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Anno 8 Numero 23 Febbraio 2015 2.500 COPIE Periodico di informazione scolastica e di promozione culturale e didattica a cura dell’Istituto Comprensivo “P.M. Pozza” di Lusiana e dell’Istituto Comprensivo di Marostica ISTITUTO COMPRENSIVO “P.M. POZZA” LUSIANA — ISTITUTO COMPRENSIVO DI MAROSTICA Reg. Trib. di Bassano del Grappa n. 8/07 del 03.12.2007 Sfogliare piacere

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Anno 8 Numero 23 Febbraio 2015

2.500

COPIE

Periodico di informazione scolastica e di promozione

culturale e didattica a cura dell’Istituto Comprensivo “P.M.

Pozza” di Lusiana e dell’Istituto Comprensivo di Marostica

ISTITUTO COMPRENSIVO “P.M. POZZA” LUSIANA — ISTITUTO COMPRENSIVO DI MAROSTICA Reg. Trib. di Bassano del Grappa n. 8/07 del 03.12.2007

Sfogliare piacere

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Scuola Media Statale

Guardare oltre, puntare lontano...

di Crosara www.Sec.1°gradoCrosara-IC Lusiana.it

BENEVENTO 2009 PREMIO ORDINE NAZIONALE DEI GIOR-NALISTI. AVELLINO 2010 PREMIO NAZIONALE “C. SCIAN-GUETTA”. SAN BENEDETTO DEL TRONTO 2010 PREMIO NA-ZIONALE “HELIOS FESTIVAL”. MESTRE VENEZIA 2011 PRIMO AL CONCORSO AICQ TRIVENETA. BENEVENTO 2011 PREMIO ORDINE NAZIONALE DEI GIORNALISTI. AVELLINO 2011 PRE-MIO CONCORSO NAZIONALE “C. SCIANGUETTA”. AVELLI-NO 2012 CONCORSO NAZIONALE “C. SCIANGUETTA”. AVEL-LINO 2012 PREMIO CONCORSO NAZIONALE “GUARINI”. SAN BENEDETTO DEL TRONTO 2013 PRIMO AL CONCORSO NAZIONALE “HELIOS FESTIVAL”. SIENA 2013 PREMIO CON-CORSO NAZIONALE GIORNALISMO SCOLASTICO “PENNE SCONOSCIUTE”. RAVENNA 2013 PREMIO “GIORNALINOI”. CHIANCIANO 2013 PREMIO NAZIONALE DI GRAN MERITO “GIORNALISTA PER UN GIORNO”. SIENA 2014 PREMIO CONCORSO NAZIONALE GIORNALISMO SCOLASTICO “PENNE SCONOSCIUTE”. RAVENNA 2014 PREMIO “GIORNALINOI”. CHIANCIANO 2014 PREMIO NAZIONALE DI GRAN MERITO “GIORNALISTA PER UN GIORNO”. CHIAN-CIANO NOMINATION 2015 OSCAR DEL GIORNALISMO SCO-LASTICO. BENEVENTO 2015 PREMIO ORDINE NAZIONALE DEI GIORNALISTI.

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COLTIVARE LA MENTE 24

MOMENTI SIGNIFICATIVI 25

LUCCICANTE E MAGICA 6

TERRORE NELLA TEMPESTA 8

LA CASA 10

COME PIETRE SCOLPITE 12

IL GIORNALE STORICO 14

A CACCIA DI LANTERNE 16

ERA ESTATE 17

UN TRENO CHE PORTA LONTANO 18

CUORI INFRANTI 20

TUTTO IN UNA CIOTOLA 22

CROK CROK 23

FLAT STANLEY 5

Per la pubblicità su questo giornale: tel. 338 8234783 oppure: [email protected]

Fabio Cusinato Direttore responsabile: Silvano Mocellin Redattori: Rosanna Bertoncello, Fabio Cusinato, Maria Angela Rela, Giovanni Lacaria, Giovanni Costa, Sergio Carlesso Bambini, ragazzi, genitori e insegnanti di tutte le classi Fabio Cusinato L.G.VI. srl - 36030 Costabissara (VI) Elaborati Scuola dell’Infanzia - IC di Breganze Pp. 4,6,8,10,12,20 Giulio Cusinato. 17,18 Beatrice Soster. 16,25,26,27 Rosanna Bertoncello.

Responsabile del progetto Redazione

Hanno collaborato Grafica

Stampa In copertina

Illustrazioni e foto

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Anno 8 Numero 23 Febbraio 2015

GIRATUBI SVEDESE 4

GARANTIRE LA CRESCITA 26

RE MIDA 27

A caccia di lanterne a pag. 16

a pag. 17

Case maledette a pag. 10

Volare sulla luna a pag. 6

Metterci le mani a pag. 22

Cuori infranti a pag. 20

Il Giornale Storico

Tutti i servizi a pag. 14

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Anno 8 Numero 23 Febbraio 2015

Scuola Media Statale di Crosara

www.Sec.1°gradoCrosara-ICLusiana.it

Scarico

possibile affrontare questa ricca e va-riegata realtà solo con una fresa per rubinetti o una saldatrice elettrica. Dobbiamo necessariamente portare ogni giorno con noi una fornita casset-ta degli attrezzi. Se l’idraulico, questo salvifico signore, si presentasse da noi con in mano un solo cacciavite, sarem-mo molto perplessi nell’affidargli la nostra situazione e molto scettici sui risultati del suo intervento. C’è da dire che attrezzi di buona qualità garanti-scono all’idraulico un lavoro più agevo-le e senza imprevisti. Alcuni negozi di ferramenta ben forniti o magazzini di termoidraulica noleggiano attrezzi particolari per questo genere di lavori. E per i prof? I prof hanno ormai da tan-to tempo a disposizione testi, studi di esperti pedagogisti, corsi di formazio-ne, percorsi e strategie ampiamente e positivamente testati, proposte che arrivano da altre scuole, dal Ministero, dalla UE. Sarebbe davvero affascinante allestire insieme una cassetta degli attrezzi, dove ciascun docente mettes-se i suoi strumenti già sperimentati, i risultati raggiunti, le sue idee concrete, la sua creatività, la sua voglia di dare risposta alle aspettative che ci vengo-no dai ragazzi, dalle famiglie, ma so-prattutto a quelle più profonde e sen-tite che escono da noi stessi, dal no-stro quotidiano, delicatissimo e impe-gnativo mestiere. (rb)

sturalavandini, lime, forbici, chiave inglese e pinza per dadi premistoppa, l’attrezzo giusto per la nostra salvez-za. La cosa mi fa stranamente pensare al lavoro dell’insegnante. A settembre, quando inizia l’anno scolastico, ci vie-ne affidata una squadra di ragazzi, l’uno diverso dall’altro, ciascuno con la sua storia personale, umana e scolasti-ca. Con le sue risorse, le sue capacità, le sue speranze, le sue difficoltà. Tanti mondi diversi, tante realtà che siamo chiamati a conoscere. Tante persone che, affidate alla nostra esperienza, alla nostra competenza, alla nostra professionalità, potranno formarsi e crescere. Non è pensabile affrontare il nostro delicatissimo e preziosissimo compito, fidando esclusivamente su un unico strumento di lavoro. Non sarà

del lavandino otturato, macchie di umidità ad una certa altezza della pa-rete del bagno, contatore dell’acqua che gira anche se tutti i rubinetti risul-tano chiusi. Netta la sensazione di mal di stomaco, ma è inevitabile chiamare l’idraulico. Persona, costui, che in alcu-ne situazioni di emergenza ha nelle sue mani la serenità di un intero nu-cleo familiare. Magari non immediata-mente, spesso su appuntamento dopo una serie di telefonate volte sempre più alla disperazione, ma alla fine l’i-draulico arriva. Accolto come il salva-tore. Chi lo riceve in casa, guarda con una fiducia totale alla sua poderosa cassetta degli attrezzi e in religioso silenzio assiste alle fasi del suo inter-vento. Lì, nella sua magica cassetta, lui saprà trovare, tra giratubi svedese,

GIRATUBI SVEDESE di Rosanna Bertoncello

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Commercio Equo e Solidale

Via Vendramini, 42 Bassano del Grappa

dei nostri giorni legate all’apprendimen-to scolastico è senza dubbio quella lin-guistica. Gli studenti di oggi sono più che mai proiettati verso un futuro, sem-pre più prossimo, in cui saper comunica-re con il mondo sarà una condizione imprescindibile. Se ci si prende la briga di controllare dati e statistiche, si potrà osservare come nel nostro Paese la conoscenza delle lingue straniere sia a livelli ancora poco confortanti. Lo scor-so anno un rapporto di Ef (Education first), che da dieci anni misura la compe-tenza dell’inglese degli adulti nel mon-do, evidenzia che l’Italia non è certa-mente tra i primi posti in Europa. Le maggiori carenze si registrano soprat-tutto nell’uso dell’inglese in ambito la-vorativo. Tra le cause anche le modalità di insegnamento scolastico. Il metodo tradizionale si basa sull’apprendimento delle regole grammaticali con ore dedi-

cate alla lettura e alla scrittura. I ragazzi hanno così pochissime occasioni per fare pratica di conversazione. Pur tutta-via, un debole segnale positivo, anche nelle statistiche, si intravede. Merito probabilmente degli sforzi di molte isti-tuzioni scolastiche e di singoli docenti. Il vigile occhio di “Visto per Voi” del no-stro giornale si è posato questa volta su una interessante attività svolta presso il “Lycée Français Jean Giono” di Torino. Lo spunto viene dal personaggio di Flat Stanley, protagonista dei racconti di Jeff Brown. Stanley è un bambino diventato piatto a causa di una bacheca cadutagli casualmente addosso mentre dormiva. Grazie a questo fatto ha la possibilità di muoversi come vuole e di infilarsi dap-pertutto, perfino sotto le porte o tra le fessure. Il simpatico personaggio è ser-vito ad una seconda classe della scuola primaria per sviluppare competenze linguistiche e relazionali. Il progetto, condotto nella classe della prof.ssa Lin-

da Ward, prevedeva la realizzazione da parte dei bambini di tanti “omini piatti”. I piccoli studenti torinesi hanno in segui-to portato i loro “Flat Stanley” in diversi punti della città, o in località visitate con amici e genitori. Il tutto è stato docu-mentato da foto, selfie, in seguito cor-redate da didascalie con brevi descrizio-ni sui luoghi visitati e sulle azioni com-piute. I piccoli “omini piatti”, che non si spaventano di viaggiare in un bustone, sono stati infine spediti a Boston (USA) e sono giunti nelle mani di altri bambini in una scuola di pari grado. Gli amici americani faranno lo stesso, portando in giro i loro “Stanley”, descrivendo luoghi e persone. E lo scambio ha così inizio. Attività come questa si connota-no come altamente motivanti e coinvol-genti. Le barriere disciplinari si disgrega-no liberando spazio per progetti tra-sversali che mobilitano arte, creatività, spirito di iniziativa e collaborazione. I bambini imparano ad utilizzare il mezzo comunicativo in maniera semplice, di-retta e concreta, con finalità precise e dichiarate. La lingua, non più subita come puro esercizio astratto, prende vita in contesti reali che hanno il vantag-gio di incidere profondamente e in ma-niera positiva nell’esperienza cognitiva dei nostri ragazzi. (fc)

Flat Stanley Quando comunicare diventa esperienza viva e reale di Fabio Cusinato

Anno 8 Numero 23 Febbraio 2015

Una delle priorità

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Anno 8 Numero 23 Febbraio 2015

quando è buio, viene a splendere in cielo. Quando il sole tra-monta arrivano infatti la luna e le stelle. Qualche volta, però, arrivano la pioggia e la neve, ma quando il brutto tempo se ne va, loro ricompaiono. Con il buio, si accen-dono i lampioni nelle strade e le luci delle case. La luna è fatta di roccia e da lì vediamo i pianeti e le stelle più vicine a noi. Sembra di toccarle, ma le nuvole, in cielo, le coprono, come un mondo di panna e di nutella bianca. Insieme alla luna c’è anche la stella polare che serve ai marinai a trovare la strada di notte per rientrare in porto. Gabriele Crestani. Il vento, una cosa mera-vigliosa. Magicamente ti fa sentire come il re leone. Il vento è una magia, perché ha delle sfumature trasparen-ti, ma lo senti dentro di te come un amico che ti è sempre accan-to. Qualche volta ti parla con i suoi uuuuuu… che sem-brano gli ululati dei lupi o dei fantasmi. Purtroppo non puoi vedere i suoi colori, ma ciò sareb-be molto bello. Magari non sono colori accesi come il rosso, il giallo, ma opa-chi, perché il vento c’è soprattutto quando piove o è nuvoloso. Il vento mi fa sentire a mio agio, mi accompagna in un mondo diverso, dove ci sono gioia e allegria. Tra queste cose passa un po’ di vento e le rinfresca. Dovreb-be anche passare un vento, anzi una bufera, dove ci sono guerra e odio, per cambiare il modo di pensare della gen-

te. Sarebbe bello sapere da dove viene il vento. Verrà da Milano, da Londra o da New York? Bah, non si sa, ma gli scienziati dicono che proviene dall’at-mosfera. Il vento è come un amico. Il vento! Immaginare il vento! Il vento non lo vedi, vedi solo le cose muoversi, lo senti. A volte è forte, a volte è più calmo. C’è soprattutto in primavera, invece quando fa caldo e sarebbe uti-le, non c’è. Quando il vento è forte, sembra che tu stia volando. Se pensi al vento, non riesci a descriverlo, perché

non ha colori e non si vede. però si sente. Giulia Farina. Che vuol dire la parola “luna”? Ha un sacco di significa-ti. Potrebbe essere un nome di perso-na, un pianeta, un satellite e che altro? La luna cambia spesso forma. Ogni tanto è tonda, o come si dice “piena”, poi diventa sempre più sottile. A volte ha un colore spento, un giallognolo chiuso, come una lampadina appena accesa. Sembra molto triste. Forse anche lo è, per il fatto che non ha mol-te attenzioni, in confronto al sole. La

LUCCICANTE E

magica Con lo sguardo al cielo per descrivere emozioni a cura della classe 2^E - Scuola Media Statale di Crosara

La luna,

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luna ha il potere di risplendere grazie al sole, bello no? È bello vedere il suo riflesso nell'acqua, dà una sensazione magica. Secondo me sarebbe il sogno di ogni bambino volare e andare sulla luna. Dicono sia fatta di formaggio! Se la leggenda fosse vera, lì evidente-mente, ci sarebbero topi di ogni misu-ra. Elisa Panella. La luna è un corpo celeste disabitato e poco esplorato. Alla sera magicamente si illumina. Ogni volta che la guardo, immagino gli astronauti come si sentivano ad esplo-

rarla. Ha un colore che non dà felicità, ma tristez-za. Il satellite è punteggia-to da molti crateri, formati dai meteoriti che si abbat-tevano su di lei. Mi fa pen-sare però che molto tem-po fa fosse abitata da qualcuno. Ora è solo un satellite deserto, senza alcuna forma di vita, per-ché lì non si può respirare e non c’è forza di gravità. Riccardo Spagnolo. La lu-na: cosa più bella non esi-ste, luogo sconosciuto a molti esseri viventi, che fa riflettere e immaginare. Ogni bambino da piccolo desidera andarci. La Luna ha anche qualcosa di ro-mantico, in fondo. Ogni volta che la si vede, ci si rilassa e si pensa a cose piacevoli e felici. Fa prova-re molte emozioni. Quan-do si osserva, sembra che il tempo non passi mai. La Luna ha anche la sua im-portanza nella vita di tutti i giorni. Dopo una lunga giornata, ci avverte che è il momento di un lungo e piacevole riposo. É eviden-te di sera con la sua luce color argento brillante. É come un soldato, combat-te il buio, e lo sconfigge con dolcezza e maestosità con le sue sfumature di giallo. Ogni volta che la si intravede, si pensa come può essere la prospettiva

della terra da lassù. Al mare, di sera con lo spettacolo della luna piena, c'è da rimanerci secchi. La Luna c'è sem-pre, in qualunque momento, anche di pomeriggio, un po' sfocata ma c'è. Difficile da raccontare e da spiegare, certi suoi volti si conoscono, altri no. É come una seconda madre, che ti ac-compagna e ti assiste per tutta la tua vita. Margherita Gasparotto. Il vento? Un trambusto di emozioni, un vortice di felicità e di allegria. Io conosco il vento. È simpatico e generoso, un

amico prezioso, come un diamante. Se lo perdi, ti senti solo. Tristezza e dolo-re ti avvolgono, una spada penetra nel tuo cuore, e resti sospeso nel dolore. Il vento spazza via tutto, anche le emo-zioni, quelle più pesanti e quelle più leggere, ti libera l’anima da ogni op-pressione. Ti svuota il cuore, ti fa senti-re libero, e finalmente puoi pensare con la tua testa, rifiutando ogni simbo-lo di comando. Il vento è un amico speciale, ti aiuta nelle difficoltà, ti sor-regge nel pericolo, non ti mente mai. Io credo in lui. E’ una delle tante vie da seguire, quella giusta, quella che ti fa apprezzare la vita nella semplicità, che vai cercando. Lo conosco da sempre, è mio amico, lo sento, lui non mi ha mai tradito. Aspetta un attimo, è lì davanti a me, in silenzio, non dice nulla, però mi guarda con uno sguardo felice. Questo esprime molto più delle paro-le, mi ha già detto quello che volevo sapere. Ma ecco, mi ritrovo nel mio letto… Possibile che sia stato solo un sogno? No, non ci credo! Io l’ho visto, l’ho toccato, l’ho sentito. Non è possi-bile! Però, sento un calore nel cuore, che quasi brucia. Ho capito: queste sono emozioni che non proverò mai più. Michele Bonotto. La luna, così lu-minosa, luccicante e magica. Sembra una lanterna gigantesca fatta apposta per avvolgere la Terra con la sua luce. Forse la luna ha un potere magico, perché riesce ad illuminare anche la cosa più scura al mondo: la notte. Ma che cos'è la luna? Tutti dicono che sia un satellite o qualcosa di simile. E' evi-dente che non hanno tanta immagina-zione! La luna può essere un sacco di cose. Purtroppo io sono ancora troppo piccola per andarla a trovare. Chissà cosa c'è lassù tra le stelle! Passeranno primavere, giorni freddi e difficili da ricordare, per noi esseri umani, ma la luna, che dall'alto vede tutta la Terra, non dimentica mai niente. La luna, grande e forte. Il buio scompare sotto di lei. La luna è come la madre di tutte le stelle. Il bello della luna è che non ha preferenze; per lei ogni cosa vale allo stesso modo. La luna, così bella, legge-ra come il vento e calda come il sole. Io adoro la luna perché la sua luce è den-tro ciascuno di noi. Anna Poli.

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Paradiso. Il Paradiso può essere immenso o un fram-mento, un granello di polve-re o l’universo. Nessuno lo sa, e nessuno da lì è mai ri-

tornato indietro per descrivercelo. Nella nostra testa ci sono miliardi di milioni di domande, di pensieri che scavano così tanto fino ad arrivare alla risposta, al traguardo. Vorrei che ritor-nasse il Signore in terra solo per spie-garci se lassù è migliore di quaggiù o è la terra il paradiso. Fabiano Busa. La pace. La conquista della pace è senz’al-tro uno degli obiettivi che accomuna le genti di ogni parte del globo sin dai tempi più remoti. Spesso siamo portati a chiederci se sia realmente possibile un giorno raggiungere una pacifica e armoniosa convivenza tra i popoli. La pace è una virtù, uno stato d’animo, una disposizione alla benevolenza, alla fiducia e alla giustizia. Nei confronti della guerra ha purtroppo un grosso handicap: mentre per ottenere la pace occorre la buona volontà e l’impegno di tutti, per scatenare una guerra è sufficiente che sia uno solo a deside-rarla. Bisogna però tener presenti alcu-ne considerazioni interessanti. Innanzi tutto: “La pace concepita nel senso più assoluto è un bene per le società mondiali”. Ionut Chesa. La paura. La paura ha un potere paralizzante, se non gestita con il coraggio e la forza giusta. Per questo, quando abbiamo paura, sembra che il cuore batta fino ad esplodere e sembra di essere soffo-cati da un mare in tempesta. Queste sono le sensazioni che provo quando ho il terrore di sbagliare qualcosa, o quando un genitore o un insegnante mi rimproverano. Non appena riuscirò ad accettare il dolore e la paura, proverò sollievo. Potrò affrontare la realtà con un coraggio che credevo perduto per sempre. Alberto Alessi. L’adolescenza. L’adolescenza è un periodo strano della nostra vita, in cui cambiamo profondamente. Ci sembra di essere sempre più grandi, ma nello stesso tempo si affrontano problemi con la società e con tutti. Io sto viven-do veramente male la mia esperienza personale. Me ne accorgo, anche se guardo sempre il lato positivo. Sto

vivendo un periodo sbagliato e forse sono io stesso la causa di questo perio-do orribile. Sono una delusione per tutti, per i miei amici, per i miei parenti e mia mamma, proprio lei. Le sto cau-sando un male immenso. Non lo faccio di mia volontà perché io tento di met-terci impegno nelle cose. Quando ho un compito cerco di farlo, ma poi, per un motivo o per l’altro, la situazione esce male ed è un continuo circolo vizioso. Sento che le mie emozioni e tutti i miei sentimenti mi fanno ap-

parire indifferente, mi fanno sembrare quello che non sono. L’adolescenza è iniziata veramente nel peggiore dei modi, con rimorsi e sensi di colpa. Ric-cardo Rinaldo. Il cane. Lunedì scorso il mio papà ha raccolto un cane investito da un’auto. La mia mamma ha detto di portarlo in casa, perché se stava al freddo in garage sarebbe morto. Io mi sono svegliato e l’ho visto. Gli sono andato vicino e lui mi ha messo la testa sulla pancia. Non ce la faceva ad alzar-si; io allora mi sono addormentato

Il

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TERRORE

NELLA

TEMPESTA Scrivere per liberare pensieri e sensazioni a cura delle classi 3^ E - 2^E - Scuola Media di Crosara

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così. Nel frattempo la mamma e il papà sono andati a cercare il padrone del cane. Tutta la notte ha dormito vicino a me. Massimo Zen. Beatrice. Venerdì 9 Gennaio è nata Beatrice. La sera stessa e anche il giorno dopo siamo scesi a Bassano a trovare mia sorella in ospe-dale. Era bella la bambina! Ho saltato il catechismo per andare a vederla, ma sono arrivato in tempo per la messa! Gabriele Crestani. L’orbettino. Qualche giorno fa, nel cortile della scuola, ho visto tanti ragazzi raggruppati in un

angolo e mi sono incuriosito. C’era un orbettino, un serpentello che non morde e non è velenoso. Nessuno ave-va il coraggio di prenderlo, ma io con un fazzoletto l’ho preso per la coda e con Milos, il mio amico, siamo andati a metterlo in un cespuglio lontano dai ragazzi. Mentre lo trasportavo sembra-va morto, era tutto fermo. Mi sono divertito a portarlo via. Rubbo Michele. Il sole. Il sole è una stella molto grande ed incandescente. Domina il sistema solare che comprende molti pianeti tra

cui il nostro pianeta natale: la terra. Quando il sole sorge, una parte della terra e i suoi abitanti si alzano per co-minciare una nuova giornata. Quando ti esponi al sole, la sua luce penetra nel tuo cuore, ti illumina l’anima e ti dà un senso di calore e di conforto. Il sole è colui che ci permette di vivere perché senza di lui la vita non continuerebbe. Margherita Gasparotto. La mia mam-ma. La mia mamma è una persona straordinaria, unica e assolutamente perfetta. Lei non è una mamma super protettiva, ma neanche una che dice: “Non mi importa”. Lei è semplicemen-te una mamma che adora la propria figlia. Io sono molto contenta di avere una mamma così speciale perché, nel momento del bisogno, lei c'è sempre e comunque. Io la adoro più di ogni altra cosa al mondo. Ilaria Franco. Pensare negativo. Un pensiero negativo è un concetto sbagliato nella nostra vita, può essere un dolore dell’anima, un graffio del cuore. Insomma, pensando negativo facciamo male a noi stessi e agli altri, distruggendo il nostro vero io, frantumando gli amori della vita. Ormai è diventata un’abitudine pensa-re negativo. Vediamo tutto nero, non ci sono aspettative nè speranze. Allora mi viene da chiedermi: “Sto vivendo la mia vita, oppure siamo dei burattini in mano agli altri?”. Prima di ribellarci dobbiamo capire chi siamo, cosa vo-gliamo e soprattutto qual è il nostro posto in questa terra. E ogni pensiero negativo se ne andrà. Voleremo liberi come aquile! Michele Bonotto. Tra i fornelli. Ogni tanto mi piace “trafficare” in cucina, perché mi diver-to a preparare dei dolcetti con le mie mani. So già fare i muffin, la torta mar-gherita e la torta di mele. Solo che quando cucino io, come l’altro giorno, la cucina diventa un caos. Sembra che sia passato un tornado! Pentole, me-stoli, cucchiai, forchette, tutto nel di-sordine più completo e poi farina e zucchero dappertutto. A quel punto la mamma mi rimprovera, dicendo che ai fornelli bisogna sapersi organizzare. Così mi metto a sistemare, ma è una cosa noiosissima! Forse, però, ha ragio-ne lei, perché, quando una cosa si ini-zia, si deve anche finire! Anna Poli.

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nave degli spiriti. Eri-ca era una giovane ragazza timida e pau-rosa, ma una terrifi-

cante avventura le ha fatto capire che l’amicizia può vincere ogni paura. Tutto iniziò con un pigiama-party nella notte di Halloween. Era freddo ed Erica e la sua amica Rebecca stavano guardando un film: “La nave degli spiriti”. Parlava di una leggenda: ogni cento anni il fan-tasma della nave doveva cibarsi dell’ani-ma di una persona che non aveva co-raggio e fedeltà. Erica e Rebecca non vollero finire il film per la paura, così andarono a dormire. Al rintocco della mezzanotte Erica si svegliò, accese la luce e si accorse che Rebecca era spari-ta; poi vide un biglietto con scritto: “Se vuoi rivedere la tua amica, mi trovi nella mia nave al centro della baia della cit-tà”. Erica, pronta a salvare l’amica, partì e arrivò alla nave accorgendosi che era “la nave degli spiriti”. In quel momento avrebbe tanto voluto aver visto il film fino alla fine per poter salvare Rebecca. Erica entrò nella nave, scese qualche scalino e trovò una lanterna, la accese, poi sentì una voce che diceva: “Non scappare, piccola mia, tanto né tu né la tua amica riuscirete ad uscire da qui”. La luce si spense ed Erica si accorse che il pirata era vicino a lei: non lo vedeva, ma lo sentiva. Le luci in quel momento si accesero ed Erica cercò di intravvede-re la sua amica. Ad un tratto la voce misteriosa disse: “Alza la testa e la ve-drai”. Erica la vide: era legata con una corda. Pensava che fosse la fine quando il pirata aggiunse: “Se la vuoi salvare, nel parco dovrai cercare, uno scrigno lì troverai e me lo porterai. Hai un’ora”. Erica corse e quando arrivò al parco urlò: “Dov’è? Dov’è?” Il pirata rispose: “Sotto l’albero dovrebbe stare, da lì il tesoro mi dovrai portare e, se tu non lo farai, per la tua amica saranno guai”. Erica prese lo scrigno sul quale c’era un biglietto con scritto: “Se il tesoro non porterai, alla fine del tempo un fanta-sma diverrai”. Poi una voce iniziò a con-tare: “60, 59, 58, …”. Erica arrivò alla nave e consegnò lo scrigno. Il fantasma allora esclamò: “Ora che libero sarò io, ti darò un bell’ addio, a casa ti ritroverai e più paura non avrai”. Le ragazze si ritrovarono a casa, dimenticando quello

che era accaduto. Quando giunse il giorno seguente, il fantasma non viag-giava più solitario e la leggenda si spez-zò per sempre. Lara Costenaro. Il signo-re del libro. Era una giornata lugubre e nebbiosa, una di quelle giornate da dimenticare specialmente se c’era di mezzo un trasloco. John, infatti, aveva appena comprato una villa a Forks: era completamente immersa nel verde. Più in là c’era un cimitero con una cripta. John non se ne curava perché diceva che i morti erano innocui. Era molto curioso di vedere la sua nuova casa. Entrò e guardò tutte le stanze della villa. Solo una aveva catturato la sua attenzione: era una stanza con gli affre-

schi mezzi rovinati e con delle macchie rosse sia sul muro sia sul pavimento. C’era una libreria con un solo libro un po’ impolverato. John, incuriosito, lo aprì e si mise a leggerlo. Il libro parlava di un signore che trecento anni prima era venuto con la figlia ad abitare nella villa in seguito alla misteriosa scompar-sa della moglie. Dopo qualche tempo, anche la figlia sparì allo stesso modo della madre. L’uomo, ormai senza nes-suno, si era lasciato morire dentro l’abi-tazione, facendosi murare in cantina. John, dopo aver letto il libro, si mise a ridacchiare, dicendo che era una di quelle tante storie che giravano in pae-se. La sera ormai era vicina e gli ospiti

Anno 8 Numero 23 Febbraio 2015

La

LA CASA Velieri con gli spiriti, boschi stregati e case maledette nella fantasia dei ragazzi a cura della classe 2^ F - Scuola Media di Crosara

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cominciavano ad arrivare per festeggia-re con l’amico l’acquisto della nuova casa. Verso le 23.00 salutò gli ospiti e andò a dormire. All’improvviso sentì dei rumori provenire dal piano di sotto. All’inizio pensava fosse Isobel intenta a finire di lavare i piatti, poi si ricordò che la governante se n’era andata prima che lui andasse a letto, quindi non po-teva essere lei. Ad un certo punto si sentì un rumore ancora più forte, come se fosse caduta per terra una pentola, così John si alzò e andò a controllare. Quando fu alla fine delle scale, vide un’ombra che rifletteva luce e scappò in camera. Pensava fosse stato un incu-bo e si pizzicò parecchie volte, ma fu

inutile. Pensò che se il fantasma lo avesse trovato a letto non gli avrebbe fatto niente. Nello stesso momento in cui si girò, se lo vide davanti: era alto e magro, pallido, con i capelli neri e lisci che gli arri-vavano fino alle spalle. Il volto non era ben definito, come se fosse stato rovinato. Era tutto dello stes-so colore. In lui c’era qualcosa di inquietante, come se fosse stato ucciso senza pietà. Aveva una tuni-ca nera con due croci nella parte bassa e una collana con una croce dorata più grande al centro; porta-va un mantello nero con un cap-puccio, fermato davanti al collo da una piccola croce anch’essa dora-ta. Lo spettro cominciò a chiamare il suo nome e faceva un segno, come se dovesse seguirlo; senza pensarci due volte lo assecondò. Lo portò in cantina e John comin-ciò a sudare freddo, perché dietro ad un muro c’era un lungo corri-doio con molti attrezzi di tortura. Alla fine c’era un muro di mattoni. John cominciò a toglierli ad uno ad uno finché non intravide delle ossa dentro ad una bara mezza consu-mata. La aprì e vide uno scheletro con in mano un libro. Il fantasma gli fece segno di leggerlo. John si fece promettere che non si sareb-be mai più manifestato nella terra dei viventi. Il giorno dopo il pro-prietario della villa raccontò tutto l’accaduto ad Isobel che gli disse che si trattava di un incubo poiché la sera prima aveva mangiato trop-

po. Asya Chemello. Una casa maledetta. Era ormai da tempo che abitavamo in una vecchia casa. Non era sistemata molto bene: quando camminavi si pote-va sentire il piccolo scricchiolio che pro-ducevano le travi quasi marce. Giusta-mente i miei genitori presero la decisio-ne di cambiare casa. Girammo tutte le vie di molte città, ma sempre senza mai trovare quella che poteva piacerci e che ci potevamo permettere. Un giorno partimmo con la macchina: la nostra meta era un paesetto di nome Ernesto-poli. Girammo a lungo senza mai trova-re niente. Ad un tratto vedemmo la casa che faceva al caso nostro. Non era di grandi dimensioni, ma almeno era

economica. Di fronte c’era un bel giar-dino con più di cinque peschi fioriti. Sulla porta c’era scritto il numero tele-fonico del proprietario e lo chiamam-mo per chiedergli di poter entrare nell’edificio. Senza indugio ci rispose di no, ma dopo molte insistenze accon-sentì a farci da guida. Avevamo preso appuntamento alle sedici e trenta e il padrone non arrivò in ritardo. Appena entrati, vedemmo alla nostra destra una piccola cucina con i mobili tutti in legno e alla nostra sinistra un salotto molto ampio con in mezzo un tavolino di vetro. Alla fin fine il giro non durò molto e, senza esitare, noi la compram-mo. Mio padre prese il libretto degli assegni, ci scrisse la cifra trecentomila e lo firmò. Appena il proprietario prese in mano l’assegno si poteva vedere, dalla sua espressione, che era molto felice di venderla. Per il trasloco non ci mettemmo molto tempo e dopo dieci giorni riuscimmo a dormire nella nostra nuova casa. Nella mia stanza notai che nel muro c’erano delle scritte in rosso. Mi avvicinai e mi resi conto che si trat-tava di sangue. Si potevano leggere queste parole: “In questa casa non dormirete felici perché in antichità una giovane fanciulla fu intrappolata pro-prio qui. Le fu attribuita questa tortura perché lei aveva tradito suo marito e lui, per punizione, l’aveva rinchiusa in una piccola stanza e l’aveva legata con delle manette ad un chiodo che spun-tava dal muro . Le dava il giusto per sopravvivere e, quando gli girava il matto, la frustava. E’ per questo moti-vo che ogni venerdì notte il fantasma prende vita per uccidere chiunque si trovi in questa casa”. Per pura coinci-denza era venerdì. Quando fu l’ora di andare a letto mi uscirono delle lacri-me. Rimasi sveglio per tre ore, ma il sonno si faceva sentire. Chiusi gli occhi per un attimo e quando li riaprii mi tro-vai davanti il volto di una ragazza. Era piena di cicatrici (forse causate dalla frusta che usava il marito), gli occhi erano rossi come il magma e dalle mani pendevano delle catene arrugginite. Il primo stimolo che sentii fu quello di gridare. Quando mia mamma e mio papà entrarono nella mia stanza, di me videro solo le ossa e poco dopo succes-se la stessa cosa a loro. Nicola Pozza.

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parole sono sempre state l’elemento che completa la nostra vita. Le parole ti aiu-tano a comunicare.

Ma, se sei timido, è come se le parole se ne andassero, per tornare solo quando sei a tuo agio. Ma non sempre le parole sono come vorremmo noi. A volte possono ferire le persone che ti stanno intorno. Io preferisco le parole belle, perché con esse puoi esprimere alle persone a cui vuoi bene, i tuoi pen-sieri positivi. Magari, quando sono un po’ tristi, le puoi aiutare a stare meglio. A mio parere non dovremmo rattristar-ci se le persone ci offendono, perché non ne vale la pena. Dovremmo pas-sarci sopra e vivere la nostra vita con allegria, passione e gioia, perché abbia-mo una sola vita e dobbiamo viverla al meglio. Perché la nostra vita è quella e non dobbiamo abbandonarla a se stes-sa per delle sciocchezze, a cui non dob-biamo dare importanza. Le parole, oltre ad essere molto belle, sono an-che molto interessanti, perché non si finisce mai di impararle. Dietro l’angolo ne trovi sempre una nascosta, in attesa che tu la veda e la metta nel tuo cervel-lo insieme alle altre. Quando sono det-te con cattiveria, le parole possono diventare molto pesanti, ma se sono dette con amore, hanno una leggerez-za meravigliosa e a volte possono an-che volare. E sinceramente sono quelle che preferisco. Ilaria Franco. I numeri ci insegnano a imparare a contare. E quando arrivano i numeri impari la matematica. Quando vanno via i nume-ri, arrivano la geometria e le altre ma-terie. Quando andiamo a casa da scuo-la, dobbiamo fare i compiti. Se non abbiamo fatto i compiti di Matematica il prof ce li dà doppi e poi passa alla nota, sul registro e sul libretto. Gabriele Crestani. Parlare? Aprire la porta del cuore, immaginare, pensare ed espri-mersi. Parlare vuol dire toccare la luna con un dito, volare. Qualcosa di gran-de. La parole possono anche danneg-giare le persone nel profondo dell’ani-mo, ma ci sono anche quelle che ti scaldano il cuore e ti fanno sentire vivo. Parlando si acquisisce, si impara e si comprende. La parola è fondamen-tale, tuttavia nella nostra società non

siamo in grado di comprenderci. Ci capiamo solo con la guerra. Inammissi-bile. Spero arrivi il giorno in cui afferre-remo la parola e useremo quella come arma. Almeno non farà male a nessu-no. Le parole possono essere trasfor-mate in chiacchiere, non grazie a un’e-quazione, ma solo con il proprio vole-re. Il chiacchiericcio è molto più fasti-

Le

dioso delle parole, anzi, a dirla tutta, è inutile. Esistono anche le parole legge-re che, a mio parere, sono quelle degli insegnanti, che vengono fuori e poi si disperdono nell’aria come palloncini ad elio. Noi facciamo finta di ascoltare, ma poi il prodotto non è superiore al 4. La parola è libera di viaggiare, senza nes-sun intralcio, senza nessuno stop. Ma,

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Come pietre

Parole che illuminano, volano, feriscono a cura della classe 2^E - Scuola Media Statale di Crosara

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ricordate, la parola può essere più di quello che credete. Michele Bonotto. Le parole, una cosa difficile da spiegare. Le impari da subito, da quando sei pic-colo. La mamma e il papà te le insegna-no e tu, piano piano, le impari. Le paro-le servono a spiegare, a legare con le persone, a giocare. Però non tutti par-lano come se niente fosse, perché si

vergognano e ci vuole del tempo prima che leghino con una perso-na. Ma c’è gente che non si ver-gogna, anzi al contrario parla di tut-to e perfino si inventa cose che non esisto-no e che non sono vere. A mio parere, le cose che ti fanno stare male biso-gna dirle a una persona di cui ti fidi e che ti vuole bene, e non tenerle den-tro, perché prima o poi scoppi. Ci sono parole di amicizia, di amore, che fanno felice un cuore, ma altre, parole di odio, che ti spezzano il cuore in due parti. Se hai difficol-tà, bisogna chiedere e non essere timidi, per-

ché non serve a niente alla fine. Le parole servono, ma bisogna cercare di usarle al meglio, perché possono ferire i sentimenti. Giulia Farina. Cosa sono le parole? Le parole sono vita. Se non abbiamo la parola cosa facciamo? Ep-pure ci sono persone che non possono parlare. Sono persone senza la parola. La parola è unica, senza la parola noi

non ci possiamo esprimere pienamen-te. Le parole esprimono sentimenti dal profondo del cuore. Da piccolo i miei genitori credevano che non avessi la parola, ma adesso mi chiedono se sono capace di stare in silenzio un minuto. Noi comunichiamo attraverso la parola, gli animali con suoni e ruggiti, oppure strillando, come le oche del nostro or-to. Conosciamo le parole, sono tante, ma sono più quelle che non conoscia-mo. Mattia Matteazzi. Le parole sono belle, ma difficili da dire. Nel senso che non sai mai quali utilizzare, perché le puoi usare nel momento sbagliato. Vorrei sentirmi dire parole nuove, paro-le che mi facciano capire che sono spe-ciale. Bisogna parlare ed esprimersi, perché le parole sono state “inventate” per dirle e non per tener-sele dentro. Altrimenti andrà a finire che esploderai, e magari con la persona sbagliata. Possono riempirti l’anima, ma allo stesso tempo ferirti nel profon-do. Incredibile da credere, ma le parole mi piacciono: quasi quasi non ci credo neanch’io. Le parole sono suoni che esprimono un significato. Ogni tanto le parole saltano fuori da sole, così, come per magia. Nonostante tutto sono una cosa magnifica; indescrivibile. La legge-rezza delle parole è inestimabile. E, quando sono troppo leggere, rischia-mo di volare via. Martina Franco. Le parole. Cosa sono le parole? Per me sono delle amiche. Senza di loro non sapremmo come parlare, come espri-merci e dire i nostri giudizi. Le parole hanno una lunga storia. Certo che viag-giano tanto, di anno in anno. Le parole, nei tempi antichi, si scrivevano su un pezzo di marmo o di carta, invece ades-so basta toccare un tasto del cellulare o del computer e appaiono senza che te ne rendi conto. Ma quante sono le parole? Io non lo so, ma ciò non vuol dire niente. Per credere alle parole non serve contarle. Le parole sono sempre con noi, intorno a noi, e non ci tradisco-no mai. Sono come una colomba, sono ali che ti aiutano a volare, sono le chiavi di tutte le porte. Sono la luce per illumi-nare il nostro destino. Io voglio regala-re delle parole a chi ne è senza, perché so che le parole sono un raggio di liber-tà. Ho detto tutto? Sì, tutto quello che si poteva dire con le parole. Anna Poli.

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Il Giornale Storico Hanno collaborato a questo numero : Ludovica Co lpo, Angelica Cecchin, Giada Campagno lo, Jonathan Caregna-to, Andrea Sandonà, Alessia Fochesato, Arbiosa Ber isha

Il Giornale Storico lo trovate a: Crosara, San Luca, Santa Caterina, Vallonara, Valle San Floriano, Lusiana, Conco, Asiago, Marostica, Marsan, Pianezze, Molvena, Mason, Breganze, Nove, Schiavon, Longa, Bassano del Grappa, Marchesane, Cartigliano, Sandrigo.

Anno VIII Num. 23 Giornale Storico a cura della classe IIIE - SS Crosara Inserto n. 11 - Febbraio 2015 - Distribuzione gratuita VISITATE L’HORTUS MIRABILIS DI CROSARA VISITATE L’HORTUS MIRABILIS DI CROSARA

Anno 8 Numero 23 Febbraio 2015

di Giada Campagnolo Oggi è il 28 giugno 1914, ormai sono passati cinque giorni dalla nostra partenza. Sono Sofia, moglie dell'arci-duca Francesco Ferdinando, erede al trono dell’impero Austro-Ungarico. Posso dire che fin dalla partenza il nostro è stato un viaggio piuttosto sfortunato: il motore dell’automobile si è surriscaldato e la macchina si è incendiata, quindi siamo stati costretti a proseguire il viaggio in treno. Siamo diretti a Sarajevo, spero solo che a destinazione non ci tireranno le bom-be, come ironicamente sospetta mio marito Francesco. Il nostro viaggio ha come obiettivo una visita ufficiale alla città bosniaca. Siamo arrivati. La nostra prima tappa è stata la visita alle caserme di Sarajevo. Ora ci stiamo dirigendo, in automobile, percorrendo

le strade assolate e affollate di Saraje-vo, verso il centro città. Abbiamo appena attraversato la riva Appel, sul lato destro del fiume Miljacka. Oggi è una giornata soleggiata e devo dire che il paesaggio è meraviglioso. Data l'occasione io e mio marito abbiamo approfittato per visitare la città. Oggi è una domenica un po' particolare qui a Sarajevo, perché proprio il giorno della nostra visita coincide con la festività ortodossa in onore di San Vito. Si tratta di una ricorrenza piuttosto conosciuta e la città è parecchio affollata. La nostra visita in città mi preoccupa molto. Sono so-prattutto queste le giornate in cui qualcuno magari approfitta per far vivere ai cittadini orrori che rendono giornate splendide come questa, vere e proprie tragedie.

VIAGGIO A SARAJEVO di Andrea Sandonà Cari mamma e papà, sono in una trincea a pochi chilometri da Amiens. Sto combattendo per la mia patria e per difendere gli alleati dell'Inghilterra: stiamo difendendo Parigi dall'attacco della furia tedesca. Questa mat-tina 5 settembre 1914 mi sono svegliato da poco, dopo qualche ora di sonno, ma mi accorgo che qualcosa non va: il generale Foch mi sembra teso ed agitato, i miei compagni fremono e si sente aria di cambiamento. Si è sentito parlare di un probabile attacco tedesco e quindi ci stiamo preparando al peggio. Il portavoce ci ha comunicato che dobbiamo subito prendere posi-zione e augurarci che vada tutto bene. Adesso sto aspettan-do e, per vincere la tensione, scrivo questa lettera, forse l’ulti-ma. Ho deciso di salutare voi, i miei cari, prendendo carta e penna. Fino a questo momento la vita qui in trincea è stata ricca di ansia, ma noiosa. In questo fosso fangoso dormiamo poco e male, fumiamo tantissi-mo e beviamo cognac per ri-scaldarci. Il tempo non passa mai e cerco di occuparlo scri-vendo a voi. Quando piove è durissima; la trincea si riempie d'acqua e di fango. Ci sentiamo presto, mamma e papà, un abbraccio forte. Vostro figlio Pierre.

Lettere dal fronte

di Ludovica Colpo Guerra. È questa la parola che mi risuona in testa giorno e notte. La parola di cui solo la morte non ha paura. Sono un’unica cosa. La guerra è morte. Vivevo in una piccola, umile casa di montagna, sull’Alto-piano di Asiago. Lì la mia vita era nata, e lì volevo stare, per sempre. Abitavo lì da quando ero bambina, una fragile vita, che non avrebbe mai saputo cosa il destino le avrebbe riservato. Fu difficile lasciare la mia casa e mi portai via poco più del necessario. È come se io fossi ancora lì, in fondo una parte di me non se n’è andata mai. Trasportai le mie poche cose con un carretto di legno che, procedendo sempre di più verso quella che sarebbe stata la mia nuova casa, andava lento, molto lento.

Il dramma degli sfollati La morte irrompe sull’Altopiano

Perché io da lì non volevo andarmene. E mi chiesi più volte, in quell’interminabile tragitto, se un giorno sarei tornata nelle mia terra, magari per restarci per sempre, finché la morte non mi avesse portato con sé. Quel giorno, quel brutto giorno, sentii improvvisamente gli scoppi delle granate austroungariche. E fui costretta a partire per andare lontano. Vidi decine di carri trainati da buoi e cavalli, e vecchi, donne e bambini pallidi in sella ai muli. Rasse-gnarmi, in quei pochi minuti, ad abbando-nare tutto per ricominciare da capo. Non fu facile, ma io e mio marito per il momento eravamo insieme e non avevamo paura di niente. La sofferenza dà forza. E credo che finché avrò mio marito al mio fianco riuscirò a scavalcare mari infiniti e

cieli altrettanto grandi, e a non avere paura di nulla. Ora sono qui, a ricomincia-re una nuova vita; tutto è cambiato. Mi manca affacciarmi alla finestra e vedere vicine quelle imponenti montagne che coprivano il cielo. Mi manca bruciare nel camino la legna dei miei boschi, quando il freddo era proprio insopportabile. A me piaceva tanto sentire quella particolare aria di montagne. Ora fa caldo qui. Dalla finestra non vedo più boschi maestosi, ma prati di un verde vivo fino alla fine dell’in-verno, con un profumo di fiori che mi avvolge e che mi fa sentire sempre di più la mancanza di quei fiori che spuntano solo in piena stagione. Mi manca la mia vita lassù. Mi manca mio marito, che la guerra si è preso e non so quanto tornerà.

di Jonathan Caregnato Sono Giuseppe, ma tutti i miei compa-gni mi chiamano Bepi. Sono un milita-re, un alpino, ho combattuto la guerra ad Asiago. È stata molto dura. L’alto-piano è pieno di morti, di rovine e di qualsiasi genere di rifiuto bellico. Pian piano sono tornato a casa, dalla mia famiglia. Mia moglie Giuseppina e i miei due figli Davide e Francesco, sono riuscito a vederli dopo un bel po’ di tempo. Sono sopravvissuti per miracolo, sono stati sfollati a Villaverla. Quando finalmente ci siamo ritrovati nè io e nè loro ci siamo riconosciuti. Io avevo una barba lunga e folta, la divisa logora e sporca di sangue e fango. Terminata la guerra, io e altri miei compagni siamo andati a seppellire le vittime, distin-guendole per nazionalità, in cimiteri diversi. Un giorno su dei resti di un soldato ho trovato una targhetta di riconoscimento con su scritto il nome di mio cugino “Gianmario Rossi”. Subito non l’ho riconosciuto, ma poi sono andato a chiedere informazioni ai suoi familiari. Era proprio mio cugino.

Amaro ritorno

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di Angelica Cecchin È notte. Fa molto freddo, siamo in pieno inverno. Sono un soldato che spera di svegliarsi domani ancora una volta. È appena finita una battaglia a Cima Quattro. Vedo a pochi passi da me due uomini. Uno dei due sembra in fin di vita. È ferito, si vede sangue dappertutto. L’altro invece sembra stia parlando. Sì, sta parlando e cerca di far capire che la morte del suo compagno non è un invito alla dispe-razione, bensì è un’esortazione ad amare la vita. Le parole di questo uomo lasciano capire il suo dolore, sembra stia intonando una poesia. L’uomo ha una voce stanca, si sente che sta combattendo ormai da 24 ore. Potrebbe essere che lo abbia già visto, ma tra tutte le persone vive e morte che ho incontrato oggi, non ricordo di aver sentito la sua voce. Diciamo che, come ogni giorno, il rumore che soprattutto sentiamo è lo sparo di cannoni e fucili e l’esplodere delle bombe che ci raggiunge dovun-que, anche quando si è ben rannic-chiati nel fossato. È vestito con un lungo mantello marrone e l’elmetto in testa. A differenza del compagno morto, lui ha ancora tutte e due le gambe. Sta piovendo già da un po’ e non accenna a smettere, e il sangue dei soldati comincia a scorrere tra i loro corpi. Io sono circondato da cadaveri e da sangue, uno sfondo ormai alquanto normale, ma che avrei preferito mai più rivedere. Quando cala la notte, sorge la nostalgia. Mi manca mia moglie, mi manca lo stare seduto con lei davanti al caminetto. Mi manca l’atmosfera di calore che mi cresceva dentro ogni volta che varcavo la porta di casa al ritorno dal lavoro. Vivo ormai da mesi con il pensiero di non poter più godere di questi mo-menti. Vivo ormai con la paura di non poter più vedere la luce del sole che sorge e di non arrivare a vedere il tramonto del sole. Vivo ormai da tempo con queste paure, che purtrop-po non sono solo un brutto sogno. Sono tragiche realtà che stanno segnando la vita di ogni uomo e la storia dell’Italia.

di Arbiosa Berisha Mio padre è in guerra. Io, mia mamma e i miei fratelli viviamo dalla nonna materna, poiché la mamma non ce la fa da sola ad accudire la famiglia, lavorare nei campi e lavorare in fabbrica. Lavora in una fabbrica di munizioni al posto del papà, da quando lui è andato al fronte. Quando torna, è molto stanca. Io e i miei fratelli, Antonio e Andrea, andiamo a scuola ed io sono la più grande dei tre. Quando suona la campanella di fine giornata devo correre a casa alla svelta per far da mangiare, fare le pulizie e tenere d’occhio i miei fratelli minori. Mia nonna confeziona a mano, con i ferri da lana, maglioni e calze per tutta la famiglia. Finite tutte le faccende di casa e i compiti, gioco con una bambola di pezza che mi ha cucito mia nonna. Invece i miei fratelli giocano con un trenino costruito con piccoli pezzi di legno. Oggi è un bruttissimo giorno perché è arrivata la notizia che nessuno avrebbe voluto sentire: mio padre è morto. Siamo disperati, aggrappati alla gonna della nonna. Lei ci abbraccia teneramente e con le lacrime agli occhi ci tran-quillizza dicendoci che ci vuole un mondo di bene e che ci saranno sempre lei e la mamma a vegliare su di noi.

Guerra! SCORRE IL SANGUE AD ASIAGO

di Alessia Fochesato Sto lavorando ormai da 8 ore. Tutto questo si ripete sistematicamente ogni giorno. Nella fabbrica di munizioni il lavoro è molto faticoso. Vivo a Marostica ed ogni mattina riesco ad andare a Rossano Veneto in bicicletta. Lavoro al reparto verniciatura. Il mio compito è alquanto delicato, di precisione. Non devono risultare sbavature di colore. Il padrone passa spesso e ci sprona a fare in fretta e bene. Ho tre figli di età diverse, la più grande è Maria ed ha 9 anni, l’altro ha 7 anni e si chiama Andrea; il più piccolo, Antonio, ha 3 anni. Io sono Dome-nica, 28 anni, mio marito Giuseppe ha 29 anni. Purtroppo la vita è molto difficile soprattutto perché mio marito è in guerra. Le preoccupazioni sono molte ma purtroppo la situazione è questa e non si può cambiare. Tutto è difficile. Il mio desiderio più grande è quello di vivere felice la mia vita insieme a tutta la mia famiglia. Solo la domenica posso stare con i miei figli e devo anche pulire casa e preparare qualcosa per la cena. Ma al di là di tutta questa tristezza, c’è qualche momento di felicità. Ebbene sì, anche un sorriso dei miei figli mi rende felice. Durante la settimana Andrea, Maria e Antonio stanno con la nonna. Sono certa che si sentono al sicuro e non avvertono la mia mancanza.

IL SORRISO DEI MIEI FIGLI

di Ludovica Colpo, Giada Campagnolo, Angelica Cecchin Schio, 17 novembre 1916. Fuori è gelo, da qui vedo la neve. E sento la guerra. M’incammino verso le retrovie del fronte, mentre sotto i miei piedi la neve scricchiola ad ogni

passo, porta le mie impronte. Ho paura di vedere ciò che tra poco mi aspetta. Penso a quante vite in poco tempo se ne sono andate. Senza poterci fare nulla. Ogni cosa che guardo, ogni rumore che ascolto mi sembrano irreali. Uomini e uomini. E lontano vedo una struttura che è un ospedale. Quell’ospedale in cui entra-no centinaia di feriti, che a volte non escono più. Mi chiedo come la vita sia ingiusta. Penso agli uomini e alle donne che cercano di salvare vite umane ferite. Perché i cannoni sono morte. Lo sembrano. E lo sono. Oggi

sono qui perché devo scrivere un pezzo per il giornale l’Avanti. Devo raccontare di questi ospedali, in cui molti sono venuti a finire la loro vita, ma altri fortunatamente sono stati salvati. Arrivo all’ospedale n.073 di Schio, specializzato nel trattamento

dei feriti al cranio. Mi faccio avanti, nella spe-ranza di trovare qualche infermiera che mi dia informazioni, che possa dedicarmi un po’ del suo tempo prezioso. Forse non potrei stare qui, ma la gente deve sapere ciò che accade in questa guerra. Sono sicuro che far conoscere questa

drammatica realtà aggiunga sofferen-ze, ma sia comunque doveroso. Capisco come il mio lavoro, semplice e banale all’apparenza, sia in realtà importante e significativo. Trovo un’infermiera, una crocerossina volon-taria. Ha un abito bianco sporco di sangue; ha i capelli raccolti. Ha al braccio una fascia con una croce rossa; una divisa mod. 1909. Tra i letti e i feriti che si lamentano, si muove il cappellano militare, che conforta come può questi uomini che chiamano il nome della mamma, come ultimo appiglio ad una vita che

se ne sta andando. Passano anche alcuni infermieri, porta feriti e barel-lieri, medici e crocerossine. Enorme è il numero di medici militari nella zona di guerra già quest’anno, ben ottomila. Mi dicono che, dietro la prima linea si trovano i posti di medicazione, infermerie provvisorie, sistemate in punti il più possibile al riparo dal fuoco nemico. Qui vengono sommariamente fasciati e medicati i feriti che non sono riusciti da soli a fermare un’emorragia, a fasciarsi un braccio rotto. Da qui, a piedi o in groppa a muli, a spalla o in ambu-lanza, raggiungono l’ospedale da campo. Tutto molto ordinato questo sistema, sulla carta, ma a giugno tutto salta. Il numero dei feriti aumenta terribilmente. Quelli che muoiono vengono portati al cimitero su un carretto tirato da un cavallo o da un mulo. Il cimitero è pieno.

Cannoni di morte! Viaggio lungo le retrovie vicentine

UN BRUTTISSIMO GIORNO

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irca una settimana fa abbia-mo fatto una prova di orien-teering fuori da scuola. E’ stato bello, un’esperienza diversa. Non la solita prova

dentro le quattro mura, ma all’aperto; ripeto, è stato bello. Io che da quello sport non sono molto attratta, posso dire che fatto così un po’ mi ha fatto cambiare idea, cioè sotto sotto è anche una bella attività da fare. Ovviamente non in modo professionale, ma per trascorrere una domenica diversa. Poi, fatto in compagnia, con gli altri, ti di-verti ancora di più e ti attira l’idea di farlo di nuovo. Non è stata assoluta-mente un’ora persa, ma è stata un’ora andata a buon fine. Tanti miei compa-

gni la pensano come me e ritengono sia stata una cosa utile. Angelica Cec-chin. L’orienteering è sempre stata per me un’attività scocciante, anche se sono bravo. Il prof Carlesso ci insegna questo tipo di sport in cui si impara ad orientarsi con cartina e bussola. Però venerdì 27 febbraio ho scoperto che è uno sport divertente perché siamo andati con i professori e il prof Carlesso sul territorio di Crosara - San Luca per fare una bellissima prova. E’ stato mol-to facile, anche se il campo su cui ci siamo mossi era erto. Mi sono divertito a correre in giro come un matto, poi con la compagnia della classe 3E è sta-to favoloso e ricco di allegria. Nella classifica io sono stato quello della mia

classe con il miglior tempo e neanche un errore nel percorso. E’ stato fantasti-co. Fabiano Busa. L’orienteering è una materia che a me non piace molto. Ma, pochi giorni fa, siamo usciti per fare un’esperienza all’aperto, che ritengo bellissima. Ci hanno dato una tabella, dovevamo trovare le lanterne e segna-re le lettere che erano scritte su ogni lanterna. Alla fine abbiamo chiesto al prof Lacaria se potevamo fare un altro giro, e ci ha lasciato. Vorrei fare un’altra esperienza simile. Denis Vanzo.

A CACCIA DI

Straordinaria esperienza all’aria aperta a cura della classe 3^E - Scuola Media Statale di Crosara

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Il sole illu-minava l’azzurro mare e le

onde danzavano trasportate dal fresco vento. Percorrevo la strada scrutando dal finestrino il paesaggio che mi cir-condava. Arrivata alla meta, notai che l’acqua era tiepida e il cielo era tempe-stato di uccelli neri. Seduta sulla sdraio stava una ragazza strana. Portava un cappello anni sessanta e indossava un costume strabiliante. Fissava un libro giallo dalla copertina rovinata, color cenere. Vicino a lei stava una signora con lunghi capelli biondi come camo-milla e occhi verdi colmi di rigidità. La donna controllava la bambina come un vigile in preda al panico e la ragazza si chiuse in se stessa. Io guardavo da lon-tano e mi immedesimavo in Carola. Tra me e me dicevo: “Anch’io, tante volte, mi chiudo in me, ma a differenza di

Carola, io spiego come mi sento”. In-tanto osservavo il paesaggio. Decisi di chiederle se volesse giocare con me. Carola, la ragazza, mi rispose che do-veva prima chiedere alla mamma. La signora ci pensò e approvò l’idea. Ci buttammo nel mare e giocammo a spruzzarci d’acqua. Nel fondo dell’ac-qua azzurrognola le mani rosee dei turisti si confondevano con i piccoli pesci. Durante la nuotata Carola mi parlò del rapporto difficile e scontroso che aveva con i suoi genitori. Io cercai di aiutarla dandole questo consiglio: prova a raccontare ai tuoi genitori come ti senti e di’ loro che non ti senti capita. La ragazza rispose: “E’ inuti-le!”. Alla fine della discussione raccon-tò ai genitori il suo stato d’animo. Dis-se: “Voi non mi capite! Pensate che io abbia 3 anni!”. Il sole tramontava e la sera si faceva sentire. Il cielo ingrigiva e lo stormo di uccelli spariva nel gran-

de lenzuolo. Il mare era acqua che tintinnava in un monotono specchio. La pioggia tamburellava contro il mio finestrino e il libro giallo divenne zup-po d’acqua. Le pagine si spezzarono, il colore si sbiadì, la copertina si distrus-se. Tornai a casa con l’incessante ru-more della pioggia e il continuo pensa-re a Carola. Dopo qualche mese accesi il computer. Stavo ascoltando musica, quando uno squillo interruppe il magi-co momento. Era il telefono, il fastidio-so rumore del telefono. Risposi. Sentii una voce rauca: sembrava che stesse per raccontarmi qualcosa di speciale. Capii che era Carola e che era final-mente felice e capita dai suoi. Ecco. Questa è un’esperienza che mi è capi-tata e che mi ha trasmesso l’impegno e la forza di questa ragazza per riac-quistare il rapporto perduto. Ho impa-rato che in una famiglia ci deve essere dialogo e comprensione.

ERA ESTATE I difficili rapporti fra adulti e ragazzi di Maria Cortese cl. 1^E - Scuola Media Statale di Crosara

Era estate.

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Brik era il cane che mi voleva più bene. Due anni fa, dopo un po’che mio non-no era mancato, anche lui morì. Brik era bianco e gli piaceva giocare a na-scondino con me e mio fratello. Quan-do arrivavamo all’allevamento, lui veni-va vicino a noi e ci portava un sasso. Venivano lì anche gli altri due cani e noi li accarezzavamo. Lui ci dava un picco-lo morso che non ci faceva male. Diana è tranquilla. Ha il pelo nero e marrone chiaro. A lei piace se mio fratello e io la accarezziamo. A rincorrere i visoni non è mai stata brava perché è sempre stanca. Jack è il cane più morbido di tutti. Ha il pelo dello stesso colore di

Diana ma più lungo. Era un pigrone, ma adesso è più bravo e ci ascolta. Andrea Pozza. Il canto di Zeus. Io ho un canari-no comprato due settimane fa come animale da compagnia. I primi giorni facevi fatica a sentirlo quando cantava. Il canarino, pian pianino, si sta abituan-do a noi e al suono delle nostre voci. Quando arrivo da scuola, lui comincia a cantare. Tutte le mattine in garage lui gorgheggia e lo sento fino in camera mia: è lui che mi sveglia. Io lo devo portare fuori tutte le mattine prima di venire a scuola. Gli cambio l'acqua dell'abbeveratoio e subito un altro uccellino chiama il mio. Allora lui co-mincia all'impazzata e fa delle melodie bellissime che durano diversi secondi. Fino a quando non mi vede più. Quan-do mia mamma sta facendo dei lavo-retti fuori, canta anche con lei. Quando invece vede le mie zie, non canta più perché non riconosce la voce, quindi lui sta muto come un pesce, non si dondola sul dondolino e si muove solo sul fondo della gabbietta. Lui si na-sconde quando vede un gatto e si met-te in posizione da non farsi vedere. Il mio uccellino si chiama Zeus. Noi l'ab-biamo chiamato così perché è tutto giallo come il re del sole. Zeus ha un

piumaggio bellissimo: la coda tutta bianca e le ali hanno tutte le piume gialle. Sulla testa ha un puntino bianco. Lui non sta mai fermo. E' agitato quan-do vede gli altri uccellini: si mette a cantare, ma non lo ascoltano e allora lui si arrende. Il mio canarino è simpati-co e ha un musetto talmente dolce che sembra un neonato. Se mette il dito nella gabbietta una persona che non riconosce, lo morsica. Invece se gli metto dentro il mio, lui viene con la testina per farsi accarezzare. Lui non mi ha mai morsicato. Zeus è bellissimo e affettuoso. Niccolò Chemello. Nel sapore il segreto. A me piace molto il pasticcio che prepara mia nonna. Ha la

UN TRENO CHE PORTA

lontano Un viaggio nella vita di tutti i giorni a cura della Classe 1E - Scuola Media di Crosara

Anno 8 Numero 23 Febbraio 2015

Morbido e nero.

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Anno 8 Numero 23 Febbraio 2015

pasta morbida, il ragù di carne è molto saporito e la besciamella pure. Ogni volta che vado a mangiare da lei, le chiedo sempre se me lo prepara. Lo mangio molto volentieri e chiedo an-che il bis. Anche mia mamma, a volte, lo fa, ma non è mai buono come quello della nonna. Sicuramente la nonna ha il suo segreto per renderlo più saporito. Il pasticcio è il piatto che mangiamo anche nelle feste di Natale e Pasqua quando siamo tutti assieme. Se potessi lo porterei anche a scuola quando ho il rientro al martedì e al giovedì perché mi devo fermare là a mangiare. Marco Soster. Veloce e prezioso. Il tempo, anche se non si vede, esiste. Noi umani

non lo vediamo, ma pos-siamo misurarlo con l’oro-logio, strumento fornito di lancette e numeri. Il tempo è una cosa molto importante: non va mai sprecato. A volte non ci si accorge nemmeno di co-me passi velocemente soprattutto quando si sta facendo qualcosa che ti appassiona molto. Altre volte, invece, se si sta facendo qualcosa di poco interessante o noioso, il tempo pare non passare mai, sembra addirittura essere infinito. Quando si alza la testa e si guarda l’orologio, ci si accorge che il tempo è passato troppo in fretta, magari senza aver concluso nien-te di interessante e così ci si rende conto che è stato tempo sprecato. Se non ci fosse, la vita degli uomini non avrebbe senso. Il tempo è prezioso e dob-biamo viverlo nel miglior modo possibile. Aurora Cecchin. Un buffo naso a patata. Io voglio tanto bene alla mia nonna per-ché si prende cura di me. Mia nonna Anna è una donna semplice. É una persona altruista e dete-sta la confusione. Lei è un

po’ robusta e ha un buffo naso a pata-ta. Le piace molto cucinare e per que-sto ama stare a casa: non vuole mai uscire in pizzeria. Esce poche volte e,

se lo fa, è per andare a fare la spesa, andare al mercato, uscire a cena con tutta la famiglia e andare a messa. Da giovane faceva l’infermiera con passio-ne a Marostica e lavorava a casa nei campi con il nonno. Come ho già det-to , adora fare da mangiare e soprat-tutto ama preparare ai suoi nipoti dei piatti squisiti ed esaudisce le nostre richieste. Quando vado da lei sono sicura di trovare sempre qualcosa di buono. Mi piace molto stare con lei perché mi parla del nonno e mi inse-gna qualche trucco di cucina. Io le vo-glio bene. Lei ne vuole a me e me lo dimostra ogni giorno. Alessia Bertirossi. Rotaie e piedi stanchi. Per me la danza è come un treno che si ferma, fa salire i passeggeri e riparte sulle rotaie arrug-ginite e consumate. E’ un treno che ci porta lontano in mondi affascinanti. Io sono salita su questo treno all’età di 9 anni. Durante il mio viaggio ho cono-sciuto tante persone che sono salite e sono scese, allievi e insegnanti. Le ro-taie rappresentano i piedi stanchi di noi ballerine quando indossiamo le “punte” e l’impegno che dobbiamo mettere per eseguire, sempre meglio, esercizi e balletto. Quando danzo mi trovo in un mondo completamente diverso ed opposto a quello reale, do-ve la musica è la regista. Al suono della musica i nostri corpi si muovono con leggerezza e brio. Sul grande specchio della sala dove danziamo, vediamo riflessi i nostri corpi che sembrano far-falle che volteggiano nell’aria. E’ una bella immagine che ci stimola a fare sempre meglio per preparare le nostre esibizioni. Danzare dà una grande sod-disfazione a noi che balliamo, ma an-che a chi ci guarda. Maria Cortese.

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Anno 8 Numero 23 Febbraio 2015

Chi più chi meno. Amo quelle piccole cose. Quei dettagli che pochi riescono a cogliere. Vedi quella fossetta che si forma quando sorridi? Ecco, io mi sono innamorata di quella. M’innamoro sempre di quelle piccolezze, che in fondo hanno tutti ma che pochi riescono a vedere. E quei dettagli restano, restano e non li di-mentichi. Ed è per questo che ogni per-sona che passa nella nostra vita è unica. Sempre lascia un po’ di sé e si porta via un po’ di noi. Questa è una delle cose più belle della nostra vita, sempre ognuno lascerà qualcosa, chi più chi meno, ed è la prova che due anime non si incontrano per caso. Non ci si scorda delle persone. Non ci si scorda del loro modo di fare, delle loro giornate storte, e anche di quelle belle, delle pazzie, del modo di pettinarsi, di vestirsi, di vivere. Ludovica Colpo. Che cos’è l’amore? L’a-more è la cosa più bella che ci possa capitare. L’amore ci salva e ci distrugge in continuazione e non appena diciamo “non mi innamorerò più” ci innamoria-mo, perché è un sentimento così forte che non si può controllare. L’amore ti fa sentire vivo, e non possiamo proprio evitarlo, perché ne abbiamo bisogno. L’amore lo trovi in piccole cose, in gesti semplici, ma sempre molto importanti. L’amore è anche un sentimento che può portare alla sofferenza. Ma è quel sentimento che ci fa crescere, che fa di noi vere donne e veri uomini. Alessia Fochesato. Un cuore infranto. Un cuore infranto non si riaggiusta più. Proprio in questi giorni a me è capitato, sfortuna-tamente. Sì, perché io amavo una per-sona, le ho mandato un bigliettino tra-mite un Prof ma lei ha risposto che non voleva. Va bene, è andata male. Ora il mio cuore è infranto. Ho provato a di-menticare questa persona giocando a calcio, con la Play, ma niente. Ora, per dimenticarla, non so che fare e so che questa persona non la dimenticherò mai. Mi dispiace un po’. Ho chiesto aiu-ta anche ai prof e loro hanno risposto che forse non fa per me. Non lo so, ma l’unica cosa certa è che ora il mio cuore è spezzato. Gabriel Azzolin. L’amore. L'amore, quel dolce sentimento, che ti rende felice, ma allo stesso tempo tri-

CUORI Quando un incontro diventa “speciale” a cura della cl. 3^E - Scuola Media Statale di Crosara

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ste. Quei periodi in cui credi possa sboc-ciare un amore, ma un amore vero. Quei periodi, in cui soffri, ma non vuoi essere aiutata da nessuno, perché vor-resti che a consolarti venisse solo "Lui". E speri che un giorno, presto o tardi, torni da te e ti chieda: "Ricominciamo?" Ma poi ti rendi conto che l'amore non è dirsi continuamente "Ehi, lo sai che ti amo?" Questo non è amore. Amore è scherzare, raccontarsi di tutto, ridere insieme, fare gli stupidi, trovare ogni difetto e accettarlo, nonostante tutto. L'amore è conoscere il peggio di una persona e fregarsene, come per dire: "Ne vale la pena". L'amore è esserci, non andare via. Quando ti accorgi che tutto questo non è possibile, allora quella speranza di ricominciare la perdi per sempre. Giada Campagnolo. Quei momenti. E poi ti arriva quel messaggio. Quello che mentre lo leggi ti fa venire la pelle d’oca. Quello che mentre lo leggi ti riempie gli occhi di lacrime. È uno di quei messaggi bellissimi che ti fanno cambiare la giornata; e uno di quei mes-saggi che hanno anche la capacità di farti piangere. Ma non piangi per tri-stezza, anzi.. piangi perché sei felice, perché la persona che ti ha inviato quel messaggio è la persona più importante che hai. Poi da questa persona senti che, con un filo di voce, ti chiede cosa potrebbe fare per vederti davvero feli-ce. E lì, beh.. un sorriso non riesci pro-prio a trattenerlo, anche se stai vivendo un periodo buio. Insomma, c’è quella persona speciale, che sai che anche quando avrete 50 anni potrai chiamarla ancora la tua migliore amica e che po-trai chiamarla per farvi due risate davan-ti ad una Tv con dei pop-corn. Perché con la tua migliore amica si potrà anche

litigare, però è pur sempre la tua miglio-re amica e resterà insieme a te per sem-pre. Angelica Cecchin. Un abbraccio. Un abbraccio può significare tantissime cose per una persona, soprattutto per i ragazzi e le ragazze della mia età. Ci sono abbracci falsi e abbracci veri. Quel-li falsi vengono fatti da persone che vengono ad abbracciarti non perché ti vogliono bene, ma perché non sanno come avvicinarsi a te. Quelli veri, invece, sono fatti da persone che ti vogliono veramente bene e tengono a te. Il brut-to è che non ti accorgi subito che un abbraccio è falso, perché magari ci tieni a quella persona. Quando ti accorgi, però, ci stai molto male, perché una persona che in tutto l’anno ti ha sempre sostenuto e abbracciato e tu pensavi che lo facesse con il cuore, in realtà era solo una finzione e così il mondo ti cade addosso. Alessia Lanaro. Nonostante tutto. Odio le coppie della mia età. So-no tutte “senza di te non vivo”, “il no-stro è un per sempre”. Non durano nemmeno un mese. Non affrontano le difficoltà, gli ostacoli, si incontrano e poi si perdono, si innamorano e poi ognuno per la sua strada. È tutto facile il primo mese, è tutto così bello e perfet-to. La vera prova dei sentimenti è dopo, quando si affrontano e si accettano i difetti insieme. Volersi davvero vuol dire annullarsi, ingoiare l’orgoglio. Vuol dire combattere insieme, lottare insieme. Volersi è altro. Volersi è dimostrare niente, ma amare tutto. Volersi è altro che tenersi, è tutt’altro. Volersi è com-battere, nonostante le giornate no, la distanza, nonostante i tanti errori. E poi non si può scappare quando una perso-na diventa il tuo rifugio. Non ne esci vivo se trovi la tua metà. Ludovica Colpo.

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ercoledì 4 marzo siamo andati a vedere una fatto-ria. Volevamo vedere le mucche e la stalla perché stiamo partecipando ad un

progetto sull'alimentazione e quindi ci interessava capire come viene prodotto un alimento fondamentale per i bambi-ni: il latte. Avevamo tante domande da fare a Marita e Tino, proprietari della stalla. La stalla si trova vicino alla chiesa di San Luca. Non è molto grande, ospita 15 mucche. C'erano anche 3 vitellini, facevano tenerezza ed erano bellissimi con quegli occhioni grandi, scuri ed espressivi. Niccolò ha messo una mano in bocca al vitellino e questo succhiava come fosse la mammella della sua mamma. Le mucche erano di razza Ren-dena, avevano il manto marrone scuro, e un bel muso simpatico. Ci seguivano con uno sguardo curioso girando la testa di qua e di là. Ognuna aveva il suo nome: Palma, Uva, Irenia, Vespa e altri.

M

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Tino, quando le deve mungere, le chia-ma per nome e loro si tranquillizzano. Ci ha detto che amano la tranquillità e il silenzio. Sicuramente noi con il nostro allegro chiasso le abbiamo disturbate un po'. Marita ci ha preparato anche una sfiziosa merenda con latte e torta che noi abbiamo mangiato di gusto. Seduti su dei ceppi, davanti alla stalla, abbiamo chiesto come mai le mucche fanno sempre il latte. Tino ci ha rispo-sto che dopo aver avuto e allattato un vitellino, le vacche continuano a pro-durre il latte e così, quando lui massag-gia le mammelle, stimola la produzione del latte che però non è per il piccolo, ma per noi. Tino ci ha anche fatto vede-re che cosa mangiano le mucche e ha detto che l'alimentazione per loro è importantissima per fare un latte buo-no. Si nutrono infatti di erba con i fiori delle nostre montagne. In estate le porta in malga a Marcesina perché ab-biano l'erba più nutriente. Abbiamo

chiesto anche come fa il latte a diventa-re formaggio. Tino ci ha spiegato tutto il procedimento così, quando siamo tornati in classe, abbiamo voluto prova-re anche noi. In classe abbiamo prepa-rato pentole, colini e terrine. Ma non avevamo il caglio per addensare il latte, quindi abbiamo usato il succo di limone. Abbiamo fatto scaldare il latte, poi ag-giunto il succo di limone e, dopo aver aspettato un po', si sono formati dei grumi. Abbiamo travasato tutto in una ciotola attraverso un colino. Quei grossi grumi erano il grasso del latte. Sembra-va una specie di formaggio molle, come la ricotta. Lo abbiamo assaggiato, ma con delusione ci siamo accorti che non era venuto molto bene. Infatti non era molto buono, forse c'era troppo limo-ne. E' stata un'esperienza interessante e divertente. Avevamo già progettato di ingrandirci e arricchirci diventando dei produttori di ricotte. Ma, prima, dobbiamo migliorare la ricetta!

TUTTO IN UNA CIOTOLA Alla scoperta dell’arte di fare il formaggio a cura della classe 4^ - Scuola Primaria di San Luca

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scorso, siamo partiti, dopo la ricreazione, in passeggiata per

andare al panificio Guderzo di Crosara, per scoprire come si fa il pane. Ad aspet-tarci c'erano Diego, un ragazzo molto simpatico e gentile, e la sua mamma. Diego fa il panettiere e ci ha spiegato come funzionano i macchinari che ser-vono per fare il pane. Noi eravamo mol-to curiosi di scoprire come si prepara questo delizioso alimento, anche per-ché, appena entrati, abbiamo sentito un buonissimo profumino di pane appena sfornato e ci era venuta subito l'acquoli-na in bocca. Perciò non abbiamo esitato un solo momento e ci siamo subito mes-si al lavoro. Abbiamo pesato gli ingre-dienti, farina, lievito, acqua e messo tutto nell'impastatrice. Il sale, ha detto

Diego, va aggiunto dopo almeno due minuti, perché altrimenti impedisce al lievito di gonfiare l'impasto. Dopo un po' era pronto per essere pressato e ammorbidito sotto ad una serie di rulli che lo rendevano liscio liscio. Noi guar-davamo sbalorditi questa pasta che

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lentamente prendeva forma e vole-vamo toccarla, annusarla e assag-giarla anche se non era ancora cot-ta. Dopo essere passata sotto ad un ultimo rullo, la pasta spezzetta-ta prendeva la forma di piccole chioccioline. Erano bellissime e invitanti. Diego le ha riposte su una grande teglia all'interno di una cel-la, dove con un po' di vapore sareb-bero lievitate. Noi non potevamo aspettare così tanto! Per fortuna Diego ci aveva già preparato un paio di teglie di chioccioline già lievitate. Le ha messe poi in un grande forno in cui il vapore avreb-be reso la crosticina bella dorata e lucida. Mentre aspettavamo, Diego ci ha fatto vedere le scottature che ha sulle braccia perché qualche volta gli succede anche di ustionar-si. Ci ha anche raccontato che di notte praticamente non dorme, perché deve alzarsi alle due per preparare gli impasti. Però abbia-mo pensato che ha anche una gran-de fortuna perché a colazione può papparsi un delizioso panino appe-na sfornato, magari con la soppres-sa. Finalmente il pane era pronto! Cotto a puntino, fa una specie di crok, crok, che fa venire voglia di farne un sol boccone! Tutti ci siamo serviti dalle teglie e dopo un minu-to il pane era sparito! Che buono! Abbiamo preso con noi un paio di

pagnottine a testa per farle assaggiare anche alla mamma e al papà. Qualcuno ha portato con sé anche un po' di pasta lievitata da cuocere nel forno di casa. E' stata una esperienza grandiosa. Per qualche minuto, venerdì scorso, siamo diventati panettieri anche noi.

Anno 8 Numero 23 Febbraio 2015

CROK CROK Una mattina tra farina, pasta e pane a cura della classe 4^ - Scuola Primaria di San Luca

Venerdì

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15 dicembre 2014 è una data da non

dimenticare per noi della scuola dell’in-fanzia “M. Guderzo” di Crosara. Una giornata di grande festa! Nel tardo pomeriggio ci siamo trovati tutti insie-me, bambini, insegnanti, genitori, fra-telli, nonni… per festeggiare l’arrivo del Natale, ma soprattutto per inaugu-rare la nuova biblioteca. I giorni che hanno preceduto l’avvenimento sono stati giorni di ferventi preparativi: mo-bili da spostare, scaffali da tinteggiare a nuovo, pareti da rinfrescare, nuove luci da sistemare, inviti da disegnare e consegnare ed, infine, nuovi libri da collocare in bella mostra. Per l’inaugu-razione della biblioteca abbiamo acqui-stato, infatti, molti bei libri grazie al contributo di associazioni e di persone generose e attente ai bisogni delle nuove generazioni. Finalmente tutto è

pronto. Lo spazio è bellis-simo. D’altra parte lo sappiamo tutti che uno spazio accogliente e co-struito su misura è un elemento im-portante per creare l’atmosfera giusta all’ascolto a alla lettura di libri. A ta-gliare il nastro è stato il nostro ospite d’onore, il Sindaco di Marostica, Mari-ca Dalla Valle. Accanto a lei il Dirigente Scolastico, Francesco Tognon e Sergio Loss, l’architetto che 40 anni fa ha progettato la nostra scuola, che viene ancora menzionata in molti libri di architettura. I festeggiamenti sono continuati a lungo, con la lettura di un albo illustrato da parte del Sindaco, con canti e filastrocche dei bambini e l’immancabile brindisi prima del “tuffo” nel fornitissimo rinfresco. Sia-mo proprio orgogliosi della nostra nuova biblioteca e di poter continuare a leggere libri in un luogo così bello. Ma perché abbiamo così a cuore i libri e la lettura? Perché come insegnanti e genitori siamo oggi consapevoli che la lettura dei libri è una esperienza fon-damentale per lo sviluppo intellettua-le, emotivo ed affettivo, è un’occasio-ne per coltivare la mente, le emozioni ed avere cura di sé. Se si vuole che la lettura divenga un patrimonio cultura-le durevole, occorre che sia coltivata fin dall’infanzia e che diventi un’attivi-tà piacevole. Leggere libri ai bambini e

iniziare a farlo molto presto, quando non sono ancora in grado di farlo au-tonomamente, è un’azione educativa importantissima per trasmettere loro il piacere della lettura e il desiderio di ascoltare. Cosa trova un bambino nei libri? In un buon libro un bambino, ma anche un adulto, trova “mappe” per conoscere se stesso, gli altri e il mon-do che lo circonda, trova occasioni per poter ri-vivere le proprie emozioni, per accrescere l’immaginazione, la fanta-sia. Avvicinandosi ai libri i bambini, inoltre, imparano nuovi vocaboli, le convenzioni della lingua scritta, impa-rano a comprendere situazioni e a capire che i libri sono interessanti e divertenti. Scoprono che i libri sono una buona occasione per stare bene, per rinnovare e rinforzare la relazione con i compagni, ma anche con gli adul-ti: Quando un adulto legge una storia a un bambino, oltre a dedicargli tem-po e attenzione, entra con lui in un altro mondo, fuori dal tempo. Ecco perché pensiamo che i libri siano og-getti speciali, unici. Leggere libri diven-ta occasione per aprire nuovi orizzonti di senso, lanciare sguardi meravigliosi e meravigliati sul mondo, sugli altri, dentro e fuori di sé.

Lunedì

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Coltivare la

MENTE Libri, lettura, biblioteca per conoscere se stessi a cura delle insegnanti - Scuola dell’Infanzia “M. Guderzo” di Crosara

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Anno 8 Numero 23 Febbraio 2015

mio lavoro si svolge in una scuola in cui tra le varie propo-ste, inserite nel piano di offerta formativa, è possibile usufruire

anche dall'attività di studio guidato che permette lo scambio educativo tra docenti, alunni e genitori. Questa attività è inserita nei pomeriggi di non obbliga-torietà scolastica ma in stretta collabora-zione con gli insegnanti del mattino. È una opportunità rivolta a quei ragazzi, che liberamente la scelgono, per affron-tare meglio qualche incertezza o sempli-cemente a quelli che desiderano esegui-re i compiti assegnati per casa. Il piano di criterio generale si basa sull'aspet-to valoriale, didattico e sulle caratteristi-che essenziali di un rapporto educativo tra insegnante-ragazzo e ragazzo-gruppo. Nel gruppo si condivide, ci si confronta, ci si misura e questo induce il

bisogno di adeguarsi alle situazioni, di valutare correttamente per saperle af-frontare sviluppando un adeguato senso critico. L'abitudine alla cooperazio-ne, oltretutto, educa al rispetto per gli altri, propone un comportamento carico di valori e orienta i ragazzi alla consape-volezza dei reciproci diritti e doveri. A

Il

MOMENTI SIGNIFICATIVI Condividere azioni educative per la crescita di tutti di Aldina Roversi

tale proposito da alcuni anni nella realtà scolastica di Crosara, si sperimentano progetti didattici proposti da esperti pedagogisti, nei quali si rileva l'impor-tanza della cooperazione e dell'appren-dere insieme condividendo idee, ipote-si, materiali ed esperienze. Il lavoro non è sempre facile, ma i ragazzi ne sono entusiasti e regala momenti significativi e gratificanti anche all'insegnante che ne verifica i frutti. Lo studio guidato o sussidiario è nato dodici anni fa come esperienza nuova del territorio. Il vetto-re principale, che sostiene il momento iniziale, è l'entusiasmo e la voglia di esse-re utile ai ragazzi che hanno intrapreso questo percorso. Gradualmente si in-staura tra alunni e insegnante un rappor-to di collaborazione, ma soprattutto di fiducia. Inoltre il riscontro continuo con i docenti del mattino crea sintonia e spro-na tutti a dare il meglio. Ora, dopo tanti anni, sono ancora fiera del mio lavoro e della vicendevole crescita. Con i ragazzi ho imparato a confrontarmi, a condivi-dere un lavoro attraverso metodologie, forse meno convenzionali, tuttavia più significative e coinvolgenti. (ar)

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interventi normativi e di indirizzo degli ultimi

anni, in particolare le Indicazioni nazio-nali per il curricolo 2012 sollecitano la necessità di garantire agli alunni, attra-verso il percorso di istruzione, lo svilup-po di “competenze” culturali, personali e sociali, fino alla costruzione di compe-tenze-chiave per la cittadinanza e all’apprendimento permanente. D’altro canto altri provvedimenti normativi, in particolare la Direttiva 2012 sugli alunni con bisogni educativi speciali, hanno riacceso il dibattito sullo stato dell’inte-grazione, a partire dagli alunni portato-ri di diversità, affermando che “il siste-ma di istruzione italiano è un luogo di conoscenza, sviluppo e socializzazione per tutti”, fino a sottolineare “gli aspet-ti inclusivi piuttosto che quelli seletti-vi”. Potrebbe pertanto sembrare stra-no, a prima vista, accostare il tema del-la competenza a quello dell’inclusione. E’ possibile, dunque, coniugare i due orientamenti, apparentemente diversi? Il termine “inclusione” rimanda a un’i-dea di scuola accogliente, che si prende cura di ciascun alunno, che presta un’attenzione privilegiata a chi è ulti-mo, stenta, fa fatica a tenere il ritmo dei compagni. Il termine “competenza”, invece, richiama l’idea della qualità, dell’eccellenza delle pre-stazioni, del successo scolastico come premessa al successo nella vita. Non

sfugge la vicinanza semantica dei ter-mini “competenza” e “competizione”. Nell’ambiente scolastico, in cui viviamo tutti i giorni, non si tratta di rifiutare la competizione, ma di cambiare il conte-sto nel quale è richiesta. E’ importante collegare il successo alla responsabilità personale, piuttosto che al confronto con i compagni di classe, evitando così di incrementare la contrapposizione e favorendo la condivisione della respon-sabilità del successo. Il clima competiti-vo crea tensione, insoddisfazione, an-sia. Ed è ancora presente nelle nostre classi. Così come il clima individualisti-co. Ogni alunno è spesso un’isola e deve fare da sé, come se gli altri non esistessero. Ma la risorsa di sostegno più importante in una classe è il clima positivo. Questo si regge su tre princìpi fondamentali: collaborare, valorizzare e dare fiducia. La classe è una comuni-tà dinamica di apprendimento, in cui ciascuno mette a disposizione le pro-prie risorse e mette in campo le pro-prie difficoltà. Il clima positivo è coope-rativo: il successo di ciascuno è in fun-zione del successo di tutti. Ciò è possi-bile quando c’è uno scopo generale, che il gruppo sente importante. Allora lo sviluppo della competenza indivi-duale non è in contrapposizione con lo sviluppo della competenza degli altri. Viceversa, se si imposta l’insegnamen-to come relazione insegnante-alunni, ignorando la grande risorsa sociale che è rappresentata dal gruppo, è quasi inevitabile far leva sulla competizione individuale. In questo caso, la potenzia-le ricchezza costituita dalla presenza dei compagni di classe è pressoché inutilizzata. Diversa è invece la relazio-ne didattica quando si ha come riferi-mento non solo il singolo, ma anche il gruppo-classe, del quale ci si prende cura con l’intenzione di farne una co-munità democratica. Una scuola è si-gnificativa quando sa fare appello alla

motivazione interiore, quando rispon-de ai bisogni profondi della persona. Tra questi, fondamentali sono il biso-gno di vivere insieme agli altri, di sen-tirsi accettati, apprezzati e responsabi-lizzati. Una scuola che si ispira ai valori della comunità fa sperimentare l’im-portanza della collaborazione, dell’aiu-to reciproco, del confronto di idee, della costruzione comune. L’insegnan-te ha una grande responsabilità nei confronti della crescita dei ragazzi, perché il successo scolastico o, al con-trario, l’insuccesso, giocano un ruolo molto importante. Sappiamo che ora-mai la caratteristica di tutte le classi è l’eterogeneità. Di fronte a situazioni individuali marcatamente diversificate diventa veramente difficile, per l’inse-gnante, garantire a tutti il supporto necessario. Oggi la scuola italiana si è incamminata decisamente lungo la strada della cultura inclusiva. L’acco-glienza ha consentito di sviluppare competenza professionale, che rappre-senta la condizione, appunto, perché ci sia vera accoglienza. Ma è anche la garanzia di una scuola migliore per tutti. Essere consapevoli di questo dovrebbe cancellare l’idea che la scelta inclusiva tolga opportunità agli alunni più dotati. L’inclusione, quindi, non è incompatibile con la qualità. L’acco-glienza ha bisogno della competenza per potersi manifestare appieno. Sape-re che la competenza si sviluppa solo quando si è posti di fronte a un compi-to impegnativo e significativo offre una preziosa indicazione didattica per tutti gli alunni. La dedizione verso chi ha un “bisogno speciale” non deve tradursi in una facilitazione di tipo assi-stenziale, ma, al contrario, in un’attiva-zione di tutte le risorse personali, ab-bandonando qualsiasi forma di iper-protettività, che non aiuta a sviluppare autonomia e a sperimentare la gioia del successo personale. (sc)

Garantire la crescita Didattica per competenze o inclusione? di Sergio Carlesso

Alcuni

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adeguando com-portamenti e relazioni. Ma ri-torniamo ai ricor-di. Proviamo a focalizzare la materia che pro-prio “non ci anda-va giù”. Il giorno nel calendario scolastico setti-manale in cui compariva quell’insegnante era un giorno “maledetto”, il

giorno dei mal di pancia e del vomito. Non sono poche le persone che nella vita, dopo certe esperienze scolasti-che, si sono autoconvinte di essere dei perfetti imbranati in matematica, ita-liano o lingue straniere. In molti casi i soggetti che si sentono inadeguati verso taluni ambiti di conoscenza, tra-sferiscono questo loro senso di inade-guatezza in altre materie. La scienza pedagogica definisce questo tipo di autoconvinzione con il nome di “impotenza appresa”. È ben vero che ognuno di noi si sente più portato per alcune discipline. Questo è anche di-mostrato da Howard Gardner nella sua teoria delle “intelligenze multiple”. Egli propone una prospettiva neuro-

Anno 8 Numero 23 Febbraio 2015

di ciascuno c’è senz’altro un ri-

cordo legato alla scuola. Nella mente, soprattutto dei non più giovanissimi, scorrono i volti dei compagni, confusi e sbiaditi dal tempo. Lo sguardo impie-toso della memoria si posa anche sui nostri insegnanti, che ci hanno fatto amare od odiare le discipline di studio. Già, perché la scuola, come Re Mida, ha il potere di trasformare gli argo-menti impreziosendoli. E tuttavia può fare anche il contrario. Gli insegnanti non sono educatori neutri di fronte a classi neutre. L’atteggiamento del docente, la sua intenzionalità educati-va vengono letti e metabolizzati dai ragazzi, i quali a loro volta rispondono

Re Mida Quando la scuola sa impreziosire il sapere di Fabio Cusinato

biologica per la quale il nostro cervello verrebbe naturalmente “canalizzato” verso alcuni tipi di intelligenze. Ma, negli studi del grande ricercatore sta-tunitense, viene sottolineata anche l’importanza del contesto culturale e la notevole “flessibilità” del cervello umano. Per tirare le somme, potrem-mo dire che ognuno ha delle particola-ri inclinazioni verso una o più materie, ma rimane aperto e flessibile a interes-si anche diametralmente opposti. Ap-pare naturale, quindi, che a scuola i ragazzi non siano attratti da tutte le discipline. Ma la vera e propria avversi-tà verso materie e argomenti, che si manifesta spesso con noia o compor-tamenti non adeguati, dovrebbe suo-nare come campanello di allarme per insegnanti che non credono alla casua-lità e al fato. Far amare la propria disci-plina attraverso un processo empatico, fatto di buone prassi e vera intenziona-lità educativa, è certamente l’obiettivo finale. Chissà se, come docenti, possia-mo anche solo togliere dalla testa dei nostri studenti il diritto di cittadinanza a pensieri di rifiuto e di “odio” nei con-fronti di qualche ambito scolastico. Ma sì! Mi piace pensare che la scuola saprà riconoscere e sviluppare le particolari inclinazioni di ciascuno studente, sen-za mortificare o rendere indigesto nes-suno dei campi del sapere umano. (fc)

Nel vissuto

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