«SÌ, LA SUA MISERICORDIA È PER SEMPRE!» - Barnabiti · ”Eterna è la sua misericor-dia ... no...

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BIBBIA Eco dei Barnabiti 4/2016 2 « ”Paziente e misericordioso” è il binomio che ricorre spesso nell’Anti- co Testamento per descrivere la natu- ra di Dio. Il suo essere misericordioso trova riscontro concreto in tante azioni della storia della salvezza do- ve la sua bontà prevale sulla punizio- ne e la distruzione» (Misericordiae vultus, 6). Nel corso di quest’anno ci siamo soffermati proprio sulla misericordia quale attributo qualificante di Dio, quale “cifra” del suo rivelarsi (Es 34) e del suo agire nei confronti dell’uo- mo (la storia di Giona). Infatti, «la misericordia di Dio non è un’idea astratta, ma una realtà concreta con cui Egli rivela il suo amore... un sentimento profondo, naturale, fatto di te- nerezza e di compassione, di indulgenza e di perdono. ”Eterna è la sua misericor- dia”: è il ritornello che viene riportato ad ogni versetto del Salmo 136 mentre si narra la storia della rivelazione di Dio. In forza della misericordia, tutte le vicende dell’Antico Te- stamento sono cariche di un profondo valore salvifico. La misericordia rende la storia di Dio con Israele una storia di salvezza. Ripetere continua- mente: “Eterna è la sua mise- ricordia”, come fa il Salmo, sembra voler spezzare il cer- chio dello spazio e del tempo per inserire tutto nel mistero eterno dell’amore. È come se si volesse dire che non solo nella storia, ma per l’eternità l’uomo sarà sempre sotto lo sguardo misericordioso del Pa- dre» (ibidem, 6-7). Proprio allo sguardo eterna- mente misericordioso del Pa- dre vogliamo dedicare questa nostra riflessione, a conclusione del Giubi- leo della Misericordia, perché – co- me ci ricorda Papa Francesco nella Lettera Apostolica pubblicata il 20 novembre scorso – è vero che «ter- mina il Giubileo e si chiude la Porta Santa. Ma la porta della misericordia del nostro cuore rimane sempre spa- lancata. Abbiamo imparato che Dio si china su di noi (cf. Os 11,4) per- ché anche noi possiamo imitarlo nel chinarci sui fratelli» (Misericordia et misera, 16). l’alfabeto della salvezza «Dice Rabbi Jehoshua ben Levi: In questo salmo si ripete per ventisei volte “perché il suo amore è per sem- pre”. Come mai? Perché ventisei so- no state le generazioni che il Santo – sia benedetto – ha creato nel suo mondo senza avere dato loro la Torà, eppure nel suo amore le ha nutrite. Per questo il salmo si chiama il “Grande Hallel”» (A. Mello). Esso ve- niva e viene recitato a tutt’oggi du- rante la liturgia giudaica della Pa- squa, delle Capanne e di Ca- podanno. L’Evangelista Matteo ci ricorda che Gesù stesso, al termine della sua ultima pa- squa terrena con i discepoli, «dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli Ulivi» (cf. Mt 26,30). Esso si presenta come una lunga litania, nella quale ad ogni attributo di Dio, ad ogni sua opera, fa seguito un re- frain: «perché il suo amore è per sempre». Questa ripetizio- ne, lungi dal rendere monoto- no il salmo, rafforza ed esal- ta l’ammirazione gioiosa di quanto il Signore ha operato e opera. È un ritornello che sin- tetizza il modo di agire di Dio verso gli uomini, riassunto nella parola misericordia (he- sed), il termine che nell’Anti- co Testamento, come abbiamo visto, definisce l’alleanza che intercorre tra il Signore e il suo popolo, definendo gli at- teggiamenti che si stabiliscono all’interno di questa relazione: la grazia, la bontà, la tenerez- za, la premura, la costanza, la fedeltà, la lealtà, la benevo- lenza, l’amore... Tutti questi «SÌ, LA SUA MISERICORDIA È PER SEMPRE!» Con questo quarto ed ultimo intervento dell’anno il biblista p. Giuseppe Dell’Orto conclude il percorso dedicato al Giubileo della Misericordia, analizzando il Salmo 136 quale sintesi delle precedenti tappe. Se si sono chiuse le Porte Sante in tutte le chiese del mondo, noi siamo invitati a tenere sempre spalancata la porta della misericordia del nostro cuore. “Sicut Pater”. incipit del Salmo 136 - Salterio di St. Alban, f. 179r

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Eco dei Barnabiti 4/20162

«”Paziente e misericordioso” è ilbinomio che ricorre spesso nell’Anti-co Testamento per descrivere la natu-ra di Dio. Il suo essere misericordiosotrova riscontro concreto in tanteazioni della storia della salvezza do-ve la sua bontà prevale sulla punizio-ne e la distruzione» (Misericordiaevultus, 6).Nel corso di quest’anno ci siamo

soffermati proprio sulla misericordiaquale attributo qualificante di Dio,quale “cifra” del suo rivelarsi (Es 34)e del suo agire nei confronti dell’uo-mo (la storia di Giona). Infatti,«la misericordia di Dio non èun’idea astratta, ma una realtàconcreta con cui Egli rivela ilsuo amore... un sentimentoprofondo, naturale, fatto di te-nerezza e di compassione, diindulgenza e di perdono.”Eterna è la sua misericor-

dia”: è il ritornello che vieneriportato ad ogni versetto delSalmo 136 mentre si narra lastoria della rivelazione di Dio.In forza della misericordia,tutte le vicende dell’Antico Te-stamento sono cariche di unprofondo valore salvifico. Lamisericordia rende la storia diDio con Israele una storia disalvezza. Ripetere continua-mente: “Eterna è la sua mise-ricordia”, come fa il Salmo,sembra voler spezzare il cer-chio dello spazio e del tempoper inserire tutto nel misteroeterno dell’amore. È come sesi volesse dire che non solonella storia, ma per l’eternitàl’uomo sarà sempre sotto losguardo misericordioso del Pa-dre» (ibidem, 6-7).Proprio allo sguardo eterna-

mente misericordioso del Pa-

dre vogliamo dedicare questa nostrariflessione, a conclusione del Giubi-leo della Misericordia, perché – co-me ci ricorda Papa Francesco nellaLettera Apostolica pubblicata il 20novembre scorso – è vero che «ter-mina il Giubileo e si chiude la PortaSanta. Ma la porta della misericordiadel nostro cuore rimane sempre spa-lancata. Abbiamo imparato che Diosi china su di noi (cf. Os 11,4) per-ché anche noi possiamo imitarlo nelchinarci sui fratelli» (Misericordia etmisera, 16).

l’alfabeto della salvezza

«Dice Rabbi Jehoshua ben Levi: Inquesto salmo si ripete per ventiseivolte “perché il suo amore è per sem-pre”. Come mai? Perché ventisei so-no state le generazioni che il Santo –sia benedetto – ha creato nel suomondo senza avere dato loro la Torà,eppure nel suo amore le ha nutrite.Per questo il salmo si chiama il“Grande Hallel”» (A. Mello). Esso ve-niva e viene recitato a tutt’oggi du-rante la liturgia giudaica della Pa-

squa, delle Capanne e di Ca-podanno. L’Evangelista Matteoci ricorda che Gesù stesso, altermine della sua ultima pa-squa terrena con i discepoli,«dopo aver cantato l’inno,uscirono verso il monte degliUlivi» (cf. Mt 26,30).Esso si presenta come una

lunga litania, nella quale adogni attributo di Dio, ad ognisua opera, fa seguito un re-frain: «perché il suo amore èper sempre». Questa ripetizio-ne, lungi dal rendere monoto-no il salmo, rafforza ed esal-ta l’ammirazione gioiosa diquanto il Signore ha operato eopera. È un ritornello che sin-tetizza il modo di agire di Dioverso gli uomini, riassuntonella parola misericordia (he-sed), il termine che nell’Anti-co Testamento, come abbiamovisto, definisce l’alleanza cheintercorre tra il Signore e ilsuo popolo, definendo gli at-teggiamenti che si stabilisconoall’interno di questa relazione:la grazia, la bontà, la tenerez-za, la premura, la costanza, lafedeltà, la lealtà, la benevo-lenza, l’amore... Tutti questi

«SÌ, LA SUA MISERICORDIAÈ PER SEMPRE!»

Con questo quarto ed ultimo intervento dell’anno il biblista p. Giuseppe Dell’Orto conclude ilpercorso dedicato al Giubileo della Misericordia, analizzando il Salmo 136 quale sintesi delleprecedenti tappe. Se si sono chiuse le Porte Sante in tutte le chiese del mondo, noi siamo invitatia tenere sempre spalancata la porta della misericordia del nostro cuore. “Sicut Pater”.

incipit del Salmo 136 - Salterio di St. Alban, f. 179r

atteggiamenti sono compresi ed evo-cati da questo vocabolo, e costitui-scono il fondamento della gioia e delrendimento di grazie.I tre imperativi che ricorrono nel-

l’invitatorio (vv. 1-3) e nel versettoconclusivo (v. 26), «rendete grazie»,infatti, racchiudono l’intero corpodel salmo nella duplice prospettivadell’inno e del rendimento di grazie.Il verbo ebraico hwdh (da cui il so-stantivo tôdah) significa “confessare”qualcosa: ecco dunque che il salmi-sta invita a “confessare” le gesta stra-ordinarie di Dio, i benefici ricevuti, ilsuo intervento salvifico nella storia ...Il salmo è lode riconoscente, rendi-mento di grazie ammirato. L’amoredi Dio è celebrato come causa, ra-gione, motore del suo agire e, insie-me, come motivo della lode dell’uo-mo. I due piani si intersecano: riferitaall’agire di Dio, la parola umana è ringraziamento; riferita all’amoreeterno che si rivela nell’agire, è lode.Quanto Dio ha compiuto è narrato

nei 22 versetti centrali, tanti quantesono le lettere dell’alfabeto ebraico.E proprio perché narrano le gesta diDio, questo salmo può essere defini-to anche come «l’alfabeto della sal-vezza» (G. Ravasi).L’elemento unificante è costituito

dalla serie di verbi al participio (noveper la precisione e purtroppo nonravvisabili nella traduzione italiana)con i quali vengono elencate le“azioni” di Dio. La funzione del par-ticipio è quella di trasformare in “ti-tolo” un’azione: così, uno che ha sal-vato è il «salvatore», uno che hacreato è «il creatore», uno che ha do-nato è «il donatore». Questi noveparticipi sono riferiti prima all’azione“creatrice” e poi all’azione “liberatri-ce” di Dio. In tal modo, il salmo rea-lizza una sintesi mirabile di naturae storia; il tutto sotto il segno della«misericordia per sempre» di Dio.

la creazione e la storia

Se i verbi descrivono l’azione delloro autore, le opere sono «grandimeraviglie» (v. 4), che fanno riferi-mento all’intera sequenza degli inter-venti salvifici di Dio, rappresentatidai tre articoli di fede che G. vonRad ha definito il «piccolo credo sto-rico di Israele»: la creazione (vv. 4-9),la liberazione nell’esodo e nel deser-to (vv. 10-20), il dono della terra pro-

messa (vv. 21-22). Non c’è da stupir-si che la meditazione sulla storia del-la salvezza risalga a prima del tempoe si inoltri al di là dello spazio, finoal mondo di Dio. In quel mondo, aldi là di ogni misura e di ogni limite,il Signore è senza rivali, è il «Dio de-gli dèi» (v. 2), il «Signore dei signori»(v. 3).Ecco, dunque, perché si parte dal-

la creazione, dalle meraviglie della

creazione: i cieli, la terra, le acque. Ilcielo è la dimora di Dio; la terra è lospazio dell’uomo, lo scenario in cuisi svolge la sua storia; le acque sonola sede delle potenze avverse a Dio.E successivamente, ispirandosi al te-sto della Genesi (1,16-18: il quartogiorno), il salmista vede Dio all’ope-ra a incastonare le grandi luci del so-le, della luna, delle stelle, vale a diregli elementi che scandiscono il gior-

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cantori - formella della Cantoria di Luca della Robbia, Firenze, Museo dell’Operadel Duomo

no e la notte, che segnano il tempodell’uomo, mettendolo in relazionecon il Creatore. «Il mondo creatonon è un semplice scenario su cui siinserisce l’agire salvifico di Dio, ma èl’inizio stesso di quell’agire meravi-glioso. Con la creazione, il Signore simanifesta in tutta la sua bontà e bel-lezza, si compromette con la vita, ri-velando una volontà di bene da cuiscaturisce ogni altro agire di salvezza»(Benedetto XVI, Udienza generale,19 ottobre 2011).La creazione non è os-

servata come un tutto,quasi fosse una cosa sola,che si può abbracciare inun rapido sguardo. Viene,invece, contemplata detta-gliatamente; si segue il di-segno dello spazio (vv. 4-6)e del tempo (vv. 7-9), inogni particolare. Le creatu-re sono enumerate una aduna (cieli, terra, acque, lu-ci, sole luna, stelle), comese l’occhio, osservandolee scorgendole lentamente,attentamente, scoprisse viavia la sapienza e l’amoredel Creatore. Scrive Char-les Peguy: «La creazione èun linguaggio che il Diocreatore parla all’uomo,sua creatura, compresa es-sa stessa in questa creazio-ne, ma fatta a immagine esomiglianza del suo crea-tore: un’immensa bontàcade dal firmamento».Alle meraviglie della

creazione fa seguito il ri-cordo della storia di Israe-le (vv. 10-22), rappresen-tata degli interventi di Dioche ne costituiscono l’at-to fondatore: l’esodo e ildono della terra. L’eventodell’esodo è presentato dalsalmo in quattro tempi.Nel primo (v. 10) compare Dio

che «colpisce» l’Egitto nei suoi pri-mogeniti: il Signore ha dovuto in-gaggiare una vera “lotta” contro ilfaraone per far uscire il suo popolodalla schiavitù dell’Egitto. Nel se-condo (vv. 11-12) si menziona l’eso-do dall’Egitto nell’aspetto positivodella liberazione, avvenuta con «ma-no potente e braccio teso». La terzaazione (vv. 13-14) consiste nello«squartare» (verbo gzr, cf. Gn 15,17)

il Mar Rosso in due parti: il verbo ri-manda a degli antecedenti miticidella Mesopotamia, secondo i qualiil dio Marduk, dopo aver lottato evinto contro il mostro primordiale,Tiamat (l’Oceano caotico) che si eraribellato, lo «squarta». Il tema dellamitologia babilonese, applicato al-l’evento storico della liberazione,viene così storicizzato. Il mare è quivisto come il “mostro acquatico”, ilsimbolo del male, delle potenze av-

verse, che Dio «divide in due parti»,mostrandosi così come il Redentoredi Israele, il quale può «passare» apiede asciutto. Da ultimo è nomina-to il faraone (v. 15), “avversario” diDio e della sua opera di salvezza.Dio interviene con braccio potentecontro l’opposizione del faraone allarealizzazione della storia della sal-vezza, Israele raggiunge la terra fer-ma e il faraone e il suo esercito re-stano nel mare, simbolo del male edella morte.

Segue poi il cammino nel desertofino al Giordano (vv. 16-20) e l’in-gresso nella terra promessa (vv. 21-22). In mezzo versetto vengono con-centrati i quarant’anni di camminonel deserto («Guidò il suo popolo neldeserto»: v. 16), il tempo del donodella legge, della cura provvidente,della guida fedele; il tempo della“giovinezza” di Israele, come lo defi-nisce il profeta Geremia (2,2): «Mi ri-cordo di te, dell’affetto della tua gio-

vinezza, dell’amore al tempodel tuo fidanzamento, quan-do mi seguivi nel deserto, interra non seminata». E quan-do giunge alle soglie dellaterra promessa, Israele devevincere la resistenza di altrinemici: Seon e Og, i re didue piccoli regni. Come nelcaso del faraone, anche quiè in gioco la salvezza cheDio ha progettato per Israele,ma che questi due «sovranipotenti» tentano di impedire.E, ancora una volta, è l’inter-vento di Dio a permettereche il progetto di salvezza siattui e che il popolo entrinella terra.Questo “ingresso” è descrit-

to come un “dono”: «diede(natan) in eredità la loro ter-ra»: la terra è soprattutto do-no del Signore al suo popoloche la riceve come «eredità»(nahalah).Attraverso il tempo e lo

spazio si è dunque compiutoil grande affresco dell’operadi Dio, vista come un’unicastoria della salvezza perché,come scriveva Karl Barth, «lacreazione è il cammino versol’alleanza e l’alleanza è loscopo della creazione».

dalla storiaal “per sempre”...

Il salmo avrebbe potuto concluder-si qui, con il dono della terra, il pun-to di arrivo del cammino di libera-zione. Il salmo, invece, prosegue,riassumendo gli eventi storici acca-duti nella terra promessa, ma questavolta senza alcun riferimento crono-logico concreto. Dai fatti dell’esodo,gli eventi di liberazione si estendonoin tal modo a tutti i tempi. Al persempre. Se fino ad ora le opere del

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il quarto giorno della creazione - Duomo di Monreale

Signore erano espresse alla terza per-sona singolare (ciò che Dio ha ope-rato), ora a parlare è un “noi” chepersonalizza e attualizza tutto quantoè stato ricordato: «nella nostra umilia-zione si è ricordato di noi» (v. 23); «ciha liberati dai nostri avversari» (v. 24).Il riferimento concreto può certa-

mente essere trovato nella storia diIsraele dai Giudici in avanti, ma so-prattutto nell’«umiliazione» della di-struzione di Gerusalemme e nel con-seguente esilio. Su questa tragedia,che sembrò smentire la promessadella terra, si è levato il «ricordo» diDio, cioè la sua fedeltà all’alleanzache lo spinge a intervenire e a libera-re Israele dai suoi nemici. Tuttavia, lagenericità della situazione permetteuna identificazione al proprio quoti-diano per qualsiasi lettore, per qual-siasi orante!L’orizzonte del salmo, infatti, si di-

lata sempre più: dal «noi» a «ogni vi-vente» (v. 25). L’amore e la provvi-denza di Dio si riversano su ogni uo-mo: «Egli dà il cibo a ogni carne»(secondo l’originale ebraico). Dun-que Dio, donatore della terra a Israe-le, ora è donatore del cibo, del panequotidiano per ogni vivente. «Dio è il“datore” e le sue vittorie sono finaliz-zate al dono che mantiene in vita,perché la carne ha bisogno del paneper sussistere» (Alonso Schökel). Seper il popolo d’Israele il pensieronon può che andare immediatamen-te alla manna ricevuta nel deserto,questo dono divino travalica la storiadi Israele e raggiunge tutti gli esseriviventi, i cui occhi sono «a te (Dio)rivolti in attesa e tu dai loro il cibo atempo opportuno» (Sal 145,15). Inogni tempo!L’invito finale alla lode non solo ri-

prende l’inizio (costituendone cosìl’inclusione), ma rappresenta la sinte-si dell’intero salmo: «Rendete grazieal Dio del cielo». Dio resta il Trascen-dente per eccellenza, ma il suo amo-re è vicino a noi, eternamente vici-no, eternamente presente.

sì, la sua misericordiaè per sempre

Ecco dunque che tutto è posto sot-to il segno della misericordia, del-l’amore salvifico; tutto è, cioè, sal-vezza. Essa ha inizio con la creazio-ne dell’universo, continua con laredenzione di Israele e prosegue nel-

la vita di ogni uomo, ogni giorno.Ogni azione e ogni opera rivelano lamisericordia di Dio; di essa l’uomoloda Dio e in essa riconosce Dio.L’espressione ebraica del ritornello,kî le’olam hasdô, viene resa nella tra-duzione della CEI con «perché il suoamore è per sempre». Ma forse, conmaggiore fedeltà al valore dell’inte-riezione kî, sarebbe meglio tradurre:

«sì, la sua misericordia è per sem-pre», esprimendo in tal modo tutta lasorpresa, tutto lo stupore che suscitala contemplazione di Dio e delle sueopere: “sì, veramente!”. Analoga-mente Dio, e per ben sei volte, difronte al compimento della creazio-ne, esclama con gioia esultante: «Kîtob!» (Gn 1,4.10.12.18.21.25). Leopere di Dio altro non sono che la

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Marc Chagall, Il passaggio del Mar Rosso (1955) - Parigi, Centre GeorgePompidou

manifestazione del suo amore salvifi-co e fedele, della sua grazia, dellasua misericordia. Ogni azione (lastoria) e ogni opera (la creazione) ri-velano la misericordia di Dio non so-lo come qualità presente nell’eventoma come forza che lo trascende. Tut-to concorre a svelare una stessa edunica misericordia; tutto ha un sensoultimo complessivo, unitario che è labontà di Dio verso l’uomo.L’avverbio le’olam, «per sempre»,

infine, sottolinea che la misericor-dia di Dio trascende qualsiasi fattoindividuale, qualsiasi evento stori-co; è un amore che si estende illi-mitatamente, abbracciando il passa-to e proiettandosi al futuro. Mentreil salmo finisce, non finisce l’amoreeterno di Dio. S. Giovanni Crisosto-mo commenta: «Dio non fa ora ilbene e ora si ritira, non ha ora mise-ricordia e ora smette di averla, co-me succede tra gli esseri umani ...Dio non è così, ma è misericordiosoper sempre e non smette mai di es-serlo» (Expositiones in Psalmos, PGLV, 399).L’infinita eternità della misericor-

dia di Dio lascia dunque attoniti,stupefatti, quasi senza parole. Evi-dentemente, il salmista percepivauna pienezza che non si poteva

esprimere compiutamen-te, perché inesauribile.Ed è anche per questoche il salmo resta aper-to. Ognuno può aggiun-gere altre azioni di Dio,facendo seguire il ritor-nello.E in questa sua “aper-

tura” ci suggerisce chec’è una pienezza di mi-sericordia a cui tendonoi singoli eventi narrati.Una pienezza che vie-

ne riassunta nel penulti-mo versetto con l’imma-gine del «cibo» donato«ad ogni vivente». Lastoria di salvezza è lastoria dell’amore di Dioper l’uomo, che nel do-no del pane quotidianotrova il suo apice.Una pienezza che si è

manifestata in Cristo: «E ilVerbo si fece carne e ven-ne ad abitare in mezzo anoi; ... Figlio unigenitoche viene dal Padre, pie-

no di grazia e di verità» canta Giovan-ni nel Prologo del suovangelo (1,14). E subitodopo ribadisce: «Perchéla Legge fu data per mez-zo di Mosè, la grazia e laverità vennero per mezzodi Gesù Cristo» (1,17). Ilbinomio «grazia e verità»(hesed we-’emet, amoree fedeltà) sono diventaterealtà in Gesù Cristo, chein tal modo rivela il voltodel Padre: «il Figlio unige-nito, che è Dio ed è nelseno del Padre, è lui chelo ha rivelato» (1,18).Recita mirabilmente la

Dives in misericordia, 2:«Cristo conferisce a tuttala tradizione veterotesta-mentaria della misericor-dia divina un significatodefinitivo. Non soltantoparla di essa e la spiegacon l’uso di similitudini edi parabole, ma soprat-tutto egli stesso la incar-na e la personifica. Eglistesso è, in un certo sen-so, la misericordia. Perchi la vede in lui – e inlui la trova – Dio diventa

particolarmente “visibile” quale Pa-dre “ricco di misericordia”».Per un verso, quindi, Cristo è il

compimento, la conclusione del sal-mo; per un altro Egli lo apre nellaprospettiva futura.«Anche noi abbiamo una memoria

del bene, dell’amore misericordioso,eterno di Dio. La storia di Israele ègià una memoria anche per noi, co-me Dio si è mostrato, si è creato unsuo popolo. Poi Dio si è fatto uomo,uno di noi: è vissuto con noi, ha sof-ferto con noi, è morto per noi. Rima-ne con noi nel Sacramento e nellaParola. È una storia, una memoriadella bontà di Dio che ci assicura lasua bontà: il suo amore è eterno ... Ecosì questo pane quotidiano simbo-leggia e sintetizza l’amore di Dio co-me Padre, e ci apre al compimentoneotestamentario, a quel “pane di vi-ta”, l’Eucaristia, che ci accompagnanella nostra esistenza di credenti, an-ticipando la gioia definitiva del ban-chetto messianico nel Cielo» (Bene-detto XVI, Udienza generale, 19 otto-bre 2011).

Giuseppe Dell’Orto

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Cristo e il discepolo amato (terracotta). Refettoriodei PP. Barnabiti, Eupilio

la moltiplicazione dei pani - icona moderna

Vocabolario ecclesiale

ESOTERISMO - 4 – Passando, nella nostra ricerca sul-l’esoterismo, dall’Oriente all’Occidente, ritroviamo san-t’Ambrogio (c. 339-397). Come si è detto, il metropolitadi Milano scrisse due trattati, sostanzialmente identici,costituendo il secondo un’esposizione concentrata delprimo. L’uno porta il titolo I Sacramenti e l’altro il titoloequivalente I Misteri. I due termini potrebbero nascon-dere una sottile differenza: sacramento starebbe a indi-care i riti sacri in quanto tali e mistero l’azione misterio-sa e segreta che i riti esplicano nell’animo umano. Inogni caso, Ambrogio, ricalcando la tradizione orientale,situa l’esposizione dei sacramenti-misteri dell’iniziazio-ne cristiana tra la preparazione previa e la loro celebra-zione liturgica da un lato, e il successivo approfondi-mento esistenziale o «plenissima cognitio» dall’altro.«Mi accingo – scrive iniziando il primo dei due trattati –a parlarvi dei sacramenti che avete ricevuto, argomentodel quale non sarebbe stato opportuno fornire primad’ora la spiegazione». E ne I Misteri: «Ora il tempo ci in-vita a parlare dei misteri e a spiegare la natura stessa deisacramenti. Se infatti fossimo stati tenuti a farne parteci-pe prima del battesimo chi non era ancora iniziato, sisarebbe giudicato che avevamo tradito un segreto, piut-tosto che offerto un insegnamento». Come «la Chiesacustodisce le profondità dei misteri celesti», manifestan-doli agli iniziati e non ai catecumeni, così deve fare ilneofita, «iniziato ai piccoli, prima che ai grandi misteri»,secondo quanto già insegnava Clemente Alessandrino.

Disciplina dell’arcano

Gli autori che abbiamo citato ricavano dalle Scrittu-re sacre la loro «disciplina dell’arcano». Ricordano lamessa in guardia da parte di Cristo di «non dare le co-se sacre ai cani» (Mt 7,6), noi diremmo ai profani («ca-ni» per gli ebrei erano i pagani), e il reiterato invitoperché «chi ha orecchi da intendere intenda», conl’aggiunta del «fate attenzione a quel che udite» (Mc4,23-24. Lc 8,18 riformula quest’espressione nel modoseguente: «Fate attenzione a come ascoltate!»). Sottoli-neano, i santi Padri, come Cristo esponesse la propriadottrina a «quelli di fuori (exo!)… in parabole», e nespiegasse il senso ai discepoli «in disparte», dal mo-mento che a loro «era dato conoscere i misteri del re-gno di Dio» (Mc 4,11.33-34); quasi avesse voluto af-fermare che ci può essere un ascolto – e un annuncio! –exoterico di realtà di loro natura esoteriche, con il ri-schio di vanificare la ricchezza e l’efficacia del mes-saggio. Infine Cristo promette ulteriori acquisizioni daparte dei discepoli, sotto la guida del suo Spirito, a luiconsustanziale e di lui testimone: «Molte cose ho an-cora da dirvi, ma per il momento non siete capaci diportarne il peso. Quando però verrà lo Spirito di verità

– che vi manderò da parte del Padre – egli vi guideràalla verità tutta intera» (Gv 15,26 e 16,12-13).Questo non significa però né discriminazione dei

destinatari, né tanto meno creazione di un gruppo eli-tario di “utenti”. Leggiamo sempre nelle Scritture che i«misteri del regno», nascosti ai «sapienti» di questomondo, sono rivelati ai «piccoli» (Mt 11,25). In secon-do luogo, la comprensione esoterica del messaggio giàa partire dall’insegnamento di Cristo non chiude gli“iniziati” in una setta di privilegiati, ma ne fa dei pro-clamatori della “bella notizia” della “filantropia” divi-na. Commentando il precetto di Gesù: «Non vi è nulladi nascosto che non debba essere rivelato, e di segretoche non debba essere manifestato; quello che vi diconell’oscurità ditelo nella luce, e quello che ascoltateall’orecchio proclamatelo sui tetti» (Mt 10,26-27), Cle-mente Alessandrino parafrasa: «Ciò che ascoltate conle orecchie, ossia in modo segreto e mistico (e infatticiò che è mistico si afferma allegoricamente che vienedetto all’orecchio), predicatelo sui tetti».

Il “mistero” originario

Piccoli e grandi misteri fanno riferimento al misterooriginario e fondante. Di esso la Bibbia dice che fu«taciuto per secoli» ed è stato «rivelato ora mediante lescritture profetiche… a tutte le genti, perché obbedi-scano alla fede» (Rm 16,25-26). Questo “mistero”, lun-gi dall’essere parto di mente umana, è un evento, unapersona dalla concretezza storica irrefutabile: il Verbo-fatto-uomo, Gesù il Cristo. San Paolo potrà così riassu-mere il «mistero nascosto da secoli e da generazioni,ma ora manifestato ai santi», cioè ai cristiani, nel-l’espressione pregnante e programmatica: «Cristo invoi» (Col 1,26-27).L’autorivelazione di Dio nell’uomo Cristo Gesù, Ver-

bo incarnato, introduce di prepotenza nella storia del-l’insonne ricerca di Dio una novità radicale e assoluta,destinata ad assumere un ruolo dialettico nei confrontidi quella tradizione primordiale che «fu sempre, in real-tà, l’unica vera religione di tutta l’umanità» (René Gué-non). Credere vorrà allora dire accogliere la presenza“fisica” di Dio nella storia umana, per cui l’esperienzareligiosa ricupera in pieno la propria bipolarità e il con-seguente duplice senso di marcia: dall’uomo a Dio e daDio all’uomo e viceversa: «Adamo (uomo), dove sei?»;«Signore, dove dimori?» (Gn 3,9 e Gv 1,38).

Anima, corpo, spirito nelle Scritture

Siccome delle parole e dei fatti che testimonianola rivelazione del mistero sono scrigno e portavoce

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VOCABOLARIO ECCLESIALE

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le Scritture sacre, queste rivestono un carattere nor-mativo e costituiscono l’ultima istanza dell’esperien-za credente. Lo Spirito pentecostale, che introducealla piena comprensione di quanto il Verbo ci ha tra-smesso, si fa garante della veridicità e dell’efficaciadella Parola rivelata; e la Chiesa, che ne è deposita-ria, la discerne, custodisce e approfondisce nella suastoria. Le sacre Scritture, come ci ricorda Origene(185-253c.) hanno un corpo, che è il senso storico;un’anima, che è il senso morale comportante l’appli-cazione del messaggio all’esistenza umana; uno spi-rito, che è il senso profondo e mistico, conoscibilesolo se abbiamo «la mente di Cristo» (1 Cor 2,16).Qui si fonda l’autentica gnosi, che già agli albori delcristianesimo era minacciata da quella che i Padriconsiderano pseudo-gnosi, la quale ipotizzava (co-me ipotizza tutt’ora negli pseudo-gnostici di turno…)una conoscenza superiore, avulsa dalla Rivelazionee di fatto tendente a svuotare di ogni realtà l’Incar-nazione del Verbo divino nell’«uomo Cristo Gesù».Da questa pseudo-gnosi, contro cui fu strenua la lot-ta dei primi Padri della Chiesa, non poteva non na-scere uno pseudo-esoterismo, quasi che esistesse unmistero al di là e al di sopra di quello rivelato dallaParola-fatta-carne, e di fatto coincidente con il “se-condo me”.

«Ad aeterna transire»

L’ancoraggio alle Scritture e all’economia sacramenta-le che ne deriva, sono considerati dai Padri come mezzifinalizzati alla conoscenza-esperienza del mistero. Essierano convinti che unicamente attraverso la consapevo-lezza dello spessore misterico, simbolico di parole e digesti, si poteva raggiungere l’intima sostanza. È per que-sto che Cirillo di Gerusalemme raccomanda, fin dallecatechesi prebattesimali, di «salire alle cose superiori».Né diverso è il pensiero di Agostino (354-430), quandoafferma che «il vero senso delle Scritture è occulto». Asua volta Dionigi Areopagita (secc. V-VI) parla di «Scrit-ture occulte… là dove i misteri semplici e assoluti e im-mutabili della Teologia sono svelati nella caligine lumi-nosissima del silenzio che insegna arcanamente». Anche la mistica ebraica si pone su questa linea: «Il

senso letterale della Scrittura è l’involucro… Nei tempifuturi – che sono i nostri! – tutti potranno vedernel’anima». Questo convincimento può essere ripreso eformulato con un’espressione lapidaria di GregorioMagno (540-610), là dove invitava i suoi ascoltatori «asacramentis temporalibus, transire ad aeterna», a pas-sare cioè dall’economia sacramentale, che opera neltempo, alle realtà eterne, e quindi alla dimensione mi-sterico-escatologica del dato rivelato.

VOCABOLARIO ECCLESIALE

Eco dei Barnabiti 4/20168

TRA GNOSI, ESOTERISMO E... OCCULTISMO

«Le verità esoteriche oggi sono considerate, anche nella cultura popolare, le verità interne, cioè noncomprensibili a tutti, cui si accede per meditazione e ragionamento, per pratica di un ascetismo del generepiù vario o, ancora, per intuizione. In altre parole, l’esoterismo è ciò che è segreto, interiore, accessibiledopo preparazione ed è, in buona parte, sinonimo di gnostico.Il termine “esoterismo” è spesso usato oggi come sinonimo di occultismo (ciò che è segreto, occulto)

ovvero pratica e dottrina nascosta ma trasmissibile per iscritto o de visu. Lo scopo principale dell’esoterismo,invece, è la conoscenza (gnosis) per via intellettiva e intuitiva da cui possono derivare benessere personale,poteri soprannaturali ma soprattutto la vera salvezza e l’immortalità dell’anima. Il beneficio dell’esoterismodovrebbe dunque ricadere principalmente sull’esoterista, mentre l’occultismo, cioè la magia, è quasi sempreuna forma di conoscenza tecnico-pratica volta a ottenere degli effetti materiali.Anche il cristianesimo contiene misteri (mysteria fidei) definiti da dogmi..., formule sintetiche che illuminano

la logica della Rivelazione ma non possono essere compresi se non razionalmente (in modo imperfetto) o,più profondamente, mediante l’intuizione mistica, che richiede ascesi, preparazione e la Grazia di Dio».

[Dizionario elementare di apologetica, a cura di G. BARRA - M.A. IANNACCONE - M. RESPINTI, Istitutodi Apologetica, Milano 2015, p. 181].