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Silvia Carraro SOCIETÀ E RELIGIONE NELLA VENEZIA MEDIEVALE Il monastero di San Lorenzo di Castello Laurea quadriennale

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Silvia Carraro

SOCIETÀ E RELIGIONE NELLA VENEZIA MEDIEVALE Il monastero di San Lorenzo di Castello

Laurea quadriennale

13Società e religione nella Venezia medievale

INDICE DELLA TESI

AbbreviazioniPremessa1. Il monastero 1.1 I documenti 1.2 La fabbrica del monastero 1.3 San Lorenzo in epoca medievale: tra tradizione e documenti 1.4 Le monache 1.4.1 I nomi: presenze e assenze 1.4.2 Provenienze sociali 1.4.3 Le funzioni delle monache all’interno della comunità2. Parrocchialità e laicità : le liti con San Severo 2.1 Il testamento del vescovo Orso 2.2 L’elezione del pievano 2.3 Una vittoria parziale 2.4 La tenacia dei parrocchiani 2.5 Una sconfitta annunciata 2.5.1 I vicini3. La religiosità dei laici: i testamenti 3.1 La devozione laica nella Venezia del Duecento 3.1.1 Le scuole devozionali e gli ordini mendicanti 3.1.2 Un florilegio di monasteri. Forme di religiosità e devozione Femminile 3.2 I devoti di San Lorenzo e le relazioni del monastero a Venezia 3.3 I testamenti: tra pietà e spiritualità 3.3.1 I testatori di San Lorenzo 3.3.2 Monasteri, ospedali, poveri: la pietà dei veneziani

4. Presenze patrimoniali e rapporti sociali in una grande proprietà di San Lorenzo: Piove di Sacco

4.1 Strategie di insediamento 4.1.1 Il territorio di Piove di Sacco 4.1.2 Tecniche di insediamento nella Saccisica: i primi passi

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4.2 Il compattamento delle proprietà a Campagnola 4.2.1 Gli acquisti a Pradolino 4.2.2 Albaredo e Fogarone 4.2.3 La domus de Frascada 4.2.4 Similitudini e differenze: qualche esempio 4.3 Conduzione della proprietà 4.4 Famiglie: le relazioni del monastero5. ConclusioniAppendice 1: Le monache di San LorenzoAppendice 2: I notai del monasteroAppendice 3: I documenti6. Fonti e bibliografia

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Sintesi della tesi

Questa ricerca si è prefissata lo studio delle vicende del monastero femminile di San Lorenzo di Castello, attraverso la lettura del suo cartulario edito fino al 1199 inedito per i secoli successivi. L’arco cronologico preso in considerazione si estende dalle origini dell’ente, il primo documento è il testamento del vescovo Orso datato febbraio 853, anche se qualche dubbio è sorto sull’autenticità del documento, a tutto il XIII secolo, con qualche sondaggio nel secolo successivo. Tuttavia l’archivio di San Lorenzo non ha conservato carte fino alla metà del XII secolo e solo sul finire del medesimo la consistenza della documentazione è tale da permettere la ricostruzione delle vicende che hanno visto le monache protagoniste. La lettura delle fonti ha per-messo l’elaborazione di quattro capitoli, riguardanti il primo le vicende storiche e architettoniche dell’ente e, grazie a una fonte straordinaria, uno studio sulla comunità monastica (sulle monache, la loro provenienza sociale, i nomi, il nu-mero delle professe). Il secondo capitolo riguarda una lite tra l’ente e la chiesa di San Severo, chiesa che dipende dalle monache, con alcune considerazioni sulla parrocchialità veneziana e sulle relazioni che legano la comunità mona-stica alla popolazione. Il terzo analizza, soprattutto i testamenti contenuti nel fondo, le tendenze religiose della società veneziana del Duecento e le relazioni “devozionali” con San Lorenzo. L’ultimo è relativo alla rete sociale allacciata dall’ente nel territorio di Piove di Sacco, nel Padovano, dove San Lorenzo pos-sedeva un’ampia proprietà, e alla sua gestione economica.

ANNO ACCADEMICO: 2007-2008, sessione autunnale RELATORE: Prof. Anna Maria Rapetti CORRELATORI: Prof. Antonio Rigon, Prof. Marco Pozza

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3. LA RELIGIOSITÀ DEI LAICI: I TESTAMENTI

3.2 I devoti di San Lorenzo e le relazioni del monastero a Venezia

Il mondo cistercense permetteva anche a persone che non volevano o non pote-vano condurre un tipo di vita totalmente monastico di partecipare alla vita reli-giosa, entrando a far parte a pieno titolo della comunità e potendo quindi godere di tutti i benefici spirituali e materiali di cui godevano i monaci: ciò attraverso un istituto particolare, quello di conversi1. Tale istituto, che tanto fu determinante per il successo del modello cistercense, presto si diffuse anche in altre congrega-zioni, e fu spesso vitale nei monasteri femminili, soprattutto in seguito all’irrigi-dimento della clausura2. Fu comunque sintomo di una vivace partecipazione dei laici alla vita materiale e spirituale dei molti cenobi, con i quali spesso avevano avuto stretti rapporti già prima della “conversione”. Così anche a Venezia la devozione laica si manifestò in queste forme, sia nel-la città stessa, dove alcuni conversi o converse vivevano all’interno dei singoli monasteri presso i quali prestavano servizio, sia nelle grange in terraferma dove potevano agire sia come procuratori del monastero stesso, come abbiamo visto per Domenico Tagliapietra, sia nelle cucine o nelle faccende domestiche3. Nei

1 La bibliografia sui conversi è quanto mai vasta, a scopo indicativo si possono guardare i saggi di J. Leclerq, Comment vivaient les frères convers, in I laici nella «societas christiana» dei secoli XI e XII, Atti della terza settimana internazionale di studio, Mendola 21-27 agosto 1965, Milano, 1968, pp. 152-176. J. Dubois, L’istitution des convers au XIIe siecle, forme de vie monastique propre aux laïcs, in I laici, cit., pp. 183-261. C. D. Fonseca, I conversi nelle comunità canonicali, in I laici, cit., pp. 262-305. M. Toepfer, Die Konversen der Zisterzienser. Untersuchunger über ihren Beitrag sur mittelalterchen Blüte des Ordes, Berlino, 1983.2 Sulle funzioni dei conversi, in particolare di carattere economico, nei monasteri cistercensi: Rapetti, Monachesimo, cit., pp. 90- 94 e pp. 104-108.3 Per San Zaccaria, A. Rigon, Le istituzioni ecclesiastiche e la vita religiosa, in Monselice. Storia, cultura e arte di un centro “minore” del Veneto, a cura di A. Rigon, Monselice, 1994, p. 212 e K. Modzeleski, Le vicende della «pars dominica» nei beni fondiari del monastero di San Zaccaria di Venezia (sec X-XIV), in «Bollettino dell’istituto di storia della società e dello stato veneziano», IV, Venezia, 1962, pp. 61-63.

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confronti del monastero di San Lorenzo la devozione dei veneziani si evidenziò in vari modi; vi erano, per esempio, dei conversi che erano vedovi, come Pietro Cavigano. Originario di Piove, con i fratelli partecipò nel 1198 ad un importante acquisto del monastero, dal quale scopriamo appunto essere residente a Venezia e sposato con Altilia4. Nel 1208 lo ritroviamo come sindicus di San Lorenzo, agire a Piove, e dal 1215, probabilmente alla morte della moglie, operò come conver-sus5. Potevano anche essere marito e moglie che decidevano di divenire entrambi conversi, come ad esempio Bartolomeo e Giacomina nel citato documento di elezione a procuratore di Domenico Tagliapietra6; e naturalmente anche donne, delle quali esistono, però, poche testimonianze. Nel testamento di Alifia, vedova di Domenico Orio, è ricordata Angelera conversa a San Lorenzo, probabilmente di umili condizioni poiché Alifia le lascia dei soldi per una veste nuova7. La vita di questi conversi era votata all’umiltà, alla preghiera, alla pazienza, al sacrificio come ricorda Leclerq in uno studio loro dedicato, e queste caratteri-stiche si possono ritrovare, attraverso labili indizi, pure nella condotta di quelli veneziani8. Si è già ricordato il loro servizio nelle cucine di San Zaccaria, le ritroviamo nei due sposi di San Lorenzo che, al momento di diventare conversi, devono fare giuramento di castità9. Lo si scopre anche nei ruoli loro attribuiti: un certo «[frater Petrus] familiaris Sancti Laurencii» ritirò dei soldi, presso i Pro-curatori di San Marco, lasciati in eredità all’ente; interessante è l’accostamento dell’attributo frater a quello familiaris10. Se il primo suggeriva l’appartenenza di Pietro alla cerchia dei conversi, il secondo nella documentazione venezia-na spesso sostituiva il termine sclavum11. Ritengo tuttavia che in questo caso si possa far riferimento a quell’atteggiamento di umiltà che i conversi avrebbero dovuto mantenere in tutti gli aspetti della loro vita, anche nei rapporti con il mondo esterno. È comunque del tutto probabile che la devozione verso i monasteri scaturisse da legami precedenti stabiliti o dagli stessi, o dai parenti o addirittura dalle ge-nerazioni precedenti12. È il caso di Domenico Tagliapietra, del quale è possibile seguire i momenti che lo portarono alla conversione: egli abitava nella parroc-chia di San Severo, era perciò in stretto contatto con le vicende che riguardano il cenobio. Il padre Filippo Tagliapietra, abitante sempre a San Severo, testò nel

4 San Lorenzo, cit., doc. n. 39.5 È il primo di cui si abbia testimonianza. A.S.Ve., San Lorenzo, b 39 proc XVII, 24 febbraio 1208 e b 40 proc Piove II O, 22 marzo 1215.6 A.S.Ve., San Lorenzo, b 17 proc Beni in padovana, 2 luglio 1263.7 F. Scalabrin, San Lorenzo, cit., doc. n. 16. Pubblica solo i documenti contenuti nella busta 21.8 Leclereq, Comment vivaient, cit., pp. 154-170.9 A.S.Ve., San Lorenzo, b 17 proc Beni in padovana, 2 luglio 1263.10 A.S.Ve., Procuratori di San Marco Ultra, b 160.11 Nel testamento di Tommasino Tron, datato luglio 1298, si legge esplicitamente che vengono liberati «Nicholam et Biacum atque Luciam famulos et famulam sive sclavos et sclavam». Arbitrio, Aspetti della società, cit., doc. n. 32.12 Vedasi capitolo 1, paragrafo 4.

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1216, donando 4 lire a San Lorenzo dove chiese esplicitamente di essere sepolto - lasciando il resto alla moglie, pochi soldi al padrino e liberando, come solito, servi e ancelle13. Nel 1258 Domenico e la moglie Maria dant, offerunt atque tractant ad Agnese Querini badessa di San Lorenzo una proprietà con terre e case situata nel confinio di San Severo, con la condizione che essa non sia mai vendu-ta e della quale le monache avrebbero potuto ottenere una rendita affittandola14. In seguito lo troviamo, con la qualifica di conversus, agire per la badessa nel territorio di Piove, ricevendo decime e affittando terre15; finché, nel 1263, come si è visto, ne diventò il procurator. Non è invece pervenuto l’atto di conversione di Domenico, ne alcuna testimonianza dei suoi primi passi come converso; im-maginiamo però che essi corrispondessero a quelli di molti altri suoi confratelli che si votavano ai monasteri veneziani. Un interessante esempio è quello della domus di San Zaccaria a Monselice. Essa ospitava circa dieci conversi, uomini e donne, che, avendo donato sé e tutti i propri beni, si adoperavano per lavorarne le terre e pregare16. Nel 1179 essi fu-rono interrogati circa lo status giuridico di due coniugi Maria e Manfredo che si proclamavano conversi: le domande precise sembrano indicare un iter stabilito che portava alla conversione. Essa veniva fatta davanti a un prete o alla badessa; Maria e Manfredo «dederunt se et sua manibus presbiteri Pangratii pro conver-sis», promettendo la castità e, come in un rituale, coprendosi il capo con il pallio dell’altare: «pallio altaris cooperuerunt capita eorum». Ai testimoni venne chie-sto se avessero visto i due, a seguito della cerimonia, dimorare almeno un anno nel monastero, e se avessero ricevuto delle vesti nuove, tali da distinguerli come conversi17. Spesso condividevano i momenti di preghiera, il cibo – per questi più parco – dedicandosi al lavoro manuale e non solo. Anche a Venezia potevano occuparsi degli affari del monastero, sopratutto da-vanti alle magistrature – anche se, in realtà, la maggior parte delle questioni veneziane erano sbrigate o dalla badessa stessa o da avvocati. Frate Negro, pro-curatore di San Lorenzo, nonché converso, si occupò della vertenza tra il ceno-bio, San Nicolò del Lido e Santa Croce. Nel 1285 era presente alla lettura della sentenza dei giudici del Piovego, ai quali aveva presentato numerosi documenti, dal 1118 al 1270, riguardanti appunto il possesso dell’acqua detta Caltana, presso Mestre18. Una volta che i conversi avevano terminato il loro ritiro (che ricordo durava un anno) presso l’ente monastico, potevano essere destinati alle varie grange sparse

13 A.S.Ve., San Lorenzo, b 7 proc 19, settembre 1216.14 A.S.Ve., San Lorenzo, b 7 proc 19, 4 aprile 1258.15 A.S.Ve., San Lorenzo, b 40 proc Piove II O, 21 agosto 1259, i tre documenti hanno tutti la stessa data.16 Tasini, I notai, cit., pp. 246-247; Rigon, Le istituzioni ecclesiastiche, cit., p. 212. Modzelewski, Le vicende, cit., pp. 61-63. 17 Nuovi documenti padovani dei secoli XI-XII, a cura di P. Sambin, Venezia, 1955, doc. n. 63.18 A.S.Ve., San Lorenzo, b 16 proc Valli e pesche 4, 14 marzo 1285.

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nel territorio. Rimanevano comunque legati al loro cenobio poiché, in occasione delle principali feste religiose, come la Pasqua o la festa del patrono, si dovevano recare presso l’ente a Venezia, per partecipare alla liturgia. La maggior parte del-la documentazione infatti ci informa delle loro mansioni economiche, in ragione del fatto che nei cenobi femminili, a causa della loro limitata autonomia, il loro ruolo era decisivo per l’amministrazione del patrimonio. Purtroppo non conosciamo neppure il numero esatto di conversi di San Loren-zo; la documentazione di fatto non permette neppure una stima approssimativa poiché sono ricordati per lo più i conversi dediti alle attività economiche in ter-raferma. Quindi sfuggono al secolo le donne, sono solo due quelle ricordate, mentre gli uomini per tutto l’arco cronologico studiato sono dieci, oltre ai già citati Pietro Cavigano, Domenico Tagliapietra, Bartolomeo, frate Pietro19 e frate Negro, sono nominati nei documenti Vitaliano, Leone di Albertino, Matteo e Bernardo che operarono nel territorio di Piove, e Rinaldo che si occupò di Mo-gliano20. Solo in rari casi si riesce a risalire alle loro origini o ceto sociale perchè di essi si conosce solo il nome o il soprannome. La pratica di chiamare i conversi con il solo nome, in realtà, rispondeva a quelle esigenze di umiltà e semplicità, già ricordate, richieste a questi devoti21. Possiamo perciò solo supporre, visti i casi di Pietro e Domenico, che essi appartenessero a una classe media, non certamente ricchissima, ma tanto da avere qualche proprietà22, e dei rudimenti d’istruzione. Nel 1275 fu, infatti, redatto un elenco di affitti del monastero in zona Vigodarzere, nel Padovano, con i relativi canoni, curiosamente il tipo di scrittura usata è molto incerto, le lettere non sono allineate, di modulo grosso e il latino è molto scorretto, il documento non sembra quindi opera di un notaio, ma di un “dipendente” del monastero che evidentemente non aveva una grande pratica di scrittura, forse proprio di uno di quei conversi usati per amministrare il patrimonio23.Un discorso a parte va fatto per frate Negro: lo abbiamo già visto impegnato nel-la causa per l’acqua di Caltana, indaffarato tra i documenti del monastero – indi-zio di una buona cultura? – egli era probabilmente quel ministeriale della corte che attestava, qualche mese prima, nel aprile del 1282, l’investitura sine proprio di Ailise Flabanico, badessa di San Lorenzo, di una terra a San Lio lasciatale per testamento da Filippo Pantaleon di San Lio24. Conosciamo fortuitamente anche

19 In un documento un testimone si sottoscrive come: frate Pietro figlio di Leco. Probabilmente è il nostro converso. A.S.Ve., San Lorenzo, b 39 proc XIV, 3 gennaio 1287.20 Per i riferimenti ai primi conversi vedasi note sopra, per gli ultimi cinque rispettivamente A.S.Ve., San Lorenzo, b 39 proc Pradolino, 10 maggio 1220; A.S.Ve., San Lorenzo, b 41 proc Piove 19, 24 agosto 1256; A.S.Ve., San Lorenzo, b 41 proc Piove 19, 22 ottobre 1261. Malipiero, Le pergamene, cit., doc. n. 78.21 Leclerq, Comment vivaient, cit., p. 154.22 Rapetti, Monachesimo medievale,cit., p. 93.23 A.S.Ve., San Lorenzo, b 17 proc Beni in padovana, 1275.24 A.S.Ve., San Lorenzo, b 8 proc Santa Maria Formosa e San Lio 2, 22 aprile 1282.

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la sua identità poiché nel 1299 Agnese Zane, vedova di Marino Zane del confi-nio di Santa Maria Mater Domini, lasciò qualche soldo alla figlia del fu Marino Zane detto Negro, monaca a San Lorenzo25: indubbiamente il nostro converso. Non sappiamo se egli fosse il marito o un suo omonimo, pare comunque che la ragazza beneficiaria, non fosse figlia di Agnese vista l’esiguità del lascito, tre sole lire. Abbiamo visto gli Zane essere tra le famiglie nobili più importanti della Venezia del Duecento, come conferma il tenore del testamento di Agnese, sup-pongo quindi che Marino fosse un personaggio di un certo spicco nella società del tempo, il che spiegherebbe la sua preparazione culturale e il prestigio degli incarichi a lui affidati. Probabilmente si convertì in tarda età come spesso poteva accadere, non seguito dalla moglie, se tale essa era. La Rapetti rileva come i ceti sociali coinvolti nel “reclutamento” dei conversi fossero quanto mai diversificati, dalle élite dominanti ai ceti rurali 26; il caso di San Lorenzo è emblematico in questo senso. È possibile fare qualche altra pic-cola ipotesi sull’identità sociale di altri due conversi, Leone di Albertino e Pietro figlio di Leco, i cui patronimici sembrerebbero indicare forse un’origine dalla terraferma, probabilmente Piove di Sacco, dove l’uso dei cognomi non si era ancora affermato. Quanto agli altri ogni supposizione è vana, non esistendo dati sufficienti a identificare la loro provenienza, di essi ci rimangono solo i nomi. Esistevano, in ogni modo, molte altre forme di devozione che i cittadini vene-ziani mettevano in pratica nei confronti dei propri cenobi. Non sempre però tali espressioni erano per così dire istituzionalizzate, come per i conversi, semmai è possibile definirle come delle “comunità estese”27. Questa categoria particola-re di fedeli beneficiava delle preghiere della comunità, veniva sepolta nei loro cimiteri, garantendosi così la salvezza ultraterrena, offrendo in cambio i propri beni materiali. Non necessariamente vivevano nel monastero o nelle vicinanze, potevano condurre la loro vita all’interno della propria casa28. Anche verso San Lorenzo si manifestarono queste forme di devozione. Nel 1227 Giovanni Ve-nier, detto da Roma, del confinio di San Gregorio donò tutte le sue terre e case rispettivamente a Rialto, San Gregorio e Chioggia, nonché ogni suo bene mobile e immobile. La motivazione che spinse Giovanni alla ricca donazione aveva un tono particolare «per maxime reverenciam et devocionem quam in eodem [ha-bet] monasterio sive remissionem omnium peccatorum [suorum]»29. Da questo lascito le monache ereditarono una bizzarra e quantomai ricca attività, tra le case di Rialto, oltre a dei negozi, Giovanni possedeva un’osteria detta della Simia30; essa rimase, fino alla soppressione napoleonica, la maggiore rendita delle mo-

25 Arbitrio, Aspetti della società, cit., doc. n. 37.26 Rapetti, Monachesimo,cit., p. 93.27 La definizione come già detto è di Grado Merlo.28 Merlo, Uomini e donne, cit., pp. 11-14.29 A.S.Ve., San Lorenzo, b 12 proc San Giovanni di Rialto 1, 5 settembre 1227.30 Dell’osteria esiste in busta 12 un divertentissimo inventario del 1600.

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nache in tutta la città31. Si è già vista la donazione di Maria e Domenico Taglia-pietra32 di una casa a San Severo, dello stesso tenore, quanto a motivazioni, di quella di Giovanni.Un altro tipo di lascito fu quello di Marino Tiepolo di San Polo, che era stato avvocato di San Lorenzo, in occasione di una lite per i confini di un lago nei pressi di Rio Marin33, e che destinò alle monache una casa a sant’Aponal34. Così la moglie di Marino, Agnese, con ogni probabilità sorella o parente di Agnese Querini, badessa di San Lorenzo, aveva disposto, qualche anno prima, di vende-re loro un’altra casa nel medesimo confinio35. La presenza di una parente, come monaca a san Lorenzo, certamente veicolava i lasciti, ci si potrebbe chiedere se automaticamente convogliasse anche le pratiche religiose verso San Lorenzo. Fu il caso dei Premarin: Pietro lasciò al cenobio un terzo delle rughe da lui posse-dute a Santa Margherita, con la clausola di destinare la rendita del loro affitto a Filippa Premarin monaca a San Lorenzo. Puntualmente nel 1248 alla morte del figlio, Tobia madre di Pietro e sua fidecommissaria, ratificava la donazione delle rughe e la rendita a Filippa36. Analogo il caso dei Pantaleon: Filippo lasciò, nel testamento del 1253, una casa posta a San Lio alle monache, più una rendita annuale alla sorella Angela monaca a San Lorenzo, nel quale chiese di essere sepolto. Il lascito però suscitò il disappunto del figlio di Filippo, Tommaso il quale si rivolse ai giudici del Mobile che tuttavia nel 1282, ingiunsero a Tom-maso di pagare alla badessa37 l’eredità di Angela accumulata in quegli anni e di consegnare la casa. Un’altra forma di devozione nei confronti dei monasteri, comune sia a Venezia sia fuori, è quella degli abitatori o abitatrici, vedovi/e o persone di età avanzata che dimoravano presso il monastero, con il quale, anche in questo caso, spesso avevano intrattenuto dei rapporti in precedenza, o perché all’interno vi era qual-

31 Essa rendeva nel 1452 ben 68 ducati, quasi il triplo 232 ducati nel 1564, per il confronto con gli altri profitti del monastero vedasi Masé, Patrimoines ecclesiastique, cit., pp. 174-175.32 A.S.Ve., San Lorenzo, b 7 proc 19, 4 aprile 1258.33 La questione riguardava un «laborerio copertum et discopertum tam petrineo quam ligneo» fatti da Stefano e Giovanni Badoer presso un lago con un mulino, di proprietà a detta delle monache, del monastero. La questione si risolse con un compromesso tra Agnese Querini, badessa di San Lorenzo, e i Badoer sui confini del lago. A.S.Ve, San Lorenzo, b 22 proc diverse 35, 12-30 novembre 1230 e A.S.Ve, San Lorenzo, b 22 proc diverse 35, febbraio 1235.34 La donazione non fu gratuita le monache dovettero sborsare 526 lire, di essa rimangono l’investizione sine proprio e ad proprium e l’assegnazione definitiva. A.S.Ve., San Lorenzo, b 12 proc Sant’Apolinare 1, 25 luglio 1246; A.S.Ve., San Lorenzo, b 12 proc Sant’Apolinare 1, 27 luglio 1246. A.S.Ve., San Lorenzo, b 12 proc Sant’Apolinare 1, 10 agosto 1247; A.S.Ve., San Lorenzo, b 12 proc Sant’Apolinare 1, 27 settembre 1247.35 Questa volta per 726 lire, A.S.Ve., San Lorenzo, b 12 proc Sant’Apolinare 1, luglio 1239.36 A.S.Ve., San Lorenzo, b 12 proc Sant’Apolinare 1, 3 giugno 1248.37 A.S.Ve., San Lorenzo, b 8 proc Santa Maria Formosa e San Lio 2, 22 aprile 1282. I giudici del Mobile erano una magistratura, nata nel 1255, che si occupava di controversie di piccola entità, inferiore alle 50 lire, sui beni mobili o fitti di case o in caso di assenza di un testamento. Da Mosto, L’archivio di stato, cit., p. 135.

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che loro parente38. Spesso sappiamo della loro esistenza solo tramite i testamenti che essi scrivevano in punto di morte. Purtroppo tali documenti non informano del loro ruolo o posizione all’interno della comunità; Merlo comunque afferma che «la condizione di anziano “ricoverato” in un ente non doveva essere molto diversa da quella dei conversi attivi nell’ente stesso»39. Che queste figure fossero però diverse rispetto ai conversi lo si può dedurre dal testamento pervenutoci di Alfilia, vedova di Domenico Orio, che si definisce habitantes in monasteri San-cti Laurenti, mentre testa a favore di una conversa40, così come fa Maria vedova di Nicola Rosso anch’ella habitantes di San Lorenzo, che beneficia a favore di Cecilia Casol, conversa a San Salvatore41. La differenza di linguaggio sembra invero molto precisa, tra le due non c’è modo di confondersi. Inoltre, mentre i conversi come abbiamo visto si dedicavano, e facevano parte del monastero, in una vita fatta di lavoro, umiltà, preghiera; queste donne, anzitutto non ne face-vano parte istituzionalmente, in più malate e spesso anziane avrebbero potuto difficilmente sostenere il medesimo stile. Evidentemente la loro scelta di entrare nella comunità non era così radicale, favorita spesso dall’assistenza che le monache portavano loro, anche se non pos-siamo però definirla del tutto interessata. Molte di esse erano ricche, come lascia intuire l’entità dei testamenti, avrebbero quindi potuto provvedere per il loro ricovero all’ausilio di servi o di altre persone. È probabile che nella loro scelta avesse influito, e non poco, la paura della morte e la speranza della salvezza eterna che le monache, con le loro preghiere, potevano offrire; aspetto che nei testamenti è ben evidenziato dalla richiesta costante e copiosa di Messe, mille o molte di più, per la propria anima o per quella dei parenti. Non è mai comunque uno scambio univoco e gratuito, di fatto spesso le habitantes beneficano l’ente di ricchi patrimoni, di case e denari. È il caso di Abiabene l’unica di cui sia rimasa testimonianza, non tanto della sua dedicazione al monastero, ma dell’accettazio-ne da parte delle monache della sua entrata42. Abiabene era moglie di un certo Matteo di Conselmi che si dichiarava abitante a Santa Marina, contrada vicina a San Severo, e probabilmente alla morte di questi era entrata nel monastero43. Possedeva delle terre a Mogliano, che personalmente aveva acquistato, e che « [dedistit, obtulistit, transattastit] nobis conventui monasterii Sancti Laurentii, nomine ipsius monasterii, totum unum [suum] mansum cum sua decima positum

38 Merlo, Uomini e donne, cit., p. 14.39 Ibidem.40 Scalabrin, San Lorenzo, cit., doc. n. 16.41 Ivi, doc. n. 24.42 A. Malipiero, Le pergamene del monastero di San Lorenzo di Venezia (fondo Moian 1213-1287), tesi di laurea, Facoltà di lettere e filosofia, (rel. Prof. Marco Pozza), a.a. 2001-02, doc. n. 73. 43 Ivi, cit., doc. n. 67. Sul confinio di residenza di Abiabene e del marito la documentazione è piuttosto ambigua: nel 1275 infatti la residenza è Santa Marina. L’8 dicembre 1278, Abiabene è già entrata a San Lorenzo, «nunc monacha dicti monasterii». Il 2 febbraio 1279 si dichiara abitare a Sant’Ermagora, mentre nel documento di accettazione appena citato si legge «relicta Mathei de Causelmis, olim de confinio Sancti Mathey de Rivoalto». Ivi, cit., docc. n. 67, 69, 72, 73.

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in Molianis, districtus Tarvisii, qui est circa campos terre viginti octo, et sedi-men dicti mansi». E, continua il documento, «hanc oblacionem nobis […] fecisti in remissionem peccatorum tuorum et omnium mortuorum tuorum», per que-sti motivi «et eciam quia recepimus te in dicto nostro monasterio». La badessa prometteva ad Abiabene che le avrebbe dato, finchè fosse vissuta, la rendita dei detti mansi, «hec omnia tibi damus pro tuo vittu, et vestimentis et aliis omnibus que tibi necessaria fuerint ad usum tui corporis»44. Reciprocità di interessi, due aspetti che si sommano e si confondono, uno di tipo spirituale, l’altro di tipo ecomonico-patrimoniale; ma se ai nostri occhi sembrano stridere e contraddirsi a vicenda, «è necessario comprendere il reale e quotidiano rapporto tra la legisla-zione emanata […] e la vita del conventus nei suoi molteplici aspetti»45.Nei numerosi testamenti presenti nel fondo del monastero, circa 40, ben 13 donne si definiscono abitatrici del monastero, delle quali molte, va sottolineato, avevano una figlia o una sorella monaca. Si potrebbe notare in questi casi una particolare forma di solidarietà femminile, spesso queste donne erano malate e dimoravano presso il monastero, da poco tempo, per esservi, come abbiamo visto, assistite: è proprio il caso di Alfilia, che fa testamento prima nel giugno del 125146 e poi nel gennaio dell’anno successivo, dove dichiara di abitare a San Lorenzo per il peggiorare della sua malattia. Così capita a Orfania e Benedetta, madre e figlia, entrambe abitantes nel monastero, le quali testano a pochi giorni di distanza a causa dell’aggravarsi del loro stato di salute47. Armeleda Magno ha sia la figlia, sia la cognata monache a San Lorenzo, anche il marito Pietro aveva testato a favore della sorella monaca48; Agnese vedova di Antonio Rosso e Maria vedova di Nicola Rosso, entrambi di sant’Agostino, si dichiarano abitanti a san Lorenzo e risultano rispettivamente zia e madre della monaca Auria49. Maria ve-dova di Stefano Lugnano ha una sorella badessa di San Biagio e Cataldo, l’altra monaca di San Lorenzo che sceglie come sua dimora, legame rafforzato dal fatto che il suo padrino è Marco Bonvicino presbitero di San Severo50.

44 Ivi, doc. n. 73.45 Sul rapporto tra il vivere quotidiano e l’ideale monastico, vedasi: Rapetti, La formazione, cit., pp. 8-10.46 A.S.Ve., San Lorenzo, b 14 proc 9, 11 giugno 1251.47 Sono probabilmente del confinio di Santa Maria Formosa, dove posseggono una proprietà che lasciano a San Lorenzo, ma forse di quei parrocchiani che hanno rapporti anche con San Severo, Leonardo presbitero di San Severo è loro padrino, e hanno qui dei parenti. A.S.Ve., San Lorenzo, cit., b 8 San Marina, 5 ottobre 1293; A.S.Ve., San Lorenzo, b 8 San Marina 11 ottobre 1293.48 Scalabrin, San Lorenzo, cit., docc. n. 18 e 10. Per i rapporti tra i Magno e San Lorenzo vedasi anche Masè, Patrimoines immobiliers, cit., pp. 97-98.49 Scalabrin, San Lorenzo, cit., docc. n. 20 e 24.50 Ivi, doc. n. 32. Vi sono altri esempi di abitatrici che hanno qualche parente nel monastero, Maria Venier ha la sorella Costanza, anche Maria Mengulo ha la nipote Maria Gradenigo che è anche prioressa. Ivi, docc. n. 27 e 29. Tre abitatrici non sembrano avere invece alcun parente nel monastero, sono Agnese Gradenigo (forse parente di Maria Gradenigo?), Maria Basilio e Blanzelanda Malipiero. Ivi, docc. n. 23 e 26 e A.S.Ve., San Lorenzo, cit., b 7 proc 22, 21 marzo 1265.

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I rapporti tra San Lorenzo e la città non si esaurivano qui, sembra infatti che le monache affittassero le loro proprietà solo a uomini di fiducia, provenienti sem-pre dallo stesso confinio e dalle medesime famiglie, anche per un arco di tempo molto ampio. È possibile seguire esattamente tali relazioni per ben 150 anni. Nel 1160 Sicara Caroso confermava a Stefano Dedo, Orso Bosio e al figlio, e a Domenico Steno tutti di Cannareggio, l’affitto di un’acqua nella quale, a loro piacimento, poter pescare e cacciare, per un periodo di dieci anni51. Nove anni più tardi Sicara affittò a Domenico Donato, Domenico e Aurio Steno, Domenico Bosio questa volta indicati come abitanti a San Geremia, le acque di Primiga, Corbulo e Corella nei pressi di Murano per quattro anni52. Nel 1182 Tenda Al-bizo locò, per dieci anni, a Marco, Vitale e Domenico Steno di Canareggio, ma suppongo di poter specificare di san Geremia, le medesime acque53; nel 1195 Natale Dedo da Canareggio testimoniò che da quindici anni pescava e cacciava nelle acque di Caltana, di proprietà di San Lorenzo54. Ancora nel 1227 Agnese Querini affittò metà delle tre acque sopraddette e un terzo di una palude a Vitale Steno e Simone Donà sempre di San Geremia, per dieci anni55. Nel 1266 Luca e Giovanni Liberio nuovamente di San Geremia ricevono in locazione, da Maria Contarini, l’acqua di Plancido, altra proprietà di San Lorenzo, e metà delle solite tre acque56; infine nel 1296 Ailisa Flabanigo e il capitolo rinnovano a Giovanni Liberio la terza parte dell’acqua di Plancido57. La relazione tra gli Steno prima e i Liberio poi appare chiaro, eppure ciò che risulta evidente è il legame con la contrada di San Geremia. Malgrado ciò, qualche considerazione perché proprio quella contrada è difficile da esprimere, poiché oltre a questi contratti non esiste altra documentazione, per esempio di possesso di case o terreni, che testimoni interessi particolari del monastero nella zona. San Geremia si trova in realtà all’estremo orientale del sestier di Canareggio, una parrocchia quindi lontana da San Lorenzo abitata forse, e per lungo tempo, da artigiani o pescatori, come nel nostro caso, dai quali i monasteri “attingevano” manodopera58. In conclusione i rapporti tra la comunità delle monache e i cittadini veneziani si espresse in diverse forme, da quelle strettamente religiose come i conversi o

51 Per un affitto di 2000 litrigani (cefali) e 100 paia di uccelli. San Lorenzo, cit., doc. n. 6.52 Per 1000 cefali e 15 paia di uccelli. San Lorenzo, cit., doc. n. 12.53 San Lorenzo, cit., docc. n. 19-20.54 San Lorenzo cit., doc. n. XLIX.55 L’affitto fu di 1000 cefali e 15 coppie di uccelli grandi. A.S.Ve., San Lorenzo, b 16 proc Valli e pesche 4, maggio 1227.56 A.S.Ve., San Lorenzo, b 16 proc Valli e pesche 4, 15 agosto 1266 e A.S.Ve., San Lorenzo, b 15 Vigne 1, 15 agosto 1266.57 A.S.Ve., San Lorenzo, b 16 proc Valli e pesche 4, 30 marzo 1296.58 In effetti negli intricati casi che vedono coinvolti prima San Nicola del Lido, Santa Croce e San Lorenzo per il possesso di un’acqua di Caltana presso Mestre, poi ancora un’altra questione sempre per problemi di confine di un lago nei pressi di san Giorgio, tra San Zaccaria, San Lorenzo e San Giorgio Maggiore, scopriamo che anche questi si servivano di pescatori di San Geremia o della contigua Santa Croce. Per esempio vedasi San Lorenzo, cit., docc. n. XXXI, XXXII, L, LI.

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i devoti, a prassi meno vincolate come per le abitatrici o per coloro che avendo delle familiari al suo interno, o infine come semplici rapporti di lavoro.

3.3 I testamenti: tra pietà e spiritualità

I testamenti sono sicuramente una fonte molto complessa e anche note-volmente ricca di informazioni relative agli aspetti più intimi del testatore, ma sono da considerare anche come indicatori di tendenze in atto nella società. Da essi si possono capire gli affetti, per esempio verso i propri familiari, o le antipatie che una persona ha coltivato durante la sua vita. Vi si possono leggere le paure comuni, come quella per la morte o le pre-occupazioni per l’aldilà, che frequentemente hanno orientato il modo e la scelta del testatore. Potremmo riassumere le varie sfaccettature che un testamento contiene, ricordando le parole pronunciate da Robert Brentano a termine di un suo discorso a un congresso perugino:

Chi legge i testamenti del Duecento e Trecento non solo può osservare il piccolo mondo delle memorie, delle speranze, della fede e della devozione dei singoli testatori; non solo può ricostru-ire la carta della pietà di singoli luoghi in un certo arco di tempo; ma può anche cogliere i segni di profondi cambiamenti del pensiero e della coscienza collettiva nei confronti della vita e della morte, collegati […] a una nuova razionalità applicata ai problemi della morte e della penitenza […] Però confesso che questa dimensione complessiva, anche per me, è meno impellente delle pitture pungenti che si trovano in tanti testamenti, in relazione a problemi di famiglia, di denaro o di proprietà, che sarebbe un peccato tralasciare. Ci priveremmo della soddisfazione di capire, e raccontare, la realtà, la concretezza di certe situazioni specifiche59.

Infine scopo, spesso ripetuto, del testamento è quello di lasciare in ordine i propri beni terreni: «timens ne intestata obieret et mea inordinata derelinqueret»60 è tra le frasi più frequenti ripetute nelle arenghe. Qualche obiezione è stata però sollevata sulla sua totale genuinità che pone qualche limite e richiede alcune accortezze nell’utilizzo. È stato osservato che l’influenza del confessore, dei testimoni, per le donne dei mariti61, e so-prattutto del notaio nelle varie fasi di stesura «allontanavano progressivamente sempre di più il momento dell’azione giuridica, e perciò dell’esplicitazione della volontà dell’autore dell’azione stessa, dal momento della documentazione scritta

59 R. Brentano, Considerazioni di un lettore di testamenti, in «Nolens intestatus decedere». Il testamento come fonte della storia religiosa e sociale. Atti dell’incontro di studio (Perugia, 3 maggio 1983), a cura di A. Bartoli Langeli, Perugia, 1985, p. 9.60 Scalabrin, San Lorenzo, cit., doc. n. 2, ma questo è anche il titolo del famoso congresso di Perugia, «Nolens intestatus decedere».61 L. Guzzetti, Le donne a Venezia nel secolo XIV: uno studio sulla loro presenza nella società e nella famiglia, in «Studi veneziani», n.s., XXXV, 1998, pp. 18-19.

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in essa, di cui restava arbitro, per un lungo periodo […] il solo notaio»62. Altro discorso è la quantità, bisognerebbe sempre considerare il numero di persone che, volontariamente o meno, morirono senza fare testamento. Va per di più ri-cordato che i testamenti pervenutici sono sempre frutto di selezioni63, o del caso o dell’uomo, una certa attenzione andrebbe perciò posta al fondo archivistico nel quale la nostra fonte si trova64. Se queste ultime osservazioni restano valide in qualsiasi momento e luogo, quanto all’influenza esterna si possono fare alcune specifiche constatazioni. Si è già osservato che il formulario dei testamenti vene-ziani variò pochissimo nei secoli65 ed è noto che per lungo tempo i notai venezia-ni che misero per iscritto le ultime volontà furono i preti, molte volte, aggiunge-rei, essi erano gli stessi patrini o padri spirituali del testatore66. Si potrebbe perciò ritenere che l’ascendente di questi “fattori” rimanesse costante nel tempo; ciò ci autorizza a pensare che i cambiamenti notati nelle carte veneziane siano stati in gran parte frutto dei testatori, del cambiamento della loro mentalità. L’analisi dei testamenti veneziani, con i limiti indicati, più di altri ci informa quindi sia sulle memorie e speranze sopra ricordate, sia sulle piccolezze umane.

3.3.1 I testatori di San Lorenzo

I testamenti rinvenuti nel fondo del monastero di San Lorenzo, per il Duecento, sono circa quaranta, la maggioranza di donne, venticinque contro quindici di uo-mini. Abbiamo già sottolineato che tredici di esse dichiararono abitare all’interno della comunità, mentre interessante è studiare come si distribuisce la provenien-za geografica degli altri testatori. Solo di tre su quaranta - tre donne Alifia Orio, Maria Basilio, Maria Mengulo – non conosciamo il confinio di appartenenza; Andrea di Viviano di Tino si dichiara abitante nella domus di San Lorenzo alla Frascada, nei pressi di Piove; Maria Zubiano dimora invece nell’isola di Ammia-

62 Tra XII e XIV secolo l’iter che portava alla stesura definitiva del testamento, si complicò notevolmente fino a articolarsi in tre o quattro fasi. In ciascuna di esse il peso del notaio e i suoi interventi aumentavano sempre più. A. Petrucci, Note su il testamento come documento, in «Nolens intestatus», cit., pp. 11-12. Sulle influenze del confessore o dei testimoni, vedasi A. Bartoli Langeli, Nota introduttiva, in «Nolens intestatus», cit., pp. XII-XIV.63 Ivi, cit., pp. XI-XII.64 Rigon avverte inoltre, nel medesimo incontro, «il rischio di prediligere alcuni aspetti dimenticando la fondamentale unità dell’atto testamentario…consapevoli della parzialità della scelta e della necessità di allargare in altre direzioni l’indagine». Richiamando le riflessioni di Cinzio Violante a proposito degli atti privati nel Medioevo, dove non è possibile «elaborare modelli interpretativi» semmai delle tendenze. A. Rigon, Orientamenti religiosi e pratica testamentaria a Padova nei secoli XII-XIV (prime ricerche), in «Nolens intestatus», cit., pp. 42-43.65 Bartoli Langeli, Una differenza, cit., pp. 61-62 e qui nota 219.66 Banalmente aggiungerei che anche i notai o i confessori sono figli del proprio tempo, nonostante appartengano a una categoria sociale definita, e che sottostanno perciò a quella che viene definita “mentalità collettiva”.

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na, nella parte nord della laguna; Elisabetta di Alberto di Rossano è habitratix di Sant’Antonio di Torcello. Tutti gli altri dicono di abitare nelle contrade della Civitas: ben dodici a Castello, rispettivamente nelle parrocchie più vicine a San Lorenzo – sette a San Severo, due a Santa Marina, due a Santa Maria Formosa, uno a San Giovanni Nuovo. Altri sette a Cannareggio, dei quali due a San Cas-siano che si trova a ridosso di Santa Marina. Cinque sono concentrati nelle picco-le e contigue contrade di San Leonardo, San Marcuola e Santa Maria Maddalena; queste tre zone della città, e non mi pare un caso, sono prossime a San Geremia, parrocchia con la quale le monache intrattenevano dei rapporti “di lavoro”67. È del tutto probabile quindi che dove il monastero aveva degli interessi di vario genere – come possedere delle case o reclutare manodopera -, ciò influisse mag-giormente sul modo di testare e sulla devozione degli abitanti, di cui le ultime volontà sono un’ulteriore espressione. A riprova di ciò si nota che altri sei sono i testatori che provenivano da San Polo, sestier centrale della città, e proprio da quelle zone dove le monache avevano fatto degli investimenti – tre da Sant’Apo-nal, due da Sant’Agostino, uno da San Matteo di Rialto. Sempre in contrade limitrofe, rispetto a quelle di San Polo, abitano i tre di Santa Croce, due a San Stae e uno a San Giacomo dell’Orio. Infine dispersi e molto inferiori in numero sono, invece, i testatori di Dorsoduro – sono solo tre, uno di San Basilio, uno dell’Angelo Raffaele, uno di San Barnaba – e di San Marco, originari uno di San Luca e uno di Sant’Angelo.L’analisi dei lasciti è, come abbiamo detto, indicativa dei sentimenti e degli af-fetti che il testatore provava e aveva provato durante la sua vita. Sicuramente al primo posto erano i familiari. Solo tre donne non destinano nulla ai parenti, Elisabetta figlia di Alberto Scanafasolo di Rossano che, tuttavia, testava prima di entrare nel monastero di Sant’Antonio di Torcello cui lasciava tutti i suoi averi68. Blanzelanda vedova di Marino Maripiero, il cui ricco testamento, come abbiamo visto, aveva causato tanti problemi ai nipoti, per i quali direi non dimostrò parti-colare simpatia – non li nominò neppure suoi fidecommissari, preferendo i Pro-curatori di San Marco e la badessa di San Lorenzo69. Infine Orfania, che risiedeva a San Lorenzo, la quale lasciava la sua proprietà alle monache; nel monastero abitava pure la figlia Benedetta, entrambe malate, affidarono la loro anima alle preghiere della comunità70. Per gli uomini la preoccupazione maggiore sembrava essere per la moglie71, molti la nominarono domna et domina in domo concedendole di stare in ipsa domo, tale condizione equiparava del tutto la donna al pater familias, del quale

67 Vedasi paragrafo precedente.68 Scalabrin, San Lorenzo, cit., doc. n. 21.69 A.S.Ve., San Lorenzo, b 7 proc 22, 21 marzo 1265.70 A.S.Ve., San Lorenzo, b 8 proc Santa Marina, 5 ottobre 1293 e A.S.Ve., San Lorenzo, b 8 proc Santa Marina, 11 ottobre 1293.71 Viceversa la donna, potendo, rogava poche volte a favore del marito. Guzzetti, Le donne, cit., pp. 25-26.

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poteva esercitare tutti i diritti, tra i quali la patria potestas72. Altrimenti si pre-occupavano di garantirle casa, abiti e mobili, come fecero Pietro Magno per la moglie Armeleda e Pietro Tintore di Sant’Aponal73; infine ciascuno restituì alla consorte, com’era obbligatorio per legge, la repromissa, ossia la dote della vene-ziane e loro maggiore fonte di ricchezza74. A Nicola Navigaioso di Santa Maria Maddalena, nel restituire alla moglie la ricca repromissa di 1100 lire, e aggiun-gendo ad essa 47 lire di dimissoria, rimaneva ben poco per tutti gli altri75. Per le donne, l’attenzione verso il marito pareva essere decisamente minore - d’altro canto egli non aveva gli stessi problemi di mantenimento della donna – in rare occasioni ella destinava parte della sua repromissa al marito, destinatari princi-pali erano i figli, le sorelle, i genitori o luoghi pii e religiosi. Un esempio su tutti Filippa moglie di Cosma Pitulo di San Raffaele destinava 100 lire alla madre, 20 lire ciascuna alle tre sorelle e infine 10 lire al marito76.Molta attenzione veniva data soprattutto ai figli, maschi in particolare cui si la-sciavano le proprietà immobili e dei soldi, poi le figlie cui si preferiva donare, quasi esclusivamente, soldi. Per le figlie spesso l’eredità si diversificava a secon-da che questa scegliesse di sposarsi o prendere i voti: nella prima ipotesi l’eredità era sempre più consistente77. Seguivano poi gli altri parenti, i genitori – Regina moglie di Marco Bon lasciò loro ogni cosa78 - i fratelli e le sorelle che erano quasi sempre ricordati, i nipoti, infine i servi che spesso venivano liberati. Ai parenti si lasciavano per lo più soldi, ma anche oggetti: Riconfilia di Daniotto Contarini donava ai tre figli un maschio e due femmine, un anello ciascuno, probabilmente come ricordo della madre79. Agnese Gradenigo di San Severo destinò «totum massaraticum quod inventum fuerit in domo [sua] de Maria nepte [sua] reddatur sibi»80; Maria Bon di San Severo trasmetteva al nipote Clemente, sarto, una serie di oggetti: «unum de meis laviçis meliorem de rame et siglum unum de meis meliorem et fersoram unam et catenam unam et spedum unum pro anima mea»81.

72 A patto di rimanere vedova. Sui diritti e benefici che la donna poteva ereditare, Bonnini, Per «divinam inspirationem», cit., pp. 34-39. Fra coloro tra i testamenti di San Lorenzo che nominano la donna come domina: Marco Barbeta, Giovanni Bon, Giacomo Venier, Giovanni Navigaioso, Filippo Tagliapietra, rispettivamente: Scalabrin, San Lorenzo, cit., docc. n. 3,7,8,9 e A.S.Ve., San Lorenzo, b 7 proc 22, settembre 1216. 73 Scalabrin, San Lorenzo, cit., docc. n. 10, 11.74 Bonnini, Per «divinam inspirationem», cit., p. 35. 75 Ivi, cit., doc. n. 34.76 Ivi, cit., doc. n. 22.77 Gli esempi sono numerosissimi, senza dilungarmi rimando alle relative osservazioni fatte dalla Bonnini, Per «divinam inspirationem», cit., pp. 27-34.78 Scalabrin, San Lorenzo, cit., doc. n. 12.79 Ivi, cit., doc. n. 4.80 Ho corretto quanto trascritto dalla Scalabrin. A.S.Ve., San Lorenzo, b 21 proc diverse 29, 10 ottobre 1268. 81 A.S.Ve., San Lorenzo, b 21 proc diverse 29, 2 gennaio 1290.

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Dai testamenti si potrebbero anche ricostruire le relazioni sociali che si erano costruite in vita, attraverso lo studio dei lasciti a quelle persone che in apparenza non sembravano avere alcuna relazione parentale con il testatore. Possono essere o coloro con i quali si era in affari, ma il più delle volte si trattava di amici, di ba-lie, di debitori o creditori, che ricevevano di solito pochi soldi e qualche oggetto in memoria del defunto. Si donava qualche soldo alle quelle persone che erano loro vicine e che li accudivano nella malattia: Benedetta, abitante a San Lorenzo, lasciò a Caterina Viviano che l’assisteva nella sua infermità tre lire e qualche oggetto82; Lorenzo Soranzo, che al momento di testare si trovava a Trani, «[dimi-sit] mulieri, que [eum custodivit] medium augustalem auri»83 Significative sono le relazioni delle donne; si scopre che a Venezia anche esse potevano investire denaro84, e soprattutto prestarlo. «Nel commercio internazionale le donne pote-vano essere presenti solo quali investitrici, e lo erano effettivamente […] mentre in tutti gli altri rami potevano essere parte attiva nelle imprese»85. Sono per lo più piccole cifre: soldi di donne prestati a altre donne, come in una sorta di so-lidarietà tutta femminile, che in punto di morte ritornava alla mente (o forse per farsi perdonare il peccato dell’usura?)86, anche se non sempre le ultime volontà prevedevano l’annullamento o la riduzione del debito.

3.3.2 Monasteri, ospedali, poveri: la pietà dei veneziani

Spesso i lasciti testamentari fanno trasparire le tendenze nei confronti del pro-prio mondo; da essi emerge un aspetto della pietà dell’uomo medievale che si esprimeva attraverso quei lasciti a chiese, ospedali, monasteri e poveri. «Questa diversificazione dei lasciti a favore di enti religiosi, che si accompagna alla sem-pre più accentuata attenzione dei testatori per i poveri, rientra indubbiamente nel quadro di quella che si suol definire “spiritualità della beneficenza”, emergente tra XII e XIII secolo»87. Tra questi i primi da ricordare, perché caratteristici dei testamenti veneziani, sono il numero delle messe richieste: mille, duemila anche tremila, per se e per i propri parenti88. Così come i lasciti pro anima, che dovevano garantire preghiere

82 A.S.Ve., San Lorenzo, b 8 proc Santa Marina, 11 ottobre 1293.83 Scalabrin, San Lorenzo, cit., doc. n. 25.84 È il caso di Gisla vedova di Alberto della Scala che ha dato in collegancia 100 lire a Giovanni Caroso, suo cognato; i proventi dei quali lascia ai nipoti. Scalabrin, San Lorenzo, cit., doc. n. 28. 85 Sul ruolo nella donna negli affari veneziani: Guzzetti, La donna, cit., pp. 47-49; la citazione è a p. 49.86 Gli esempi sono molti, tra le più “generose”: Riconfilia Contarini, Maria Zubiano, Alifia Orio, Blanzelanda Maripiero, Agnese Gradenigo, Maria Mengulo.87 Rigon, Orientamenti religiosi, cit., p. 51 e Merlo, La conversione, cit., pp. 1-45.88 È raro trovare in altre città cifre così alte, anche se Rigon informa che Aldrighetto di Rolando, podestà di Padova, nel 1181, chiedeva di celebrare ben 23500 messe; commentando la sbalorditiva cifra con «un’inquieta tensione e un latente senso di colpa». Rigon, Orientamenti religiosi, cit., p. 48.

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e veglie per la salvezza dell’anima. Tuttavia in questo tipo di donazioni “vene-ziane” si potrebbe scorgere una certa influenza del prete-notaio. Per esempio, Maria Bon, Marchesina Cavatorta, Filippa Dedo, Orfania e la figlia Benedetta paiono particolarmente ossessionate dalle preghiere per la propria anima - tanto che tutti e cinque i lasciti della Bon sono pro anima – tale ansia potrebbe na-scondere una tensione spirituale e soprattutto un’incertezza sul futuro aggravata dalla crisi economica e politica della città (i testamenti si collocano tutti a fine secolo). Tuttavia, a ben guardare, si potrebbe considerare il fatto che il notaio che rogò i cinque testamenti fu sempre lo stesso, Leonardo presbitero di San Severo, che fu anche padrino delle ultime tre donne; forse a quest’ultimo andrebbero attribuiti quei timori e quelle paure prima descritti, ovviamente non solo per se bensì anche per le sue protette.L’attenzione dei veneziani per i propri padri spirituali, nonché per i preti, con i quali sappiamo avevano un forte legame89, si dimostra particolarmente intenso nelle ultime volontà (altro fattore di condizionamento?). Le cinque donne ri-cordarono tutte Leonardo, al quale lasciarono qualche soldo – ovviamente pro earum animarum – ma anche molti altri trasmisero del denaro al rispettivo pa-drino, sedici su quaranta. Furono ricordate le chiese delle parrocchie, con i ri-spettivi chierici e presbiteri, qualche volta anche ai ragazzi che cantavano nel coro della chiesa90. Numerosissimi, ma era scontato vista la collocazione della fonte, furono coloro che decisero di beneficare i presbiteri e i chierici di San Severo, che probabilmente portavano assistenza spirituale e morale anche alle abitatrici del monastero. Altrettanto numerosi, ventidue su quaranta e sempre più da metà secolo in poi, furono i testatori che destinarono qualcosa alle con-gregazioni del clero veneziano. Sei fino al XII secolo, numero che aumentò fino a nove nel corso del XIII, di cui di frequente ne veniva beneficata una sola, forse quella cui i testatori erano più legati, il più delle volte ricordandole tutte. A esse i veneziani chiedevano principalmente la celebrazione degli anniversari della morte per mezzo di messe91. Seguivano poi le chiese, a cui si donava spesso qualche denaro per il restau-ro: Blanzelanda, per esempio, lasciava 5 lire «in laborerio dicte ecclesie Sancti Severi»92, e dei soldi per comprare dei paramenti liturgici o dei nastri e calici in argento93. Infine venivano ricordate le opere delle chiese: Alifia destinò 5 lire «ad

89 Vedasi qui note 300-305.90 È Riconfilia Contarini che lascia «uniquique clericorum et puerorum qui cantant in ecclesia Sancte Marine soldos quinque, preter filio Iohannis da Canale» con il quale verosimilmente aveva avuto qualche dissidio. Scalabrin, San Lorenzo, cit., doc. n. 4.91 Blanzelanda andò oltre: nella sua ansia di essere ricordata dopo la morte, dispose che ogni ente, a cui aveva lasciato qualcosa, avesse l’obbligo di celebrare il suo anniversario. A.S.Ve., San Lorenzo, b 7 proc 22, 21 marzo 1265.92 A.S.Ve., San Lorenzo, b 7 proc 22, 21 marzo 1265.93 Alifia Orio lasciava «Luce diacono ecclesie Sancte Trinitatis libras denariorum venecialium decem et octo pro uno paramento sacerdotale ac etiam uno calice de argento faciendi». Scalabrin, San Lorenzo, cit., doc. n. 16. Ho corretto venetorum per venecialium. E anche Gisla della Scala di

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opus ecclesie Sancti Trinitatis», Blanzelanda «[dimisit] operi ecclesiae Sancta Margarite di Caprulive (Caorle) tres libras», Maria Rosso lasciò 5 lire «in operi-bus ecclesie Sancti Agustini»94. Fu comunque attraverso i lasciti ai numerosi monasteri della laguna che i ve-neziani dimostrarono l’incredibile importanza che questi enti ebbero nella loro storia personale e spirituale. Ben ventitre testatori su quaranta scelsero di rogare a favore di uno o più cenobi, con un trend crescente verso fine secolo (sia per numero di testatori che optarono per tale scelta, sia per numero di monasteri be-neficati). A influire sulla scelta di quali enti beneficare agirono molteplici fattori, non ultimo il numero crescente dei cenobi nella laguna dalla seconda metà del XII secolo95. Nella metà del Duecento pesò indubbiamente l’arrivo dei Mendi-canti, verso i quali i veneziani iniziarono a testare in modo sempre più costante dagli anni ’60. In ogni modo tra gli enti maggiormente beneficati spiccarono senza dubbio i canonici: Santa Maria delle Vergini, Santo Stefano degli Ere-miti, San Pietro in Casacalba sono tra i più nominati, indice del successo che quest’ordine ebbe, e continuò ad avere nella laguna. Dei ventitre prima nominati dodici donarono qualcosa ai canonici. Il favore dei veneziani si rivolse poi verso quegli enti collocati nelle piccole isole della laguna, i monasteri di Ammiana sono tra i più nominati, quelli del Lido, San Giacomo in Paludo, San Tommaso dei Borgognoni, ma anche nelle zone più lontane, come Iesolo o Portosecco. In effetti questi cenobi avevano, dalla fine del XII secolo, sperimentato in laguna una sorta di rinnovamento monastico, caratterizzato dal rigore e dalle pratiche ascetiche, tanto da indirizzare verso di loro, più di altri, la beneficenza di coloro che vedevano in queste espressioni un modo per salvare la propria anima96. Infi-ne i Mendicanti, il cui arrivo non provocò tuttavia uno sconvolgimento nel modo di testare dei veneziani, semmai essi si inserirono progressivamente con gli altri ordini; difficilmente si può trovare un testamento di cui essi fossero esclusivi beneficiari, nessuno almeno tra quelli qui analizzati97. Il loro influsso si manifestò probabilmente in un altro modo: crebbe infatti dal loro arrivo il numero di veneziani che preferì donare qualche soldo a singoli frati o monaci, che non fossero loro parenti. L’esperienza di vita e soprattutto la

San Cassiano lascia un nappo in argento e dei soldi per un calice. Ivi, cit., doc. n. 28.94 Rispettivamente: Ivi, doc. n. 16; A.S.Ve., San Lorenzo, b 7 proc 22, 21 marzo 1265; Scalabrin, San Lorenzo, cit., doc. n. 24. 95 Qui paragrafo 3.1.2. Le considerazioni di seguito riportate sono basate oltre che, e principalmente, sui testamenti di San Lorenzo, anche su quelli pubblicati nelle tesi di laurea della Bellato e dell’Arbitrio, che sostanzialmente confermano quanto qui rilevato sia per i monasteri, sia per gli altri enti religiosi. Ringrazio la professoressa Sorelli che cortesemente me ne ha concesso la consultazione.96 Altri esempi di monasteri che sperimentarono questo rinnovamento spirituale, del quale si trova riscontro nei testamenti, furono Santa Maria della Celestia, Sant’Andrea del Lido, Santi Biagio e Cataldo. De Sandre Gasparini, La pietà, cit., pp. 937-938.97 Sorelli, Gli ordini mendicanti, cit., p. 918. Per Padova, Rigon, Influssi francescani, cit., pp. 105-108.

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predicazione dei frati potrebbe, secondo me, aver incentivato tale pratica. Nei testamenti di San Lorenzo, ben 14 sono coloro che nella seconda metà del secolo beneficarono dei religiosi regolari, contro uno solo nella prima metà – lo stesso trend si può osservare anche per gli ecclesiastici. Per quanto riguarda i frati, il più nominato fu frate Bonacorso, che evidentemente predicava nella zona di San Severo visto che a ricordarlo furono due donne di quel confinio98. Anche qui si riscontra lo stesso favore per quei monaci o monache che dimoravano presso quegli enti più devoti, di cui prima si è detto (Ammiana, Santa Maria della Ce-lestia, San Biagio e Cataldo, Santa Maria delle Vergini). Nella maggior parte dei casi, comunque, si beneficavano i parenti che si trovavano all’interno delle comunità; così è quasi sempre per coloro che testarono a favore di San Lorenzo e delle sue monache, quasi sempre figlie o sorelle o nipoti. Oltre che del denaro alle monache venivano destinati oggetti, tra i più vari, oppure delle rendite vita-lizie formate sull’affitto di case. Benedetta lasciava a Vidota Barbarigo, monaca di San Lorenzo, un laveçio (pentola) di rame e uno di pietra, un mastello (secchio di grandi dimensioni), 2 paia di mutande da distribuire ai poveri99. Maria Venier disponeva alla sorella Costanza, monaca di San Lorenzo, metà dell’affitto delle due case in pietra ubicate nel confinio di Sant’Ermagora, l’altra metà all’altra so-rella Agnese, che aveva preso i voti a San Giovanni Evangelista100; Pietro Magno stabilì che «soror [sua] domina Perera monacha Sancti Laurencii habeat conve-nientem de domo [sua] sibi necessaria omni anno usque dum vixerit»101. Alcuni testamenti prevedevano donazioni per tutti i monasteri della laguna o, come spesso si trova scritto, «a Gradu usque a Caput Aggeris», e anche in questo caso il loro numero aumentò con la seconda metà del secolo – a dire la verità non ne ho trovato alcun esempio nella prima. Un testamento del tutto eccezionale e che meglio di tutti esplica quest’usanza è quello di Maria vedova di Giacomo Gradenigo, che nel 1267 testò, oltre che a favore dei parenti, dei poveri, delle congregazioni di Rialto, e della chiesa di san Giovanni Decollato, probabilmente sua parrocchia, anche, come abbiamo visto, a favore di tutti gli ospedali e i mo-nasteri della laguna: «pro unoquoque monasterio et hospitali a Gradu usque ad Caput Aggeris, dentur solidi denariorum XX». I Procuratori di San Marco, eletti esecutori testamentari della donna, compilarono un quaderno dove accuratamen-te annotarono tutti i monasteri e gli ospedali presenti in laguna in quegli anni, le somme erogate a ciascuno di essi, la dimissoria che fu effettivamente pagata in

98 Una è Blanzelanda Maripiero; A.S.Ve., San Lorenzo, b 7 proc 22, 21 marzo 1265. L’altra è Maria Mengulo, che si dichiara abitante a San Lorenzo, ma che suppongo essere originaria di San Severo poiché il suo padrino è Marco Bonvicino, presbitero di San Severo. Interessante è come Maria defisca frate Bonacorso: «frati Boacurso patrino meo comorante apud Sanctum Iohannem Baptistam [dimittit] libras denariorum venecialium quatuor» che probabilmete a quella data, 1272, era morto. Scalabrin, San Lorenzo, cit., doc. n. 29.99 A.S.Ve., San Lorenzo, b 8 Santa Marina, 11 ottobre 1293.100 Scalabrin, San Lorenzo, cit., doc. n. 27.101 Ivi, doc. n. 10. Ho corretto convenienter con convenientem.

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due rate da 8 e 12 soldi, e qualche volta annotando i nomi e le qualifiche delle persone che avevano ritirato il denaro, in nome del monastero. La lunghezza del-la lista è davvero impressionante, 93 sono i monasteri elencati dalla laguna nord a sud e 6 ospedali, dai monasteri più antichi come Sant’Ilario e San Zaccaria a quelli di più recente formazione come quelli dei Minori, è ovviamente nominato anche San Lorenzo per il quale un certo «frati Petro familiaris Sancti Laurencii pro monastero» ritirò l’eredità102. Ricordiamo l’osservazione della Crouzet-Pa-van sulla posizione dei cenobi veneziani103 che furono collocati in modo tale da costituire le “mura della fede”. Mi pare che essa sia confermata dai testamenti, nei quali il numero sempre crescente di monasteri verso i quali donare, potrebbe essere reale espressione di quella esigenza di fede e spiritualità e di quella “ga-ranzia” rispetto alla salvezza terrena che la studiosa coglie nella loro posizione geografica. L’epoca qui presa in considerazione è ritenuta da numerosi studiosi un’età di svolta nella sensibilità dell’uomo medievale verso l’altro, soprattutto verso i più indigenti104. Si assiste perciò a un proliferare di lasciti a poveri, ospedali, orfani, cioè a quelle categorie sociali ritenute da sempre più deboli e bisognose. Si è visto in tale fenomeno l’influenza degli ordini mendicanti, Minori in primis105, va però ricordato che esso si stava già sviluppando nella società, i Mendicanti sem-mai ne furono ulteriore stimolo. I poveri, in particolare, furono tra le categorie maggiormente ricordate: a essi si donavano soldi, indumenti, cibo e anche mo-bili. Gisla, vedova di Alberto della Scala di San Cassiano destinò ben 100 lire ai più poveri e il massaraticum lasciatole dal marito, come dimissoria, ai poveri dei monasteri, eccetto coloro che si trovavano in prigione106. Maria Venier e Blanze-landa Malipiero donarono loro rispettivamente tre e venticinque lire, quest’ulti-ma inoltre specificò che i soldi dovevano andare solo ai poveri di San Lorenzo e San Severo. Pietro Magno, nel 1227, lasciò loro 30 lire l’anno107; Agnese Rosso, nel maggio del 1256, destinò invece 25 lire «ad vestiendum pauperes»108, pratica,

102 Il documento è segnalato da Morozzo della Rocca in un breve articolo sul Bollettino dell’istituto di Storia della società e dello stato veneziano, che augurava uno studio approfondito del documento del quale intuiva l’importanza, riportando l’elenco dei monasteri e degli ospedali. A quanto mi risulta il suo invito non è ancora stato ascoltato. R. Morozzo della Rocca, Per la storia delle chiese e dei monasteri di Venezia, in «Bollettino dell’Istituto di storia della società e dello stato veneziano», IV, 1962, pp. 39-41. Il documento rispetto a quanto scritto nell’articolo è stato spostato e si trova ora in A.S.Ve., Procuratori di San Marco Ultra, b 160.103 Crouzet-Pavan, Les monastères, cit., p. e qui note 414 e 415.104 Vedasi per tutti, Merlo, La conversione, cit., pp. 1-51; A. Rigon, I testamenti come atti di religiosità pauperistica, in La conversione cit., pp. 399-401 e A. Vauchez, La spiritualità dell’Occidente medievale, Milano, 1993.105 Rigon, Influssi francescani, cit., p. 112 e Id., Orientamenti religiosi, cit., p. 53.106 Scalabrin, San Lorenzo, cit., doc. n. 28. 107 Pietro e Maria: Ivi, docc. n. 10 e 27, Blanzelanda, A.S.Ve., San Lorenzo, b 7 proc 22, 21 marzo 1265.108 Scalabrin, San Lorenzo, cit., docc. n. 19 e 20.

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quella di donare gli abiti, che aumentò sempre più nel corso del secolo. Più di tutti fece Armeleda Magno, moglie di Pietro, che, nel gennaio del 1257, lasciò a una certa Agnese Ceta dei panni per il valore di 40 lire, tutte le proprietà mo-bili a Lucia e ad altri poveri, permise inoltre a Agnese e alle altre mulieres di abitare nella proprietà (di Armeleda) dove in quel momento dimoravano109. Le motivazioni dichiarate, che sottostavano alla rinnovata attenzione verso questi miserabili, sono sempre la salvezza della propria anima e di quella dei parenti, pro anima mea et mearum parentarum si legge spessissimo in questi lasciti.La beneficienza verso i più bisognosi si manifestò inoltre, anche attraverso le numerose donazioni verso i sei ospedali della città, nominati con la stessa fre-quenza dei monasteri. Anche in questo caso fu ricordato o un singolo ente, tra i più nominati quello di San Giovanni Evangelista, oppure tutti indistintamente. Marchesina Cavatorta, nel agosto del 1292, designò l’ospedale di San Giovan-ni Evangelista a sua sepoltura, al quale previde di lasciare venti soldi110; anche Primiera Dandolo e Riconfilia Contarini diedero entrambe quaranta soldi a San Giovanni111. Più generosi furono Alifia Orio, Agnese Rosso e Filippa Pitulo, che distribuirono rispettivamente venti, quaranta e cinque soldi per ciascuno ospita-liorum infirmorum112. Infine gli orfani e le donne povere, coloro che non potevano avere una dote, ele-mento fondamentale sia per il matrimonio, sia per prendere i voti. I primi furono ricordati da Alifia, che elargì dieci soldi ciascuno per dieci bambini, e Blan-zelanda che destinò in più venticinque lire113. Sempre quest’ultima lasciò altre venticinque lire per quelle donne che desideravano entrare in monastero. Mol-to spesso nei testamenti si trovavano lasciti pro mulieribus monachandis quam maritandis; Simone Gradeloni ne dovette essere particolarmente ossessionato, tanto da ripetere un numero esperato di volte la stessa frase114. Una piccola con-siderazione si potrebbe fare sulle scelte alle quali le donne medievali potevano aspirare115: le opzioni come si è notato non erano poi molte, sposarsi o diventare monaca. Una sola mamma prospettava per la figlia qualche possibilità in più, tra le scelte permanevano comunque il matrimonio e i voti, ma la figlia, se avesse voluto, poteva o rimanere nubile o farsi conversa116.

109 Probabilmente una di quelle comunità spontanee di donne di cui si è parlato. Ivi, cit., doc. n. 18.110 Ivi, cit., doc. n. 35.111 Ivi, cit., docc. n. 2 e 4, rispettivamente nel 1206 e nel 1213.112 Ivi, cit., docc. n. 16, 20, 22. Gli altri ospedali nominati sono San Lazzaro, Misericordia, Domus Dei, San Marco, Santa Maria dei Crociferi.113 Ivi, doc. n. 16 e A.S.Ve., San Lorenzo, b 7 proc 22, 21 marzo 1265.114 Arbitrio, Aspetti della società, cit., doc. n. 30.115 Uno studio sulla condizione della donna attraverso i testamenti: L. Guzzetti, Le donne, cit., pp. 15-88 e Ead., Donne e scritture a Venezia nel tardo Trecento, in «Archivio veneto», s.v., vol. CLII, 1999, pp. 5-31.116 È Maria Migloni di San Vitale. Bellato, Aspetti di vita, cit., doc. n. 23.

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Qualche volta venivano ricordati anche i carcerati117, anche se abbiamo visto non sempre erano ben visti, principalmente se erano conoscenti: Riconfilia lasciava a Marco Grisuni, recluso, trenta soldi, probabilmente ne conosceva la famiglia visto che beneficò anche a Maria e Orabile, figlie di Leonardo Grisuni, proba-bilmente parente del carcerato118. Infine, sono ricordati anche i pellegrini che passavano per Venezia a cercare un passaggio verso la Terrasanta, per partire per la crociata, o verso Roma, o addirittura erano beneficati le mete stesse del pelle-grinaggio, come fu per San Giacomo di Compostela119.

117 S. Perini, Motivi etico-religiosi nei testamenti tardo trecenteschi della nobiltà veneziana, in «Archivio veneto», s.v., 138, 1992, pp. 119-125.118 Scalabrin, San Lorenzo, cit., doc. n. 4.119 Scalabrin, San Lorenzo, cit., doc. n. 22, e A.S.Ve., San Lorenzo, b 7 proc 22, 21 marzo 1265.