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modello, in pause di preghiera e di contemplazione? Un monaco certosino diceva che si diventa ciò che si contem- pla. Perseverando nella contemplazione di Cristo si ricopia in se stessi il suo modo di pensare e i suoi comportamenti, e si diventa un chiaro "ostensòrio" di lui. Il mondo ha bisogno (e diritto) di vedere in noi cristiani il volto del Signore. 4. Dio Padre dice agli apostoli, e a noi, di suo Figlio: "Ascoltatelo!". Lo dobbiamo ascoltare. 5. Subito dopo la Trasfigurazione Gesù scende dal monte con i suoi apostoli e riprende a parlare loro di passione, di morte e di risurrezione. Il monte della Trasfigurazione è sempre inserito, finché siamo in questa vita, in un cammino verso il Calvario. Il monte della Trasfigurazione è in funzione del Calvario, finché non saremo definitivamente risorti e godremo per sempre dell'eterna felicità e gloria che il Padre ci darà nel suo infinito amore. E' infatti a questa definitiva felicità e gloria che siamo destinati. 7. La guarigione dell’ epilettico indemoniato ( Mc 9, 14 - 29 ) Gesù, sceso dal monte della trasfigurazione, compie un gesto di guarigione e di esorcismo: guarisce e libera un epilettico indemoniato. La situazione del ragazzo è pesante: egli è sordo e muto, va soggetto a crisi epilettiche con convulsioni, irrigidimento dei muscoli, inchiodamento della bocca e dei denti, bava abbondante; e in più è affetto da forme di piromanìa (istinto di gettarsi nel fuoco) e di idromanìa (istinto di gettarsi pericolosamente nell'acqua e annegare). E' fortemente disturbato da un demonio che approfitta della sua malattia e la acuisce, per tormentarlo 73

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modello, in pause di preghiera e di contemplazione? Un monaco certosino diceva che si diventa ciò che si contempla. Perseverando nella contemplazione di Cristo si ricopia in se stessi il suo modo di pensare e i suoi comportamenti, e si diventa un chiaro "ostensòrio" di lui. Il mondo ha bisogno (e diritto) di vedere in noi cristiani il volto del Signore.

4. Dio Padre dice agli apostoli, e a noi, di suo Figlio: "Ascoltatelo!". Lo dobbiamo ascoltare.

5. Subito dopo la Trasfigurazione Gesù scende dal monte con i suoi apostoli e riprende a parlare loro di passione, di morte e di risurrezione. Il monte della Trasfigurazione è sempre inserito, finché siamo in questa vita, in un cammino verso il Calvario. Il monte della Trasfigurazione è in funzione del Calvario, finché non saremo definitivamente risorti e godremo per sempre dell'eterna felicità e gloria che il Padre ci darà nel suo infinito amore. E' infatti a questa definitiva felicità e gloria che siamo destinati.

7. La guarigione dell’ epilettico indemoniato ( Mc 9, 14 - 29 )

Gesù, sceso dal monte della trasfigurazione, compie un gesto di guarigione e di esorcismo: guarisce e libera un epilettico indemoniato.La situazione del ragazzo è pesante: egli è sordo e muto, va soggetto a crisi epilettiche con convulsioni, irrigidimento dei muscoli, inchiodamento della bocca e dei denti, bava abbondante; e in più è affetto da forme di piromanìa (istinto di gettarsi nel fuoco) e di idromanìa (istinto di gettarsi pericolosamente nell'acqua e annegare). E' fortemente disturbato da un demonio che approfitta della sua malattia e la acuisce, per tormentarlo e per farlo soffrire. Lo stato di sofferenza di questo ragazzo dura da molto tempo, già fin dall'infanzia (altro elemento che sottolinea la gravità del male e della situazione). I discepoli di Gesù non sono capaci di guarirlo.

E' importante notare che nell'episodio hanno grande spazio i dialoghi: il dialogo di Gesù con i discepoli (v 16), il duplice dialogo di Gesù con il padre del ragazzo (vv 17-19 e 21-24), il dialogo di Gesù di nuovo con i discepoli (vv 28-29): in tutto dieci versetti su sedici che compongono il racconto. Dunque per Marco questi dialoghi sono importanti: contengono il messaggio fondamentale di tutto il brano, messaggio che troviamo condensato in tre forti affermazioni di Gesù:

-"O generazione incredula! Fino a quando starò con voi? Fino a quando dovrò sopportarvi?" (v 19)

-"Tutto è possibile a chi crede!" (v 23)-"Questa specie di demoni non si può scacciare in alcun modo, se non con la

preghiera" (v 29).Come si può notare l'insistenza è sulla fede. Gesù si trova in mezzo a gente con poca fede o senza fede:

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-sono senza fede i suoi discepoli, che tentano di guarire-liberare il ragazzo con le proprie forze, anziché ricorrendo alla preghiera, cioè a Dio;

-ha poca fede il padre del ragazzo, che dice a Gesù: "Se tu puoi qualcosa..."; tanto che Gesù gli dice: "Come se posso? Tutto è possibile per chi crede".

-é senza fede la folla, che davanti al dimenarsi e al contorcersi del ragazzo, che alla fine cade a terra come morto, dice: "E' morto". Cioè è tutto finito.

Il lamento di Gesù è sofferto: "O generazione incredula! Fino a quando starò con voi? Fino a quando dovrò sopportarvi?" (v 19). Un lamento che ci richiama l'antico lamento di Dio in Num 14,26.

Gesù vuole la fede. Egli sa che solo nella fede sono possibili i miracoli di Dio; solo se l'uomo si aprirà a lui con la fede, Dio potrà fargli arrivare i suoi doni e la sua salvezza.Inoltre il brano insiste particolarmente su un modo preciso di vivere la fede: la preghiera.

All'interno del brano infatti abbiamo la preghiera del padre del ragazzo che chiede un aumento di fede: "Credo, ma tu aiutami nella mia incredulità" (v 24); e a conclusione del brano l'insegnamento preciso di Gesù è sulla preghiera: "Questa specie di demoni non si può scacciare in alcun modo, se non con la preghiera" (v 29).La preghiera infatti è un particolare modo di vivere la fede e un autentico momento di esercizio di essa (naturalmente se fatta bene, se fatta con l'atteggiamento di chi si piega davanti a Dio e lo accoglie, e non di chi tenta di piegare Dio a sé e ai propri disegni).Quando l'uomo prega:

-si riconosce creatura, essere povero e limitato, incapace e bisognoso, insufficiente in se stesso; e quindi si apre...

-si apre al riconoscimento di Uno più grande di lui e più forte di lui, in grado di salvarlo;

-si pone nella verità vera di se stesso, perché riconosce chi veramente egli sia: un essere che si riceve da Qualcuno. Scrive don L. Giussani: "La preghiera è la posizione più vera dell'uomo di fronte a Dio; è il gesto, l'atto dell'uomo più realista, più ragionevole, più completo, più vero". Perché l'uomo è debolezza ed è nulla senza Dio.

L'uomo è l'unica creatura animata ad essere in posizione eretta; ma non è mai così autentico come quando si piega e si inginocchia riconoscendo Qualcuno sopra di sé. La fede è dialogo, ma solo "piegando le ginocchia" l'uomo si mette in dialogo (ciò vale anche per il dialogo tra gli uomini. Due persone che stessero orgogliosamente "in piedi" l'una di fronte all'altra non riuscirebbero a dialogare; solo se ciascuna delle due si saprà mettere "in ginocchio" davanti all'altra, cioè rinunciare al proprio superbo “io” e aprire un varco nel proprio essere verso l'altra persona, il dialogo sarà possibile).

Ora la preghiera è tutto questo: è apertura, dialogo, ascolto e parola; è affidamento di sé, accoglienza e dono, rinuncia a vivere la propria vita in assoluta auto-nomia e in indipendenza; è momento superlativo di fede.I Salmi sono grande espressione di fede (es Sal 25; 51; 61; 63; 91, 103; ecc).

La preghiera fa scivolare in noi i doni di Dio: aumenta la fede, alimenta la speranza, accresce la carità, matura ogni altra virtù, dona consolazione nella prova, umiltà nel successo, tiene lontano Satana, suggerisce il bene da compiere e dà la forza di attuarlo, scioglie i rancori, rende capaci di eroismi, approfondisce la filiazione divina, purifica da ogni attaccamento disordinato, converte il cuore, crea unità, prepara all'eternità, giova a noi e al prossimo. Quante delusioni in meno avremmo finora patito nella nostra vita, se avessimo pregato di più! (Anche gli apostoli erano rimasti delusi e

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chiesero: "Perché noi non abbiamo potuto scacciare quel demonio?". – E Gesù fece loro capire: Perché non avete pregato.)

Giac 4,2-3; Lc 11,5-13; Gios 3; Gios 6,1-21; Es 17,8-14; 2Cron 20,1-29; Gv 15,5; Sap 9. "Voi dunque pregate così: Padre nostro che sei nei cieli..." (Mt 6,9-13).

8. Imparare da Gesu’ : nel servire sta la vera grandezza .

( Mc 9, 30 - 37 )

Nel periodo del suo esilio volontario dalla Galilea Gesù continuò ad istruire e a formare in modo robusto il suo gruppo. Egli non ebbe paura di proporre mete ardue e difficili: ecco che egli parla di nuovo di morte e di risurrezione e insegna ai suoi discepoli che la vera grandezza non sta nel primeggiare e nel dominare, ma nel servire e nel farsi ultimi di tutti.

Noi gli diremmo: Gesù, non esagerare; non tirare troppo la corda, perché altrimenti rischi che tutti ti abbandonino! Ma Gesù non si lascia condizionare da questi suggerimenti di prudenza umana; egli sa qual è il vero bene dell'uomo e il suo vero traguardo, e chiede scelte radicali.

a) Secondo annuncio della passione (Mc 9,30-32)

Gesù istruisce i suoi discepoli sul proprio destino di morte e di risurrezione.Li istruisce perché i discepoli devono "imparare"; la parola discepolo nel testo greco è mathetès (dal verbo manthàno = imparare). I discepoli sono quelli che devono imparare, e Gesù è colui che li deve istruire; infatti il destino di morte e di risurrezione del Messia non è una cosa in sintonia con la logica umana e con le attese dei discepoli di Cristo, anzi ne è l'esatto contrario. Dunque su questo punto i discepoli di Gesù devono essere istruiti e devono imparare.

Ci sono cose che noi dobbiamo imparare e sulle quali sentiamo il bisogno di essere istruiti da Gesù? (Sul perdono ai nemici, sul modo di pregare, sul sapersi affidare alla Provvidenza, sul vedere in positivo la sofferenza, sulla carità come essenza della vita cristiana, sul mondo della sessualità, sull'amicizia con Cristo ...).

"Essi però non comprendevano e avevano timore di chiedergli spiegazioni".L'uomo alle volte ha timore di Gesù e delle sue esigenze. Preferisce non toccare con lui certi argomenti, certi problemi, certe situazioni della propria vita. Gesù potrebbe domandargli troppo... E' meglio non rischiare ed eludere (o per lo meno rimandare) un confronto diretto, occhi negli occhi, con lui...

b) Chi è il più grande? (Mc 9,33-37)

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"Di che cosa stavate discutendo lungo la via?" Gesù è sempre attento e vigile nei confronti dei suoi discepoli; è pronto ad intervenire e a correggerli. Li vuole cresciuti bene, li vuole formati come si deve!

"Chiamò i Dodici". Sono il suo gruppo più ristretto, l'ossatura del popolo nuovo. Costoro devono venire su con le idee sane e giuste, con le sue stesse idee! Chi sarà il primo e il più grande di tutti? Colui che si farà ultimo e servo di tutti. La vera grandezza sta nel farsi piccoli e nel servire.

Fino al Concilio Vaticano II la Chiesa era pensata come una piramide con la base in basso (il popolo di Dio), e col vertice in alto (sacerdoti, vescovi, papa). Il Concilio Vaticano II ha operato un capovolgimento di prospettiva: la base (il popolo di Dio) è in alto, e, più sotto, i sacerdoti, i vescovi e il papa. I sacerdoti e i vescovi sono al servizio del popolo di Dio, al servizio della loro fede e del loro cammino verso il Signore. Il papa è il vertice della piramide, ma in basso, in quanto è al servizio di tutta la piramide; è il "servus servorum Dei" (=il servo dei servi di Dio), come si fece chiamare papa Gregorio Magno nel 600 d.C.

Nelle famiglie i genitori sono i servi dei figli (grandi sono quei genitori che servono i figli e non se stessi e i propri gusti e piaceri).

Nelle scuole gli insegnanti sono i servi degli alunni; sono i servi del loro sapere e della loro acquisizione degli autentici valori.

Nella politica i sindaci, i pubblici amministratori, i parlamentari e le altre autorità dello Stato sono al servizio del popolo e del bene comune (e non già a difesa dei propri interessi e della propria "poltrona").

Nel pubblico impiego gli impiegati sono al servizio della gente, e il capo-ufficio è al servizio degli impiegati che "dipendono" da lui.

Il panettiere, il tranviere, il postino, il medico, l'avvocato, il venditore ambulante, l'imprenditore, l'operaio... sono tutti servi, servi dei fratelli e delle sorelle.

Ogni persona deve concepire se stessa come serva degli altri (i coniugi tra loro, i figli nei confronti dei genitori, i fratelli gli uni con gli altri, i membri di un gruppo nei loro reciproci rapporti, i ricchi nei confronti dei poveri, e i poveri nei confronti dei ricchi, chi ha cultura nei confronti di chi non ne ha..., ecc.).

La parola "ciao" viene da "sciavo" (parola veneziana che significa "schiavo" e poi deteriorata in "ciao"). Era il modo con cui i servi a Venezia salutavano i propri padroni: "Sciavo suo", poi deteriorato in "sciao suo", e poi in "sciao", e infine nel semplice "ciao". Quando ci si saluta con questa parola, "ciao", dovremmo ricordarci di metterci in atteggiamento di servizio l'uno dell'altro."Mediante la carità siate a servizio gli uni degli altri", invita S.Paolo in Gal 5,13.

Si diceva prima che i genitori e gli insegnanti sono i servi dei loro figli e dei loro alunni; sono servi anche nel senso che devono educare i propri figli e i propri alunni a concepirsi essi stessi come servi, e quindi non solo capaci di ricevere e di pretendere, ma anche di dare e di prestare servizio.

Concepire la propria vita come servizio (e non come occasione per erigere il pro-prio piedistallo sugli altri) è la proposta chiara di Gesù. Questa è, secondo lui, la via per acquistare davanti a Dio la vera grandezza e statura. Certo, il servire dev'essere un servire amoroso e fatto con generosità, ma deve essere anche un servire illuminato. Non sarebbe un servire illuminato quello di chi serve permettendo che l'altro si dispensi dal fare quanto deve fare lui (sarebbe questo un favorire la sua pigrizia e la sua indolenza);

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non sarebbe un vero atto d'amore nei suoi confronti né un vero servizio; non sarebbe il servire che chiede Gesù.

La mentalità del mondo pone la grandezza e il primato in cose ben diverse dal servizio (lo pone nel potere, nell'avere, nei titoli, negli onori, nell'essere sulla bocca di tutti, nel possedere doti particolari di bellezza o di forza muscolare, di cultura o di capacità canore e musicali...). I "grandi" proposti dalla società sono i campioni dello sport, i cantanti, i divi e le dive del cinema, quelli che possono permettersi ogni cosa che vogliono, i ricchi, i potenti, quelli che fanno carriera.... Il papa continua a proporre sempre nuovi modelli di grandezza di altro tipo: i santi, che sono i servi di Dio e i servi dei fratelli. (Mc 10,41-45; Lc 22,24-27; 1Tim 3,13)Di quali virtù è figlio il servizio?

Scrive Tagore: “Sognai che la vita era gioia; mi svegliai e vidi che era servizio. Mi misi a servire e trovai la gioia”.

9. Insegnamenti vari ( Mc 9, 38 - 50 )

a) Accogliere il bene ovunque esso sia (Mc 9,38-40).

L'apostolo Giovanni ha la mente e il cuore stretti: non sa accettare il bene fatto da altri a motivo che essi non sono collegati col gruppo di Gesù. Gesù, secondo lui, non dovrebbe permettere che altri scaccino i demoni servendosi del suo nome, e mante-nendosi nello stesso tempo distanti da lui. Giovanni vorrebbe chiarezza e coerenza; vorrebbe adesione piena e non situazioni confuse, equivoche e nebulose.Gesù invece ha viste più larghe di Giovanni. Egli accoglie e riconosce tutto il bene che fiorisce nelle mani degli uomini, accettando anche il bene compiuto da chi non è pienamente ancora suo discepolo. (Num 11, 24-30; Fil 1,12-18)

Lo Spirito Santo fa germogliare del bene anche nel cuore dei poco praticanti, degli atei, dei pagani, dei peccatori. Occorre saper vedere il bene che c'è anche in coloro che "non sono dei nostri" per cultura, per religione, per idee, per cammini di fede, per stile di vita. Non c'è nessun uomo che non abbia almeno un po' di bene di cui noi possiamo godere.

Dice il Concilio Vaticano II nella "Dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane": "La Chiesa cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo nelle altre religioni. Essa considera con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei precetti e quelle dottrine che, quantunque in molti punti differiscano da quanto essa stessa crede e propone, tuttavia non raramente riflettono un raggio di quella Verità che illumina tutti gli uomini. Essa però annuncia ed è tenuta ad annunciare incessantemente Cristo che è "la via, la verità e la vita" (Gv 14,6), in cui gli uomini trovano la pienezza della vita religiosa e in cui Dio ha riconciliato a sé tutte le cose. Essa perciò esorta i suoi figli affinché, con prudenza e carità, per mezzo del dialogo e la collaborazione con i seguaci delle altre religioni, rendendo testimonianza alla fede e alla vita cristiana, riconoscano, conservino e facciano progredire i beni spirituali e morali e i valori socio-culturali che si trovano in essi".

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E nel "Decreto sull'attività missionaria della Chiesa" il Concilio scrive: "Tutto ciò che di verità e di grazia è già riscontrabile, per una nascosta presenza di Dio, in mezzo alle genti, la Chiesa lo purifica dalle scorie del male e lo restituisce al suo autore, Cristo. Perciò quanto di bene si trova seminato nel cuore e nella mente degli uomini o nei riti particolari e nelle culture dei popoli, non solo non va perduto, ma viene sanato, elevato e perfezionato per la gloria di Dio, la confusione del demonio e la felicità dell'uomo".

Un proverbio popolare dice: “Anche un orologio rotto segna l’ora giusta due volte al giorno”.

b) Ogni gesto buono fatto in adesione a Gesù avrà la sua ricompensa (Mc 9,41).

Gesù assicura che ogni gesto, anche piccolissimo (come dare un bicchiere d'acqua) fatto nel suo nome (cioè fatto per lui, con lui e in lui; avente lui come moti-vazione) e compiuto quale frutto e conseguenza della propria adesione a Cristo (questo significa: "chi vi darà un bicchiere d'acqua perché siete di Cristo": infatti chi fa un gesto buono ad un discepolo di Cristo perché questi è discepolo di Cristo mostra di avere già egli stesso a sua volta aderito a Cristo) non rimarrà senza ricevere la sua ricompensa da parte di Dio.Non che Dio non ricompensi anche un atto di bontà fatto ad uno che non è discepolo di Cristo! Certo che lo ricompensa; ma qui si vuole indicare la motivazione con cui il discepolo di Gesù deve fare le cose.

Ecco dunque che il criterio ultimo di fecondità dell'agire è l'unione con Cristo. Tutto ciò che viene fatto in unione con lui ha valore soprannaturale, ha importanza eterna e ha significato definitivo. Ci guadagna il paradiso. (Gv 15,1-11; Gv 21,1-8).Tutte le azioni fatte per se stessi (nel proprio nome), cioè per il proprio egoistico interesse e tornaconto, resteranno senza ricompensa ed andranno perdute per sempre.

c) Non dare scandalo (Mc 9,42-50).

Lo scandalo è l'inciampo sulla via del bene (“skàndalon” in greco indica il pezzo di legno, o altra insidia messa sulla via di qualcuno perché inciampi e cada). Gesù è molto severo con chi ostacola e pone inciampo sulla via del bene agli altri, specialmente sulla via del bene di chi è debole e fragile nel compierlo. I "piccoli" di cui parla Gesù al v 42 sono i deboli nella fede, coloro che sono ancora fragili nella virtù e non sono ancora ben fermi nell'amicizia e nella sequela di lui. (Mt 18,6-7)

Ma anche con se stessi occorre essere molto coraggiosi e decisi: tutto ciò che in noi ci spinge al male va tolto con assoluta radicalità. La posta in gioco è troppo grande per giocare al compromesso: è la vita eterna stessa, la salvezza definitiva. Il pericolo in cui si potrebbe cadere è terribile: l'inferno. Vale la pena di rinunciare a tutto ciò che ci procura questo pericolo, fosse anche qualcosa di molto prezioso e importante per noi, come un piede, una mano, un occhio. (Mt 5,27-30; Mt 18,8-9).

Anche oggi ci sono molti scandali nel mondo. Si propongono modi di pensare e di agire che sono contrari al bene spirituale dell'uomo, alla fede, alla morale, al Vangelo (spettacoli, mode, avviamento al crimine...; ma anche quando io parlo male di una persona metto colui con cui parlo nell'occasione di parlare anche lui male di quella

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persona e gli sono occasione di peccato....). Infiniti sono i modi con cui si può dare scandalo; ogni cattiva azione diventa facilmente inciampo al bene per gli altri. Invece ogni azione buona spinge al bene; e avrà la sua ricompensa da Dio (Dan 12,3).

10. Gesu’ e il matrimonio ( Mc 10, 1 - 12 )

Gesù viene interrogato sul matrimonio e risponde che esso è indissolubile. Quando due persone si sposano, è Dio ad unirle, dice Gesù; per cui "non separi l'uomo ciò che Dio ha congiunto" (v 9).Avvicinato dai farisei e interrogato se sia lecito ad un uomo ripudiare la propria moglie, Gesù risponde con una domanda: "Che cosa vi ha ordinato Mosè?" I farisei si richiamano a Deut 24,1 (libro attribuito a Mosè) che permetteva il ripudio in caso che l'uomo avesse trovato "qualche cosa di vergognoso" nella propria moglie. Che cosa fosse questo "qualche cosa di vergognoso" era materia discussa. Secondo una corrente teologico-morale più rigida era la mancanza di fedeltà coniugale della moglie al proprio marito; secondo una corrente teologico-morale più lassista era, oltre a ciò, una infinità di altre cose (se la donna per un certo numero di anni non avesse avuto figli; perfino se avesse lasciato bruciare i cibi con una certa frequenza; se si fosse fermata a parlare da sola con un uomo; se avesse allattato il suo bambino lasciandosi vedere da qualche estraneo...).

Gesù rifacendosi al libro della Genesi (libro attribuito anch'esso a Mosè) afferma l'indissolubilità assoluta del matrimonio (Gen 1,27; Gen 2,24), e dice: "Ciò che Dio ha unito l'uomo non lo separi". Aggiunge poi: “Fu per la durezza del vostro cuore che Mosè (=Deut 24,1) vi permise di ripudiare le vostre mogli”. Era come dire: il "primo Mosè" (=Gen 1,27; Gen 2,24), il Mosè più perfetto, più alto, più vicino all'ideale autentico di Dio, sul matrimonio vi aveva proposto e chiesto l'indissolubilità assoluta; poi il "secondo Mosè" (Deut 24,1), per venire incontro alla durezza del vostro cuore e alla imperfezione del vostro amore, ha abbassato l'ideale e ha corretto, in meno, la norma. Ma Gesù riporta il matrimonio alla sua perfezione originaria assoluta.

Nella Bibbia troviamo un percorso di perfezionamento del matrimonio. Ini-zialmente era ammessa la poligamia (cfr Davide, Salomone, ecc), il ripudio, il passaggio ad altre nozze (per l'uomo, non per la donna). Poi nei libri successivi si fa l'elogio della coppia monogamica e fedele (libro di Tobia; Cantico dei Cantici), e si condanna il ripudio (Mal 2,10-16). Nel Nuovo Testamento Gesù perfeziona ancor più l'ideale del matrimonio (vedi anche i testi di Mt 5,31-32; Mt 19, 1-9). S. Paolo pure ribadisce l'indissolubilità del matrimonio in 1Cor 7,10-11. Secondo l'apostolo il vincolo tra i due sposi perdura anche nel caso che essi si separassero.Nella lettera agli Efesini, poi, S.Paolo parla della sacramentalità del matrimonio, e presenta il matrimonio come una realtà che deve riprodurre in se stessa l'alleanza d'amore tra Cristo e la Chiesa (Ef 5,21-33). L'alleanza tra Cristo e la Chiesa è un'alleanza indissolubile, definitiva e perenne, per cui anche l'alleanza tra gli sposi è un'alleanza indissolubile, definitiva e perenne.

Il Signore, chiamando all'amore indissolubile, chiama a crescere verso l'amore perfetto. L'amore perfetto infatti è un amore "per sempre". E questo “per sempre” può chiedere, in certi casi, l’eroismo.

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In ogni matrimonio non ci può non essere la fatica e la croce. Il papa Giovanni Paolo II ai giovani raccolti a Tor Vergata (Roma) per il loro Giubileo ha detto il 20 agosto 2000: "Voi pensate alla vostra scelta affettiva, e immagino che siate d'accordo: ciò che veramente conta nella vita è la persona con la quale si decide di condividerla. Attenti, però! Ogni persona umana è inevitabilmente limitata. Anche nel matrimonio più riuscito non si può non mettere in conto una certa misura di delusione..... Per cui ogni essere umano, prima o poi, si ritrova ad esclamare con Pietro: 'Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna'. Solo Gesù di Nazaret, il Figlio di Dio e di Maria, il Verbo eterno del Padre, nato duemila anni orsono a Betlemme di Giudea, è in grado di soddisfare le aspirazioni più profonde del cuore umano".

E' coltivando una sponsalità profonda con Cristo che si riceve da lui la forza e l'energia necessarie per vivere fedelmente, indissolubilmente, e generosamente la propria sponsalità nel matrimonio.

Vivere l'indissolubilità del matrimonio domanda tutta una serie di virtù (Col 3,12-17).

FLASH SUL MATRIMONIO CRISTIANO

1. Adrienne von Speyr, famosa mistica del secolo XX, parlando dei consacrati dice che all'inizio del loro cammino c'è una svista: non percepiscono cioè tutta la difficoltà che tale via comporta, altrimenti non avrebbero il coraggio di intraprenderla. Qualcosa di simile capita anche a chi si sposa: l'onda affettiva annebbia la vista. Ma il Signore, che ci conosce ed è fedele, con la sua costante presenza ci aiuta e ci sostiene.

2. I momenti di piena reciprocità e perfetta intesa tra gli sposi a livello psicologico, sentimentale, affettivo, fisico, culturale, di interessi, di sensibilità sono momenti di particolare grazia; inevitabili perciò saranno i momenti di difficoltà, di incomprensione, e anche di estraneità reciproca e di delusione. La bilancia è poche volte in equilibrio; essa oscilla secondo i ritmi della vita e anche della generosità di ciascuno; per cui occorrerà spesso un supplemento d'amore dell'uno o dell'altro dei coniugi.

3. Tali difficoltà del matrimonio sono l'occasione per scoprire una verità fondamentale: che la prima sponsalità, anche per gli sposi, è con Cristo; e che il matrimonio è una realtà “a tre". Nessun uomo è compimento pieno per una donna, e nessuna donna è compimento pieno per un uomo! Le difficoltà della vita matrimoniale diventano una palestra e una strada che orienta verso Cristo; e dall'incontro profondo e personale con Cristo, che è l'Amore, lo sposo e la sposa ritorneranno con rinnovato amore a un rapporto più vero e più generoso tra loro.

4. Mentre nel fidanzamento l'attrazione verso l'altro (l'altra) nasce spontaneo, la fedeltà nel tempo, per tutto il matrimonio, è frutto di grazia da chiedere e da implorare. C'è infatti nel matrimonio una dose di sacrificio, di dono, di abnegazione di sé che è necessaria, ma che viene dall'alto (è superiore alle nostre forze umane).

5. Può essere che le difficoltà di convivenza diventino davvero grandi, e allora se ne può parlare: gli sposi potranno capire -in un dialogo sincero e in un confronto fatto nella fede con altri fratelli cristiani, in un clima di preghiera e di ascolto dello Spirito- se

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la loro strada possa incamminarsi nella direzione di una separazione. Alle volte però lo Spirito può anche domandare il rimanere uniti, con eroismo.

6. La Chiesa, che è madre, non solo educa i nubendi alla responsabilità del matrimonio, ma riconosce anche dei casi in cui il vincolo matrimoniale può essere dichiarato nullo o annullato per mancanza di qualche requisito fondamentale. Per esempio la Chiesa riconosce nullo un matrimonio in cui i due contraenti (o anche uno solo di essi) non si fossero impegnati all'indissolubilità, o alla fedeltà, o alla fecondità del matrimonio; o nel caso di insufficiente maturità psicologica dei due (o anche di uno solo dei due). E arriva ad annullare un matrimonio che sia stato solo “rato ma non consumato", e il matrimonio di due sposi non cristiani di cui uno poi si converte al cristianesimo.

7. S. Agostino nel suo Sermone n. 336 dice queste belle parole: “In realtà ama veramente l'amico chi ama Dio nell'amico, o perché c'è già Dio nell'amico o affinché ci sia. Questo è il vero amore; amare in un'altra maniera non è amare, ma è portare odio". E in un altro passo scrive: “Beato chi ama te, Signore, e in te ama l'amico, e per te ama anche il nemico".Don Luigi Giussani scrive: “Cos'è l'amore se non volere il bene dell'altro? Non per avere qualcosa io, ma per il bene dell'altro, e il bene dell'altro è il rapporto col suo Destino".Soren Kierkegaard scrive: “Essere di aiuto ad un'altra creatura perché ami Dio significa amarla; essere sostenuto da un'altra creatura nell'amore di Dio significa essere amati".

11. Diventare bambini per entrare nel Regno dei cieli .

(Mc 10, 13 - 16 )

I bambini nella società ebraica erano persone senza alcun valore sociale; solo gli adulti avevano peso. Per poter parlare in pubblica assemblea bisognava avere più di venticinque anni (ed essere uomini, e non donne); per poter fare qualsiasi atto importante bisognava essere adulti. Nella mentalità ebraica la donna era possesso del marito, e il bambino era un'appendice della donna; per cui il bambino era il “povero" e l'ultimo in senso assoluto.

Gesù abbraccia questi “ultimi" della società e dice che di essi è il Regno dei cieli. Il Regno dei cieli è per tutti, anche per gli ultimi! Dio non fa esclusioni per nessuno: vuole dare a tutti il suo dono. Nessuno deve sentirsi quindi escluso dal Regno di Dio e dalla sua salvezza, purché lo voglia e lo desideri con sincerità di cuore, qualsiasi sia stato il suo passato.

Gesù dice: “Chi non accoglie il Regno di Dio come un bambino, non entrerà in esso". E in Mt 18,8 dice: ”Se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel Regno dei cieli".Come sono i bambini? E come dobbiamo diventare noi per entrare nel Regno dei cieli? I bambini non sono dei “santi"; hanno anch'essi le loro furbizie, fanno i capricci, hanno il

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loro egoismo! L'idea dei bambini senza difetti e tutto e solo bontà è un mito sbagliato e di pura fantasia. Non è in questo senso che dobbiamo diventare come i bambini (cioè senza difetti). Dobbiamo diventare come i bambini per le caratteristiche loro proprie che essi hanno e che noi adulti rischiamo di perdere.

a) I bambini sono “dipendenza". Dipendono dai loro genitori, dipendono dagli adulti. Sanno di non “potere", sanno di non “avere", sanno di non bastare a se stessi; ma ciò non li avvilisce, non li intristisce e non li fa arrabbiare; li spinge a domandare e a chiedere; addirittura a pretendere! Per essi è la cosa più naturale del mondo che i loro genitori provvedano alle loro necessità. E se ne stanno tranquilli. Il bambino è un povero “tranquillo", perché domanda e riceve tutto quanto gli occorre.L'uomo adulto invece nei confronti di Dio perde questo senso di dipendenza e di riconoscimento del proprio estremo bisogno; si vergogna della sua debolezza (davanti a sé, davanti a Dio e davanti agli altri); cerca in tutti i modi di nasconderla e di colmarla con i propri personali sforzi. Ha paura di apparire debole, bisognoso. L'uomo adulto non resta domanda, ma è tentato di diventare sforzo titanico bastante a se stesso, e cerca con le sue forze di acquistarsi il diritto di entrare nel Regno dei cieli. L'adulto ha paura di ricorrere a Dio e agli altri (perché questo gli appare “dipendenza"), e tende piuttosto a lanciarsi sulle vie dell'autonomia orgogliosa di sè. Ma così facendo egli nuoce a se stesso, privandosi del dono di Dio e dei fratelli. Un uomo così non può entrare nel Regno dei cieli, perché il Regno dei cieli è puro dono del Signore (Lc 1,51-53).

b) Il bambino è “sicurezza e tranquillità”. Egli si fida dei suoi genitori. Se è in braccio al papà o alla mamma non teme nulla e sfida ogni pericolo; subito sorride perché non ha paura. L'uomo adulto rischia di perdere nei confronti di Dio il senso della sua paternità e della propria figliolanza. L'uomo adulto tende a sentirsi “padre" e “dio" di se stesso, e quindi a sentirsi “orfano". E allora comincia ad avere paura. Il recupero del senso della Provvidenza non è facile. Il credere fino in fondo che Dio è Padre e che si cura con tenerezza e somma attenzione di ogni sua creatura in ogni istante e in ogni circostanza non è spontaneo. L’avere una tale fiducia in Dio buono e misericordioso da essere sicuro che Dio gli donerà il Regno dei cieli, anche se lui non se lo è rigorosamente “guadagnato”, richiede sforzo; richiede impegno di volontà; richiede fede. Il credente si sente in braccio a Dio, confida in lui; non ha paura (o meglio, vince e supera ogni paura che gli nasce in cuore); e da Dio sommamente misericordioso e buono attende il dono del Regno dei cieli (facendo lui, l’uomo, quanto con la grazia di Dio può fare). (Sal 131; Is 46, 3-4; Is 66, 12-13; Sap 19,22; Sal 145,9; 1 Pt 5,7; Fil 4,4-7; Mt 6, 25-34)

Dice S. Teresa di Gesù Bambino: “Non si ha mai troppa confidenza in Dio che è misericordia e amore". Un giorno che si addormentò in chiesa, durante il ringraziamento dopo la Comunione, scrisse: “Dovrei desolarmi di dormire durante l'orazione e il ringraziamento alla Comunione; ebbene non mi dèsolo, penso che i bambini piacciono ai loro genitori mentre dormono come quando sono svegli; penso che per fare le loro operazioni i medici addormentano i loro pazienti; infine penso che il Signore vede la nostra fragilità, si ricorda che noi siamo polvere; e ci ama così". Anche nei suoi limiti l'uomo credente confida nel Signore.

c) Il bambino è “immediatezza e spontaneità”. Non ha il problema di come verrà giudicato; si presenta per quello che è; dice le cose così come le ha viste e vissute

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(facendo magari talvolta arrossire il papà e la mamma che avrebbero voluto tenere nascosto qualcosa di meno bello agli amici; il bambino esce con certe frasi!). Questa immediatezza e spontaneità fanno sì che col bambino si possa instaurare un rapporto schietto e vero. L'adulto tende invece a porsi addosso delle maschere, a difendersi dagli altri, a badare molto alla propria immagine e ad apparire in un certo modo. In tale maniera diventa complicato e tortuoso dentro di sé; contorto. Ciò rende difficili i rapporti, e rende l’uomo adulto meno adatto anche al rapporto con Dio, all'incontro con lui. L'uomo adulto infatti, diventato così, è meno raggiungibile da Dio che è semplicità e immediatezza, somma verità.(Gen 4,9; Ger 2,22-24; Ger 3,4-5; Mc 11,27-33)

d) Il bambino è “sguardo spalancato sulla realtà”. E' occhi sgranati su tutto ciò che lo circonda. E' stupore, meraviglia, disposizione alla sorpresa e alla novità. Egli si muove con una partenza positiva verso tutte le cose: si lascia impressionare da tutto; è aperto al mistero. Tutto gli suscita domanda e da tutto si lascia raggiungere e plasmare; si lascia modellare. Il bambino è una spugna! L'adulto invece si è costruito una corazza e si difende dalla novità che non vuole accettare. Si è costruito un filtro ed è diventato selettivo: accetta solo ciò che decide di accettare. Se per un verso ciò è bene (è la sua capacità critica), dall'altro verso rischia di renderlo chiuso e incapace di accogliere ciò che è nuovo e bello, ciò che è oltre sé ed è il Mistero che lo salva (il Mistero di Dio). Dio infatti è sorpresa, novità, inimmaginato ed inaudito, cosa inedita che domanda sguardo aperto, libero e vergine da tutto; richiede sguardo curioso, desideroso, disponibile, attento.

I farisei al tempo di Gesù non avevano questo sguardo. Maria invece sì; così pure il vecchio Simeone, gli apostoli e gli altri discepoli. Il Regno di Dio, Gesù, il disegno del Signore sulla nostra vita e su quella dei nostri cari, la sua presenza e azione nella storia umana (sia in quella dei popoli che in quella più piccola che è la nostra storia quotidiana) domandano occhi di bambino per essere colti, visti ed accolti.(Is 43, 18-19; Mt 13, 14-16; Sal 119,18)

12. La ricchezza ( Mc 10, 17 - 31 )

Gesù è ancora nel periodo del suo esilio dalla Galilea e sta avviandosi verso Gerusalemme (in Mc 10,41 giungerà a Gerico per poi salire alla città santa). In questo periodo egli vive da ramingo e fuggiasco (in situazione di assoluta precarietà) e continua a dare ai suoi discepoli gli insegnamenti più impegnativi e più esigenti. In questo brano egli dice: dovete essere completamente distaccati dalla ricchezza per poter entrare nel Regno dei cieli. Con i vostri beni fate del bene.

a) Un tale gli corre incontro e gli domanda cosa debba fare per avere la vita eterna. Questo tale ha tutto ciò che gli serve per assicurarsi la vita terrena, ma gli manca il più, la vita eterna. Gesù gli risponde che per avere la vita eterna occorre procurasi un tesoro in cielo, occorre tesorizzare presso Dio; e che questo tesoro in cielo ce se lo procura donando ai fratelli poveri le proprie ricchezze.

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Non si possiede veramente (ed eternamente) se non quello che si è donato; quanto si è tenuto egoisticamente per sé lo si perderà, e lo si perderà per sempre.

b) Il versetto 21 contiene una perla preziosa e lucentissima: è lo sguardo d'amore di Gesù verso l'uomo ricco nel momento in cui gli chiede tutto e gli fa la proposta radicale e decisiva. Dio guarda sempre con occhio di particolare amore le sue creature quando chiede loro tutto. E' un suo atto d'amore il chiede e l'esigere, perché così può donare di più. Dio non è un ladro (c'è il rischio di sentirlo così!); egli è l'amico che desidera preparare in noi lo spazio per i suoi doni maggiori. “Avrai un tesoro in cielo; avrai la vita eterna; avrai il centuplo fin da quaggiù".

c) L'attaccamento alle ricchezze, dice la Bibbia, è un grande male: stravolge il cuore dell'uomo, lo rende chiuso a Dio e ai fratelli, genera liti e guerre (1Tim 6,6-10; 1Tim 6, 17-19; Giac 5,1-6; Lc 16,19-31; Lc 12,15; Mt 6,19-20; Prov 30,8).

d) Gli apostoli si meravigliano fortemente che Gesù chieda un distacco totale dalle ricchezze. Siccome tutti siamo ricchi (cioè abbiamo il cuore almeno un po' incollato alle cose di quaggiù), ecco la loro domanda: “Chi allora si potrà salvare?" “Impossibile presso gli uomini, ma non presso Dio", risponde Gesù. Dio può renderci capaci di vero distacco.

E' un punto su cui riflettere. Quanto siamo ancora attaccati alle cose, alle ricchezze di questo mondo? Ricchezze non sono solo i beni economici e il denaro, ma possono essere anche il mio tempo, il mio prestigio, il mio modo di vedere e di pensare, il mio puntiglio, ciò che mi piace, alla fin fine “il mio io". Tutto ciò mi rende “ricco", pieno di me stesso e quindi indisponibile al Regno di Dio. “Beati i puri di cuore -dice Gesù- perché vedranno Dio" (Mt 5,8); beati quelli che hanno il cuore puro, cioè libero e vergine da tutto.

e) Gli apostoli hanno lasciato ogni cosa per seguire Gesù. Ad essi Gesù promette il centuplo in questo mondo e poi la vita eterna. Dio non si lascia vincere in generosità, ma dà molto di più di quanto chiede e di quanto l'uomo gli dona. (Gen 12, 1-3; Mc 1,17; Mal 3,10-12)

f) Con i propri beni l'uomo può fare del bene, e il Signore vede volentieri che ci si ricordi dei poveri: ricompensa con grandi doni chi lo fa (Tob 4,7-11; Tob 12,8-9; Dan 4,24; At 10,3-6.31; Lc 21,1-3; Mt 6,1-4; 2Cor 8, 1-15; Sir 4,1-5; Sir 7,32-36).

13. Non dominare ma umilmente servire ( Mc 10, 32 - 45 )

a) Gesù parla per la terza volta agli apostoli della sua passione, morte e risurrezione. E' una lezione difficile, su cui egli insiste. Egli dovrà drammaticamente soffrire! Gesù è diretto a Gerusalemme, cioè verso la città del suo patire e del suo

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risorgere: egli lo sa, e non si ferma (avanza e persevera); rivela agli apostoli il senso di quel suo (e loro) viaggio. Gesù cammina deciso, determinato: egli affronta il suo destino con coraggio, con forza, con obbedienza alla volontà del Padre. I discepoli devono sapere che stanno seguendo un maestro che verrà ucciso. Ma Gesù “cammina davanti a loro". Gesù cammina sempre davanti ai suoi amici, specialmente per le strade della fatica e della prova. Egli è il loro “apri-pista". Non dobbiamo mai sentirci soli e abbandonati.

Dobbiamo sempre saper tenere sullo sfondo del nostro soffrire il momento finale della “risurrezione" e della vittoria, cioè dell'esito positivo e glorioso che Dio ci donerà. Nessun soffrire (in famiglia, al lavoro, in una malattia, in un terremoto, in una alluvione, in un'offesa…) resterà senza ricompensa e senza corona. Dio è fedele! Ci ricompenserà.

b) Gli apostoli hanno appena sentito Gesù parlare di passione, e inseguono i loro sogni di grandezza e di potere. Giacomo e Giovanni domandano a Gesù di poter sedere ai primi posti nel suo Regno. In loro parla l'orgoglio, il desiderio di primeggiare, il desiderio di esercitare potere. Anche gli altri apostoli sono imbevuti di tali istinti; infatti si arrabbiano con Giacomo e Giovanni (se fossero stati del tutto umili e disinteressati da ogni dominio non si sarebbero irritati e avrebbero lasciato tranquillamente i primi posti ai loro amici…).

Nel cuore dell'uomo alberga la cattiva radice del dominio e del protagonismo: io più degli altri, io sopra gli altri, io che “comando" agli altri. Tale atteggiamento è la rovina del dialogo, del confronto vero, del rispetto tra le persone, dell'amicizia e della comunione profonda. Questo istinto, non dominato, ha portato ai regimi totalitari, alle forme le più diverse di schiavitù, ai carrierismi, alla rottura di rapporti.Oltre che nei confronti delle persone, la sete di dominio si spinge facilmente anche verso le cose, che sono trattate senza rispetto (è il problema, ad esempio, dell'ecologia), e verso gli avvenimenti e i fatti (che si vorrebbe decidere e determinare sempre in base ai nostri voleri).

c) Gesù propone l'umiltà e il servizio, e offre se stesso come esempio e modello. La vera grandezza, egli dice, sta nel servire e nel farsi umili. Molto giova per acquistare l'umiltà il guardare a lui e ai suoi comportamenti, in particolare alla sua vita nascosta a Nazareth, alla lavanda dei piedi (Gv 13,1-15), al suo comportamento durante la passione.Molto giova guardare anche a Maria, l'umile serva del Signore che così poco ha parlato (i Vangeli registrano solo pochissime sue parole) e che è vissuta nel più grande silenzio e nascondimento.“Ama di essere dimenticato e di essere considerato un nulla”, dice il libro “Imitazione di Cristo”. E il beato Josemaria Escrivà scrive: “Non voler essere come quella banderuola dorata del grande edificio; per quanto brilli e per quanto stia in alto, non conta nulla per la solidità della costruzione. Fossi tu come la vecchia pietra nascosta nelle fondamenta, sotto terra, dove nessuno ti vede: proprio per te la casa non crollerà”. “Non sei umile quando ti umili, bensì quando ti umiliano e lo sopporti per Cristo”. “La conoscenza di sé conduce, quasi per mano, all'umiltà”. “Non è mancanza d'umiltà che tu riconosca il progresso della tua anima. Così ne puoi ringraziare Dio. Non dimenticare che sei un poveretto che indossa un bel abito imprestato”.

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14. La guarigione del cieco di Geerico ( Mc 10, 46 - 52 )

a) Gesù ha già guarito un cieco, a Betsaida (Mc 8,22-26); e Marco aveva posto quel miracolo in un punto “strategico” del suo Vangelo, cioè all’inizio dell’autorivelazione di Gesù quale Messia che dovrà essere crocifisso e ucciso. Era come dire: per riconoscere nel Gesù crocifisso il Messia inviato da Dio occorre avere occhi sani, occhi che ci vedono bene, occhi guariti.Ora Marco riporta un secondo episodio di guarigione di un cieco e lo pone anche questa volta in un punto “strategico” del Vangelo, alla vigilia dell’arrivo di Gesù a Gerusalemme ove egli sarà crocifisso, ucciso e ove risorgerà. Anche qui è come se l’evangelista volesse dire: per riconoscere nel Cristo appeso in croce il Messia di Dio occorrono occhi sani, occhi che ci vedono, occhi guariti da Gesù.

b) Bartimeo è cieco. Il cieco non vede, non può camminare più di tanto: inciamperebbe e andrebbe fuori strada. Peggio se un cieco guida un altro cieco! (Lc 6,39). Bartimeo è seduto ed è fermo; è seduto fuori strada (il greco dice “presso” la strada); Bartimeo non è in strada, ma fuori, ai margini, a lato della strada.

Ogni uomo spiritualmente cieco non vede la strada, non cammina sulla strada e va fuori della via. Forse fa tanta strada, ma fuori della Strada. Anche il figliol prodigo ha fatto tanta strada, ma finendo ogni passo più lontano da casa… La Strada, la Via è Cristo (Gv 14,6). Ogni uomo spiritualmente cieco non vede la Verità, erra lontano dalla Verità e cade nello sbaglio, nell’errore, nelle tenebre. E si fa male. La Verità è Cristo (Gv 14,6). Ogni uomo spiritualmente cieco è povero, è miserevole, indigente (anche se economicamente ricco), e quindi ha una vita spiritualmente stentata e rachitica; così come è povero Bartimeo, che per vivere è costretto a mendicare. Cristo è la Vita, la Verità e la Vita (Gv 14,6; Apoc 3,17-18).

c) Ma Bartimeo chiede, domanda, grida aiuto. Marco dice che Bartimeo era un mendicante. Per dire “mendicante” Marco usa la parola “prosaités”. “Prosaités” significa “uno che domanda, che chiede, che grida verso un altro” ( “prosaités” è formato da “pros” = verso e “aitéo” = chiedo, domando). Per cui la parola “mendicante” non traduce compiutamente la parola greca “prosaités”. “Mendicante” indica piuttosto uno che è povero e indigente, mentre “prosaités” mette in modo più evidente l’accento sul fatto che la persona povera e indigente domanda, chiede, desidera e grida aiuto verso un altro.

Bartimeo sa gridare e chiedere con energia. Non si lascia frenare dalla folla che fa chiasso, né da coloro che vorrebbero farlo tacere. La sua domanda è umile, forte, fiduciosa e perseverante. Anche la nostra preghiera trova tanti ostacoli che la vorrebbero fermare (difficoltà di trovare il tempo, numero stragrande di impegni, stanchezza, noia e distrazioni durante l’orazione, senso di inutilità, senso di incapacità, senso di indegnità…). Ma la preghiera deve essere assicurata lo stesso (Rom 12,12; Ef 6,18; 1Tess 5,17; Sir 35,13-17; Is 62,6-7).

d) Bartimeo fa un’esperienza bellissima, quella di sentirsi chiamare. Gesù dice: “Chiamatelo”. Il sentirsi chiamare è sentirsi voluti, desiderati, cercati, amati. E’ il

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profondo bisogno del cuore umano. Bartimeo prende forza e spicca un salto, abbandonando anche il mantello, proprio perché si sente chiamare. E va da Gesù.

Dio chiama ogni uomo. Lo ha chiamato all’esistenza, lo chiama alla fede, lo chiama ad ogni stagione della vita (Mt 20,1-7), lo chiama di continuo stando alla porta del suo cuore (Apoc 3,20), lo chiama per mezzo delle ispirazioni continue dello Spirito Santo (Gv 16, 13). Dio ci vuole, Dio “mi” vuole!Ci chiama anche per mezzo di mille cause seconde (persone, libri, avvenimenti, fatti, notizie…), come Bartimeo che fu chiamato da Gesù tramite alcuni della folla.Il sentirci chiamati da Dio, prima ancora di farci sentire impegnati a rispondere e a corrispondere alle sue chiamate, deve farci sentire da lui amati. Se non ci amasse non ci chiamerebbe! Se non ci amasse non si interesserebbe a noi! E invece ci chiama! Allora ci ama! Restiamo su questo pensiero! A lungo! Poi, poi risponderemo….(Gv 11,28; Lc 7,14; Mc 5,41; Mc 1,17).

e) Gesù chiede a Bartimeo: “Che vuoi che io ti faccia?” La domanda di Gesù è volta a far sì che Bartimeo si renda sempre più conto di ciò di cui ha bisogno. E’ una domanda fatta non per sé (Gesù), ma per lui (Bartimeo).

Siamo noi questo Bartimeo che ha bisogno di chiarirsi sempre meglio davanti agli occhi lo stato della propria coscienza, la situazione esatta in cui ci troviamo di fronte a Dio. Dove sono davanti a lui? Come sto rispondendo al suo disegno sulla mia vita? Quanto gli sono vicino, o lontano? Che cosa mi tiene distante da lui? Faccio la sua volontà? A che punto sono con il mio prossimo? Qual è il difetto principale che ho? Questa settimana in che cosa mi impegnerò? Che cosa di preciso vorrei che il Signore mi facesse? Purtroppo, forse, perdiamo molto tempo prezioso andando avanti nella vita senza un programma ben chiaro e un obiettivo concreto, senza un impegno preciso su cui lavorare. Andiamo avanti così, pressappoco, e se Gesù all’improvviso ci chiedesse (per esempio mentre siamo appena tornati nel banco dopo aver ricevuto l’Eucaristia): “Che vuoi che io ti faccia?”, saremmo presi alla sprovvista, e lì per lì non sapremmo forse cosa rispondergli…; dovremmo cominciare a frugare nella nostra mente…

f) Bartimeo guarito prese a seguire Gesù per la strada. Gesù è “la via” da seguire; lui, la sua persona, prima ancora che la sua dottrina….”Io sono la via” (Gv 14,6). …….Rimanere uniti a lui. “Rimanete in me e io in voi” (Gv 15,4).(Sal 17,5; Sal 25,4; Sal 27,11; Sal 86,11; Sal 143,8; Is 30,19-22)

L’ ultimo periodo della vita di Gesu’a Gerusalemme

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( Mc 11 - 16 )

Come abbiamo già precedentemente detto, la vita di Gesù può essere divisa in cinque momenti:

1) L’infanzia, l’adolescenza e la giovinezza passate a Nazareth, fino a 34 anni circa (ne parlano Mt 1-2 e Lc 1-2).

2) Il breve periodo nel deserto, quando Gesù andò a farsi battezzare al Giordano da Giovanni e si fermò nel deserto di Giuda ove fu tentato da Satana; circa due mesi, nell’autunno dell’anno 27 d.C. (ne parla Mc 1,9-13).

3) L’anno e mezzo di ministero in Galilea, in cui Gesù predicò e annunciò il Regno di Dio, compì miracoli, costituì la sua piccola comunità; dall’autunno dell’anno 27 alla primavera dell’anno 29 d.C. (ne parla Mc 1,14 – 7,23).

4) Il periodo dell’esilio volontario dalla Galilea, in cui Gesù istruì i suoi discepoli, e in particolare i Dodici, sulle forti esigenze della sua sequela e in cui parlò loro di passione, morte e risurrezione; circa sei mesi, dalla primavera all’autunno (dalla Pasqua alla festa delle Capanne) dell’anno 29 d.C. (ne parla Mc 7,24 – 10,52).

5) Il periodo passato a Gerusalemme insegnando al tempio, alla fine del quale Gesù morì e risuscitò; circa sei mesi, dall’autunno (festa delle Capanne) dell’anno 29 alla primavera (festa di Pasqua) dell’anno 30 d.C. (ne parla Mc 11,1 – 16,20).

Ci occupiamo ora dell’ultimo periodo.Gesù arrivò a Gerusalemme per la festa delle Capanne (che ricorreva verso

settembre-ottobre) dell’anno 29 d.C. L’evangelista Giovanni al cap 7 ci dice espressamente che Gesù venne a Gerusalemme per questa festa. Probabilmente fu in quella occasione che i suoi discepoli organizzarono quella manifestazione di acclamazione nei suoi confronti che noi siamo soliti ambientare nella “domenica delle palme”. Infatti in occasione della festa delle Capanne la gente veniva a Gerusalemme con grande gioia (era la festa conclusiva del raccolto e del ringraziamento; era la festa anche che ricordava il cammino nel deserto dopo l’uscita dall’Egitto, quando gli Ebrei dimorarono sotto le tende ); e in quella occasione i vari gruppi di persone che vi venivano approfittavano del clima festoso per fare festa attorno al proprio leader, al personaggio più significativo e più importante del proprio gruppo (anche per metterlo in luce e in onore presso gli altri pellegrini), e compivano gesti pubblici di acclamazione e di stima nei suoi riguardi.Anche il fatto che i Vangeli riportano in occasione della festa di acclamazione di Gesù, organizzata dai suoi discepoli, il particolare che sia essi, i discepoli, che i bambini e i ragazzi avevano in mano ramoscelli d’albero e frasche con cui facevano festa a Gesù, ci riporta alla festa delle Capanne, perché durante il suo svolgimento (una settimana) i pellegrini venuti a Gerusalemme abitavano in capanne di frasche e formavano frequenti cortei organizzando danze e agitando in mano ramoscelli strappati dagli alberi e frasche piene di foglie. E’ vero che i Vangeli sembrano dirci che tale festa “delle palme” fu

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organizzata per Gesù nell’ultima settimana della sua vita, ma i Vangeli non sempre sono precisi nella cronologia e spesso “condensano” i fatti che raccontano, accorciando il tempo in realtà intercorso tra un fatto e l’altro.

Una volta venuto a Gerusalemme, Gesù passò quei sei mesi, gli ultimi della sua vita, andando tutti i giorni al tempio (Lc 19,47): di giorno stava al tempio e la sera andava a Betania per la notte (Mc 11,11), solitamente -con tutta probabilità- da Marta, Maria e Lazzaro con cui era in particolare amicizia e confidenza; oppure si fermava sul monte degli Ulivi e pernottava all’aperto (Lc 21,37).

Sul lato orientale della spianata del tempio c’era un lungo porticato sotto cui si mettevano i rabbini e i dottori della legge per impartire i loro insegnamenti e per risolvere i casi di comportamento morale che la gente sottoponeva al loro giudizio. Il Vangelo di Giovanni ci dice che anche Gesù si poneva sotto quel porticato (Gv 10,23), ed insegnava ed accoglieva tutti coloro che andavano da lui per ascoltarlo e per interrogarlo (Gv 10,24; Lc 21,38). Naturalmente l’insegnamento di Gesù era ben diverso su tanti punti da quello degli scribi e dei dottori della legge, per cui crebbe rapidamente, e sempre più, la loro avversione contro di lui, fino a pensare di farlo morire; per cui Gesù dovette a un certo punto fuggire e riparare nel deserto di Giuda (Gv 11,53-54).Dovettero essere, quelli, mesi di grande tensione e difficoltà per Gesù: i dottori della legge lo contestavano con ostinazione e gli ponevano continue questioni tra le più spinose e scottanti per trarlo in fallo e poterlo accusare (ad esempio sulla politica e sul tributo da pagare a Cesare: Mc 12,13-17; sulla resurrezione dei morti: Mc 12,18-27; sull’osservanza della legge e sul primo dei comandamenti: Mc 12, 28-34). Gesù ebbe vita dura e faticosa, e svolse il suo ministero in un clima di ostilità, di avversione profonda e di contestazione radicale.

In quei sei mesi di insegnamento egli si richiamò e si riferì alla figura e al messaggio del profeta Geremia. In Galilea egli aveva parlato del Regno di Dio e si era ispirato alle figure e al messaggio dei profeti Elia ed Isaia (i profeti dell’assoluto di Dio, della signoria regale del Signore); ora a Gerusalemme Gesù offre e proclama un altro messaggio: parla della autentica e vera alleanza da vivere con Dio. Egli contesta il ricco e sfarzoso culto svolto al tempio, perché vuoto e privo di contenuto, incapace di stabilire un vero rapporto con Dio; e dice che Dio vuole un culto più interiore e più vero, chiede un’alleanza fatta con la vita e non di soli riti.Il profeta Geremia in antico aveva già contestato il culto al tempio, e aveva detto: “Non basta avere il tempio per essere salvi; questo tempio sarà distrutto e la stessa città di Gerusalemme verrà distrutta se non ascolterete la voce di Dio. Come è avvenuto al santuario di Silo così avverrà anche a questo tempio di Gerusalemme!” (Ger 7). Gesù andava dicendo le stesse cose, attualizzando in modo preciso e impressionante il messaggio di Geremia (cfr Mc 13,1-2; Lc 13, 34-35; Lc 19, 41-44). Ed era pericoloso dire quelle cose! Geremia era stato perseguitato per aver detto tali cose!

Gesù compì in quei mesi anche un gesto di grande portata e significato: cacciò i mercanti dal tempio (Mc 11,15-19). C’erano sulla spianata del tempio banchi di commercianti di tortore, colombi e altri animali per chi avesse voluto compiere un sacrificio al tempio, e tavoli di cambiavalute che dovevano cambiare le monete estere dei pellegrini venuti da fuori Israele in monete ebraiche, le uniche accettate al tempio. Il

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commercio e gli affari invadevano l’area sacra della preghiera, e allora Gesù interviene e getta all’aria i banchi dei commercianti e i tavoli dei cambiavalute. Non dovette essere un gesto di chissà quali proporzioni, ma piuttosto di grande e profondo significato; con quel gesto Gesù voleva dire: il culto, così come viene praticato qui al tempio, è corrotto, non è gradito a Dio, e non è espressione di vera alleanza con lui; occorre rinnovare tutto.

Gesù pose pure un altro gesto profetico in quei mesi: maledisse un fico, che immediatamente si seccò (Mc 11,12-14. 20-25); era un fico che aveva solo foglie, e non frutti (Mc 11,12-14. 20-25). Il significato di quel gesto era un giudizio espresso sul culto al tempio di Gerusalemme, ricco di “foglie” (cioè esteriorità), ma privo di frutti (vera unione con Dio). A Gerusalemme, là dove c’era il massimo di sontuosità, l’intervento di Gesù diceva: di tutto questo non resterà niente; è tutto secco!Questo messaggio e questa presa di posizione di Gesù andava terribilmente contro i farisei e il potere dei Sadducei, che erano i “gestori” del culto al tempio, fino a deciderli di togliere di mezzo Gesù con la morte. Durante il processo si citeranno contro di lui proprio queste sue denunce contro il tempio (Mc 14,57-58).

Alcuni richiami di Gesù al profeta Geremia in questi capitoli sono:- Mc 11,17: vedi Ger 7,11- Mc 12,1-5: vedi Ger 7,25-26- Mc 13,1-2: vedi Ger 7,12-14- Mc 14, 24 e Lc 22,20: vedi Ger 31,31-34 (questo è l’unico passo dell’Antico

Testamento in cui è annunciata una nuova alleanza).

Gesù dunque fu un Gesù profondamente “geremiano” in quei sei mesi; e alla fine di essi fu ucciso e messo in croce, perseguitato come e più dell’antico Geremia.

Ma prima di morire, durante l’ultima cena, egli che aveva contestato il modo di vivere l’alleanza con Dio al tempio, stipulerà la nuova ed eterna alleanza nel suo sangue, cioè nel “sì” obbediente e totale al Padre fino alla morte di croce (Mc 14,24). In quella alleanza siamo invitati ad entrare anche noi con il nostro “sì” fedele a Dio.

1. L’ ingresso messianico di Gesu’ a Gerusalemme (Mc 11, 1 - 11 )

Gesù, arrivato a Gerusalemme per la festa delle Capanne, viene portato in trionfo dai suoi apostoli. I Dodici vogliono esprimere così la loro stima e il loro entusiasmo per Gesù, e insieme anche segnalarlo all’attenzione e alla considerazione degli altri pellegrini e di tutta la città di Gerusalemme.Dal testo appare però che è Gesù stesso a prendere l’iniziativa di entrare in Gerusalemme quale Re messianico.

Il racconto mostra in più parti la messianicità e la regalità di Gesù:

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a) Gesù manda a prendere un asino. L’asino era la cavalcatura che il profeta Zaccaria aveva predetto come cavalcatura del Messia (Zac 9,9-10). Non quindi un cavallo o un carro da guerra (segni di forza e di violenza), ma un asino mite e pacifico. Il Messia non sarebbe venuto con la forza e con la violenza, per esercitare potere e dominio sul mondo, ma sarebbe venuto in umiltà e mitezza, per incontrare e salvare gli uomini.In un libro giudaico era scritto: “Chi vede un asino in sogno, speri nel Regno messianico, perché sta scritto: Ecco, a te viene il tuo Re; umile egli cavalca un asino (e cita Zac 9,9-10). Dunque l’asino era sentito come la cavalcatura del Messia.E’ questo un grande insegnamento di Gesù. Altrove egli dice: “Imparate da me che sono mite e umile di cuore” (Mt 11,29).Il mondo sembra invece andare avanti su altre “cavalcature”: sulla forza, sulla violenza, sull’orgoglio, sul prestigio, sul potere economico, sull’istinto di sottomettere e di dominare…). Qual è il nostro modo di entrare in rapporto con le persone, e quale la nostra “cavalcatura” su cui procediamo?

b) Sull’asino portato a Gesù nessuno era ancora salito. Anche questo è un tratto di regalità e di dignità per Gesù. L’asino portato a Gesù è un asino intatto, non ancora “sfruttato” e “soggiogato” da nessuno. Anche la tomba in cui Gesù sarà deposto sarà una tomba nuova, in cui nessuno era mai stato ancora deposto (Lc 23,53).Così il nostro cuore e la nostra vita devono essere “vergini” per Cristo, liberi (o liberati) da qualsiasi altro padrone-idolo che li contaminasse, li occupasse, li volesse possedere prima e più di Gesù.

c) Gesù dà ordine di andare a prendere un asino, di slegarlo e di portarlo a lui. Era diritto del re di disporre anche delle cose altrui e di servirsene a proprio uso. In 1Sam 8,16 si annoverano, tra i vari diritti del re, anche questo: “Vi sequestrerà gli schiavi e le schiave, i vostri armenti migliori e i vostri asini e li adopererà nei suoi lavori”.

Cristo è il Re che può disporre di tutto ciò che noi possediamo: salute, affetti, tempo, energie, beni economici, presente, futuro, vita, morte… E’ lui il Signore.E’ interessante che al v 3 Gesù dica: “Se qualcuno vi dirà: “Perché slegate l’asino? , voi rispondete: Il suo padrone ne ha bisogno”. Gesù si presenta come il padrone dell’asino (la Bibbia CEI traduce poco bene: “Il Signore ne ha bisogno”).

Gesù però esercita il suo “potere” con discrezione, con bontà e con dolcezza somma, con pieno rispetto. Infatti egli dice ai suoi apostoli di rassicurare subito chi chiedesse loro: “Perché slegate l’asino?” dicendo: “Il Signore lo rimanderà subito indietro!”; non abbiate paura, non se lo terrà per sé! Gesù è delicato e non fa il despota.

d) Il testo greco al v 7 dice: “Gesù si sedette sull’asino” (la Bibbia CEI traducendo poco bene dice: “Gesù vi montò sopra”). Lo stare seduto di Gesù in groppa all’asino ce lo presenta in atteggiamento regale: il Re sta seduto sul suo trono.

e) Gli apostoli e la gente stendono i loro mantelli sull’asino e sulla strada”. Anche questo è un segno di regalità e di dignità per Gesù. In 2Re 9,13 si dice che tutti stesero le loro vesti davanti a Ieu nel momento in cui fu proclamato re di Israele.

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f) Infine la stessa acclamazione “Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore!” è un’acclamazione regale e messianica; è l’acclamazione rivolta al re che Dio avrebbe mandato al suo popolo.

Dunque Cristo è Re e Messia!

Dalla Bibbia egli appare come un Re pastore (Ez 34,10-16; Gv 10,1-18); un Re sposo (Sal 45; Mc 2,19; Gv 3,27-30); un Re crocifisso (Gv 18,33-37; Gv 19, 19-22); un Re glorioso (Fil 2,9-11).

Per la riflessione

1. Come viviamo noi la regalità di Cristo? Gli siamo sottomessi e obbedienti? C’è qualcosa della nostra vita che ancora si sottrae alla sua signoria?

2. Il nostro amore per lui è fatto di molto entusiasmo che poi svanisce, a somiglianza dell’entusiasmo degli apostoli e delle folle che quel giorno gli fecero festa ma al momento della passione lo abbandonarono?

3. Chiediamo spesso e con forza: “Venga il tuo Regno”? Desideriamo che la nostra vita e tutto il mondo, e tutta la storia, diventino Regno di Dio? Il Regno di Dio è verità, giustizia, pace, solidarietà, amore.

4. Ci rendiamo “asini” disponibili perché Gesù porti avanti il suo Regno (cioè ci rendiamo strumenti che lui può utilizzare)? E siamo strumenti umili? “Sarebbe stato strano che l’asino di Gesù quel giorno fosse tutto gongolante pensando che la festa fosse per lui, e muovesse la testa di qua e di là per ringraziare…”, nota umoristicamente in un suo scritto Papa Luciani.

5. Siamo ancora “legati” a qualche cosa che ci rende poco adatti a servire il Regno di Dio? A che cosa? Preghiamo Gesù perché ci “sleghi”?

2. La purificazione del tempio ( Mc 11, 15 - 19 )

Gesù nel corso dei suoi ultimi sei mesi di vita passati a Gerusalemme compì un gesto straordinariamente significativo e audace, che gli attirò l’odio e l’avversione senza limiti degli scribi, dei farisei e dei sadducei, i quali, tutti insieme, decisero di eliminarlo fisicamente e di farlo morire.

Il gesto fu quello di cacciare, un giorno, dai cortili del tempio, la gente che comprava e vendeva, di ribaltare i tavoli e le sedie dei cambiavalute e dei venditori di colombe, e di impedire che chi voleva andare da un lato all’altro della città con oggetti e masserizie passando per il recinto del tempio (così da abbreviare la strada e fare più presto) non lo potesse fare. Tutto ciò era agli occhi di Gesù una profanazione del luogo

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santo, che doveva invece rimanere un luogo del tutto dedicato al rispetto assoluto di Dio.

Immaginiamo questo rabbi di Nazareth, che sulla spianata del tempio si arroga la libertà e il diritto di compiere gesti di contestazione e di critica al sistema religioso allora vigente, e che da solo osa sfidare la gente, contestare le cose così come venivano praticate al tempio, e mettersi in aperto contrasto con i capi religiosi-gestori del culto, denunciando “il sistema” come corrotto e inefficace. Altri prima di lui avevano contestato il culto al tempio, ma o se n’erano semplicemente andati, ritirandosi nel deserto (gli Esseni), o avevano evitato di frequentare il tempio e le sue cerimonie ( i Battisti, Giovanni il Battista stesso). Invece Gesù, proprio nel luogo sacro, cuore delle religione ebraica, pone un gesto di contestazione e di dissenso, rischiando la vita.

Tale gesto compiuto da Gesù non dovette essere un gesto dalle proporzioni chissà che grandi: Gesù non dovette cacciare dai cortili del tempio chissà quante persone (da solo come avrebbe potuto fare?); non dovette ribaltare chissà quanti tavoli e sedie di cambiavalute e di venditori di colombe (l’avrebbero fermato subito!); e d’altra parte il testo greco dice “cominciò a…”, mettendo l’accento sull’azione nei suoi inizi, nelle sue battute iniziali; Gesù poi non dovette bloccare chissà quanta gente che stava passando per il tempio con cose profane di ogni genere (il testo greco dice “non permetteva che trasportassero…”, usa un imperfetto di conato, per indicare che Gesù tentava, si sforzava, di impedire che ciò avvenisse). D’altra parte non possiamo pensare a un Gesù che abbia fatto ricorso alla violenza, alle mani addosso, alla forza cattiva, frutto solo di rabbia e di ira; egli era anche in quel momento il maestro mite ed umile di cuore che sempre e in ogni occasione portava avanti il Regno di Dio con grande mansuetudine.

L’evangelista Giovanni (Gv 2, 13-16) insiste di più dei Sinottici sulla forza di Gesù mettendogli in mano una sferza di cordicelle per cacciare tutti dal tempio; ma questo elemento è preso, con tutta probabilità, da Is 11,4 , ove parlando del Messia si dice che la parola del Messia sarebbe stata come una “sferza” che avrebbe percosso il violento. Per cui il gesto di Gesù dovette ridursi, materialmente, a piccola cosa.

Ma straordinario e grandissimo invece dovette essere il significato di quel gesto, che subito venne percepito come un attentato gravissimo al cuore della religione ebraica: Gesù con quel gesto dichiarava vuoto, corrotto, e assolutamente sgradito a Dio il culto che lì vi si celebrava, perché fatto di sola esteriorità e privo della fedeltà alle esigenze dell’alleanza con Dio nella vita. Era quella una contestazione gravissima; come gravissime erano le parole che Gesù disse (citando i profeti): “La mia casa sarà chiamata casa di preghiera per tutte le genti; voi invece ne avete fatto una spelonca di ladri!” Gesù con quel gesto e con quelle parole si richiamava e si ricollegava a tutto un filone profetico dell’Antico Testamento in cui si condanna un culto non accompagnato dall’osservanza della Legge di Dio nel quotidiano (Am 5,4-7; Is 1,10-20; Ger 7, 1-14. 21-28; Sal 50).

Il Sal 50 è un processo che Dio intenta al suo popolo proprio su questo tema.Nella prima parte del Salmo (i vv 1-6) viene descritto il convenire delle due parti

(Dio e Israele) in processo. Dio si fa presente in Sion, nel luogo santo, per mezzo dei tipici elementi delle teofanie (luce, fuoco, tempesta). Egli convoca Israele, gli invia il mandato di comparizione e lo fa venire al processo, perché ha qualcosa da dirgli e ha bisogno di parlargli. Il processo dovrà essere celebrato al cospetto del cielo e della terra

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(tanto esso è importante); cielo e terra dovranno fungere da spettatori e insieme da testimoni notarili a cui è assegnato il compito di assicurare la legalità del procedimento.

Nella seconda parte del Salmo (vv 7-23) si celebra il processo vero e proprio. Dio mette avanti ad Israele il capo d’accusa.

C’è dapprima un esordio (v 7) in cui Dio fa risuonare la formula dell’alleanza: egli si definisce “il Dio di Israele” e chiama Israele “popolo mio” (è la formula classica del patto). Ricorda cioè ad Israele che tra di loro c’è stata un’alleanza, un’amicizia; non sono degli estranei, Dio e Israele…Quindi la colpa di Israele è particolarmente grande!

C’è poi la requisitoria (vv 8-21): Dio rimprovera Israele perché mentre al tempio è perfetto (offre tanti sacrifici e preghiere), nella vita di tutti i giorni non osserva la Legge del decalogo (ruba, commette adulterio, dice falsità, parla male del prossimo). Dio non può sopportare questo. Egli non ha bisogno di nutrirsi delle carni dei giovenchi, dei tori, dei capri che gli Israeliti gli offrono al tempio (se avesse fame, Dio saprebbe come fare a sfamarsi: sono sue tutte le bestie della terra e gli uccelli del cielo!). Anzi, Israele non pensi di chiudergli la bocca mettendogli tra i denti qualcosa da mangiare, quasi che Dio, mentre è contento delle carni che riceve in sacrificio e le mangia, rinunci a rimproverarlo per i peccati che commette…! No, Dio non si lascia chiudere la bocca da pur generose offerte cultuali (è la fine ironia sottesa ai vv 13 e 21). Dio vuole e richiede da Israele, invece, come sacrificio, il riconoscimento dei suoi peccati e il pentimento; richiede la conversione della vita. Al v 14 la traduzione CEI non è esatta; la traduzione esatta dice: “Offri a Dio come sacrificio il riconoscimento dei tuoi peccati (e non un sacrificio di lode, come dice la traduzione CEI). Dio vuole la conversione della vita e l’osservanza della Legge; allora anche il culto al tempio gli sarà accetto.

C’è infine la perorazione finale (vv 22-23) in cui Dio invita il popolo ad ascoltare il suo invito e il suo richiamo, con la conseguente promessa di donargli di nuovo la pienezza della salvezza: “Chi offre come sacrificio il riconoscimento dei suoi peccati (e non, come sopra, il sacrificio di lode) questi mi onora, a chi cammina per la retta via mostrerò la salvezza di Dio”.

Per la riflessione

1. Dio non gradisce un culto fatto di tante cerimonie ma non accompagnato da una vita buona. L’uomo è sempre esposto al pericolo di ridurre a solo culto la sua relazione con Dio.

2. Il celebrare il culto deve rafforzare in chi lo celebra la capacità di vivere secondo Dio e secondo il Vangelo in ogni momento della vita quotidiana.

3. Il fico seccato da Gesu’ (Mc 11, 12 - 14. 20 - 25 )

Gesù nei suoi ultimi sei mesi di vita passati a Gerusalemme compì un secondo gesto simbolico ricco di significato, che lasciò perplessi i suoi discepoli (e che pone anche a noi qualche problema, almeno in un primo momento). Il gesto fu quello di far

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seccare (un giorno che Gesù camminava da Betania a Gerusalemme con i suoi apostoli) un albero di fico ricco di foglie ma privo di frutti. Gesù passando vi cercò dei fichi, ma non trovandone, disse all’albero: “Nessuno possa mai più mangiare i tuoi frutti”, e quell’albero all’istante si seccò.

Il Vangelo dice esplicitamente che “quella non era la stagione dei fichi”; e allora -ci domandiamo- perché Gesù fece seccare quel fico? Certo non potè trattarsi di un castigo, perché un castigo suppone una colpa, e quell’albero di fico non poteva essere incolpato di non produrre frutti fuori stagione!… Fu invece un gesto simbolico con cui Gesù volle dare un messaggio forte e chiaro.

Notiamo, di passaggio, che il Creatore delle cose può decidere liberamente la sorte di esse e può fissare liberamente quanto tenerle in vita e quando farle morire; può stabilire su di esse un suo disegno e fare con esse quanto pensa per il bene dell’umanità; così Dio ha agito con quel fico. Quell’albero di fico servì, nel disegno di Dio e di Gesù, a dare un messaggio e un avvertimento importante ai suoi apostoli. L’inaridimento improvviso che subì non fu qualcosa di inutile e di senza senso, quasi una rovina senza valore; ma fu utile e servì ai Dodici (e oggi ancora anche a noi). Gli altri alberi di fico di allora sono morti anch’essi, nel volgere degli anni, dopo aver dato solo fichi, e nessuno più li ricorda; questo albero di fico invece ha maturato, morendo, qualcosa di molto prezioso, tanto che è ancora ricordato! (Nella Bibbia troviamo altri casi in cui oggetti e cose vengono rovinate o distrutte per portare un messaggio di salvezza (Ger 13,11; Ger 19,1-2.10-12; Mc 14,3).

Qual è il messaggio che Gesù volle unire all’inaridimento di quel fico? Lo deduciamo dal contesto. Gesù compì quel gesto mentre andava da Betania a Gerusalemme per purificare il tempio e per compiere il gesto di contestazione del culto che conosciamo; letterariamente il gesto di Gesù che fa seccare il fico (vv 12-14) e la riflessione sul senso del gesto (vv 20-25) racchiudono dentro all’interno di sé l’episodio della purificazione del tempio (vv 15-19); per cui fico inaridito e purificazione del tempio sono due gesti che si richiamano tra di loro e che sono tra loro strettamente legati e collegati.Le tante foglie dell’albero di fico sono simbolo del grande sfarzo messo in opera al tempio e dei tanti sacrifici colà consumati con abbondanza di vittime, di offerte, di celebrazioni e di riti; ma tutto ciò -ahimè- era solo esteriorità e apparenza! Non c’erano, in quel culto, frutti e opere vere. Tutti quei riti non producevano frutti di alleanza, di fedeltà e di obbedienza a Dio, di amore ai fratelli. Ciò che mancava a quei riti era la fede e la carità; il più!

Ecco che Gesù insegna allora agli apostoli che per un culto vero occorrono fede e carità (vv 22-25). Una fede che crede fermamente e che non dubita di Dio. Una fede che è sicura che Dio è onnipotente e interviene a nostro favore. L’immagine del monte che si leva in alto e si getta nel mare (si tratta del monte degli Ulivi che si getta nel mar Morto, mar Morto che dalla cima del monte degli Ulivi si intravede in lontananza) è evidentemente metaforica e simbolica: sta ad indicare un qualcosa di straordinario e di assolutamente impossibile alle forze dell’uomo, ma che Dio può fare (Gen 18,14; Ger 32,17.27; Lc 1,37). Credere nell’impossibile, questa è fede vera (Rom 4,18-22). Il culto dev’essere celebrato nella fede (=rapporto con Dio).La fede, dice Gesù

-deve esprimersi in autentica e fiduciosa preghiera, una preghiera che non dubita affatto (v 24; cfr Mt 7,7-11; Giac 1,5-8). Certo, l’esaudimento suppone che si

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domandino cose buone e utili per la salvezza…; che si preghi “nel nome” di Gesù (Gv 14,13-14);

-e deve esprimersi in una piena carità verso i fratelli che arriva fino al perdono (v 25; cfr Mt 5,23-24; 1Tim 2,8).La preghiera ci mette in dialogo col Padre, la carità ci mette in dialogo con i fratelli. Il culto vero porta questi due frutti importanti.

Il culto al tempio di Gerusalemme invece non era così; era puro formalismo e quindi sterile. Era una realtà secca e inaridita; era ricco sì di tante foglie ma senza veri frutti. Era una realtà ”morta”, come il fico seccato da Gesù.

Anche a noi e alla nostra vita Dio viene a domandare frutti ( Is 5,1-7; Lc 13,6-9; Gv 15,1-17).

4. L’ autorità di Gesu’ contestata dai Sadducei e dai Farisei . ( Mc 11, 27 - 33 )

Gesù negli ultimi mesi della sua vita, a causa dell’insegnamento che impartiva sulla spianata del tempio e dei segni di contestazione del culto che faceva, venne fortemente osteggiato e combattuto dai sadducei, dagli scribi e dai farisei, i gestori del culto e della legge a quel tempo.

In questo brano assistiamo ad un momento di confronto e di scontro aperto e diretto tra gli oppositori di Gesù e Gesù stesso. I sommi sacerdoti, gli scribi e gli anziani gli chiedono: “Con quale autorità fai queste cose? Chi ti ha dato l’autorità di compierle?” (ci si riferisce in particolare alla “purificazione del tempio”), ma Gesù non cede. Gli oppositori di Gesù gli chiedono le credenziali, ossia i titoli acquisiti (per esempio, in quale scuola rabbinica avesse studiato, dove si fosse “laureato” rabbino), oppure su quali tradizioni e insegnamenti di rabbini egli si fondasse per dire e fare tali cose; ma Gesù si difende abilmente adottando lo stile rabbinico tipico delle dispute di allora (in cui a una domanda si opponeva un’altra domanda), e chiede a sua volta: “E voi ditemi: Il battesimo di Giovanni veniva dal cielo o dagli uomini?”

Gesù mette in seria difficoltà i suoi oppositori richiamando la figura carismatica di Giovanni il Battista, un forte contestatore del culto e del regime religioso-dottrinale del tempo. Sadducei, scribi e farisei si vedono sbattuti contro un personaggio che aveva riscosso grande “successo” presso il popolo e che da molti era stato seguito quale vero profeta, in un cammino di rinnovamento spirituale e di fede assai diverso da quello proposto da scribi e farisei. Giovanni Battista era stato ucciso, ma i suoi seguaci erano molto presenti e molto numerosi fra il popolo.

Gli oppositori di Gesù restano inchiodati ad un dilemma da cui non sanno uscire. Non si aspettavano di essere in tal modo messi in difficoltà! Erano partiti per porre in scacco Gesù, ed ora sono essi stessi a trovarsi in scacco, e “in scacco matto”!; non sanno che cosa rispondere a Gesù, perché ognuna delle due vie prospettate da lui è una via senza uscita: “Se rispondiamo ‘dal cielo’, dirà: Perché allora non gli avete creduto? Diciamo dunque ‘dagli uomini?’. Però temevano la folla, perché tutti consideravano Giovanni un vero profeta”; e allora rispondono con un diplomatico “Non sappiamo”,

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che non dice nulla, che evita il problema, che maschera il loro imbarazzo, che è un meschino paravento dietro cui tentano di nascondersi e di difendersi.

Ma Gesù a questo punto ribatte risoluto: “Neanch’io vi dico con quale autorità faccio queste cose”. Gesù è fermo e deciso, perfino drastico. Si trova davanti a un muro di gomma, a un terreno impermeabile, ad animi e cuori che non vogliono in nessun modo lasciarsi toccare e scalfire…; e allora risulta inutile, purtroppo, continuare il dialogo, continuare a spiegare, riprendere a dire e a parlare ancora… Gesù taglia corto (possiamo pensare, certo, con sofferenza e dolore) e dice: “Neanch’io vi dico con quale autorità faccio queste cose.”

Anche durante la passione Gesù si rifiuterà più volte di parlare e di rispondere: lo farà quando vedrà inutile parlare, quando avvertirà la totale chiusura di mente e di cuore di chi gli sta di fronte; anche allora sceglierà il silenzio (Mc 15,3-5; Lc 23,8-9; Gv 18,19-21).

Per la riflessione

1. Dio parla, ma Dio anche tace. I silenzi di Dio nei confronti dell’uomo che non lo vuole ascoltare sono più terribili della sua voce di rimprovero!

2. Dice il Salmo 18: “Con l’uomo buono, Signore, tu sei buono, con l’uomo integro tu sei integro; con l’uomo puro tu sei puro; con il perverso tu sei astuto” (Sal 18, 26-27) Vedi anche Prov 3,34. E Gal 6,7 dice: “Non ci si può prendere gioco di Dio”.

3. Dio ha bisogno di animi aperti, che si lascino lealmente raggiungere dalla sua Parola. Il cuore dell’uomo dev’essere onesto davanti a Dio, e non ripararsi dietro posizioni preconcette (…così come vivo sono a posto: Lc 18,11-12); o scuse interessate (…sono troppo debole, non sono fatto per la santità: Lc 15,21); o pessimismi immotivati (…che cos’è la mia piccola vita e che cosa valgono i miei semplici e piccoli gesti e impegni quotidiani?: Gv 6,9). Dio vuole che ci lasciamo incontrare da lui e dalla sua Parola senza paraventi, senza corazze e difese; desidera che riconosciamo e accettiamo la sua autorità su di noi (Mc 14,13-14).

4. La sua autorità è per la nostra crescita, ed è espressione perfetta del significato originario della parola latina “auctoritas” (che viene dal verbo “augère” = accrescere, far crescere). L’autorità di Dio è solo per farci crescere; non ci mortifica mai, non ci tiene mai rachitici e incompiuti! Al contrario! Ci fa crescere.

5. Accogliamo su di noi il suo Regno, e chiediamo che tutto il mondo lo accolga. Papa Giovanni Paolo II nell’omelia della Messa di inaugurazione del suo pontificato ebbe a dire: “Non abbiate paura! Aprite le porte a Cristo e accogliete su di voi la sua salutare e salvifica potestà!”.5. La parabola - allegoria dei vignaioli omicidi (Mc 12, 1 - 12 )

Gesù è coraggioso. Coglie e percepisce l’ostilità e l’avversione degli oppositori, ma non desiste dal suo insegnamento. Egli sente di dover compiere la sua missione che

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è quella di riportare il popolo sulla retta strada, strappandolo dall’errore di impostazione di vita in cui lo hanno trascinato i sadducei e i farisei. In Mt 15,14 Gesù dice, riferendosi proprio ai sadducei e ai farisei, le guide spirituali del popolo: “Sono ciechi e guide di ciechi; e quando un cieco guida un altro cieco, tutti e due cadono in un fosso”.

Il fosso in cui i sadducei e i farisei avevano fatto cadere il popolo era quello di un culto e di una religiosità legalista ed esteriore, che si concentrava su pratiche di pietà da compiere e su leggi esterne, anche minuziose, da osservare, ma che non badava al cuore e non si preoccupava della fedeltà della vita ai voleri di Dio. Dice loro Gesù: “Ipocriti! Bene ha profetato di voi Isaia dicendo: Questo popolo mi onora con le labbra ma il suo cuore è lontano da me. Invano essi mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini” (Mt 15,7-9).Il culto così come era impostato al tempio di Gerusalemme, dunque, e la vita religiosa così come era proposta dai farisei, erano agli occhi di Gesù una deviazione dalla retta fede, un decadimento dal vero rapporto con Dio, e una defezione clamorosa dall’alleanza con lui; per cui Gesù tenta in tutti i modi di riportare le cose nel loro giusto ordine.

In quest’opera egli sa di mettere a repentaglio se stesso e di rischiare la vita, perché al tempio egli è solo contro tutti. Di fronte a lui, e contro di lui, sta il potente apparato religioso; apparato religioso che è in piena combutta e collusione col potere politico; poteri, questi, (quello religioso e politico), che una volta scagliatisi contro Gesù, lo schiacceranno con estrema violenza e cattiveria.

Con la parabola-allegoria dei vignaioli omicidi Gesù sferra un fortissimo “affondo” contro il fronte dei sadducei e dei farisei; un affondo così forte e deciso che i sadducei e i farisei si sentono spinti a catturarlo e ad ucciderlo. Li tratterrà dal farlo solo la paura della reazione della folla (v 12).

La parabola-allegoria dei vignaioli omicidi presenta i sadducei e i farisei come coloro che hanno ricevuto un dono da Dio (il dono della Legge, dell’Alleanza, della rivelazione di JHWH, delle Sacre Scritture; cioè il dono dell’Antico Testamento), e lo hanno sciupato. Anziché farlo fruttificare e renderlo fecondo di bene, lo hanno insterilito e reso pienamente inefficace, inutile; lo hanno corrotto e rovinato. Dio avrebbe desiderato trovare frutti maturi, maturati dall’impegno generoso delle guide spirituali del popolo e del popolo stesso, così che alla venuta del Messia essi avessero saputo accogliere ed accettare l’inviato dal Cielo e il Salvatore del mondo; ma invece Dio ha trovato fondamentalmente solo chiusura e rivolta (sì, molte foglie, ma nessun vero frutto: Mc 11,13). Per cui Dio ha deciso di togliere il dono ai sadducei e ai farisei (e alla parte di popolo ebraico incredulo e chiuso) per darlo ad altri che lo facciano fruttificare abbondantemente (Mt 21,43).

Nella parabola-allegpria di Gesù il padrone della vigna è Dio; la vigna è il popolo di Israele; gli affittuari della vigna sono i sadducei e i farisei (e il popolo stesso); i servi mandati con insistenza sono i profeti inviati lungo la storia di Israele; il figlio del padrone della vigna è Gesù. La pietra scartata dai costruttori e diventata testata d’angolo è il Cristo crocifisso e risorto, ucciso dagli uomini ma risuscitato e glorificato dal Padre, reso pietra fondamentale della nuova umanità e della nuova storia.

Per la riflessione.

1. Ammiriamo Gesù “buon pastore” che rischia la vita per il suo gregge. Nel momento del pericolo egli non si ritira e non fugge quale vile mercenario, ma pur di

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illuminare e difendere le sue pecore affronta l’odio e la rabbia degli avversari fino a venire da essi ucciso (Gv 10,11-15). Egli è “il buon pastore” che merita tutto il nostro amore e tutta la nostra ammirazione!

2. La parabola-allegoria mette in campo da un lato l’amore e la cura di Dio per l’uomo (cura per la vigna, invio continuo di servi, invio del figlio) e dall’altro la chiusura e l’ostinato rifiuto dell’uomo nei confronti di Dio (maltrattamento dei servi, uccisione del figlio). E’ purtroppo lo spaccato della storia umana, in gran parte!…. Sia della storia umana dei popoli, che della storia umana di ciascuno di noi.(Is 27,2-5; Is 5,1-7; Ger 7, 21-28; 2 Cron 36,14-16).

Anche noi siamo in mille modi e in mille momenti della vita cercati da Dio; egli ci invia numerosi messaggi e messaggeri per incontrarci e per sollecitare dalla nostra vita frutti di bene e opere buone. Egli ci ha donato suo Figlio che sta sempre alla porta del nostro cuore e bussa per poter entrare e stare con noi… (Apoc 3,20). Qual è la nostra risposta?

3. I frutti che Dio si attende da noi sono l’ascolto della sua voce, una vera alleanza con lui, un autentico amore ai fratelli, la pratica generosa del Vangelo.

4. Ogni volta che l’uomo si allontana da Dio e lo rifiuta, scarta la pietra fondamentale che unicamente può dare consistenza e solidità al suo essere e al suo futuro, scarta la sua salvezza. E’ solo su Cristo, pietra fondamentale e roccia che incrollabilmente tiene, che l’uomo può edificare la sua casa per sempre, la casa della sua vita e della sua eternità (Mt 7,24-27).

6. Le controversie di Gesu’ a Gerusalemme ( Mc 12, 13 - 34 )

Al capitolo 12 del suo Vangelo Marco continua a presentare i momenti difficili di Gesù nei suoi ultimi mesi di vita a Gerusalemme prima della passione, morte e risurrezione. Gli avversari di Gesù sono al limite della sopportazione: sono già due anni e più che questo rabbino autodidatta va spargendo in Galilea messaggi personali e insegnamenti innovatori riguardo alla religione ebraica al di fuori di ogni teologia tradizionale e universalmente riconosciuta, facendo adepti e seguaci in mezzo al popolo. Ora egli è venuto a Gerusalemme, e addirittura al tempio; e proprio là, nel luogo santo, il cuore dell’ebraismo, egli va insegnando cose mai udite che sono in aperto e stridente, addirittura blasfemo, contrasto con la tradizione dei padri. Occorre fermarlo e bloccarlo; occorre renderlo innocuo a costo anche di ucciderlo, perché sono troppi ormai quelli che gli vanno dietro. Ecco allora che scribi, farisei, sadducei e erodiani cercano in tutti i modi di ostacolarlo e di contraddirlo, di coglierlo in fallo per poterlo accusare, coalizzandosi insieme tra di loro e facendo fronte comune contro di lui.

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