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MAMMELLA SEZIONE 13

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MAMMELLA

SEZIONE 13

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Tavola 13.1 Apparato genitale

284 ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA

POSIZIONE E STRUTTURA

La tavola illustra la mammella in sezione parziale (nella parte supe-

riore) e in sezione sagittale (nella parte inferiore). La mammella ha

dimensioni variabili, ma nella maggior parte dei casi si estende

dalla 2ª alla 6ª costa e dallo sterno alla linea ascellare anteriore, con

una terminazione ascellare nelle porzioni esterna e superiore, pal-

pabile lungo il margine esterno del muscolo grande pettorale.

Il tessuto mammario è situato direttamente sopra il muscolo grande

pettorale ed è separato dalla fascia esterna di questo muscolo

mediante uno strato di tessuto adiposo che è continuo con lo stroma

adiposo della ghiandola stessa.

Alcuni depositi adiposi circondano gli elementi ghiandolari e sono

frammisti a essi, venendo a formare una parte signifi cativa della

struttura mammaria e contribuendo al volume e alla forma della

mammella. Il rapporto tra tessuto adiposo e tessuto ghiandolare

varia in base al soggetto e al periodo della vita: con la menopausa,

al diminuire del tessuto ghiandolare, la quantità relativa di tessuto

adiposo aumenta. Le mammelle sono irrorate da una fi tta rete va-

scolare e linfatica (trattata in seguito).

L’innervazione sensitiva della mammella segue la normale di-

stribuzione dei dermatomeri e deriva principalmente dai rami antero-

laterale e antero-mediale dei nervi toracici intercostali T 3 -T 5 . Inoltre,

i nervi sopraclavicolari afferenti dalle fi bre inferiori del plesso cer-

vicale innervano le porzioni superiore e laterale della mammella.

L’innervazione sensitiva del capezzolo proviene dal ramo cutaneo

laterale del T 4 .

Nella donna adulta, il centro della mammella completamente

sviluppata, a forma di cupola, è contrassegnato dall’areola mam-

maria, un’area circolare di cute pigmentata con un diametro tra 1,5

e 2,5 cm. La superficie dell’areola ha un aspetto ruvido per la

presenza di grosse ghiandole sebacee, in una certa misura modi-

fi cate, denominate ghiandole di Montgomery, che si trovano diret-

tamente sotto la cute, nel sottile strato di tessuto sottocutaneo. Si

ritiene che la secrezione adiposa di queste ghiandole lubrifi chi il

capezzolo. I fasci di muscolatura liscia presenti nel tessuto areolare

hanno la funzione di indurire il capezzolo per facilitare la suzione da

parte del neonato.

Il capezzolo, o papilla mammaria, si eleva di pochi millimetri sulla

mammella e contiene da 15 a 20 condotti lattiferi circondati da tes-

suto fi bro-muscolare e ricoperti di una cute rugosa. In parte all’interno

di questo compartimento del capezzolo e in parte sotto la sua base,

questi condotti si espandono per formare i brevi seni lattiferi, o ampolle,

dove si può depositare il latte. Queste ampolle sono la continuazione

dei condotti mammari, che si estendono radialmente dal capezzolo in

direzione della parete toracica e dai quali si diparte un numero va-

riabile di tubuli secondari, i quali terminano in masse epiteliali che

formano le strutture acinose o lobuli della ghiandola mammaria. Il

numero di tubuli e le dimensioni delle strutture acinose variano

enormemente in base alla persona e al periodo della vita. In generale,

i tubuli terminali e le strutture acinose sono più numerosi durante

l’età fertile e raggiungono il loro pieno sviluppo fi siologico solo du-

rante la gravidanza e l’allattamento. Nel loro insieme queste strutture

epiteliali costituiscono il parenchima della ghiandola. Lo stroma è

composto da un misto di tessuto adiposo e fi broso le cui quantità

relative, in assenza di gravidanza e lattazione, determinano le dimen-

sioni e la consistenza della mammella.

La fascia che avvolge la mammella si continua con la fascia pet-

torale, suddivide le ghiandole in lobuli e manda nella cute sovrastante

delle espansioni che, nell’emisfero superiore, sono note come i lega-

menti sospensori di Cooper. Poiché non sono tese, queste espansioni

consentono il movimento naturale del seno, ma con l’età determinano

la ptosi mammaria, a causa del rilassamento dovuto all’età.

Sezione antero-laterale

Muscolo grandepettorale(profondamentealla fasciapettorale)

Muscolo obliquo esterno

Fascia pettorale

Muscoli intercostali

Muscolo dentato anteriore

Clavicola

2a costa

Muscolo grande pettorale

Nervo e vasiintercostali

Polmone

6a costa

Lobuli ghiandolari

Seno lattifero

Condotto lattifero

Adipe (strato di tessutosottocutaneo)

Sezione sagittale

Legamenti sospensoridella mammella (di Cooper)

Lobulighiandolari

Adipe

Seno lattifero

Condotti lattiferi

CapezzoloAreola

Legamentisospensoridella mammella(di Cooper)

Ghiandoledell’areola

Coda ascellare(di Spence)

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Tavola 13.2 Mammella

ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA 285

IRRORAZIONE

L’abbondante apporto sanguigno della ghiandola mammaria deriva

dall’aorta toracica discendente, che emette le arterie intercostali

posteriori; dall’arteria succlavia, dalla quale ha origine l’arteria

mammaria interna; e dall’arteria ascellare, che irrora la ghiandola

mammaria mediante l’arteria toracica laterale e talvolta mediante

un altro ramo, l’arteria mammaria esterna. Un ulteriore apporto

ematico deriva dai rami provenienti dall’arteria toraco-dorsale e

dall’arteria toraco-acromiale, breve tronco che origina dalla parte

anteriore dell’arteria ascellare, con l’origine a cui in genere si so-

vrappone il margine superiore del muscolo piccolo pettorale.

I rami intercostali dell’arteria mammaria interna, la cui porzione

toracica si trova dietro la cartilagine delle prime sei coste, appena

fuori dallo strato parietale della pleura, irrorano la faccia mediale

della ghiandola mammaria. I rami cutanei laterali delle arterie inter-

costali aortiche 3 a , 4 a e 5 a entrano nella ghiandola lateralmente. I

rami cutanei laterali delle arterie intercostali penetrano nei muscoli

laterali del torace e poi si dividono in rami posteriori e anteriori, dei

quali solo i rami anteriori raggiungono la ghiandola mammaria. I

rami dell’arteria toracica laterale, che discendono lungo il margine

inferiore del muscolo piccolo pettorale, si avvicinano alla ghiandola

mammaria da dietro, nella regione del quadrante supero-esterno.

Uno di questi rami (nelle donne più sviluppato rispetto agli altri rami)

è l’arteria mammaria esterna, che gira intorno al margine del mu-

scolo grande pettorale e che potrebbe essere visibile nell’illustra-

zione se la mammella fosse sollevata. Tra l’arteria toracica laterale

e i vasi che derivano dall’arteria mammaria interna esiste una vasta

rete di anastomosi; questi vasi si anastomizzano anche con le arterie

intercostali, così che diverse parti della ghiandola sono irrorate da

due o addirittura tre delle fonti principali. Le ramifi cazioni di tutte e

tre le arterie principali formano un plesso circolare intorno all’areola,

che garantisce l’apporto ematico al capezzolo e all’areola. L’irrora-

zione della cute della mammella dipende dal plesso sottodermico,

che è in comunicazione con i vasi sottostanti più profondi che irro-

rano il parenchima mammario, dove un secondo plesso derivante

dagli stessi vasi principali si forma nelle regioni più profonde della

ghiandola.

Questa distribuzione vascolare si presenta in una serie di varia-

zioni, da tenere presente per evitare il pericolo di necrosi, per

esempio nelle incisioni circolari intorno al capezzolo. La fi tta rete di

vasi sanguigni che irrorano la mammella permette una varietà di

procedure chirurgiche, a scopo sia terapeutico sia estetico, utiliz-

zabili senza danno alla vitalità dei lembi di cute e del parenchima

mammario dopo l’intervento chirurgico. Questo vantaggio può di-

ventare uno svantaggio in quanto questa zona può diventare il punto

di partenza per la diffusione di infezioni o tumori maligni.

Le vene seguono il decorso delle arterie. Il drenaggio venoso

avviene principalmente tramite la vena ascellare, e in parte tramite

la vena toracica interna. La vena ascellare ha un’anatomia irregolare,

che complica gli interventi chirurgici sotto il braccio. Le vene super-

fi ciali circondano il capezzolo e trasportano il sangue nelle vene

intercostale, ascellare e mammaria interna, oltre che ai polmoni.

Queste connessioni possono permettere alle cellule tumorali della

mammella di diffondersi ai polmoni, tramite le vene di superfi cie, e

formare così metastasi tumorali. Le vene intercostali si uniscono a

una rete complessa di vene vertebrali che decorrono dentro e intorno

alla spina, fornendo al tumore un’ulteriore via di diffusione alle

ossa.

Le vene che drenano il parenchima mammario sono soggette,

come in altre aree del corpo, a infiammazione e trombosi, con

conseguente malattia di Mondor e trombofl ebite, rispettivamente.

Arteria succlavia

Arteria toracica internae relativi rami perforanti

Rami mammari mediali

Arteria ascellare

Plesso brachiale

Arteria brachiale

Arteria toracicalaterale e ramimammarilaterali

Coda ascellare(di Spence)

Rami mammarilaterali dei ramicutanei lateralidelle arterieintercostaliposteriori

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Tavola 13.3 Apparato genitale

286 ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA

DRENAGGIO LINFATICO

La distribuzione linfatica della mammella è complessa. La ghiandola

mammaria possiede una fi ttissima rete di vasi linfatici, suddivisa su

due piani: il plesso linfatico superfi ciale o sottoareolare e il plesso

profondo o fasciale. Entrambi originano negli spazi interlobulari e

nelle pareti dei condotti lattiferi. I linfonodi che drenano la mammella

non hanno andamento lineare retto ma presentano una disposizione

tortuosa, variabile e fi ssa, all’interno di cuscinetti adiposi. Questa

disposizione complica le operazioni di rimozione dei linfonodi durante

gli interventi chirurgici di rimozione del cancro della mammella.

Raccogliendo la linfa dalle parti centrali della ghiandola mam-

maria, dalla cute, dall’areola e dal capezzolo, la maggior parte del

plesso superfi ciale drena lateralmente verso l’ascella, passando

prima nel gruppo dei linfonodi pettorali anteriori, spesso denominati

gruppo dei linfonodi ascellari inferiori. I linfonodi pettorali anteriori,

da 4 a 6, si trovano lungo il margine dei muscoli pettorali adiacenti

all’arteria toracica laterale. Il drenaggio avviene quindi nei linfonodi

ascellari centrali, situati lungo la vena ascellare, o nei linfonodi

medio-ascellari, e da lì va ai linfonodi succlavi, posti all’apice del-

l’ascella, nel punto di giunzione tra la vena ascellare e la vena

succlavia. L’ascella contiene un numero di linfonodi variabile, in

genere tra 30 e 60 e circa il 75% del drenaggio linfatico della

mammella è diretto verso questi linfonodi regionali ascellari.

Il plesso linfatico profondo fasciale si estende, attraverso i mu-

scoli pettorali, verso i linfonodi di Rotter, situati sotto il muscolo

grande pettorale, e quindi ai linfonodi succlavi; questa via è nota

come percorso di Groszman. Il resto del plesso linfatico fasciale si

estende, per la maggior parte, medialmente lungo l’arteria mam-

maria interna, attraverso i linfonodi mammari interni, verso i linfonodi

mediastinici. Altre vie di drenaggio linfatico provengono dalle porzioni

inferiore e mediale della mammella. Una di queste è la via para-

mammaria di Gerota che, attraverso i vasi linfatici addominali, va al

fegato o ai linfonodi sottodiaframmatici. Un’altra è la via mammaria

crociata, che passa attraverso i vasi superfi ciali linfatici e va alla

mammella e all’ascella controlaterali. Talvolta, tramite questa via, si

verifi cano le metastasi da una mammella, attraverso la linea me-

diana, all’altra mammella o alla parete toracica. Dalla porzione

mediale inferiore della mammella drenano alcuni vasi linfatici del

gruppo fasciale, passando sotto lo sterno, in direzione dei linfonodi

mediastinici anteriori situati davanti all’aorta. Può inoltre esserci

il drenaggio linfatico alle ghiandole intercostali, situate posterior-

mente lungo la colonna vertebrale, e alle aree sottopettorale e

sottodiaframmatica.

I linfonodi svolgono un ruolo centrale nella diffusione del cancro

della mammella. I linfonodi ascellari sono particolarmente importanti,

in quanto sono tra i primi siti interessati da metastasi del cancro

della mammella. Spesso questo gruppo di linfonodi è defi nito “lin-

fonodi del livello I” (i linfonodi del livello II sono situati sotto il muscolo

piccolo pettorale e i linfonodi del livello III vicino al punto centrale

della clavicola). Altre vie di diffusione metastatica includono i vasi

linfatici adiacenti ai vasi mammari interni, che permettono la diffu-

sione diretta nel mediastino.

Il drenaggio linfatico in genere è diretto al gruppo di linfonodi più

vicino: questo fenomeno sta alla base del concetto di mappatura

dei linfonodi sentinella nel cancro della mammella. Nella maggior

parte dei casi, il cancro della mammella si diffonde in modo preve-

dibile, all’interno della catena dei linfonodi ascellari, sulla base della

posizione del tumore primario e dei linfonodi sentinella associati.

Tuttavia, le metastasi linfatiche provenienti da un’area specifi ca della

mammella si possono trovare in uno qualsiasi o in tutti i gruppi di

linfonodi regionali. Nonostante questa osservazione, l’idea di utiliz-

zare un linfonodo sentinella per individuare la diffusione del tumore

è comunque utile perché solo nel 3% di queste donne il linfonodo

positivo si verifi ca al di fuori dell’ascella.

Linfonodi parasternali

Linfonodi ascellari apicali (succlavi)

Linfonodi interpettorali (di Rotter)

Linfonodi ascellari centrali

Linfonodi ascellarilaterali (omerali)

Linfonodi ascellariposteriori (sottoscapolari)

Linfonodiascellarianteriori(pettorali)

Via per i linfonodimediastinicianteriori

Vie per la mammella controlaterale

Vie per i linfonodi frenici inferiori (sottodiaframmatici) e il fegato

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Tavola 13.4 Mammella

ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA 287

STADI DI SVILUPPO

Alla nascita, tutti i neonati, indipendentemente dal sesso, possiedono

ghiandole mammarie suffi cientemente sviluppate da apparire come

rilievi emisferici ben delineati, che al tatto si presentano come

morbide masse mobili. Questi rilievi sono particolarmente pronun-

ciati nei bambini nati post-termine. Dal punto di vista istologico,

sono facilmente riconoscibili diversi canali ramifi cati con strati di

cellule di rivestimento e tappi di cellule basali alle loro estremità,

rispettivamente i futuri condotti lattiferi e i lobuli ghiandolari. In un

gran numero di bambini si osserva un capezzolo sporgente all’ester-

no e in circa il 10% può essere palpata una ghiandola notevolmente

ingrossata, condizione che ha ricevuto l’infelice nome di mastite dei

neonati, nonostante l’assenza di segni di infi ammazione. Queste

prime strutture ghiandolari, a partire da 2 o 3 giorni dopo la nascita,

possono produrre una secrezione simile al latte, il cosiddetto “latte

di strega”. Tutti questi fenomeni neonatali della mammella, che sono

il risultato di processi di sviluppo molto intensi, derivanti dall’azione

degli estrogeni materni negli ultimi stadi della vita intrauterina, si

attenuano entro le prime 2-3 settimane di vita. È in questo periodo

che la mammella subisce marcati cambiamenti involutivi che por-

tano allo stadio quiescente, caratteristico dell’infanzia e della fan-

ciullezza. Durante questi periodi, le ghiandole mammarie maschili

e femminili sono formate da alcuni condotti rudimentali ramifi cati,

rivestiti da un epitelio appiattito circondato da tessuto connettivo

collageno.

Per la maggior parte delle ragazze, il primo segno della pubertà

è lo sviluppo mammario. Negli Stati Uniti, questi cambiamenti iniziali

della mammella iniziano a un’età media di 10,8 (±1,1) anni. Con

l’inizio della pubertà e durante l’adolescenza, la maturazione folli-

colare nelle ovaie, in risposta all’ormone follicolo-stimolante (FSH)

del lobo anteriore dell’ipofi si, è accompagnata da un aumento del

rilascio di estrogeni. In risposta a questo aumento, i condotti mam-

mari si allungano e il loro epitelio di rivestimento si duplica e prolifera

nelle terminazioni dei tubuli mammari, formando le gemme dei futuri

lobuli. Questa crescita dell’epitelio dei condotti è accompagnata

dalla crescita di un tessuto fi broso periduttale, che è in gran parte

responsabile dell’aumento di dimensioni e della saldezza della

ghiandola femminile dell’adolescente. Durante questo periodo,

crescono anche l’areola mammaria e il capezzolo e diventano

pigmentati.

Con la comparsa della maturità, ossia quando si verifi ca l’ovula-

zione e si formano i corpi lutei che secernono progesterone, si

verifi ca il secondo stadio dello sviluppo mammario, che è essen-

zialmente connesso alla formazione dei lobuli e delle strutture

acinose. Benché nella donna adulta il progesterone eserciti sempre

la sua infl uenza quando sono simultaneamente presenti gli estro-

geni, esistono delle prove sperimentali inconfutabili che indicano

che questo dispiegamento iniziale dei lobuli è un effetto specifi co

del progesterone. Ciò conferisce alla ghiandola mammaria la tipica

struttura lobulare riscontrabile durante il periodo della fertilità. Que-

sta differenziazione in ghiandola lobulare termina all’incirca un anno

o un anno e mezzo dopo la prima mestruazione, anche se vi è un

ulteriore sviluppo di acini, che prosegue in proporzione all’intensità

degli stimoli ormonali durante ciascun ciclo mestruale e special-

mente durante le gravidanze. La deposizione di adipe e la formazione

dello stroma fi broso contribuiscono ad aumentare le dimensioni

della ghiandola mammaria nel periodo dell’adolescenza.

La prevedibile sequenza dello sviluppo mammario che avviene

durante l’adolescenza costituisce una parte della scala della matu-

razione sessuale (scala di Tanner), utilizzata per determinare il grado

e la sequenza dello sviluppo puberale. Nel 1969, Marshall e Tanner

hanno defi nito cinque stadi di sviluppo mammario e di sviluppo dei

peli pubici denominati complessivamente stadi (da I a V) di Tanner

o puberali. Per gran parte delle ragazze, lo sviluppo delle mammelle

è il primo segno della pubertà e il menarca l’ultimo.

Infanzia Pubertà Maturità

Estrogeni

Progesterone

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Tavola 13.5 Apparato genitale

288 ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA

CAMBIAMENTI FUNZIONALI E LATTAZIONE

Le modifi che della secrezione degli ormoni dell’adenoipofi si e delle

ovaie sono fattori importanti nello sviluppo e nel funzionamento della

ghiandola mammaria. Gli ormoni follicolo-stimolante e luteinizzante

sono indispensabili per la produzione degli estrogeni e del proge-

sterone ovarici, che a loro volta controllano lo sviluppo della ghian-

dola mammaria. Questi ormoni sono necessari ma non suffi cienti a

preparare il seno per la lattazione.

La ghiandola mammaria di una donna non gravida non è ade-

guatamente preparata all’attività secretoria. Solo durante la gravi-

danza si verifi cano i cambiamenti che rendono possibile la produ-

zione di latte. Nel 1° trimestre di gravidanza, i tubuli terminali che

originano dai condotti mammari proliferano per fornire un numero

massimo di elementi epiteliali per la futura formazione degli acini.

Nel 2° trimestre, i tubuli terminali duplicati si raggruppano formando

grossi lobuli. I loro lumi cominciano a dilatarsi e le strutture acinose

così formate sono rivestite da un epitelio cubico; alcuni acini con-

tengono piccole quantità di secrezione di colostro. Nell’ultimo trime-

stre della gravidanza, gli acini formati nei primi mesi di gravidanza

si dilatano progressivamente. Gli alti livelli di estrogeni e proge-

sterone in circolo durante la gravidanza sono senza dubbio re-

sponsabili di questi mutamenti del seno.

Durante la gravidanza, con l’aumento dei livelli di estrogeni, si

verifi ca parallelamente un’ipertrofi a e un’iperplasia delle cellule

lattotrope dell’ipofi si. Un aumento della prolattina si verifi ca subito

dopo l’impianto, contemporaneamente all’aumento degli estrogeni

circolanti. I livelli circolanti di prolattina aumentano costantemente

durante tutta la gravidanza, con un picco di circa 200 ng/mL nel 3°

trimestre. Questo innalzamento dei livelli di prolattina avviene pa-

rallelamente all’aumento dei livelli di estrogeni circolanti in questo

periodo. Nonostante livelli di prolattina così elevati, la lattazione non

si verifi ca perché gli estrogeni inibiscono l’azione della prolattina

sulla mammella (probabilmente bloccando l’interazione con il re-

cettore della prolattina).

Dopo il parto inizia un’attiva secrezione nelle strutture acinose,

ora massimamente dilatate, in conseguenza della stimolazione da

parte della prolattina secreta dal lobo anteriore dell’ipofi si e dell’al-

lattamento del neonato. Uno o due giorni dopo l’espulsione della

placenta, i livelli sia di estrogeni sia di prolattina subiscono un rapido

calo e inizia la lattazione. Nelle donne che non allattano, i livelli di

prolattina raggiungono concentrazioni basali dopo 2-3 settimane,

mentre nelle donne che allattano i livelli di prolattina raggiungono i

valori precedenti la gravidanza entro 6 mesi dal parto; ogni volta

che si verifi ca l’atto della suzione, la prolattina subisce un aumento

marcato.

La lattazione, che inizia 3-4 giorni dopo il parto, una volta iniziata

è stimolata e mantenuta attraverso l’atto meccanico della suzione.

Oltre a fornire un impulso alla prolattina, la stimolazione dell’areola

provoca la secrezione dell’ossitocina, responsabile dell’emissione

del latte e della contrazione dei condotti che espellono il latte. È

quindi grazie a questi meccanismi di feedback che la suzione assi-

cura la produzione di latte.

Non è stata dimostrata un’infl uenza della prolattina sui cambia-

menti micro- e macroscopici che si verificano nella ghiandola

mammaria. La sua unica funzione è stimolare la secrezione di latte

dopo che i tessuti sono stati precedentemente preparati adeguata-

mente (dagli estrogeni e dal progesterone). Durante un allattamento

frequente, la maturazione follicolare e l’ovulazione sono inibite per

circa 6 mesi.

La secrezione di latte vero avviene nel rivestimento epiteliale degli

acini dilatati da parte di cellule cubiche o cilindriche, con i nuclei

alla base o all’estremità. Questo epitelio poggia su una sottile striscia

di tessuto connettivo contenente capillari dalle pareti sottili. I globuli

secreti e le cellule epiteliali desquamate distendono gli acini e i loro

canali afferenti. Durante il periodo dell’allattamento, da 1 / 5 a 1 / 3

del volume della mammella è dovuto alla secrezione e all’accumulo

di latte.

Nelle donne non gravide la stimolazione del capezzolo e della

mammella può inoltre aumentare i livelli di prolattina. I livelli di

prolattina normalmente si innalzano in seguito al pranzo e possono

aumentare in risposta all’esercizio fi sico, al sonno e allo stress. Per

questi motivi, i livelli di prolattina in genere subiscono delle fl uttua-

zioni nell’arco della giornata, con livelli massimi durante il riposo

notturno e nel primo pomeriggio.

AllattamentoGravidanza

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Tavola 13.6 Mammella

ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA 289

POLITELIA, POLIMASTIA, IPERTROFIA

Anomalie congenite della mammella come l’agenesia o l’amastia,

l’aplasia, o l’assenza del capezzolo e/o dell’areola sono estrema-

mente rare (l’atelia, o amastia, è talvolta associata alla sindrome di

Poland, che consiste nell’assenza dei muscoli della parete toracica

e delle coste da 2 a 5 e in malformazioni delle mani o delle vertebre).

Più di frequente si registrano casi di aumento del numero delle

mammelle e dei capezzoli. Entrambe queste condizioni trovano

un’immediata spiegazione nello sviluppo embrionale delle mammelle

stesse. Dalla 6ª alla 12ª settimana di gestazione, le ghiandole

mammarie si sviluppano innanzitutto come un’estrofl essione verso

il basso dell’epidermide che si estende nel mesenchima dall’ascella

alle regioni inguinali, le creste mammarie. In seguito, queste spor-

genze scompaiono, tranne nell’area pettorale in cui si sviluppano le

normali mammelle.

I capezzoli accessori o soprannumerari (politelia) si verifi cano in

circa l’1% degli uomini e il 2% delle donne. Si tratta di casi spora-

dici; anche se vi è una familiarità, condizione questa estremamente

rara. Molti capezzoli soprannumerari assomigliano a un nevo o a

una macchia congenita e sono riconoscibili solo per la loro posizione

anatomica. I capezzoli soprannumerari si trovano più spesso 5 o

6 cm al di sotto dei capezzoli normali e verso la linea mediana; essi

in genere non sono caratterizzati da grandi quantità di parenchima

mammario sottostante. I capezzoli accessori senza parenchima

mammario accessorio si riscontrano in qualsiasi punto lungo le

creste mammarie embrionali, che nell’adulto si estendono dal-

l’ascella alle regioni inguinali. La cresta mammaria (detta anche

linea del latte) decorre medialmente al capezzolo normale nelle

regioni sottostanti alla mammella e lateralmente, in direzione di

ciascuna ascella, sopra la mammella. Le ghiandole mammarie

soprannumerarie (polimastia) situate lateralmente sono più inclini

a essere di grandi dimensioni e a presentare una normale lattazione

rispetto a quelle situate medialmente. Durante la gravidanza pos-

sono svilupparsi mammelle ascellari bilaterali di piccole dimensioni

con produzione di secrezione lattea. Questo fenomeno si verifi ca

all’incirca nell’1-2% delle donne europee e nel 5-6% di quelle

asiatiche. Il parenchima mammario accessorio è stato classifi cato

in otto livelli di completezza, da una semplice chiazza di peli a una

mammella in miniatura con produzione di latte. Questa classifi ca-

zione si basa sulla presenza di tessuto ghiandolare e adiposo, un

capezzolo, un’areola oppure ciuffi di peli.

Un parenchima mammario aberrante nell’ascella, senza forma-

zione di capezzolo, è più incline a una trasformazione maligna ri-

spetto a quello di una mammella in soprannumero, nel quale la

frequenza di episodi tumorali è apparentemente la stessa di quella

di una mammella normale. Sia nel parenchima aberrante sia in

quello soprannumerario possono verifi carsi tumori benigni o maligni.

Un articolo del 2000 dell’ American Journal of Cardiology ha po-

stulato una possibile correlazione con il prolasso della valvola

mitrale.

L’ipertrofi a mammaria è un’anomalia comune della mammella e

colpisce entrambi i sessi. Nelle donne, le forme principali di ipertrofi a

mammaria sono l’ipertrofi a precoce o infantile e l’ipertrofi a verginale

o gravidica, che si verifi cano rispettivamente nell’adolescenza o

durante la gravidanza. L’ipertrofi a mammaria precoce è associata

a disturbi endocrini dell’ovaio; è simmetrica bilateralmente e rara-

mente di grado marcato. L’ipertrofi a verginale e quella gravidica

sono di origine sconosciuta e possono essere bilaterali o unilaterali,

con la mammella interessata che può raggiungere dimensioni

enormi. Le mammelle ingrossate sono composte da grandi quantità

di stroma fi broso con dotti ipertrofi ci, talvolta associati a una for-

mazione lobulare. L’ingrossamento, una volta verifi catosi, permane.

Quando si verifi ca nelle adolescenti, questo tipo di ipertrofi a può

infl uire profondamente sulla percezione della propria immagine e

sullo sviluppo sociale. L’unico trattamento effi cace è la mastoplastica

riduttiva.

Un certo grado di asimmetria nello sviluppo del seno è comune

e interessa circa il 3% delle pazienti, che presenta asimmetrie vo-

lumetriche relative alla mammella controlaterale. Questa asimmetria

rappresenta una variazione normale e benigna, tranne in caso di

presenza di un’anomalia palpabile associata.

PolimastiaLinee del latte

Politelia

Ipertrofia verginale

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Tavola 13.7 Apparato genitale

290 ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA

GINECOMASTIA

Normalmente, durante l’adolescenza, nelle mammelle maschili si

riscontra un certo grado di ipertrofi a mammaria. Nei 2 / 3 dei ragazzi

tra i 14 e i 17 anni, è palpabile sotto il capezzolo una placca a forma

di bottone di tessuto mammario, noto come nodo della pubertà.

Benché sia in genere bilaterale, la ginecomastia può essere anche

unilaterale e normalmente regredisce prima dei 21 anni. Di rado

questa crescita di parenchima può essere 2-3 volte la sua dimen-

sione normale e perdurare nel tempo. Talvolta tale ingrossamento

è così netto e compatto che è stato classifi cato come fi broadenoma

benigno. La deposizione di tessuto adiposo senza proliferazione

ghiandolare è denominata pseudoginecomastia.

La ginecomastia si verifi ca più di frequente nei neonati, negli

adolescenti e negli anziani di sesso maschile. Alla palpazione, la

ghiandola mammaria ingrossata può apparire come un aumento

sia del parenchima mammario sia del tessuto adiposo e avere

l’aspetto di un normale seno femminile. Spesso si avverte una

massa distinta e compatta, costituita microscopicamente da una

notevole quantità di tessuto connettivo periduttale, che circonda i

condotti mammari contenenti un epitelio iperplastico.

La crescita delle ghiandole mammarie durante l’adolescenza si

spiega con i cambiamenti dell’ambiente endocrino caratteristico di

questa età. La ginecomastia in genere deriva da un’alterazione

dell’equilibrio estrogeni/androgeni, in favore degli estrogeni (stimo-

lazione) sugli androgeni (inibizione), o da un aumento della sensibilità

della mammella al normale livello di estrogeni circolanti. Gli estro-

geni inducono l’iperplasia epiteliale duttale, l’allungamento e la

ramifi cazione dei condotti, la proliferazione dei fi broblasti periduttali

e un aumento della vascolarità, come accade nelle mammelle

femminili: in seguito all’esposizione agli estrogeni, il quadro istolo-

gico è simile nelle donne e negli uomini. Le cellule di Leydig dei

testicoli, a lungo ritenute fonte esclusivamente degli androgeni,

secernono anche estrogeni. Gran parte della produzione di estrogeni

nei maschi proviene dalla conversione periferica di androgeni (testo-

sterone e androstenedione in estradiolo ed estrone, rispettivamente)

attraverso l’azione dell’aromatasi, principalmente nei muscoli, nella

cute e nel tessuto adiposo. Per questo motivo, rispetto agli adole-

scenti normopeso, gli adolescenti in sovrappeso hanno maggiori

probabilità di andare incontro a questi cambiamenti o di subire

cambiamenti più marcati. La prevalenza complessiva della gineco-

mastia adolescenziale varia tra il 4 e il 69%.

La ginecomastia nella tarda adolescenza e nell’adulto è in molti

casi associata a disturbi endocrini che determinano un eccesso di

estrogeni o una riduzione di androgeni. Qualsiasi disturbo endocrino

che abbia come conseguenza l’ipogonadismo, sia esso primario,

come la sindrome di Klinefelter (46, XXY), o secondario, come

l’ipopituitarismo dovuto ad adenoma ipofi sario non secernente, può

causare ginecomastia. Altre cause includono le neoplasie surrenali-

che testicolari e femminilizzanti. Anche l’ipertiroidismo è associato

a ginecomastia, che si ritiene essere correlata a una relativa ridu-

zione del testosterone libero circolante dovuto a un aumento stimo-

lato dalla tiroide della globulina legante gli ormoni sessuali, oltre a

un aumento dell’aromatizzazione periferica. Le cause genetiche di

ginecomastia includono le forme complete e incomplete di insen-

sibilità, oltre ad alcuni tipi di iperplasia surrenalica congenita.

La ginecomastia nei maschi adulti è spesso multifattoriale. Un

aumento dell’aromatizzazione periferica di testosterone a estradiolo

e la diminuzione graduale della produzione di testosterone nei te-

sticoli dell’uomo in età avanzata probabilmente contribuiscono alla

ginecomastia negli anziani. Vi sono diversi farmaci che possono

produrre ginecomastia, tra cui ormoni sintetici ad attività simil-

estrogenica, alcuni antibiotici come il metronidazolo, antipertensivi

come lo spironolattone, farmaci antiulcera come la ranitidina e

psicofarmaci come le fenotiazine. Anche l’alcol specialmente se ha

causato una cirrosi, la marijuana, il metadone e le anfetamine sono

stati associati a ginecomastia.

Piuttosto frequentemente, la ginecomastia si riscontra nei pazienti

con tumori testicolari (specialmente corioepitelioma, ma anche

teratomi e tumori delle cellule interstiziali). L’insuffi cienza testicolare

in tutte le sue forme può essere accompagnata da vari gradi di

ginecomastia. L’ipertrofi a mammaria è stata originariamente de-

scritta come parte integrante della sindrome di Klinefelter. Quando

il processo di ialinizzazione dell’apparato tubolare dei testicoli in

questa condizione inizia nella tarda pubertà, la ginecomastia diviene

un fenomeno frequente ma non obbligatorio.

Una semplice mastectomia eseguita tramite un’incisione

curva, seguendo il margine dell’areola, rimane il trattamento più

soddisfacente.

Fibroadenoma di una mammella

Forma fibroadenomatosa di ginecomastianell’adulto

Epitelio dei condotti iperplastici e stromaperiduttale della ginecomastia prepuberale

Ginecomastia vera (femminilizzazione)

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Tavola 13.8 Mammella

ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA 291

CONGESTIONE DOLOROSA E MASTITE PUERPERALE

La congestione dolorosa della mammella è causata da una stasi

vascolare e linfatica e generalmente si verifi ca dal 3° al 4° giorno

dopo il parto, prima della comparsa della lattazione; può inoltre

verifi carsi quando l’allattamento, una volta avviato, viene interrotto.

I seni sono pesanti, dolorosi, caldi, duri e dolenti alla palpazione,

con prolungamenti ascellari prominenti (coda di Spence, porzione

della ghiandola mammaria che si estende lungo il margine infero-

laterale del muscolo grande pettorale verso l’ascella). L’innalzamento

della temperatura di rado è superiore a 1 °C. La cute sovrastante

può essere edematosa e il capezzolo è così appiattito da impedire

la suzione da parte del bambino. Il tiraggio del latte o la spremitura

manuale possono aiutare a ridurre la congestione, consentendo al

bambino di afferrare il capezzolo e nutrirsi. Il grado di congestione

generalmente si riduce con ciascun figlio; le primipare spesso

presentano una congestione maggiore rispetto alle donne che al-

lattano il loro secondo fi glio (o i successivi). Nei casi in cui l’allatta-

mento viene interrotto, il seno deve essere strettamente fasciato e

si deve ricorrere a impacchi di ghiaccio e ad analgesici per alleviare

il dolore.

La prevenzione della mastite infettiva consiste nel porre atten-

zione a lavare accuratamente le mani (e qualsiasi altro strumento

utilizzato) prima dell’allattamento o della manipolazione del seno.

Inoltre, anche i capezzoli e il viso del bambino devono essere puliti

prima di procedere con l’allattamento.

La mastite acuta si verifi ca più frequentemente durante i primi

4 mesi di allattamento e negli Stati Uniti essa colpisce circa il 10%

delle madri che allattano; la metà dei casi è costituita da madri che

allattano per la prima volta. La via d’accesso dei microrganismi

infettivi è in genere un capezzolo traumatizzato o con ragadi, che

permettono il passaggio di germi dal naso e dalla bocca del bambino

alla madre. I segni che accompagnano l’insorgenza della mastite

acuta sono febbre, leucocitosi, dolore unilaterale e una zona di in-

durimento. In alcuni casi l’infezione avanza piuttosto rapidamente

e la temperatura corporea può innalzarsi fino a raggiungere i

40,5-41 °C. In questi casi la suppurazione di solito comincia entro

48 ore. La formazione di ascessi può essere in genere evitata se

viene prontamente iniziata una terapia antibiotica. Nella maggior

parte dei casi l’allattamento deve essere interrotto. Una fasciatura

stretta unitamente all’applicazione di impacchi di ghiaccio a scopo

analgesico possono migliorare i sintomi. Nei casi in suppurazione,

una terapia con dicloxacillina bloccherà l’infezione, ma qualsiasi

ascesso formatosi dovrebbe essere svuotato. La scelta dell’antibio-

tico deve essere modifi cata in base all’anamnesi della paziente, alle

allergie (se presenti), e alla prevalenza di Staphylococcus aureus

resistente alla meticillina. Ciprofl oxacina, clindamicina e trimetropi-

ma/sulfametoxazolo sono spesso effi caci contro lo S. aureus resi-

stente alla meticillina. Tuttavia, il trimetropima/sulfametoxazolo deve

essere evitato nei primi due mesi di allattamento.

In base alla sede sono stati distinti tre tipi di mastite: la sottoa-

reolare, la ghiandolare e l’interstiziale. Nel tipo di infezione sottoa-

reolare, l’ascesso, quando si forma, è confi nato all’area appena sotto

il capezzolo. Nella forma ghiandolare vi è il coinvolgimento di uno o

più lobi e l’ascesso può rompersi spontaneamente, dando origine a

un tratto fistoloso. Nel tipo interstiziale sono coinvolti il tessuto

adiposo e quello connettivo, che danno origine a un ascesso re-

tromammario sopra la fascia pettorale, come mostrato nell’illu-

strazione. Una volta che si sono sviluppati i segni di una suppura-

zione, si dovrebbe cercare di localizzare l’ascesso con applicazioni

calde, per poi inciderlo e drenarlo. In certi casi una mastite cronica

segue uno stato acuto. Tutti i sintomi e i segni di mastite acuta pos-

sono proseguire per settimane e mesi, anche se in forma più leggera.

La terapia della forma cronica è la stessa di quella acuta.

Raramente, la mastite si verifi ca nelle donne che non hanno

partorito da poco e nelle donne in menopausa. Poiché il carcinoma

infi ammatorio della mammella presenta sintomi molto simili a quelli

della mastite, si deve considerare la possibilità che dietro a un

ascesso si celi un carcinoma.

Congestione dolorosa

Sottocutanea

Mastite acuta

Sottoareolare

Sedi di ascessi della mammella

Ghiandolare (intramammaria)

Retromammaria

Sottotipi di mastite

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Tavola 13.9 Apparato genitale

292 ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA

GALATTORREA

La galattorrea è la secrezione mammaria bilaterale spontanea di un

liquido di aspetto simile al latte (molte donne, specialmente quelle

che hanno partorito, possono avere piccole perdite di liquido latti-

ginoso da uno o entrambi i capezzoli, e ciò è considerato normale).

La galattorrea è poco comune ma il numero di casi varia tra l’1 e il

30%, in base alla popolazione studiata. Anche se non è intrinseca-

mente pericolosa, la galattorrea può essere il primo sintomo

precursore di disturbi fi siopatologici sottostanti che, in quanto tali,

meritano un’attenta valutazione.

Poiché la galattorrea rappresenta un sintomo, una stessa pre-

sentazione clinica può avere cause multiple. L’adenoma ipofi sario

o l’ipotiroidismo possono determinare livelli di prolattina elevati, in

grado di stimolare il parenchima mammario, causando la secrezione

di latte. La galattorrea può inoltre essere un effetto collaterale di

agenti farmacologici. Più di frequente si manifesta con i farmaci che

infl uiscono sulla produzione di dopamina o serotonina o sul meta-

bolismo (alcuni alimenti consumati in eccesso possono creare tale

situazione, in particolare la liquirizia). Alcune malattie autoimmuni

(sarcoidosi, lupus) o la sindrome di Cushing possono determinare

questi sintomi. Le irritazioni croniche della parete toracica quali

herpes zoster, la stimolazione mammaria o irritazioni della mammella

possono attivare le vie nervose normalmente associate alla produ-

zione fisiologica di latte. La stimolazione cronica di queste vie

nervose può determinare galattorrea. I mutamenti fi siologici che

avvengono durante la gravidanza o dopo il parto e/o l’allattamento

possono portare a persistente secrezione di latte. Gran parte

dei processi patologici che conducono alla galattorrea determi-

nano un innalzamento dei livelli sierici di prolattina. Ciò può essere

utile nel valutare la fonte dei sintomi e la minaccia che essi

rappresentano.

Alla presentazione, la galattorrea è spesso accompagnata da altri

disturbi o condizioni: 1 / 3 delle pazienti con livelli di prolattina elevati

sperimenta amenorrea e infertilità. Un’amenorrea ipogonadica

prolungata derivante da iperprolattinemia è associata a un aumento

del rischio di osteoporosi, alterazioni atrofi che a carico della vagina

e degli organi genitali, dispareunia e disfunzioni della libido.

La valutazione della paziente con galattorrea è in parte dettata

da qualsiasi sintomo associato indicativo di un processo sottostante.

In assenza di altri sintomi, il processo di valutazione inizia con la

misurazione dei livelli sierici di prolattina (in assenza di mestruazioni

deve sempre essere considerata la possibilità di una gravidanza in

atto). La prolattina deve essere misurata a digiuno e a riposo, perché

il cibo e lo stress possono aumentarne i livelli. Livelli elevati di

prolattina sierica indicano la necessità di una valutazione radiologica

dell’ipofi si. L’approccio preferenziale è la tomografi a computeriz-

zata o la risonanza magnetica della sella turcica. Purtroppo, vi è una

scarsa correlazione tra i livelli sierici di prolattina e le dimensioni

della lesione ipofi saria. Un esame dei campi visivi può essere indi-

cato in presenza di macroadenoma ( ≥ 10 mm).

Quando i livelli di prolattina sono bassi e la diagnostica per im-

magini della sella turcica è normale, può essere suffi ciente la sem-

plice osservazione. Se si decide per l’osservazione, devono essere

eseguite delle valutazioni periodiche per controllare l’eventuale

comparsa di tumori a crescita lenta. Il trattamento con bromocriptina

è raccomandato per le pazienti che desiderano una gravidanza, che

presentano gradi di galattorrea che provocano disturbi, o che hanno

macroadenomi. Purtroppo, la terapia medica può essere associata

a nausea, ipotensione ortostatica, sonnolenza o sincope, iperten-

sione o attacchi epilettici, e la terapia con bromocriptina può inte-

ragire con le fenotiazine o con i butirrofenoni.

La terapia medica è in genere effi cace nelle pazienti con iper-

prolattinemia. I livelli di prolattina devono essere misurati ogni 6-

12 mesi e i campi visivi rivalutati annualmente. L’ipofi si deve essere

riesaminata ogni 2-5 anni, in base alla diagnosi iniziale. Quando la

terapia medica viene sospesa, i sintomi possono ripresentarsi.

I tumori a rapida crescita, i tumori di grosse dimensioni al mo-

mento della diagnosi o i tumori che non rispondono alla terapia con

bromocriptina possono richiedere un intervento chirurgico o la ra-

dioterapia. Spesso l’intervento chirurgico può essere eseguito tra-

mite la via di accesso transfenoidale. Il trattamento chirurgico può

determinare la perdita completa della funzione ipofi saria e richiede

una sostituzione e un monitoraggio attenti di altri sistemi endocrini,

compresi quello tiroideo e quello surrenalico.

Suzione prolungata(o manipolazione)

Malattia fibro-cistica benignadellamammella

Herpes zoster

Interventichirurgicial torace

Somministrazione di tranquillanti (raramente)

FSH = ormone follicolo-stimolante; STH = ormone somatotropo

Psicosi

Acromegalia

Carenzadi FSH

Carenzadi estrogeni

Amenorrea

STHProlattina

Sindromedi Chiari-Frommel;allattamentoprolungatoe amenorreapost-gravidanza

Sindromedi Ahumada-del Castillo;allattamentosenza precedentegravidanzao acromegalia

Influenze endocrinenella lattazione

normale

Nervi afferenti dal capezzolo

Stimolazione ipotalamicaattraverso le vie sensitive

Tumore o disfunzionedell’ipofisi

Disturbo della funzione ipotalamicaDisturbi cortico-surrenalici od ovarici

surrenaliciCorticoidi

Estrogeni

Ossitocina

Progesterone

STH

Prolattina

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Tavola 13.10 Mammella

ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA 293

MALATTIA DI MONDOR

La malattia di Mondor, o angioite superfi ciale, è una trombofl ebite

superficiale della mammella, che prende il nome dal chirurgo

francese Henri Mondor (1885-1962), che descrisse per primo la

malattia nel 1939. Si tratta di un’entità clinica molto rara, che può

manifestarsi verso la fi ne del periodo riproduttivo o nei primi anni

della menopausa. L’età predominante delle pazienti con la malattia

di Mondor è tra i 30 e i 60 anni. Questa malattia non deve essere

confusa con la sindrome di Paget-Schroetter, che si riferisce a una

trombosi venosa profonda delle vene degli arti superiori, compresa

la vena ascellare o succlavia, che si verifi ca, nella maggior parte dei

casi, in seguito a un’intensa attività fi sica (anche se può manifestarsi

spontaneamente).

Anche se può verifi carsi spontaneamente, la fl ebite della mam-

mella è per lo più correlata a una gravidanza, un trauma o una

procedura operatoria recenti e spesso coinvolge le vene toraco-

epigastriche della mammella e le vene toraciche laterali. Raramente,

la malattia di Mondor si può presentare in seguito a un intervento

di mastoplastica additiva, manifestandosi in forma di cordoncini

temporanei che si estendono dalla regione sotto la mammella in

direzione dell’addome. Tale complicanza si verifi ca in meno del 2%

delle pazienti. In queste pazienti, i cordoncini appaiono a circa 3-6

settimane dall’intervento, durano qualche mese e poi generalmente

scompaiono.

La trombofl ebite delle vene della mammella di solito si presenta

con sintomi di dolore acuto e generalmente localizzato nel quadrante

supero-esterno della mammella. All’esame obiettivo sono osservabili

una fossetta cutanea o una cordicella distinta con margini eritema-

tosi. Inoltre, si può osservare un solco poco profondo che si estende

verso l’alto in direzione dell’ascella quando il braccio è alzato.

Anche se tipici della malattia di Mondor, questi sintomi devono

essere differenziati da quelli dell’ascesso mammario o della mastite,

dell’ectasia duttale, del carcinoma o della steatonecrosi. La malattia

di Mondor può essere distinta dal carcinoma infi ammatorio della

mammella dalla presenza di dolore improvviso, formazione precoce

di aderenze e miglioramento progressivo, caratteristiche non pre-

senti in questo tipo di cancro. Le cicatrici derivanti da interventi

chirurgici precedenti (biopsia, aumento o riduzione del seno) pos-

sono causare un ispessimento o una retrazione della cute sovra-

stante, similmente a quanto si osserva nella malattia di Mondor;

tuttavia, con un’attenta anamnesi, è possibile distinguere precoce-

mente i due quadri.

La malattia di Mondor è in genere diagnosticata tramite l’anam-

nesi e l’esame obiettivo. All’esame obiettivo, sono osservabili

un’accentuazione della fossetta o la formazione di un solco sulla

vena interessata. Spesso ciò si verifi ca quando il braccio omolaterale

viene sollevato durante l’esame obiettivo. La mammografi a può

rendersi necessaria per escludere altri processi, ma generalmente

la diagnosi è posta tramite l’esame obiettivo e l’anamnesi (alla

mammografi a, sono visibili una vena sottocutanea a “corona di

rosario” e una retrazione cutanea; raramente, le vene calcifi cano).

All’ecografi a, è osservabile una struttura tubulare ipoecogena corri-

spondente alla vena interessata dalla trombosi. In casi rari, per porre

la diagnosi può essere necessaria una biopsia.

La malattia di Mondor è benigna e autolimitante. Il trattamento

della trombofl ebite superfi ciale della mammella è generalmente di

supporto: gli analgesici e il calore riducono i sintomi. La condizione

solitamente si risolve da sola nel giro di 2-3 settimane, ma prima

di una risoluzione completa possono trascorrere anche 6 settimane.

Anche se non vi sono restrizioni in termini di attività fi sica, un buon

sostegno meccanico costituito da un reggiseno o una fascia adatti

migliorano il comfort durante un’attività fi sica intensa. Gli antibiotici

e gli anticoagulanti hanno uno scarso effetto sul decorso della

malattia e non sono indicati.

È stata inoltre descritta la trombosi della vena sottocutanea del

pene (malattia di Mondor del pene); essa è caratterizzata da un’in-

sorgenza rapida e si presenta come un indurimento quasi indolore

della superfi cie dorsale del pene. La sua patogenesi è ignota.

La malattia di Mondor derivada una tromboflebite delle venetoraco-epigastriche

I segni tipici includono dolore della venainteressata, eritema e presenzadi una “fossetta”

Alla palpazione la vena può appariresimile a un cordoncino

Il sollevamento del braccio produceuno stiramento che interessale vene, creando un solco

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Tavola 13.11 Apparato genitale

294 ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA

DIAGNOSTICA PER IMMAGINI DELLA MAMMELLA

Nella pratica medica attuale, la diagnostica per immagini prevede

due modalità di screening e valutazione delle lesioni mammarie

sospette, la mammografi a e l’ecografi a. In alcuni casi, la risonanza

magnetica (RM) si è rivelata utile come esame aggiuntivo ai tradi-

zionali metodi di diagnostica per immagini. Altri metodi diagnostici

come l’imaging termico (termografi a), l’imaging molecolare della

mammella (scintimammografi a), la mammografi a tridimensionale

(tomosintesi), la tomografi a a impedenza elettrica (T-scan) e la

transilluminazione sono sperimentali o non hanno dimostrato di

essere effi caci.

La mammografi a è il metodo di screening migliore attualmente

disponibile per l’individuazione delle lesioni in fase iniziale: essa è

infatti in grado di identifi care lesioni di piccole dimensioni (1-2 mm),

calcifi cazioni, o altri mutamenti che lasciano sospettare un tumore

all’incirca 2 anni prima che la lesione sia clinicamente palpabile.

Oltre 1 / 3 dei tumori asintomatici della mammella presenta calcifi ca-

zioni, che rendono tumori, altrimenti non individuabili, visibili alla

mammografi a.

L’utilizzo diffuso della mammografi a è stato correlato a una ridu-

zione del 30% del tasso di mortalità dovuta al cancro della mam-

mella. Purtroppo, non tutte le donne vengono sottoposte regolar-

mente a uno screening adeguato. Le linee guida più recenti in merito

allo screening per il cancro della mammella raccomandano l’ese-

cuzione della mammografi a ogni 1-2 anni per le donne tra i 40 e i

49 anni e successivamente ogni anno. Gran parte delle linee guida

non suggerisce più di eseguire mammografi e di routine nelle donne

sotto i 40 anni. Perlopiù, si raccomanda una mammografi a e un

esame senologico annuali per le donne a partire dai 50 anni. Tut-

tavia, il dibattito, scientifi co e pubblico, sui potenziali rischi e benefi ci

della mammografi a di screening è tutt’ora aperto.

Nei casi in cui la paziente avesse una parente di primo grado che

ha avuto un carcinoma della mammella in premenopausa, lo scree-

ning dovrebbe iniziare circa 5 anni prima dell’età a cui quel tumore

è stato diagnosticato. Per le pazienti con rischio aumentato di

carcinoma della mammella (forte anamnesi familiare o anomalia

genetica come mutazioni di BRCA1 o di BRCA2), alla mammografi a

dovrebbe essere affi ancata la RM. La RM non dovrebbe essere

utilizzata come unico metodo di screening a causa del tasso troppo

elevato di falsi positivi.

La mammografi a nelle giovani donne è più diffi cile da interpretare

rispetto a quella effettuata nelle donne di età più avanzata a causa

della maggiore densità tissutale durante gli anni riproduttivi e per

questo motivo i carcinomi della mammella nelle giovani passano

spesso inosservati. Nel complesso, la mammografi a ha un’accura-

tezza di circa l’85% nella diagnosi di tumore maligno, con un tasso

di falsi negativi del 10-15%. Per questa ragione, è uno strumento

aggiuntivo alla diagnostica clinica e alla procedura defi nitiva della

biopsia ma non le sostituisce. All’incirca il 10% degli studi mammo-

grafi ci richiede ulteriori elementi. Tra l’1 e il 2% degli studi di scree-

ning per la formulazione della diagnosi necessita di una valutazione

istologica. Nella mammografi a, l’esposizione complessiva alle ra-

diazioni è minima ( < 1 rad).

L’ecografi a è diventata un utile strumento per l’utilizzo insieme

alla mammografi a, in quanto è ampiamente diffusa, non invasiva e

meno costosa delle altre opzioni diagnostiche. In origine, l’ecografi a

è stata utilizzata principalmente come un efficace metodo per

la differenziazione delle masse cistiche da quelle solide presenti

nella mammella, ma fornisce inoltre informazioni utili sulla natura e

la diffusione delle masse solide e di altre lesioni mammarie. Benché

sia meno sensibile della RM (individua un numero minore di tumori),

l’ecografi a ha il vantaggio di essere meno costosa e più diffusa.

L’ecografi a della mammella non è eseguita come esame di scree-

ning di routine, ma piuttosto è utile per la valutazione di masse

palpabili, occulte alla mammografi a, nella valutazione delle lesioni

mammarie clinicamente sospette nelle donne sotto i 30 anni e nel

monitoraggio di anomalie individuate tramite mammografi a. Alcuni

studi hanno suggerito un’utilità nell’esecuzione di routine dell’eco-

grafi a, con una mammografi a nelle donne più giovani o con tessuto

mammario denso. Un ampio studio ha valutato l’utilizzo dell’eco-

grafi a mammaria come metodo di screening e ha scoperto che

veniva individuato un numero maggiore di tumori al seno con la

combinazione dei due metodi piuttosto che con la sola mammo-

grafi a, anche se il tasso di studi e biopsie con falsa positività era

elevato. L’ecografi a è generalmente riconosciuta come un metodo

fortemente dipendente dal medico da cui è eseguita, che deve

essere esperto, e richiede un controllo di alta qualità e una stru-

mentazione molto moderna.

Mammografia

Ecografia

Posizione per la proiezionecranio-caudale

Posizione per laproiezione laterale

Posizione per la proiezionemedio-laterale

Generalmente vengono eseguitedue esposizioni ad angoli retti(cranio-caudale e laterale)per ciascuna mammella

Quando sono necessari ulterioridettagli di coste e mammella,viene eseguita ancheun’esposizione medio-laterale

Dispositivoper la compressionedella mammella

Dispositivoper la compressionedella mammella

Raggi Xa fasci conici

Tessutoadiposotraslucido

Ombredi tessutoconnettivo

Condotti prominentied elementi ghiandolari

Ombre vascolari

Proiezione cranio-caudale di una normalemammella adiposa

Proiezione lateraledi una mammella ghiandolaredi densità normale

Massa cistica visibile

Proiezione medio-lateraledi una mammella normale

Dettaglio della costa mostratoin questa proiezione

Ombre di tessuto connettivo

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Tavola 13.12 Mammella

ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA 295

MODIFICAZIONI FIBRO-CISTICHE I: MASTODINIA

Quando si parla di modifi cazioni fi bro-cistiche (precedentemente

denominate mastopatia fi bro-cistica) ci si riferisce a un quadro

generico che comprende la mastalgia (mastodinia), le cisti mam-

marie e la nodularità priva di carattere distintivo. Queste modifi ca-

zioni possono essere isolate o verifi carsi contemporaneamente. Le

mammelle in genere sono nodulari, dense e dolenti alla palpazione.

Le modifi cazioni fi bro-cistiche sono responsabili della sintomatologia

mammaria più comunemente riportata.

Mastalgia è il termine non specifi co utilizzato per indicare un

dolore al seno di qualsiasi eziologia. Un dolore mammario può ve-

rifi carsi nelle mammelle obese e pendule durante o dopo la meno-

pausa, quando il peso delle mammelle stesse stira i legamenti

sospensori esercitando una trazione sulle fi bre nervose. In questi

casi non si tratta di reale mastodinia e il dolore è alleviabile con un

buon reggiseno e una riduzione del peso. Un’altra forma di dolore

mammario, che non origina nel parenchima, è dovuta a una ne-

vralgia intercostale, che può essere una complicanza di una spon-

dilite, di affaticabilità e di infezioni respiratorie.

Gran parte delle donne, almeno una volta nella vita, sperimenta

dolore mammario, che in molti casi è transitorio. La causa più co-

mune di mastodinia persistente è una modifi cazione fi bro-cistica. Il

dolore mammario può inoltre manifestarsi in seguito a un rapido

cambiamento ormonale (specialmente quando si verifi ca un innal-

zamento dei livelli di estrogeni, come in caso di inizio di assunzione

della pillola anticoncezionale, terapia sostitutiva o gravidanza). In

assenza di cambiamenti patologici evidenti, la mastalgia è stata

attribuita al consumo di caffeina e a diete ricche di grassi, ma

mancano dati solidi. La cause non ginecologiche includono la radi-

colite dorsale o modifi cazioni infi ammatorie delle articolazioni costo-

condrali (sindrome di Tietze), adenosi sclerosante, spasmi muscolari

della parete toracica, costocondrite e fi bromialgia. Le pazienti di età

più avanzata possono inoltre essere affette da nevralgia posterpetica

o da neurite secondaria a infezioni da herpes zoster. Questo dolore

può essere simile a quello della mastalgia.

Il dolore delle modifi cazioni fi bro-cistiche, inizialmente presente

solo nel premestruo, diventa progressivamente più esteso nel tempo

e più grave, fi no a permanere durante tutto il ciclo. La mammella

interessata è generalmente ben sviluppata. Viene percepita una

zona granulosa di maggiore densità, situata più di frequente nel

quadrante supero-laterale che in altre parti dell’emisfero. La com-

pressione con le dita di quest’area rigonfi a genera dolore. Le mo-

difi cazioni fi bro-cistiche sono spesso bilaterali. Generalmente non

sono percepite masse defi nite. Un dolore monolaterale o localizzato

suggerisce un processo patologico. La mammografi a può essere

indicata per altre ragioni ma raramente è utile nella valutazione della

mastalgia.

Il tessuto mammario dolente sottoposto a biopsia appare più

denso e fibroso del normale. Sul tessuto lobulare si osservano

chiaramente piccole macchie rosa in un denso stroma bianco, che

racchiude alcune piccole formazioni cistiche. L’esame al micro-

scopio rivela lobuli irregolari o che presentano un arresto di crescita,

con minuscole dilatazioni cistiche. Un tessuto connettivo immaturo

e proliferante, scarsamente colorabile, circonda le strutture

epiteliali.

La mastodinia in genere risponde alla terapia medica e alla

rassicurazione nel caso in cui la paziente tema la presenza di un

carcinoma. Le misure generali includono analgesici, un sostegno

meccanico (un buon reggiseno indossato giorno e notte), terapia

termica applicata localmente e rassicurazione della paziente. Spesso

si ottiene un benefi cio riducendo l’assunzione di metilxantine. Per

alcune pazienti si raccomanda di limitare l’assunzione di sale o di

liquidi. Il ruolo delle vitamine A ed E è sconosciuto. L’enotera e

l’agnocasto hanno mostrato un’effi cacia in studi clinici ristretti ma

la non standardizzazione di entrambi i trattamenti e dei principi attivi

in vari preparati limita la capacità di valutare appieno queste opzioni

terapeutiche.

I contraccettivi orali combinati migliorano la sintomatologia nel

70-90% dei pazienti. Nei casi più resistenti, può rendersi necessario

un trattamento con spironolattone, danazolo (iniziato durante le

mestruazioni o una volta che è stata esclusa una gravidanza) o

bromocriptina. In pazienti molto selettive possono essere necessari

gli agonisti del GnRH. I diuretici devono essere utilizzati con atten-

zione per evitare disturbi relativi ai liquidi e agli elettroliti. All’inizio

della terapia e per diversi giorni la bromocriptina può causare ipo-

tensione. In caso di pazienti con compromissione della funzione

epatica o renale occorre procedere con cautela.

Qualsiasi sia la terapia utilizzata, in tutti i casi resta fondamentale

escludere la possibilità di un carcinoma.

Schema della sindrome clinica:rigonfiamento dolente e granulare

Aspetto al microscopio (lobuli con un arrestodi crescita nello stroma fibroso proliferante)

Sezione sagittale

C0065.indd 295C0065.indd 295 2/9/12 6:19:17 PM2/9/12 6:19:17 PM

Tavola 13.13 Apparato genitale

296 ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA

MODIFICAZIONI FIBRO-CISTICHE II: ADENOSI

La proliferazione stromale e duttale che determina formazione di

cisti, ispessimento diffuso, dolore ciclico e dolorabilità è il tratto

distintivo delle modifi cazioni fi bro-cistiche. Il termine modifi cazione

fi bro-cistica include una moltitudine di processi diversi e di vecchie

espressioni, tra cui mastopatia fi bro-cistica. Si tratta della condizione più

comune tra tutte le condizioni mammarie benigne e ciò spiega il

perché sia stato abbandonato il termine “mastopatia”. Con diversi

gradi di importanza, le modifi cazioni fi bro-cistiche interessano tra

il 60 e il 75% di tutte le donne. Queste modifi cazioni sono più co-

muni tra i 30 e i 50 anni, con solo il 10% dei casi tra le donne sotto

i 21 anni. È stata avanzata l’ipotesi che le metilxantine siano un

agente eziologico, ma mancano dati solidi a supporto di tale tesi.

Non vi sono evidenze a sostegno del fatto che i contraccettivi orali

aumentino il rischio di queste modifi cazioni. Spesso è presente

un’anamnesi familiare di modifi cazioni fi bro-cistiche, ma l’agente

eziologico è diffi cile da individuare.

Le cause delle modifi cazioni fi bro-cistiche sono ignote, ma è stato

postulato che esse derivino da un’eccessiva risposta del parenchima

agli ormoni. È stato suggerito un possibile ruolo del progesterone

per la frequenza con cui si manifestano gonfi ore e dolore mammario

nel periodo premestruale. Altre cause ipotizzate delle modifi cazioni

fi bro-cistiche sono un’alterazione del rapporto tra estrogeni e proge-

sterone e un aumento della velocità di secrezione della prolattina,

ma nessuna di queste è stata confermata.

L’adenosi è caratterizzata dalla presenza di noduli multipli in una

o in entrambe le mammelle, di dimensione variabile tra 1 mm e 1 cm,

in genere distribuiti intorno alla periferia dell’emisfero superiore o

esterno. Le mammelle interessate tendono a essere piccole, com-

patte e con bordi “a piattino”, avvertibili alla palpazione. I reperti

tipici rilevati all’esame obiettivo includono cisti multiple e noduli

frammisti a nodularità bilaterale disseminata, o un ispessimento

nastriforme, specialmente nei quadranti supero-esterni delle mam-

melle. Come nella mastodinia, si verifi cano dolore e dolorabilità (che

varia durante il ciclo mestruale), con un’acutizzazione dei sintomi

appena prima delle mestruazioni (il dolore associato alle modifi ca-

zioni fi bro-cistiche spesso si irradia alle spalle e alla parte superiore

delle braccia). Benché il dolore sia il disturbo più frequente, l’adenosi

fi bro-cistica, nel 50% dei casi, può essere asintomatica.

Le modifi cazioni fi bro-cistiche consistono in tre fasi: (1) prolife-

razione dello stroma, specialmente nei quadranti supero-esterni;

(2) proliferazione dei condotti e delle cellule alveolari, adenosi e

formazione di cisti; (3) presenza di cisti di dimensioni maggiori e

dolore generalmente diminuito. Le modifi cazioni proliferative pos-

sono essere estese (anche se generalmente benigne) in un punto

qualsiasi dei tessuti coinvolti. Nel complesso, il tessuto mammario

interessato contiene un denso tessuto fi broso, numerose cisti di

piccolissime dimensioni e focolai di proliferazione epiteliale. La

struttura lobulare è molto distorta. Alcuni dei tubuli terminali formano

solidi tappi di cellule basali, che in sezione trasversale appaiono

come adenomi dei condotti. Altri tubuli danno luogo a strutture lo-

bulari fortemente ingrossate, penetrate da fasci densi di tessuto

fi broso che conferiscono l’aspetto di un adenoma fi broso. La dia-

gnosi differenziale tra un’adenosi e un adenoma fi broso è talvolta

diffi cile se non impossibile, in particolare se nei casi di adenosi in

fase avanzata si sono sviluppati piccoli papillomi intraduttali. L’età

premenopausale, la molteplicità di noduli situati più perifericamente,

un’escrezione marrone piuttosto che sanguigna dal capezzolo e il

coinvolgimento di entrambe le mammelle fanno propendere per

l’adenosi.

La mammografi a può essere utilizzata per fornire ulteriori ele-

menti per la diagnosi o per ottenere una valutazione basale, ma non

è necessaria per porre la diagnosi. La mammografia comporta

maggiori diffi coltà nelle donne giovani che segnalano prevalente-

mente questo disturbo. Di conseguenza, l’ecografi a può essere di

maggiore aiuto quando la diagnostica per immagini è ritenuta ne-

cessaria. Se la paziente presenta una massa cistica nella mammella,

un’agoaspirazione con ago calibro 22-25 può essere sia diagnostica

sia terapeutica. In caso di sospetto di tumore maligno, può essere

necessaria un’aspirazione con ago sottile o una core biopsy della

mammella. In caso di atipia riscontrata nei condotti iperplastici o

nelle cellule apocrine, il rischio di un futuro sviluppo di carcinoma

aumenta di cinque volte.

Schema della sindrome clinica:simile a un cordoncino e nodularecon bordi “a piattino”

Acini dilatati e proliferazione epiteliale

Aspetto alla sezionetrasversale

C0065.indd 296C0065.indd 296 2/9/12 6:19:19 PM2/9/12 6:19:19 PM

Tavola 13.14 Mammella

ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA 297

MODIFICAZIONI FIBRO-CISTICHE III: ALTERAZIONE CISTICA

Le masse cistiche nella mammella si rilevano di frequente nella

pratica clinica. La distinzione tra le cisti che rappresentano una

minaccia da quelle che possono essere seguite in modo conserva-

tivo è la sfi da posta dalla presenza di cisti mammarie. Alcuni autori

ritengono che la formazione di cisti mammarie si verifi chi in circa il

50% delle donne in età riproduttiva. All’incirca una donna su quattro

si rivolge a un medico per problemi al seno, che spesso si manife-

stano come masse palpabili. La causa più comune di cisti mammaria

palpabile è una modifi cazione fi bro-cistica (riscontrata nel 60-75%

di tutte le donne). Le cisti possono inoltre essere causate dalla di-

latazione dei condotti e da complicanze dell’allattamento (galattoceli,

ascessi).

La patogenesi delle formazioni cistiche più comuni non è chiara.

I cambiamenti ormonali ciclici inducono modifi cazioni stromali ed

epiteliali che possono causare fi brosi e formazioni cistiche. Le cisti

possono essere isolate o presentarsi in gruppi, con un diametro

che può raggiungere i 4 cm. Le cisti di piccole dimensioni sono

compatte e contengono un liquido chiaro, che conferisce loro un

colore tendente al blu. Le cisti più grosse possono essere di colore

marrone, derivante da un’emorragia al loro interno. Secrezioni dense

o latte possono formare una dilatazione cistica dei condotti (galat-

tocele, ectasia duttale), palpabile come massa cistica. Nello stroma

circostante sono visibili gradi variabili di fi brosi e di infi ammazione

(la perdita di liquido cistico nel tessuto circostante induce una ri-

sposta infi ammatoria in grado di alterare i reperti fi sici e assomi-

gliare a un carcinoma). I reperti microscopici associati alle cisti

mammarie dipendono dai cambiamenti fi siopatologici coinvolti.

La modificazione fibro-cistica si manifesta con la comparsa

improvvisa di una cisti in una mammella precedentemente normale,

nella quale il parenchima è stato per la maggior parte sostituito da

adipe, ed è accompagnata da una sensazione sgradevole o di dolore

pungente. In circa il 6% delle pazienti si verifi ca un’escrezione

sierosa dal capezzolo. Alla palpazione si avverte una massa arro-

tondata e tesa, che si muove liberamente tra la punta delle dita delle

mani, se la massa viene compressa alternativamente con entrambe

le mani. La cisti in genere è situata a metà tra il capezzolo e la

periferia della mammella.

A un esame macroscopico (quando viene esposta nel corso di

un intervento chirurgico), la cisti presenta una caratteristica cupola

blu che preme sull’adipe sottocutaneo. Questa cisti ha una parete

fi brosa e sottile, che può possedere un rivestimento epiteliale di

cellule duttali somigliante all’epitelio delle ghiandole sudoripare.

Aprendo la cisti, fuoriesce un liquido opaco color paglierino. Micro-

scopicamente, la parete cistica è racchiusa in un denso stroma

mammario fi broso. La ghiandola è povera di tessuto acinare.

La diagnosi e il trattamento delle masse cistiche nella mammella

si basano sull’anamnesi, l’esame obiettivo e l’aspirazione, talvolta

unitamente alla mammografi a e all’ecografi a (l’ecografi a è utile per

distinguere le masse solide da quelle cistiche, ma ha una risoluzione

spaziale limitata e non può essere utilizzata per distinguere i tessuti

benigni da quelli maligni). L’agoaspirazione con un ago da 22-

25 gauge può essere sia diagnostica sia terapeutica. Se la cisti

scompare completamente e non si riforma nel giro di un mese, non

si richiedono ulteriori terapie. Il liquido aspirato dalle pazienti con

modifi cazioni fi bro-cistiche è generalmente di colore paglierino. Le

cisti formatesi da lungo tempo possono contenere un liquido di

colore marrone scuro o verde, che tuttavia è innocuo. I liquidi con

tracce ematiche richiedono ulteriori indagini. L’esame citologico del

liquido ottenuto ha scarso valore a causa dell’alto numero di falsi

positivi e falsi negativi. A distanza di 2-4 settimane dall’aspirazione

di una cisti, la paziente deve essere sottoposta a un controllo. In

caso di mancanza di una risoluzione completa al momento dell’aspi-

razione e in presenza di una recidiva o di una massa palpabile si

richiedono ulteriori esami come l’aspirazione con ago sottile (FNA)

o la biopsia a cielo aperto.

estrogenicoEffetto

Follicolo

Follicoloin involuzione

Ef

fetto

ga

latto

poie

tico

do

poca

lo d

i estr

ogen

i Corpus albicans

Cisti multiple

Cisti solitaria cupoliforme di colore blu

C0065.indd 297C0065.indd 297 2/9/12 6:19:25 PM2/9/12 6:19:25 PM

Tavola 13.15 Apparato genitale

298 ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA

FIBROADENOMA BENIGNO, PAPILLOMA INTRACISTICO

I fi broadenomi sono la seconda forma più comune di patologia

mammaria e la forma più comune di masse nella mammella. Il picco

di incidenza è tra i 20 e i 25 anni e la maggior parte delle pazienti

è al di sotto dei 30 anni. I tumori a crescita più rapida sono riscon-

trabili durante l’adolescenza. I tumori sono due volte più comuni

nelle donne di colore (30% dei disturbi mammari riferiti), nelle pa-

zienti con intensa attività ormonale (adolescenti, donne gravide) e

nelle pazienti sottoposte a terapia a base di soli estrogeni.

I fi broadenomi si presentano generalmente come masse solitarie

compatte, indolori, mobili e gommose all’interno della mammella e

possono crescere rapidamente durante l’adolescenza o in condizioni

di alti livelli di estrogeni come in gravidanza o sotto terapia estro-

genica. Di solito questi tumori vengono individuati casualmente o

durante l’autopalpazione del seno e presentano un diametro di

2-3 cm, anche se possono raggiungere i 6-10 cm. Nel 15-20%

delle pazienti vengono rilevati dei fi broadenomi multipli, che risultano

bilaterali nel 10-20% dei casi.

Il sintomo principale è un ingrossamento graduale della massa

nel corso di mesi o anni e della durata di poco meno di 3 anni. Alla

palpazione, il tumore è duro, incapsulato, nodulare e liberamente

mobile. La mammografi a è generalmente evitata, ma, se necessaria,

può avere valore diagnostico. L’ecografi a della mammella permette

di distinguere tra masse solide e masse cistiche, anche se spesso

questa distinzione non è necessaria.

La struttura del tumore è di tipo lobulare. Questi tumori sono

caratterizzati da un nodulo centrifugo a carattere nettamente circo-

scritto, carnoso e omogeneo, generalmente a forma sferica od ovale.

In sezione, spirali fi brose di colore rosa o bianco-marroncino spor-

gono dalla superfi cie. Gli infarti emorragici sono comuni. Micro-

scopicamente, si osservano condotti ben sviluppati, circondati da

una proliferazione marcata di tessuto connettivo periduttale. Quando

questo tessuto è di colore pallido e lasso e l’epitelio dei condotti è

compresso, il tumore è denominato mixoma intracanalicolare.

Quando la quantità di tessuto fi broso e la crescita dei condotti sono

più equilibrate, il tumore è chiamato fi broadenoma.

All’inizio dell’adolescenza, in gravidanza o verso la menopausa,

quando aumenta la secrezione di estrogeni, la crescita dei fi broa-

denomi è rapida. Questi tumori sono denominati mixomi mammari

giganti. Una trasformazione maligna è estremamente rara e in

genere assume la forma di un fi brosarcoma che si verifi ca nel mi-

xoma gigante. Dopo la menopausa i fi broadenomi tendono a re-

gredire e a diventare ialinizzati, ma con la terapia sostitutiva a base

di estrogeni possono restare invariati o crescere. Il trattamento

consiste in una semplice escissione, che conferma la diagnosi ed

è suffi ciente per la terapia.

I papillomi intracistici benigni sono crescite epiteliali molli che si

verifi cano entro un condotto mammario o in un acino cistico. Essi

hanno una frequenza pari alla metà rispetto ai fi broadenomi e si

riscontrano nella zona centrale della mammella, in prossimità della

menopausa o durante la menopausa stessa. La durata dei sintomi

varia tra 6 mesi e 5 anni. I sintomi consistono in una secrezione

ematica dal capezzolo (nel 50% dei casi) o in una protuberanza

associata a una moderata dolorabilità. Raramente i tumori sono di

grosse dimensioni; vanno da 1 a diversi centimetri di diametro. Quelli

più grossi sono caratterizzati da un liquido ematico contenuto entro

la cisti o da alterazioni maligne che si verifi cano in circa il 10% dei

casi. Nel 14% dei casi si riscontrano papillomi multipli in una o in

entrambe le mammelle. Alla palpazione, il papilloma benigno è li-

beramente mobile, morbido e teso (cistico) o fl uttuante.

Macroscopicamente, i papillomi intracistici sono tumori incapsu-

lati in cui i ciuffi epiteliali si estendono entro la cavità e sono bagnati

da quantità variabili di liquido siero-ematico. Papillomi più piccoli si

possono riscontrare nei condotti vicini o nelle ramifi cazioni di un

gruppo di condotti a una certa distanza dal tumore principale. Micro-

scopicamente, la proliferazione epiteliale arborescente giace su un

peduncolo fi broso con una membrana basale integra. Il trattamento

è una semplice escissione, un esame dei condotti vicini per eventuali

papillomi secondari e un’escissione di questi, se indicata. Per i

tumori ricorrenti nelle pazienti più anziane, è consigliata una sem-

plice mastectomia.

Fibroadenoma

Tumore benigno escissodalla mammella

Sezione istologica di un fibroadenomae papilloma che mostra condottiben sviluppati circondatida tessuto connettivo periduttaleeccessivamente sviluppato

Tumore in sezione trasversale

Peduncolofibroso

Papillomanel tessutomammario

Secrezionedal capezzolo

Papilloma intracistico benigno

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Tavola 13.16 Mammella

ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA 299

MIXOMA GIGANTE, SARCOMA

Una varietà di fi broadenoma che cresce fi no a raggiungere dimen-

sioni enormi e che si verifi ca in prossimità della menopausa fu

descritto per la prima volta da Johannes Müller, un rinomato fi siologo

di inizio Ottocento, come “cistosarcoma fi lloide”. Si tratta di un tu-

more per lo più benigno che interessa quasi esclusivamente le

mammelle femminili e rappresenta meno dell’1% di tutti i tumori

mammari. Questo tumore si sviluppa per 6 o 7 anni, con una rapida

crescita verso la fi ne di questo periodo, quando i tumori possono

aumentare in modo signifi cativo nel giro di poche settimane. Il ca-

rattere benigno del tumore è indicato dall’assenza di un’invasione

della cute o dei linfonodi regionali. Questi tumori sono pesanti,

massicci, lobulati con aree cistiche, hanno un aspetto liscio

fortemente demarcato e sono di norma liberamente mobili. Il loro

peso medio è di oltre 3 kg. Nonostante le dimensioni, il tumore rimane

mobile e incapsulato e il capezzolo non è retratto. A livello macro-

scopico, il tumore presenta le caratteristiche di un grosso sarcoma

maligno, in sezione assume un aspetto fogliforme e dal punto di vista

istologico mostra spazi cistici epiteliali. Poiché questi tumori sono

perlopiù benigni, la loro denominazione può essere fuorviante, e

perciò si preferisce parlare di tumore fi lloide e mixoma gigante.

Queste proliferazioni originano da un mixoma intracanalicolare

preesistente. Un tessuto fi broso denso in forma di spirali è separato

tramite fessure da masse polipoidi, fi brose ed epiteliali che si pro-

iettano in cavità cistiche. Al microscopio, la componente predomi-

nante è un tessuto connettivo mixomatoso, con tratti densi e fi brosi

interposti. La maggioranza di questi tumori è benigna, ma alcuni

possono essere sede di una trasformazione sarcomatosa. Ciò avvie-

ne, nel 10% dei casi, in particolare quando il tumore è presente da

molti anni. La migliore terapia per questi tumori è la semplice ma-

stectomia con la rimozione della fascia del muscolo grande pettorale.

Benché spesso non metastatizzino, questi tumori benigni sono noti

per crescere in modo aggressivo e per essere localizzati e ricor-

renti. I tumori maligni metastatizzano per via ematogena come gli

altri sarcomi. L’aspetto istologico non sempre predice il comportamento

clinico di questi tumori. Circa il 30% dei pazienti con tumori fi lloidi

maligni va incontro a morte a causa di questa patologia. Per i tumori

fi lloidi non esistono cure diverse dall’intervento chirurgico, in quanto

la chemioterapia e la radioterapia non sono effi caci. Gli studi attuali

non forniscono prove a sostegno dell’uso della radioterapia adiuvante

nei pazienti con tumore escisso in modo adeguato.

Il sarcoma mammario è relativamente raro e rappresenta l’1-2%

dei tumori mammari. Sono state descritte molte varietà di sarcoma,

come il sarcoma osteogenico, il linfosarcoma, il miosarcoma, il li-

posarcoma e il mielosarcoma. In oltre la metà dei casi, tuttavia, i

sarcomi della ghiandola mammaria sono del tipo a cellule fusate e

originano dallo stroma della mammella o dallo stroma di fi broade-

nomi preesistenti. I tumori possono svilupparsi a qualsiasi età ma

il loro picco di incidenza è tra i 45 e i 55 anni e sono caratterizzati

da una rapida crescita, grosse dimensioni e una consistenza rigida.

Può verifi carsi un’ulcerazione della pelle con micosi. Le enormi

dimensioni e l’assenza di un coinvolgimento dei linfonodi ascellari

permettono di distinguere questi tumori dai carcinomi mammari. I

sintomi osservati più comunemente sono dolore e rapida crescita.

Un fi broadenoma preesistente può avere un carattere stazionario e

asintomatico per molti anni e poi improvvisamente diventare dolente,

dando origine a un sarcoma invasivo a rapida crescita.

Le alterazioni sarcomatose sono state riscontrate anche nei

mixomi benigni. Macroscopicamente, i tumori sono proliferazioni

solide e carnose, che possono invadere la fascia del muscolo grande

pettorale. Microscopicamente, essi sono costituiti da cellule fusate

pleomorfe, fi ttamente stipate. Il trattamento consiste in una ma-

stectomia radicale. I polmoni sono la più frequente sede di meta-

stasi, seguiti da ossa, cuore e fegato.

Sarcoma. Visione al microscopio che mostranumerose cellule fusate ammassate con nucleiipercromatici anomali

Tumore ulcerato attraverso la pelle

Sarcoma

Mixoma gigante

Mixoma gigante. Visione al microscopioche mostra un tessuto connettivo mixoideblando contenente cellule fusate uniformi

Presentazione clinica del tumorenella mammella destra

Cisticontenenteuna massamixoide

Sezione di tessuto mammariocontenente un tumore

C0065.indd 299C0065.indd 299 2/9/12 6:19:41 PM2/9/12 6:19:41 PM

Tavola 13.17 Apparato genitale

300 ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA

CANCRO DELLA MAMMELLA

Le donne statunitensi presentano i più alti tassi di incidenza del

cancro della mammella al mondo. A livello mondiale, il cancro della

mammella è il secondo tipo più comune di tumore dopo il cancro

del polmone (il 10,4% dell’incidenza complessiva relativa ai tumori,

in entrambi i sessi) e la quinta causa più comune di decesso per

cancro. Circa 1 / 3 di tutte le forme di carcinoma femminile ha origine

nella mammella, di cui oltre 3 / 4 sono carcinomi di tipo scirroso infi l-

trante o lobulare. Il carcinoma della mammella è responsabile

di circa il 18% dei decessi dovuti al cancro, totalizzando negli Stati

Uniti un numero di decessi annuo pari a quello degli incidenti

stradali. Il picco di incidenza è dopo i 40 anni: 85% dopo i 40

anni e 75% dopo i 50 anni. Circa il 5-10% dei carcinomi della

mammella ha una correlazione genetica o familiare.

I sintomi che portano la paziente a rivolgersi al medico sono la

scoperta di una massa in continuo aumento (tra il 55 e il 65% dei

casi), episodi occasionali e transitori di dolore o dolorabilità e cam-

biamenti della cute o del capezzolo. Circa il 60% dei tumori palpabili

è localizzato nel quadrante supero-esterno della mammella. Una

mammografi a anomala senza una massa palpabile è la seconda

causa più comune della diagnosi (35%). Un quarto di tutti i carcinomi

della mammella viene scoperto durante l’esame di routine.

I principali reperti clinici sono la presenza, rilavata alla palpazione,

di una singola massa in una mammella per il resto normale in una

paziente sopra i 35 anni di età; la durezza e l’irregolarità del tumore;

la chiara vicinanza del tumore alle dita dell’esaminatore, a causa

dell’atrofi a dell’adipe sovrastante; la scarsa mobilità della massa;

infi ne, l’appiattimento o la retrazione della pelle o del capezzolo dal

lato interessato durante la manipolazione delle braccia o delle

mammelle. La diagnosi defi nitiva può essere posta solo in seguito

a biopsia escissionale con o senza controllo radiografi co.

Macroscopicamente, questo carcinoma mammario si presenta

come una massa densa, bianco-giallastra, stellata e indurita, con

una superfi cie di taglio granulosa e concava, che al tatto assomiglia

a una pera non matura. A meno che non si sia secondariamente

infettato, il tumore in genere non presenta necrosi. Esso infi ltra

l’adipe circostante e lo stroma fi broso della mammella. Microsco-

picamente, le cellule tumorali sono di media grandezza, con grossi

nuclei ipercromatici. Le cellule crescono a piccoli nidi o in cordoni,

con un abbondante tessuto fibroso interposto. Nei carcinomi a

crescita più lenta, le cellule proliferano in masse sparse e tendono

a formare strutture acinose o tubulari, mentre in quelli a crescita

più rapida, le cellule sono sparse singolarmente, senza alcuna somi-

glianza istologica con la struttura normale.

A livello istologico, il tumore mammario più comune è il carcino-

ma duttale infi ltrante, responsabile di circa il 75% dei carcinomi

della mammella. Il sottotipo più comune è il carcinoma scirroso,

caratterizzato da noduli duri e ben defi niti costituiti da cordoni e nidi

di cellule duttali maligne. Sono state individuate anche le forme

midollare e mucinosa.

Un tempo la mastectomia radicale era il trattamento di elezione,

con un tasso di sopravvivenza a cinque anni del 70% in assenza di

coinvolgimento dei linfonodi ascellari. Negli ultimi decenni si è invece

intrapreso un approccio molto meno radicale, attuabile sulla base di

una serie di fattori: le dimensioni del tumore, la sua aggressività in-

trinseca stabilita tramite esame istologico della lesione iniziale, la

presenza di linfonodi positivi e lo stato recettoriale del tumore. Alla base

delle novità, introdotte nel corso degli ultimi due decenni in merito al

trattamento del cancro della mammella vi è principalmente un cambio

di opinione riguardo alla biologia del tumore. È diventato evidente che

molte donne con cancro della mammella al momento della diagnosi

iniziale presentano una malattia sistemica. La storia naturale del car-

cinoma mammario in fase di sviluppo, con un tempo di raddoppiamento

medio di 100 giorni, ha messo in evidenza che il tumore cresce per

anni prima della sua scoperta clinica. Poiché è probabile che prima

della diagnosi si verifi chi una disseminazione vascolare, il trattamento

del cancro della mammella si basa attualmente sulla terapia sia locale

sia sistemica, senza un affi damento completo alla chirurgia radicale.

Retrazione del capezzoloForma a crescita lenta. Proliferazionedelle cellule duttali con nuclei ingranditie struttura ghiandolare irregolare

Forma a crescita rapida. Proliferazionedelle cellule duttali con nuclei ipercromaticiin strati solidi e senza architettura ghiandolare

Carcinoma infiltrante. Osservatoin sezione trasversale della mammella

Massastellatae irregolare

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Tavola 13.18 Mammella

ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA 301

ADENOCARCINOMA INTRADUTTALE E LOBULARE

I due tipi principali di adenocarcinoma mammario sono i carcinomi

duttali (85%) e i carcinomi lobulari. Sulla base dell’esame istologico,

questi tumori sono talvolta classifi cati come adenocarcinomi papil-

lari, carcinomi con degenerazione mucoide e gelatinosa, o carcinomi

intraduttali che formano ostruzioni nei condotti preesistenti e anelli

circoscritti di cellule carcinomatose. Queste forme di adenocarci-

nomi circoscritti sporgono esternamente dalla parete toracica piutto-

sto che retrarsi all’interno, come nella forma infi ltrante. Un’aderenza

o un’ulcerazione cutanee e un coinvolgimento dei linfonodi ascellari

si verifi cano molto più tardi nel corso della malattia rispetto alla

forma scirrosa comune. I tumori avanzano lentamente fi no a rag-

giungere dimensioni enormi. Il tipo più comune di adenocarcinoma

è il carcinoma duttale, che origina nelle celle dei condotti. Il carci-

noma lobulare ha origine nei lobi o lobuli ed è bilaterale molto più

di frequente rispetto agli altri tipi di cancro della mammella. Il cancro

viene classifi cato in base ai tipi cellulari istologici predominanti;

tuttavia, vi sono diverse strutture cellulari che si possono trovare in

qualsiasi tumore.

Nel carcinoma intraduttale in situ, le anomalie cellulari sono li-

mitate all’epitelio duttale e il tumore non è penetrato nella mem-

brana basale del condotto. Questa condizione si verifi ca più comu-

nemente nelle donne durante il periodo di perimenopausa e di

postmenopausa. Poiché la malattia non produce una massa ben

defi nita, il carcinoma intraduttale in situ generalmente non viene

percepito alla palpazione. La diagnosi istologica di carcinoma in-

traduttale in situ include un gruppo eterogeneo di tumori con po-

tenziale di malignità variabile. Il carcinoma si sviluppa in circa il 35%

delle donne con questa patologia nel giro di 10 anni dalla diagnosi

iniziale e nel 5-10% delle donne, al momento della biopsia, si

manifesta contemporaneamente un carcinoma invasivo nella stessa

mammella.

A differenza del carcinoma intraduttale in situ, il carcinoma lo-

bulare in situ non deve essere trattato come un cancro o un pre-

cursore del cancro, ma piuttosto come marker di un aumento del

rischio di cancro della mammella. Questo carcinoma ha una ten-

denza molto maggiore a essere bilaterale e a presentarsi come

malattia multifocale. Tre pazienti su quattro con carcinoma lobulare

in situ sono in età premenopausale. Il periodo di latenza prima

dello sviluppo di un carcinoma invasivo è maggiore rispetto al

carcinoma intraduttale in situ; spesso, prima dello sviluppo di un

carcinoma infi ltrante passano 20 anni. Circa il 20% delle donne con

questa patologia alla fi ne sviluppa un carcinoma mammario invasivo.

Paradossalmente, questi carcinomi invasivi tardivi sono perlopiù

duttali, non lobulari.

Nei casi di carcinoma duttale infi ltrante, cellule epiteliali maligne

di varie forme e dimensioni infi ltrano il tessuto circostante. Il grado

di risposta fi brosa alle cellule epiteliali invasive determina la durezza

alla palpazione e la consistenza riscontrate durante la biopsia.

Spesso la reazione stromale può essere imponente. Circa il 10%

dei carcinomi duttali infi ltranti presenta un quadro istologico unifor-

me ed è classifi cato come carcinoma midollare, colloide, comedo-

nico, tubulare o papillare. In generale, le forme specializzate sono

più morbide, mobili e ben delineate, e hanno in genere dimensioni

più ridotte e una prognosi più ottimistica della varietà eterogenea

più comune. I carcinomi midollari sono molli, con infiltrazione

stromale estesa tramite linfociti e plasmacellule. I carcinomi colloide

e gelatinoso hanno anch’essi consistenza molle, con un’ampia

deposizione di mucina extracellulare.

I carcinomi lobulari infi ltranti sono rilevanti dal punto di vista

istologico per l’uniformità delle cellule neoplastiche piccole e rotonde.

La suddivisione istologica del carcinoma lobulare infi ltrante include

i carcinomi a piccole cellule, a cellule rotonde e a cellule ad anello

con castone. Spesso le cellule epiteliali maligne infi ltrano lo stroma

con una disposizione a fi la indiana. Questo tipo di cancro tende ad

avere un’origine multicentrica nella stessa mammella e a coinvolgere

entrambe le mammelle più spesso rispetto al carcinoma duttale infi l-

trante. Alla palpazione, queste masse appaiono spugnose e semi-

mobili e sono pendenti e pesanti quando la mammella viene spostata

verso l’alto. I carcinomi papillari possono contenere una cavità cistica

con sangue. I carcinomi intraduttali formano ostruzioni (comedoni)

che possono essere spremuti dai condotti. In sezione macroscopica,

i carcinomi gelatinosi contengono un caratteristico materiale mucoide

grigio e vischioso che fuoriesce dal tumore, il quale ha un aspetto

multiloculare con camere contenenti questa sostanza.

Adenocarcinoma papillare.Strati di cellule tumoralicon nuclei ipercromaticidi un carcinoma di grossedimensioni con proiezionipapillari (si veda la sezionetrasversale sopra riportata)

Carcinoma duttale(comedocarcinoma). Nididi cellule tumorali con focolaicentrali di necrosi (freccia)

Carcinoma gelatinoso. Gruppidi cellule maligne (frecce)racchiusi in un materialedenso e gelatinoso

Massa con presentazione clinicanella mammella sinistra

Massa visibilein sezionetrasversaledella mammella

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Tavola 13.19 Apparato genitale

302 ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA

CARCINOMA INFIAMMATORIO

Il carcinoma infi ammatorio o acuto, una volta chiamato mastite

carcinomatosa, si osserva più di frequente nelle pazienti con mam-

melle di grandi dimensioni o durante la gravidanza e l’allattamento,

da cui è derivata un’altra denominazione “cancro della lattazione”,

ormai obsoleta. I carcinomi infi ammatori costituiscono l’1-5% di tutti

i carcinomi mammari. Questa forma è riconosciuta clinicamente

come un carcinoma altamente maligno e di rapido sviluppo, con infi l-

trazione di cellule maligne nei vasi linfatici cutanei, che produce un

quadro clinico simile a quello di un’infezione cutanea. Non vi è un

tipo istologico specifi co. Nel sistema di stadiazione TNM per il cancro

della mammella, il carcinoma infi ammatorio ha una sua classifi ca-

zione, T4d, e si colloca allo stadio IIIB o superiore (i carcinomi

mammari allo stadio IIIB sono localmente avanzati; quelli allo stadio

IV sono carcinomi diffusi ad altri organi). A causa della rapida crescita

di questi tumori, l’aspetto fi sico della mammella è spesso diverso

da quello delle pazienti con altri tipi di carcinomi allo stadio III.

Il carcinoma mammario infi ammatorio tende a essere diagno-

sticato nelle donne più giovani rispetto ad altri tipi di carcinomi e si

verifi ca più spesso nelle donne di colore piuttosto che nelle donne

di razza bianca. Come altri tipi di carcinomi mammari, il carcinoma

infi ammatorio della mammella può verifi carsi anche negli uomini,

ma generalmente a un’età più avanzata rispetto alle donne. Vi sono

alcune prove a favore di un legame tra l’anamnesi familiare di

cancro della mammella e i carcinomi infi ammatori, ma sono neces-

sari ulteriori studi.

La comparsa di un’area di cute infi ammata in rapida espansione

si verifi ca generalmente nelle prime fasi della malattia e può pre-

cedere la scoperta di un tumore sottostante. La diffusione cutanea

è causata da un’estensione retrograda delle cellule tumorali at-

traverso le vie linfatiche della pelle. Nella maggioranza dei casi viene

riscontrata una forma primaria: la paziente ha notato un piccolo

nodulo nella mammella o nell’ascella solo alcune settimane prima

della comparsa dei segni infi ammatori. Un tumore in forma secon-

daria anticipa invece di mesi l’infi ammazione cutanea. Il tumore

potrebbe avere già raggiunto grandi dimensioni, oppure i cambia-

menti cutanei possono verifi carsi su una cicatrice di una precedente

mastectomia. I cambiamenti della pelle sono caratterizzati da una

colorazione purpurea o rossastra e da un edema che produce il

caratteristico effetto a buccia d’arancia. Possono inoltre essere

presenti piccoli noduli multipli. L’area dell’infiammazione può

estendersi fi no al collo e lungo il braccio, oppure alla mammella e

alla spalla opposte. L’invasione carcinomatosa della pelle è accom-

pagnata da un lieve rialzo termico, linfonodi ascellari ingrossati e

da un elevato numero di leucociti, che può raggiungere i 15.000.

L’adenopatia può estendersi all’inguine e la pelle sopra l’addome

può essere infi ammata, da cui il termine di carcinoma erisipeloide.

Generalmente i sintomi durano meno di 4 mesi. Il trattamento consi-

ste nella chemioterapia, la chirurgia mirata, la radioterapia e la te-

rapia ormonale, ma la sopravvivenza a 5 anni si colloca tra appena

il 25 e il 50% con frequenti recidive. Si tratta di percentuali più basse

rispetto ad altri tipi di carcinomi mammari. Il primo trattamento è in

genere la chemioterapia, seguita da un intervento chirurgico mirato.

Eventuali ulteriori trattamenti includono la chemioterapia aggiuntiva,

la terapia ormonale o la nuova modalità della terapia mirata (come

quella con trastuzumab) per le pazienti i cui tumori sono caratteriz-

zati da un’iperespressione dell’oncoproteina HER-2.

Le sezioni tissutali di una regione interessata da carcinoma

infi ammatorio mostrano un numero relativamente esiguo di segni

di infi ammazione acuta. La caratteristica predominante è il blocco

dei vasi linfatici e dei vasi sanguigni superfi ciali, con cellule tumorali

invasive. Questo stesso processo metastatico nella zona sottocuta-

nea è osservabile nei preparati ottenuti da carcinoma lenticolare, o

carcinoma a corazza, quando l’invasione procede più lentamente,

più diffusamente e senza edema.

Carcinoma infiammatorio

Carcinoma ricorrente

Invasione dei vasi linfatici dermici

Cuteinfiammata

Carcinoma in formazionelungo la ferita chirurgica

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Tavola 13.20 Mammella

ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA 303

PATOLOGIA MAMMARIA EREDITARIA

Circa il 5-10% dei carcinomi mammari ha una predisposizione

genetica o familiare. In queste famiglie, il cancro della mammella

tende a manifestarsi in giovane età e vi è un’elevata prevalenza di

malattia bilaterale. L’associazione tra carcinoma mammario eredi-

tario e carcinoma ovarico ereditario ha portato alla denominazione

sindrome del cancro ereditario della mammella e dell’ovaio

(HBOC).

La sindrome del cancro ereditario della mammella e dell’ovaio è

caratterizzata dalla comparsa del tumore mammario in giovane età

(spesso prima dei 50 anni). Nelle famiglie colpite da questo tumore

vi è un’anamnesi familiare positiva per carcinoma sia mammario

sia ovarico e una maggiore possibilità di carcinoma bilaterale con

un familiare affetto da carcinoma sia mammario sia ovarico. L’albero

genealogico mostra un modello di ereditarietà autosomico domi-

nante (trasmissione verticale da parte di madre o di padre). I membri

di queste famiglie presentano inoltre un aumento dell’incidenza di

tumori a carico di altri organi, come le tube di Falloppio o la prostata.

Le famiglie con casi di carcinoma mammario maschile e le famiglie

di origine ebraica-ashkenazita sono a maggior rischio di contrarre

questa sindrome (rischio 10 volte maggiore).

Sono stati individuati almeno due geni le cui mutazioni possono

causare questo modello di ereditarietà per il cancro della mammella

e/o dell’ovaio. Sembra che le mutazioni della germinale del gene

oncosoppressore BRCA1 sul cromosoma 17q siano responsabili,

per una buona parte, di questi carcinomi ereditari. Tuttavia, non in

tutte le famiglie in cui si sospetta un cancro ereditario della mam-

mella o dell’ovaio si sono riscontrate mutazioni di BRCA1 o di

BRCA2 . Una singola mutazione in uno di questi geni non sembra

essere suffi ciente per lo sviluppo del tumore. Si ritiene che per lo

sviluppo del tumore si debbano verifi care mutazioni di entrambi gli

alleli, dovute a esposizioni ambientali chimiche, fi siche o biologiche,

oppure errori casuali nella replicazione cellulare. A oggi, sono state

identifi cate centinaia di mutazioni peculiari nei geni BRCA1 e BRCA2 ,

dovute per lo più a mutazioni sporadiche proprie di un certo individuo

o di una certa famiglia. Specifi che mutazioni ricorrenti sono state

individuate nelle persone di origine ebraica-ashkenazita e in quelle

di origine olandese, islandese e svedese. Le mutazioni della famiglia

dei geni BRCA determinano un rischio di contrarre un cancro della

mammella nel corso della vita che si avvicina all’85%, anche se il

rischio di cancro dell’ovaio varia in base alla sede della mutazione.

Il rischio medio stimato di contrarre il cancro dell’ovaio nel corso

della vita è di circa il 40-50%.

Il gene BRCA2 risiede sul cromosoma 13 e la sequenza del suo

DNA è stata individuata nel 1995. Una donna con una mutazione

del gene BRCA2 presenta un rischio di contrarre un cancro della

mammella nel corso della vita pari all’85% e di contrarre un cancro

dell’ovaio pari al 15-20%. Questa mutazione è associata al carci-

noma mammario maschile, con un 5-10% di rischio per gli uomini

con questa mutazione. Il gene BRCA3 è stato di recente mappato

sul cromosoma 8, ma maggiori dettagli su eventuali sindromi clini-

che associate non sono ancora stati defi niti.

Attualmente, le raccomandazioni per la gestione clinica delle

donne con mutazioni dei geni BRCA variano tra test di screening

precoci e a intervalli aumentati e misure di profi lassi quali chemio-

prevenzione con tamoxifene, mastectomia e ooforectomia. Un

gruppo di esperti ha raccomandato l’autoesame del seno a partire

dai 20 anni, esami clinici una o due volte all’anno a partire dai 25-

35 anni e mammografi e annuali, sempre a partire dai 25-35 anni,

senza dare indicazioni a favore o contro la chirurgia preventiva in

queste pazienti. Nonostante l’esistenza di prove solide a favore di

una riduzione signifi cativa apportata dal tamoxifene del rischio di

contrarre il cancro della mammella nelle donne ad alto rischio, non

vi sono dati defi nitivi sull’impiego del tamoxifene in una popolazione

di pazienti con mutazione dei geni BRCA . Ad oggi, non esistono

tecniche di screening effi caci per l’individuazione precoce del cancro

dell’ovaio. Per questa ragione, alcune donne ad alto rischio scelgono

di sottoporsi a ooforectomia.

I quadrati rappresentano gli uomini e i cerchi le donne, le linee diagonaliindicano una riduzione degli individui affetti, la freccia indica il probando

GenerazioneI

II

III

IV

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Tavola 13.21 Apparato genitale

304 ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA

MALATTIA DI PAGET DEL CAPEZZOLO

La malattia di Paget della mammella è rara e rappresenta l’1-2%

dei tumori mammari. Si tratta di un processo maligno che interessa

il capezzolo e l’areola e raramente anche la cute della vulva. Le

lesioni hanno un aspetto simile all’eczema o alla dermatite del

capezzolo. Il quadro clinico è prodotto da un carcinoma duttale infi l-

trante che invade l’epidermide. La malattia di Paget ha una prognosi

eccellente.

Il carcinoma di Paget è caratterizzato da un’invasione del capez-

zolo o dell’areola mammaria e degli sbocchi dei condotti più grandi

da parte di grosse cellule maligne, che assomigliano a quelle os-

servabili nel carcinoma a cellule transizionali delle membrane

mucose in altre parti del corpo. Si ritiene che questo carcinoma

abbia origine a livello della giunzione dermo-epidermica grazie a

cellule multipotenti in grado di differenziarsi in cellule ghiandolari o

squamose. L’età media al momento della diagnosi è di 62 anni per

le donne e 69 per gli uomini. Le caratteristiche cliniche della malattia

sono la durata dei sintomi, che è di circa 3 anni, e i sintomi stessi,

riferibili al capezzolo. La malattia di Paget è quasi sempre associata

a un carcinoma infi ltrante o intraduttale nelle zone più profonde

della mammella (95% dei casi). Nella maggior parte dei casi, il

coinvolgimento del capezzolo precede la comparsa di un tumore

visibile della mammella, ma in alcuni casi può essere notato innan-

zitutto un rilievo nel seno. La malattia è bilaterale in meno del 5%

dei casi. La mammografi a è generalmente utilizzata per individuare

lesioni più profonde e lesioni nella mammella controlaterale. Inoltre,

uno striscio ottenuto ammorbidendo la crosta con una soluzione

salina e raschiando delicatamente la superfi cie mostra spesso le

tipiche cellule della malattia di Paget.

Il capezzolo interessato ha un aspetto arrossato e granulomatoso

oppure incrostato ed eczematoso. Dopo un intervallo di qualche

mese, in entrambi i casi nell’area interessata si verifi ca un’ulcera-

zione, con emissione di siero o sangue. Alla manipolazione si può

ottenere una piccola quantità di sangue. Negli stadi iniziali, la zona

immediatamente circostante il capezzolo è indurita, mentre negli

stadi più avanzati, sia la zona centrale sia quella periferica possono

essere caratterizzate dalla presenza di una massa dura.

Macroscopicamente, oltre ai cambiamenti del capezzolo, si ve-

rifi ca una dilatazione dei condotti più grandi, che sono inoltre colmi

di sangue o di una secrezione densa. Microscopicamente, nell’epi-

dermide del capezzolo si riscontrano grandi cellule con nuclei ve-

scicolari o molto colorabili e con citoplasma pallido. Le fi gure mito-

tiche sono frequenti. Gli infi ltrati dermici di grosse cellule neopla-

stiche (cellule di Paget) sono caratteristiche tipiche di questa con-

dizione. Queste cellule hanno un abbondante citoplasma chiaro con

nucleoli prominenti, irregolari e mucoidi. Più spesso, queste cellule

originano da un carcinoma duttale infi ltrante. Nei casi in cui si siano

infi ltrate oltre la membrana basale, le cellule nel capezzolo invadono

sia i condotti più grandi sia il tessuto mammario.

La terapia si focalizza sul trattamento del tumore maligno sotto-

stante e il più delle volte consiste in un intervento chirurgico. Quando

la lesione è circoscritta al capezzolo, è possibile preservare la

mammella. La terapia ormonale aggiuntiva o la chemioterapia è

spesso raccomandata sulla base del tipo cellulare e dello stadio. La

radioterapia è una terapia adiuvante comunemente utilizzata in

seguito alla chirurgia mammaria conservativa.

La diagnosi differenziale da lesioni benigne del capezzolo, come

cheratosi e ulcere, dipende nella maggior parte dei casi dalla sco-

perta, alla palpazione, di una massa nel tessuto sottostante. Sebbene

la biopsia del capezzolo dovrebbe essere evitata qualora sia possibi-

le, in alcuni casi lo studio dei tessuti diventa obbligatorio, per

esempio quando la lesione cutanea non guarisce entro alcuni giorni

con misure igieniche o con l’applicazione di vaselina. Anche se la

ghiandola non sembra essere coinvolta, è importante che i prelievi

bioptici ottenuti da queste pazienti contengano non solo pelle, ma

anche una porzione rappresentativa dei condotti mammari.

Malattia di Paget: manifestazione di tipo eczematoso

Malattia di Paget: manifestazionedi tipo ulcerante

Cellule di Paget nell’epidermide (frecce) Invasione duttale

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Tavola 13.22 Mammella

ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA 305

TUMORI MALIGNI DELLA MAMMELLA MASCHILE

Il carcinoma della mammella maschile è una malattia rara, in quanto

rappresenta solo lo 0,1% di tutti i tumori maligni, ed è all’incirca

100 volte meno comune del carcinoma mammario femminile, poi-

ché rappresenta circa l’1% di tutti i tumori della mammella. Negli

Stati Uniti, vi sono meno di 2.000 casi all’anno di carcinoma della

mammella maschile e questo tumore è responsabile di meno di

500 morti. L’età media per la diagnosi è tra i 60 e i 70 anni, anche

se questa patologia può colpire gli uomini di qualunque età. La

durata media dei sintomi prima della diagnosi è di circa 2 anni. Un

periodo così lungo è probabilmente conseguenza dello scarso inte-

resse riguardo a questo organo rudimentale da parte del maschio

adulto e da parte del medico esaminante. Si ritiene che tra i fattori

di rischio predisponenti vi sia un’esposizione alle radiazioni, la

somministrazione di estrogeni e la presenza di patologie associate

all’iperestrogenismo, come la cirrosi o la sindrome di Klinefelter.

È stato riscontrato un aumento del rischio di carcinoma mammario

in determinate famiglie, con un aumento dell’incidenza osservabile

negli uomini con un alto numero di consanguinei di sesso femminile

con cancro della mammella e in quelli in cui è presente una muta-

zione di BRCA2 sul cromosoma 13q. In presenza di una mutazione

di questo gene, il rischio di sviluppare un carcinoma della mammella

maschile nel corso della vita si colloca tra il 5 e il 10%.

A causa delle piccole quantità di stroma adiposo e di tessuto

ghiandolare presenti nelle mammelle maschili, i sintomi della

comparsa del tumore sono quasi sempre un’ulcerazione della pelle

o il coinvolgimento del capezzolo. Dolore e trauma sono spesso i

motivi che conducono all’esame medico. Il tumore è duro, irregolare

e saldamente attaccato alle strutture sovrastanti e sottostanti. È

frequente la presenza di ulcerazione e in genere i linfonodi ascellari

sono ingrossati.

Una diagnosi differenziale dalla ginecomastia può essere formu-

lata con discreta certezza sulla base dell’età del paziente. I tumori

nodulari negli uomini di mezza età devono essere escissi ed esa-

minati istologicamente. Anche se un fi broadenoma, un papilloma

intracistico, un lipoma o una cisti epidermoide benigna, al contrario

del carcinoma, in genere lasciano la pelle sopra il nodulo libera-

mente mobile e sebbene questi noduli siano anche più molli rispetto

al carcinoma, non è raccomandabile escludere una neoplasia mali-

gna esclusivamente sulla base di questi segni clinici.

In sezione trasversale, la neoplasia è dura, bianca e infi ltrante.

Una percentuale più alta di queste neoplasie è rappresentata da

adenocarcinomi di basso grado, che si manifestano probabilmente

per anomalie di sviluppo delle ghiandole sudoripare o delle strutture

epiteliali mammarie. Dal punto di vista patologico, molti carcinomi

della mammella maschile assomigliano alla forma infi ltrante riscon-

trabile nella mammella femminile, di cui il carcinoma duttale infi l-

trante è il tipo di tumore più comune. È stato descritto anche il

carcinoma lobulare. Il carcinoma infi ammatorio e la malattia di Paget

del capezzolo sono stati osservati anche nell’uomo, mentre non è

stato riscontrato il carcinoma lobulare in situ. Il coinvolgimento

linfonodale e il carattere ematogeno della diffusione sono simili a

quelli osservati nel carcinoma mammario femminile. Il sistema di

stadiazione TNM per il cancro della mammella maschile è identico

a quello per il cancro della mammella femminile.

La sopravvivenza complessiva è simile a quella delle donne con

carcinomi mammari di stadi simili. L’impressione che il carcinoma

della mammella maschile abbia una prognosi peggiore potrebbe

derivare dalla tendenza di questi tumori a essere diagnosticati a uno

stadio più avanzato. Fattori prognostici come le dimensioni della

lesione e la presenza o l’assenza di coinvolgimento linfonodale sono

fortemente correlati alla prognosi. La tesi secondo cui la ploidia e

una serie di cellule nella fase S abbiano un’infl uenza sulla soprav-

vivenza necessita di ulteriori indagini. Sono attualmente in corso di

esame anche lo stato dei recettori degli estrogeni e dei recettori del

progesterone, e l’amplifi cazione del gene HER2/neu.

Anche se rari, sono stati descritti vari tipi di sarcomi della mam-

mella maschile. Nella maggioranza dei casi si tratta di fi brosarcomi

a cellule fusate o linfosarcomi, tumori altamente maligni a rapida

crescita con attacco precoce alla cute sovrastante. Viene eseguita

una mastectomia semplice. Se l’esame istologico rivela un linfosar-

coma o un liposarcoma, deve essere eseguita una radioterapia

postoperatoria.

Sarcoma

Carcinoma scirroso ulcerante

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