SEZIONE SPECIALIZZATA O R D I N A N Z A · Il Giudice designato dott.Umberto Scotti ha pronunciato...

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Pagina 1 TRIBUNALE DI TORINO SEZIONE SPECIALIZZATA IN MATERIA DI IMPRESA Il Giudice designato dott.Umberto Scotti ha pronunciato la seguente O R D I N A N Z A nel proc. n. 2999 r.g. 2014 promosso da PEWAG Austria GmbH e PEWAG ITALIA s.r.l. (avv.Luca Ponti, avv.prof. Mario Franzosi, avv.Federica Santonocito, avv. Agata Sobol, avv.Sergio Monticone) contro WALMEC s.p.a. e WEISSENFELLS TRACTION s.r.l. in liquidazione (avv.Selvaggia Segantini e avv. Oreste Badellino) e VALSUSA RICAMBI di PENSA MICHELE (avv. Mauro Tais) * * * * * * Il Giudice designato, esaminati gli atti, sciogliendo la riserva formulata, osserva quanto segue. § 1. Il primo giudizio cautelare. Con un primo ricorso depositato il 30.12.2013 ex art.129 e 131 c.p.i. e 700 c.p.c. Pewag Austria GmbH e Pewag Italia s.r.l., aziende appartenenti al gruppo austriaco Pewag, specializzato in catene da neve, hanno adito il Tribunale di Torino Sezione specializzata in materia di impresa, rispettivamente in qualità di titolare e licenziataria del brevetto europeo EP 1.301.361 B1 (di seguito EP’361) per chiedere, inaudita altera parte e comunque in contraddittorio, nei confronti di Walmec s.p.a. e Weissenfells Traction in liquidazione s.r.l., l’inibitoria da qualsiasi utilizzo commerciale del dispositivo di tensionamento facente parte dei prodotti (catene da neve per autoveicoli) Uniqa M32, Attiwa M43, Prestige M44, Sette M45 e SUV RTS, ritenuto in contraffazione del predetto brevetto, con il corredo di idonea penale dissuasiva, nonché il sequestro dei prodotti in contraffazione e di tutta la relativa documentazione contabile, il ritiro dal commercio dei dispositivi e la pubblicazione dell’emananda ordinanza. Le ricorrenti hanno allegato: Firmato Da: SCOTTI UMBERTO Emesso Da: POSTECOM CA2 Serial#: f16e7 http://bit.ly/1I0VUvi

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TRIBUNALE DI TORINO SEZIONE SPECIALIZZATA IN MATERIA DI IMPRESA

Il Giudice designato dott.Umberto Scotti ha pronunciato la seguente

O R D I N A N Z A

nel proc. n. 2999 r.g. 2014 promosso da PEWAG Austria GmbH e PEWAG ITALIA s.r.l. (avv.Luca Ponti, avv.prof. Mario Franzosi, avv.Federica Santonocito, avv. Agata Sobol, avv.Sergio Monticone)

contro

WALMEC s.p.a. e WEISSENFELLS TRACTION s.r.l. in liquidazione (avv.Selvaggia Segantini e avv. Oreste Badellino)

e

VALSUSA RICAMBI di PENSA MICHELE (avv. Mauro Tais)

* * * * * * Il Giudice designato, esaminati gli atti, sciogliendo la riserva formulata, osserva quanto segue. § 1. Il primo giudizio cautelare. Con un primo ricorso depositato il 30.12.2013 ex art.129 e 131 c.p.i. e 700 c.p.c. Pewag Austria GmbH e Pewag Italia s.r.l., aziende appartenenti al gruppo austriaco Pewag, specializzato in catene da neve, hanno adito il Tribunale di Torino – Sezione specializzata in materia di impresa, rispettivamente in qualità di titolare e licenziataria del brevetto europeo EP 1.301.361 B1 (di seguito EP’361) per chiedere, inaudita altera parte e comunque in contraddittorio, nei confronti di Walmec s.p.a. e Weissenfells Traction in liquidazione s.r.l., l’inibitoria da qualsiasi utilizzo commerciale del dispositivo di tensionamento facente parte dei prodotti (catene da neve per autoveicoli) Uniqa M32, Attiwa M43, Prestige M44, Sette M45 e SUV RTS, ritenuto in contraffazione del predetto brevetto, con il corredo di idonea penale dissuasiva, nonché il sequestro dei prodotti in contraffazione e di tutta la relativa documentazione contabile, il ritiro dal commercio dei dispositivi e la pubblicazione dell’emananda ordinanza. Le ricorrenti hanno allegato:

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che nel giugno 2012 Walmec aveva agito dinanzi alla sezione specializzata in materia di impresa di Venezia nei confronti di due altre aziende del gruppo Pewag, denunciando la violazione di una sua privativa brevettuale;

che nel corso di tale giudizio Walmec aveva richiesto l’emanazione di provvedimenti cautelari;

che in conseguenza era stata attratta l’attenzione delle ricorrenti sui prodotti di controparte, sopra indicati, pubblicizzati sul sito internet www//weissenfells.com;

che secondo il parere tecnico da loro acquisito tali prodotti costituivano contraffazione del brevetto EP’361, di cui riproducevano tutti gli elementi, inclusa la presenza delle due ruote dentate collegate tra loro in maniera fissa, riprodotta per equivalente con la presenza di una sola ruota, con ovvia soluzione non esigente sforzo inventivo, poiché nel brevetto EP’361 le due ruote si integravano di fatto in un unico elemento e si muovevano nella medesima direzione.

A sostegno del ricorso le parte istanti hanno anche prodotto una fattura di acquisto dei prodotti Walmec presso la Valsusa Ricambi di Avigliana (TO). Dopo la disposta convocazione delle parti, si sono costituite in giudizio Walmec s.p.a. e Weissenfells Traction in liquidazione s.r.l., chiedendo il rigetto del ricorso con la condanna delle controparti alle rifusione delle spese e al risarcimento dei danni per responsabilità aggravata ex art.96, comma 3, c.p.c. Le parti resistenti hanno proposto numerose eccezioni, di rito e di merito, segnalando preliminarmente un lungo contenzioso che in vari episodi aveva contrapposto i due gruppi industriali, con riferimento alla contraffazione da parte di aziende del gruppo Pewag di brevetti della Weissenfells, sia in sede arbitrale, sia dinanzi al Tribunale di Vienna, sia infine dinanzi alla Sezione specializzata di Venezia proprio con riferimento ad un altro brevetto europeo (EP1989066, di seguito EP’066) relativo ad un dispositivo di tensionamento, di cui i prodotti Walmec oggetto dell’avversario ricorso costituivano puntuale attuazione. Le resistenti hanno allegato altresì che nel corso del giudizio pendente dinanzi alla Sezione specializzata di Venezia era stato instaurato un procedimento cautelare, nel quale, dopo idonea c.t.u., era stato stabilito che il tensionatore Pewag contraffaceva il brevetto EP’066, con conseguente concessione di inibitoria e sequestro, eseguito anche presso il terzo Pewag Italia s.r..l., ricorrente nel presente giudizio. Le resistenti hanno rilevato che nella fase di reclamo del giudizio cautelare predetto era stata delibata e respinta la tesi delle società del gruppo Pewag circa la nullità del brevetto Walmec EP’ 066 perché inficiato dall’anteriorità costituita dal brevetto EP’361. Quanto alle specifiche eccezioni, le resistenti:

hanno eccepito l’incompetenza territoriale del Tribunale di Torino ai sensi dell’art.120 c.p.i. sia avuto riguardo al forum rei, sia avuto riguardo al forum commissi delicti;

hanno contestato la legittimazione attiva di Pewag Italia in difetto di prova del contratto di licenza;

hanno contestato la legittimazione passiva di Weissenfells Traction posta in liquidazione dopo la cessione di azienda a Walmec a fine 2010;

hanno contestato, con particolare insistenza, la sussistenza del periculum in mora, perché i prodotti erano in commercio dal 2006, erano comunque presenti nei cataloghi 2011 e 2012 prodotti in giudizio nella causa a Venezia, e costituivano attuazione del brevetto EP’066 fatto valere a Venezia e ivi oggetto di esame anche sotto il profilo dell’anteriorità rappresentata dall’avversario EP’361, qui azionato;

hanno segnalato che le società del gruppo Pewag dinanzi al Tribunale di Venezia avevano manifestato la volontà di chiedere licenza obbligatoria proprio del brevetto Walmec di cui i prodotti in contestazione costituivano attuazione;

hanno contestato il fumus boni juris, osservando che la presenza di ruote dentate distinte, seppur solidali in rotazione, era un concetto fondamentale che caratterizzava EP’361 e

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rispetto al quale la diversa soluzione di EP’066, con una sola ruota dentata non rappresentava una variante ovvia, tanto più che il brevetto Walmec era stato concesso in esito a procedura di esame EPO in cui l’ anteriorità di cui alla domanda di brevetto US 2003/0102065, corrispondente al brevetto EP’361 Pewag, era stata considerata come closest prior art.

Con ordinanza del 19.1.2014 il Giudice designato ha dichiarato l’incompetenza per territorio della Sezione specializzata in materia di impresa di Torino, indicando come alternativamente competenti le Sezioni specializzate in materia di impresa di Milano ovvero di Venezia, compensando le spese processuali. A tale conclusione il Giudice è pervenuto, affermando, tra l’altro, che ostava alla corretta radicazione della controversia dinanzi al Tribunale di Torino il mancato coinvolgimento nel giudizio del rivenditore Valsusa Ricambi di Avigliana, con riferimento al cui atto di vendita, posto in essere nella circoscrizione torinese, la competenza era stata implicitamente costruita dalle parti ricorrenti. Secondo il Giudice, il produttore del bene in pretesa contraffazione poteva essere convenuto nel foro del rivenditore solo in forza della deroga alla competenza territoriale di cui all’art.33 c.p.c. e quindi comunque unitamente al rivenditore. § 2. La materia del contendere. Con nuovo ricorso ex artt.129 e 131 c.p.i. e 700 c.p.c., depositato il 3.2.2014, Pewag Austria e Pewag Italia hanno ripresentato le loro domande cautelari ai sensi dell’art.669 septies c.p.c. (disposizione che esclude ostacolo nella riproposizione della domanda cautelare, in presenza di una pronuncia di incompetenza), proponendo le loro domande anche nei confronti del rivenditore locale, Valsusa Ricambi, e così superando l’obiezione legata al suo mancato coinvolgimento nel primo giudizio cautelare e le conseguenti ripercussioni in punto competenza territoriale. Si sono costituite in giudizio Walmec s.p.a. e Weissenfells Traction s.r.l. in liquidazione, chiedendo in via preliminare assorbente il rigetto delle avverse domande per carenza del requisito del periculum in mora e dell’interesse ad agire ex art.100 c.p.c. e comunque nel merito il rigetto del ricorso, con la condanna di controparte per responsabilità aggravata ex art..96, comma 3, c.p.c. In sintesi, le resistenti hanno riproposto le precedenti difese, integrandole in parte con nuove deduzioni. In particolare le resistenti hanno eccepito:

l’assenza di periculum per la protratta inerzia della controparte nell’attivarsi a tutela del suo brevetto;

l’assenza di periculum nel caso concreto in considerazione del fatto che il brevetto delle ricorrenti non era mai stato né prodotto, né venduto;

l’assenza di periculum e la carenza di legittimazione passiva, quanto a Weissenfells Traction, in ragione del suo stato di scioglimento e liquidazione;

la carenza del requisito del fumus boni juris in ragione della nullità del brevetto avversario EP’361 per mancanza di novità e altezza inventiva;

la carenza del requisito del fumus boni juris in ragione della nullità del brevetto avversario EP’361 per mancanza di industrialità, poiché la conformazione del dispositivo descritto nelle rivendicazioni era incompatibile con i limiti dimensionali attualmente imposti dalla legge (decreto 10.5.2011 Ministero Infrastrutture e Trasporti);

l’insussistenza della pretesa contraffazione alla luce della corretta lettura e interpretazione delle rivendicazioni di EP’361, della diversità e non ovvietà del dispositivo Walmec;

l’insussistenza della pretesa contraffazione per equivalenti in applicazione del c.d. triple identity test FWR;

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l’insussistenza della pretesa contraffazione alla luce della letterale attuazione da parte del dispositivo Walmec del brevetto EP’066, concesso dall’EPO previa valutazione come closest prior art del trovato di cui al brevetto avversario, e del fatto che tale brevetto EP’066 era stato riconosciuto valido in via incidentale nel giudizio cautelare vertito dinanzi alla Sezione di Venezia.

Si è costituita altresì la Valsusa Ricambi, chiedendo il rigetto del ricorso ed esponendo di aver venduto solo gli esemplari di cui alla fattura del 18.11.2013, acquistandoli presso Walmec per corrispondere alla richiesta espressa di Pewag. § 3. La competenza territoriale. La causa è stata radicata dalle parti ricorrenti dinanzi al Tribunale di Torino, facendo esplicita acquiescenza al principio di diritto processuale espresso nella precedente ordinanza del 19.1.2014. Nessuna delle altre parti ha contestato la competenza territoriale nel secondo giudizio e la stessa Valsusa Ricambi, pur lamentando l’artificiosità del suo coinvolgimento ed asserendo di essere stata sostanzialmente provocata a porre in essere il preteso atto commerciale contraffattivo dalle stesse parti ricorrenti, non ne ha tratto particolari conseguenze se non per instare per il rigetto nel merito del ricorso, con favore di spese. § 4. La legittimazione passiva di Weissenfells. In via del tutto preliminare occorre esaminare la questione della sussistenza della legittimazione passiva di Weissenfells Traction, in ragione del suo stato di scioglimento e liquidazione. All’eccezione rispondono le ricorrenti, osservando che Weissenfells, ancorché in stato di liquidazione, è tuttora titolare del sito Internet weissenfells.com, ove i prodotti contestati sono pubblicizzati (docc. 9 e 18 di parte ricorrente). La Weissenfels sostiene che il titolare di un brevetto se ne spoglia con la cessione (avvenuta nel 2010 a favore di Walmec) e perde conseguentemente il potere di agire a sua tutela, e così, allo stesso modo, perde anche la legittimazione passiva. L’argomento non convince e non è pertinente rispetto all’avversaria allegazione; qui non si discute se Weissenfells possa o meno agire per far valere il brevetto EP’066; l’accusa nei suoi confronti è basata sulla titolarità, almeno apparente, di un sito internet in cui i prodotti denunciati per contraffazione sono pubblicizzati. Ribatte Weissenfells che il sito è di proprietà di Walmec, pur mantenendo il vecchio domain name, cosa reputata irrilevante. Tuttavia non é stata fornita una prova convincente di tale assunto, tale non potendosi ritenere il doc.22 delle resistenti, che non dimostra affatto, per di più in modo certo e opponibile ai terzi, la diversa titolarità del sito; va aggiunto che l’utilizzo del domain name di Weissenfells e con il suo consenso, da parte di Walmec, non comporterebbe affatto l’estraneità di Weissenfells, se non altro a titolo di concorso, agli atti commerciali scorretti eventualmente in tal modo compiuti. § 5. Principi generali in tema di tutela cautelare in materia industriale. E’ opportuna una breve premessa in tema di provvedimenti cautelari nella materia regolata dal Codice della proprietà industriale. Al proposito si è molto discusso circa la necessità della sussistenza del requisito del periculum in mora per l’emanazione dei provvedimenti cautelari tipici (come il sequestro, la descrizione e l’inibitoria) previsti dal codice della proprietà industriale e comunque sui presupposti probatori per la sua delibazione nel caso concreto. V’è chi ha sostenuto che il requisito è stato considerato immanente dal legislatore, e così presunto, una volta per tutte, juris et de jure, con il conseguente esonero dalla deduzione e dalla prova per il titolare del diritto violato; e siffatta teoria, che finisce con il coincidere con

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l’enunciazione del pregiudizio in re ipsa, trova apparente letterale conferma nella formulazione delle norme del codice che attribuiscono tout court al titolare del diritto il potere di chiedere i provvedimenti coattivi nei confronti delle cose e dei comportamenti che concretano una violazione attuale del diritto. Ulteriore parziale conferma, quantomeno con riferimento all’inibitoria, potrebbe essere colta nell’attitudine del provvedimento anticipatorio alla stabilizzazione espressa dall’art.132, comma 4, C.p.i. La maggioranza degli interpreti invece, partendo dalla collocazione sistematica e funzionale della tutela cautelare nella cornice del diritto di azione in giudizio, preferisce leggere la disciplina dei provvedimenti cautelari industrialistici in armonia con quella generale, di diritto comune, e richiedere comunque da parte del giudice della cautela la delibazione di un apprezzabile grado di periculum in mora per l’emanazione dei provvedimenti cautelari. Questa Sezione, in varie pronunce, ha ritenuto corretta questa seconda soluzione, sia pur avendo cura di puntualizzare che in presenza di una violazione attuale di un diritto di proprietà industriale, il periculum in mora, che costituisce pur sempre un requisito sistematico coessenziale a tutti i provvedimenti cautelari, può essere tranquillamente presunto juris tantum, in considerazione delle peculiarità del fenomeno contraffattivo. In tal caso infatti il pericolo nel ritardo (ossia un significativo scarto di effettività fra la tutela giurisdizionale immediata e quella differita all’esito dell’ordinaria cognizione) appare immanente poiché l’agganciamento alla sfera e ai prodotti del concorrente comporta drenaggio irreversibile di clientela e devalorizzazione o discredito dell’immagine commerciale; resta salva, beninteso, la possibilità di dimostrazione della sua insussistenza in grado apprezzabile nel caso concreto, in deroga all’id quod plerumque accidit. Nella stessa prospettiva merita segnalazione un ulteriore principio che deve concorrere ad orientare il Giudice nella valutazione dell’opportunità di una concessione di una misura cautelare, principio che scaturisce dalla natura strumentale e pur sempre provvisoria, ancorché astrattamente suscettibile di stabilizzazione, della tutela eroganda. I due requisiti del fumus boni juris (probabile fondatezza del diritto azionato) e del periculum in mora (incombenza sul diritto di un pregiudizio da intempestività o infruttuosità nel tempo necessario per conseguirne la tutela in sede di plena cognitio) debbono concorrere, sia pure in varia e calibrata proporzione. Certamente la misura non potrà essere concessa nel caso l’uno o l’altro dovessero parere carenti; e tuttavia i requisiti possono concorrere in diverso grado, nel senso che un alto grado di periculum in mora potrebbe giustificare l’erogazione di una cautela a presidio di un diritto assistito solo da un sufficiente grado di fumus, oppure che un alto grado di fumus potrebbe accompagnarsi ad un modesto, ma certamente non insussistente, tasso di periculum. Nella specie, secondo il Giudice designato, non sussiste in misura apprezzabile né il fumus né il periculum e il ricorso merita pertanto il rigetto nel merito. § 6. Il periculum in mora. Si è detto nel precedente paragrafo che in presenza di una violazione attuale di un diritto di proprietà industriale, il periculum in mora può essere presunto juris tantum, in considerazione delle peculiarità del fenomeno contraffattivo e che tuttavia è sempre possibile la dimostrazione della sua insussistenza in grado apprezzabile nel caso concreto, in deroga all’id quod plerumque accidit. E’ quel che è accaduto nel presente procedimento, laddove le parti resistenti hanno fornito valide ragioni per ritenere che nel caso concreto il periculum in mora non sussista. E’ ben noto che questa Sezione specializzata ha assunto un atteggiamento meno rigoroso di altre nella valutazione dei tempi di reazione del titolare della privativa all’illecito contraffattivo. Parte ricorrente cita il precedente 4B-Four Bind del 21.2.2013. In tale occasione è stato osservato:

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“La resistente non prospetta alcuna considerazione attinente al tema dell’inesistenza del pericolo nel ritardo, come sopra ricostruito, ma pretende – con ciò aderendo a una costruzione difensiva frequente nella prassi forense- di desumerne la carenza dal tempo trascorso prima che la controparte attivasse la reazione giudiziale. Tale ragionamento, a ben vedere, nulla a che fare con il tema dello scarto di effettività della tutela rinviata all’esito del giudizio di cognizione, ma in qualche modo indica lo stesso asserito danneggiato quale corresponsabile della lesione antigiuridica in ipotesi subita per non aver reagito tempestivamente. Al proposito occorre osservare:

che nessuna norma prevede un termine – tantomeno decadenziale - per l’attivazione della procedura cautelare a tutela di un diritto di proprietà industriale leso;

che invece appare del tutto ragionevole consentire alla parte interessata un adeguato spatium deliberandi al fine di prevenire la lite con gli strumenti dissuasivi o conciliativi e comunque per valutare e istruire adeguatamente l’iniziativa processuale da assumere;

che il tempo già trascorso può venir in considerazione in sede cautelare solo se ha già prodotto in concreto risultati irreversibili, tali da rendere ormai inutile l’intervento;

che la tolleranza non può essere ravvisata nel mero ritardo nella proposizione dell’azione, alla luce del principio generale della normale irrilevanza giuridica del silenzio;

che tuttalpiù il ritardo nell’avvio della reazione potrebbe responsabilizzare ex art.1227, comma 2, c.c. il danneggiato per aver concorso ad aggravare il pregiudizio, ma non certo escludere il pregiudizio attuale scaturente dalla violazione tuttora in corso;

che comunque, in tema di descrizione, il periculum inerisce principalmente al diritto alla prova.” Il Giudice designato non intende rinnegare tali valutazioni espresse in linea generale e conformi all’orientamento consolidato di questo Ufficio, ma ritiene che nella fattispecie le considerazioni copiosamente argomentate delle resistenti valgano a dimostrare, sotto due diversi e concorrenti profili, che non esiste il pericolo nel ritardo che costituisce il presupposto indefettibile della tutela cautelare, anche nella materia della proprietà industriale. 6.1. Nella fattispecie:

è provato e non contestato che i prodotti Weissenfells -Walmec sono presenti sul mercato e visibili via Internet da 8 anni, e cioè dal 2006;

esiste una risalente conoscenza reciproca dei due gruppi e dei rispettivi amministratori (anche questo elemento, circostanziatamente allegato da parte resistente, non è stato specificamente contestato ex adverso);

i due gruppi societari sono fra i principali competitors del mercato di riferimento;

la stessa Valsusa Ricambi ha riferito di rifornirsi da entrambi i gruppi;

non è affatto credibile e verosimile che le ricorrenti abbiano attinto la conoscenza dei dispositivi Walmec solo dalla causa veneziana;

vi sono stati vari contenziosi fra i due gruppi industriali (dapprima un procedimento arbitrale- doc.4 resistenti; quindi un procedimento dinanzi al Tribunale di Vienna- doc.5 e 6 resistenti; da ultimo il giudizio pendente dinanzi alla Sezione specializzata di Venezia);

i prodotti di cui si discute sono proprio i tensionatori per catene da neve realizzati in esecuzione del brevetto europeo EP’066 azionato da Walmec nella causa veneziana contro le società del gruppo Pewag;

in quella causa tali società hanno addirittura affermato la sussistenza dei presupposti per la richiesta di una licenza obbligatoria proprio del brevetto EP’066 (cfr comparsa di risposta di Weissenfells-Walmec nel primo giudizio cautelare, prodotta come doc.15 da parte ricorrente, pag 22).

Sembra così evidente che il ritardo nella reazione cautelare delle ricorrenti, effettivamente molto anomalo se non addirittura abnorme, costituisca dimostrazione per tabulas dell’insussistenza, in concreto, del lamentato pregiudizio.

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6.2. Conforta la ravvisata insussistenza del pregiudizio nel ritardo, anche un altro elemento che è stato fatto valere solo in questo secondo giudizio cautelare dalle parti resistenti. Esse infatti hanno esplicitamente e chiaramente dedotto che il brevetto avversario azionato in giudizio (EP’361) non è mai stato puntualmente realizzato in prodotti commercializzati e venduti dalle ricorrenti. Al proposito è insorta discussione fra le parti all’udienza di discussione dell’11 marzo 2014. Le ricorrenti hanno dichiarato di contestare l’avversaria affermazione circa la mancata produzione del trovato oggetto del brevetto EP ‘361; in particolare le ricorrenti hanno affermato che il prodotto viene realizzato e commercializzato, in attuazione del brevetto EP’361 (ossia con la doppia ruota dentata) e hanno altresì contestato altresì la tesi avversaria secondo cui il prodotto così realizzato non sarebbe a norma. Walmec s.p.a. e Weissenfels Traction s.r.l., per parte loro, hanno ribadito che non risulta che Pewag abbia mai prodotto, né venduto, né commercializzato, dispositivi in esatta attuazione del brevetto menzionato, tanto che non risultano neppure cataloghi ad essi riferiti e che nel loro sito il prodotto non risulta indicato; hanno aggiunto che l’unico prodotto da esse venduto è il prodotto ritenuto contraffattivo del loro brevetto, come ritenuto prima nella procedura di arbitrato e poi nella causa veneziana, ossia il prodotto con una sola ruota dentata. Le resistenti hanno infine affermato di aver solo recentemente scoperto che la controparte aveva messo in commercio un dispositivo di tensionamento che non rappresenta esatta esecuzione del brevetto EP’361 (non vendibile) ma che riporta due ruote dentate e due nottolini, in cui peraltro le due ruote dentate sono realizzate nella stessa ruota con una dentatura esterna e una interna (dispositivo prodotto all’udienza dell’11.3.2014). E’ quindi controverso se le ricorrenti abbiano o meno messo in commercio un prodotto costituente esatta e diretta applicazione dei principi rivendicati nel brevetto EP’361. L’art.115 c.p.c., come novellato dalla legge n.69 del 2009 stabilisce che il giudice deve porre fondamento della decisione i “fatti non specificamente contestati dalla parte costituita”, così codificando e generalizzando il principio di elaborazione giurisprudenziale dell’onere di specifica contestazione dei fatti allegati dalla controparte, principio scaturente dalla struttura dialettica del giudizio civile e coerente all’esigenza costituzionale di un rapido e giusto e processo. Tale principio, valido per il giudizio di ordinaria cognizione, vale, a maggior ragione, in sede cautelare, laddove il giudizio è improntato alla regola della probabilità e della verosimiglianza. Nella fattispecie, parte resistente ha allegato, in modo chiaro, specifico e puntuale, un fatto di estrema rilevanza ai fini del presente giudizio; fra l’altro, si tratta di un fatto negativo e pertanto, di per sé, insuscettibile di prova diretta. Per completezza, occorre anche rilevare che il fatto allegato era un fatto proprio e sicuramente noto alla controparte, visto che atteneva, direttamente e inequivocamente, alla sua attività aziendale. E’ di tutta evidenza, poi che l’applicazione del moderno principio di vicinanza o riferibilità della prova (ex multis Cass.civ. 27.5.2009 n. 12259; 11.5.2009 n.10744; 22.2.2007 n.2308; 9.11.2006 n.23918; 20.2.2006 n.3651; 29.9.2007 n.20589; 15.5.2007 n.11189; 8.3.2007 n.5328; 29.9.2006 n.20829; 13.6.2006 n.13653; 8.1.2005 n.268) conferma che la parte onerata era la parte ricorrente, per la quale la prova della circostanza contestata era assai più agevole visto che si discuteva della attività di vendita da parte sua di un certo prodotto; le sarebbe infatti stato assai facile smentire la controparte con la produzione di cataloghi, brochures, schermate del proprio sito, offerte commerciali. La contestazione di parte ricorrente è stata invece di emblematica e labiale genericità, e in sostanza si è tradotta in una mera riaffermazione di bandiera della propria tesi, priva di qualsiasi concretezza, prima ancora che di supporto probatorio. Il Giudice ritiene quindi che la prova del fatto in questione (commercializzazione da parte delle società del gruppo Pewag di un tensionatore per catene da neve con le caratteristiche riconducibili al brevetto EP’361) dovesse essere fornita dalle parti ricorrenti e comunque che

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esse non abbiano affatto contestato specificamente l’avversaria allegazione, estremamente concreta e specifica. Le conseguenze di tale circostanza, così sommariamente accertata, sono gravissime per le posizioni delle ricorrenti. Il Giudice, per vero, non ritiene che la dedotta incompatibilità della conformazione del dispositivo descritto nelle rivendicazioni di EP’361 con i limiti dimensionali attualmente imposti dalla normativa (decreto 10.5.2011 Ministero Infrastrutture e Trasporti) determini la nullità di tale brevetto EP’361 per mancanza di industrialità (art.45, comma 1, e 49 C.p.i.). Giustamente le parti ricorrenti obiettano al rilievo avversario che la suscettibilità di realizzazione e applicazione industriale dell’idea inventiva va valutata in astratto e non è esclusa da una disciplina normativa ostativa, che può cambiare nel tempo. E’ opinione diffusa nella dottrina infatti che l’industrialità non coincide con l’utilità e non esige un valore economico del trovato. In giurisprudenza: “Il requisito dell’industrialità, affinché una nuova invenzione possa essere oggetto di brevetto, richiede l’idoneità dell’invenzione medesima a trovare concreta applicazione, in relazione al processo della tecnica ed al soddisfacimento di bisogni umani, mentre prescinde dalla convenienza economica di tale attuazione, alla stregua dei costi e dei presumibili vantaggi” (Cass.civ.11.6.1980 n.3714). Tuttavia la mancata applicazione effettiva dell’idea oggetto del brevetto da parte del ricorrente, se non esclude l’esperibilità della tutela di merito contro la pretesa contraffazione in sede di ordinaria cognizione, elide pressoché in radice il periculum in mora, in difetto di una attuale posizione di mercato da tutelare contro il pericolo incombente di una lesione irreversibile o di un pregiudizio disagevolmente quantificabile. V’è anche da dire che in una simile ipotesi l’adeguata tutela delle ragioni del titolare del brevetto sembra assicurata dall’istituto della retroversione degli utili ex art.125 C.p.i. Per un’applicazione particolare di quest’orientamento, sia pure in materia di sospensione inibitoria della provvisoria esecutorietà della decisione di primo grado, può essere ricordata l’ordinanza della Corte di Appello di Torino, Sezione specializzata p.i. del 22.4.2009, in proc.491/09, L’Oreal Italia – Martelli. In quell’ipotesi la Corte attribuì rilievo in sede di delibazione del periculum in mora, in un caso di presunta contraffazione in danno di un inventore che non utilizzava attualmente in modo industriale il proprio brevetto, alla tutela rappresentata dalla retroversione degli utili. “E’ infatti ben noto che il nuovo testo dell’art.125 C.p.i. come modificato dall’art.17 del d.lgs.140 del 2006 ha apprestato una nuova ed incisiva tutela delle petizioni risarcitorie del titolare del diritto di privativa industriale, fra l’altro con l’introduzione dell’istituto della c.d. “retroversione degli utili” di cui al terzo comma. E’ di totale ed intuitiva evidenza che tale istituto (da alcuni ritenuto codificazione nel nostro ordinamento di un vero e proprio danno punitivo) manifesta la massima efficacia ed incisività proprio laddove si tratti di tutelare le aspettative risarcitorie di un “piccolo” imprenditore titolare di brevetto, per giunta inattivo, rispetto all’attività - in ipotesi- contraffattoria esercitata da un “grande” antagonista (ossia per riprendere la fraseologia evocativa utilizzata dalle parti nella discussione, di “Davide contro Golia”).In tal caso il “piccolo” imprenditore titolare di brevetto può semplicemente “ri- appropriarsi” degli utili prodotti con la sua grande ed efficiente struttura commerciale dal “grande” contraffattore.” Per tutte queste ragioni il Giudice designato ritiene che il periculum in mora nel caso concreto debba ritenersi insussistente. § 7. Il fumus boni juris. Il Giudice designato ritiene tuttavia che anche in punto fumus la domanda cautelare di parte ricorrenti non sia adeguatamente suffragata. Anche senza la disposizione di sommaria consulenza tecnica d’ufficio, ex art.132, comma 5, C.p.i., può ritenersi che prevalgano le ragioni per ritenere presumibilmente infondata la tesi svolta dalle parti ricorrenti circa la contraffazione del brevetto EP’361 ad opera dei prodotti commercializzati da Walmec.

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Questi infatti, come è pacifico inter partes ed è stato espressamente riconosciuto nel corso del primo procedimento cautelare (cfr dichiarazioni rese all’udienza 16.1.2014 nel proc. 38475/2013- doc.9 resistenti), costituiscono piana e lineare attuazione dell’insegnamento oggetto della brevettazione di EP’066. La tesi delle ricorrenti attribuisce al trovato/prodotto avversario una contraffazione per equivalenti del proprio brevetto e si accompagna al corollario (più chiaramente esplicitato nella discussione di questo secondo procedimento cautelare) che ascrive al brevetto avversario EP’066 la natura di brevetto dipendente dal proprio ex art.68, comma 2, C.p.i. Le ricorrenti sostengono inoltre che la soluzione tecnica protetta con il loro brevetto consiste nel ricorso a due nottolini, e non ad uno solo, per consentire il bloccaggio bidirezionale della corda di tensionamento. La previsione di due ruote dentate e collegate fra loro, una per ciascun nottolino, sarebbe invece un elemento non decisivo e irrilevante. 7.1. Secondo il Giudice designato, tuttavia le resistenti ribattono in modo convincente che siffatta interpretazione comporta la disapplicazione di fondamentali regole di interpretazione della portata del brevetto. L’art.52 C.p.i, come da ultimo modificato ad opera del d.lgs.131 del 2010, recita: “1. Nelle rivendicazioni è indicato, specificamente, ciò che si intende debba formare oggetto del brevetto. 2. I limiti della protezione sono determinati dalle rivendicazioni; tuttavia, la descrizione e i disegni servono ad interpretare le rivendicazioni. 3. La disposizione del comma 2 deve essere intesa in modo da garantire nel contempo un’equa protezione al titolare ed una ragionevole sicurezza giuridica ai terzi. 3-bis. Per determinare l’ambito della protezione conferita dal brevetto, si tiene nel dovuto conto ogni elemento equivalente ad un elemento indicato nelle rivendicazioni.” I limiti della protezione sono determinati dalle rivendicazioni, anche se la descrizione e i disegni possono servire a interpretarle nel rispetto della regola di contemperamento espressa nel terzo comma dell’art.52 che grava l’interprete della ricerca di una soluzione che consenta al contempo l’equa protezione del titolare e la ragionevole sicurezza giuridica dei terzi (regola conforme al Protocollo interpretativo dell’articolo 69 CBE). Al riguardo le resistenti osservano in modo condivisibile che:

tutte le rivendicazioni del brevetto avversario EP’361 si basano sulla rivendicazione 1, a tutti gli effetti fondamentale che reca continua e caratterizzante enfasi sulla presenza determinante di due ruote dentate (“Dispositivo di tensionamento per una catena antiscivolo avente un alloggiamento ed un elemento di attivazione, che presenta una posizione di arresto, in cui una corda di tensionamento trascinabile nell’alloggiamento attraverso un’apertura dell’alloggiamento è bloccabile contro la sua direzione di tensionamento, e che presenta una posizione di rilascio, in cui il bloccaggio viene rilasciato e la corda di tensionamento all’interno dell’alloggiamento viene connessa ad un rullo di avvolgimento, che è disposto in modo ruotabile intorno ad un asse, in cui in corrispondenza

del rullo di avvolgimento è prevista una ruota dentata, avente almeno un nottolino di arresto ad

essa associato, caricato a molla, caratterizzato dal fatto che una seconda ruota dentata

è provvista di un nottolino di arresto ad essa associato, caricato a molla, ed entrambe le ruote

dentate sono collegate l’una con l’altra in modo fisso in rotazione, laddove le ruote di

arresto delle ruote dentate sono opposte e i nottolini di arresto caricati a molla, della prima

e/o della seconda ruota dentata, mediante un elemento di attivazione comune, possono essere

portati alternativamente all’impegno con le ruote dentate associate.”)

nella rivendicazione 1 la parte caratterizzante, introdotta con la formula usuale “caratterizzato dal fatto che” fa riferimento esplicito e inequivocabile alla presenza di una seconda ruota dentata, provvista di nottolino d’arresto ad esso associato, caricato a molla;

il riferimento alla seconda ruota dentata è immediato e precede il successivo riferimento al nottolino d’arresto;

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sembra evidente che l’uso di una formula introduttiva “caratterizzato dal fatto che” senza il ricorso alle aggiunte “comprende” o “consiste” include una forte presunzione di chiusura della rivendicazione;

nella rivendicazione 3 viene addirittura esplicitata la caratterizzazione della diversità di diametro della prima ruota rispetto alla seconda;

tutte le rivendicazioni fanno quindi riferimento e sempre soltanto a un dispositivo a due ruote;

nella descrizione (pag.2,righe 12-23) viene affermato che il compito dell’invenzione è risolto dal fatto dalla presenza della seconda ruota dentata e dal suo funzionamento; poi (pag.3, righe 2-4) si considera la possibile realizzazione delle ruote dentate secondo diametri differenti e (righe 5-7) in unico pezzo (potrebbe forse trattarsi della variante esibita dal C.t.p. ing.Casadei all’udienza del 11.3.2014 e prodotta contestualmente);

quest’ultima circostanza pare infliggere il colpo decisivo alla teoria delle ricorrenti, visto che la presenza della doppia ruota dentata è a tal punto considerata essenziale da doverla configurare anche nel caso in cui la doppia ruota sia realizzata in un unico manufatto;

sembra quindi assai difficile concordare con le ricorrenti nel ritenere non essenziale in EP’361 la presenza delle due ruote dentate, pacificamente assenti nel dispositivo Walmec.

Pare quindi al Giudice che la tesi di una contraffazione del brevetto delle ricorrenti ad opera del prodotto delle resistenti sia presumibilmente infondata, poiché si scontra con il contenuto delle rivendicazioni che rientra nella responsabilità del brevettante formulare in modo né troppo ampio, né troppo ridotto, al fine di indicare specificamente ciò che si intende formare oggetto della privativa. In tale prospettiva, ferma restando la ribadita perfetta sovrapposizione fra il prodotto e il brevetto delle parti resistenti, risulta di significativa rilevanza che l’EPO abbia riconosciuto al trovato di Walmec i requisiti di novità e originalità, valutando come closest prior art (ossia documento di arte nota più prossimo) la domanda di brevetto americano (US’065) corrispondente al brevetto delle ricorrenti. In ogni caso nel giudizio veneziano (cfr in particolare i docc.10,11 e 15 di parti resistenti) e in particolare nel procedimento di reclamo è stata espressamente disattesa la deduzione delle società del gruppo Pewag quale anteriorità invalidante di A 606/2000, esteso a brevetto europeo EP’361, per le stesse ragioni esposte dal C.t.u. nella valutazione dell’anteriorità US’065 (cfr ordinanza collegiale 25.7.2013, doc. 15 resistenti). 7.2. Non convince neppure il tentativo delle ricorrenti di addebitare alla controparte una contraffazione per equivalenti del proprio ritrovato (art.52, comma 3 C.p.i.), trascurando ancor una volta un fatto indubbiamente rilevante, quanto meno nella prospettiva della valutazione del verosimile fondamento dell’azione; ossia il fatto che nella causa veneziana, sia pure in sede cautelare, ma all’esito di consulenza tecnica d’ufficio, il brevetto EP’066 di parte resistente è stato ritenuto validamente inventivo anche in relazione al preesistente brevetto EP’361 di parte ricorrente. Il comma 3 bis dell’articolo 52 introdotto con il d.lgs. 131 del 1010 ha esplicitamente riconosciuto la cosiddetta “tutela degli equivalenti” (già disciplinata dal Protocollo interpretativo, comma 2, dell’art.69 CBE), disponendo che “per determinare l’ambito della protezione conferita dal brevetto si tiene nel dovuto conto ogni elemento equivalente ad un elemento indicato nelle rivendicazioni”. La teoria degli equivalenti:

consiste in una regola di interpretazione brevettuale in base alla quale un prodotto, pur formalmente diverso dall’invenzione brevettata, può essere comunque a quest’ultima equiparato e così ricondotto nell’ambito di protezione della privativa;

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mira in tal modo a tutelare i diritti del titolare e a garantirgli una protezione effettiva, non subordinata cioé alla riproduzione integrale e letterale di tutti gli elementi dell’invenzione;

costituisce corollario del più generale principio dell’esigenza di un equa protezione del titolare del brevetto, visto che cerca di evitare lo svuotamento del contenuto del diritto di esclusiva attuato mediante modeste e non significative varianti apportate dal contraffattore.

Secondo la giurisprudenza la contraffazione per equivalenti ricorre quando la soluzione attuata dal contraffattore, pur costituita da elementi formalmente diversi da quelli contenuti nelle rivendicazioni brevettuali, sia espressione della medesima “idea inventiva”, o “idea di soluzione”, o “nucleo inventivo protetto”. Per conferire apprezzabile concretezza a un principio altrimenti troppo astratto in giurisprudenza sono state proposte varie soluzioni. Da un lato, è stata caldeggiata l’adozione del cosiddetto triple identity test o test FWR (function., way, result), criterio tratto dalle esperienze giurisprudenziali americane, che porterebbe a ravvisare la contraffazione per equivalenti quando le varianti apportate nel prodotto asseritamente contraffattivo rispetto al testo brevettuale introducono mezzi diversi che adempiono peraltro alla stessa funzione assolta nell’economia strutturale del brevetto dai mezzi previsti nella rivendicazione e garantiscono il conseguimento del medesimo risultato tecnico. Un altro criterio elaborato dalla giurisprudenza considera come sintomo della contraffazione per equivalenti l’ovvietà della soluzione sostitutiva adottata dal contraffattore rispetto alla soluzione brevettata, avuto riguardo alle conoscenze medie del tecnico del settore. L’originalità della seconda soluzione (che rappresenta un quid pluris rispetto alla semplice non ovvietà) tendenzialmente esclude la configurabilità di una contraffazione per equivalenti, potendo anzi costituire il presupposto di una autonoma invenzione, estranea all’ambito di estensione del primo trovato. La Suprema Corte recentemente si è occupata tre volte del problema, affermando:

“In tema di contraffazione di brevetto per equivalenza, al fine di valutare se la realizzazione contestata possa considerarsi equivalente a quella brevettata, sì da costituirne una contraffazione, occorre accertare se, nel permettere di raggiungere il medesimo risultato finale, essa presenti carattere di originalità, offrendo una risposta non banale, nè ripetitiva della precedente, essendo da qualificarsi tale quella che ecceda la competenze del tecnico medio che si trovi ad affrontare il medesimo problema, in questo caso soltanto potendosi ritenere che la soluzione si collochi al di fuori dell’idea di soluzione protetta.” (Cass.civ.257 del 13.1.2004);

“In tema di brevetti per invenzioni industriali, al fine di escludere la contraffazione per equivalenza non rileva la variazione, seppure originale, apportata ad un singolo elemento del trovato brevettato, se la variazione non consenta di escludere l’utilizzazione, anche solo parziale, del brevetto anteriore.”(Cass.civ. 30.12.2011 n.30234; c.d. caso “Barilla”). In particolare in motivazione: “La necessità di ammettere la contraffazione per equivalenza nasce dall'esigenza di evitare che l'esclusiva dell'avente diritto sia facilmente elusa attraverso soluzioni che, pur formalmente diverse, si approprino in forma diversa della medesima idea inventiva. Un'invenzione si sottrae alla sanzione che colpisce la contraffazione per equivalenza, si è detto, se, nel permettere di raggiungere il medesimo risultato finale, essa presenti carattere di originalità. Ciò significa che essa deve consentire di raggiungere il medesimo risultato finale dell'invenzione protetta, senza tuttavia utilizzare questa. Da tali premesse deriva che la contraffazione per equivalenza non potrebbe essere esclusa nel caso in cui il prodotto (o il procedimento) accusato sia riprodotto, anche solo parzialmente, con una variazione apportata ad un singolo componente, o ad una singola fase del procedimento, ancorchè tale variazione debba qualificarsi non banale nè ripetitiva della precedente. L'eventuale originalità di un'invenzione, che riguardi un componente del prodotto o una fase del procedimento brevettati, e che la qualifichi come nuova a norma della L. 29 giugno 1939, n. 1127, artt. 14 e 16 pone il problema del coordinamento con l'invenzione già brevettata. A norma della L. n. 1127 del 1939, art. 5 il brevetto per invenzione

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industriale, la cui attuazione implichi quella di invenzioni protette da precedenti brevetti per invenzioni industriali ancora in vigore, non può essere attuato, nè utilizzato, senza il consenso dei titolari di questi ultimi. Da questa norma si desume il principio che un'invenzione, quando pure brevettata, e a maggior ragione se soltanto brevettabile, vale a dire munita dei requisiti legali di novità intrinseca ed estrinseca, non autorizza l'utilizzazione di altra invenzione brevettata senza il consenso dei titolari di questa; e, di conseguenza, che l'utilizzazione non autorizzata del brevetto anteriore, ancorchè allo scopo di attuare o utilizzare un'invenzione originale, costituisce contraffazione della prima.”

“In tema di contraffazione di brevetto per equivalenza, al fine di valutare se la realizzazione contestata possa considerarsi equivalente a quella brevettata, costituendone contraffazione, occorre accertare se, nel permettere di raggiungere il medesimo risultato finale, essa presenti carattere di originalità, offrendo una risposta non banale, né ripetitiva della precedente. La valutazione deve farsi tenendo conto delle conoscenze del tecnico medio che si trovi ad affrontare il medesimo problema.”(Cass.civ. 12.6.2012 n.9548).

La giurisprudenza di legittimità, forse sollecitata dalle critiche dottrinali nei riguardi della prima pronuncia, che avevano evidenziato la mancata adeguata considerazione dell’istituto dell’invenzione dipendente di cui all’art.68, comma 2, C.p.i., si è progressivamente evoluta nel non ritenere di per sé esclusiva della contraffazione per equivalenti l’originalità della soluzione alternativa. Tuttavia, nel concedere spazio alla regola di contemperamento di cui ai commi 3 e 3 bis dell’art.52, non si può abbandonare il fondamentale criterio che attribuisce il principale rilievo al contenuto delle rivendicazioni, espressione della volontà di protezione rappresentata dal richiedente il brevetto. Nel brevetto attoreo si è voluto rivendicare una specifica configurazione di un dispositivo di tensionamento di cui parte essenziale e caratterizzante è costituita dalla presenza di due ruote dentate, eventualmente anche di diametri differenti, a differenza dei dispositivi Walmec caratterizzati da una sola ruota. Inoltre, i mezzi diversi rilevanti per la configurazione della contrattaffazione per equivalenti, oltre a permettere il conseguimento dello stesso risultato, debbono assolvere la stessa funzione di quelli sostituiti nella logica dell’idea di soluzione del trovato. Indubbiamente sul punto potrebbe essere opportuno ottenere il conforto di un parere tecnico di un C.t.u. nell’ambito del giudizio di piena cognizione; in sede cautelare tuttavia, il fumus spira a favore delle resistenti, tanto più che nella fase cautelare del giudizio pendente dinanzi al Tribunale di Venezia il loro brevetto (si ripete: conforme al loro prodotto) è stato ritenuto valido e originale ( e quindi dotato di salto inventivo) rispetto al brevetto qui azionato. Se si considera poi che la valutazione del concorrente requisito del periculum è stata parimenti negativa per le parti ricorrenti, la decisione finale non può essere che il rigetto del ricorso. § 8. La posizione di Valsusa Ricambi. In omaggio alla regola della ragion più liquida, il rigetto nel merito del ricorso nei confronti di Walmec e Weissenfells Traction, per carenza di fumus e periculum, gioca anche nei rapporti con l’altra contraddittrice Valsusa Ricambi, poiché anche contro di essa erano dirette le richieste delle ricorrenti, che nelle loro conclusioni si sono riferite a tutte le “resistenti”. § 9. Le spese. Le spese seguono la soccombenza, così liquidate, in difetto di nota spese:

a favore di Walmec e Weissenfells Traction, nella somma di € 8.000,00= per compensi professionali (fase di studio: € 2.000; fase introduttiva: € 3.000; fase istruttoria e decisoria € 3.000);

a favore di Valsusa Ricambi nella somma di € 4.000,00= per compensi professionali (fase di studio: € 1.500; fase introduttiva: € 1.500; fase istruttoria e decisoria € 1.000);

il tutto oltre oneri fiscali e previdenziali, dovuti come per legge.

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Non sussistono i presupposti per la condanna ex art.96, comma 3, c.p.c. richiesta dalle resistenti Walmec e Weissenfells Traction, non sussistendo sufficienti elementi per ritenere che le ricorrenti abbiano agito in mala fede o in stato di colpa grave.

P.Q.M.

Il Giudice designato, respinge le richieste cautelari avanzate dalle parti ricorrenti Pewag Austria GmbH e Pewag Italia s.r.l.; dichiara tenute e condanna, in solido fra loro, Pewag Austria GmbH e Pewag Italia s.r.l., in persona dei rispettivi legali rapp.ti pro tempore, a pagare a Walmec s.p.a. e Weissenfells Traction s.r.l. in liquidazione, creditori in solido, la somma di € 8.000,00=, oltre oneri fiscali e previdenziali come per legge, a titolo di rifusione spese processuali; dichiara tenute e condanna, in solido fra loro, Pewag Austria GmbH e Pewag Italia s.r.l., in persona dei rispettivi legali rapp.ti pro tempore, a pagare a Valsusa Ricambi di Pensa Michele la somma di € 4.000,00=, oltre oneri fiscali e previdenziali come per legge, a titolo di rifusione spese processuali; respinge la richiesta di condanna delle ricorrenti ex art.96, comma 3, c.p.c.; si comunichi. Torino, 14 marzo 2014

Il Giudice designato Umberto Scotti

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