiamava la dea del calcio quel suo geniale cantore che era Gianni Brera) viene venerata da miliardi di fedeli nel suo bacca-nale più atteso, i Mondiali. Lo sappiamo bene noi, cosa significa: perché il nostro è uno dei paesi capaci di vantare con maggiore orgoglio, tradizio-ne e radicamento questo culto irragionevole e irri-nunciabile. Lo sappiamo bene noi, che all’apice di quella follia ci siamo arrivati quattro volte, l’ultima solo un paio di lustri fa. Lo sappiamo bene noi, che questa estate ci aggiriamo smarriti e attoniti, perché al gran rito russo della Coppa del Mondo 2018 non possiamo partecipare, se non da lonta-no, in disparte, praticamente da imbucati, per la

prima volta dopo 60 anni esclusi a causa del dram-matico harakiri svedese della Nazionale azzurra. E adesso che i Mondiali non ce li abbiamo più, il dolore dell’assenza ci rende an-cora più consapevoli: d’al-tra parte, ci accorgiamo dell’importanza di qualco-sa soprattutto quando ci

manca. Qualcuno dirà: che esagerazione. Ma lo abbiamo detto, il calcio è roba da matti.Roba da matti, appunto. È quello che hanno sempre pensato due signori che di matti se ne intendono e di calcio qualcosa ne capiscono. Si chiamano Santo Rullo e Nobuko Tanaka. Il primo, psichiatra romano di nascita e interista di fede calcistica, quasi trent’anni fa ebbe un’in-tuizione: «Assieme a un collega mi accorsi che i nostri pazienti erano devitalizzati per la maggior parte del tempo. La situazione cambiava all’im-provviso se vedevano scorrere un pallone. Così abbiamo deciso di organizzare piccoli campio-nati locali. È dimostrato che l’attività fisica au-menta la produzione di serotonina e dopamina, dati molto rilevanti per le persone con disturbi psichici, che a causa di malattie cardiovascolari dovute principalmente alla sedentarietà hanno un’aspettativa di vita più bassa del 20% rispetto alle persone sane».

Il calcio per il disagio mentaleI tornei di calcio del dottor Rullo hanno coinvolto centinaia di persone con disagio mentale e sono andati avanti tranquillamente fino al 2011. Quando dall’altra parte del pianeta un professore giappo-nese di sociologia dello sport non s’è imbattuto in un vecchio video del 2004 su youtube: si chiamava Matti per il calcio, e era il lavoro autoprodotto di due allora sconosciuti documentaristi, Volfango De Bia-

Matti per il calcio

Quest’anno, come italiani, guardiamo il Mondiale in Russia seduti accanto al televisore. Con un sorriso in più, però. L’Italia ha vinto, infatti, la seconda edizione della Coppa dei Mondo dei “matti per il calcio”. In questo caso la maglia della nazionale ha investito di orgoglio davvero tutti

di Simone Esposito

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si e Francesco Trento, che raccontava le imprese del Gabbiano, per l’appunto la squadra dei pazienti di Rullo. Al quale poco dopo è toccato ospitare a Roma il professor Tanaka, in visita di studio. I giap-ponesi, si sa, sono rapidi e operosi: quattro anni

dopo quell’incontro, a Osaka, fu messa in piedi la Dream world cup, il primo mondiale di calcio (a 5) riservato alle persone con disabilità psichica. Gli azzurri non possono non esserci: a guidarli c’è Rulli e a raccontarli ci sono di nuovo De Biasi e Trento. Quello che ne viene fuori è quasi incredibile: l’Italia conquista il bronzo, e il nuovo documentario di De Biasi e Trento, Crazy for Football, vince il David di Donatello e si trasforma in un libro-bestseller. «La coppa – è ancora Rulli a parlare – ha realizzato il sogno di tutti i partecipanti di vestire la maglia del-la propria nazionale. Questa maglia ha abbattuto la vergogna, lo stigma del disturbo psichiatrico e investito di orgoglio tutti».Ok, fin qui una bella storia. Ma resta il problema: come farà l’Italia a sopravvivere a questo 2018 orfano dei Mondiali? E qui arriva la soluzione, ancora una volta targata Dream world cup. Per-ché a Roma, il 13 maggio scorso, quarantesimo anniversario dell’approvazione della storica legge Basaglia sulla chiusura dei manicomi, c’è stato il match inaugurale della seconda Coppa dei Mon-do dei “matti per il calcio”. E sapete com’è finita? Che stavolta la coppa l’ha alzata l’Italia, guidata dal bomber (e capocannoniere del torneo) Mattia Armanni, con una vittoria senza appello sul Cile (17-4) dopo una semifinale al cardiopalma vinta di misura 9-8 sul Perù. Sicché, pazienza se fino a Mosca non possiamo arrivarci: quest’anno siamo lo stesso campioni del mondo, campioni tra i matti, matti per il calcio un po’ come tutti noi. ■g

Il confronto con quella della Fifa è impari, ma la Dream world cup dello scorso maggio ha avuto numeri di tutto rispetto. Dieci nazionali coinvolte, quattro continenti (molta Europa, molto Sudamerica, e le rappresentanze asiatiche e africane di Giappone e Senegal), ben 150 pazienti psichiatrici in campo, il supporto ufficiale del Coni,

della Figc e della rappresentativa nazionale di calcio a 5. Insomma, l’edizione di Roma è stata un successo, coronato alla fine dal trionfo azzurro. Un trionfo che purtroppo non potremo replicare in Russia, dove la ventunesima edizione dei Mondiali di calcio coinvolgerà 32 squadre, ma non l’Italia (ma a casa rimarranno anche altre big come Olanda, Cile e Ghana). Ci sarà naturalmente la Germania, chiamata a difendere il titolo conquistato in Brasile quattro anni fa, e ci saranno per la prima volta Islanda e Panama, quest’ultima giustiziera a sorpresa degli Stati Uniti. Si comincia il 14 giu-gno con Russia-Arabia Saudita, si finisce il 15 luglio dopo 64 partite allo Stadio Luzniki di Mosca, quando scopriremo il nome della nazionale che potrà fregiarsi del titolo di campione del mondo. Insieme all’Italia dei matti, naturalmente.

Dieci nazionali coinvolte per la Dream world cupBen 150 pazienti psichiatrici in campo, per un calcio che sorride

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Il libro che il presidente nazionale di Ac Matteo Truffelli dedica alla politica apre a prospettive nuove, invitando i cattolici a essere attenti, critici, protagonisti e al passo con i tempi. Occorre tornare a immaginare proposte per l’oggi, spiegandole con i nuovi linguaggi per costruire concretamente un consenso che le trasformi in azione politica e amministrativa. Con un criterio regolatore: la difesa e promozione degli ultimi

Politica: che vinca il meglio

di Simone Esposito C’è una scena memorabile, nella lun-ga saga cinematografica di Fantozzi, nella quale il ragioniere, in compa-gnia del fedele collega Filini, si met-

te in marcia per raggiungere lo stadio dove è in cartello l’attesa sfida calcistica tra Italia e Scozia. Fantozzi viaggia su un pullman di tifosi ed è ani-mato dal miglior spirito decoubertiniano: s’è por-tato la bandiera, intona cori e vuole passare una bella giornata di sport. Così, quando il pullman viene affiancato dalla corriera degli hooligan scoz-zesi, il nostro eroe sente il bisogno di fraternizzare con quelli che definisce «i nostri leali avversari». Si affaccia dal finestrino, si avvicina ai vetri dell’al-tro mezzo, e col suo inglese maccheronico grida: «That win the best», che vinca il migliore.Sdeng! – arriva la risposta inappellabile degli altri

tifosi: un colpo di chiave inglese in testa che tramortisce il povero ragioniere.Quando ci si mette a ragionare di politi-ca alla maniera del presidente nazionale dell’Azione cattolica, Matteo Truffelli, il rischio-chiave inglese è sempre in ag-guato. Lo scorso anno, in occasione della grande festa in piazza San Pietro per i 150 anni dell’Ac, papa Francesco aveva invitato gli aderenti a mettersi «in politi-ca, ma per favore, nella grande politica, la Politica con la maiuscola». Truffelli ha provato a tracciare alcune indicazioni per capire come l’associazione possa rispon-dere all’appello del papa, e lo ha fatto con un libro agile, appena pubblicato dall’E-ditrice Ave, La P maiuscola, appunto. Un tentativo che ha dell’eroico, verrebbe da dire: quello di proporre una riflessione misurata, ragionata, concreta (ma non autoreferenziale e verbosa, come capita spesso) in un dibattito politico dominato dagli scontri fra ultrà, non avversari ma nemici che si insultano, fanno a botte, si

sparano razzi da una curva all’altra e vomitano su chi sta sul fronte opposto tutto il loro odio. Ma Truffelli – vivaddio – non ha il candore sprov-veduto del ragionier Fantozzi: è estremamente consapevole del pericolo di beccarsi una spran-gata. Ma è anche decisamente convinto che oggi il rischio vada corso. Che il dibattito pubblico vada liberato dal rancore che lo tiene in ostaggio. Che i credenti debbano smetterla di coltivare sterilmen-te il culto del loro grande ma polveroso pantheon di statisti del passato per tornare a immaginare proposte per l’oggi, per spiegarle e argomentarle con i linguaggi di oggi, per costruire concretamen-te un consenso che le trasformi in azione politica e amministrativa.La P maiuscola, quindi, non è una lettura edificante alla “libro Cuore”, ma una sfida a rovesciare tutti i paradigmi di divisione che imprigionano la politica di oggi. Scorrendo il libro, ne emergono davvero tanti. Per esempio, rimettere al centro il futuro, il progetto, la costruzione di percorsi dall’orizzonte

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Nella foto:

il presidente di Ac,

Matteo Truffelli

insieme all’assistente

generale mons.

Gualtiero Sigismondi,

salutano

papa Francesco

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ampio, anziché privilegiare l’istante, l’incasso im-mediato del proprio tornaconto, in termini di risul-tato o di consenso che sia, senza pensare a cosa si lascia in eredità al domani (si pensi al prima e al dopo delle elezioni dello scorso 4 marzo…). Ancora, smettere di dire ciò che si pensa quasi con il solo fine di dimostrare la propria esistenza (una logica da post sui social network che spesso viene inseguita proprio da un mondo cattolico in crisi di visibilità) e piuttosto esistere e agire per costruire concretamente ciò che pensiamo e de-sideriamo per la nostra comunità. Tornare a dire “noi” senza che questo presupponga un “loro” dall’altra parte, recuperando la capacità di cam-minare autenticamente insieme e non per fazioni contrapposte, riconoscendo la dignità e persino la necessità di chi la pensa diversamente (il valore di quello che papa Francesco definisce, e Truffel-li riprende, come «pensiero incompleto», ovvero aperto al pensiero dell’altro). Infine, archiviare definitivamente la «presunzione di collocarci al di sopra delle parti», scrive il presidente, «come se

potessimo guardare le cose dall’alto per giudicar-le, ma senza immischiarci, senza farci coinvolge-re. Vogliamo piuttosto stare “sotto le parti”. Nel senso di assumere la prospettiva visuale di chi si trova in basso, di chi è vittima, ha meno voce per far valere le proprie ragioni e meno strumenti per difendere i propri diritti. Adottando come criterio regolatore del nostro impegno dentro la società quello della difesa e della promozione dei più fra-gili, degli ultimi».Insomma: il presidente torna a schierare l’Azione cattolica, ancora una volta, come sempre in que-sti 150 anni, al servizio del bene comune. E chie-de a tutta l’associazione di farlo ancor più esplici-tamente di quanto sta già avvenendo, stringendo alleanze, costruendo reti, «rigenerando la trama del tessuto civile». Lavorando, per rubare le paro-le di Fantozzi, affinché «win the best». Ma “best” inteso non come “il migliore”, ma “il meglio”, il meglio per il Paese, per le nostre comunità, per il nostro presente e per il futuro. Che vinca il me-glio. Senza paura. ■g

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«Inquietudine come parametro interiore, immaginazione come parametro culturale per riuscire a vedere lo Spirito all’opera anche fuori dai nostri confini, incompletezza come consapevolezza che non ci riusciremo mai da soli». Per il vaticanista Riccardo Cristiano, le tre “i” di papa Francesco sono per noi un modo per affrontare le asprezze dell’oggi, del vivere insieme, ma anche una possibilità concreta di laica speranza per il futuro del mondo

Quella pace cercata dal Papa venuto da lontano...

Solo l’inquietudine dà pace è già un ti-tolo-manifesto, perché spiega da solo la portata della fascinazione che alcune figure della Chiesa esercitano su chi non

ne fa parte. Nel nostro caso papa Francesco e Riccardo Cristiano: lo “straniero” venuto da lonta-no a guidare la barca di Pietro e il vaticanista laico attirato dal suo ecumenismo pragmatico. Anche la prima parte del libro (edito da Castelvecchi e composto di riflessioni dello stesso Cristiano, con contributi di La Valle, Giulietti, Menozzi, Ripa-monti, Houshmand, Capuzzi, Zuccolini) ha in sé il senso di una visione del mondo comune a molti: «Un discorso che porta lontano da porti sicuri», vale a dire i rischi del viaggio contrapposti ad una sedentarietà immobilizzante.

Il suo libro parte dal discorso di papa France-sco agli scrittori del Collegio de La Civiltà Cattolica durante il quale il pontefice ha rimarcato che il cri-stianesimo non è una filosofia e ha lanciato le ormai famose tre parole: inquietudine, incompletezza, imma-ginazione. Quale delle tre ti ha col-pito di più, e perché?Direi che non ce n’è una che mi abbia colpito più delle altre. Piuttosto le tre “i” del Papa lette insieme mi hanno immediatamente dato l’idea di un me-todo, il metodo che può portarci a inse-rire l’altro nella nostra vita, nella nostra realtà, e quindi a capire come vivere insieme. Sono tre parole che compon-gono un paradigma: inquietudine come parametro interiore, immaginazione come parametro culturale per riuscire a vedere lo Spirito all’opera anche fuori dai nostri confini, incompletezza come

consapevolezza che non ci riusciremo mai da soli. Per questo credo che sia un discorso epocale, che affronta le asprezze dell’oggi, del vivere insieme, collegandoci l’uno all’altro, in modo personale.

Il discorso papale sulla rivista dei Gesuiti come “ponte” e “frontiera” va in senso quasi opposto a chi vede la Chiesa come cittadella assediata, non le pare? Eppure anche questa prospettiva di visuale ha le sue ragioni nelle persecuzioni e negli attentati cui sono sottoposte le Chiese d’oriente...La Chiesa se si percepisce come cittadella asse-diata lo fa nei confronti della modernità, e questo la limita nella possibilità di interloquire con i figli del nostro tempo, di questo tempo, di questa mo-dernità e delle derive dell’io sovrano. Non serve l’io sovrano per parlare all’uomo contemporaneo, ma certo servono risposte chiare e accessibili a queste libertà negative e che ci privano della capacità di interlocuzione con chi vive accanto a noi.

di Marco Testi

intervista conRiccardo Cristiano

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Qui può intervenire un uso scorretto dei problemi dei cristiani d’oriente, che sono cittadini dei loro pa-esi, non devono esserne né sentirsi dei cittadini di serie B in paesi di cui non sono una “minoranza”, ma una ricchezza da va-lorizzarsi come tale.

Il suo è soprattutto una presa d’atto dell’im-patto che il messag-gio di Bergoglio ha su tre mondi: la stampa, la cultura moderna, il complesso e articolato mondo islamico. Leggendo dei rapporti con la cultura laica, si ha l’impressione che se la Chiesa ha dato segni di rinnovamento, così non è stato per il post-illuminismo, la cui con-cezione, a leggere l’ultimo Scalfari, è ferma a Marx, Freud, Nietzsche.Sì, certamente sono fermi a Feuerbach, alla sua rivoluzione metafisica. Ma la forza davvero ecce-zionale dell’incontro proposto da Francesco esalta il valore trascendente e immanente del Dio cristia-no, creando le condizioni per un incontro tra tutti gli umanesimi, un vero umanesimo integrale. Chi non sente questo è meno credente di me, e rimane

ossificato in un trascen-dentalismo primitivo.

Ha parlato della peri-colosa polarità globa-lizzazione-individualità nazionali. Il problema è che la permanenza in un territorio forma un’identità difficile da combattere: secondo alcuni fa parte dalla na-tura dell’uomo. Siamo in un’epoca estre-mamente complessa, dove il riflusso identitario è tra i più pericolosi proprio per la forza che sa eserci-

tare l’illusione di vivere tra uguali, tra ugualmente bianchi e così via. Francesco ci dice che un vero in-contro è possibile, se vorremo riconoscere le altre culture come universi, ma per fare questo occorre uscire dal circolo vizioso della guerra tra poveri, per cui loro ci rubano il lavoro, o la pensione, e invece potrebbero costituire proprio quella componente necessaria a darci un nuovo lavoro, una nuova pensione, un nuovo apporto al benessere di tutto il popolo. Il popolo, ecco, quello che dobbiamo tor-nare a essere... Magari il pueblo fidel di Dios, che crede nei suoi fratelli, nei suoi simili.

Lo chiedo a un laico: quanto può, sul cammino di avvicinamento alla fede, l’esempio di un papa come Bergoglio?Tantissimo. Bergoglio rende la fede viva agli occhi di chi non sia cieco. Io sento in lui una carica umana esaltante, esor-bitante, coinvolgente. Se non la volessi sentire avrei rinunciato a essere un cit-tadino di questo tempo. No, con Fran-cesco siamo tutti uomini, e possiamo tornare a esserlo come figli dell’unico Dio. Qui c’è un respiro davvero univer-sale, che ci porta a riscoprire l’umano e universale. ■g

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A lato: il giornalista

Riccardo Cristiano.

Attento al dialogo

inter religioso,

ha pubblicato, tra gli

altri, per Castelvecchi,

Bergoglio, sfida globale

e Medio oriente senza

cristiani?, e per Mesogea

Caos arabo e Il giorno

dopo la primavera,

scritto con l’intellettuale

libanese Samir Frangieh

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Dagli stadi della Serie A alle stazioni ferroviarie, dalle università ai musei, dalle associazioni e dalle imprese fino alle scuole: dal 22 maggio al 7 giugno il paese si è mobilitato con 600 eventi per rendere visibile l’impegno per un futuro migliore. Un’Alleanza che riguarda tutti noi

Senza di te lo sviluppo sostenibile non c’è

U n Festival lungo 17 giorni, tanti quanti sono gli Obiettivi di sviluppo sostenibi-le previsti dall’Agenda 2030 dell’Onu, con oltre 600 eventi su tutto il territo-

rio nazionale tra convegni, dibattiti, presentazioni di libri, mostre, proiezioni di film, visite guidate, flashmob e molti altri appuntamenti che hanno coinvolto il mondo dell’economia, dell’impegno sociale, della cultura, dell’arte, dello spettacolo e dello sport. È la seconda edizione del Festival dello Sviluppo sostenibile, un’iniziativa unica nel panora-ma mondiale organizzata dall’Alleanza italiana per

lo Sviluppo sostenibile (ASviS), che si è svolta dal 22 maggio al 7 giugno. Dagli stadi della Serie A alle stazioni ferroviarie, da prestigiosi musei alle piazze di numerosi comuni, fino alle università e alle scuole, l’inte-ro paese è stato chiamato a rendere visibile l’impegno per la realizzazione dell’Agenda 2030, sottoscritta dall’Italia nel settembre del 2015 insieme ad altri 192 paesi.

Non a caso, il claim dell’edizione 2018 è Senza di te lo sviluppo so-stenibile non c’è, proprio per sensibi-lizzare fasce sempre più ampie della popolazione sulle sfide del nostro tempo: dalla povertà al lavoro, dall’e-ducazione alle disuguaglianze, fino all’energia, le infrastrutture, la coope-razione internazionale, l’ambiente, le città e l’innovazione.«Se il successo della prima edizione aveva già segnalato un interesse diffuso per le tematiche dello sviluppo sostenibile – spiegano il presidente

dell’ASviS, Pierluigi Stefanini – il Festival 2018 trasmette un messaggio forte e chiaro a tutte le componenti della società italiana: l’Agenda 2030 può e deve essere il quadro di riferimento nel quale disegnare il futuro del nostro paese». Per il portavoce dell’ASviS, Enrico Giovannini, «il nume-ro e la qualità degli eventi, in luoghi e con format molto diversi ma tutti accomunati dalla medesima finalità, testimoniano come il Festival rappresenti un’esperienza unica, cui guardano con interesse anche altri paesi europei. L’economia e la società italiana sono già in cammino verso lo sviluppo so-stenibile, ma bisogna accelerare molto il passo e la politica dovrà assumersi questo impegno».

Le tappe del FestivalL’evento di apertura del Festival, dal titolo Italia 2030. Innovare, riqualificare, investire, trasfor-mare: dieci anni per realizzare un’Italia sosteni-bile, che si è tenuto il 22 maggio all’Auditorium del Maxxi di Roma, ha guardato all’innovazione economica, istituzionale e sociale, alla necessità di una vasta riqualificazione delle infrastrutture materiali e immateriali, di un ciclo pluriennale di investimenti, anche pubblici, e di una vera e pro-pria trasformazione dell’attuale modello di svilup-po. Così si è proseguiti il 31 maggio all’UniCredit Pavilion di Milano – SDGs, Climate and the Future of Europe – con un incontro internazionale ove si è discusso di futuro dell’Europa e sostenibili-tà, mentre l’evento di chiusura del Festival si è tenuto il 7 giugno a Roma, presso la Camera dei Deputati, per condividerne i risultati con le alte cariche dello Stato. E poi tanti nuovi percorsi che partono dal Festi-val per arrivare a tutta la società. Con il proget-to ToWARD 2030: What Are you Doing?, la città di Torino, Lavazza e ASviS lanciano un progetto a cielo aperto per parlare di sostenibilità: i muri

Nella foto:

Enrico Giovannini

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della città diventano tele su cui ciascun artista – torinese, italiano e internazionale – interpreta, secondo le proprie attitudini e stili, un Goal dell’A-genda 2030. L’obiettivo è proporre un percorso artistico che, attraverso un linguaggio trasversale e immediato come la Street art, favorisca un’am-pia diffusione dei messaggi dei 17 SDGs delle Nazioni Unite.A Parma, la mostra Il Terzo Giorno offre uno sguardo nuovo e inaspettato sul tema della soste-nibilità, per riflettere sui temi dell’ambiente e del rapporto uomo-natura attraverso una narrazione evocativa e poetica. Il percorso è costituito da im-magini fotografiche, installazioni, opere realizzate in situ e dipinti, di artisti di fama internazionale.Nel weekend del 26-27 maggio, Sky Cinema ha dedicato uno dei suoi canali a una maratona di film e documentari con protagonisti i temi dello sviluppo sostenibile.

Sport e consumo responsabileGrazie alla collaborazione instaurata con il Coni, mondo dello sport e sostenibilità si avvicinano. Nell’ultima giornata di campionato di Serie A, in-fatti, prima delle partite, i bambini sono scesi in campo con lo striscione del Festival, mentre il video della campagna Senza di te lo sviluppo sostenibile non c’è è stato trasmesso sugli schermi degli stadi. Non manca, infine, il Consumo responsabile. In 12 punti vendita Coop in tutta Italia, si è svolto un Cash Mob Etico, organizzato da NeXt, Coop e ASviS, per sensibilizzare i consumatori verso scelte più consapevoli e informate e far diventare centrale lo sviluppo sostenibile nei nostri consumi.Infine, verrà lanciata la Summer School sullo Sviluppo Sostenibile, organizzata dall’ASviS in col-laborazione con diversi enti e il contributo di Leo-nardo, che mira a fornire un training di alto profilo e si svolgerà a Siena nel mese di settembre 2018. ■g

[giadis]

Sopra, il logo

del Festival

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Con la terza esortazione apostolica Gaudete et exsultate, papa Francesco ci consegna un testo sulle “beatitudini” come pratica di santità feriale: essere poveri nel cuore, reagire con umile mitezza, saper piangere con gli altri, cercare la giustizia con fame e sete, guardare e agire con misericordia, mantenere il cuore pulito da tutto ciò che sporca l’amore, seminare pace intorno a noi

di Claudia D’Antoni Nel quinto anno di pontificato, papa Francesco consegna la sua terza esortazione apostolica nel segno della letizia. Dopo l’invito a una

«nuova tappa evangelizzatrice marcata» dalla gioia del Vangelo (Evangelii gaudium) e una proposta per incoraggiare e prendersi cura dell’amore e della vita delle famiglie (Amoris laetitia), Ber-goglio dona ai credenti e al mondo intero la Gaudete et exsultate. Sulla chiamata alla santità nel mondo contempo-raneo. Non un trattato sulla santità, con tante definizioni e analisi ma un incoraggiamento che costituisce quasi un pro-memoria per la vita di ciascu-no: «tutti siamo chiamati a es-sere santi vivendo con amore e offrendo ciascuno la propria

testimonianza nelle occupazioni di ogni giorno» (Ge, 14).Questo è, del resto, il leit motive che fin dall’inizio accompagna il pontificato di Francesco: tutti i cristiani sono chiamati a una “santità semplice”, un cammi-no che ciascuno compie per-sonalmente, tutti i giorni, alla presenza di Dio, «con coraggio, speranza, grazia e conversio-ne» (omelia a Santa Marta, 24 maggio 2016). Al contempo tale cammino non avviene in solitaria: siamo incoraggiati e

accompagnati sia da coloro che «già giunti alla presenza di Dio mantengono con noi legami di amore e di comunione» (Ge, 4) sia dai cosid-detti «santi della porta accanto» cioè «quelli che vivono vicino a noi e sono un riflesso della presenza di Dio» (Ge, 4). La nostra missione è già oggiNon occorre dunque scoraggiarsi contemplando modelli che possono sembrare irraggiungibili: il Signore chiama ciascuno innanzitutto alla santità “dei piccoli gesti”. Quella di chi rinuncia a una critica, quella di chi si pone in ascolto di un altro nonostante la stanchezza. La santità diviene dun-que invito a vivere la propria missione già oggi.Bergoglio lo aveva scritto in Evangelii gaudium (273): «io sono una missione su questa terra, e per questo mi trovo in questo mondo» e lo riba-disce anche in Gaudete et exsultate: «ogni santo è una missione» (19) nella totalità della sua vita anche in mezzo a errori e momenti negativi (Ge 22, 24). Dunque, «tutti i momenti saranno sca-lini nella nostra via di santificazione» (Ge, 31): silenzio e incontro, riposo e attività, preghiera e servizio, debolezza e grazia. Tutto concorre, se-condo Francesco, a renderci «più vivi, più uma-ni», più santi.E per non sbagliare strada, nel secondo capi-tolo dell’esortazione, Bergoglio mette in guar-dia anche da due sottili nemici della santità: lo gnosticismo, per il quale si osserva «molto movimento alla superficie della mente, però non si muove né si commuove la profondità del pensiero» (Ge, 38) e il pelagianesimo, che so-stituisce il mistero e la grazia con una volontà senza umiltà fondata «unicamente sulle proprie forze» (Ge, 49).

Insieme ai santi della porta accanto

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Che fare per arrivare a essere un buon cristiano?Mettere in pratica «ognuno a suo modo, quello che dice Gesù nel discorso delle Beatitudini» (Ge, 63). Francesco le analizza e commenta punto per punto nel terzo capitolo e a esse affida gli atteggiamenti di questo cammino di santità fe-riale: essere poveri nel cuore; reagire con umile mitezza; saper piangere con gli altri; cercare la giustizia con fame e sete; guardare e agire con misericordia; mantenere il cuore pulito da tutto ciò che sporca l’amore; seminare pace intorno a noi; accettare ogni giorno la via del Vangelo nono-stante ci procuri problemi. Tutto questo, per papa Bergoglio, è santità ed essa «non si può capire né

vivere prescindendo» dalle richieste che il Mae-stro ci pone (Ge, 97). La passione per Dio non può essere slegata dalla passione per il prossimo: «il criterio per valutare la nostra vita è anzitutto ciò che abbiamo fatto agli altri» (Ge, 104).Quali, dunque, le caratteristiche della santità nel mondo attuale? Nel quarto capitolo, Fran-cesco ne pone in evidenza cinque che descrive come grandi manifestazioni dell’amore per Dio e per il prossimo particolarmente rilevanti per affrontare la contemporaneità: sopportazione, pazienza e mitezza, gioia e senso dell’umori-smo, audacia e fervore, cammino comunitario e preghiera costante.Nell’ultimo capitolo dell’esortazione Bergoglio si sofferma a descrivere il cammino di santi-tà come lotta permanente e al contempo dono di discernimento. E a coronamento di queste riflessioni il Papa rivolge un pensiero a Maria colei che, «santa tra i santi» ci mostra la via, ci accompagna e ci porta in braccio senza giudi-carci. Con lei che è Madre non occorrono molte parole per spiegare quanto ci accade: «basta sussurrare ancora e ancora: «Ave o Maria...» (Ge, 177). ■g

I santi della porta

accanto...

un’anziana aiuta

un senzatetto

e un’immagine

delll’ostello Caritas

della stazione Termini

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Se la contrapposizione tra il cristianesimo della mediazione e quello della presenza ha mostrato alla lunga i suoi limiti, forse è giunta l’ora del cristianesimo del “tempo donato”. È, in altri termini, la logica del lievito che, nella massa, non si vede ma agisce, non si distingue ma la amalgama, non ne adultera il sapore ma la rende commestibile. La massa non diventerà pane da sola. E il lievito, in sé, è inservibile, senza la massa. Una riflessione a partire dal Convegno delle presidenze diocesane dello scorso aprile

di Luca Marcelli* Popolo, popolarità, populismo. È suffi-ciente una ricerca quantitativa di questi sostantivi sulla stampa per comprende-re come il convegno delle Presidenze

diocesane di Ac (Roma, 27-29 aprile) si sia col-locato entro un orizzonte di stretta attualità in cui

gli skyline del dibattito politico e di quello ecclesiale appaiono talvolta sovrapposti, non senza reciproche strumentalizzazioni. Per segnare i passi del cammino che attende l’Ac è allora necessario non dare adi-to alla svalutazione delle nozioni di popolo e popolarità, non ridurre una categoria, quella del popolo, a un’i-deologia, snaturandola così da pro-spettiva unificante per osservare la realtà a filtro deformante.Lasciamoci accompagnare in questa riflessione da una scena memorabi-le del cinema italiano. È il 1969 e Nell’anno del Signore, primo capitolo della trilogia di Luigi Magni sulla Roma papalina, riempie i cinema alludendo indirettamente alle utopie del movi-mento studentesco. Il popolo romano assalta Castel Sant’Angelo per invo-care non la liberazione ma l’esecuzio-ne dei carbonari Montanari e Targhini; ad arginarlo è un memorabile Alberto Sordi, frate incaricato di estorcere il pentimento dei ribelli prima della loro

decapitazione. Da un pulpito improvvisato, gli occhi spiritati, il dito brandito verso l’alto, il frate lancia un’allocuzione al popolo sulla sua natura.

«Popolo, ma che te sei messo in testa? [...] Voi comanna’ te?». Il primo passaggio necessario in ambito politico ed ecclesiale che l’esperienza in Ac è chiamata a fa-cilitare è il riconoscersi da parte dei cristiani come popolo. Laddove l’indifferenza al fatto religioso e la resistenza del “cristianesimo della presenza” spingono all’individuazione del nemico come pre-testo identitario e occasione per la costituzione di micro-potentati, urge ricordare che a farci popolo non è un “noi” rassicurante, una paura comune o la rivendicazione di un potere a scapito di qualcu-no. È bensì la condivisione di un Amore inclusivo e liberante. Non a caso papa Francesco in Evangelii gaudium auspica che la comunità evangelizzatrice accorci le distanze, si abbassi fino all’umiliazione «toccando la carne sofferente di Cristo nel popo-lo». Di fronte poi alla divisione ostile quale unico canale del consenso politico, arriva per il laicato cattolico la chiamata alla pacificazione che muta obiettivi e linguaggi non in ragione di un compro-messo contrattuale a termine, ma attraverso dei valori cristianamente irrinunciabili e perenni della persona e del bene comune.

«E chi sei? Sei papa? Sei cardinale? O sei ba-rone? Ma se non sei manco barone chi sei?».Il secondo scenario di intervento per l’Ac è la di-smissione del clericalismo che ancora sa di “sup-plenza ecclesiale” e di nostalgico collateralismo politico, entrambi in passato assunti a cifra distin-tiva del laicato associato. Si tratta di non guardare il popolo né dall’alto – con la pretesa di guidarlo spocchiosamente o furbescamente – né dal basso ovvero nell’impotenza di chi si limita a fare la pro-

Buongiorno, popolo! Per un’Ac in mezzo alla gente

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pria parte, quasi fosse ospite della vita ecclesiale e politica, autoconvincendosi della propria irrilevan-za. Un’Ac popolare non si nasconde dietro logiche verticistiche attendiste o lamentando “un’ora dei laici” che continua a scoccare sulla carta, ma è forte del fatto che «lo Spirito Santo riversa santità dappertutto nel santo popolo fedele di Dio» (Gau-dete et exsultate). Un’Ac popolare non si sente ospite in nessun contesto: odora allo stesso modo dei luoghi della vita e del Vangelo, non abbandona “le cose di Chiesa” per le “cose del mondo” né viceversa, ma fa in modo che le prime si prendano amorevolmente cura delle seconde. La missione cambia verso, non senso. Non basta. In un tempo che del Vangelo ricorda poco e della vita ecclesiale conosce solo ciò che si lascia conoscere, fino a ridurla al vetusto ideale di un gruppo identificato con l’establishment, l’Ac sceglie tessendo allean-ze per suscitare nel mondo la domanda: «che cosa c’è in comune tra di noi?».

«Voi mette’ bocca? Ma se non c’è nessuno che ti dice, quando t’alzi la mattina, quel-lo che devi fa’, dove sbatti la testa? Che ne sai? Sei andato a scuola? Sai distingue’ il pro e il contro?».Una terza direttrice d’intervento è il fare dell’In-carnazione il criterio di discernimento. L’immer-sione del popolo nella vita lo tutela da quello che papa Francesco ha efficacemente chiamato disincarnazione del mistero, enciclopedia delle astrazioni. A fare propri questi parametri sono spesso tanto quei circuiti in cui l’insofferenza al mondo ha generato l’auspicio che il Vangelo non sia più per tutti, quanto quelli in cui la forza salvifica del Vangelo funge da comprimaria alle pratiche della pietà popolare. Un’Ac popolare non insegna certo al popolo cosa gli sia proprio, non si astrae dal mondo diventando “operatrice della pastorale” né dalla vita politica indicando costan-temente che il cuore delle questioni sia altrove. Un’Ac popolare resta invece aderente alla realtà della vita, scommette sulla capacità del popolo di discernere alla luce del Vangelo non in termi-ni provvidenzialistici («ciò che sceglie andrà co-munque bene!») né fatalistici («purtroppo il popo-lo ha scelto male!»). Perché questo accada un’Ac popolare perde – ma sarebbe meglio dire dona – il proprio tempo nel suo popolo, nel popolo di cui è parte e che esprime la sua identità, perché esso si innamori del Vangelo. Se la contrappo-sizione tra il cristianesimo della mediazione e

quello della presenza ha mostrato alla lunga i suoi limiti, forse è giunta l’ora del cristianesimo del “tempo donato”. È, in altri termini, la logica del lievito che, nella massa, non si vede ma agi-sce, non si distingue ma la amalgama, non ne adultera il sapore ma la rende commestibile. La massa non diven-terà pane da sola. E il lievito, in sé, è inservibile, senza la massa. Un’Ac così non è roba da carbonari. Che sia giunto forse il tempo di cam-biare il finale amaro del film di Magni e di dire “buongiorno popolo”? ■g

*responsabile nazionale Acr

Sopra: due dei relatori

al convegno delle

Presidenze,

don Cesare Pagazzi

e Luigi Alici.

Sotto: il popolo di Ac

si incontra durante

una pausa dei lavori

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G iovani, territorio, passione: queste tre parole rappresentano il filo condutto-re degli appuntamenti della prossima estate targata Ac. Un periodo che da

sempre per la nostra associazione coniuga il ripo-so alla voglia di approfondire, conoscere, interro-garsi, confrontarsi e stare insieme.Un lungo elenco di iniziative che da giugno a settembre coinvolgono i responsabili associativi e i soci da ogni parte d’Italia, con appuntamenti sparsi davvero in tutta la Penisola.Si è cominciato con il weekend per gli adultis-simi a Spello dall’1 al 3 giugno per poi conti-nuare con i tradizionali appuntamenti dei moduli estivi del settore Adulti (13-15 luglio a Palermo e 27-29 luglio a Calambrone), dal titolo Genera-tori, durante il quale i responsabili saranno aiutati a imparare a riconoscere sempre più l’Amore dal quale siamo generati, che ci rende generatori di processi e protagonisti nella vita associativa, so-ciale, familiare e lavorativa.Appuntamenti fissi sono anche il campo specia-lizzato per membri di equipe dell’Acr: dal 27

al 31 luglio ad Anagni, gli educatori rifletteranno e si confronteranno sulle pe-riferie esistenziali dei ra-gazzi e delle loro famiglie.Un’estate particolare quella del settore Gio-vani e del Movimento studenti, con l’avvicinarsi del Sinodo dei Giovani nel prossimo mese di ottobre e con un appuntamen-to molto speciale fissato proprio nel mese di ago-sto: oltre al campo per vicepresidenti, membri di equipe giovani, segreta-ri diocesani e membri di

equipe del Movimento e incaricati regionali del Settore Giovani e del Movimento (27-31 luglio a Nocera Umbra), tutti i giovani d’Italia parte-ciperanno all’incontro dell’11-12 agosto con papa Francesco al Circo Massimo, in prepara-zione al Sinodo. Un appuntamento, preceduto dai pellegrinaggi diocesani organizzati regionalmen-te, che vedrà arrivare a Roma tantissimi giovani da ogni parte d’Italia per pregare e fare festa con il Santo Padre. Sempre agosto sarà il tempo di un’altra esperien-za: tre giorni di ascolto e condivisione del territorio organizzati dal settore Adulti e dal Movimento lavo-ratori ad Arquata del Tronto, per cercare di capire insieme come possano ripartire il lavoro, la speran-za e la carità nei luoghi colpiti dal terremoto.A fine agosto tocca poi al Movimento lavoratori, con il campo nazionale a Lecce dal 22 al 26 ago-sto, per mettere a tema la questione del lavoro dignitoso, perché capace di garantire «una vita degna» (Ls, 128).Anche il mese di settembre, tempo in cui ormai sembra tutto ricominciare dopo la pausa estiva, offre ancora due importanti appuntamenti unita-ri: il primo a Viterbo, dove sabato 8 settembre, all’interno dei festeggiamenti per i 150 anni dalla nascita della nostra associazione, si svolgerà un convegno sulla figura di Mario Fani, fondatore dell’Ac e viterbese di origine, all’interno dei lavori del Consiglio nazionale.L’altro a Spello dove il 15 settembre si svolgerà la seconda edizione delle annuali Conversazioni a Spello, appuntamento che vuole valorizzare Casa San Girolamo come polmone spirituale dell’asso-ciazione e come luogo di riflessione e confronto sulla vita dell’uomo di oggi. Tema di quest’anno il rapporto tra cattolici e Islam, con più voci che dialogheranno tra loro.Il quadro degli appuntamenti nazionali è ricco e variegato; ma sappiamo che ancor più ricco è l’insieme degli appuntamenti organizzati duran-

di Carlotta Benedetti

Sono tanti gli appuntamenti nazionali in questa estate. Ma ancor più ricco è l’insieme delle iniziative organizzate dalle associazioni diocesane e parrocchiali. Ecco perché si è deciso di lanciare la campagna social “DovEstate 2018”: tutti coloro che vogliono condividere le esperienze dei mesi caldi possono segnalare la loro attività alla Promozione associativa e attraverso la pagina facebook dell’Azione cattolica inviare una foto, secondo le indicazioni disponibili sul portale associativo

Un’altra splendida estate insieme

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te l’estate dalle associazioni diocesane e par-rocchiali. Per valorizzare e far conoscere questo enorme patrimonio di riflessioni, testi, idee an-che quest’anno abbiamo deciso di lanciare per l’estate la campagna social “DovEstate 2018”: tutti coloro che vogliono condividere le esperien-ze estive possono segnalare la loro attività alla Promozione associativa e attraverso la pagina Facebook dell’Ac inviare una foto, secondo le indicazioni che a breve saranno pubblicato sul portale dell’Ac. Si tratta non solo di far conoscere le tante belle esperienze che si fanno in giro per l’Italia e che abbiamo bisogno di raccontare meglio e di più, ma anche di sottolineare la ricchezza formativa ed educativa che la vita dell’Ac offre a tutti i suoi soci, perché possano essere sempre più protago-nisti delle loro storie. ■g

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Siediti un attimo, indossa gli auricolari del tuo cellulare, apri l’app di youtube e cer-ca la canzone C’è tempo di Ivano Fossati, mandala in play. Adesso chiudi gli occhi, sta

per cominciare il tuo viaggio. Immagina di immer-gerti nel cuore verde d’Umbria, di avviarti su quella strada che ti porta a solcare la valle che da Spoleto conduce fin sotto Perugia. Solo qualche chilometro ed eccola lì, Spello, arroccata sul monte come una giovane matrona romana stesa su un triclinio.È lì che si compie il tuo viaggio. Perché Spello non è un posto qualunque, non è una semplice meta turistica da consumere in un breve passaggio estivo. Spello racchiude un tesoro che è per te e per tutti: Casa San Girolamo.La meta è raggiunta, adesso togli gli auricolari e scopri questo “tempo perfetto per fare silenzio” in cui «guardare il passaggio del sole d’estate». Goditi la cura dei fratelli che sono lì per te, per

permetterti di vivere un’esperienza di riposo del corpo, dell’anima e dello spirito. Riempiti le mani di pensieri profondi a cui attingere per estinguere la sete d’infinito che abita la tua interiorità. Ac-cogli il soffio lieve dello Spirito che, come a Elia sull’Oreb, vuole parlare al tuo cuore. Lasciati illu-minare dalla testimonianza di fratel Carlo Carretto che continua a parlare al cuore di tanti con i suoi scritti e attraverso le persone che lo hanno in-contrato. Casa San Girolamo è il forziere che cu-stodisce tutta questa ricchezza. È lo scrigno dove l’Azione cattolica italiana custodisce i gioielli più preziosi del suo “futuro presente”.

Lo scrigno che si apre alla tua vitaAnche questa estate questo scrigno si apre per donare a te e a chiunque lo voglia questo tesoro immenso. Si apre, per donarti momenti di studio e approfondimento di un’autentica vita laicale vissu-

di Michele Pace*

L’estate a San Girolamo: un tempo per dare respiro alla vita. Da giugno a metà settembre la casa è aperta tutti i giorni per chiunque voglia passare per condividere una giornata in preghiera e fraternità. Nello stesso periodo è assicurata la presenza di un sacerdote che si prende cura della vita di preghiera della casa ed è a disposizione per ascoltarti e donarti qualche perla preziosa. Nei fine settimana, poi, la Presidenza nazionale ha organizzato una serie di appuntamenti di diverso genere per aiutare ad entrare nella profondità della vita

Dicono che c’è un tempo per seminare

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ta secondo lo Spirito. Si apre, per offrirti momenti di ascolto e di meditazione della Parola che salva e che dona vita. Si apre, per aiutarti a scoprire Dio in una vita ordinaria fatta di eventi che con solo nella Sua compagnia possono acquistare il sapore dello straordinario. Sia apre, per offrirti un tempo per te, per darti la possibilità di raccogliere i pensieri più belli e mettere ordine nelle tue giornate caotiche.Dalla seconda metà di giugno alla prima di settem-bre la casa è aperta tutti i giorni grazie alla cura generosa dei volontari dell’associazione che sono pronti ad accogliere te e chiunque voglia passare per condividere una giornata in preghiera e frater-nità. Nello stesso periodo è assicurata la presenza di un sacerdote che si prende cura della vita di pre-ghiera della casa ed è a disposizione per ascoltarti e donarti qualche perla preziosa. Nei fine settima-na, poi, la Presidenza nazionale ha organizzato una

serie di appuntamenti di diverso genere per aiutarti a entrare nella profondità della vita. A tal proposito ti invito a scaricati il volantino di Casa San Giro-lamo dal sito della casa (www.casasangirolamo.azionecattolica.it) e a iscriverti all’indirizzo indicato su di esso ([email protected]). An-che quest’anno l’estate di Spello culminerà con la fantastica esperienza delle Conversazioni di Spello il 15 settembre 2018 sul tema Cattolici e Islam, un appuntamento prezioso per stare dentro la storia con quella postura dialogica propria della nostra associazione. «Dicono che c’è un tempo per seminare» e questo tempo è proprio questa estate. Per il mondo è il tempo della raccolta tu semina. Ti accorgerai facen-dolo, che è più prezioso il tempo della semina che quello della raccolta... il resto è nelle mani di Dio. ■g

*assistente nazionale Msac e Mieacor

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ti di

Ac

Nelle foto:

Casa San Girolamo,

la veduta esterna

e il bellissimo chiostro

interno

Da un percorso spirituale sperimentato presso Casa San Girolamo a Spello nasce un testo – anticipato in una serie di articoli in forma breve pubblicati su Segno nel mondo lo scorso anno – per offrire ai lettori quattro “strumenti” riguardo il proprio cammino interiore: taccuino, regola, accompagnamento e discernimento.

Uno strumento semplice insomma, ma dalle potenzialità uniche. Ascoltarsi, per ascoltare l’Altro. E allenarsi, anche così, al primato della vita. Il libro allena “ai fondamentali”, ai passi concreti e indispensabili per procedere nella maturazione interiore. L’adagio di San Agostino, «Il mio cuore non ha pace finché non riposa in Te», domanda pratiche e operazioni sapienti. L’obiet-tivo è acquisire i gusti di Dio, apprendere i sentimenti del Figlio, respirare la gioia di essere amati e di saper amare. Oltre ai testi prodotti da alcuni degli assistenti nazionali dell’Azione cattolica dello scorso anno (Emilio Centomo, Michele Pace, Marco Ghiazza e Antonio Mastantuono), se ne aggiunge uno a firma di padre Amedeo Cencini, canossiano e psicoterapeuta, formatore di lungo corso. Da un’angolatura psicologica e insieme spirituale egli aggiunge ulteriori attenzioni pedagogiche perché il cammino credente proceda lesto e senza inganni.

Libro Ave - Quaderni di SpelloGli strumenti per la vita spirituale

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S ono trascorsi trent’anni dalla morte di fratel Carlo Carretto (Alessandria, 2 apri-le 1910 – Spello, 4 ottobre 1988) e oggi come ieri, ripercorrendone la biografia e

rileggendone i numerosi volumi, se ne avverte la statura umana e cristiana, il tratto educativo matu-rato in Azione cattolica (fu presidente della Giac tra gli anni ’40 e ’50), la profondità spirituale e biblica seminata e plasmata nel deserto del Sahara, tra i Piccoli fratelli di Charles de Foucauld e, nell’ulti-mo e lungo tratto della vita nella fraternità fondata a Spello, nell’antico monastero di San Girolamo. Dove oggi un continuo pellegrinaggio si sofferma sulla sua tomba e dove l’Ac ha rilanciato l’espe-rienza carrettiana tra preghiera, amicizia e Bibbia (si veda l’articolo precedente di don Michele Pace).Per il trentesimo della morte sono previste alcune iniziative (www.azionecattolica.it) tra estate e pros-simo autunno, compreso un libro dell’editrice Ave (www.editriceave.it).

Le parole di fratel Carlo«Spello mi è venuto incontro come un dono di Dio»: è una frase, piuttosto nota, di Carlo Carretto che non ha mai nascosto il suo amore per Spello, per il

monastero di San Girolamo, per il Monte Subasio. Dopo diver-se tappe della sua vita, fra cui – una volta lasciata l’Ac – un decennio nel deserto del Sahara in compagnia della sola Bibbia, a metà degli anni ’60 del Nove-cento torna in Italia e “mette le radici” nella cittadina umbra per creare una comunità dei Piccoli fratelli del Vangelo, ispirata agli insegnamenti di de Foucauld. Un luogo appartato ma con le porte spalancate per accogliere giovani e meno giovani – che giungevano a migliaia – alla ri-

cerca di se stessi e di Dio. «Ho scelto il più bel posto del mondo», confida, un luogo reso bello dal silen-zio, dal lavoro, dalla Sacra Scrittura, dalle liturgie e dalle preghiere, dalle gioiose relazioni interpersonali che avevano fatto di San Girolamo un cuore pulsan-te del cattolicesimo italiano post-conciliare. «Una delle fortune più grandi che mi son capitate nella vita è stata senza dubbio la scoperta della Bibbia che ho fatto verso i vent’anni – annota in uno dei suoi volumi, Ciò che conta è amare (Ave) –. Attribuisco a tale scoperta quel po’ di sensibilità religiosa che mi condusse prima a donarmi all’apo-stolato nel mondo e, più tardi, a ricercare l’assoluto in una congregazione contemplativa come quella dei Piccoli Fratelli del padre di Foucauld. La Bibbia non mi ha mai deluso. Ho trovato in essa ciò di cui la mia anima aveva bisogno, tappa dopo tappa». Quel legame profondoIn questo anniversario, che vede da un decennio le porte di San Girolamo nuovamente spalancate a chi cerca una sosta, relazioni rinnovate o un “rilan-cio”, è importante sottolineare il forte legame che

Sono trascorsi trent’anni dalla morte di Carretto, la cui esistenza è stata segnata dalle esperienze in Azione cattolica, nella fraternità di Charles de Foucauld e dalla lunga fase al monastero di San Girolamo a Spello. Un ricordo dell’educatore di Ac che seppe interpretare il rinnovamento conciliare mettendo in relazione la fede con le “accelerazioni” di una società in profonda trasformazione

Bibbia, silenzio e missionenel segno di fratel Carlo

Due immagini di fratel

Carlo Carretto

a San Girolamo

di Spello.

Sono tratte

dal Fondo fotografico

di Ennio Angelucci,

Archivio Isacem

Istituto per la storia

dell’Azione cattolica

e del movimento

cattolico in Italia

Paolo VI

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unisce l’Azione cattolica italiana con il monastero e con Spello. Anni dopo il terremoto del 1997, che aveva segna-to la struttura del monastero, il Comune di Spello ha potuto ristrutturare il complesso architettonico, risalente alla fine del ‘400. Con il concorso dell’A-zione cattolica, esso è tornato ad essere un’oasi di silenzio e meditazione attorno alla Parola e all’Euca-restia, nonché un centro di elaborazione del pensie-ro religioso e culturale nel nuovo contesto storico.

Il “ritorno” dell’Ac a Spello viene favorito e perfe-zionato da una serie di eventi e contatti avviati tra l’Amministrazione comunale guidata dal sindaco Sandro Vitali – e proseguiti col successore More-no Landrini – e la presidenza di Ac con Luigi Alici (2005-2008), Franco Miano (2008-2014), fino agli sviluppi recenti con la presidenza di Matteo Truffelli (a partire dal 2014). Nella relazione pronunciata durante l’Assemblea nazionale di Ac del 2008 il presidente Alici afferma: «Probabilmente i tempi sono maturi perché l’As-sociazione possa darsi un “polmone spirituale”, da custodire come la pupilla dei propri occhi: una sorta di laboratorio dello spirito e della formazione, dove è perennemente accesa una luce di contemplazione, di studio, di maturazione vocazionale e formativa, capace di far incontrare la Parola e la coscienza».

Una storia che continuaCon la presidenza Miano il “sogno” dell’Azione cat-tolica su San Girolamo assume progressivamente concretezza. All’assemblea nazionale del 2011, Miano mette nero su bianco l’importanza centrale, strategica, di San Girolamo, da poco riaperto, per l’Azione cattolica parlando del «polmone spirituale che l’Associazione ha iniziato a vivere e a respirare a Spello: un luogo vivo e significativo dove si può condividere un’esperienza concreta ed esemplare di contemplazione, discernimento e vita spirituale, capace di alimentare la vocazione formativa dell’A-zione cattolica, dando sempre nuovo slancio al suo impegno di evangelizzazione, santificazione e ani-mazione cristiana dell’ordine temporale». L’attuale presidente di Ac, Matteo Truffelli, nella sua relazione all’Assemblea nazionale del 2017, rifletten-do sulla responsabilità di prendersi cura «della vita spirituale di ciascuno, a ogni età, in ogni condizione», sottolinea: «L’esperienza di Casa San Girolamo, a Spello, rappresenta ormai un patrimonio consolidato e prezioso da questo punto di vista. Dobbiamo conti-nuare a prendercene cura, per farne sempre di più un luogo di ricerca e di concreta esperienza».Ebbene, questo “patrimonio” associativo dev’es-sere custodito, vissuto, valorizzato. E il trentesimo della salita al cielo di Carlo Carretto può fornire una buona occasione per una visita e una sosta. Per ripartire di slancio. ■g

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«P er tutti, all’interno della città Leonina, era semplicemente “il Professore”. Vi arriva il pri-mo settembre 1984 quando

Giovanni Paolo II lo chiama a dirigere il giornale vaticano L’Osservatore Romano. Ma Palazzo apo-stolico e Città del Vaticano non erano per lui luo-ghi sconosciuti, avendoli frequentati a lungo nella sua veste di responsabile dell’Azione cattolica italiana, della quale era stato già educatore dei ragazzi nella sua parrocchia di Serino, provincia di Avellino, la località dove era nato 87 anni fa; poi presidente diocesano e delegato regionale

prima di approdare al centro na-zionale in via della Conciliazione come vice presidente per il set-tore Adulti e successivamente presidente nazionale». In questa carica succede a Vittorio Bache-let, «in un momento delicato della vita dell’associazione, chiamata a tradurre le scelte fondamentali del rinnovamento conciliare alla luce

del nuovo Statuto dell’associazio-ne, approvato nel 1969». Così il giornalista Fabio Zavattaro ricorda, sul sito dell’Azione cattolica italia-na, il prof. Mario Agnes, scomparso lo scorso 9 maggio, al quale si ac-compagna l’abbraccio della Presi-denza nazionale e di tutta l’Azione cattolica: «in questo triste momen-to, la nostra preghiera accompagni

un uomo giusto e buono tra le braccia del Signore nostro Padre, con gratitudine per il suo servizio all’associazione».Come presidente dell’Ac, Mario Agnes vivrà an-che momenti drammatici della vita nazionale e, naturalmente, anche dell’associazione: l’uc-cisione da parte delle brigate rosse, nel 1978, del presidente della Democrazia cristiana, Aldo Moro, amico di Paolo VI dai tempi della militan-za nella Fuci. E due anni più tardi l’uccisione, sempre da parte delle Br, del vice presidente del Consiglio superiore della magistratura, Vittorio Bachelet. Proprio il presidente al quale, sette anni prima, era succeduto alla guida dell’Azione cattolica.Come presidente nazionale di Ac, scriveva papa Benedetto in una lettera nel giorno in cui Mario Agnes lasciava l’incarico di direttore de L’Os-servatore Romano, «curò in modo particolare il settore della stampa provvedendo, tra l’altro, al coordinamento e alla qualificazione delle testa-te esistenti, per rendere più incisiva nell’agorà massmediatica la presenza del laicato cattolico. A tal fine, non mancò di sollecitarne il concorde intervento su temi di grande rilievo ecclesiale e sociale, quali la conoscenza approfondita degli insegnamenti conciliari e la loro traduzione nella vita concreta, l’attenzione alla realtà della per-sona umana e alle esigenze connesse col rispet-to della sua dignità, la difesa della vita umana in tutto l’arco della sua esistenza, l’impegno a fare dei gruppi associativi autentiche scuole di formazione alla democrazia». ■g

Lo scorso 9 maggio è tornato a Dio l’ex presidente nazionale dell’Azione cattolica italiana e già direttore de L’Osservatore Romano. Una vita spesa a servizio del Vangelo

Mario Agnes: da presidente Acalla guida del giornale del Papa

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■ Quale politica per l’Italia?Caro direttore, mi risuonano ancora nelle orec-chie le parole di papa Francesco un anno fa in piazza San Pietro: «Impegnatevi nella politica, ma quella con la P maiuscola..». Poi sono arrivate le elezioni del 4 marzo, precedute da una campagna elettorale davvero di basso profilo: banalità su ba-nalità, sciocchezzaio, promesse gettate in pasto agli elettori come fossimo tutti dei fessi. […] Per non parlare della successiva fase di trattative per la formazione del governo! Non so se l’Italia sia messa meglio o peggio, politicamente parlando, degli altri paesi europei. Ma certo vedo la neces-sità di una rinnovata formazione sociale e politica, che aiuti giovani e adulti a mettere in fila i ragio-namenti, i valori, le idee. E capace di ricordare a ciascuno di noi che l’Italia siamo noi. ■g

Marco Rota

■ La voce del card. BassettiSpettabile redazione di Segno, nella vita politica nazionale per fortuna risuona la voce… del car-dinal Bassetti. Uno dei rari momenti di alta rifles-sione politica degli ultimi mesi mi è giunta non grazie a qualche leader di partito, a un esponente delle forze che hanno vinto le elezioni, oppure a un capo di quelle che le hanno perse. Ma dal cardinale presidente della Conferenza episco-pale, durante l’assemblea dei vescovi a maggio. Invito a rileggere quelle valutazioni, posate, equi-librate, capaci di intravvedere un futuro. Tutt’altro rispetto alle sciabolate che giungono dai corridoi romani... Come Ac dovremmo muoverci in questa direzione sapienziale (portate pazienza, ma non mi vengono altri termini, comunque credo che ci siamo capiti...). ■g

Eugenia V.

È on line il portale d’informazione CEInews, che attraverso l’aggregazione e la convergenza cooperativa dei contenuti punta a valorizzare i media della Conferenza episcopale italiana (Avvenire, Agenzia Sir, Radio InBlu e Tv2000), la Commissione nazionale valutazione film (Cnvf) e altre realtà collegate alla Cei. CEInews,

si legge nella presentazione del portale, nasce per «rafforzare la comunicazione della Chiesa italiana nel dibat-tito pubblico partendo dalla notizia per andare oltre la notizia e offrendo percorsi di senso attorno a tematiche particolarmente sensibili e strettamente legate all’attualità».Sulla scia delle opportunità offerte dalla multimedialità e dalla cross-medialità, CEInews favorisce la sinergia tra le fonti d’informazione (agenzia, quotidiano, tv, radio e web) per aprire una finestra di condivisione e di dialogo interattivo con tutti. Nelle diverse sezioni del portale sono presenti Focus di approfondimento, hashtag tematici, bottoni e finestre che rimandano alle app e ai social network di #CEInews e dei media collegati alla Cei. I con-tenuti di CEInews sono rilanciati e condivisi sui social network più utilizzati come Facebook, Twitter e YouTube.

CEInewsNuovo portale d’informazione della Chiesa italiana

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N ella vicenda storica ci sono delle date che assumono un significa-to particolare, poiché segnano un punto di svolta per una generazione

e spesso per quelle a venire. Una di quelle curve della memoria dove vissuto e retorica diventano

un tutt’uno e il mito si so-vrappone all’eredità stori-ca. In questo album dei ri-cordi collettivo trova buon diritto a stare il Sessantot-to, per molti la primavera del secolo breve. Cosa fu quella stagione? Cosa rimane delle sue rivendi-cazioni egualitarie, delle sue parole d’ordine? Che fine hanno fatto le utopie di cui era intriso? In che maniera ha attraversato la Chiesa cattolica? Come ha cambiato il rapporto tra le generazioni? Sono alcune delle domande cui prova a dare risposta Dia-loghi (n. 2-2018), il trime-strale culturale promosso dall’Azione cattolica ita-liana – da poco rinnovato nella sua veste grafica –, realizzato in collaborazio-ne con l’Istituto “Vittorio Bachelet” per lo studio dei problemi sociali e politici, con l’Istituto per la storia dell’Azione cattolica e del movimento cattolico in Italia “Paolo VI” e con l’I-stituto di diritto internazio-nale della pace “Giuseppe Toniolo”.

La rivista propone il dossier 1968, l’utopia tradita?, curato da Luciano Caimi ed Enzo Romeo, con contributi di Paolo Pombeni (Che cosa è successo nel Sessantotto?), Fausto Colombo (La rivoluzione comunicativa, tra slogan e nuove immagini), Adriano Zampe-rini (Lo scontro intergenerazionale nel segno dell’autoritarismo), Francesco Bonini (La rottura politico istituzionale), Piero Pisarra (Mondo cattolico e contestazione studente-sca), Salvatore Natoli (Che cosa ci ha lascia-to il Sessantotto?)Scorrendo l’indice della rivista, vi segnaliamo, con un occhio all’attualità politica, l’editoriale del direttore Pina De Simone (C’era una volta l’utopia. E forse c’è ancora...). Seguono i con-tributi di “Primo piano”: Fabio Bordignon e Lui-gi Ceccarini analizzano la nuova legislatura e le prospettive di governo del paese; Teresa Borelli presenta l’Esortazione apostolica Gaudete et exsultate, dedicata da Francesco alla chiamata alla santità nel mondo contemporaneo.Per la rubrica “Eventi e idee”: Giancarlo Grossi ci porta al cinema analizzando come il grande schermo ha raccontato e racconta oggi l’impe-gno sociale, da De Sica a Loach, da Germi ad Amelio; si occupa invece di bullismo e delle sue diverse forme Luca Diliberto, nell’articolo i dati di una vera è propria emergenza sociale dei no-stri tempi.Nutrita come sempre la sezione “il libro & i li-bri”. Articoli di: Andrea Lavazza (Il sé esposto di L. Vantini); Andrea Dessardo (Praga ’68. Le idee della Primavera di R. Gatti); Fabio Maz-zocchio (Amartya Sen. Tra economia ed etica di C. Caltagirone); Michele Tridente (La globa-lizzazione di M. Steger e Il futuro senza lavoro di M. Ford). Chiude Markus Krienke che cura il “Profilo” di Konrad Adenauer, statista tedesco e uno dei padri fondatori dell’Unione europea. ■g

*redazione Dialoghi

Cosa rappresentò la stagione tra gli anni Sessanta e Settanta? Cosa rimane delle sue rivendicazioni egualitarie, delle sue parole d’ordine? In che maniera ha attraversato la Chiesa cattolica? Come ha cambiato il rapporto tra le generazioni? Sono alcune delle domande cui prova a dare risposta Dialoghi (n. 2-2018), il trimestrale culturale promosso dall’Azione cattolica italiana. Ripensare il passato per approdare meglio a un futuro migliore per tutti

Che fine ha fatto il ’68di Antonio Martino*

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IIn un passaggio cruciale della storia della Chiesa e dell’Italia, nel pieno del processo di unificazione, due giovani cattolici danno vita a un’associazione di laici che diventerà l’Azione

cattolica italiana. Il senso di tale impresa è rivolto, insieme alla difesa della Chiesa, alla formazione spirituale e culturale delle persone, unita a un co-raggioso impegno sociale e civile, volto a rilanciare il ministero del papa e la sua missione universale. Protagonista della vicenda è Giovanni Acqua-derni, fondatore con Mario Fani della Società della gioventù cattolica: cresciuti nel clima dell’intransi-genza, essi sanno guardare avanti, impostando un nuovo rapporto con la modernità. Ne scrive in un saggio edito da San Paolo, dal ti-tolo Un altro Risorgimento. Alle origini dell’Azione cattolica per una biografia di Giovanni Acquaderni, Ernesto Preziosi, attivo da sempre nel campo del-la formazione sociale e politica, con un lungo impe-gno associativo nel curriculum e una ricca attività

pubblicistica, autore di saggi di storia contempo-ranea, tra ai quali ricordiamo Tra storia e futuro. Cento anni di Settimane sociali dei cattolici italiani (Roma 2010); Il Vittorioso, storia di un settimanale per ragazzi (Bologna 2012); Giuseppe Toniolo. Alle origini dell’impegno sociale e politico dei cattolici (Milano 2012).Acquaderni, accanto al contributo decisivo fornito alla guida dell’Opera dei Congressi, è fondatore e animatore di molte iniziative, dal Credito romagnolo all’Avvenire d’Italia. Egli diventa così punto di rife-rimento per una lunga stagione che vede l’avvio della presenza organizzata del laicato cattolico, impegnato a “fare gli italiani”, con un decisivo con-tributo per quella “educazione popolare” capace di tradursi in servizio ecclesiale e politico.Un altro volto del Risorgimento che si proietta nella storia italiana fino ai giorni nostri, secondo quanto il Concilio Vaticano II ha disegnato per la natura della Chiesa e la missione del laicato. ■g

«Questo libro nasce dalla raccolta di esperienze, incontri, storie, pensieri e riflessioni, che sono la “materia prima” del piccolo blog personale che curo quotidianamente. Con l’aiuto di alcuni amici ho selezionato i materiali di carattere più personale e li ho raccolti attorno ad alcune di-

mensioni che “disegnano” i miei legami: sentimenti, parole, gesti, figli, addii, persone, interiorità, luoghi e vita quotidiana». Un libro che «parla di umanità» e vorrebbe «aiutare a scorgere, nelle piccole e banali cose che ci accadono, quel senso bello che apre lo sguardo e dona colore alla vita». Marco Zanoncelli, già vice presidente per il settore Adulti dell’Ac diocesana di Lodi, è laureato in Fisica e in Scienze religiose, lavora come analista informatico su progetti internazionali. Impegnato in attività di carattere educativo e carita-tivo, cura il blog https://qiqajonblog.wordpress.com/. A Zanoncelli si deve il volume La vita a colori. Storie da un insolito blog, pubblicato dalle Edb di Bologna. Una lettura per addentrarsi nel tempo che viviamo.

Oltre il blogLa vita a colori di Marco Zanoncelli

Acquaderni, “fare gli italiani”:fede, Ac e Risorgimento Giovanni Acquaderni diventa un punto di riferimento per una lunga stagione che vede l’avvio della presenza organizzata del laicato cattolico, impegnato a “fare gli italiani”, con un decisivo contributo per quella “educazione popolare” capace di tradursi in servizio ecclesiale e politico. Un nuovo saggio storico di Ernesto Preziosi

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di Giovanni Tangorra*

Ci troviamo in un’epoca dell’uomo o del cristiano che si stanno cercando. Anziché rifugiarsi in ricette preconfezionate, elaborate nella mente di qualche dotto solitario, forse la soluzione è a portata di mano: sentirci di nuovo parte di un popolo pellegrinante e responsabile, che avverte la gioia della compagnia, e che supera la sterilità di un cristianesimo “fai da te”

I molti nomi della Chiesa servono a spie-garne la natura. I principali sono popolo di Dio (Padre), corpo di Cristo, tempio del-lo Spirito che, come si vede dai genitivi,

rimandano a una specificazione trinitaria. Per questo sono inseparabili, contrapporli, o sce-gliere arbitrariamente un nome al posto di un altro, confonde l’ecclesiologia.Ciò non impedisce scelte discrezionali sapendo che la Chiesa, comunque si chiami, è sempre in comunione con l’indivisibile Santa Trinità, da cui proviene e verso cui è in pellegrinaggio. Per questo la Lumen gentium, elevando il “popolo di Dio” a nozione-guida, predispone la scelta con la bella frase di san Cipriano, che definisce la Chiesa: «Popolo radunato nell’unità del Pa-dre, del Figlio e dello Spirito Santo» (n. 4).La preferenza conciliare ha varie motivazioni. Alcune furono chiarite dalla relazione di mon-signor Gabriel Garrone che, spiegando la stori-ca decisione di spostare il capitolo sul popolo

di Dio dal terzo posto (dov’era inizialmente) al secondo (e cioè prima del capitolo dedicato alla gerarchia), disse che dove-va servire a esporre la Chiesa nella sua totalità, «vale a dire il popolo di Dio, nella quale ogni vocazione gode radicalmente della medesima dignità». Il fine principale era quindi re-cuperare il “noi” dei battezzati a fronte dell’essere e della mis-sione della Chiesa. Il capitolo secondo della Lumen gentium va letto con questa importante chiave di lettura: ciò che lì si scrive vale per tutti, è «ugual-

mente diretto ai laici, ai religiosi e al clero» (LG 30). Prima di scandire la specificità delle funzioni o delle vocazioni, le varie articolazioni ecclesiali devono pensarsi in una logica di in-sieme, sapendo appunto che il soggetto della Chiesa non è questo o quello, ma tutti nell’uni-tà di un popolo. Dopo il Concilio, la nozione di “popolo di Dio” ha conosciuto un quasi oblio, per due riduzioni interpretative: quella sociologica e quella co-stitutiva. La prima ha trascurato la dimensione verticale, mentre nella Bibbia si passa dallo stato di non-popolo a quello di popolo proprio per l’appartenenza a Dio (‘am segullah). Per Yves Congar, «“popolo di Dio” significa eviden-temente una moltitudine di uomini sui quali Dio regna». La seconda riduzione è tornata a identificare il popolo con i laici, facendone una categoria rivendicativa e allontanandosi dalle intenzioni globali del Concilio. A questa crisi hanno contribuito ragioni cultu-rali. Soprattutto in Occidente, l’idea di popolo rappresenta ormai qualcosa di astratto, giac-ché tutto ruota intorno all’individuo. Si spiega la nostra difficoltà a capire concetti come “bene comune”. Non sorprende quindi se il vescovo di Roma preso «quasi alla fine del mondo», e cioè da una cultura latinoamericana ancora costru-ita sul concetto di “popolo”, lo stia proponendo con tanta energia. Per Francesco non è solo una conversione teologica o pastorale ma una rivoluzione culturale, che deve portare a pro-fessare il primato del sociale (e del relazionale) contro la dittatura dell’individualismo. È ormai palese che l’ecclesiologia dell’attuale vescovo di Roma ruoti intorno alla nozione di “popolo di Dio”. È sufficiente ricordare la sua frequente citazione di Lumen gentium 9: «Dio

A proposito di popolo di Dio

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volle santificare e sal-vare gli uomini non in-dividualmente e senza alcun legame tra loro, ma volle costituire di loro un popolo, che lo riconoscesse secondo la verità e lo servisse nella santità». La tro-viamo anche nella re-

cente Esortazione Gaudete et exsultate, dove si afferma che «Dio ha voluto entrare in una dinamica popolare, nella dinamica di un popo-lo» (n. 6).La dinamica popolare è una caratteristica del-la versione di Jorge Mario Bergoglio. Essa lo porta a giudicare negativamente le concezio-

ni elitarie, gli intellettualismi, e a dirigere gli sguardi verso la santità della “porta accanto”, per riallacciarsi agli strati più umili della so-cietà e dell’anima cristiana. Da ciò derivano l’opzione per i poveri, el corazón del pueblo, e l’importanza attribuita alla fede popolare che l’Evangelii gaudium, sulla scorta di Aparecida, chiama “mistica popolare” (n. 124). Ci troviamo in un’epoca dell’uomo o del cristia-no che si stanno cercando. Anziché rifugiarsi in ricette preconfezionate, elaborate nella mente di qualche dotto solitario, forse la soluzione è a portata di mano: sentirci di nuovo parte di un popolo pellegrinante e responsabile, che avver-te la gioia della compagnia, e che supera la sterilità di un cristianesimo “fai da te”. ■g

*assistente nazionale Meic

Bergoglio insiste sul concetto di “popolo”. Per Francesco

non è solo una conversione teologica o pastorale ma una

rivoluzione culturale, che deve portare a professare il primato del sociale (e del relazionale)

contro la dittatura dell’individualismo

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«Vento d’estate io vado al mare, voi che fate...?». Qualche anno fa la voce, bella e delicata, di Niccolò

Fabi passava nelle radio con questo motivetto. Tutti l’abbiamo canticchiato almeno per qualche mese nei nostri tragitti verso le vacanze o più semplicemente verso il mare. Un viaggio in macchina, magari fatto in coda per il traffico, sotto il sole cocente, e la canzone dell’estate che fa da colonna sonora, sono alcu-ne delle caratteristiche − molto esteriori − del tempo di estate che tra qualche giorno vivremo. L’estate, forse più di ogni altra stagione, ci mette addosso il desiderio di uscire, di fare qualcosa di diverso rispetto al resto dell’anno: ne è con-

ferma la voglia di vacanza o di week end lunghi, oppure quella di conoscere qualche località con spiagge bellissime o il desiderio di lunghe passeggiate in montagna. L’estate, alla fin fine, è il tempo per fare cose belle che abbiano a che far con la gratuità piuttosto che con la produttività.In questa “riscoperta” della gra-tuità estiva rientrano anche tutti i campi scuola e le esperienze che la nostra Ac propone, e che permettono, in modo del tutto sin-golare ed efficacissimo, di uscire dalla normalità dei luoghi invernali e di riempirsi il cuore della novità

dei luoghi estivi, facendo tesoro di esperienze intense e profonde.Il tempo dell’estate, trascorso al mare o in mon-tagna, in Italia o all’estero, a casa oppure nei

tanti, bellissimi luoghi della nostro paese, serve innanzitutto per rendere ancora una volta bella la nostra vita, facendola intima e profonda; e per guardare poi, con più attenzione, a quello che ci succede intorno e dare così le giuste indicazioni al nostro cuore.Come allora rendere il nostro tempo d’estate un tempo di rigenerazione per la nostra vita (e so-prattutto per le nostre idee)?Ecco alcuni suggerimenti che mi permetto di consegnare ai lettori. Vivere l’estate come tempo della gratuitàSe in qualche modo la vita di molti non rallen-terà nemmeno nei mesi estivi, perché piena di attività o cose da fare, va almeno cambiata, ri-spetto all’inverno, la “prospettiva”: nei campi e nelle attività che l’Ac propone si sperimenta il tempo della gratuità, della bellezza del donarsi e la capacità di fare qualcosa solo “per amore” e non “per guadagno”. «“Che cosa ne guadagni?”, disse il piccolo principe alla volpe. “Niente”, dis-se la volpe, “ne guadagno il colore del grano”».Riscoprire il tempo della gratuità allora è risco-prire uno sguardo nuovo sulle cose, sulle perso-ne, e ritrovare la bellezza dei colori perduti. In questo tempo di gratuità si concretizza poi l’attenzione alla vita delle persone. Il piccolo principe e la volpe diventano amici nella gratuità del dono del loro tempo. Ritengo che qui abbia un ruolo fondamentale la nostra vita di cristiani e di associati: il tempo dell’estate è tempo della riscoperta della bellezza e della vita moltiplicata, non della fine di ogni attività ecclesiale. L’estate, per noi di Ac, dovrebbe diventare il tempo della bellezza dell’annuncio, non la fine delle attività.

L’estate serve innanzitutto per rendere ancora una volta bella la nostra vita, facendola intima e profonda; e per guardare poi, con più attenzione, a ciò che ci succede intorno e dare così le giuste indicazioni al nostro cuore. Ecco perché attraverso i campi scuola di Ac, riprendiamo le forze attraverso la bellezza degli incontri per poter ripartire con più entusiasmo

Campi scuola, il tempo della gratuità

di Tony Drazza*

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…come tempo della lentezzaAccanto al gran da fare, alla cose da organizzare e alla moltiplicazione del tempo bello, è necessa-rio anche riscoprire un tempo e un luogo per la lentezza. Infatti, prenderci cura della nostra vita, fisica e spirituale, ha a che fare con la lentezza, con la riflessione e con le cose dette sottovoce. Ritengo che l’estate sia il miglior tempo per fare una verifica della nostra vita. Che cosa ho fatto? Che cosa sogno per la mia vita? Le cose che fac-cio e la preghiera che porto nel cuore incidono nella mia vita? Quali sono i passi significativi che sto facendo?Il tempo dell’estate serve anche per capire, rallentando il passo, che non dobbiamo sem-pre “inseguire” i nostri impegni, gli incontri o le cose da fare. È bello invece essere dei “rag-giunti” dalla nostra anima. Siamo vivi perché alla fine Qualcuno ci raggiunge e ci dice il suo affetto.

La lentezza ci aiuterà anche a dare spazio allo Spirito, alla capacità di meditazione, alla forza di andare più in profondità.

…come tempo della riscopertaL’estate può anche diventare il tempo della risco-perta delle amicizie, dei rapporti belli che per tanti motivi, durante l’inverno e il lavoro, abbiamo tra-scurato. Uscire con gli amici, raccontarsi la vita e i sogni, chiedere di essere sostenuti, e poi anche sostenere, ci aiutano a diventare più umani e meno macchine, più sensibili al cuore e meno al profitto.Il tempo dell’estate, se vissuto bene, dovrebbe farci diventare più attenti, più delicati e più capaci di ac-coglienze. Il tempo dell’estate, con tutto il suo cari-co di vita per noi di Ac, dovrebbe essere il tempo in cui riprendere le forze attraverso la bellezza degli incontri e della profondità, per poter poi ripartire con più entusiasmo. ■g

* assistente nazionale settori Giovani di Ac

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IL PAPA DEL CONCILIO E IL VESCOVO SALVADOREGNO MARTIRE SARANNO CANONIZZATI IL PROSSIMO 14 OTTOBRE. «CONVINTA E COERENTE TESTIMONIANZA DEL SIGNORE GESÙ», IL LORO «ESEMPIO CONTINUA A ILLUMINARE LA CHIESA E IL MONDO SECONDO L’OTTICA DELLA MISERICORDIA»

Papa Francesco: Paolo VI e mons. Romero santi

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