SÌ-AMO LA TERRA! Un appuntamento per il popolo dei tanti ... · diversi, di parlare potenzialmente...

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SÌ-AMO LA TERRA! Un appuntamento per il popolo dei tanti SÌ all’ambiente, alla solidarietà, alla pace, alla cultura, alla giustizia, all’uguaglianza, ai beni comuni, alla bellezza, all’autodeterminazione, al diritto di aver diritti ROMA DOMENICA 11 NOVEMBRE 2018 ore 9,00-13,00 SALA CONVEGNI CONFEDERAZIONE DEI COMITATI DI BASE - COBAS VIALE MANZONI 55 Fermata Manzoni, Metro A

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SÌ-AMO LA TERRA! Un appuntamento per il popolo dei tanti SÌ

all’ambiente, alla solidarietà, alla pace, alla cultura, alla giustizia, all’uguaglianza, ai beni comuni, alla bellezza, all’autodeterminazione,

al diritto di aver diritti

ROMA DOMENICA 11 NOVEMBRE 2018

ore 9,00-13,00 SALA CONVEGNI CONFEDERAZIONE DEI COMITATI DI BASE - COBAS

VIALE MANZONI 55 Fermata Manzoni, Metro A

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SÌ-AMO LA TERRA!

Un appuntamento per il popolo dei tanti SÌ all’ambiente, alla solidarietà, alla pace, alla cultura, alla giustizia,

all’uguaglianza, ai beni comuni, alla bellezza, all’autodeterminazione, al diritto di aver diritti

E’ il momento di dire SÌ, assieme. perché abbiamo compreso, tutti, la gravità del momento attuale.

perché conosciamo il valore dei nostri sogni. perché solo uniti così potremo raggiungere quanto sogniamo.

SÌ alla convergenza in una grande manifestazione nazionale per i

diritti e per l’ambiente.

SÌ, ABBIAMO COMPRESO LA GRAVITÀ DEL MOMENTO

Le questioni ambientali e quelle sociali, del lavoro, dell’istruzione, della tutela dei beni comuni e dei diritti inviolabili delle donne, degli uomini e di tutte le specie del Pianeta sono tutte strettamente ed intimamente connesse. La crisi ambientale e climatica senza precedenti che sta investendo l’Umanità è il portato di un sistema di produzione e consumo miope e violento, totalmente orientato alla forsennata ricerca del profitto e basato sulla devastazione dei territori, sulla spoliazione di intere comunità dei loro beni primari, della loro cultura e sulla loro espulsione dalle loro terre, sullo schiacciamento dei diritti e sull’annientamento dei cosiddetti “diversi”, sulla sistematica distruzione del diritto ad un’istruzione vera e non manipolata, alla conoscenza ed al diritto di critica e di parola. Lo dimostrano i numeri crescenti di una tragedia umanitaria senza fine, che si sta consumando alle porte meridionali del Sud dell’Europa e, in un crescendo autoritario, anche all’interno del nostro Paese e del Vecchio Continente. Stiamo attraversando forse una delle fasi più drammatiche della storia del Pianeta: una catastrofe umanitaria ogni anno condanna alla morte circa 9 milioni di persone in tutto il Mondo, di cui 8 per malnutrizione; che consuma più del doppio dello stock annuo di risorse rinnovabili di cui il Pianeta dispone; che, secondo l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati crea ogni anno 6 milioni di migranti "ambientali"; che innalza muri e recinti, semina morte, violenza e terrore, che schiaccia ogni forma di specie vivente in nome della crescita. Il sistema economico globale ci ha imposto regole ferree, falsi miti, falsi bisogni e nuovi-antichi tabù (quello della povertà, ad esempio); ci ha trasformato in macchine dedite alla produzione e al consumo, ci ha diviso gli uni dagli altri, rendendoci meno liberi e meno uguali, uniformandoci gli uni agli altri, colonizzando il nostro immaginario, alimentando divisioni, paure, egoismi e razzismo.

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Nel Mediterraneo sappiamo che in ballo c'è il controllo delle ricchezze petrolifere in Libia, in Egitto ed in Algeria. Sappiamo che in ballo ci sono i miliardi della ricostruzione di una guerra a lungo cercata ed imposta, oggi diventata ingovernabile. Sappiamo che in ballo c’è lo scontro tra grandi potenze e multinazionali per il controllo e per la penetrazione nell'africa subsahariana, per stringere un patto d’azione con la Cina, che sta man mano conquistando l'Africa. Si tratta di una guerra geopolitica, che somma alle coordinate Nord/Sud gli scenari di pressioni ed interessi Est/Ovest, che condiziona integralmente la politica energetica italiana. Per sganciarsi dalla Russia è necessario diversificare le fonti ed operare un’inversione dei flussi, secondo cui oggi il gas importato a Sud è destinato al Centro Europa. Alla soglia degli anni’20 del 2000, le dinamiche dell’arricchimento di pochi a scapito della stragrande maggioranza dell’umanità; il nucleo fondante delle motivazioni fattuali degli attuali scenari bellici, restano ancora legati al controllo speculativo delle fonti energetiche e ad un modello estrattivista. COSA FARE?

Una transizione energetica vera, partecipata, condivisa dal basso non può prescindere dalla capacità di raccordare tutte le energie sociali ed intellettuali libere e disponibili per dare voce alle esigenze dei territori. Bisogna anzitutto liberare le energie della ricerca, dell’informazione, dell’università, della Scuola, per poter strappare ed allargare spazi di democrazia reale. Da non dissipare, ma da rafforzare, quindi, la funzione dei movimenti reali, che hanno dimostrato in questi anni di essere in grado di orientare dal basso fornendo allo stesso tempo strumenti importanti di interpretazione di fenomeni complessi in costante divenire. Nostro compito è valorizzare quindi autonomia e capacità organizzativa dei movimenti, cercando di essere all’altezza della situazione. Oltre la parzialità e la frammentarietà delle rivendicazioni locali, dobbiamo saper restituire a tutto tondo la complessità e l’interrelazione delle problematiche energetiche e dei beni comuni a partire dalle Regioni dove sono dislocati i vecchi siti nucleari, gli impianti estrattivi e di stoccaggio oil & gas, i centri di trattamento e stoccaggio dei rifiuti, gli inceneritori, partendo da dove le attività impattanti hanno creato maggiore conflitto a difesa dell’acqua pubblica bene comune. LE QUESTIONI APERTE

La Strategia Energetica Nazionale La nuova Sen risente di un’impostazione fortemente viziata. L’Italia ha raggiunto gli obiettivi 20/20 per la decarbonizzazione ma i principali indicatori della transizione svelano un quadro drammatico ed impietoso: secondo Eurostat, nel 2017 le emissioni provocate dall’impiego di combustibile da carburanti fossili in Italia sono aumentate del 3,2% rispetto al 2016; l’Italia è stata deferita alla Corte di Giustizia Europea per aver violato ripetutamente i limiti di Pm10 e biossido di azoto

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nell'aria dei centri urbani; permangono forti vincoli normativi che ostacolano la diffusione della generazione distribuita, dei sistemi di reti chiuse di utenza, ecc., impedendo di fatto il rafforzamento di un nuovo modello energetico, più partecipato e più democratico, in cui le figure del produttore e del consumatore di energia, pulita, rinnovabile e a “kM 0”, vengano a fondersi in quella del prosumer; l’assenza di una Strategia Climatica in abbinamento a quella Energetica (SEC). Dal 24 maggio 2018 in Italia è Overshoot Day con la Terra: da quel giorno abbiamo finito di consumare lo stock annuale di risorse naturali rinnovabili del nostro territorio. Nella “nuova” Sen il gas viene considerato elemento di transizione per la decarbonizzazione, ma in realtà è anch’esso fortemente climalterante e non fa meno danni del petrolio e dei suoi derivati: le emissioni di gas provocate dall’Uomo sono responsabili per il 25% del riscaldamento globale che stiamo vivendo oggi. Emblematica la trasformazione dell’Italia in vero Hub del Gas, con la rete dei metanodotti e gli stoccaggi in Lombardia ed Emilia Romagna: qui si stanno realizzando depositi di stoccaggio di gas in coincidenza di sorgenti sismogeniche, dove i privati sfruttano il territorio per fare profitti privati. Oltre alla pericolosità insita in questi progetti, va denunziata l’assurdità del complesso di operazioni che ad essi si sottendono, visto che durante alcuni mesi da marzo a settembre avviene lo stoccaggio del gas metano con inezione di fluidi a forti pressioni (144/215 bar) per poi estrarlo da ottobre a marzo , con cicli alternati per almeno venti anni, metano che è destinato per la maggior parte all’esportazione. La nuova Sen è una contraddizione e una truffa. Mentre si zittiscono i territori con le royalties, diminuisce vistosamente il bisogno effettivo di energia. Abbiamo più potenza installata di quanto necessiti per i consumi reali. Notevoli sono anche gli sprechi, mentre le regioni del Sud sono letteralmente invase dall’eolico selvaggio e l’acqua è spesso destinata ad usi impropri e soggetta a forme devastanti di contaminazione. Crescente il numero delle ordinanze sindacali di divieto di utilizzo dell’acqua al rubinetto da trialometani e numerose sostanze inquinanti in molti centri. Con l’eolico si continuano a fare grossi investimenti dove l’energia non serve, ma questi investimenti servono a riciclare denaro, a fare gli interessi delle organizzazioni mafiose. E’ il livello di crisi ambientale e sanitaria che impone ampia unità di azione Antinucleare, No Tap, No Triv, con i comitati per l’Acqua Pubblica e tanti altri, se vogliamo conseguire un comune beneficio anche in termini di democrazia reale! La tendenza in atto all’automazione spinta ed alla robotizzazione, che attraversa i processi produttivi e la ristrutturazione dei trasporti, contribuisce a produrre ulteriori forme di disoccupazione forzata di massa. Mentre le centrali elettriche dismesse da ENEL riflettono il calo della domanda dovuta al perdurare della crisi economica, la Sen ci obbliga a conservare, in mano a pochi, il surplus di disponibilità energetica al solo scopo di attivare la borsa del kW per remunerare oltre misura i gestori del surplus.

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La gestione delle scorie radioattive Alle soglie di un passaggio epocale per le fonti energetiche, con un calo dell’uso del petrolio e del carbone, un aumento del gas ed un’elevata produzione di energia elettrica, restano in piedi tutte le contraddizioni legate all’attuazione del Programma Nazionale per la gestione delle scorie radioattive, in particolare per quanto riguarda l’annosa vicenda del Deposito Unico, su cui permane l’incertezza governativa, accompagnata da timidezza ed impreparazione, a fronte di lobbies terribili, ad iniziare dalla potente lobby di Sogin, che dopo 20 anni di attività è ancora soltanto al 20% del decommissioning, avendo già speso il 40% della dotazione finanziaria di scopo disponibile. In tale contesto, è molto probabile che il problema dell’individuazione del sito unico slitterà oltre la data prevista del 2025, mentre si registra la tendenza a conservare i siti esistenti lì dove sono. Il Nuovo Disciplinare Tipo Sul fronte estrattivo si gioca inoltre un’importante partita riguardante l’effettività delle prerogative decisionali e della democrazia. Il nuovo Disciplinare Tipo consente alle Compagnie di modificare il programma dei lavori con pozzi aggiuntivi anche entro le 12 miglia marine, mentre le Regioni non hanno più la possibilità di opporsi alle decisioni dello Stato. Un decreto legge del Luglio 2016 (D.lgs 127, che modifica il c. 14-quater della L. 241/90), due mesi dopo il referendum sulle trivelle, ha tolto alle Regioni la prerogativa che il Titolo V della Costituzione conferiva loro; quella di avere uguale peso rispetto allo Stato su argomenti come l’energia. Con questa nuova norma, approvata alla chetichella, decide tutto lo Stato, come accaduto ad esempio per Sulmona e Taranto. Mentre si approva una SEN che apparentemente non ritiene più centrale la partita del petrolio, il Governo punta comunque su di esso con i numerosi progetti di ricerca che vanno avanti (vedi Spectrum, ricerche nello Jonio, Tempa Rossa, ecc.). Il Piano delle Aree Va rilanciato il progetto di legge del Piano delle Aree, decaduto con lo scioglimento delle Camere. Va di nuovo stimolato il ruolo delle Regioni, che devono deliberare, pretendendo da un lato una corretta pianificazione, dall’altro più democrazia. Su questioni come l’Ilva vanno rimesse al centro le ragioni della salute e dei territori, anche alla luce della recente sentenza della Corte Costituzionale (2018) che ha finalmente stabilito che il problema della salute è centrale e non subordinato al diritto al lavoro. Non basta quindi aver difeso la Costituzione con il Referendum del 4 Dicembre 2016, serve esigerne l’applicazione! La battaglia per l’acqua bene comune L’acqua e i beni comuni sono di tutti, sono a titolarità diffusa, non sono compatibili con una logica di profitto e di breve periodo. Esprimono utilità funzionali all’esercizio dei diritti fondamentali nonché al libero sviluppo della persona, e sono fondati sul principio della salvaguardia intergenerazionale. Inoltre, possono essere un nuovo orizzonte di senso in grado di connettere terreni e conflitti diversi, di parlare potenzialmente a tutti ben al di là dei recinti angusto della politica di palazzo. L’acqua e i beni comuni possono scompaginare, materialmente e simbolicamente, i logori confini della politica e ricostruire alle radici una diversa cultura collettiva.

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Diviene quindi fondamentale riuscire a recuperare tale cultura e costruire nuove forme di gestione partecipativa così da permettere a sua volta la creazione di legami sociali e cittadinanza che sono fra le principali condizioni di un’efficace gestione collettiva dei beni stessi. Ed esercitare la partecipazione e la democrazia nel vivo delle lotte è la base fondamentale per avviare il processo di democratizzazione nella preservazione e nella gestione dell’acqua. Obiettivo primario diviene quindi ripubblicizzare il pubblico per renderlo comune, democraticamente partecipati, trasparente. Ripubblicizzare l’acqua e i beni comuni costringe a ripensare la democrazia e ad inventare insieme pezzi di un’altra politica. Diviene, pertanto, necessario rivendicare sia la demercificazione quanto l’autogoverno e la gestione partecipativa di questi beni essenziali, materiali o immateriali, e dei servizi ad essi funzionalmente connessi, secondo regole e strumenti decisi dalla collettività di riferimento, ponendosi l’obiettivo di diventare parte stessa di una comunità e non individui di una società che competono al mercato. Esercitare la partecipazione e la democrazia nel vivo delle lotte è la base fondamentale per avviare il processo di democratizzazione nella preservazione e nella gestione dell’acqua. La necessità di ridefinire la democrazia stessa in forme nuove, oltre a ripensare la sovranità e la relazione fra territori, risorse ed abitanti sembra essere attualmente l’orizzonte verso il quale si intendono muovere diversi movimenti e realtà sociali. La Scuola Pubblica Anche per questo ci appelliamo in particolare agli studenti, alla necessità che lottando per la difesa del carattere plurale e democratico della Scuola Pubblica italiana sappiano riconnettere con entusiasmo le tante battaglie diffuse nel Paese, per contribuire alla prospettiva di una concreta transizione sociale ed energetica. E’ cruciale in tal senso, dopo due decenni di dominio del pensiero unico di stampo neoliberista, di aziendalizzazione in nome di una falsa autonomia, garantire l’effettiva libertà di insegnamento, abbattendo lo strapotere di dirigenti plenipotenziari che privilegiano la pratica degradante dei quiz Invalsi e l’addestramento ad una vita precaria e senza diritti universali perseguita dall’alternanza Scuola Lavoro. E’ cruciale saper ribaltare la dimensione di mero fruitore acritico in una società omogenea per conquistare la dignità dell’etica del cittadino consapevole e della pratica critica e solidale del “comune”. Chi si occupa di costruire opposizione alle pratiche assurde e distruttive dell’alternanza Scuola/Lavoro nella scuola si oppone anche alla logica ed alla pratica dell’ossessione valutativa imposta dall’invalsi. I grandi gruppi aziendali sono interessati all’alternanza Scuola/Lavoro perché è un modo di acquisire manodopera a costo zero e preparare alla logica di un mercato del lavoro iper flessibile e precarizzato. Non a caso eccellono in questa pratica i grandi gruppi, le grandi compagnie come ENI, interessati ad un cambio di assetto formativo e giuridico, sulla scorta di quanto normato dalla L. 107/2015, c.d. “Buona scuola”. La “Buona scuola” conferisce all’apprendimento in azienda lo stesso valore formativo della scuola, avvinghiata ormai da una crescente e ramificata offerta, calibrata su una comune funzione ideologica finalizzata alla messa a valore dei discenti/precari, così ulteriormente incrementando la cultura dell’individualismo e della competizione.

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I lavoratori delle grandi aziende e le rispettive rappresentanze sindacali sono doppiamente interessati da una lotta contro l’aziendalizzazione e la mercificazione dell’istruzione. Una generazione di giovani addestrati alla flessibilità, alla precarietà, alla competizione individuale, sarebbe la migliore garanzia per la distruzione dei diritti residui duramente conquistati in decenni di battaglie operaie. Poter cogliere la dimensione e la velocità dei cambiamenti climatici (stanno cambiando i dati rispetto a quelli della già deludente Cop 21 di Parigi di meno di 3 anni fa!) vuol dire avere la chiarezza di un piano di riconversione industriale, dei trasporti, dei servizi, altrettanto rapido e deciso. Per fare questo occorre una direzione in grado di congiungere lavoratori, produttori autonomi, agricoltori, associazioni ambientali, scienziati, ricercatori, studenti. Emblematico dello stato di stallo e di incertezza di questa assurda “fortezza Europa” è il fatto che la Cop24 si terrà in Polonia, in un distretto dove si estrae carbone. Lì (come in molti altri posti …) i sindacati polacchi fanno fatica ad accettare l’idea della necessità di abbandonare il carbone entro il 2030, poiché i lavoratori polacchi del settore sono tantissimi. SÌ, ABBIAMO MOLTI SOGNI E TUTTI BISOGNO DI UN ORIZZONTE COMUNE:

Tutte le nostre singole battaglie possono trovare un momento di sintesi e riprendere così vigore. Tutti nostri sogni hanno bisogno di un orizzonte e di una visione comune, ed i nostri tanti percorsi di convergere e farsi uno. Sogniamo, desideriamo, sconfiggiamo l’individualismo ed apriamoci a cose grandi; ad esempio, ad un’Italia, un’Europa e ad un Mondo a emissioni zero e a zero veleni; ad un modello energetico decentrato e democratico; ad un sistema che non riduca la vita a solo lavoro; ad un rapporto tra produzione e consumo che tenda al “Km 0”; ad un modello agricolo ed alimentare sostenibile; ad uno stop definitivo al consumo di suolo ed alla realizzazione di mega-infrastrutture e di grandi opere inutili; ad un sistema a rifiuti Zero e con acqua e servizi essenziali finalmente pubblici; al prevalere della tutela del diritto alla salute sopra ogni altro interesse nazionale o strategico che dir si voglia; ad un sistema educativo e formativo fondato sul diritto alla conoscenza; ad un “sistema Mondo” che tuteli e valorizzi le minoranze, che non ponga limite alcuno al diritto di uomini e donne di muoversi liberamente, in cui cessino i conflitti armati, le violenze, e le donne e gli uomini si riconoscano eguali. SÌ, UNIAMOCI E FACCIAMO SENTIRE LA NOSTRA VOCE:

Pretendere che tutto questo è nostro diritto! Battersi e far emergere la consapevolezza che questo potrà avvenire unicamente attraverso una radicale e profonda riconversione morale ed ecologica del sistema è nostro preciso dovere! Chi dovrebbe farsi carico di un passo così arduo se non le donne e gli uomini che hanno a cuore l'affermazione di quei diritti civili e sociali (istruzione, salute, lavoro, giustizia, ambiente, parità di trattamento e di opportunità a prescindere da razza, etnia, religione, convinzioni personali,

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handicap, età e tendenze sessuali, non violenza, ripudio della guerra, ecc.) così vivi e presenti nella Costituzione? Reclamare politiche energetiche e climatiche responsabili e porre in cima a tutte le priorità la difesa del clima e la sopravvivenza di tutte le specie vegetali ed animali del Pianeta significa andare esattamente in questa direzione. Denunciare l'ipocrisia e l'inadeguatezza degli accordi raggiunti dai potenti della Terra nelle varie COP (Parigi su tutte), ciascuno da un particolare punto di vista (Sì Acqua Pubblica, No Buona Scuola, No Triv, No Tap, No Tav, ecc.) e nelle forme sperimentate negli ultimi anni non basta più.

DI TANTI NO POSSIAMO FARE UN GRANDE SÌ! Alla gravità delle minacce che incombono è possibile rispondere in un modo soltanto: unendo mondi, culture e sensibilità diverse in un'unica grande coalizione, ecologica e sociale, che chieda a gran voce e sia in grado di ottenere, dispiegando un'azione di lungo periodo e con una "Carta" fortemente condivisa, una nuova politica nazionale e transnazionale per il clima e per l'energia, senza cui sarebbe impensabile ed impraticabile qualsiasi forma di contrasto alla violenza, allo sfruttamento e all'oppressione. Tra il 3 ed il 14 dicembre 2018 si terrà in Polonia, a Katowice, la COP 24. In quell’occasione i Potenti della Terra tenteranno di raggiungere un accordo per dare attuazione agli Accordi di Parigi sul Clima. Le previsioni di innalzamento della temperatura a fine secolo rispetto ai livelli preindustriali si attestano su un tragico +3,6 °C, contro il già inadeguato +2°C fissato a Parigi il cui conseguimento NON eviterebbe comunque sconvolgimenti dai forti impatti ambientali (es.: contrazione dei raccolti nelle regioni tropicali; riduzione sensibile della risorsa acqua disponibile nel Mediterraneo, ecc.). Da Parigi in avanti non si sono registrati ravvedimenti nelle politiche cosiddette di “sviluppo sostenibile” dei paesi maggiormente industrializzati: ammantato di un’insostenibile “sostenibilità”, edulcorato da analisi costi-benefici di grandi opere dall’esito predeterminato (vedi caso Tap e non solo), il sistema economico globale e l’iniquo rapporto di forza tra i primi e gli “ultimi” rendono ancor più urgente non una correzione o mitigazione bensì una radicale inversione di rotta, un cambio radicale di regole e prospettive. Nei giorni che precederanno ed in cui si terrà la COP 24 gioco forza i mezzi di informazione, anche quelli generalisti e di massa, si confronteranno con questi temi. Di questa breve ma intensa “finestra” temporale potremmo giovarci per lanciare e far passare i nostri messaggi e le nostre istanze. Immaginiamo un documento condiviso, un manifesto o una “Carta” scritti a più mani, con richieste nette e date precise, su cui misurare l’operato del Governo nazionale e delle Istituzioni dell’Unione. Immaginiamo anche un Osservatorio permanente che vigili sul rispetto degli impegni che i Governi nel frattempo avranno assunto, richiamando l’attenzione dell’opinione pubblica su omissioni, ritardi ed inefficienze.

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Di questo vorremmo parlare e su questo confrontarci con tutte quelle realtà che, prima e dopo i sanguinosi fatti di Genova del 2001, si sono impegnate per i diritti, la pace e la solidarietà. L’obiettivo è ambizioso: verificare la possibilità di ritrovarci tutti all’interno di un orizzonte comune e di dar corpo ad un’imponente campagna nazionale, articolata sui territori, e ad una manifestazione nazionale in vista di COP24.

DI QUESTO POTREMMO TUTTE/I DISCUTERE A ROMA, DOMENICA 11 NOVEMBRE, DALLE ORE 9:00 ALLE ORE 13:00, PRESSO LA SALA CONVEGNI DELLA CONFEDERAZIONE DEI COMITATI DI BASE (COBAS), IN VIALE MANZONI 55 (LINEA METRO A, FERMATA MANZONI). Per ragioni di carattere organizzativo, chiediamo di dare riscontro alla mail [email protected] entro il 4 Novembre prossimo.

Roma, 14 ottobre 2018 Promuovo l’incontro di Roma dell’11 novembre 2018:

Abruzzo Beni Comuni

A Sud Onlus

Associazione Fuoritempo

Confederazione dei Comitati di Base (Confederazione Cobas)

Coordinamento Nazionale No Triv

Disarmisti Esigenti

Energia Felice

Fondazione Capta

Forum Italiano dei Movimenti per l'Acqua

Movimento per l'Acqua ed i Beni Comuni Sicilia

Il Sud che Sogna

Laudato Si'

Movimento per la Decrescita Felice

No Eolico Selvaggio

PresidioEuropa NO TAV

Rete Autonoma Sibaritide e Pollino per l’Autotutela (Raspa)

Stop TTIP Italia

Unione Mediterranea