silvano agosti - il ritorno di pinocchio

«Quasi niente. Tutte le mie mille avventure sono pura

fantasia. Sai, quelli che scrivono i libri ci mettono tut-

to quello che gli passa per la mente. Per far divertire i

bambini quel Collodi si è inventato un sacco di storie,

ma sono tutte fantasie. La sola cosa vera è che mio

padre Geppetto voleva avere un bambino, insomma,

e allora siccome sua moglie è morta prima che io na-

scessi e lui era un bravo falegname, ha pensato di fa-

re da solo un figlio burattino e ha costruito me con un

pezzo di legno».

«Aspetta un momento, guardo cosa stanno facendo

mamma e papà».

La bambina esce dalla stanza.

I genitori stanno parlando sommessamente tra di

loro.

«Hai fame?» ripete la bambina tornando.

«Un po’ sì» risponde Pinocchio, «sono due giorni

che vado in giro».

«E tuo padre, Geppetto, sarà preoccupato».

«Geppetto non c’è più».

I due rimangono un po’ in silenzio.

«Aspetta qui, non ti muovere».

oo ccccccchhhhhheeeeee gggggggggllli pppppp

qqqqqqqqqqqqquuuuuuuueeeellllllll CCCCCCCCooooolllllllllllllllooooddddddddddiiiiiiiiii ssssssiiiiiiiiiiii èèèèèèèèèèèèèèèèèè iiiiiiiiiiiiiinnnnnnnnvvvvvvvvveeeeeeeeennnnnnnnnnnttttttttttttttaaaaaaaaaatttttttttttoooooooooooo uuuuuuuuuuuunnnnnnnnnnnn sssssssssssaaaaaaaaaaaccccccccccccccccccccoooooooo ddddddiiii sssttoo

oooooooo ttttttuuuttttttttee ffaantasiie. LLaa sssoooollaa ccoosssssssssssssaaaaaaaaaaaaa vvvvvvvveeerrraaa èèèèèèèèè ccccccchhhhhhhhhhhhhhheeeeeeeeeeeeeee

GGGGGGeeeeeeeppppppppeettttttoo vvvvvoooollleeeevvva aavveerree uunn bbbaaaaaaaaaaaaammmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmbbbbbbbbbbbbbbbbbbiiiinnnooo,, iiinnnssooooooooooommmmmmmmmmmmmmmm

sssssiiiiiiiccccccooommmee sssssuuuuaaaa mmmmmoogggllliiieeee èèè mmmoooorrrrrrrrrrrrrttttttttttaaaaaaaaaaaaaaaa pppppppppppppppppppppppppppprrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrriiiiiiiiiiiimmmmaa cchheeeeeeeeee iiiiiiiiii

ee llluuuuuuuuuuuiiiiii eera uunn bbbbrraaaavvvvvooooo ffffaaallleeeggggnnnaaammmmmmmmeee,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,, hhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa pppppppppppppppppeeeeeeeeeeeeeeeennnnsssaattttttooooooooooooooo

ooollllloooooooooooo uuuuuuuuuuuuuuuunnnnnnnnnnnnnnnnnnn fififiggllliiiooo bbbuuuurrraaaatttttttttiiiinnnnnoooo eeee hhhhaaa ccccccooooooooooooooooooooooossssssssttttttttttrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrruuuuuuuuuuuuuuuuuuuuito mmeeeeeee ccccccccccccccooo

ddddiii llllleeeeeeeeeeeeeeegggggggggggggggggggggggnnnnnnnnnnnnnooooooooooooooooooooooo»»»»»»»..

tttttaaa unnnnnnnnnnnnnnnn mmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmoooooooooooooooooommeennnttttoooo,,,, ggggggggggguuuuuuuuaaaaaaaaaaarrrrrrrddddddddddddddddddddddddoooooooooooooooooooooooooo ccccoooooossssssssssaaaaaaaaaaaaaaaaa ssssssssssssssssssttttttttttttttttttttttttttaaaaaaaaaaaaaaaaanno ffffffffffaaaaaaaaaaaaaacccc

mmmaa e pppppaaaaappppppppppppppppppppppppààààààààààààààààààà»»»»»»»»»»»»»»»»»»»»»»».........

mmmmbbinnnnnnnnaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa eeeeeeeeeessssssssssssssssssscccccccccccccccccccee ddddddddddddddddddaaaaaaaaaaaaaaaaaalllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllaaaaaaaaaaaa stttaaaaannnnnnnnnnnnzzzzzzzzzzzzzzzzaaaaaaaa............

iittoori sttttttaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaannnnnnnnnnnnnnnnnnnnnnnnnnnnnnnnnnnnnooooooo ppppppppppppppppaaaaaaaaaaaarrrrrrrrrrrrrrrrrrrlllllllllllllaandddddooooooooooo ssssssoooommmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeessssamennnttttttteeeeeeeeeeeee

ffffaaammme?» rrrriiiippppeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeetttttttttttttttttttttttttteeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee lllllllllllllllllllaaaaaaaaaaaaaaaaa bbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaammmmmmmmbbbbbbbbbbbbbiiiiiinnnnnnnaaaaaa ttttooooorrrrrnnnnnnnnnnaaaaaaaaannnnnnnnddddddooo.

ppppppppooo’’ sssìì» rrriiiissssppppoonnnnnnnnnnndddddddddddddddddddddddddddeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee PPPPPPPPPPPPPPPPPPPPPPPPPPPiiiiiiiinnnnnnnnnnnnnoooooccccccccccccchhhiiiooo,, «««««««ssssssssooooooooonnnnnnnnoooo dddddduuuuuuuuuuuuuuuuueeeeeeee

vvvvvvaaaaaaaaaaadddddddooooo iiiinnnn gggiroo»»»»..

uuuuuuuuuuuooooooooo ppppppppaaaaaaddddddrrreeee,, GGeppppeettttttttttttttttttoooooooooooooooooooooo,,,, ssssssssssssssaaaaaaaaaarrrrrrrrrrrrrrrrrrrrràààààààààààààààààààààààààà pppppprrrreeeocccuuuuupppppppaaaaaaaattttttttoooooo»»»»»»»»».....

pppppppppppppppppppppppppppppeeeeettttttttttttttoooooo nnnnooonnnn ccc’è più»»»»»»»»»....

iiiiimannngggoooonnnnoooo uuuuunnnnn pppoooooo’’ iiiiinnnnnnnnnn ssssssssssssssssssiiiiiiiiiiiiiiiiiiiillllllleeeennnzzziiiiooo...

««AAsppetta qqui, non ti muov

Come Pinocchio, che torna protagonista di un libro:

una fiaba di Silvano Agosti (adatta anche a un pubblico adulto)

di cui vi regaliamo i primi due capitoli. È l’appuntamento

con la lettura che «Vanity Fair» riserva agli amici più fedeli

BAMBINI SI DIVENTA

ua

nta

★★★

Inserto

esclusivo

SOLO PER VOI

ABBONATI ★★★

11 ALLEGATOtxtok_kri.indd 1 11-03-2010 12:16:33

«Ora sono un bambino, non sono più un burattino. La mia storia

non è finita, anzi, si può dire che proprio di lì è cominciata». Non capita

tutti i giorni di fare amicizia con un personaggio delle fiabe. È quello che accade a una bambina che, grazie al nuovo compagno di giochi, passerà

la notte più bella della sua vita

Che ne è stato di Pinocchio dopo che ha lasciato il suo abito da burattino e ha assunto le sembianze di un bambino come tutti gli altri? Se lo è chiesto lo scrittore bresciano Silvano Agosti (72 anni il prossimo 23 marzo) che su questa idea ha costruito il suo nuovo libro Il ritorno di Pinocchio (Salani pagg. 126, 12 euro; in libreria dal 18 marzo). La storia, una fiaba ambientata ai nostri giorni, parte quando una notte una bambina, il cui nome viene svelato solo

alla fine, riceve la visita di uno strano amico, che dice di chiamarsi Pinocchio e che conosce a memoria interi brani dell’opera di Collodi. Affascinata dal suo spirito libero, la piccola accetta di accompagnarlo in un viaggio notturno alla scoperta di ciò che accade quando i bambini dormono. Dagli incontri con ladri, prostitute, drogati e panettieri, la bambina imparerà il vero volto della vita. Alla faccia delle ore passate sui libri e sui banchi di scuola.

di Silvano Agosti

Silvano Agosti

IL RITORNODI PINOCCHIO

Copyright © 2010, Adriano Salani Editore S.p.A.

Gruppo editoriale Mauri Spagnol

www.salani.it

11 ALLEGATOtxtok_kri.indd 2-3 11-03-2010 12:16:59

Cari bambini,

qualcuno ha portato fin qui in Kirghisia la storia Il ri-torno di Pinocchio e tanti ormai l’hanno letta e si sono stupiti del vostro coraggio.

Qui da noi i bambini non vanno a nessuna scuola ma giocano nei parchi tutto il giorno fino all’età di diciotto anni e invece di studiare imparano, come dice il bambi-no Pinocchio nel vostro libro.

E sanno tutto ciò che occorre per essere se stessi, co-me ogni albero sa come si fa a fiorire, a mutare le foglie e a fare dei magnifici frutti, senza che nessuno glielo insegni.

Ma come imparano tutti?Semplice, quando piove o quando lo desidera-

no entrano nelle varie case che circondano i par-chi, la Casa del corpo umano, la Casa della storia, la Casa delle lingue, la Casa della pittura, insomma le

case di tutto il sapere. Trovano moltissimi compu- ter che rispondono a qualsiasi domanda e così impara-no tutto quello che desiderano.

Poi ne parlano con i loro genitori che, lavorando solo tre ore al giorno, hanno tutto il tempo per conoscere i loro figli e giocare con loro.

Qui da noi nessun genitore lega alcun bambino o bambina alla gamba del letto come succede nel vostro libro Il ritorno di Pinocchio, perché anche i più piccoli vengono trattati con infinito rispetto, ognuno è sereno e le porte delle case sono sempre aperte.

Quando sarete più grandicelli venite a trovarci qui in Kirghisia, sarete nostri ospiti e vedrete come vive felice un popolo capace di organizzare la vita per il benessere di tutti e non solo di pochi.

Con molto affetto vi saluto e vi aspetto.Il presidente della Kirghisia

| I L R I T O R N O D I P I N O C C H I O |


È sera.

Nella strada di una città qualsiasi. In una casa come

ce ne sono tante, una bambina di sette anni vive col

padre, la madre e il nonno.

Nella sua cameretta, la bimba legge il libro di Pinoc-

chio.

È arrivata all’ultima pagina:

«… E il vecchio Pinocchio di legno dov’è nascosto?» chiede Pinocchio divenuto bambino.

«Là» risponde Geppetto, e accenna a un burattino appoggiato alla seggiola, con il capo girato da una parte, le braccia ciondoloni.

Pinocchio si volta e, dopo averlo guardato, dice dentro di sé:

«Com’ero buffo, quand’ero un burattino!

E ora come sono contento di essere diventato un ragazzino perbene!»

Capitolo primo

L’incontro

La storia è finita, peccato» dice la bambina e

gira l’ultima pagina, chiude la copertina e

ripone il libro di Pinocchio.

Toglie di tasca un involucro di carta argen-

tata, lo apre, mette in bocca un pezzo di

cioccolata, spegne la luce e s’infila sotto le coperte.

Dall’altra stanza arriva la voce della mamma.

«Ti sei lavata i denti?»

«Sì» risponde assonnata la bambina.

Non è vero. Ha raccontato la solita bugia.

Si nasconde sotto le lenzuola e tocca il naso per ve-

dere se si è allungato, come succede a Pinocchio ogni

volta che dice le bugie.

Il naso è intatto. Sorride e cerca di dormire. La cioc-

colata si scioglie lentamente nel piacere del sonno.

Meno male che non sono un burattino, così posso dire le bugie quanto mi pare e nessuno se ne accorge.

I genitori sono accanto al focolare, guardano la tele-

visione e, prima di andare a letto, come ogni sera ver-

ranno a salutarla.

«Dormi adesso e buona notte» grida la madre.

Silenzio.

La bambina sta per cadere in un sonno profondo,

quando qualcuno bussa ai vetri della finestra socchiu-

«



sa. Allora si alza e sporgendosi assonnata sulla strada,

vede un ragazzino più o meno della sua età: è sudato,

ha i capelli arruffati e spicca alcuni salti per raggiunge-

re il davanzale della finestra.

«Fammi salire» chiede con voce affannata.

«Non ti conosco. Chi sei?»

«Sono un bambino come te. Aiutami!»

Lo aiuto pensa la bambina, poi sussurra sottovoce:

«Aspetta, ti aiuto».

Apre la finestra, tende le braccia oltre il davanzale.

«Allunga una mano!» grida l’altro dalla strada.

La bambina si sporge il più possibile, lo aiuta a en-

trare nella stanza.

Il piccolo sconosciuto parla ansimando:

«Passavo sotto la finestra. Ho sentito che dicevi: Pec-cato, la storia di Pinocchio è finita. Giusto?»

«È vero, sul libro c’è scritto Fine».

La bambina si siede sul letto.

«Ma tu chi sei?»

«Anche se sembro un bambino qualsiasi, io sono Pi-

nocchio. Come c’è scritto nel libro ora sono un bam-

bino, non sono più un burattino. La mia storia non è

finita, anzi, si può dire che proprio di lì è cominciata.

Devi sapere che quando sono diventato un bambino

vero… È successo alcuni anni fa… Giusto?»

Pinocchio siede sul letto accanto alla bambina.

«Hai fame? Hai sete? Posso chiamarti Pinocchio o

hai cambiato nome?»

«Chiamami pure Pinocchio» risponde Pinocchio

con un sorriso.

«Senti un po’. Cosa c’è di vero in tutta la tua sto-

ria?»

Pinocchio si sfiora un orecchio in segno d’imbaraz-

zo.

«Quasi niente. Tutte le mie mille avventure sono pu-

ra fantasia. Sai, quelli che scrivono i libri ci mettono

tutto quello che gli passa per la mente. Per far divertire

i bambini quel Collodi si è inventato un sacco di sto-

rie, ma sono tutte fantasie. La sola cosa vera è che mio

padre Geppetto voleva avere un bambino, insomma,

e allora siccome sua moglie è morta prima che io na-

scessi e lui era un bravo falegname, ha pensato di fare

da solo un figlio burattino e ha costruito me con un

pezzo di legno».

«Aspetta un momento, guardo cosa stanno facendo

mamma e papà».

La bambina esce dalla stanza.

I genitori stanno parlando sommessamente tra di

loro.

«Hai fame?» ripete la bambina tornando.

«Un po’ sì» risponde Pinocchio, «sono due giorni

che vado in giro».

«E tuo padre, Geppetto, sarà preoccupato».

«Geppetto non c’è più».

I due rimangono un po’ in silenzio.

«Aspetta qui, non ti muovere».



La bambina sguscia in cucina, prende dal frigorifero

il formaggio, un pane e dalla cesta della frutta una me-

la, poi torna in camera da letto.

Quando rientra il bimbo Pinocchio, disteso sul tap-

peto, si è addormentato ai piedi del letto.

«Sveglia! Devi mangiare».

Niente da fare. Pinocchio dorme profondamente.

La bambina ripone pane, formaggio e mela sotto il

cuscino e siede sul letto.

L’emozione è grande.

Questo bambino dai capelli scomposti è proprio lui,

Pinocchio in persona, il famoso burattino che prima

viene trasformato in asino, poi, dopo infinite avventu-

re, da burattino di legno diventa un bambino vero.

Pinocchio, quello vero! Proprio lui! È qui accanto a me nella mia stanza pensa la bambina e sorride, ma il son-

no poco a poco le copre gli occhi e la mente.

E se invece è un bugiardo, e se volesse solo prendermi in giro?

Si infila sotto le coperte.

Tutto intorno diventa scuro.

La finestra sparisce lentamente nel buio, poi il tavo-

lino, e infine il letto e le coperte.

Nel cuore della notte una piccola mano calda la

scuote:

«Ehi, hai detto che trovavi qualcosa da mangiare

per me».

«L’ho portato ma dormivi» sussurra la bambina as-

sonnata.

«Il mio stomaco è pieno di un gran vuoto, mi ha in-

terrotto il sonno e ora la fame non mi lascia dormire».

«Aspetta, accendo la luce». Prende il cibo da sot-

to il cuscino e lo porge a Pinocchio. «Mangia» dice la

bambina infilandosi sotto le lenzuola.

Pinocchio con un balzo si avvicina al tavolo e si sie-

de. Addenta prima la mela, poi il pane e infine il for-

maggio.

«È meglio se mangi prima il pane, poi il formaggio

e la mela».

«A me piace così» mormora Pinocchio con la boc-

ca piena.

«Non si parla con la bocca piena» dice ridendo la

bambina.

«Sembri il maestro di scuola, ‘questo non si fa, quello non si fa’».

Un rumore di porte aperte e chiuse li fa trasalire.

«Nasconditi, i miei genitori stanno per andare a dor-

mire. Vengono a salutarmi. Vai sotto il letto».

Appena in tempo. La porta della camera si schiude

lentamente e la madre si avvicina alla bambina che fin-

ge di dormire. Anche il padre appare.

«Guarda come dorme».

La madre si china sulla figlia e la bacia, poi rimboc-

ca dolcemente le coperte. Anche il padre si avvicina e

bacia la bambina sulla fronte.

«Come dorme. Sembra quasi che finga. Ha dimen-



ticato la luce accesa, come sempre... Guarda, legge

Pinocchio. Quello stupido burattino ha ossessionato

la mia infanzia. Lo sognavo di notte che mi abbrac-

ciava e mi pungeva le guance con quel suo ridicolo

naso».

Arriva anche il nonno, un vecchietto arzillo che ac-

carezza dolcemente la nuca della nipotina e rimbocca

a sua volta le coperte.

«Come dorme, beata lei».

«Andiamo nonno, è tardi anche per te» dice la

mamma.

I tre escono dalla stanza, spengono la luce e chiudo-

no la porta.

La debole luminosità dei lampioni entra dalla fi-

nestra e nella penombra della notte ingrandisce ogni

cosa.

«Psst, Pinocchio, vieni fuori. Ormai fino a domani

non tornano» dice la bambina.

Pinocchio esce di sotto il letto e siede al centro del-

la stanza. Finisce di mangiare la mela con appetito. A

ogni boccone sorride contento.

«Tuo padre ha detto che sono stupido».

«Per lui tutti i bambini sono stupidi. Ma tu perché

sei scappato di casa?»

«Non mi andava di andare a scuola. Il maestro non

faceva che dire: Seduto, composto, non parlare, stai attento, non muoverti, apri il libro, chiudi il quaderno, torna a posto, rispondi quando ti tocca. Avevo paura di

ridiventare un burattino».

«Eppure» sussurra la bambina, «il libro dice che

quando non volevi andare a scuola sei scappato nel

paese dei balocchi e ti sei trasformato in un ciuchino.

Forse, se un bambino gioca soltanto senza studiare

mai, gli crescono davvero le orecchie d’asino».

«No» dice Pinocchio, «la verità è che quando un

bambino per giocare ha bisogno dei balocchi non è

più un vero bambino. È già un asino».

«E i miei giocattoli?» dice la bambina.

Pinocchio si avvicina a un angolo della stanza dove

sono ammucchiati i giocattoli.

«Si può giocare con qualsiasi cosa, con una piuma,

una ruota, lo spago o con dei legnetti e anche con nien-

te. Io gioco spesso con niente. Immagino di prendere

tre, quattro o a volte perfino sei palline invisibili e le

faccio ruotare nell’aria senza farne cadere neppure

una. Il paese dei balocchi dopo un po’ era noioso, ci si

perdeva, come i grandi che giocano a carte o a dama o

alla lotteria e a tutti i giochi che non inventano loro».

La bambina lo guarda affascinata.

«E quando ti sei bruciato i piedi ti faceva male?»

«Non si sono bruciati i piedi, ma gli zoccoletti.

Li ho appoggiati al braciere perché erano bagnati.

Geppetto non c’era. Avevo fame. Sono andato per

strada in cerca di cibo. Un vecchio dalla finestra ha

promesso del pane, invece mi ha versato addosso un

secchio di acqua gelata. Così ti cheti ha gridato e ti



passa pure l’appetito. Tutto bagnato sono rientrato in

casa e la fame era così grande che mi sono addor-

mentato. Quando Geppetto è tornato mi ha sveglia-

to, la casa era piena di fumo perché gli zoccoletti,

che avevo appoggiato al braciere per farli asciugare,

si erano bruciati. Ho dovuto promettere che non sa-

rei più scappato di casa».

«Però nel libro c’è scritto che ti sei bruciato i

piedi».

«Eh già, nel libro. Te l’ho detto che gli scrittori in-

ventano sempre tutto. Figurati se ero così stupido da

poggiare sulla brace i miei piedi di legno... Però fa

più effetto scrivere che mi sono bruciato i piedi, in-

vece di dire la verità e cioè che si erano bruciati gli

zoccoletti. Sai, immaginare le cose è bello, è un po’

come volare».

Pinocchio socchiude gli occhi e ripete a memoria:

«Senti cosa dice il libro sui piedi bruciati:

Pinocchio chiude gli occhi e fa finta di dormire. E nel tempo che si finge addormentato, Geppetto con un po’ di colla sciolta in un guscio d’uovo gli appiccica i due piedi al loro posto, e glieli appiccica così bene, che non si vede nemmeno il segno dell’attaccatura.

«Lo sai a memoria il libro di Pinocchio?»

«L’ho raccontata mille volte la mia storia. Sì, la so

proprio a memoria, tutta, parola per parola».

«Eh già, sei Pinocchio… Come lo ripeti bene, sem-

bra proprio quello che c’è scritto nel libro. Mi racconti

di quando ti hanno impiccato?»

«Dunque, dunque, quando m’hanno impiccato,

vediamo un po’… Buono il formaggio, buona la tua

mela!»

Pinocchio socchiude gli occhi, per aiutarsi a ricor-

dare.

«Il libro mi pare dice così.

In quel mentre che il povero Pinocchio impiccato dagli assassini a un ramo della Quercia grande, pare ormai più morto che vivo, la bella Bambina dai capelli turchini si affaccia alla finestra, e impietosita alla vista di quell’infelice sospeso per il collo, che balla alle ventate di tramontana, batte per tre volte le mani e fa tre piccoli colpi.

A questo segnale si sente un gran rumore di ali che volano con foga precipitosa, e un grosso falco si posa



sul davanzale della finestra. ‘Cosa comandi, mia graziosa Fata?’

dice il Falco abbassando il becco in atto di reverenza.

‘Vedi quel burattino attaccato penzoloni a un ramo della Quercia grande?’

‘Lo vedo’.‘Vola subito laggiù, rompi col tuo

fortissimo becco il nodo che lo tiene sospeso in aria e posalo delicatamente sdraiato sull’erba ai piedi della Quercia’.

Il Falco vola via e dopo due minuti torna dicendo: ‘Quel che hai comandato, è fatto’.

‘Come l’hai trovato? Vivo o morto?’‘A vederlo, pareva morto, ma non

dev’essere ancora morto perbene, perché, appena gli ho sciolto il nodo scorsoio che lo stringeva intorno alla gola, ha lasciato andare un sospiro, balbettando a mezza voce: ‘‘Ora mi sento meglio!’’

«Sei proprio bravo. Io quel che c’è scritto sui libri

di scuola non lo imparo mai. Ma perché allora si deve

andare a scuola?»

«Lo vuoi sapere un segreto?» sussurra Pinocchio.

«Mi piacciono i segreti» risponde la bambina.

«Se gli alberi andassero a scuola li farebbero diven-

tare tutti pali della luce…»

La bambina lo guarda stupita.

«Niente più foglie?»

E Pinocchio: «No. Niente più foglie…»

«E niente più fiori?» sussurra allarmata la bambi-

na.

«Niente più fiori…» dice solenne Pinocchio.

Poi strizzando l’occhio, conclude: «… e purtroppo

niente frutti».

Pinocchio fa uno sberleffo, fingendo di essere un bu-

rattino.

«Se non si va a scuola come si fa a studiare?»

«A scuola è meglio andarci il meno possibile. Te l’ho

detto. La scuola è una specie di ospedale per ignoranti.

Chi non riesce a imparare niente deve andare lì e viene

obbligato a studiare e a stare sempre seduto. È meglio

imparare piuttosto che studiare. A scuola si studia, si

studia e non si sa mai niente di preciso. Invece veden-

do e girando il mondo si imparano tante cose. È molto

divertente!»

«Davvero il falco parlava? Ma come è possibile?»

«Be’, nei libri tutto è possibile».

«Dici che si può imparare anche senza studiare? So-



lo vedendo il mondo…»

«Dico davvero, se non ci credi, vestiti! Ti porto a fa-

re un giro».

«Un giro? Non posso… È notte, e poi il babbo chiu-

de sempre la porta a chiave. Se tiri il catenaccio si sve-

gliano tutti».

«Ho un’idea» dice trionfante Pinocchio. «Usciamo

dalla finestra».

«Ma è notte, c’è buio! E poi sono in pigiama».

«Vestiti e andiamo. Di notte tutto è più bello. Quan-

do è buio, il mondo un po’ lo vedi e un po’ lo immagi-

ni».

«E se poi succede qualcosa?»

«E se poi e se poi…»

La bambina emozionata si veste in fretta e, in punta

di piedi, va verso la finestra. Il cuore le batte forte.

«E se piove?»

È molto eccitata all’idea di un’impresa tanto specia-

le, ormai la sua mente è già nella città.

Capitolo secondo

Nella città, il barbone, il drogato e il cane Ulisse

I due bambini si calano dalla finestra e con un bal-

zo sono sulla strada.

L’asfalto è bagnato e riflette le luci dei lampioni.

L’acqua disegna macchie gigantesche, forme mi-steriose e irreali che vibrano alla brezza della notte

e lottano come cavalieri medioevali. Sembra di sentire il rumore di spade che feriscono solo l’acciaio delle coraz-ze. Così è certo che i cavalieri sono immortali e devono solo combattere senza mai fermarsi né per dormire, né per mangiare e neppure per sognare, solo lottare fino al-l’ultimo sangue, anch’esso fatto di acqua notturna na-scosta tra le crepe dell’asfalto.

La bambina è affascinata.

«Muoviti, cosa fai?» le grida Pinocchio.

Le strade sono deserte. Col cuore in gola la bambi-

na segue la sua guida, Pinocchio, che si avvia verso il

centro della città.

«E se ci perdiamo? E se non troviamo più la strada

per tornare?»

«Le conosco a memoria le vie della città. Non aver

paura, prima dell’alba torniamo» dice Pinocchio, «che

bell’aria fresca! Corriamo?»

«Sei proprio matto! Dove andiamo?»

«Andiamo in centro, lì ci sono tante cose da vede-



re».

I due si mettono a correre muovendo le braccia co-

me eliche e facendo grandi cerchi nelle vie deserte.

Sul ciglio della strada, ricoperto da alcuni fogli di

giornale, un uomo dorme, disteso su una panchina.

«Perché quello dorme lì?» chiede la bambina.

«Non ha una casa. Forse è povero o non trova lavo-

ro».

«Se uno non trova lavoro dorme sulle panchine?»

«Eh già, o da qualche amico».

Pinocchio e la bambina si fermano a bere a una fon-

tanella che ha la forma di un delfino in bronzo intento

a spiccare un salto nell’aria. Dalla bocca del delfino

esce uno zampillo di acqua.

«Mmmh, che buona».

«L’acqua viene dalle montagne, per questo è fre-

sca».

«Buona davvero».

L’uomo che sembrava addormentato sulla panchina

alza la testa e dice con voce calma e chiara: «Ehi bam-

bini, volete sapere chi porta l’acqua sulle montagne?»

«Sì» dice la bambina sedendo sulla panchina.

«Le nuvole».

«E le nuvole da dove vengono?»

«Si formano col vapore che sale dall’acqua del mare

quando il sole la riscalda. Poi il vento le spinge via e

quando arrivano sopra le montagne fa freddo e le goc-

ce di vapore si ghiacciano, diventano pesanti e cadono

come neve, poi col sole dell’estate la neve si scioglie,

forma i torrenti, che scendono nelle valli, l’acqua scor-

re sopra e sotto la terra e attraverso i fiumi torna fino al

mare. Ma un po’ arriva nelle fontanelle. Come questa

che state bevendo».

«Ma perché se viene dal mare l’acqua non è sala-

ta?» chiede la bambina.

«Il sale è pesante e non può salire verso le nuvole

insieme al vapore, perciò resta nel mare».

«Quante cose sai. Chi te le ha insegnate?»

«Facevo il maestro nelle scuole, ma mi hanno cac-

ciato perché non mi andava di tenere i bambini seduti

nei banchi. Li facevo solo giocare. Questa storia del-

le nuvole me l’ha insegnata un marinaio quando ero

bambino come voi. Be’, buona notte».

«Buona notte» rispondono insieme Pinocchio e la

bambina, poi si incamminano verso l’altro lato del-

la piazza. Si fermano di fronte a una grande insegna

spenta.

«Guarda, Il Gambero Rosso, ha lo stesso nome di

quella locanda dove hai mangiato col gatto e la vol-

pe».

«Sì, ma quella della mia storia era in mezzo a un bo-

sco, le pareti erano buie e il posto faceva paura».

«Ti ricordi cosa dice il libro di quella cena che hai

fatto col gatto e la volpe?»

Pinocchio siede a cavalcioni sul piede di un monu-

mento a Giuseppe Garibaldi ai margini dei giardini



pubblici. L’eroe dei due mondi è immobile seduto su

un trono di bronzo e tiene le gambe accavallate.

«Senti un po’ cosa dice il libro sulla cena al Gambe-ro Rosso».

Pinocchio racconta cercando nella memoria con gli

occhi socchiusi.

«Il povero Gatto, giunto alla locanda, sentendosi gravemente indisposto di stomaco, non mangia altro che trentacinque triglie con salsa di pomodoro e quattro porzioni di trippa alla parmigiana; poiché la trippa non gli pare condita abbastanza, chiede tre volte il burro e il formaggio grattato!

La Volpe avrebbe assaggiato volentieri qualche cosina anche lei: ma siccome il medico le ha ordinato una grandissima dieta, si accontenta di una semplice lepre dolce, con un leggerissimo contorno di pollastre ingrassate e di galletti.

Per finire la Volpe si fa portare un vassoio di pernici, di starne, di conigli, di ranocchi, di lucertole

e d’uva paradisa; e poi non vuole altro».

«Accidenti che mangiata!» dice la bambina.

«Io invece» dice Pinocchio, «quella volta ho sgra-

nocchiato solo un tozzo di pane con una noce».

«Guarda là!» dice la bambina.

Un ragazzo, nascosto dietro un cespuglio, si lega

uno spago intorno al gomito e infila una siringa nel

braccio.

Pinocchio si gratta la testa.

«Quello sta male».

«È un drogato».

«È un drogato?»

«Uno che soffre grandi dolori e non riesce a vivere

senza quella roba che si mette nel braccio con la sirin-

ga. È una specie di veleno che va nelle vene, è la droga.

Così per un po’ dimentica tutto. Ma poi l’effetto del

liquido passa e lui ricorda di essere infelice e deve fare

un’altra iniezione, ma se non smette muore».

La bambina corre verso il giovane, si ferma a pochi

passi da lui.

«Perché ti pungi?»

«Vattene».

«Pinocchio dice che se non smetti muori».

«Vattene mocciosa o ti sgozzo, te e il tuo Pinocchio.

Così vedi chi muore».



La bambina si allontana e raggiunge Pinocchio, ri-

masto immobile ad aspettarla, ha gli occhi impauriti e

gonfi di lacrime: «Mi ha detto vattene mocciosa».

«Sono cattivi quando si drogano, poi dopo un po’

che si sono punti diventano più buoni e si addormen-

tano. Andiamo».

«Ma perché si pungono?»

«Te l’ho detto, per dimenticare il dolore, ma poi sof-

frono ancora di più».

Nel viale passa un grosso camion che lancia due

grandi ventagli di spruzzi a destra e a sinistra. Pinoc-

chio gioca toccando i getti luccicanti dell’acqua.

«È bello andare in giro di notte. Giusto? Guarda i

riflessi come brillano sull’acqua!»

«Sembra una pioggia di luce» sussurra incantata la

bambina.

Pinocchio attraversa la strada.

«Vedi, i fornai stanno facendo il pane».

In un’ampia stanza con la porta che dà sulla via si

intravedono due uomini e tre ragazzi vestiti di bian-

co che impastano il pane. Si muovono agili tra varie

macchine e con grande rapidità tagliano a blocchetti

le lunghe strisce di pasta arrotolata e le trasformano in

panini, disponendoli in file parallele.

«Fanno lievitare il pane, poi verso l’alba lo mettono

nel forno. Quando torniamo ci fermiamo a fiutare il

profumo delle torte».

«Mangio sempre il pane ma non sapevo che si fa di

notte, e che prima fanno le strisce di pasta fresca, che

poi tagliano e i blocchetti diventano panini» dice la

bambina.

«Ciao Pinocchio, sempre in giro per il mondo, eh!

Passa più tardi che ci sono le brioche» grida il fornaio,

per far salire la voce oltre il rumore della macchina im-

pastatrice.

Pinocchio fa una piroetta e ringrazia inchinandosi,

con un bel gesto della mano.

«Ti danno le brioche?»

«Quando passo verso l’alba offrono sempre qualco-

sa. Poi qualche volta durante il giorno io faccio le con-

segne. Porto il pane nelle case dei clienti».

«E dove lo porti il pane?» chiede la bambina.

«A certe vecchiette che non escono mai di casa.

Buon lavoro!» grida Pinocchio. «A più tardi signor

fornaio».

«Ah, che mattacchione quel Pinocchio, signor for-naio… dice».

Dai grandi alberi di tiglio una nube di profumi deli-

cati si posa sulle strade e i semi degli alberi, come fioc-

chi trasparenti di luce, vagano nell’aria.

«Che bello, sembra neve».

La luna piena, perfettamente rotonda, è al centro

del cielo.

Da un terrazzo si sente cantare. È la voce di una

donna intenta a stendere i panni.

«A quest’ora fa il bucato?» chiede la bambina.



«Ma quello è l’ospedale» ride Pinocchio, «e la don-

na è un’infermiera. Deve tenere puliti i malati a qual-

siasi ora del giorno e della notte. Giusto? Vieni a vede-

re».

«Perché quando parli dici sempre ‘giusto’?»

Pinocchio non risponde e sale la scaletta di ferro che

porta all’ingresso dell’ospedale.

Nella guardiola un uomo in camice bianco dorme,

col capo posato sulle braccia. Nel posacenere davanti

a lui una pipa abbandonata fuma debolmente.

I due bambini entrano inosservati nell’ospedale, at-

traversano lunghissimi corridoi ricolmi di letti provvi-

sori occupati dai malati.

«Perché i malati dormono nel corridoio?»

Pinocchio si gratta la nuca e risponde: «Perché nelle

stanze non ci sono più posti. Giusto?»

«Non sapevo che c’erano tanti malati…»

«I grandi si ammalano perché fumano o mangiano

male, o lavorano troppo o a casa litigano sempre, in-

somma non sono felici e allora prendono le malattie,

così poi dicono che sono infelici perché sono malati».

Un vecchio è sveglio, e alla luce debole di una picco-

la torcia elettrica legge un libro sotto il lenzuolo.

«Ehi bambini, che fate in ospedale?»

«Visitiamo i malati» dice Pinocchio.

«A quest’ora di notte? Adesso dormono tutti, tran-

ne quelli gravi che sono svegli perché soffrono».

«E tu cos’hai? Sei malato grave?»

«No, non sono neppure malato. All’inizio ho fatto

finta di avere male di pancia, perché a casa ero sempre

solo. Nel quartiere quando sei vecchio nessuno ti dà

più retta. Almeno qui parlo con qualcuno. Quando so-

no arrivato ho detto che avevo mal di testa, e mi hanno

curato la testa, poi ho detto che avevo male anche al

collo e mi hanno curato il collo e poi le braccia e il pet-

to, le gambe, i piedi. Adesso mi sono rimasti i mignoli

delle mani e dei piedi, ma per poter stare ancora qui

continuerò a dire che sento male allo stomaco e poi al

fegato e insomma uno per uno tutti gli organi del cor-

po. Ci vorranno un paio d’anni per esplorare tutto, poi

magari ricomincio col mal di pancia. Così posso rima-

nere qua ancora per un po’, coi miei amici malati».

«Cosa stai leggendo?»

Il vecchio mostra la copertina del libro. «La storia

dei tre moschettieri».

«È bello?» chiede Pinocchio.

«Racconta tante avventure. Sono storie di qualche

secolo fa, però mi diverto e così passo il tempo, mi

sembra di viaggiare all’indietro».

«E dove sei arrivato?»

«È un libro molto lungo e ogni tanto mi vien voglia

di saltare alla fine. Stavo leggendo di quando Porthos,

uno dei tre moschettieri, corre con la dinamite in ma-

no e improvvisamente si chiede qual è il misterioso

meccanismo che fa muovere le gambe e non trovando

risposta si paralizza e non riesce più a muoversi. Così



muore perché intanto che lui pensa la miccia raggiun-

ge l’esplosivo. Non bisogna farlo mai quello che ha fat-

to lui» conclude il vecchio.

Si sente all’improvviso una voce flebile che proviene

da una stanza vicina.

«È la Lina, ha novantotto anni e ancora chiama la

mamma».

I due bambini ridono.

«Fatemi un piacere, bambini. Andate da lei. La Lina

è nel letto, vicino alla finestra. Fatele una carezza così

la smette, altrimenti va avanti tutta la notte a chiamare

mamma. Poi tornate che vi do le caramelle».

I bambini vanno nella stanza e si avvicinano alla Li-

na che continua a chiamare ‘Mamma, mamma’.

«Che bella, sembra la mia nonna» dice la bambina.

«Dov’è tua nonna?»

«La mia nonna non c’è più. È morta».

La bambina accarezza il capo della Lina che conti-

nua a chiamare ‘Mamma, mamma’. Poi d’improvviso

la vecchietta si gira. Fissa a lungo la bambina in silen-

zio.

«Ciao, il mio angioletto. Cosa fai qui figlia mia, la

mia piccolina?»

Gli occhi della bambina si riempiono di lacrime. La

vecchia le sfiora la fronte con la mano tremante poi

torna a rannicchiarsi e ricomincia a chiamare: ‘Mam-

ma, mamma’.

Si sente il rumore di una porta che si apre. I due

bambini stanno per avviarsi quando un infermiere en-

tra minaccioso.

«Che ci fanno due bambini di notte in ospedale? Ve-

nite subito qua!»

Pinocchio e la bambina cominciano a correre scen-

dendo a tutta velocità le scale.

«Non pensiamo alle gambe, se no ti si fermano, co-

me al moschettiere…» grida la bambina e nel correre

si appoggia a una sedia a rotelle che scende le scale

inseguendo i due bambini.

In un batter d’occhio si ritrovano per strada. Anche

la sedia a rotelle infila miracolosamente la porta di

uscita e si ferma contro un palo della luce ai limiti del

marciapiede.

Pinocchio si siede e muovendo le ruote con le mani

la spinge nell’atrio dell’ospedale. Poi riprende a cor-

rere.

Affacciato alla finestra l’infermiere grida nella notte:

«Se vi acchiappo… Vi tiro su una gamba dalla boc-

ca…»

I due bambini corrono a perdifiato e arrivano in una

piazza.

«Che spavento» dice ansimando la bambina, «dav-

vero se ci prendeva ci tirava su una gamba dalla boc-

ca?»

«Ma no, è solo così per dire…» risponde Pinocchio

ridendo.

In una grande fontana un uomo sta lavando il suo



cane, un bastardino nero con una macchia bianca a

forma di stella tra le due orecchie. Il cagnetto è coper-

to dalla schiuma dello shampoo e si lascia docilmente

sciacquare.

«Come si chiama?» chiede la bambina.

«Ulisse».

«Ma Ulisse è il nome di un uomo».

«Eh sì, di un uomo molto intelligente, che sapeva in-

gannare tutti e nessuno riusciva mai a ingannare lui».

«Perché il cane l’hai chiamato Ulisse?»

«Perché è un randagio e prima di accucciarsi davan-

ti alla porta di casa mia ha viaggiato in lungo e in largo,

chissà come e chissà dove, proprio come Ulisse, l’eroe

greco. Volevo chiamarlo Stella per via della macchia

bianca che ha sul capo, ma è maschio».

«Così non sai quanti anni ha?»

«Certo che lo so. Basta contargli i baffi, moltiplicare

per dieci e dividere per sette».

«Posso contare i baffi?» chiede Pinocchio incurio-

sito.

«Aspetta, finisco di lavarlo, lo asciugo, poi contia-

mo i baffi».

L’uomo spinge dolcemente il cane immergendolo

nell’acqua e la schiuma del sapone disegna una coro-

na candida intorno al corpo dell’animale.

«Ecco, adesso è sciacquato. A Ulisse piace il fresco

dell’acqua».

Improvvisamente il cane mette le zampe anteriori

sul bordo della fontana e scuote il corpo velocemente

a destra e a sinistra, schizzando acqua ovunque. I due

bambini si allontanano gridando.

L’uomo fa uscire il cane dalla fontana e lo avvolge in

un grande asciugamano.

«Buono, Ulisse, li hai schizzati per bene quei poveri

bambini».

«Non è niente» dice Pinocchio, «siamo riusciti a

non farci bagnare. Ma quanti baffi ha Ulisse?»

«Ora li contiamo».

Il cane tranquillamente porge il muso in avanti.

«Uno, due, tre e quattro cinque sei, sette e otto. Ha

otto baffi bianchi. Otto per dieci fa ottanta, ottanta di-

viso sette fa undici e tre. Ulisse ha undici anni e tre

mesi».

«Ma perché hai diviso per sette?» chiede Pinoc-

chio.

«Perché un anno di vita del cane è come sette anni

di vita per l’uomo».

In quel momento si sente una voce gridare e Ulisse

parte come una freccia dirigendosi oltre la piazza. I

due bambini e il proprietario del cane lo seguono cor-

rendo. Giunto sull’ampio marciapiede il cane fa un

balzo sul muretto.

«La mia bambina, là, là!» grida una donna zingara.

Il cane Ulisse si tuffa nel fiume e raggiunge una bam-

bina che si agita tra i flutti, afferra coi denti il colletto

del vestito e trascina il corpicino verso la riva.



Intanto si è radunata una piccola folla di zingari.

Il cane depone la bimba vicino alla carovana dei no-

madi poi inspiegabilmente torna a tuffarsi nell’acqua.

Tutti, stupiti, lo seguono con lo sguardo mentre la

madre abbraccia la bambina salvata per miracolo.

Ulisse nuota fieramente verso il pilone centrale del

ponte. I gorghi sono profondi e le onde minacciose.

Dopo poco il cane riappare trascinando un altro cor-

picino, molto più piccolo.

Finalmente, tra gli applausi di tutti, il cane depone

sulla riva una piccola bambola grondante di acqua.

Uno zingaro incomincia a suonare col violino un’al-

legra ballata e tutti gli uomini formano danzando un

grande cerchio.

La bambina si avvicina, manda con la mano un ba-

cio al cagnetto ansimante e prende tra le braccia la sua

bambolina.

Ulisse, ruotando il corpo a destra e a sinistra, lancia

schizzi d’acqua un po’ dappertutto.

Ora tutti sembrano soddisfatti, anche il venditore di

salsicce che allunga due wurstel ben cotti al cane.

Ulisse, dopo averli a lungo fiutati e leccati, li man-

gia in un boccone. Anche Pinocchio e la sua piccola

compagna entrano nel cerchio dei danzatori e imitano,

ridendo, il ballo degli zingari.


11 ALLEGATOtxtok_kri.indd 32 11-03-2010 12:19:53

silvano agosti - il ritorno di pinocchio

Documents

Transcript of silvano agosti - il ritorno di pinocchio