Siamo aterra - Home -...

4
«Negli ultimi dieci anni, gli Stati Uniti hanno affrontato una serie di crisi terribili. Pri- ma la minaccia alla sopravvi- venza ambientale; poi l’appa- rente scarsità di energia; ora l’inatteso declino dell’econo- mia. Questi sono considerati di solito come problemi distin- ti, ciascuno da risolvere sul proprio terreno (…). Ma cia- scun tentativo di soluzione di un problema si scontra con le altre crisi (…). Inevitabilmen- te, chi propone una soluzione diventa oppositore delle altre. La politica è paralizzata (…). L’intreccio dei problemi dipen- de dalle complesse interazioni tra tre grandi sistemi: l’ecosi- stema, il sistema produttivo e il sistema economico (…). Il fatto è che i rapporti tra i tre si- stemi sono messi a testa in giù (…). Quelle che abbiamo di fronte non sono crisi diverse, ma un unico difetto di fondo nel modo in cui è costruita la nostra società» (Barry Commo- ner, The poverty of power. Energy and the economic cri- sis, Knopf, 1976, p.1-2). Barry Commoner – scom- parso nel 2012 - è uno dei pa- dri degli studi ambientali e dell’ecologismo politico. E’ sta- to un militante della sinistra, candidato a presidente nel 1980 (quando vinse Reagan) col Citizens Party. Nel 1971 il suo libro «Il cerchio da chiude- re» insegnò a tutti che cos’era l’ecologia e, nel mezzo della crisi degli anni settanta, il suo libro su «la povertà dell’ener- gia» (non tradotto) si legge co- me una fotografia dei dilem- mi dell’Europa di oggi, spro- fondata nella crisi e ancora in- certa tra il passato dell’ener- gia fossile e il futuro rinnova- bile. Siamo a terra La rilettura Barry Commoner, verde e rosso L a logica dell’accumulazione capitali- stica contrasta con l’etica kantiana di un sistema di regole fondato sui li- miti imposti all’uomo dal pianeta Terra. « Anche oggi», notava intorno alla metà degli anni ’60 Kenneth Boulding, «siamo molto lontani dall’aver effettuato quei cambiamenti morali, politici e psicologici che dovrebbero essere impliciti nella tran- sizione dalla prospettiva del piano illimi- tato a quella della sfera chiusa». Eppure, c’è chi fa finta di niente e nega che il pianeta Terra abbia alcun limite (…). Dieci anni prima del collasso del si- stema finanziario globale, l’economista statunitense Richard A. Easterlin glorifica- va nel suo libro la Crescita trionfante. An- che oggi, cinque anni dopo l’inizio della crisi finanziaria globale, le principali pub- blicazioni di tutte le maggiori istituzioni internazionali come la Banca Mondiale (Bm), Il Fondo Monetario Internazionale (Fmi), l’Unione Europea (Ue) o l’Ocse in- dividuano la crescita come panacea uni- versale di tutti i problemi economici. In paesi come la Germania o il Brasile l’acce- lerazione della crescita economica è previ- sta per legge. Non sono previsti né limiti né alcuna gradualità nella crescita. Nei consessi di economisti non sembra esserci alcuna tendenza a domandarsi se i gravi problemi economici, sociali e am- bientali che vengono discussi quotidiana- mente sui giornali possano essere il risul- tato di decenni di crescita capitalistica. E lo stoicismo di tali studiosi non è stato scalfito nemmeno da eventi disastrosi quali quelli di Fukushima e della piattafor- ma petrolifera Deepwater Horizon, o dal- le «condizioni climatiche eccezionali» de- gli ultimi anni. Quasi tutto il pensiero eco- nomico critico è stato soffocato dall’ eco- nomia mainstream - quasi tutto, poiché alcune isole di pensiero critico sono riu- scite a costruire strutture teoriche avanza- te, idee alternative solide e visioni lungi- miranti che le torbide inondazioni del mainstream non si sono dimostrate in grado di spazzare via. Le strutture teoriche rilevanti in questo scenario comprendono la termodinami- ca economica di Nicholas Georgescu-Roe- gen, una teoria che riconosce il ruolo del- lo scambio metabolico tra società e natu- ra. Le attività umane e lo sviluppo sociale sono contestualizzati nel tempo e nello spazio e non vivono in un ambiente artifi- ciale privo di qualunque dimensione spa- zio-temporale, popolato da degli omun- coli quali gli homini oeconomici protago- nisti delle teorie mainstream. CONTINUA |PAGINA II Petrolio e armi, il verso non cambia Sbilanciamo l’Europa Elmar Altvater Quasi tutto il pensiero economico critico è stato soffocato dall’ economia mainstream. Quasi tutto. Alcune isole di pensiero critico sono riuscite a costruire strutture teoriche avanzate, che le torbide inondazioni dell’informazione non si sono dimostrate in grado di spazzare via Guglielmo Ragozzino I l nostro presidente del consiglio, l’instancabile Matteo Renzi, è sta- to in Africa la settimana scorsa e ha portato con sé, per esempio in Mo- zambico, una delegazione di cui face- vano parte i numeri uno di Eni, Clau- dio Descalzi e di Finmeccanica, Mau- ro Moretti, nominati di recente in quei ruoli, per una scelta decisa, dopo lun- go dibattito e attenta riflessione, dal governo nazionale. Eni è al primo posto tra le multina- zionali italiane e si occupa d’idrocar- buri; li scava, li trasporta, li commer- cia in molte aree del mondo. Finmec- canica dal canto suo è soprattutto una fabbrica di armi e di avanzati si- stemi d’arma. Non è difficile immaginare il motivo della partecipazione di Moretti e De- scalzi alla spedizione africana stessa; si tratta di vendere e di comprare, un’attività che s’inquadra nelle parole stesse del presidente, raccolte dalla Rai: «Un Paese ambizioso costruisce strategie di medio periodo. Tra dieci anni energia, agrofood, export sarà nel cuore dell’Italia prima volta». Così Matteo Renzi spiega, da Luan- da, ultima tappa del suo tour in Africa, gli obiettivi della missione in Mozam- bico, Congo e Angola. La crescita e i posti di lavoro sono la vera urgenza di Renzi. Anche per rilan- ciare il «made in», il premier è in Africa con l’obiettivo nei mille giorni di soste- nere 22mila imprese e produrre solo con l’export un punto di Pil». Un punto di Pil. Ecco il risultato che un grande, pur se un po’ seduto, paese europeo pensa di ricavare vendendo a prezzi elevati e comprando bene servi- zi avanzati e altre mercanzie a un grup- po di paesi tra i più poveri del mondo. L’idea stessa di un commercio siffatto riempie di slancio le imprese associate nella Confindustria. Si parla di 22 mila imprese, ma pare piuttosto la famosa Cooperazione ita- liana che torna, che torna anzi nel- l’Africa a sud del Sahara, come ai tem- pi gloriosi della Somalia delle autostra- de dei giorni di Siad Barre e dell’Etio- pia redenta e in fiore per il Tana-Beles dei giorni di Menghistu. Quella cooperazione italiana in Afri- ca è stata forse una vera matrice della prima Tangentopoli: venivano trascu- rate le regole e l’onestà dei commerci, la bravura e il merito di chi vinceva le gare non serviva a niente, ma si mette- va al primo posto la corruzione dei fun- zionari e dei ministri che avevano a che fare con i commerci stessi. Torniamo per un attimo a Descalzi e Moretti. Il primo va in Africa per cer- care petrolio e probabilmente ne trove- rà, e troverà gas e ogni altra ricchezza nel sottosuolo, migliorando di mezzo punto il nostro Pil. Come effetto secon- dario si prolungherà di un altro anno la durata del modello «fossile» nel mondo, un effetto benefico, secondo la maggioranza; e aumenterà di un’al- tra frazione il livello d’inquinamento da Co2, ammesso che esista davvero, secondo quel che pensa la stessa mag- gioranza di prima. All’altro mezzo punto di Pil provve- derà Moretti vendendo armi e sistemi d’arma agli stessi che pagheranno con gas e petrolio. Qui il discorso di- venta sottile. Vendere armi non piace a nessuno, in teoria, ma in pratica tut- ti i ministri, tutti gli industriali, tutti i banchieri sanno che esistono i buoni e i cattivi. I cattivi non devono avere armi; so- no solo altri cattivi che gliele vendono. Invece i buoni – i nostri – devono po- tersi difendere. Quindi dobbiamo ven- dere loro le armi necessarie, tanto più che ci consentono di migliorare il no- stro amatissimo Pil. Mario Pianta VENERDÌ 25 LUGLIO 2014 WWW.SBILANCIAMOCI.INFO - N˚26 SUPPLEMENTO AL NUMERO ODIERNO

Transcript of Siamo aterra - Home -...

Page 1: Siamo aterra - Home - Sbilanciamoci.infosbilanciamoci.info/wp-content/uploads/2017/05/26Sbilanciamo_l_Eur… · «Negli ultimi dieci anni, gli Stati Uniti hanno affrontato una serie

«Negli ultimi dieci anni, gliStati Uniti hanno affrontatouna serie di crisi terribili. Pri-ma la minaccia alla sopravvi-venza ambientale; poi l’appa-rente scarsità di energia; oral’inatteso declino dell’econo-mia. Questi sono consideratidi solito come problemi distin-ti, ciascuno da risolvere sulproprio terreno (…). Ma cia-scun tentativo di soluzione diun problema si scontra con le

altre crisi (…). Inevitabilmen-te, chi propone una soluzionediventa oppositore delle altre.La politica è paralizzata (…).L’intreccio dei problemi dipen-de dalle complesse interazionitra tre grandi sistemi: l’ecosi-stema, il sistema produttivo eil sistema economico (…). Ilfatto è che i rapporti tra i tre si-stemi sono messi a testa in giù(…). Quelle che abbiamo difronte non sono crisi diverse,

ma un unico difetto di fondonel modo in cui è costruita lanostra società» (Barry Commo-ner, The poverty of power.Energy and the economic cri-sis, Knopf, 1976, p.1-2).

Barry Commoner – scom-parso nel 2012 - è uno dei pa-dri degli studi ambientali edell’ecologismo politico. E’ sta-to un militante della sinistra,candidato a presidente nel1980 (quando vinse Reagan)

col Citizens Party. Nel 1971 ilsuo libro «Il cerchio da chiude-re» insegnò a tutti che cos’eral’ecologia e, nel mezzo dellacrisi degli anni settanta, il suolibro su «la povertà dell’ener-gia» (non tradotto) si legge co-me una fotografia dei dilem-mi dell’Europa di oggi, spro-fondata nella crisi e ancora in-certa tra il passato dell’ener-gia fossile e il futuro rinnova-bile.

Siamoa terra

Larilettura

Barry Commoner, verde e rosso

La logica dell’accumulazione capitali-stica contrasta con l’etica kantianadi un sistema di regole fondato sui li-

miti imposti all’uomo dal pianeta Terra.« Anche oggi», notava intorno alla metà

degli anni ’60 Kenneth Boulding, «siamomolto lontani dall’aver effettuato queicambiamenti morali, politici e psicologiciche dovrebbero essere impliciti nella tran-

sizione dalla prospettiva del piano illimi-tato a quella della sfera chiusa».

Eppure, c’è chi fa finta di niente e negache il pianeta Terra abbia alcun limite(…). Dieci anni prima del collasso del si-stema finanziario globale, l’economistastatunitense Richard A. Easterlin glorifica-va nel suo libro la Crescita trionfante. An-che oggi, cinque anni dopo l’inizio dellacrisi finanziaria globale, le principali pub-blicazioni di tutte le maggiori istituzioni

internazionali come la Banca Mondiale(Bm), Il Fondo Monetario Internazionale(Fmi), l’Unione Europea (Ue) o l’Ocse in-dividuano la crescita come panacea uni-versale di tutti i problemi economici. Inpaesi come la Germania o il Brasile l’acce-lerazione della crescita economica è previ-sta per legge. Non sono previsti né limitiné alcuna gradualità nella crescita.

Nei consessi di economisti non sembraesserci alcuna tendenza a domandarsi se

i gravi problemi economici, sociali e am-bientali che vengono discussi quotidiana-mente sui giornali possano essere il risul-tato di decenni di crescita capitalistica. Elo stoicismo di tali studiosi non è statoscalfito nemmeno da eventi disastrosiquali quelli di Fukushima e della piattafor-ma petrolifera Deepwater Horizon, o dal-le «condizioni climatiche eccezionali» de-gli ultimi anni. Quasi tutto il pensiero eco-nomico critico è stato soffocato dall’ eco-nomia mainstream - quasi tutto, poichéalcune isole di pensiero critico sono riu-scite a costruire strutture teoriche avanza-te, idee alternative solide e visioni lungi-miranti che le torbide inondazioni delmainstream non si sono dimostrate ingrado di spazzare via.

Le strutture teoriche rilevanti in questoscenario comprendono la termodinami-ca economica di Nicholas Georgescu-Roe-gen, una teoria che riconosce il ruolo del-lo scambio metabolico tra società e natu-ra. Le attività umane e lo sviluppo socialesono contestualizzati nel tempo e nellospazio e non vivono in un ambiente artifi-ciale privo di qualunque dimensione spa-zio-temporale, popolato da degli omun-coli quali gli homini oeconomici protago-nisti delle teorie mainstream. CONTINUA |PAGINA II

Petrolio e armi,il verso non cambia

Sbilanciamo l’Europa

Elmar Altvater

Quasi tutto il pensiero economico critico è stato soffocato dall’ economia mainstream. Quasitutto. Alcune isole di pensiero critico sono riuscite a costruire strutture teoriche avanzate,che le torbide inondazioni dell’informazione non si sono dimostrate in grado di spazzare via

Guglielmo Ragozzino

I l nostro presidente del consiglio,l’instancabile Matteo Renzi, è sta-to in Africa la settimana scorsa e

ha portato con sé, per esempio in Mo-zambico, una delegazione di cui face-vano parte i numeri uno di Eni, Clau-dio Descalzi e di Finmeccanica, Mau-ro Moretti, nominati di recente in queiruoli, per una scelta decisa, dopo lun-go dibattito e attenta riflessione, dalgoverno nazionale.

Eni è al primo posto tra le multina-zionali italiane e si occupa d’idrocar-buri; li scava, li trasporta, li commer-cia in molte aree del mondo. Finmec-canica dal canto suo è soprattuttouna fabbrica di armi e di avanzati si-stemi d’arma.

Non è difficile immaginare il motivodella partecipazione di Moretti e De-scalzi alla spedizione africana stessa;si tratta di vendere e di comprare,un’attività che s’inquadra nelle parolestesse del presidente, raccolte dallaRai: «Un Paese ambizioso costruiscestrategie di medio periodo. Tra diecianni energia, agrofood, export sarà nelcuore dell’Italia prima volta».

Così Matteo Renzi spiega, da Luan-da, ultima tappa del suo tour in Africa,gli obiettivi della missione in Mozam-bico, Congo e Angola.

La crescita e i posti di lavoro sono lavera urgenza di Renzi. Anche per rilan-ciare il «made in», il premier è in Africacon l’obiettivo nei mille giorni di soste-nere 22mila imprese e produrre solocon l’export un punto di Pil».

Un punto di Pil. Ecco il risultato cheun grande, pur se un po’ seduto, paeseeuropeo pensa di ricavare vendendo aprezzi elevati e comprando bene servi-zi avanzati e altre mercanzie a un grup-po di paesi tra i più poveri del mondo.L’idea stessa di un commercio siffattoriempie di slancio le imprese associatenella Confindustria.

Si parla di 22 mila imprese, ma parepiuttosto la famosa Cooperazione ita-liana che torna, che torna anzi nel-l’Africa a sud del Sahara, come ai tem-pi gloriosi della Somalia delle autostra-de dei giorni di Siad Barre e dell’Etio-pia redenta e in fiore per il Tana-Belesdei giorni di Menghistu.

Quella cooperazione italiana in Afri-ca è stata forse una vera matrice dellaprima Tangentopoli: venivano trascu-rate le regole e l’onestà dei commerci,la bravura e il merito di chi vinceva legare non serviva a niente, ma si mette-va al primo posto la corruzione dei fun-zionari e dei ministri che avevano ache fare con i commerci stessi.

Torniamo per un attimo a Descalzie Moretti. Il primo va in Africa per cer-care petrolio e probabilmente ne trove-rà, e troverà gas e ogni altra ricchezzanel sottosuolo, migliorando di mezzopunto il nostro Pil. Come effetto secon-dario si prolungherà di un altro annola durata del modello «fossile» nelmondo, un effetto benefico, secondola maggioranza; e aumenterà di un’al-tra frazione il livello d’inquinamentoda Co2, ammesso che esista davvero,secondo quel che pensa la stessa mag-gioranza di prima.

All’altro mezzo punto di Pil provve-derà Moretti vendendo armi e sistemid’arma agli stessi che pagherannocon gas e petrolio. Qui il discorso di-venta sottile. Vendere armi non piacea nessuno, in teoria, ma in pratica tut-ti i ministri, tutti gli industriali, tutti ibanchieri sanno che esistono i buonie i cattivi.

I cattivi non devono avere armi; so-no solo altri cattivi che gliele vendono.Invece i buoni – i nostri – devono po-tersi difendere. Quindi dobbiamo ven-dere loro le armi necessarie, tanto piùche ci consentono di migliorare il no-stro amatissimo Pil.

Mario Pianta

VENERDÌ 25 LUGLIO 2014 WWW.SBILANCIAMOCI.INFO - N˚26 SUPPLEMENTO AL NUMERO ODIERNO

Page 2: Siamo aterra - Home - Sbilanciamoci.infosbilanciamoci.info/wp-content/uploads/2017/05/26Sbilanciamo_l_Eur… · «Negli ultimi dieci anni, gli Stati Uniti hanno affrontato una serie

Monica Frassoni

Nel dibattito italiano intorno alsemestre europeo si parla po-co o nulla di quella che sarà

la decisione più importante che l’Ita-lia dovrà gestire nel corso dei prossi-mi mesi.

Parliamo del Pacchetto Energia eClima 2030: il successore del famosopacchetto 20/20/20, che nel 2007 det-te l’avvio a una straordinaria crescitadi nuovi attori nel campo della pro-duzione energetica e iniziò a dareconcretezza al sogno di un mondosenza fossili - oltre a ridurre le emis-sioni e a produrre centinaia di miglia-ia di nuovi posti di lavoro e imprese.

Le grandi imprese dei vecchi setto-ri «fossili» hanno visto che rinnovabi-li ed efficienza cominciavano a diven-tare dei seri concorrenti e non solodei simpatici giochetti per ricchi «ra-dical-chic»: dopo lo scoppio della cri-si, è partita la controffensiva, facilita-ta dal fatto che la «rivoluzione ener-getica» non è ancora irreversibile.

In un primo tempo, c’è stata lacampagna contro gli incentivi allerinnovabili, approfittando degli ec-cessi che in alcuni paesi come Spa-gna e Italia si sono verificati; più re-centemente si è cercato di fare passa-re l’idea che per assicurare un ap-provvigionamento a buon prezzocontro tutti i Putin di questo mondo,fosse necessario tornare al fossile elasciar perdere costose utopie fattedi sole e vento: costruire nuovi rigas-sificatori per importare il gas ameri-cano, investire miliardi in tecnologiedubbie come il fracking (per estrarre

gas di scisto), trivellare il Mediterra-neo e fare resuscitare il Ccs (separa-zione e confinamento della CO2), al-tra tecnologia costosissima e non an-cora a punto che dovrebbe servire arendere «pulito» il carbone.

È questa la posta in gioco che si na-sconde nei numeretti del PacchettoClima Energia 2030, presentati dallaCommissione nel gennaio scorso1,proposta profondamente emendatadal Parlamento europeo2 e che atten-de ora la decisione del Consiglio eu-ropeo di ottobre: la lotta per le risor-se e gli investimenti pubblici e priva-ti fra energie rinnovabili ed efficien-za da un lato, e nucleare, vecchi enuovi «fossili» dall’altro.

Sarà semplice capire da che parteandrà l’Europa a ottobre, al momen-to della decisione sul Pacchetto Cli-ma ed energia 2030: se ci sarà l’ac-cordo su tre obiettivi vincolanti di ri-

duzione delle emissioni di Co2 (al-meno il 40%), di percentuali di con-sumo da rinnovabili (almeno il 40%)e di efficienza energetica (almeno il40%), allora sapremo che l’Ue è se-riamente in pista per guidare da unaposizione di avanguardia il negozia-to sul Clima previsto alla Cop di Pari-gi nel 2015. Se a ottobre si punteràinvece su un mero target di riduzio-ne del 40% delle emissioni e dei nu-meri assolutamente insufficienti e/onon vincolanti per le rinnovabili el’efficienza energetica, dovremo ri-prendere la battaglia per l’energiaverde quando si aprirà il processo le-gislativo che dovrà applicare concre-tamente il Pacchetto Clima Energia2030 e tornerà in gioco in Parlamen-to europeo; ma è indubbio che saràdavvero difficile trovare nel 2015 unsuccessore al Protocollo di Kyotocon un Pacchetto Clima Energia de-bole e ambiguo.

Il tempo stringe e il governo Renzinon può rimanere passivo rispetto aquesta sfida, prima di tutto per la no-stra stessa economia; deve «cambia-re strada» anche rispetto alle sue scel-te energetiche, che per ora sono inperfetta continuità con tutti i vari go-verni da Berlusconi in poi, quandouscire dai fossili rappresenterebbeuna scelta strategica vincente.

La Presidenza italiana deve perciòscommettere non su un accordoqualsiasi ma, come fece Angela Me-rkel nel 2007, su un accordo di alto li-vello e davvero in grado di farci rima-nere coerenti con la scelta di «de-car-bonizzare» l’economia europea e ri-lanciarla verso nuove attività econo-miche sostenibili.

LA RISTRUTTURAZIONE DEL SISTEMA ENERGETICOPLANETARIO DOVRÀ ESSERE CONNESSACON LE TRASFORMAZIONI SOCIALI ALLA BASEDELL’«ECONOMIA DELLA SOLIDARIETÀ»

I limitidel pianetae della crescitaIl riconoscimento dei difetti dell’accumulazionecapitalistica è il frutto di un’analisi criticadello scambio metabolico tra società e natura

Energia, cosa c’ènel pacchetto europeo?Le grandi imprese dei vecchi settori «fossili» hanno constatatoche rinnovabili ed efficienza cominciano a diventare dei seri concorrenti

I «limiti alla crescita» di-scendono in termini logi-ci dall’estensione limitata

del pianeta e dalle caratteristichepeculiari del processo di accumu-lazione capitalistica mondiale.

Nel 1870, un secolo prima cheil Club di Roma lanciasse il suogrido di allarme, Friedrich En-gels discusse i limiti della naturanel suo «La dialettica della natu-ra»: «Non dovremmo glorificarenoi stessi contando ad ogni pièsospinto le conquiste del genereumano sulla natura. Per ciascu-na di queste conquiste la naturasi prende la sua rivincita [..]Co-sicché, ad ogni passo, siamo ob-bligati a ricordare di non esserein grado di dominarla in alcunmodo [..]ricordando al contrariodi esserne parte integrante conla nostra carne, il nostro sangueed il nostro cervello e di esisterenel mezzo di essa [..]e tutta la no-stra supremazia su di lei derivadal vantaggio umano sulle altrecreature dato dal saper appren-dere le sue leggi e dal poterle po-tenzialmente applicare in modocorretto».

In altre parole, il riconoscimen-to dei limiti della crescita e del-l’accumulazione capitalistica è

anche il frutto di un’analisi criti-ca dello scambio metabolico trasocietà e natura. In un’economiacapitalistica questo scambio èespansivo, non solo per il «soddi-sfacimento dei bisogni-godimen-to della vita», indentificato da Ni-cholas Georgescu-Roegen comeuno dei motori principali dell’at-tività economica, ma anche per ilruolo svolto dalla ricerca del pro-fitto e dall’accumulazione com-pulsiva come Karl Marx notavanel primo libro del Capitale: «Ac-cumulare, accumulare! Questal’esortazione di Mosè e dei profe-ti!» (…).

Nell’accumulazione capitalisti-ca, uno stato di crescita staziona-ria dell’economia è pressoché im-possibile. (…)

Lo stato stazionario potrebberealizzarsi solo in termini ap-prossimativi e in un orizzontetemporale limitato; presto o tar-di collasserà.

A questi argomenti Georgescu-Roegen aggiunge la fondamenta-le conclusione che, chiunque«creda di poter disegnare un pro-getto mirato alla salvezza ecologi-ca dell’umanità non ha compre-so né la natura dell’evoluzionené quella della storia».

Herman E. Daly, uno dei prin-cipali difensori dell’economiadello stato stazionario, rappre-senta i sistemi economici come

dei cicli di produzione e di consu-mo, di estrazione di risorse dal-l’ecosistema e di emissioni che viriaffluiscono. Ma, facendo ciò,egli ignora l’importante intuizio-ne di Georgescu-Roegen sulla ba-se della quale una dinamica ana-loga a quella disegnata da Dalypuò forse essere vera dal puntodi vista quantitativo ma non puòdi certo esserlo da quello qualita-tivo, dal momento che l’entropiatenderà a crescere in modo irre-versibile in questi cicli.

Assumendo come valide le leg-gi della termodinamica, uno statostazionario è dunque impossibile.

Nondimeno, dati i noti limitidelle risorse naturali e l’odiernarealizzabilità di numerose tecni-che di riduzione delle emissioni,una diminuzione del consumodella Terra in chiave ecologica èoggi un imperativo assoluto.

I movimenti sociali stanno re-clamando esattamente questo,basando le loro rivendicazionesul «programma bioeconomicominimo» che si fonda sulle ottomassime di Nicholas George-scu-Roegen, suggerite nel 1975come una sorta di imperativoecologico.

Il suo primo punto riguarda ildisarmo degli eserciti; nel secon-do, egli promuove un sostegnouniversale rivolto verso l’indipen-denza nello sviluppo dei popoli edegli individui capace di garanti-re a tutti il godimento delle condi-zioni materiali proprie di una vi-ta dignitosa; nel terzo, viene so-stenuta la necessità di una ridu-zione nelle dimensioni demogra-fiche del pianeta tale da renderepossibile il sostentamento di tut-ti gli esseri umani attraverso i pro-dotti dell’agricoltura organica; ilquarto, il quinto ed il sesto puntosono connessi al tema della ridu-zione degli sprechi vertendo ri-spettivamente sulla necessità dimisure volte al risparmio energe-tico, al blocco della produzione

dei beni di lusso ed alla rimozio-ne degli incentivi allo spreco e alsovraconsumo incoraggiati dallamoda. Giunto al settimo punto,Georgescu-Roegen afferma la ne-cessità di una progettazione deibeni che preveda la loro riparabi-lità e ne riduca al massimo la po-tenziale obsolescenza.

Infine, contrastando la globaletendenza verso l’adozione di mo-delli capaci di garantire una co-stante accelerazione dei proces-si produttivi, egli propugna l’op-posta necessità dell’ «imparare arallentare».

Anche Hermann Scheer ha de-finito un «imperativo energetico»identificandolo come uno stru-mento utile allo sviluppo di azio-ni e obiettivi politici in grado ditener conto e di affrontare i limi-ti, ormai tangibili, all’utilizzazio-ne delle risorse naturali e le pres-sioni sulla Terra.

L’ipotesi dell’«astronave Ter-ra» potrebbe essere presa in con-siderazione, nella logica propo-sta da Scheer, solo nel caso incui non prevedesse l’utilizzo dicarburanti fossili ma fosse ingrado di convertire in energia iraggi solari.

In altre parole, il sistema ener-getico della Terra dovrebbe ab-bandonare l’attuale schema dialimentazione basato sul consu-mo delle risorse fossili esauribili,convertendosi altresì ad un siste-ma aperto dove i raggi solari co-stituiscano la fonte unica di so-stentamento energetico.

Altrimenti, i «passeggeri» po-trebbero finire come PhileasFogg nel Giro del mondo in ottan-ta giorni di Julius Verne, dove, co-me notato da Peter Sloterdijk,«..giunto all’ultima tappa della

circumnavigazione, la tappa at-lantica [..], esaurite le scorte dicarbone [..]egli comincia a bru-ciare la parte superiore dellastruttura lignea della sua stessanavicella nel tentativo di conti-nuare ad alimentare le camere dicombustione del motore. Conquesta immagine della navicelladi Phileas Fogg in preda all’auto-combustione, Julius Verne ha for-nito niente di meno che una me-tafora, su scala mondiale, del-l’età industriale».

Qui bisogna aggiungere soloche la rotta e la velocità della bar-ca sono determinate dalla com-pulsione per l’accumulazione ca-pitalistica; solo con questo vinco-lo il capitano e il suo equipaggiosono pronti a navigare attorno almondo e, inoltre, a farlo ad unavelocità adeguata a raggiungerelo scopo in un tempo fortementecompresso come gli ottanta gior-ni di Julius Verne.

Aprire il sistema energeticodel pianeta alla potenza del soleè ciò che realmente conta. Tutta-via, per assicurare che tale tra-sformazione non prenda le sem-bianze delle teorie economichedello stato stazionario criticateda Georgescu-Roegen o delle ini-ziative per la decrescita, la ristrut-turazione del sistema energeticoplanetario dovrà essere connes-sa con le trasformazioni socialigià in atto in alcune parti delmondo e alla base dell’«econo-mia della solidarietà»: produzio-ne cooperativa, protezione deibeni pubblici, democrazia eco-nomica nelle imprese, pianifica-zione economica dov’è utile e ne-cessaria e reinserimento del mer-cato nella società (traduzione diDario Guarascio).

VENERDÌ 25 LUGLIO 2014SBILANCIAMO L’EUROPAN˚26 - PAGINA II

IL GOVERNO RENZIDEVE «CAMBIARESTRADA» ANCHERISPETTO ALLE SUESCELTE ENERGETICHE,CHE PER ORA SONOIN CONTINUITÀCON I GOVERNIPRECEDENTI

DALLA PRIMAElmar Altvater

Page 3: Siamo aterra - Home - Sbilanciamoci.infosbilanciamoci.info/wp-content/uploads/2017/05/26Sbilanciamo_l_Eur… · «Negli ultimi dieci anni, gli Stati Uniti hanno affrontato una serie

L’otto aprile di quest’anno Livio Pe-pino, presidente del «Controsser-vatorio Valsusa» con l’appoggio di

quindici altri firmatari, ha inviato un espo-sto al Tribunale permanente dei popolipresso la Fondazione Basso.

Il testo chiedeva «l’apertura di un proce-dimento teso ad accertare (con ogni con-seguente deliberazione) se nella vicendadella progettazione e costruzione della co-siddetta linea ferroviaria ad alta velocitàTorino-Lione, che vede contrapposte inun conflitto ormai ultraventennale, da unlato, le istituzioni centrali dello stato italia-no e le società preposte alla realizzazionedell’opera e, dall’altro lato, la stragrandemaggioranza della popolazione e delleistituzioni della Val Susa, siano stati rispet-tati i diritti fondamentali degli abitantidella valle e della comunità locale ovverose – come ritengono gli esponenti – vi sia-no state gravi e sistematiche violazioni ditali diritti…»

Seguiva poi una precisa e intransigentericostruzione dell’intera vicenda che i no-stri lettori possono leggere in link (oppureutilizzando l’indirizzo http://controsserva-toriovalsusa.org/esposto-al-tpp/aderisci-all-iniziativa).

L’otto aprile il nuovo governo italiano èin carica da 15 giorni e mancano pochesettimane alle elezioni europee. Non c’èspazio per altro. Valsusa si può accantona-re; se ne occuperanno, a tempo opportu-no, polizia e procure della repubblica.

Nello stesso periodo di tempo è stato re-so noto in Italia un nuovo rapporto alClub di Roma, firmato da due scienziatiambientali, Johan Rockström e AndersWijkman. Forse ha poco senso che unodei più rinomati studi ecologici abbia perriferimento la capitale italiana, come qua-ranta o trenta anni fa, ai tempi di AurelioPeccei e del suo Club di Roma.

Le scelte politiche dell’Italia puntano,nel disordine, sempre e comunque allacrescita, senza che nessuno si chieda maiil motivo per cui la crescita made in Italy,fatta da noi, si risolva sempre in spreco,corruzione e moltiplicazione dei rifiuti, co-me a Malagrotta, come alla Ilva di Taran-to. Leggendo il nuovo rapporto, dal titolo“Natura in bancarotta” (Edizioni Ambien-te, a cura di Gianfranco Bologna) abbia-mo notato che a fianco dell’Ipcc esiste dal2010 un suo «equivalente scientifico nelsettore della biodiversità e dei servizi degliecosistemi» l’Ipbes (IntergovernmentalPlatform on Biodiversity and EcosystemServices). All’Ipbes hanno aderito 118 pae-si, tra cui naturalmente tutti i più impor-tanti, Usa, Cina, Germania, Giappone e co-sì via; più di cento paesi, ma non l’Italia.

Che vi sia una politica nazionale sullabiodiversità? Finché qualcuno non lo rive-li continueremo a pensare che per disordi-ne, per cattiva politica, per incapacità, perreale disinteresse alla biodiversità, l’Italianon ha saputo neppure iscriversi al nuovoistituto internazionale.

Il contributo principale del Rapporto alclub di Roma «La natura in bancarotta» èquello di riflettere sul nesso tra politica escienza, tra governanti e scienziati. «La po-litica, di destra o di sinistra non importa,ritiene che il tipo di crescita economicache ha prevalso dalla fine della Secondaguerra mondiale continuerà in eterno. Tut-ti parlano di crescita, ma nessuno si do-manda quanto questa situazione potrà du-rare».

E più avanti «la crescita infinita del flus-so di energia e materiali su un pianeta limi-tato è impossibile. Che molti economistisostengano questa idea non la rende giu-sta. Nel lungo periodo non possiamo viola-re le leggi fondamentali della natura; cio-nonostante molti politici continuano a na-scondere la testa sotto la sabbia».

Se Wijkman il politico ambientale di lun-go corso scrive le parole che precedono, lareplica dello scienziato Rockström si puòriassumere così. Noi esperti e studiosi nonchiediamo troppo, ma troppo poco: ci fac-ciamo carico, offriamo continui compro-messi perché la politica, sottoposta allesue leggi assolute, possa accettarli.

«Questa spirale di compromessi diventa

via via più insidiosa. Quando i negazioni-sti come Bjørn Lomborg vengono messi al-l’angolo dalla scienza, l’ultimo argomentoche sfoderano (nonostante il consensoscientifico) è sempre il compromesso,spesso ammantato di termini economici.

Risolvere i problemi ambientali, dico-no, costa troppo rispetto ai benefici cheapporta. Ripetono questo ritornello da-gli anni sessanta – quando Rachel Car-son, autrice di Primavera silenziosa fornìle prove degli effetti tossici delle sostan-ze chimiche e dei metalli pesanti – e han-no continuato a farlo nel corso del dibat-tito sugli effetti negativi del fumo e sullepiogge acide».

Per tornare alla Valsusa, il Tav tra Susae la Francia, tunnel compreso, era presen-tato come un tratto indispensabile delpercorso ferroviario progettato per attra-versare l’Europa da ovest a est, da Lisbo-na a Kiev.

Si doveva assolutamente evitare che uncorridoio tanto importante bypassassel’Italia. Inoltre si doveva sopperire al forteaumento di traffici atteso nei futuri decen-ni. La storia è andata diversamente: nonc’è più ombra di aumento dei traffici, ilcorridoio è stato fatto a pezzi e buttato via.

Rimane solo un sistema politico chevuole imporre la propria volontà a tutti icosti, convinto com’è che sia buona cresci-ta anche fare buchi inutili nella montagnae sia buona politica (anzi, l’unico patto so-ciale possibile per evitare l’anarchia) im-porre a tutti la volontà della maggioranza,quale che sia la legge elettorale che la so-stiene e quale che sia la scelta da imporrea tutto il popolo.

Non conta più l’utilità, non contano i co-sti dell’opera. Se ne parlerà, sempre che losi riterrà opportuno, tra anni. Adesso oc-corre l’assenso alla volontà politica, cuitutti, scienziati e montanari compresi,debbono assoggettarsi.

Un po’ più in là – continuiamo a ripeter-lo – in un’altra valle, in un altro Cantone,in anni ormai lontani, non si chiedeva for-se con un’altra legge altrettanto obbligato-ria per tutto il popolo, di inchinarsi al cap-pello dell’imperatore?

Sarà sulla modulazione della tran-sizione energetica all’era post-fossile che si giocherà una delle

battaglie politiche all’interno e tra gliorgani che guideranno l’Unione euro-pea nel prossimo quinquennio.

Un antipasto di questo confrontoci è già stato servito nel primo trime-stre di quest’anno, quando Commis-sione e Parlamento europeo si sonoscontrati sull’obiettivo al 2030 deiconsumi energetici coperti da rinno-vabili: mentre la Commissione era afavore del 27%, il Parlamento euro-peo puntava al 30%. A marcare ulte-riormente questo braccio di ferro si èaggiunta la mancata indicazione, daparte della Commissione, di un obiet-tivo vincolante in materia di efficien-za energetica. Mentre il target propo-sto di riduzione del 40% delle emis-sioni di Co2 è apparso del tutto insuf-ficiente rispetto alla necessità di arri-vare ad abbassarle del 80-90% al2050 per mantenere l’aumento dellatemperatura media del pianeta sottoi due gradi, come richiesto dagliscienziati dell’Ipcc (la task force discienziati dell’Onu che studia i cam-biamenti climatici) e come la Ue si èimpegnata a fare, ragion per cui al2030 bisognerebbe attestarsi già suun - 55%.

La decelerazione nella transizioneall’era solare post-fossile, dopo averlaguidata sottoscrivendo il Protocollodi Kyoto e approvando il pacchetto dimisure «Clima-energia 20, 20, 20»,che hanno contribuito ad aumentare,nella Ue, la percentuale di consumienergetici finali coperti dalle rinnova-bili, passati dall’8,5% del 2005 al14,4% del 2012, con la previsione disuperare agevolmente il 20% al 2020,ha anche un altro risvolto: la Ue nonpuò rinunciare alla leadership che siè conquistata come battistrada nelcammino verso la de-carbonizzazio-ne, pena la perdita del primato nell’in-novazione tecnologica a vantaggio diCina e Usa, come sottolinea GianniSilvestrini, direttore scientifico di Kyo-

to Club, nel volume Un’altra Europa(a cura di Silvia Zamboni, EdizioniAmbiente, 2014). Da queste politichepassa anche la possibilità di crearenuova occupazione, a cominciare dalpotenziale rappresentato dall’efficien-za energetica, tipica opzione win-win: «Con un target vincolante di effi-cienza energetica molto modesto(30% al 2030) capace di orientare poli-tiche e investimenti nei settori del-l’edilizia, dei trasporti, delle politicheurbane e dell’industria», scrive Moni-ca Frassoni nel libro Un’altra Europa«si possono: a) risparmiare fino a 50miliardi di euro all’anno, sommaequivalente alla vendita di energiaelettrica dell’intera Francia nel 2011;b) creare ogni anno 1.500.000 posti dilavoro; c) ridurre del 40% la spesa perle importazioni di risorse energeti-che, che nel 2011 ammontavano a573 miliardi di euro; d) ridurre di cir-ca un terzo le emissioni totali dellaUe; e) risparmiare circa 30 miliardi dieuro all’anno evitando di costruirenuove infrastrutture”.

Ovviamente non la pensa così lalobby dei fossili, che si è mossa neimesi scorsi attaccando violentemen-te gli obiettivi Ue sulle rinnovabili egodendo finora di buon ascolto a Bru-xelles, se solo consideriamo la fetta diincentivi di cui hanno beneficiato ifossili: mentre sui media impazzavala guerra alle rinnovabili super sov-venzionate, è emerso che «i sussidipubblici totali per la produzione ener-getica nella Ue nel 2011 ammontava-no a 26 miliardi di euro per i combu-stibili fossili (a cui vanno aggiunti 40miliardi di euro per le spese sanitariecorrelate), a 35 miliardi per l’energianucleare e a 30 miliardi per le energierinnovabili», annota Frassoni.

Per quanto strategico, il compartoenergetico rappresenta però solo unacomponente di un nuovo corso dellepolitiche industriali europee in chia-ve di sostenibilità ambientale e uso ra-zionale delle risorse non rinnovabili.Finora però, di fronte alla crisi del-l’area dell’euro, nei provvedimentipresi a livello Ue (Bce esclusa in par-te) si è prestata troppa attenzione allepolitiche di austerity e troppo poca al-la crescita, dando prova - è il rimpro-vero dell’europarlamentare verde te-desco Reinhard Bütikofer nel libroUn’altra Europa – «di incapacità a tro-vare una strada europea verso la ridu-zione sostenibile del debito. Non saràl’opzione di basso profilo di una dere-gulation improntata al dumping so-ciale e ambientale che ci assicurerà lacompetitività a livello industriale. Néla competitività aumenterà sbarran-do le nostre frontiere con nuove nor-me di protezionismo».

La nuova frontiera europea nonpuò che essere quella di un rilanciodell’economia e dell’occupazione im-prontato a un Green New Deal all’inse-gna della ricerca e dell’innovazioneeco-tecnologica, abbassando l’Iva sumerci particolarmente innovative eprevedendo per i prodotti efficientiun accesso privilegiato agli appaltipubblici, come suggerisce Bütikofer.

Dipenderà adesso dal nuovo Parla-mento e dalla nuova Commissione fis-sare traguardi ambiziosi al 2030,aprendo la strada a quelli ancora piùstringenti per il 2050.

Ma anche la Presidenza italiana delConsiglio europeo è chiamata a farela sua parte. Al governo di Renzi sichiede di porsi alla testa dei paesi chepremono maggiormente a favore del-l’accelerazione della transizione ver-so l’era post-fossile, in funzione siadella leadership tecnologica e dellacompetitività dell’industria europea,sia del superamento della crisi econo-mica ed occupazionale, sia della tute-la del clima.

LE SCELTE POLITICHE DELL’ITALIA PUNTANO SEMPREALLA CRESCITA, SENZA CHIEDERSI PERCHÉIL MADE IN ITALY SI RISOLVE IN SPRECO,CORRUZIONE E MOLTIPLICAZIONE DEI RIFIUTI

La bancarottadella natura.E della politica«Risolvere i problemi ambientali, costa troppo rispettoai benefici che apporta». Un ritornello continuatopoi nel dibattito sul fumo e le piogge acide

R epubblica ha fatto uno scoop: ciha avvertito, il 21 luglio, con unarticolo di Federico Rampini

pubblicato in prima pagina, che l’Eu-ropa è minacciata da un oggetto mi-sterioso, il Ttip, di cui nessuno saniente e invece occorre occuparsene.

Il nome non è nemmeno un nuovoacronimo difficile da capire, ma unasigla leggibilissima: Transatlantic Tra-de and Investment Partnership. Masembra che nessuno ne avesse sentitoparlare prima.

In qualche modo Rampini ha ragio-ne a lanciare da New York l’allarme:di questo Trattato, che pure è la cosapiù grave di cui si sta occupando laCommissione Ue da oltre un anno, lastampa italiana non aveva mai fino adora parlato.

E, quel che è più singolare, neppure

un accenno vi aveva fatto uno qualsia-si dei nostri giovani ministri, per nondire del primo fra loro, sebbene a Bru-xelles vada ormai ogni due giorni esembra sia lì il domino del dibattito po-litico europeo.

Peccato che ministri e direttori digiornale, per non dire di Tv, legganocosì poco. Peccato non leggano il no-stro giornale e non facciano attenzio-ne a quanto dicono le minoranze chestanno all’opposizione: Repubblicaavrebbe evitato di far passare per unarivelazione un argomento su cui damesi e mesi continuiamo a fornire no-tizie dettagliate: sul Trattato, sui segre-ti che ne accompagnano la negozia-

zione, sul procedere della sua elabora-zione, sull’estrema gravità delle sueconseguenze.

Quanto al governo, si capisce: è cosìpreoccupato di andare in fretta che nonpuò accorgersi di quello che pure sta sul-la sua strada. Purtroppo anche con loscoop di Repubblica di chiarezza se ne èfatta poca. Gli ostacoli alla liberalizzazio-ne degli scambi che il Ttip dovrebbe ri-muovere non solo non sono tariffari (or-mai liquidati da tempo), e neppure solocausati dalla difformità dei regolamenti.

Si tratta di ben altro: di eliminare lar-ga parte dei diritti acquisiti dai lavorato-

ri e delle protezioni ambientali notoria-mente in Europa molto più ampi chenegli Stati uniti, con ciò dando l’ennesi-mo colpo al modello sociale europeoche pure avrebbe dovuto rappresenta-re la ragion d’essere della costruzionecomunitaria se non si voleva si trattas-se solo di un pezzo come un altro delmercato globale.

Così, oltretutto, lanciando un’ipote-ca pesante sul futuro, giacchè ognieventuale ulteriore conquista norma-tiva in campo sociale o ecologico po-trebbe essere denunciata dagli inve-stitori d’oltreoceano come una illegit-tima sottrazione alle loro aspettativedi profitto; e per questo da rimborsa-

re. A deciderne non un tribunale, maun foro privato di avvocati.

Altrettanto ignorato, in Italia, fu ilprecedente tentativo operato per rag-giungere questo risultato alla fine de-gli anni ’90. Si trattava, allora, del-l’Ami (Accordo multilaterale sugli in-vestimenti) e doveva esser concorda-to in seno all’Ocse.

Fallì, per fortuna, grazie ad una lar-ghissima mobilitazione, quella chia-mata «la prima guerriglia on line». An-che di questa pagina di storia, diffici-le trovare anche solo una riga sullastampa “che conta”, o un’eco nelle ri-flessioni dei nostri governi.

Che dire? Leggete Sbilanciamoci– il primo speciale «Sbilanciamol’Europa», del 24 gennaio, era dedi-cato proprio al Ttip - e, naturalmen-te, il manifesto.

VENERDÌ 25 LUGLIO 2014SBILANCIAMO L’EUROPA

N˚26 - PAGINA III

TRANSATLANTIC TRADE AND INVESTMENT PARTNERSHIP

Uno scoop di Repubblica

EUROPA

Sostenibilitàper superarela crisi economica

G. Ra.

Silvia Zamboni

Luciana Castellina

Page 4: Siamo aterra - Home - Sbilanciamoci.infosbilanciamoci.info/wp-content/uploads/2017/05/26Sbilanciamo_l_Eur… · «Negli ultimi dieci anni, gli Stati Uniti hanno affrontato una serie

Viaggio alle Canarietra petrolio e trivelleLa Repsol, l’impresa petrolifera spagnola ha progettato la campagnaa sostegno alle trivellazioni petrolifere nelle acque dell’arcipelagodelle Canarie, autorizzate definitivamente dal governo di Madrid

Marina Turi, Massimo Serafini

La maggior parte della pubblicitànon fa tanto appello alla ragio-ne quanto alle emozioni. Lo af-

fermava il sociologo tedesco ErichFromm. Forse gli esperti di comunica-zione pubblicitaria della Repsol, l’im-presa petrolifera spagnola, devonoaver pensato a questa frase quandohanno progettato la campagna a so-stegno alle trivellazioni petrolifere nel-le acque dell’arcipelago delle Cana-rie, autorizzate definitivamente dalgoverno spagnolo una settimana fa.

Fanno capolino dal poster pubblici-tario dune di sabbia bianca finissima,mare cristallino di un turchese inten-so e qualche palma e il messaggio «co-sa hanno in comune il Brasile, i Carai-bi e l’Italia? Tutte sono grandi meteturistiche con spiagge meravigliose eprogetti di trivellazione nelle propriecoste. Le Canarie hanno una possibili-tà che nessun paese ha disprezzato».

Significativo che negli stessi giorniin cui sui giornali locali comparivaquesta pubblicità ingannevole, ElHierro, la più piccola delle sette isoleCanarie, avamposto estremo dell’Eu-ropa in mezzo all’Atlantico, abbiaconquistato l’indipendenza energeti-ca dai combustibili fossili, grazie alcombinato disposto fra venti alisei,che sulle isole Canarie mediamentesoffiano per 3500 ore all’anno e l’al-tezza dei suoi vulcani

È bastata una piccola pressione suun bottone verde e il sogno, iniziato30 anni fa, si è trasformato in realtà:la centrale idroeolica di Gorona delViento ha cominciato a produrre elet-tricità e ha permesso a questo scogliodi soli 270 Kmq di essere completa-mente libero dal petrolio. Addio dun-

que a petroliere e inquinamento, e an-che ai due milioni di euro spesi ognianno per alimentare la vecchia cen-trale a gasolio di Llanos Blanco. L’iso-la completerà la sua riconversione al-le fonti rinnovabili entro il 2020, quan-do anche le 6000 auto circolanti sa-ranno state sostituite da macchineelettriche.

Grazie all’ingegnoso binomio di ac-qua e vento, El Hierro è già in gradodi soddisfare con fonti rinnovabili il100% dei consumi elettrici degli oltre10000 residenti e dei circa 80000 turi-sti, che ogni anno la visitano.

Non solo, oltre all’elettricità, conl’eolico si dissala l’acqua dell’oceano,soddisfacendo tutti i bisogni idrici del-l’isola. L’energia primaria provieneda un piccolo parco eolico di 5 turbi-ne che durante il giorno immette elet-tricità nella rete elettrica e nella notte,quando i bisogni quasi si azzerano,sospinge l’acqua lungo i tre chilome-tri di canalizzazioni, quasi tutte sotter-ranee, che collegano il deposito, situa-to a livello del mare, con quello collo-cato 700 metri più in alto.

Quando c’è assenza di vento e ser-ve elettricità basta far cadere dall’altol’acqua in una turbina e i Kwh neces-

sari sono immediatamente prodotti.L’idea poi di utilizzare il cratere di unvulcano per il bacino situato a 700metri di altezza arricchisce di fantasiail progetto.

Questa straordinaria rivoluzionetecnologica è costata solo 82 milionidi euro, che si pensa di ammortizzarein 20 anni ed è stata finanziata dauna società partecipata al 60% dal go-verno dell’isola, il 30% da Endesa, lapiù grande società elettrica spagnola,e il rimanente 10% dall’Istituto Tecno-logico delle Canarie.

Costerà invece 65.000 euro l’elettri-ficazione della mobilità, che si inten-de ammortizzare in soli dieci anni,vendendo nello stesso periodo, l’elet-tricità necessaria per alimentare le au-to, all’attuale prezzo della benzina.

Ancora qualche numero: si rispar-mieranno oltre 6.000 tonnellate di ga-solio (40.000 barili di petrolio); si evi-teranno ben 18.700 tonnellate diemissioni climalteranti; infine genera-re elettricità con il binomio di vento eacqua è un 23% più economico chefarlo con il gasolio.

Sì, è proprio vero che le isole Cana-rie, come recita la pubblicità di Rep-sol, hanno una grande possibilità, ma

non sono le poche sacche di petrolioche il fondo dell’oceano forse nascon-de, ma l’immenso giacimento di risor-se solari ed eoliche che l’isola di ElHierro dimostra essere possibile uti-lizzare.

Inutile rischiare devastazioni ed in-quinamento o farsi manipolare da Re-psol, impresa già tristemente notaper i numerosi disastri seminati nelmondo: dai 100 barili di greggio rove-sciati, nel 2008, nel Parco Nazionaleecuadoriano Yasuni Amazon, al pe-sante inquinamento provocato dagliotto gravi incidenti che negli ultimidieci anni hanno colpito Tarragona,di fronte alla costa catalana, in pienoMediterraneo; all’ultima marea neraè di ben 1900 ettari, una macchia ole-osa grande quasi come 1600 campida calcio.

Inoltre la pubblicità di Repsol suo-na come una beffa, visto che contem-poraneamente alla sua pubblicazio-ne è apparsa una contaminazione dipetrolio sulla spiaggia El Cabrón aGran Canaria. Una riserva marina,considerata ideale per le immersionisubacquee per la presenza di circa400 differenti specie marine.

Ora questo straordinario patrimo-nio di biodiversità annaspa in duesacche oleose di 300 metri lineari,che alcuni lavoratori municipali e inumerosi volontari, attivati con l’al-larme scattato nella rete sociale, stan-no cercando di raccogliere per evita-re che si depositi sul prezioso fonda-le. In soli due giorni sono state raccol-te ben 18 tonnellate di catrame.

È solo un assaggio di quello che po-trebbe succedere per una perdita cau-sata dalle trivellazioni a pochi chilo-metri dalla costa, come previsto, dalprogetto Repsol nelle Canarie.

Progetto altamente rischioso per laprofondità a cui si vuole operare, sot-to uno spessore d’acqua di oltre 1500metri con più di 6000 metri di perfora-zione sotterranea. Progetto che vieneportato avanti malgrado il rifiuto mas-

siccio delle popolazioni, sostenutedai governi locali, dalle organizzazio-ni ambientaliste e dai movimenti cit-tadini. Un progetto che ha evitato lerigorose protezioni ambientali detta-te dalla Riserva della Biosfera; l’alto ri-schio sismico e vulcanico della zona;quello ancora più alto e drammaticodi interrompere in soli due giorni lafornitura di acqua potabile ad oltre250mila persone, nell’ipotesi che il pe-trolio raggiunga gli impianti di dissa-lazione, da cui dipende l’approvvigio-namento di quasi il 100% dell’acqua.

Progetto che si illude di far convive-re il rischio di disastro ambientalecon l’allarme degli operatori turisticieuropei che ancora indirizzano per levacanze alle isole Canarie circa 12 mi-lioni di turisti all’anno.

Eppure la Commissione Europea,all’interno di un programma di finan-ziamento di progetti innovativi basatisu energie rinnovabili, ha da pococoncesso un finanziamento di 34 mi-lioni per cinque aerogeneratori di5mw ciascuno, proprio di fronte allacosta di Gran Canaria.

Dissonanza cognitiva dell’Europache vuole proteggere il clima e render-si indipendente da un punto di vistaenergetico, ma che, senza un vero pia-no energetico comune, con una ma-no finanzia progetti di energia rinno-vabile, utilizzando quei crediti prove-nienti dalla vendita dei diritti di emis-sione, e

con l’altra avalla tutti i pericolosiprogetti di estrazione di idrocarburiin Spagna come in Italia o Croazia.

A livello politico è nato lo scorso 9luglio all’interno del Parlamento euro-peo un gruppo di lavoro il cui obietti-vo è fermare i progetti di trivellazioninell’arcipelago delle Canarie e nel Me-diterraneo, sollecitando il passaggio aun diverso modello energetico.

Cinque forze politiche spagnolecompongono per ora questo gruppodi lavoro, ma nella prossima riunio-ne, prevista per settembre, l’intenzio-ne è quella di aprire a tutte le altre for-ze politiche europee che intendanocontrastare i folli ed inquinanti pro-getti petroliferi.

Stupisce quindi che, malgrado alpetrolio sia sempre più associato uncarico crescente di disuguaglianze so-ciali e una serie infinita di catastrofiambientali e climatiche, non prendapiede un’alternativa rinnovabile e unnuovo modello energetico, seguendol’esempio di El Hierro che ne dimo-stra la fattibilità , ma anche la sua ca-pacità di creare oltre alla sostenibilitàambientale, lavoro.

È facile obiettare che le dimensio-ni dell’isola sono troppo modesteper dimostrare la credibilità e la fatti-bilità di un modello energetico rinno-vabile. Va ricordato che da diversi an-ni numerosi territori insulari hannoconquistato la propria autonomiaenergetica: dall’Islanda all’isola diEigg in Scozia, Tokelau in Nuova Ze-landa, Samso in Danimarca, Hawainegli Usa, San Eustaquio in Grecia,Tuvalu in Polinesia. Va soprattuttotenuto in conto che vivono su isoleben 17 milioni di europei e oltre 600milioni nel mondo. Un pezzo di po-polazione non piccolo per la qualeinevitabilmente l’isola di El Hierro,insieme alle altre che ne hanno giàseguito l’esempio, sarà un punto diriferimento.

L’inevitabile cammino verso l’au-tonomia dai combustibili fossili a fa-vore delle rinnovabili, procede controppa lentezza rispetto alla crescen-te e drammatica rapidità con cuicambia il clima. Estendere l’esem-pio di El Hierro all’insieme dei siste-mi insulari può rappresentare unasvolta e dare la giusta e necessaria ac-celerazione.

VENERDÌ 25 LUGLIO 2014SBILANCIAMO L’EUROPAN˚26 - PAGINA IV

LA COMMISSIONE EUROPEA, HA FINANZIATO PROGETTIINNOVATIVI BASATI SU ENERGIE RINNOVABILI, HA CONCESSO34 MILIONI PER CINQUE AEROGENERATORI DI 5MW CIASCUNO,DI FRONTE ALLA COSTA DI GRAN CANARIA

È LORENZO MATTOTTI L'AUTORE DEI DISEGNI DIQUESTE PAGINE. CON LE PAROLE DI JERRYKRAMSKY HANNO DATO VITA A IL MISTERODELLE ANTICHE CREATURE. UN GRANDE PARCOABBANDONATO NEL CUORE DELLA CITTÀ.CREPACCI ROCCIOSI, RAMI SECCHI E CONTORTI,DUNE DI SABBIA, STAGNI MELMOSI. È ILREGNO DELLE ANTICHE CREATURE. MAURA EROCCO NE SONO IRRESISTIBILMENTE ATTRATTI.SPERANO, E TEMONO, DI INCONTRARVI SIRENEE BASILISCHI, CHIMERE E CENTAURI, IDRE EDRAGHI. O I LORO FANTASMI. MA, SCAVALCATOIL MURO, SI IMBATTONO IN UNO SPAVENTOSOVECCHIO IN CARNE E OSSA. È EUSTACCHIO, UNTEMPO GUARDIANO DI QUELLO CHE ERA LOZOO. IL MISTERO DELLE ANTICHE CREATURE,ORECCHIO ACERBO 2007, 56 PAGINE ACOLORI, 16 EURO.WWW.ORECCHIOACERBO.COM