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Si ringrazia la ditta Studio100 per aver contribuito alla realizzazione di questo giornale

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Sommario

Obiettivo Salute 3

04 Editoriale Il cantiere Taranto di Marcello De Stefano

05 Firma anche tu l’appello per Taranto

Attualità06 Lotta alla diossina di Alessandro Marescotti

08 La grande marcia per l’ambiente di Gabriele Perrucci

09 Lavoravo all’Ilva… di Marcello De Stefano

10 Una soluzione per le liste d’attesa di Pasquale Dinoi

11 La voce dei lettori

11 Flash news

12 Gli animali in sala operatoria di Mimmo De Vita

Cultura sanitaria14 Il tumore nascosto in un neo di Marcello Stante

18 La Famiglia unità di vita di Marta Lucia Sabato

20 Sulla poltrona del dentista… col sorriso sulla bocca di Alessandro Faino

Rubriche23 La stagione teatrale all’Orfeo

Obiettivo SalutePeriodico bimestraledi informazione socio-sanitaria edi approfondimento scientificoemail: [email protected]: www.ail.taranto.it/obiettivosalute

Registrazione Tribunaledi Taranto n. 16/2006

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Direttore responsabileMarcello De Stefano

Comitato scientificoRoberto BrundisiniPatrizio MazzaDonato SalfiGiancarlo Scapati

RedazioneRoberto BrundisiniAlessandro Faino Patrizio MazzaMarta Lucia SabatoDonato SalfiGiancarlo Scapati

SegreteriaFabiola Polito

Distribuzione - Volontari AILTARANTO - Loredana Maggi;Mimma Salentino; Margherita Bel-locchio; Anna Caricasulo; Emanue-la Puccia; Gabriella Di Serio; Ange-la Cervellera; Carmela TaneseSTATTE - Tina Bianco e Cataldo LippoMARTINA FRANCA - Lucia LoconteMASSAFRA - Vito SolitoGINOSA - Antonio GuarinoGROTTAGLIE - Patrizia CasarottiCASTELLANETA - Tommaso FumaruloSAN GIORGIO JONICO – Nicola LapalombellaSAN MARZANO – Paola Zaccaria MANDURIA – Ennio Spina

Segreteria amministrativa:Fabiola Polito

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StampaStampaSud S.p.A. - Mottola (Ta)

Gennaio-Aprile 2009

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Si ringraziano inoLTrEper aver contribuito alla realizzazione

e alla diffusione di questo numero

Provincia di Taranto

Assessorato alle Politiche Sociali

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4 Obiettivo Salute

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Il cantiere TarantoAmbiente e occupazione richiedono un coinvolgimento più esteso.È la sfida che ci attende in questo anno 2009. Che sia un anno impor-tante per cominciare a risalire la china. Auguri Taranto!

Ed

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iale

Luci e ombre in questi primi mesi dell’anno per la città di Taranto, che nella classifica nazionale per la qualità della vita occupa il 100° posto seguita solo da altre tre città. Un triste primato negativo. Soprattutto, una triste inversione di tendenza per la terza città del Meridione per numero di abitanti che 50 anni fa sem-brava proiettarsi verso un radioso futuro. In questa situazione pesa l’ombra dei licenziamenti e della cassa integrazione per migliaia dipendenti dell’Ilva.

Accanto a queste ombre, le luci di una riscossa che emerge dalla società civile. La manifestazione cittadina del 29 novembre scorso è un segno di grande rilievo per un territorio tradizionalmente passivo, abituato al lamento, poco incline a lottare in prima persona (‘Im-belle Tarantum’ ci definivano gli antichi romani) e per questo penalizzato per la sua inerzia prima ancora che per i danni che riceve dall’esterno.

Questo clima culturale ha ora ricevuto un for-te scossone il cui merito va soprattutto al gratuito e appassionato impegno di semplici cittadini riunitisi in associazioni di volontariato nonché, bisogna riconoscer-lo, al forte impatto dei mezzi di comunicazione sociale che una volta tanto hanno agito con professionalità e accurata documentazione per denunciare a livello nazio-nale la drammatica situazione sanitaria e ambientale di Taranto.

Oltre ai mass-media nazionali non va trascurato il ruolo dei nostri mezzi di informazione. La partecipa-zione attiva di Mietta che, dando seguito all’intervista da noi pubblicata nello scorso numero, ha concluso la manifestazione del 29 novembre in piazza Garibaldi; l’interesse suscitato dalla nostra proposta, fatta propria dal sindaco e dal Consiglio comunale, di invitare il

Consiglio dei ministri a Taranto come ha fatto a Na-poli; le oltre 17.000 firme finora apposte all’Appello per Taranto pubblicato sul sito internet dell’Ail… sono alcuni segni del nostro contributo fattivo per smuovere le istituzioni e far valere i diritti di tutti noi cittadini. Ed è grazie al contributo fondamentale della società civile tarantina che il Consiglio regionale ha finalmente votato la legge regionale per la riduzione delle emissioni inqui-nanti da parte dell’industria.

Ma la strada da percorrere è ancora lunga e richiede una sempre maggiore partecipazione di tutti i cittadini e delle menti migliori che il territorio può esprimere. La storia ci insegna che aspettarsi qualcosa dall’alto è un atteggiamento suicida. Siamo noi stessi, noi cittadini, gli artefici del nostro futuro. E Taranto è un enorme cantiere nel quale lavorare insieme per ri-costruire.

Nell’immediato abbiamo da affrontare il grave problema dell’occupazione. Un problema che non può ricadere solo sulla città di Taranto visto che all’Ilva lavorano migliaia di persone di altre città, province e re-gioni. Se Taranto deve preoccuparsi dei propri cittadini licenziati o mandati in cassa integrazione (che sono solo una parte di quelli interessati per il momento), altrettan-to sono tenuti a fare gli altri Comuni e le altre province. Il problema occupazione è dunque problema provinciale e regionale e non può pesare solo su Taranto. Ambiente e occupazione richiedono un coinvolgimento più esteso. E gli altri Comuni non possono, come Pilato, lavarsene le mani. Vanno pertanto opportunamente coinvolti.

È la sfida che ci attende in questo anno 2009. Che sia un anno importante per cominciare a risalire la china. Auguri Taranto!

Marcello De Stefano

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L’appELLo pEr TaranToOltre 17.000 persone hanno firmato finoral’Appello pubblicato sul sito www.ail.taranto.itSono cittadini della nostra provincia maanche di ogni parte d’Italia e dall’estero.Apponendo la firma tramite il sito internet,l’Appello è giunto direttamentesulla posta elettronica di tutti i parlamentarie dei responsabili delle amministrazioni locali.Con questa iniziativa si è voluto far sì chel’Autorizzazione Integrata Ambientale - cheil Ministero è tenuto a rilasciare alleindustrie - sia subordinata al rispetto della salutedei cittadini di Taranto e dei lavoratori delle industrie inquinanti.

non lasciate che i cittadinidi Taranto muoiano di cancro!

Al Presidente del Consiglio dei MinistriAl Ministro dell’Ambiente

A tutti i rappresentanti italiani presso le Istituzioni EuropeeA tutti i Parlamentari e i Senatori Italiani

Al Governatore della Regione PugliaAl Prefetto di Taranto

Al Presidente della Provincia di TarantoAl Sindaco di Taranto

CHIEDIAMO

Predisposizione a brevissimo termine di un monitoraggio 24 ore su 24, ad ope-ra dell’ARPA PUGLIA, delle emissioni inquinanti degli impianti: ILVA S.p.A, dell’ENI S.p.A., della centrale EDISON, dell’ENI POWER, della CEMENTIR.

Riduzione, in applicazione della normativa comunitaria (Decisione del Consiglio 2004/259/CE), del limite di emissione di diossina a 0.4 ng TE/m3 -0.4 nanogrammi per metro cubo normalizzato (valore espresso in tossicità equivalente), attraverso la modifica del Dlgs 152/2006 o attraverso la stipula di specifici accordi d’intesa tra lo Stato, la Regione Puglia, la Provincia di Taranto, il Comune di Taranto, e i ge-stori degli impianti industriali (art.5 co. 20 del D.L.vo 59/2005).

Potenziamento del registro Tumori della Provincia Jonica, al fine di avere a dispo-sizione dei dati di incidenza e mortalità per neoplasie “scientificamente rilevanti”.

NON RILASCIO DELL’ Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) all’ILVA S.p.A se non dopo l’indicazione (produzioni di dati e documenti) da parte della società: 1) delle tecnologie utilizzate per prevenire o ridurre le emissioni inquinanti (in par-ticolare, benzene, PCDD-PCDF (diossine), polveri metalliche e IPA); 2) delle misure previste per controllare tali emissioni; 3) delle migliori tecniche disponibili utilizzate

per prevenire o ridurre tali emissioni.

SoSTiEni L’aiL di TaranTo inviando un conTribuToLibEraLE TramiTE paypaL uTiLizzando iL SiTo inTErnET

www.ail.taranto.it

Nalla fotodi Vito Fabbiano: l’interventoconclusivo di Mietta inPiazza Garibaldi al termine della manifestazione del 29 novembre per l’ambiente, con, a destranella foto,la presidentedella sezione AIL di TarantoPaola D’Andria

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6 Obiettivo Salute

LA nuovA Legge regIonALe suL-LA dIossInA ConTIene Tre eLemenTI ImporTAnTI. Primo: impone un abbas-samento delle emissioni. Secondo: pre-vede un controllo “in continuo”. Terzo: stabilisce il fermo dell’impianto in caso di persistente superamento dei limiti.

Proviamo ad analizzarli in modo semplice e chiaro.

RIDUzIOnE DELLE EmISSIOnIL’abbassamento delle emissioni di

diossina previsto dalla legge regionale ha come obiettivo il rispetto del limite europeo fissato dal Protocollo di Aarhus recependo un limite europeo (di 0,4 nanogrammi di diossina a metro cubo) che la legge nazionale non ha ancora fissato.

Oggi l’Ilva emette invece circa 7 nanogrammi di diossina a metro cubo, stando alle misurazioni dell’Arpa (Agen-zia Regionale Protezione Ambiente). In tal modo supera di oltre 17 volte i limiti europei ma, è bene sottolinearlo, non supera i limiti della legislazione ita-liana che è estremamente permissiva e costituisce una anomalia nel panorama europeo.

La legge regionale è intervenuta per sanare questa anomalia italiana av-valendosi dei poteri di tutela della sa-lute che la Costituzione riconosce alle regioni. Va aggiunto che la Regione è intervenuta con una legge dopo che le associazioni impegnate sul fronte am-bientale e sanitario avevano chiesto, fin dal 2007, una normativa in tal senso sull’esempio della Regione Friuli Venezia Giulia che ha già adottato da tempo il limite europeo di 0,4 nanogrammi fissa-to dal Protocollo di Aarhus.

RISChIO DISOCCUPAzIOnE? Ma la nuova legge regionale non ri-

schia di far chiudere l’Ilva e di causare migliaia di disoccupati? Questo rischio non esiste per due motivi.

In primo luogo la legge regionale fissa un limite intermedio di emissioni di 2,5 nanogrammi di diossina a metro cubo. Questo limite l’Ilva è in grado di raggiungerlo già da ora semplicemente aggiungendo un additivo (che si chiama “urea”) al processo di “sinterizzazione” da cui si origina la diossina.

In secondo luogo il limite di 0,4 na-nogrammi a metro cubo (da raggiungere entro il 31 dicembre 2010) è già stato raggiunto in Friuli Venezia Giulia in un analogo impianto industriale: perché al-lora non sarebbe possibile attenersi a questo limite a Taranto?

Inoltre in Austria hanno messo a punto una tecnologia (di nome “Meros”) che può “tagliare” del 97% le fuoriusci-te di diossina portando le emissioni sotto un limite quattro volte inferiore (ossia 0,1 nanogrammi) a quello fissato dalla Regione Puglia (0,4 nanogrammi).

Per implementare tale tecnologia sono necessari 16 mesi (dall’ordinazione alla messa in opera) mentre la legge regio-nale dà 24 mesi di tempo. Quindi non vi può essere alcuna scusa per non adot-tare tecnologie funzionanti in tutto il mondo che si possono mettere in fun-zione in tempo utile.

LA RISPOSTA DELL’ILVALa dirigenza dell’Ilva ha dichiarato

che “le attuali tecniche di additivazio-ne di urea consentono di abbassare gli attuali 7 nanogrammi fino al 50% e non fino a 2,5 nanogrammi per metro cubo”, come invece richiesto dalla legge regio-nale per l’aprile prossimo. Tali dichiara-zioni sono sconcertanti. Infatti sotto i 2,5 nanogrammi a metro cubo l’Ilva è già scesa in alcune sperimentazioni.

Con l’urea l’Ilva ha infatti otte-nuto i seguenti risultati: 2,1 nano-grammi il 23/6/2008; 3,4 nanogram-mi il 24/6/2008; 1,9 nanogrammi il 26/6/2008 con una media di 2,48 nano-

I contenuti e i chiarimenti sulla legge della Regione Puglia cheil 16 dicembre 2008 ha adottato importanti provvedimenti nella lotta all’inquinamento industriale e per la salvaguardiadella salute dei cittadini di Tarantodi AlessAndro MArescotti

LoTTa alla diossina

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Obiettivo Salute 7

grammi. Quindi l’Ilva, se sottoposta ad un controllo mediante “campionamento in continuo” (come previsto dalla leg-ge regionale), rientrerebbe nel limite intermedio di 2,5 nanogrammi fissato dalla nuova normativa. Perché allora dice di non poter rispettare un limite se nelle proprie sperimentazioni ha già dimostrato di poter scendere da 7 a 2,5 nanogrammi? La risposta è semplice: perché aggiungere in modo continuati-vo l’urea è una gran scocciatura. E’ un additivo scomodo da gestire, può intral-ciare la produzione, è un problema in più a cui badare. L’urea ha anche un suo costo, come pure ha un costo l’impianto che ne deve garantire l’additivazione.

Ma, ciò che è ancora più grave, la dirigenza dell’Ilva non ha presentato alcun progetto per raggiungere l’obiet-tivo ultimo che dovrebbe far scendere le emissioni sotto il limite europeo di 0,4 nanogrammi fissato dal Protocollo di Aarhus. Lo ha recentemente denun-ciato l’assessore regionale all’Ambiente Michele Losappio.

Ma come si farà a controllare se i limiti regionali per la diossina saranno rispettati? E da qui possiamo spostarci al secondo elemento importante della legge regionale che occorre conoscere: il campionamento in continuo.

I COnTROLLI SULLE EmISSIOnIFino a ora i controlli sulla diossina

sono stati effettuati “su appuntamen-to”. L’Ilva sapeva quando l’Arpa andava a controllare la diossina e si comportava di conseguenza. La nuova legge regio-

nale stabilisce invece che l’azienda deve essere controllata “in continuo”. Ossia 24 ore su 24, 365 giorni l’anno. Questo controllo avviene mediante una “car-tuccia” che viene inserita nel camino e assorbe per una certa quantità di tem-po i fumi. Tale “cartuccia” è – in ger-go tecnico - un campione e l’azione di controllo costante con questo campione è chiamata dagli specialisti “campiona-mento in continuo”.

Questa cartuccia viene prelevata pe-riodicamente e portata in laboratorio. Le analisi forniscono in questo caso il valore medio e quindi tutte le emissioni notturne vengono “catturate” in questa cartuccia e finiscono con il “fare media”. Ecco perché il “campionamento in con-tinuo è importantissimo: ha un effetto deterrente fondamentale.

Ovunque è stato adottato il campio-namento in continuo della diossina le aziende hanno dovuto fare la massima attenzione.

SE SI SUPERA IL LImITELa legge regionale prevede una pro-

cedura specifica nel caso in cui l’analisi della “cartuccia” attestasse un supe-ramento del limite: “In caso di supe-ramento dei limiti (…) l’ARPA Puglia provvederà a darne immediata comuni-cazione alla Regione Puglia, Assessora-to all’Ecologia, che diffiderà il Gestore dell’impianto che abbia determinato tale superamento a rientrare, entro 60 giorni, nei limiti previsti. Ove il Gesto-re non adempia la diffida entro i ter-mini assegnati, lo Stesso sarà tenuto ad arrestare immediatamente l’esercizio dell’impianto”.

La legge è quindi più “morbida” ri-spetto alla normativa regionale del Friu-li Venezia Giulia che stabilisce il fermo dell’impianto già il giorno dopo il su-peramento del limite. Come si può no-tare la legge pugliese è tutto sommato estremamente graduale e moderata nei tempi di attuazione ma è intransigente sui limiti e sui controlli.

E’ importante notare che per fermo dell’esercizio dell’impianto non si inten-de il fermo dell’intero stabilimento. Per il caso dell’Ilva il fermo dell’impianto si riferirebbe all’impianto di agglomera-zione che è un sottoinsieme dell’intero stabilimento. Inoltre il “fermo” non è la chiusura. Ecco perché è assolutamente allarmistico parlare di “chiusura dell’Il-

va” nel caso venisse applicata la legge.Sono considerazioni elementari, ba-

nali, quasi ovvie. Ma la terminologia è spesso causa di scivoloni più o meno consapevoli e persino uomini politici che dovrebbero conoscere il signifi-cato delle parole scambiano l’arresto dell’esercizio dell’impianto di agglome-razione con la chiusura definitiva dello stabilimento Ilva.

La messa a norma dell’impianto con-sente infatti la sua riattivazione e nel frattempo lo stabilimento può continua-re a funzionare se acquista sul mercato internazionale il cosiddetto “agglomera-to” già pronto.

Chi drammatizza gli effetti dell’ap-plicazione della legge o non conosce il problema o sta facendo un polverone mediatico per ostacolare importanti mi-sure di tutela della salute che nel resto dell’Europa sono ormai state adottate da tempo.

GLI EFFETTI DELLA DIOSSInAL’esposizione alla diossina è causa di

tumori. Inoltre noi assumiamo la diossi-na attraverso l’ingestione di grassi con-taminati (latte, formaggio, carne, uova, pesce, ecc.).

A Taranto la Confagricoltura ha di-chiarato: “Le aziende ovicaprine intorno allo stabilimento Ilva hanno già pagato un dazio alla presenza di diossina con la soppressione di 1200 capi. Occorre adottare le migliori precauzioni possi-bili per evitare di far “strage” di altre aziende zootecniche. Perché se vi sono dei colpevoli in questa vicenda, vanno cercati altrove e, magari, molto più vi-cino”. Come si può notare un effetto la diossina lo ha già provocato. Le masse-rie sono in ginocchio, oltre mille peco-re e capre sono stare abbattute perché contaminate dalla diossina. Entrando nella catena alimentare, la diossina ha messo in crisi un settore economico lo-cale importante come quello zootecni-co. Perché si dovrebbe comprare carne e formaggio proveniente dalla città più inquinata d’Italia? Chi comprerebbe il “provolone di Seveso” dove ci fu il disa-stro con la nota fuoriuscita di diossina dell’Icmesa?

Se non chiediamo oggi uno sviluppo sostenibile la città di Taranto divente-rà un territorio extraeuropeo dove fare profitti senza reinvestirli in tecnologie ecocompatibili. n

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8 Obiettivo Salute

Le campane sono per noi. Appena arrivati a piazza della vittoria, all’al-tezza della chiesa del Carmine, co-minciano a suonare a distesa. Il loro suono vuole arrivare a tutti, scuote le coscienze fin dentro il tepore delle case, e oltre, oltre... Questi batacchi impigriti da anni di fatti sempre uguali picchiano ora, martellano come lucidati da nuovo ed improvviso vigore. Gonfia-no proprio i muscoli questi vecchi bron-zi, tanto che i loro rintocchi ci rimesco-lano il sangue come fossimo di fronte al. flusso inarrestabile della Storia e… della Provvidenza.

Queste campane impazziscono per dieci, quindici, venti minuti, accompa-gnando il passaggio del lungo corteo. Tutto sovrastano, abbracciano: incami-ciano le urla, i fumogeni, gli slogan, le diverse bandiere, i sorrisi.

Ci sono tutti, proprio tutti. Anche quelli che mancano... Dai piccoli nelle carrozzine ai delegati sindacali, dai mo-vimenti per la protezione dell’ambiente e della natura ai rappresentanti di forze politiche diverse ed in genere tra loro contrapposte, dai ragazzi delle elemen-tari tenacemente aggrappati ai loro stri-scioni colorati, a quelli delle superiori coi loro insegnanti. Persino dei religiosi

con tanto di tonaca francescana... Tutti.E’ come una festa. E dopo si capirà

che è stata grande, bella, come la mia città si merita. Tutti ci incontriamo, ci rivediamo, ci salutiamo. Siamo come co-riandoli variopinti e multiformi. Non è un corteo cupo come tanti che abbiamo già visto. Eppure tutti qui abbiamo sof-ferto e qualcuno soffre anche nel pre-sente, ma ora è diverso.

Le campane continuano ancora. Si sono prima timidamente proposte, poi, via via hanno acquistato potenza ed il loro coraggio alimenta quello di tutti noi. Un applauso pervade la fila.

Qui, ora, c’è la mia gente che ap-plaude persino a delle vecchie campane, e sotto i miei occhi prende forma il so-gno di una città che si desta dopo anni di un oblìo così innaturale da sospettare massicce dosi di sonniferi-killer prodi-galmente elargiti: infatti ancora oggi qualcuno intende speculare sulla nostra vita confidando nello spirito della “mol-le Tarentum”.

Ma la Storia è qui, ce ne vogliamo pacificamente e pervicacemente riap-propriare per scriverla anche, noi, insie-me, sull’altare di un dialogo senza soste e senza pregiudizi. Per il bene comune. E’ un foglio bianco come un grande oce-

ano sconosciuto: coraggio, cominciamo a navigare!

Queste campane sono come l’abbrac-cio ed il calore, come le voci di tutti quelli che ci hanno preceduti di là, spe-cie quelli caduti sotto i fumi portatori di malattie e di tumori... e che “sono” ora e qui dentro di noi, sono noi stessi, camminano sulle “nostre” gambe, sorri-dono con le nostre bocche, amano con le nostre mani, coi nostri cuori.

Nessuno riuscirà mai a contare le nostre storie dolorose e nessuno sa dav-vero quanto sangue questa gente abbia versato e quanto ancora ne perderà, ma oggi la nostra “unità”, la voglia cioè di essere una cosa sola non può più essere spezzata da nessuno.

Le campane suonano ancora. Sono per noi, per i vivi, per i morti, per i fi-gli che ci guardano e che ci interroga-no: no, non c’è più spazio per tacere. E’ necessario perciò che ognuno nel suo piccolo sia un po’ come una di loro, che produca anche solo un modesto tintin-nio. Gli echi si spengono ora lentamente lasciandomi dentro una grande dolcezza. La folla raggiunge la meta, guadagna la vista del nostro mare mentre il sole tra le nuvole si fa più deciso: è davvero una bella giornata… n

“Le campane sono per noi. Appena arrivati a Piazza della Vittoria,all’altezza della chiesa del Carmine, cominciano a suonare a distesa.È necessario perciò che ognuno nel suo piccolo sia un po’ come unadi loro, che produca anche solo un modesto tintinnio…”.Il 29 novembre, una giornata storica per la città di Tarantodi GAbriele Perrucci - foto di vito fAbbiAno

La grande marcia per l’ambiente

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Obiettivo Salute 9

Ci siamo incontrati per caso la mat-tina del 29 novembre mentre, fermi in via Di Palma, aspettavamo che il corteo si mettesse in moto. La chiacchierata è venuta spontanea. “Ho lavorato cinque anni all’Ilva…”

e poi? perché hai deciso di andar-tene?

Dopo il diploma, ero entrato nel mondo del lavoro con entusiasmo e con l’intenzione di crescere professional-mente. Ma lì non avevo alcuna possibi-lità di crescere. L’Ilva è sempre un’azien-da di metalmeccanici. Al massimo ti può dare qualche scatto di anzianità, ma alla fine lo stipendio è sempre quello: mille euro per dieci ore al giorno chiuso in fabbrica… Poi devo dire che sono anche allergico alle polveri. Ho fatto anche dei vaccini. Ho sopportato per cinque anni, ma poi... Si parlava inoltre di pos-sibili licenziamenti, in previsione della chiusura dei reparti a caldo e della crisi dell’acciaio. Infatti come vediamo stan-no già mettendo tanta gente in cassa integrazione… Ho preferito andarmene con le mie gambe prima che fossero loro a mandarmi via. Molti giovani hanno fatto come me perché l’Ilva non ti dà nessuna sicurezza.

Hai potuto farlo perché sei giova-ne e non hai una famiglia da mante-nere. ma per chi ha famiglia?

Il fatto è che noi a Taranto purtrop-po siamo penalizzati. L’Ilva è l’unica azienda che può darti non dico un fu-turo ma almeno uno stipendio. E quelli che hanno famiglia possono fare affida-mento solo sull’Ilva. Io sono stato for-tunato a poter cambiare lavoro. Eppure un conto è dipendere da altri e un conto è avere un lavoro in proprio…

ma l’Ilva non può essere eterna…No, non può essere eterna. Oltretut-

to sta sul territorio da 50 anni: un tem-po lungo perché in genere una fabbrica dopo trent’anni entra in crisi, chiude, si trasforma… Ma l’Ilva è importante a li-vello mondiale per la produzione dell’ac-ciaio. Ecco perché sta ancora in piedi, nonostante tutti i problemi correlati di sicurezza e di inquinamento, per i quali non si fa niente per risolverli.

ma se un giorno l’Ilva chiudesse? I lavoratori non se lo pongono il pro-blema?

Sì, ma la risposta è: finchè l’Ilva c’è noi continuiamo a lavorare qui. Poi si vedrà.

ma ho l’impressione che in que-sto modo per cercarsi di tenere l’uovo oggi si perderà domani uovo e galli-na…

Esatto. Ma c’è l’idea che quando Riva dovesse lasciare l’Ilva, subentreranno i russi. C’è questa speranza e questo pen-siero: finchè l’Ilva c’è e mi paga, per-ché dovrei andarmene? Una volta che

mi mettono in cassa integrazione l’Ilva stessa provvederà a trovarmi un’altra occupazione. Ecco come ragiona la mag-gior parte degli operai. Ecco perché non se ne va nessuno.

dunque hanno paura di perdere il lavoro e non hanno paura di perdere la salute o la vita?

Secondo loro l’importante è porta-re a casa lo stipendio. Però respirare la diossina, l’amianto, per cui non c’è nes-suna cura, secondo me è un problema ancora più importante. La maggior parte delle persone non vuole cercarsi il lavo-ro per conto proprio, ma vuole sempre dipendere. Ma dipendere significa anche sottostare a certe regole. Ci siamo messi in un tunnel e non si vede via d’uscita.

e i proprietari?Loro secondo me dormono su 4 cu-

scini. A loro interessa solo la produzio-ne e nient’altro.

ma è così difficile ottenere a Ta-ranto quello che hanno trovato a ge-nova?

Riva ha pensato bene di chiudere Genova per conservare un’unica azienda portando a Taranto tutto il materiale di Genova.

e i lavoratori genovesi dove sono andati?

Sono sempre stati impiegati per smantellare l’Ilva.

Allora i lavoratori di Taranto non dovrebbero stare tranquilli?

Consideriamo che se l’Ilva dovesse chiudere il lavoro continuerebbe. Ma ri-flettiamo: quale lavoro? Si lavorerebbe sempre in un ambiente sporco, inquina-to. Non è che chiudendo l’Ilva si risolve il problema. L’inquinamento continue-rebbe. Oltretutto ci sono anche le altre aziende inquinanti.

ma arriverà il momento che la via d’uscita bisognerà trovarla.

Io so cosa significa entrare in un tunnel e non trovare la via d’uscita, per-ché una volta entrato in un certo siste-ma non trovi più la via d’uscita. E così non si riesce a capire qual è il futuro di Taranto, che come città sta andando proprio sotto terra. Mi dispiace molto. Bisogna cercare nuovi sistemi. Non si può andare avanti così.

Basterebbe andare a vedere come questi problemi li hanno risolti da al-tre parti…

Il problema è proprio questo. Non pensiamo a crescere. Ci accontentiamo di tenerci stretto quel pezzettino che abbiamo.

ma uno non si sente umiliato?Io sì, mi sentivo umiliato. Avevo

fatto anche domanda per migliorare la mia posizione all’interno dell’Ilva. E comunque sia, anche se fossi passato da operaio a impiegato, sarei sempre restato all’interno di un ambiente spor-co, malsano. E così mi sono guardato intorno e ho cominciato a capire che si può vivere anche senza l’Ilva così come vivono in tutte le altre città d’Italia e del mondo… n

Lavoravo all’ilva…A colloquio con un giovane ex-lavoratore dell’Ilvadurante la marcia del 29 novembre a Tarantodi MArcello de stefAno

Testimonianze

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10 Obiettivo Salute

In attesa del nuovo ospedale di rife-rimento per la città di Taranto, la sanità ionica è chiamata a rispondere a priorità sicuramente più sentite dal cittadino, do-vendosi confrontare con esse tutti i gior-ni. In primo luogo, l’abbattimento delle liste d’attesa. Intendiamoci, il problema interessano tutta la sanità italiana e solo in poche regioni sono stati ottenuti risul-tati di un certo rilievo.

C’è da dire che a questo riguardo qual-cosa di concreto è già stato fatto. L’in-cremento del numero di macchine ed ope-ratori legato soprattutto all’allargamento delle convenzione a studi privati, nonchè la possibilità per l’utente di prenotare non solo direttamente al Cup ma anche in strutture extraospedaliere come le Far-macie attraverso un complesso sistema on line, ha portato a risultati di un certo ri-lievo. Ma c’è ancora tanto da fare.

Per alcune prestazioni come la visita oculistica e soprattutto la mammografia, in merito alla quale abbiamo raccolto le lamentele dei cittadini, i tempi d’attesa sono inaccettabili, come è inaccettabile sul piano etico che l’utente, a fronte di una richiesta di prestazione che presen-ti tempi d’attesa anche superiori ai 12 mesi, si senta rispondere che la stessa può essere eseguita in giornata o al massimo il giorno dopo, se si dovesse scegliere il regime di intramoenia e cioè a pagamento.

Il regime di intramoenia è giusto che ci sia, ma dovrebbe essere limitato a quei pazienti che decidono di ricorrervi per libera scelta e non perché co-stretti da liste d’attesa troppo lunghe.

Le cause individuate come responsabili di tempi d’attesa esageratamente lunghi sono so-stanzialmente comuni a tutte le regioni e cioè:

1) Carenza di personale e di macchine; taglio ai servizi con

organici sottodimensionati; mancato am-modernamento tecnologico di ecografi e TAC;

2) Medici accusati di prescrivere trop-pi esami, spesso non necessari o inappro-priati;

3) Prenotazioni disattese e non di-sdettate che rappresentano il 15% delle liste d’attesa;

4) Assenza di uniformità nell’esecuzio-ne e soprattutto nella refertazione di esa-mi diagnostici. Questo un problema non trascurabile che interessa soprattutto gli esami sui quali si cimenta una moltitudine di figure professionali, quali il Cardiologo, il Radiologo, il Chirurgo, l’Internista ect, con esperienza e cultura clinica diverse. Ciò può comportare difficoltà nell’inter-pretazione e la richiesta di ulteriori esami che appesantiscono le liste d’attesa.

Non pretendiamo naturalmente di ri-solvere un problema così gravoso come è quello delle liste d’attesa ma riteniamo che portarle da un anno a sei mesi o an-che a tre, pur comportando un notevole dispendio di risorse, non risolva il proble-ma fondamentale che è quello di assicu-rare una visita specialistica o un esame diagnostico urgente nel giro di pochi giorni senza dover ricorrere al pagamen-to o senza tentare di aggirare l’ostacolo, confidando nell’amicizia del personale sa-

nitario preposto o peggio ancora presen-tandosi al Pronto Soccorso e pretendendo un ricovero che potrebbe dimostrarsi as-solutamente incongruo.

Mi spiego meglio: 12 mesi d’attesa per una mammografia possono non scandaliz-zare quando l’esame viene richiesto con cadenza annuale per prevenzione, come accade nel 90% dei casi, mentre invece risultano intollerabili nel caso si sospetti una neoplasia mammaria.

Ebbene la soluzione del problema è, almeno apparentemente, abbastanza ba-nale, richiede la collaborazione dei medici di famiglia e consiste nell’individuazione di codici di priorità.

A tal proposito la Regione Veneto sembra che abbia risolto il problema delle liste d’attesa definendone la tempistica.

1) U (urgente). Intervento immediato per situazione ad alto rischio da trattare in emergenza.

2) B (breve). Prestazione da erogare entro 10 giorni per situazioni passibili di aggravamento in tempi brevi.

3) D (differibile). Visite specialistiche da effettuare entro 30 giorni ed esami diagnostici entro 60 giorni per situazioni passibili di aggravamento non in tempi brevi.

4) P (programmabile). Prestazioni da erogare entro il limite massimo di 180

giorni per verifiche cliniche program-mabili.

In conclusione riteniamo che tut-ti i rimedi sin qui attuati per abbat-tere le liste d’attesa vanno bene, ma se non si assicura al cittadino la pre-stazione urgente, la sanità pugliese, che sembra sia stata elogiata e presa ad esempio per il modello di riordino ospedaliero, non avrà risolto il pro-blema fondamentale e pertanto chie-diamo al Direttore Generale di farsi promotore di un analoga iniziativa,

basata su livelli diversi di prio-rità, adattandola alla nostra realtà sanitaria. n

Chiediamo al Direttore Generale di farsi promotore di unainiziativa analoga a quella della Regione Veneto che sembra

abbia risolto il problema delle liste d’attesa definendonela tempistica su livelli diversi di priorità

di PAsquAle dinoi

Una soluzione per le liste d’attesa

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Obiettivo Salute 11

Le istituzioni malate gli episodi che nelle scorse settimane hanno investito il Consiglio comunale di napoli e poi di pescara mi hanno riportato agli episodi di cattiva amministrazione della nostra Taranto per i quali si trascinano ancora oggi diversi processi. mi piacerebbe che la vostra rivista - che, da tarantino, seguo con attenzione dalla Capitale – affrontasse anche con attenzione le problematiche circa lo “stato di salute” delle nostre istituzioni locali in quanto le loro diverse e variegate “malattie” (che si trasformano in veri e propri reati) incidono non poco sullo stato di salute dell’intera città e provincia. A proposito di provincia, sono stato sconcertato dall’esi-to del recente concorso per Capo-ufficio stampa alla provincia di Taranto al quale ero indirettamente interessato. Credo che come cittadini abbiamo il dovere di vigilare sulle istituzioni che altrimenti si sentono libere di fare il bello e il cattivo tempo sulle nostre teste, a dispetto di tutte le leggi sulla trasparenza e sulla centralità del cittadino che le istituzioni sono chiamate a servire.

Alessandro mastropasqua - roma

Grazie per il suggerimento che cogliamo volentieri. La salute ha vari volti. E siamo consapevoli che, come lei dice, anche la Pubblica ammini-strazione soffre di malattie – come il clientelismo - che vogliamo sperare non siano incurabili almeno per il nostro territorio. Ci adopereremo per dare il nostro contributo in tal senso. Guarire da queste malattie significa garantire ai nostri figli la migliore vivibilità nella nostra città e la garanzia di poter entrare nel mondo del lavoro senza sotterfugi, senza indebite preferenze, senza trucchi. Anche per garantire questo futuro e questa trasparenza, chiediamo al presidente Florido o a chi per lui di voler fornire gli opportuni chiarimenti a proposito del concorso da lei citato.

mietta ha ragione Il tema è uno solo: il cancro a Taranto. Cin-que anni fa ho perso un fratello, Franco, di soli 47 anni per cancro ai polmoni. primo: per mala-sanità. il cancro non è stato segnalato in tempo pur avendo fatto radiografia e non segnalato dal medico radiologo. secondo: il cancro non era dovuto al fumo e questo detto dal primario del san raffaele di milano. All’istituto dei tumori di milano i casi di tarantini con cancro ai polmoni sono frequenti e non sappiamo in altri ospedali. La colpa? decidete voi la risposta. destino? può darsi, ma a volte il destino ha una sua ragione e mio fratello Franco è stato sfortunato ad aver trovato sulla sua strada un radiologo incompe-tente - per non dire altro - e di essersi cibato di aria velenosa di Taranto, bella città dove sono nato e che vorrei tornasse ad esserlo. Ha ragione mietta: s v e g L I A T e v I prima di addormentarvi. non c’è tempo!

paolo portararo - Taranto

LA voceDEI LETTORI

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Il piano della sanità PolvereÈ stato presentato dal Direttore Generale della Asl di Ta-ranto Domenico Colasanto il Piano Attuativo locale per la sanità ionica per il prossimo triennio 2009-2011. Il Piano, previsto dal Piano regionale della salute, ten-de alla riorganizzazione e all’ammodernamento delle strutture i cui deficit attuali consistono nel basso stan-dard qualitativo delle strutture alberghiere; la carenza dell’organico; l’arretratezza complessiva della dotazio-ne tecnologica. Il piano prevede, oltre alla costruzione del nuovo ospedale d’eccellenza S. Raffaele del Medi-terraneo, anche l’ammodernamento del SS. Annunziata che avrà 3 posti letto con bagno in ogni stanza e il rimodellamento degli ospedali esistenti nel versante orientale e in quello occidentale oltre che nella Valle d’Itria. Il Piano prevede anche l’istituzione di tre ‘Case della salute’ alla Salinella, Lizzano e Palagianello. Ri-disegnati anche i distretti suddivisi in 4 comprensori. I cambiamenti previsti, che avremo modo di approfon-dire opportunamente, mirano a migliorare la qualità dell’assistenza a partire dalla “centralità del cittadino”.

Dopo essere circolato per quasi un anno nel circuito dei festival nazionali, è stato presentato in anteprima a Carosino ‘Pol-vere’, cortometraggio scritto e diretto dal giovane Danilo Caputo e prodotto dall’as-sociazione culturale Taratata. Il filmato racconta il ritorno di Tonino alla masseria nella quale era nato e che aveva dovuto abbandonare per far spazio all’Ilva. Inseri-to nel Festival del Cinema europeo di Lec-ce, Polvere, oltre ad altri riconoscimenti, ha vinto il premio ‘Sezioni Future’ al Taran-to Film Festival. Il cortometraggio, ha detto l’autore “non basta da solo a raccontare il rapporto di questa terra con l’Ilva e per questo sto pensando a un documentario in cui raccogliere le testimonianze di chi ha vissuto questo disagio più da vicino”. Chi vuole fornire il suo personale contributo può rivolgersi a [email protected]

L’associazione “Taranto 9 giugno 1960 anno 0” ha deciso di conferire al dott. Patrizio Mazza - dirigente dell’emato-logia all’ospedale nord e vicepresidente della sezione AIL di Taranto - il premio SoS Taranto “per avere alzato la sua voce rispetto alle pro-blematiche ambientali e alle conseguenze per la salute delle persone”. Il premio è stato conferito in una cerimonia al quar-tiere Tamburi nel corso del mese di dicembre.

SOS TARAnTOPREmIO TAmBURI

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12 Obiettivo Salute

parlando con la fisioterapista che mi sta sistemando una spalla malan-data, mi ha chiesto del mio lavoro e di quello che ho fatto questa matti-na. “una trasfusione di sangue ad un cane” le ho risposto. Il suo stupore è stato quasi pari al mio nel sentire la sua risposta : “Davvero voi veterinari fate queste cose agli animali?”. Così mi sono chiesto: ma che percezione si ha comunemente del lavoro del Medico Ve-terinario? In questo numero, perciò, ho deciso di parlare di me, o meglio del mio lavoro e di quello di tanti altri medici veterinari che si occupano di animali d’affezione.

Negli ultimi 20 anni la professione ha fatto passi da gigante, e la Medicina Veterinaria ha competenze spesso spe-cialistiche come in quasi tutte le bran-che della medicina umana: sono ormai poche le cose che non possiamo fare ai nostri pazienti per migliorare le loro condizioni di salute. Il concetto fonda-mentale è - ma non è sempre stato così - prima la diagnosi poi la terapia.

Dalla dermatologia all’ematolo-gia, dalla chirurgia alla ginecologia, dall’oculistica all’oncologia il Medico Veterinario moderno utilizza tutti gli ausili diagnostici che la scienza e la tecnologia mettono a disposizione per capire la malattia che affligge il pazien-te e somministrargli la cura più adatta. In dermatologia, per esempio, l’esame microscopico di materiale prelevato dal-la pelle è una indagine compresa routi-nariamente in una visita clinica che in caso di patologie particolarmente com-plesse può essere arricchita da ulteriori indagini come esami del sangue o anche biopsie cutanee.

Un buon Veterinario (e sono la maggioranza) di fronte ad un cane con emorragia in atto non somministra in prima battuta un farmaco anti-emorra-gico (che spesso e volentieri non trova

ragione di essere somministrato) ma procede più correttamente ad effettuare una trasfusione di sangue per stabiliz-zare le condizioni del paziente in attesa di conoscere più velocemente possibile con indagini approfondite la causa di quella perdita. E in questo caso si va da esami banali come possono essere i test di funzionalità del fegato o un emocro-mo, alla ricerca di malattie infettive, fino ad esami che misurano la capacità di coagulazione del sangue.

I nostri animali possono soffrire di

cardiopatie così come il loro padroni, ed è fondamentale anche nel loro caso arri-vare quanto prima ad una diagnosi cor-retta per intraprendere la giusta terapia. Quindi effettuiamo regolarmente, oltre la classica visita clinica, indagini ap-profondite tramite elettrocardiogrammi e/o ecografie al cuore ed arriviamo (non senza difficoltà) ad eseguire anche nei cani quell’esame particolare chiamato Holter (la famosa cassettina che si porta addosso per 24 ore, ormai sostituita an-che in Medicina Veterinaria da un chip).

La Medicina Veterinaria ha competenze specialistichecome in quasi tutte le branche della medicina umana.Dalle trasfusioni alle analisi cliniche, dalle Tac agli interventichirurgici, sono ormai poche le cose che non possiamofare per migliorare le condizioni di salute degli animalidi MiMMo de vitA

gli animali in sala operatoria

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Obiettivo Salute 13

La diagnosi per immagini è un al-tro campo in forte espansione. Già da tempo effettuiamo esami radiografici con o senza mezzo di contrasto per la diagnosi delle più svariate patologie. Recentemente però alcune strutture si sono dotate di apparecchi radiologici digitali che forniscono immagini anco-ra più accurate e qualcuno può disporre di apparecchi per la TAC o la Risonan-za Magnetica. Questi ultimi purtroppo sono ancora pochi, ma i costi di tali apparecchiature sono estremamente elevati (circa 300.000 euro) e sono a completo carico del professionista. Non tutti possono permetterseli.

Per la diagnosi dei tumori ci servia-mo di laboratori di analisi veterinarie o dell’Università, dove colleghi specialisti in anatomia patologica ci permettono di dare un nome preciso alla patologia incontrata, in modo da individuare la tecnica migliore per la sua cura sia chi-rurgica che farmacologica.

La chemioterapia è un trattamento che effettuiamo, tra mille attenzioni, quando abbiamo a disposizione il farma-co necessario (spesso si tratta di farma-ci per l’uomo per esclusivo uso ospeda-liero che non si comprano in farmacia per cui non riusciamo a disporne) con proprietari altamente motivati: i risul-tati sono in molti casi apprezzabili. A questo proposito aggiungo che è possi-bile anche l’utilizzo della radioterapia, al momento solo all’estero (Zurigo e Vienna per es.). A breve però ci sarà una clinica in Emilia ed una in Piemonte dove sarà possibile effettuarla.

Non c’è (quasi) nulla di chirurgia che non facciamo: dal trattamento delle fratture con l’applicazione di placche, viti, chiodi, fissatori esterni e protesi in titanio, alla chirurgia addominale dei tessuti molli (fegato, reni, intestino, stomaco ecc.); da interventi di neuro-chirurgia (per il trattamento di tumori cerebrali o di patologie del midollo spi-nale) alla chirurgia toracica.

Ci fermiamo, al momento, solo davanti al problema rappresentato dai trapianti di organo: non tanto per una questione di tecnica chirurgica, per quanto complessa (in alcuni centri ne-gli Stati Uniti si cominciano a fare ad-dirittura trapianti di cuore) ma per la difficoltà oggettiva di avere donatori consenzienti e per la gestione del pa-ziente nel post-operatorio che richiede

il trattamento a vita con farmaci anti-rigetto.

Le sale operatorie che molti Medi-ci Veterinari utilizzano hanno poco da invidiare a quelle degli ospedali o delle cliniche private della medicina umana: non è raro trovarvi monitor multipa-rametrici per il controllo del paziente durante l’intervento, apparecchi per l’anestesia gassosa e la rianimazione, pompe iniettive per la somministra-zione controllata di farmaci e massime condizioni di sterilità (trattandosi di animali pelosi non è sempre facile!). L’analgesia chirurgica nelle strutture più serie viene praticata anche utilizzando oppioidi (morfina e simili ) durante e dopo l’intervento.

Il Medico Veterinario moderno è un professionista in continuo aggiorna-mento, non solo per obbligo normativo anche se libero professionista (per gli addetti ai lavori leggere ECM) ma per necessità e coscienza. Molti di noi cer-cano di dare sempre il meglio ai propri pazienti arricchendo ogni giorno il ba-gaglio di conoscenze.

Grande merito hanno in questo senso le tante associazioni culturali veterina-rie sorte sull’intero territorio nazionale e tra tutte mi piace citarne una locale, il Circolo Veterinario Pugliese presiedu-to dalla dott.ssa Marilena Nardoni, che a fronte di un intenso lavoro ha raccol-to centinaia di adesioni di colleghi in tutta la Puglia (e senza conferire alcun credito ECM, a dimostrazione del puro interesse scientifico dei partecipanti).

La professione, quando fatta bene ha un unico grande limite dato dai costi:

tutto quello che viene fatto dal Medico Veterinario deve essere pagato di tasca propria da chi porta l’animale, in quanto non esiste nessun servizio paragonabi-le al quello sanitario nazionale, dove, peraltro, comunque spesso si paga un ticket per la prestazione.

Avere una struttura attrezzata che faccia fronte a qualsiasi evenienza ha costi rilevanti in termini di apparec-chiature e di personale.

Se l’onorario per effettuare un TAC al vostro cane ammonta a centinaia di euro è perché l’apparecchio utilizzato ne costa centinaia di migliaia e l’addestra-mento dell’operatore qualche migliaio.

Mantenere una sala operatoria in condizioni da poterla definire tale, cer-tamente aumenterà il prezzo dell’inter-vento che il professionista vi chiederà. Lo stesso mantenimento di standard professionali qualitativamente elevati attraverso l’aggiornamento continuo ri-chiede al Medico Veterinario un esborso di denaro.

Ma a costi elevati spesso corrispon-de una qualità adeguata della presta-zione. Un detto popolare recita: “come spendi mangi” e ciò vale anche per la professione che da più di vent’anni svol-go con passione.

Per questo invito a diffidare di ta-riffe scontate o low cost. Chi vi offre di operare il vostro cane a cifre irrisorie, probabilmente lo farà sul tavolo della cucina (permettetemi questo eufemi-smo), senza alcuna misura a garanzia della salute del vostro animale: niente guanti sterili, niente teli sterili, niente ferri sterili, niente monitoraggio cardia-co, niente di niente.

Fate fare al vostro animale quello vorreste essere fatto a voi se foste al suo posto. Pensateci la prossima volta che lo portate dal veterinario. E chiede-te spiegazioni. Sempre. n

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14 Obiettivo Salute

Il Il melanoma cutaneo rappresenta il tumore maligno più aggressivo che si co-nosca: anche per spessori inferiori ad un millimetro può risultare potenzialmente fatale.

Un inequivocabile segnale di allarme è stato recentemente lanciato da mol-ti gruppi di ricerca provenienti da ogni parte del mondo i quali concordano sul fatto che il tasso di incidenza del mela-noma cutaneo sia in progressivo, inar-restabile aumento nella popolazione di pelle chiara. Negli ultimi decenni questo tumore ha mostrato annualmente un in-cremento di circa il 5-7 % in più rispetto all’anno precedente, in controtendenza rispetto all’andamento epidemiologico mostrato dalla maggior parte degli altri tumori, molti dei quali appaiono invece in diminuzione o soltanto stazionari.

In realtà, il fenomeno dell’aumento del numero di nuovi casi di melanoma riguarda soprattutto quelli con spesso-re istologico (parametro da cui dipende fortemente la sopravvivenza di chi ne è colpito) più basso, ovvero quei tumori che sono caratterizzati da una maggiore probabilità di sopravvivenza, cioè da una prognosi migliore.

L’aumento abbastanza selettivo della incidenza di questi melanomi cosiddetti “sottili”, cioè con basso spessore istolo-gico, è probabilmente dovuto in parte anche ad una maggiore sensibilizzazione dell’opinione pubblica nei confronti di questo grave problema di salute pubbli-ca, oltre che ad una aumentata abilità dello specialista dermatologo nel ricono-scere questo tumore in una fase molto precoce.

LE CAUSE AmBIEnTALIPer giustificare l’aumento dei casi

di melanoma sono state invocate molte cause di natura ambientale, quali l’au-mento delle dimensioni del buco dell’ozo-no insieme ad una presunta e non meglio specificata alterazione della qualità della radiazione solare. Tuttavia è necessario essere molto cauti nel ritenere che esi-sta un rapporto diretto causa-effetto tra questi due fenomeni, soprattutto consi-derata la estrema difficoltà nel dimostra-re una ipotesi di questo tipo.

Come per tutti i tumori maligni anche per il melanoma, nonostante gli enormi progressi compiuti nel campo della on-cologia e della genetica, non se ne co-nosce il primum movens, ovvero quel meccanismo biochimico che trasforma una comune cellula melanocitaria da abituale “abitante” della superficie cuta-nea in pericoloso killer. Tuttavia, molti studi controllati eseguiti da autorevoli gruppi di ricerca sono riusciti a far luce sui cosiddetti fattori di rischio del mela-

noma, ovvero quelle condizioni di varia natura che si associano ad una più alta probabilità che un individuo sviluppi un melanoma.

L’ESPOSIzIOnE AL SOLEAnzitutto un importante fattore di ri-

schio sembra essere rappresentato dalla esposizione solare intermittente e non graduale (quella che di solito si verifica per scopi non professionali ma velleitari, ad es. fine settimana al mare) che spesso provoca vere e proprie ustioni solari (tali sono da considerare infatti anche i sem-plici arrossamenti che compaiono dopo una intensa e non graduale esposizione solare, anche in assenza di esfoliazione cutanea).

Se poi tali ustioni solari sono avve-nute in età adolescenziale ed in modo ripetuto, la loro importanza incide mag-giormente ed in senso negativo.

Fattori di rischio costituzionali, cioè riguardanti le caratteristiche fisiche della persona e spesso associati al melanoma,

Il vecchio consiglio di “lasciar stare i nei perché è meglionon stuzzicare il cane che dorme”, rappresenta un comporta-mento assolutamente sbagliato ed addirittura autolesionista

di MArcello stAnte

Il tumorenascosto in un neo

Fig 1. Melanoma maligno insorto su lobo auricolare di paziente maschio adulto (58 anni)

Fig 2. Melanoma maligno insorto sul vol-to di paziente femmina adulta (48 anni)

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Obiettivo Salute 15

sono rappresentati dalla presenza di un numero di nevi superiore rispetto alla media e/o dalla particolare morfologia di alcuni di questi, da pelle di colori-to chiaro (fototipi I, II secondo Fit-zpatrick), capelli biondi o rossi, occhi chiari, presenza di efelidi del volto (er-roneamente chiamate lentiggini), facili-tà alle ustioni solari e scarsa tendenza all’abbronzatura.

Tra i fattori di rischio ambientali sono annoverati la residenza in aree geo-grafiche quali il bacino del Mediterraneo, ove la radiazione solare è più prolun-gata nel corso dell’anno: questo punto sembra però aver perso molta della sua importanza a causa di una aumentata mobilità delle popolazioni agevolata dai facili collegamenti. Un esempio tipico è rappresentato da popolazioni scandina-ve di pelle molto chiara e atavicamente mai sottoposte ad intense e prolungate esposizioni solari che si recano in vacan-za in Paesi tropicali o equatoriali. Questo dato curioso sembra trovare conferma nel fatto che in Australia - Paese esposto ad intensa radiazione solare per buona parte dell’anno e la cui popolazione è costituita in prevalenza da individui di razza caucasica bianca - l’incidenza del melanoma è tra le più alte del pianeta.

I FATTORI COnGEnITIAnche la genetica probabilmente gio-

ca un ruolo importante nella patogenesi del melanoma, sia nella predisposizione a sviluppare un elevato numero di nevi, indicatori di rischio di melanoma nel senso di una generica instabilità mela-nocitaria, sia nel fatto che un familiare colpito da melanoma rende più probabile che questo si verifichi in un dato sogget-to. Se poi questa familiarità è multipla e l’individuo ha un numero molto elevato di nevi la probabilità aumenta in modo così rilevante da giustificare misure pre-ventive molto particolari e selezionate: si configura in questo caso una partico-lare condizione nota con il nome di “Sin-drome del nevo displastico”.

Curiosamente, negli individui che sono stati interessati da un melanoma in qualsiasi epoca della loro vita si osserva una aumentata tendenza a svilupparne un secondo. Tuttavia, essendo questi pa-zienti già sensibilizzati nei confronti del problema melanoma ed essendo anche inseriti in protocolli di controllo perio-dico, la diagnosi del secondo melanoma

viene spesso effettuata in occasione di una di queste visite specialistiche e con-seguentemente la prognosi risente po-sitivamente degli effetti benefici di una diagnosi precoce.

La presenza di un nevo congenito, ovvero presente alla nascita o insorto entro i primi mesi di vita, configura un aumentato rischio di sviluppare un mela-noma, spesso nel contesto del nevo stes-so. In questo caso si configura il caso del “Melanoma su nevo congenito”, che ha un pattern di presentazione del tutto caratteristico e diverso rispetto al mela-noma insorto su cute altrimenti normale.

Ritengo opportuno puntualizzare al-cuni concetti fondamentali utili al fine di una migliore comprensione di questo pericoloso tumore. Una delle convinzioni più consolidate – ma a torto - nella mag-gior parte dei pazienti consiste nel fatto che il melanoma si sviluppi sempre e sol-tanto su di un nevo preesistente. La pos-sibilità che questa situazione si verifichi esiste, ma da uno studio pubblicato dal nostro gruppo di ricerca su una rivista americana e presentato durante numero-si congressi internazionali, sembra piut-tosto rara e ristretta ad una percentuale limitata che non supera il 20% di tutti i melanomi; tale evenienza sembra invece ben più frequente per quanto riguarda i nevi congeniti e soprattutto quelli di di-mensioni medio-grandi.

Da questa precisazione sorgono una serie di considerazioni che tendono a smentire comportamenti e preconcet-

ti oramai considerati obsoleti ed anche molto pericolosi.

I COmPORTAmEnTI SBAGLIATIMi sembra opportuno sottolineare

chiaramente ed una volta per tutte che il vecchio consiglio di “lasciar stare i nei perché è meglio non stuzzicare il cane che dorme”, purtroppo talvolta ancora molto seguito, rappresenta un compor-tamento assolutamente sbagliato ed ad-dirittura autolesionista. Togliere un nevo non rappresenta mai un rischio di scate-nare un tumore dormiente per il semplice fatto che purtroppo non esistono tumo-ri maligni che “dormono”. Semmai non prendere coscienza o ritardare il control-lo di un nevo di cui non si è sicuri rap-presenta un comportamento né prudente né consigliabile. Non è ragionevole avere timore di far rimuovere chirurgicamente un nevo dal dermatologo se questo, e soltanto questo specialista, ne consigli la asportazione (insieme all’esame isto-logico per confermare la diagnosi!).

Altro comportamento assolutamen-te da evitare, ma che purtroppo ritrovo spesso nella pratica ambulatoriale quo-tidiana, consiste nel rimandare una visi-ta dal dermatologo per timore o ancora peggio per una presunta mancanza di tempo, sottovalutando la pericolosità di un nevo che cambia.

Un altro falso assunto che trova sem-pre molto credito tra la popolazione e che deriva da quello appena esposto, è quel-lo secondo il quale il traumatismo pro-

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vocato ad es dal rasoio, da una cintura o da un graffio accidentale può trasformare un nevo benigno in un melanoma mali-gno. Nulla di più clamorosamente falso! Un nevo traumatizzato rimane sempre un nevo e non vi è alcuna dimostrazione scientifica che provi che il trauma anche ripetuto possa indurre la trasformazione di un nevo in un melanoma.

Ultimo concetto antiquato con il quale il dermatologo deve confrontarsi consiste nella pressante richiesta del-la famosa “mappatura dei nevi”. Prima dell’avvento di metodiche strumentali di cui dirò oltre, era pratica comune acqui-sire immagini fotografiche a distanza di tutta la superficie cutanea in modo da individuare e segnalare i nevi presenti al momento ed individuare quelli di nuova comparsa che, per tale ragione, erano considerati rischiosi.

Fermo restando il concetto che una immagine fotografica, in aggiunta scat-tata ad una distanza tale da inquadrare ampie superfici cutanee, nulla aggiunge ad una attenta osservazione clinica. E poi il fatto che un nuovo nevo compaia anche fino ai 25 anni ed oltre rappresen-ta un fenomeno assolutamente normale. Inoltre, neoformazioni di diversa natura ma comunque benigne possono compa-rire normalmente con il progredire della età del soggetto e pertanto non possono essere, soltanto per la loro nuova com-parsa, considerate a rischio.

Attualmente la mappatura dei nevi è una pratica che viene riservata come tale ad una limitatissima percentuale di pazienti i quali, per varie condizio-ni, presentano un rischio molto elevato di sviluppare un melanoma e pertanto necessitano di tutte quelle misure stra-ordinarie al fine di individuarlo il più precocemente possibile. Oggi si preferi-sce valutare complessivamente tutta la superficie cutanea del paziente ad ogni controllo basandosi su altri tipi di valu-tazioni e parametri che sperimentalmen-te hanno dimostrato una reale efficacia.

Un BAnALE nEOO Un mELAnOmA?

La chiave di volta consiste nel riu-scire a distinguere un banale nevo da un melanoma. A causa del fatto che si trat-ta comunque di “macchie” della pelle, e quindi facilmente esplorabili dal derma-tologo, si ritiene che la diagnosi sia fa-cile ed immediata. In realtà, mentre un

melanoma in una fase molto avanzata è sempre piuttosto facile da identificare da parte di un dermatologo, è altresì vero che la diagnosi in queste fasi non mo-difica la sopravvivenza del paziente poi-ché spesso sono già presenti metastasi interne, anche se non immediatamente percepibili.

Il grandissimo sforzo intrapreso in questi ultimi anni dalle organizzazioni mondiali, accanto a campagne di in-formazione su una efficace protezione solare (prevenzione primaria), ha come principale obiettivo la diagnosi precoce del melanoma (prevenzione secondaria), cioè in una fase molto iniziale in cui la diagnosi e la relativa cura (escissione chirurgica) si concludono con la guari-gione del paziente.

Purtroppo in questa fase il melano-ma maligno si comporta come un tumore estremamente subdolo, mimetizzandosi con i nevi benigni normalmente presenti sulla superficie cutanea. Infatti, in que-sto stadio, il melanoma assomiglia in modo sorprendente ad un banale nevo e non manifesta ancora quelle carat-teristiche distintive e peculiari che in-vece contraddistinguono le sue fasi più tardive. D’altro canto, non è pensabile rimuovere chirurgicamente tutti i nevi ed anche se per assurdo questa pratica fosse eseguita scrupolosamente, non si eliminerebbe il rischio che un melano-ma possa insorgere sulla pelle sana, cosa che avviene nella maggior parte dei casi.

LA mACChIA SOSPETTA Sono state proposte negli anni nu-

merose formule per consentire alla popo-lazione di individuare una “macchia so-spetta” da sottoporre ad una valutazione da parte del dermatologo. La più comune e quella che ha mostrato la maggiore uti-lità e semplicità è sintetizzata nella sigla ABCDE. Questa sigla si riferisce rispetti-vamente alla ASIMMETRIA del melanoma che non ha quasi mai forma perfettamen-te circolare, ai suoi BORDI spesso irrego-lari e frastagliati come quelli di una carta geografica, al suo COLORE non omogeneo o molto scuro o rossastro, alle sue DI-MENSIONI spesso superiori ai 6 millime-tri di diametro. Per quanto riguarda la E della formula essa indica la EVOLUZIONE del melanoma che continua a crescere ed a modificarsi anche se lentamente, alla ETA’ dei soggetti colpiti che va molto grossolanamente dalla adolescenza fino

alla età senile risparmiando spesso l’età infantile ed alla frequente ELEVAZIONE del tumore sulla superficie cutanea, ma solo nelle sue fasi avanzate.

Questa formula viene riportata spes-so come sintesi delle caratteristiche che una “macchia” cutanea deve avere per indurre la persona a richiedere un con-sulto presso il dermatologo di fiducia per ottenere una valutazione accurata e competente.

Tuttavia, la presenza di uno o più fattori di rischio deve ragionevolmente spingere un individuo sano a richiedere un consulto dermatologico per il control-lo dei nevi e la prevenzione del melano-ma, anche in assenza di detti segnali di sospetto.

LA PREVEnzIOnEAttualmente il trend internazionale

per la diagnosi precoce del melanoma se-gue la linea di un iniziale consulto spe-cialistico da eseguire comunque almeno una volta nella vita in qualunque età durante il quale si controllano i nevi su tutto il corpo e si valuta contemporanea-mente la categoria di rischio soggettivo, pianificando in base a questa e solo se necessario ulteriori visite con scadenze variabili anche molto distanziate. Ed è di prevenzione che nei gruppi di ricerca impegnati in questo campo si sente più spesso parlare, dato che il melanoma se scoperto in fase precoce – e in questo siamo avvantaggiati dal fattore tempo perché la sua crescita è piuttosto lenta - è un tumore dal quale si guarisce con un semplice atto chirurgico ambulatoriale; non è altrettanto agevole invece la cura delle fasi tardive del tumore per le quali le numerose terapie proposte non hanno dato risultati troppo incoraggianti. Tut-tavia, anche in questo campo, la ricerca è oltremodo attiva nella sperimentazione di nuovi protocolli terapeutici e addirit-tura di vaccini personalizzati sui quali si ripongono molte speranze per un prossi-mo futuro.

La formula appena esposta rappre-senta la estrema schematizzazione delle caratteristiche distintive di un melano-ma iniziale rispetto ad un nevo. Tuttavia, se è vero che molti nevi benigni condi-vidono le stesse caratteristiche del mela-noma, è anche vero che talvolta questo tumore si manifesta con caratteristiche che non soddisfano nessuno di questi criteri.

16 Obiettivo Salute

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Obiettivo Salute 17

Attualmente, la recente tecnologia ci viene incontro dotando il dermatologo di una efficace strumentazione in grado di valutare con maggiore affidabilità e pre-cisione la reale natura di un nevo. Questa metodica di analisi strumentale dei nevi (ma non solo!) si chiama Microscopia in Epiluminescenza o più semplicemente Dermatoscopia e si basa sull’impiego di un microscopio ottico di superficie a luce incidente (dermatoscopio) che viene sol-tanto appoggiato sul nevo previa appli-cazione di una goccia di olio di vaselina per consentire di vedere in profondità ed in modo non invasivo, in vivo, la archi-tettura e le strutture dello stesso che si nascondono alla osservazione ad occhio nudo. Questa metodica semplice, effica-ce, affidabile e di rapida esecuzione, del tutto priva di effetti collaterali, ha di-mostrato scientificamente di aumentare il numero di diagnosi corrette se con-frontata con la semplice osservazione dermatologica non strumentale.

LA DERmATOSCOPIALa dermatoscopia è una tecnica raf-

finata che potenzia le capacità dello specialista dermatologo nel fare una dia-gnosi di melanoma estremamente inizia-le e quindi di procedere ad un interven-to chirurgico ambulatoriale in una fase talmente precoce da poter assicurare la guarigione del paziente. E’ comunque necessario sottolineare come la analisi dermatoscopica non sia affatto scevra da errori diagnostici e che nonostante sia uno strumento utile, non può sostituirsi completamente alla valutazione clinica, ma deve integrarla.

La dermatologia ha compiuto di re-cente degli enormi progressi nel campo della diagnosi precoce del melanoma ed ha avuto un grosso supporto provenien-te dalla tecnologia. La battaglia contro il melanoma rappresenta in realtà una guerra lunga tutt’altro che conclusa ma dalle prospettive di vittoria veramente tangibili.

Mai come in questo momento la sen-sibilità della popolazione ha raggiunto livelli così profondi di consapevolezza nei confronti del problema melanoma, ma ancora molto rimane da fare per im-primere il concetto che solamente una solida alleanza medico-paziente basata sulla fiducia e stima reciproca può ren-dere inoffensivo quel pericoloso nemico che è il melanoma. n

Soffro di preSSione altaDa circa un anno soffro di sbalzi di pressione. Il cardiologo mi ha prescritto dei farmaci da cui mi sento ora dipendente. Ma è proprio necessario assu-mere quotidianamente i farmaci per regolarizzare la pressione arteriosa?(e-mail giunta in redazione a obiettivo [email protected])di AnGelo GAbriele MAndurino

Se leggiamo i criteri per definirci “ipertesi” (vedi tabella), ci accorgiamo che non c’è un limite netto tra valori cosiddetti normali e valori sicuramente pericolosi. Inoltre se noi ci misuriamo la pressione in momenti differenti notiamo che i valori riscontrati sono diversi. Ma io sono veramente iperteso? Nel corso del tempo l’ipertensione arteriosa è stata definita e considerata in maniera diversa dal medico. Infatti all’inizio veniva trattata solo la pressione arteriosa molto alta o comunque quando dava gravi disturbi (anticamente si faceva ricorso alle “mignatte” che applicate al corpo si succhiavano il sangue riducendo i valori di pressione arteriosa; un po’ quello che succede quando una copiosa uscita di sangue dal naso ci salva dai danni di una crisi ipertensiva).

Successivamente l’ipertensione è stata considerata una condizione che in ogni caso richiedeva l’uso di farmaci che nel tempo sono cambiati. Attualmente viene considerata un fattore di rischio. Fattore di rischio vuol dire che avere la pressione alta predispone a delle complicanze che non necessariamente vengono. La probabilità di avere dei danni dalla pressione alta dipende dalla presenza degli altri fattori di rischio presenti nello stesso soggetto. Il rischio cardiovascolare si esprime con un numero che ci dice quali sono le probabilità di avere in futuro delle malattie che compromettono la vita stessa o la qualità della vita (infarto, ictus, ecc). Cioè un rischio cardiovascolare basso vuol dire che il soggetto probabilmente non andrà incontro ad infarti o altri eventi patologici impor-tanti, mente un rischio molto elevato vuol dire che tali eventi gravi si manifesteranno se non si prenderanno opportuni provvedimenti. Da quanto detto appare ovvio che dinanzi al riscontro di un valore alto di pressione arteriosa occorre innanzi tutto escludere che sia un fatto occasionale e non continuo (esiste anche la pressione arteriosa alta solo in alcuni momenti e generalmente è meno pericolosa di una pressione costantemente alta). Quindi bisognerà accertare qual è il rischio cardiovascolare del soggetto e se l’iperten-sione arteriosa (se confermata) ha già arrecato dei danni. Solo dopo aver raccolto queste informazioni preliminari si potrà decidere se e come utilizzare i farmaci per regolarizzare la pressione arteriosa e prevenirne le conseguenze su quelli che vengono definiti organi bersaglio (cuore, cervello, reni, ecc).

Questi concetti fondamentali sono molto importanti in quanto ad esempio un soggetto fumatore e con valori lievemente alti di pressione arteriosa crede che assumendo una terapia antipertensiva possa stare tranquillo e invece non sa che, se smettesse di fumare e non assumesse terapia farmacologica per la pressione arteriosa, il suo rischio di avere in futuro un evento cardiovascolare sarebbe di gran lunga inferiore. Infatti il fumo è uno di quei fattori di rischio che uniti ad altri rendono più probabile un evento patologico importante nella storia di un soggetto (cioè ne aumentano il rischio cardiovascolare). Gli altri fattori di rischio sono l’età, il sesso, la familiarità, lo stile di vita (la sedentarietà), il peso (o meglio la circonferenza vita), la presenza di valori alterati di lipidi nel sangue (colesterolo e trigliceridi) ed infine - ma di certo non meno importante - la presenza di diabete. Esaminando i fattori di rischio appare subito evidente come ci siano dei fattori che possiamo modificare (es. il fumo) e altri non modificabili (ad es. la familiarità). Va chiarito che per familiarità si intende quella condizione in cui un parente di primo grado abbia avuto ad esempio un infarto del miocardio in giovane-media età. Quindi se ad esempio un genitore ha avuto un infarto all’età di 70 anni, non rappresenta per noi alcuna preoccupazione. Appare ovvio da quanto si è detto che le prime mosse vincenti per mantenere un perfetto stato di salute sono l’allontanamento di quei fattori di rischio modificabili e la normalizzazione di quei parametri alterati modificando lo stile di vita, utilizzando una dieta appropriata o facendo riscorso se necessario alla terapia farmacologica. Quando si parla di modificare lo stile di vita non si intende necessariamente cambiare lavoro o città in cui si vive bensì il cambiamento di qualche abitudine (come smettere di fumare) o l’inse-rimento nella vita quotidiana di semplici abitudini alimentari o di una moderata ma continua attività fisica (basta ad esempio camminare a passo svelto per 20 minuti al giorno).Tutto sembra molto facile. In effetti lo è. Occorre solo essere motivati - cioè desiderare di proseguire una vita senza malattie cardiovascolari - e sottoporsi a professionisti che ormai giornalmente si adoperano per aggiornarsi e mettere in atto gli insegnamenti che arrivano dalle continue esperienze e ricerche nel settore specifico.

Le domande dei lettori

Potete inviare le vostre domande• per posta:

Ail – Obiettivo salutevia De Cesare 3, 74100 Taranto

• per fax:099. 4528821• per email:

[email protected]

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uesta che raccontiamo è l’esperienza di una fami-glia alle prese da 30 anni con una malattia dege-

nerativa, “demenza vascolare”, pro-vocata da un’arteriosclerosi dei vasi sanguigni del cervello, che porta ad un rallentamento della circolazione. Questo provoca la morte di minuscole zone del cervello con micro-infarti che a volte passano inosservati.

Chiedo alla signora Rita come è composta la sua famiglia e chi è il sog-getto colpito dalla malattia.

“Sono sposata con Gianni da 30 anni e abbiamo due figlie di 27 e 23 anni. Gianni adesso ne ha 63. La ma-lattia si è manifestata 6 mesi dopo il matrimonio ma io non avevo afferrato la gravità della situazione anche per-ché la malattia non è stata diagnosti-cata subito”.

e come si è presentata?“Ricordo quel giorno come se fos-

se ieri. Gianni come tutte le mattine mi accompagnava a scuola dove inse-gnavo per poi proseguire al suo lavoro all’Ilva. Ma quella mattina accadde che iniziava un concetto senza portarlo a termine. Ciò lo ha ripetuto più volte, tanto che le mie colleghe pensavano che stesse scherzando e ridevano… Poi io andai a scuola tranquilla, mai immaginando quello che gli era suc-

cesso. La sera Gianni rientrò prima del previsto. Gli chiesi perché fosse tor-nato in anticipo ma lui non riusciva proprio ad esprimersi, voleva parlare ma non riusciva. In quel momento ho capito che qualcosa non andava e mi sono spaventata da morire. Mi è caduto il mondo addosso. Il medico consigliò un ricovero, e così Gianni rimase 40 giorni al Policlinico di Bari. Gli diedero delle cure e, anche se restavano queste difficoltà nel linguaggio, pensavo che tutto si fosse risolto. Invece…”

Come sono andate le cose nel corso degli anni?

“Sono trascorsi momenti molto dif-ficili, anche perché poi sono nate le nostre 2 figlie e pian piano mi sono accorta che nell’ambito della nostra vita matrimoniale, io svolgevo un du-plice compito di madre e di padre. Mi sono molto appoggiata alla mia fami-glia di origine: io andavo a lavorare e mia mamma badava alle nostre figlie. I giorni sono passati come pure gli anni, nella vita sempre più frenetica. Avevo e mi sentivo il peso della famiglia ad-dosso. Prima di conoscere esattamen-te la diagnosi, che è stata definita in maniera esplicita solo ultimamente, mi sentivo schiacciata dal peso di questo rapporto particolare, soprattutto per-ché non riuscivo a comprendere fino a che punto si trattava di malattia o

di disturbi caratteriali che impediva-no un normale rapporto di coppia. In me c’era disperazione, solitudine, a tal punto che nella mia mente, era sorto il pensiero di risolvere il tutto legalmen-te per trovare un po’ di pace”.

Come hai trovato tu con le tue figlie la forza per andare avanti? Im-magino che non è stato facile…

“Inizialmente la malattia ha colpi-to soprattutto il linguaggio e tutta la parte sinistra, questo gli ha procurato non pochi problemi a livello relaziona-le non solo con la stessa famiglia ma isolandosi dal mondo intero, anche se ha continuato a lavorare fino a una de-cina di anni fa. E’stato “discretamente” fino al 2007, da allora non cammina più e va aiutato in tutto. Chiaramente la famiglia ne ha risentito molto. Non si conduce una vita normale, si è in continua emergenza. Gianni ha l’ac-compagnamento ma non basta. Dalla ASL abbiamo i pannoloni e anche qui non so quante volte siamo andati su e giù tra gli uffici, sbagliavano anche la misura! Lo stesso per avere la sedia a rotelle, un via vai… non è facile! Dallo Smail di Laterza vengono due volte a settimana per la fisioterapia, anche se è poca cosa rispetto alle necessità di mio marito. Invece l’aiuto più grande l’abbiamo avuto da chi ci è intorno e cioè, oltre dai parenti, dai nostri ami-

La Famigliaunità di vita

L’esperienza di una famiglia tarantinaalle prese da 30 anni con una malattiadegenerativa: “demenza vascolare”di MArtA luciA sAbAto

Q

Testimonianze

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Obiettivo Salute 19

ci. Noi siamo in un movimento cristiano che ci ha aiutato a capire che il dolore umano si può trasformare in “Amore” con la “A” maiuscola”.

In che modo questo ti aiuta nella vita quotidiana?

“Nella mia vita sono caduta spes-so in momenti di sconforto ma sempre mi sono alzata e sono andata avanti. Ho fatto molti tagli come: curare la casa,dedicare tempo a me stessa, an-dare a trovare mia madre all’epoca al-lettata... Rinunciare a tutto questo, non lo nascondo, mi è costato, ma mi sono molto di aiuto le mie figlie, che nonostante tutto vedono l’unità tra me e mio marito. Tutti e quattro abbiamo imparato a gioire delle piccole cose e ad apprezzare ciò che abbiamo. Il rapporto con le mie figlie non è stato facile da costruire e tanto meno mantenerlo in equilibrio. Prima vedevo solo le difficol-tà adesso vedo la “bellezza “di questo dolore a tal punto che non potrei pen-sare alla mia vita senza tale realtà. Ho capito che con le mie figlie dovevo cam-biare, dovevo ascoltarle, dare coraggio e sostegno. Certo, sono ancora legata agli schemi di adulta, vorrei che loro si

realizzassero secondo le mie aspettative ma scaccio queste idee e mi metto al loro ascolto fiduciosa che ciò che conta è la nostra unità familiare. Avverto che le mie figlie sanno amare meglio di me. Spesso con loro si instaura un rapporto dove non sempre sono io la madre ma

alcune volte lo sono loro per me”.

Alla fine di questa intervista mi sento di ringraziarti fortemente, Rita, a nome di tutti quei lettori e quelle famiglie che vivono esperienze simili. Che la tua possa essere di sostegno e di incoraggiamento.

Si ringrazia la Villa Verde per aver contribuito alla realizzazione di questo giornale

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20 Obiettivo Salute

CComplice la settimana in cui si è svolta la 38ma edizione del giffoni Film Festival, ‘Obiettivo Salute’ si è spo-stato in provincia di Salerno, a Giffoni Valle Piana per l’appunto, e ha fatto la conoscenza con un giovane odontoia-tra, il dott. Elio Verace, dentista spe-cialista perfezionato in medicina orale. Una splendida residenza degli anni ’40, riadattata alle esigenze logistiche di as-sistenza sanitaria, è la struttura in cui opera il suo Centro Medico Dentistico nel cuore della città di Giffoni Valle Piana, lungo il corso che collega la centrale piazza Umberto I con la chiesa madre S.S. Annunziata.

Il dott. Verace è da sempre sensibi-le alle esigenze della popolazione e al bisogno di salute, proponendo la pro-pria esperienza professionale nel campo dell’odontoiatria al servizio dei cittadini, analizzando ogni problematica in base alle caratteristiche personali e sanitarie di ogni persona.

La stessa architettura del Centro è stata riadattata con la massima atten-zione e con la cura di ogni particolare sì da consentire ai pazienti il massimo confort. Un’attenzione particolare è stata inoltre riservata all’abbattimento delle barriere architettoniche, con una effettiva accessibilità alle persone diver-samente abili. A questa categoria è pe-raltro riservato un apposito ambulatorio, con ingresso riservato e autonomo. In ogni caso, il Centro pone un’attenzione particolare verso ogni paziente che, dal primo contatto con la struttura fino ad ultimazione della terapia, viene seguito scrupolosamente.

L’accoglienza qualificata viene per-cepita immediatamente. Il personale addetto al ricevimento avvia con corte-sia e rapidità l’organizzazione del piano terapeutico.

Se l’accoglienza del paziente è il cuo-re della struttura, l’operatività dei suoi ambulatori ne costituisce la mente e il

braccio operativo. È, infatti, riscontrabi-le una minuziosa cura del dettaglio anche nella predisposizione degli ambulatori: diversi ambienti progettati e realizzati in base alle esigenze delle attività tera-peutiche (Chirurgia Orale, Implantologia (* vedi box), Ortodonzia, Odontoiatria Conservativa, Odontoiatria per portatori di disabilità).

All’interno del Centro è inoltre pre-sente e operante un laboratorio odonto-tecnico previsto per la realizzazione di protesi fisse e mobili. Ciò consente di assecondare ogni esigenza del paziente con maggiore rapidità nei tempi di re-alizzazione ed economicità complessiva del percorso diagnostico-terapeutico.

L’aspetto attraente di un edificio quale questa splendida villa riadattata a poliambulatorio odontoiatrico non può tuttavia farci dimenticare che ci tro-viamo in presenza di una struttura sa-nitaria, e peraltro – come avviene nella stragrande maggioranza dei casi in Italia

Sulla poltrona del

dentista… col sorriso

sulla boccaCon la tecnicadella ‘sedazionecosciente’ la pauradel dentista scompare. A colloquio coldr. Elio Verace, che ha attrezzato il suo Centro Medico Dentisticoper l’accessoe la cura dei disabili

di AlessAndro fAino

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Obiettivo Salute 21

sulla poltrona del dentista… col sorriso sulla bocca

– al cospetto di un servizio per il quale i cittadini-pazienti provvedono di tasca propria, a fronte di un Servizio Sanitario Nazionale esistente.

Partendo dunque da queste ultime considerazioni abbiamo posto al dott. Verace alcune domande che ci sembrano, per l’interesse universale e diffuso fra i cittadini di tutta Italia, proponibili an-che ai nostri lettori.

dott. verace, è noto che l’Italia sia la cenerentola in europa per l’assisten-za pubblica in materia di odontoiatria. Qual è più precisamente la situazione?

Noi dentisti siamo ben consapevoli del fatto che nel nostro Paese quasi tut-ta l’attività assistenziale odontoiatrica venga espletata al di fuori della conven-zione con il Servizio Sanitario Nazionale. E’ anche vero però che nei trenta anni di vita del Servizio Sanitario italiano gli sforzi di elevare la quantità e la qualità dell’assistenza odontoiatrica non sono mai mancati; inoltre molte Regioni dal 2001 in poi – con il federalismo sanita-rio – hanno realizzato tentativi di assi-stenza odontoiatrica con diverse finalità e vari risultati. Ad oggi tuttavia in Italia siamo ampiamente sotto il valore del 5% di copertura assistenziale odontoiatrica pubblica …

… una situazione, questa, che può andare bene agli odontoiatri italiani?

Non conosco il pensiero di ognuno dei colleghi che opera sul territorio na-zionale. Il mio pensiero è invece che il modello vincente, anche per l’assistenza odontoiatrica, sia quello dell’Accredita-mento Istituzionale. L’Accreditamento, concetto che di fatto ha superato la vecchia terminologia di convenzione, è il sistema attraverso il quale il Servizio Sanitario Nazionale assicura i Livelli Es-senziali di Assistenza (LEA) mediante un sistema di garanzie che strutture pubbli-che o private, ambulatori e professionisti – quali gli odontoiatri – “dimostrano” di poter assicurare mediante il possesso di requisiti strutturali, tecnologici e orga-nizzativi. Da questo punto di vista la mia idea, cosa che peraltro ho sostenuto nel mio territorio di appartenenza, è quella di individuare le prestazioni assistenziali odontoiatriche essenziali per la popo-lazione (compito della Regione e delle ASL) e successivamente – stabilite le re-gole e i requisiti di garanzia assistenziale

– individuare e “accreditare” i professio-nisti e i Centri qualitativamente idonei. Un tale modello garantirebbe anche per le cure odontoiatriche, nei vincoli delle risorse disponibili, la copertura pubbli-ca dei principali bisogni assistenziali e contemporaneamente l’elevazione della qualità attraverso una “competizione” fra gli erogatori di servizi odontoiatrici.

In attesa che si definiscano più chiaramente gli sviluppi dell’Accredi-tamento Istituzionale dell’assistenza odontoiatrica lei, dott. verace, ha co-munque già migliorato le condizioni dell’assistenza verso le persone diver-samente abili che necessitano di cure odontoiatriche. Ci può dire qualcosa al riguardo?

Il mio progetto di assistenza odon-toiatrica a favore delle persone diver-samente abili si muove lungo due di-rettrici. La prima è ancora soltanto un progetto, in quanto nella Regione in cui vivo e lavoro l’Accreditamento dei Centri di Odontoiatria non ha ancora avuto ini-zio, e pertanto anche i pazienti diversa-mente abili sono costretti a lunghe liste

Sulla poltrona del

dentista… col sorriso

sulla bocca

La villa sede del Centro Dentistico

L’ImPLAnTOLOGIA…qUESTASCOnOSCIUTA

+diversamente da quanto si crede, l’implantologia dentale presenta una percentuale di successo molto eleva-ta, non comune in medicina, e nella maggioranza dei casi non è difficile né dolorosa o costosa.La pratica consiste nell’inserimento di una radice artificiale osteointe-grata realizzata in titanio, elemento di larghissimo uso in chirurgia per la sua neutralità biologica che ne assi-cura l’accettazione dell’organismo. In poche parole, un impianto dentale è una vite metallica, di titanio appun-to, di diversa lunghezza e diverso spessore, scelta in base alle carat-teristiche del paziente in modo che possa assumere la funzione di radice del dente.L’impianto viene inserito diretta-mente nell’osso mascellare o mandi-bolare, che successivamente cresce intorno alla superficie di titanio integrandolo solidamente.Il vantaggio dell’implantologia risie-de nella sua “versatilità”: sostituisce il dente mancante senza dover inter-venire sugli elementi contigui sani, può essere adottato come elemento di ancoraggio per un ponte protesico e inoltre può costituire un ancoraggio per le protesi mobili in quei soggetti che hanno una conformazione osseo-gengivale che non permette suffi-ciente stabilità.

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22 Obiettivo Salute

di attesa per alcune prestazioni previste in “convenzione”. Sarebbe mio desiderio poter inserire nelle future prestazioni ac-creditate del mio Centro uno spazio par-ticolare all’assistenza convenzionata con il Servizio Sanitario a favore di questi pazienti. In attesa di sviluppi in materia di Accreditamento il Centro svolge già, tuttavia, una sensibile attività assisten-ziale. E questa è la seconda direttrice del progetto, già operativa. La cura di pa-zienti “difficili” come i portatori di disa-bilità sia motoria che psichica evidenzia spesso l’abbandono terapeutico di tali pazienti, difficilmente gestibili e soven-te portatori di aumentato rischio clinico. Il mio impegno assistenziale si muove seguendo i seguenti aspetti di seguito sintetizzati:

– accesso facilitato alla struttura per i diversamente abili auto muniti (par-cheggio in sede);

– accesso all’area ambulatoriale con percorso privo di barriere architettoniche (per diversabili non autonomi o parzial-mente autonomi e loro accompagnatori);

– assistenza in ambulatorio dedicato, con percorso riservato e diverso rispetto al percorso generale;

– accoglienza personalizzata da parte degli operatori di reception e sanitari;

– tecniche di assistenza personaliz-zate e commisurate al livello di fragilità di questi pazienti;

parlando di fragilità il pensiero va ad altre categorie di pazienti che pos-sono manifestare - transitoriamente come i bambini o continuativamente come i soggetti ansiosi o portatori di particolari patologie - disagi notevo-li sulla poltrona del dentista e ridot-ta collaborazione. A tale riguardo, ci sono tecniche di assistenza che mi-gliorano i profili di assistenza?

Premesso che la comunicazione tra professionista sanitario e paziente è alla base del miglioramento della qualità assistenziale, e che quindi una efficace anamnesi è obbligatoria come pure una buona capacità di “mettere a proprio agio” il paziente, tuttavia merita di es-sere sottolineata una tecnica recente di facilitazione assistenziale. Con il termine SEDAZIONE COSCIENTE si indica uno stato in cui il paziente è “sedato” cioè insen-sibile a tutto ciò che provoca stress, ma “cosciente” cioè in grado di rispondere a domande, conservare capacità decisio-

nali ed eseguire ordini semplici. Questo stato si ottiene con la somministrazio-ne attraverso una mascherina nasale (cioè respirando) di un gas anestetico, protossido di azoto, e ossigeno. Questo gas, utilizzato per l’anestesia generale sin dal 1844, è stato usato in vari modi negli anni passati ma solo negli ultimi decenni se ne è diffusa l’utilizzazione in campo odontoiatrico. Da allora mi-lioni di soggetti sono stati sottoposti a questa tecnica sedativa senza che si sia mai verificato alcun incidente. Vengono usati degli apparecchi talmente perfezio-nati da garantire una somministrazione di ossigeno costante ed in percentuale di molto superiore a quella contenuta nell’aria. L’uso è semplicissimo e indo-lore tanto che si è rilevata una tecnica ideale per curare bambini molto picco-li. Basta appoggiare questa mascherina sul naso e dopo pochi minuti si ha un rilassamento muscolare, scomparsa del-la paura e riduzione della sensibilità al dolore nei tessuti della bocca: a questo punto si possono effettuare tranquilla-mente le cure più semplici. Per quelle più complicate viene praticata anche l’anestesia locale senza che il famigerato “ago della siringa” provochi dolore. AI termine della seduta, dopo una breve so-sta in sala d’attesa (circa 20 minuti) il paziente può tornare a casa e, se adulto, in grado persino di guidare la macchina. Il trattamento è innocuo e questa sua caratteristica fa si che possa essere ripe-tuto più volte a breve distanza di tem-po. Lo scopo della Sedazione Cosciente è di rendere il paziente libero dall’ansia e dalla paura del dentista con adeguati

mezzi farmacologici (Protossido di Azoto e Ossigeno) e psicologici. Si deve subito chiarire che non si tratta assolutamen-te di “addormentamento” del paziente. Egli infatti rimarrà sveglio e sempre in grado di conversare con il dentista, gli assistenti sanitari e l’eventuale accom-pagnatore per tutto il tempo delle cure.

Che cosa possiamo dire, in conclu-sione, a tutti i potenziali pazienti che dovranno sedersi sulla poltrona del dentista?

Le cure odontoiatriche rappresentano sempre, come ogni altra terapia medica o chirurgica, il fallimento della prevenzio-ne. Tuttavia a volte non è possibile, an-che con le migliori procedure quotidiane di igiene orale, evitare l’insorgenza di malattie della bocca e dei denti. Il primo messaggio è dunque l’invito alla costante osservanza delle comuni misure di preven-zione e profilassi primaria ormai note alla popolazione. L’altro messaggio è rivolto a coloro che, necessitando di cure odonto-iatriche, si rivolgono al dentista. Che sia un libero un professionista o un operatore del Servizio Sanitario l’odontoiatra è una persona chiamata a rispondere in maniera appropriata ai bisogni di salute del citta-dino. Inoltre la moderna odontoiatria è in grado di attingere alle più innovative ap-plicazioni della scienza medica, garanten-do livelli elevati di qualità dell’assistenza su tutto il territorio nazionale. In conclu-sione posso dunque soltanto augurare che ogni volta che entriamo in un ambulato-rio dentistico, ma soprattutto quando ne usciamo, un sorriso possa sempre splen-dere sulla nostra bocca. n

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Obiettivo Salute 23

La Stagione di prosa promossa quest’anno dal Comune di Taranto - che, come di consueto, si svolge al teatro Orfeo - si è aperta con un omaggio al narratore e drammaturgo tarantino Ce-sare Giulio Viola, nato a Taranto il 26 novembre 1886 e figlio dell’archeologo salentino Luigi Viola che ha legato il suo nome alla nostra città come fon-datore del Museo di Taranto di recente rinnovato.

Cesare Giulio Viola è stato, nella pri-ma metà del ‘900, personaggio di spicco sulla scena teatrale e letteraria italia-na ricoprendo diversi incarichi a livello nazionale - caporedattore della rivista ‘Nuova Antologia’ dal 1926 al 1931; giornalista e collaboratore della radio; presidente del sindacato Autori dram-matici – e dando voce alle inquietudini e le crisi del periodo drammatico fra la due guerre mondiali.

A Cesare Giulio Viola ha reso omag-gio il primo spettacolo in cartellone con ‘Ciao Cecè: rapsodia per Taranto per la

voce di Cosimo Cinieri’. Chiuderà la Sta-gione l’atto unico ‘Cecè Viola, l’ultimo palcoscenico’, un excursus sulla narrati-va di Viola in programma per il 2 maggio con la partecipazione di Franco Oppini per la regia di Rina La Gioia.

Occasione unica, quest’anno, per conoscere più da vicino un illustre con-cittadino consegnato alla storia. Cesa-re Giulio Viola fa così da cornice a una stagione teatrale che vede il ritorno sul palcoscenico dell’Orfeo di artisti cono-sciuti dal pubblico tarantino. Spicca fra tutti Beppe Barra che il 3 e 4 dicembre ha dato ancora una volta prova delle sue capacità di attore, cantante, comico con ‘La favola di Amore e Psiche’ tratta da ‘L’asino d’oro’ di Apuleio. La favola è stata interpretata dal grande ballerino Andrè La Roche che ha guidato un se-stetto di danzatori. Di particolare sug-gestione le musiche multietniche con parti cantate in latino, greco, aramaico.

È seguito il 17 e 18 dicembre ‘Ro-molo il grande’ per la regia di Roberto

Guicciardini. Uno spetta-colo che ha saputo unire comicità e drammatici-tà. Col nuo-vo anno altri grandi nomi del teatro, della televisione e del cine-ma sono stati a Taranto per la stagione di prosa: Paolo Ferrari in ‘Todo Modo’ di Leonardo Sciascia (15 e 16 gennaio) e Ottavia Piccolo ne ‘La commedia di Can-dido’. Vincenzo Salemme, sull’onda del grande successo cinematografico degli ultimi anni, si è cimentato con una commedia di cui è autore e interprete: ‘Bello di papà’ (12 e 13 febbraio), men-tre Massimo Lopez ha presentato un suo omaggio a Frank Sinatra (26-27 marzo). La stagione si conclude il 2 maggio con l’atto unico liberamente ispirato alla narrativa di Giulo Cesare Viola “C’è c’è Viola, l’ultimo palcoscenico” con la par-tecipazione di Franco Oppini. n

La stagione teatrale all’orfeo

Teatro

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STampa Sud