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Pro Loco Serino (AV) @ NEWSLETTER @ Pro Loco Serino (AV) Anno 2 – Numero 15 – 28 Maggio 2007 – www.prolocoserino.it La frase del mese: «Io speriamo che me la cavo!» Senza parole… All’interno AMBIENTE Il “malaffare” dei rifiuti in Campania e l’inadeguatezza della “casta” politica di Giovanni De Feo ATTUALITÀ Stop ai bambini soldato di Anna Rosaria D’Agostino POESIE I profumi dei solinghi orti di Alessandro Gioia RACCONTI Il primo amore di Piera Vincenti Pulcinella’s way_3 di Alessandro Gioia SERVIZIO CIVILE Notizie dal Servizio Civile di Sara Ingino STORIA La Serino dei Marra di Ottaviano De Biase dalla SVIZZERA La Madonna delle Galline Pagani (SA). Dal 13 al 18 Aprile festeggiamenti in onore della Madonna del Carmelo, detta delle Galline di Liberata Ginolfi VARIE ed EVENTUALI Il nostro maggio degli eventi di Maria Marra

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Pro Loco Serino (AV) @ NEWSLETTER @ Pro Loco

Serino (AV)

Anno 2 – Numero 15 – 28 Maggio 2007 – www.prolocoserino.it

La frase del mese: «Io speriamo che me la cavo!»

Senza parole… All’interno

AMBIENTE Il “malaffare” dei rifiuti in Campania e l’inadeguatezza della “casta” politica di Giovanni De Feo

ATTUALITÀ Stop ai bambini soldato di Anna Rosaria D’Agostino

POESIE I profumi dei solinghi orti di Alessandro Gioia

RACCONTI Il primo amore di Piera Vincenti

Pulcinella’s way_3 di Alessandro Gioia

SERVIZIO CIVILE Notizie dal Servizio Civile di Sara Ingino

STORIA La Serino dei Marra di Ottaviano De Biase

dalla SVIZZERA La Madonna delle Galline Pagani (SA). Dal 13 al 18 Aprile festeggiamenti in onore della Madonna del Carmelo, detta delle Galline di Liberata Ginolfi

VARIE ed EVENTUALI Il nostro maggio degli eventi di Maria Marra

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@ A M B I E N T E @ Il “malaffare” dei rifiuti in Campania e l’inadeguatezza della “casta” politica di Giovanni De Feo* ([email protected])

(copertina della Newsletter numero 9 del 22 ottobre 2006)

L’emergenza, stando alla definizione data dal vocabolario della lingua italiana, è «una circostanza o eventualità imprevista, specialmente pericolosa». L’emergenza, per estensione, si può considerare «una situazione pubblica pericolosa, che richiede provvedimenti eccezionali». Ed è probabilmente con riferimento a quest’ultima accezione che il legislatore nazionale, nel 1994, dichiarò lo stato di emergenza della gestione dei rifiuti nella Regione Campania, designando il prefetto di Napoli quale Commissario straordinario per togliere dalle mani della camorra la gestione delle discariche. Sono 13 anni, quindi, che nella nostra regione è dichiarato lo stato di emergenza. Capite bene, e c’e poco da starci a ragionare, che il termine “emergenza” non è più appropriato a definire l’assurda e paradossale situazione che ci vede tristemente coinvolti da più di un decennio. Partiamo dalle cose certe. La situazione è sicuramente pericolosa ed ha richiesto provvedimenti eccezionali.

Sicuramente eccezionali sono stati gli investimenti (leggi sprechi) di denaro pubblico: si parla di una cifra complessiva compresa tra 1 e 2 miliardi di euro che sarebbero stati investiti per il sostegno alla raccolta differenziata, per i lavoratori socialmente utili, per l’avvio degli impianti, per le consulenze, i collaudi e le gare, etc. I risultati: sono sotto i vostri occhi. Se è vero che un albero si giudica dai frutti che dà, ogni ulteriore commento è assolutamente superfluo. Un albero che da tali frutti andrebbe sicuramente estirpato alla radice. Abbiamo volutamente usato il condizionale perché le cose bisogna guardarle sempre da diverse angolature. Se la questione dei rifiuti in Campania, infatti, la guardiamo con gli occhi di chi ha gestito il trasporto (fuori nazione e fuori regione) e lo stoccaggio, di chi ha ricoperto incarichi al commissariato, di chi ha redatto consulenze, e via dicendo (o soldi spendendo), si è trattato di un grande affare: il “malaffare” dei rifiuti in Campania.

E in tutto questo lo Stato che fa? Ci verrebbe da rispondere con le parole del compianto Fabrizio De André: «si costerna, s’indigna, s’impegna poi getta la spugna con gran dignità…». Nonostante la non veneranda età di chi scrive, credo di aver visto abbastanza per poter affermare con buoni margini di certezza che la differenza la fanno sempre le persone e, anche

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in questa brutta vicenda, ci sono tante persone oneste che svolgendo il loro dovere ci hanno reso e ci stanno rendendo la situazione meno grave di quella che poteva essere. A loro va il nostro grazie. Agli altri, invece, e sono tanti, va la nostra più profonda indignazione.

Una domanda ci assilla tutti quotidianamente: «di chi è la colpa?». Con troppa facilità si tende a far ricadere tutte le colpe sulle organizzazioni malavitose che sicuramente traggono linfa vitale da una tale situazione di malgoverno. Noi la colpa principale l’attribuiamo alla politica, a quella pletora di “intoccabili” per richiamare l’aggettivo usato da Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella nel loro best seller “La casta”.

La Società, in senso ampio, è un’«unione tra esseri viventi che hanno interessi generali comuni». La Società, quella con la esse maiuscola, contiene al suo interno tante altre società, nel senso di associazioni/gruppi di persone aventi determinati fini comuni e/o che si trovano in situazioni comuni. Siamo arrivati al punto nodale. Una società molto ambita, per il grande potere e per i grandi privilegi e le immunità di cui gode, è, appunto, la “casta” della politica. Da sempre molti si chiedono: «fare politica è una professione?». E ancora: «qual è il compito del politico?». Partiamo dal rispondere per prima proprio a quest’ultima domanda.

Il compito precipuo del politico è quello di gestire (prendersi cura) la cosa pubblica per conto ed in rappresentanza degli altri cittadini che hanno visto in lui delle non comuni qualità morali, organizzative, intellettuali che lo facevano ritenere un soggetto particolarmente indicato a “sacrificarsi” per il bene comune. Così dovrebbe essere e così dobbiamo pretendere che sia.

Alla prima domanda, invece, proviamo a dare una duplice risposta. Supponiamo che fare politica sia una professione. In tal senso, chi la esercita dovrebbe avere un’abilitazione, dovrebbe aver studiato allo scopo, aver seguito dei corsi, aver svolto un tirocinio, superato un esame. Alcuni benpensanti sostengono che l’esame si supera con le elezioni e, quindi, sottoponendosi al giudizio del cittadino/elettore. Una volta era così. Con l’attuale legge elettorale, infatti, siamo stati defraudati anche di questo diritto/dovere: è direttamente la “casta” che decide al suo interno. Noi possiamo mettere solo una crocetta, venendo considerati, quindi, una sorta di analfabeti non in grado di “saper leggere” le qualità (sigh!) dei candidati. Se fare politica è una professione, bisogna dare conto al committente di come si svolge il proprio incarico. In tutte le professioni si viene pagati solo se si svolge correttamente il proprio lavoro, altrimenti si sta a casa. In politica questo non accade e allora dovremmo concludere che fare politica non può essere considerata un’attività professionale. E cos’è allora? Un esercizio di potere per difendere ed accrescere i propri interessi e quelli dei propri protetti/raccomandati/elettori.

E gli altri che fanno? Chi sono gli altri gruppi che, insieme alla “casta” degli intoccabili, completano la Società? I cittadini. Gli amministrati. I succubi delle scelte della “casta”. Non siamo tutti uguali, ovviamente. Ci sono i cittadini che a stenti arrivano alla fine del mese, i cittadini che si possono permettere la vacanza al mare, i cittadini che possono prendere l’aereo, i cittadini che hanno un’imbarcazione e i cittadini che hanno un aereo privato.

Il Lettore si starà interrogando su quale possa essere il nesso tra questi ragionamenti sul senso della politica e sui rifiuti riarsi per le strade della Campania.

Le immagini nauseabonde che stanno facendo il giro del mondo in questi giorni (sono le stesse di dieci anni fa) sono la prova certa della “inadeguatezza” della nostra classe/casta politica. Inadeguatezza a gestire (prendersi cura, ripetere aiuta dicevano gli antichi) la cosa pubblica, inadeguatezza a rappresentare le istanze dei cittadini, inadeguatezza a rispettare l’ambiente e a preservare le risorse per il futuro, e via dicendo ad libitum.

E i cittadini? Possiamo ritenerci solo delle vittime in questa faccenda? Sicuramente no. Abbiamo le nostre responsabilità. Siamo innanzitutto responsabili di aver lasciato che si formasse questa “casta” di intoccabili. Siamo responsabili di aver goduto dei privilegi che ci hanno concesso i nostri referenti politici e di aver alimentato un clientelismo amorale che ha paralizzato ogni tentativo velleitario di ripristinare il giusto senso delle cose. Siamo responsabili di non aver svolto fino in fondo il nostro compito, delegandolo ad altri o, peggio ancora, facendo finta che la gestione della cosa pubblica non ci riguardasse.

Con riferimento al tema in discussione, iniziamo a produrre meno materiali di risulta (quelli che una società opulenta si ostina a chiamare “rifiuti”), consumando di meno e meglio. Separiamo in casa i nostri prodotti di risulta (materiali a fine di un loro ciclo di vita) in funzione della loro composizione e della loro struttura. Poniamoci sempre le tre domande:

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1. È proprio vero che questo oggetto non mi serve più? 2. Posso usarlo per uno scopo diverso rispetto a quello per il quale l’ho

acquistato? 3. Può essere utile a qualcun altro?

Così facendo ridurremo in maniera significativa la quantità di materiali da avviare al

recupero (di materia e di energia) ed allo smaltimento. Successivamente affidiamo gli oggetti che abbiamo provveduto a separare con cura al

gestore del servizio di raccolta, in modo tale da rispettare il decoro e l’igiene delle nostre strade. Informiamoci sull’esito del riciclo e denunciamo eventuali situazioni difformi. Svolgiamo il nostro ruolo di cittadini, insomma!

Non basta dire che abbiamo perso la fiducia in chi ci rappresenta. Un caro saluto dal vostro libero pensatore nonsò-cratico.

* Professore aggregato di Ingegneria sanitaria-ambientale, attualmente insegna Fenomeni di inquinamento e controllo della qualità ambientale presso la Facoltà di Ingegneria dell’Università degli Studi di Salerno. Ama prendersi in giro definendosi: Ingegnere sociologico libero pensatore nonsò-cratico esperto di “munnezza”. OBIETTORE DI COSCIENZA.

@ A T T U A L I T À @ Stop ai bambini soldato di Anna Rosaria D’Agostino* ([email protected])

Cari amici ben ritrovati,

anche quest’anno la Pro Loco di Serino è stata impegnata nella Giornata Mondiale di meditazione e preghiera dedicata al disarmo dei bambini soldato.

Chi di Voi ha partecipato lo scorso anno, ricorderà dei diversi momenti in cui era articolata la manifestazione.

Anche quest’anno (lo scorso 18 Maggio), per la seconda giornata mondiale, la Pro Loco ha organizzato un primo momento di preghiera, tenutosi nella Chiesa di Sala di Serino, poi una fiaccolata che, come quella dello scorso anno, è partita da Sala di Serino fino alla Biblioteca comunale ed un terzo momento di riflessione condivisa presso la Biblioteca comunale.

Lo scorso anno, abbiamo visto tutti insieme un filmato raccapricciante sui bambini soldato dell’Uganda; quest’anno invece abbiamo ascoltato la testimonianza di suor Fernanda, una missionaria italiana che da 25 anni opera in Uganda.

Per noi è andata ad intervistarla a Treviso, dove si trovava per controlli medici, Antonella Colangelo, colei che dallo scorso anno ci ha coinvolto con il suo progetto denominato “Mariarte”.

A suor Fernanda sono state rivolte delle domande, scritte per l’occasione dal nostro responsabile della comunicazione.

Per rendere partecipi anche coloro che non sono intervenuti il 18 Maggio, ho pensato di riportarvi le domande con le relative risposte, perché credo che invitino un po’ tutti a riflettere.

Rispetto allo scorso anno, si intravedono dei segnali, seppur lievi, di miglioramento delle condizioni di vita dei bambini del Nord dell’Uganda? Si, direi proprio di si, infatti a Luglio dell’anno scorso, per la prima volta, si sono seduti intorno al tavolo delle trattative i ribelli ugandesi ed il governo ugandese. Tutto questo grazie all’impegno indefesso dell’arcivescovo di Guru che per ben 14 volte è andato nel bosco presso i ribelli per convincerli a sedersi intorno ad un

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tavolo di trattative. Dopo aver visto e spiegato loro le sofferenze di circa 2 milioni di persone che vivono in questi campi dei rifugiati che sono campi di concentramento. Quali progetti state portando avanti a favore di questi bambini? Tanti sono i progetti che portiamo avanti, io lavoro con un gruppo di laici cattolici e cerchiamo di attaccare il nostro grande nemico che in questo momento è l’Aids. Abbiamo 4 reparti: uno per i malati, uno per i bambini orfani, uno è per la prevenzione contro l’Aids e l’altro per i malati affinché vivano positivamente con la malattia. Per i bambini, in particolare, ci impegniamo per la loro educazione, non solo scolastica ma spirituale, umana e cristiana. Li aiutiamo a sostenere i diversi problemi in cui loro si imbattono per esempio i bambini capo famiglia, i bambini ex guerriglieri che ritornano traumatizzati, senza identità e con tanti problemi. È tanta la sofferenza ma tanta la speranza perchè questo fa sì che si animi nuovo fuoco per servire loro. Cosa direbbe un bambino del Nord dell’Uganda ad un bambino di Serino? Un bambino del Nord dell’Uganda direbbe ad un bambino di Serino :«Sei più fortunato di me sotto un certo aspetto». Tante volte i bambini italiani non si rendono conto di tutti i doni che il Signore ha dato loro. I bambini del Nord Uganda si accontentano di poco e sono sempre contenti, felici di vivere, non si vede mai un bambino con il broncio. Forse tutti dobbiamo godere di più dei doni che il Signore ci ha donato. Cosa può fare un bambino di Serino per un bambino dell’Uganda? Prima di tutto dovrebbe ringraziare il Signore perché almeno economicamente ha più doni di quello dell’Uganda, poi dovrebbe ricordarsi che c’è chi vive con la pancia piena e non riesce magari a studiare perché ha mangiato troppo e chi invece non ha neppure il necessario. Come si può essere sereni sapendo che in altre parti del mondo ci sono drammi come quello dei bambini soldato? Credo che la serenità sia un dono del Signore che non viene gratuitamente. Il dramma dei bambini soldato, ci deve coinvolgere un po’ tutti per far sentire l’ingiustizia dei bambini privati della loro adolescenza, della loro fanciullezza, con un fucile in mano e con tante privazioni ma allo stesso tempo, quando noi celebriamo il Natale, vediamo che questo piccolo bambino, privato di tante cose, è stato quello che ha portato la salvezza nel mondo. I Bambini soldato sono un po’ il nostro peccato, sono portati là dagli adulti, non hanno scelto loro, come non ha scelto quel piccolo bambino di trovarsi in quella grotta e poi inchiodato su quel monte con solo due ladroni al suo fianco. Eppure è stato attraverso questa sofferenza che noi abbiamo ottenuto la salvezza. Penso che le persone sofferenti, quindi anche i bambini del Nord Uganda, sono coloro che otterranno la salvezza anche per noi. Perché la nostra anima a volte trova ospitalità nel corpo sofferente di un bambino del Nord Uganda e altre volte, invece, preferisce la dimora più comoda e sicura di un capriccioso bambino che trascorre stancamente le sue ore davanti alla Play Station? Perché c’è il nostro egoismo, perché il nostro peccato è un po’ il peccato di tutta l’umanità. Quando riconosciamo che una cosa non è giusta, abbiamo il dovere di correggerla e di migliorarla. Quante volte avrebbe voluto mollare tutto e scappare dall’Uganda? Mai, non mi è mai venuto in mente e finché il Signore mi darà vita, resterò lì a dare un piccolo segno di speranza a questi nostri fratelli. Come ha compreso la sua vocazione missionaria? La mia vocazione missionaria è arrivata dopo un periodo di discernimento, lavoravo in una fabbrica, ero impegnata come sindacalista ma mi sentivo un po’ troppo ristretta nel sognare una famiglia mia; nello stare con tanti, mi sentivo a casa mia. A me il Signore ha affidato questo piano, mi sento pienamente realizzata dove il Signore mi ha posto in questo momento. È più facile credere in Dio, lì dalle sue parti?

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Credere in Dio e la fede sono doni. Però la fede viene, tante volte, quando ci scontriamo con i nostri limiti, quando vediamo che, umanamente parlando, non ce la facciamo. La fede non viene da noi, però se trova un terreno disponibile arriva e ci sostiene nel cammino che il Signore ci prepara ogni giorno. Ha un messaggio da rivolgere alle persone che vivono in posti comodi e sicuri come Serino? Il messaggio che desidererei dare a tutti è quello di vivere come Gesù ci ha insegnato. Gesù ci ha insegnato il Padre Nostro, è una preghiera che diciamo tante volte e che forse non sempre riusciamo a vivere in pienezza. Quando diciamo Padre, vuol dire che siamo tutti fratelli e sorelle; quindi non ci sono barriere, colori, confini. Questo Padre è colui che non solo ci ha dato la vita ma ci sostiene, ci vive accanto, ci incoraggia e i nostri fratelli ci tengono la mano. Alla fine di tutto troveremo lì un Padre ad aprirci le porte, ad accoglierci e tutte le bandiere, le complicazioni che noi abbiamo creato intorno a noi, svaniranno. Il Signore ci deve aiutare a capire di più la fratellanza, il Padre Nostro, affinché insieme possiamo gioire perché abbiamo un unico Padre.

Gli occhi dei bambini dell’Africa giudicheranno il MONDO” Giovanni Paolo II (18/5/1920-2/4/2005)

Giudicate se questo è un bambino… Seconda Giornata Mondiale di Meditazione-Preghiera dedicata al disarmo dei

bambini soldato

Venerdì 18 Maggio, 2007 * Laureanda in Lettere Moderne presso l’Università degli Studi di Salerno. Ha un particolare interesse per il giornalismo; ha collaborato con testate giornalistiche locali.

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@ P O E S I E @ I profumi dei solinghi orti di Alessandro Gioia* ([email protected])

Dal verde color prato,

dove assorti gli orti

solinghi tacciono,

si diffonde un profumo

di pietanze variegate,

concepite ad arte.

Allegria,

gioia ovunque,

sapore e amore,

entrambi uniti.

La neve, del suolo amante, cade.

Gli esseri umani nel sapore

si rifugiano,

rincorrendosi come

rosei pargoli.

Fuori, l’abbondanza

dei fiocchi, creatrice di un candido manto,

un piacevole silenzio genera.

Un melodioso vento,

musica bei versi!

Dolci, lievi, suono celestiale!

* Nato a Mainz (Germania) nel 1974. Laureato in Lingue e Letterature straniere e in Lettere, attualmente si occupa di traduzioni e di interpretariato.

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@ R A C C O N T I @

Il primo amore di Piera Vincenti* ([email protected]) Il cielo stellato, gli alberi ricchi di succosa frutta di stagione, l’immensa distesa di verde rallegrata da coloratissimi fiori costituivano la cornice ideale per la festa di fidanzamento di due giovani dell’alta società. A bordo della piscina, uomini e donne vestiti in modo elegante sorseggiavano cocktail dai nomi esotici, gustavano strani stuzzichini, conversavano amabilmente tra loro. I sorrisi e i complimenti che si scambiavano, però, erano falsi come la neve d’estate. Un po’ a disagio tra tutti quegli sconosciuti, Alessandra stringeva la mano ai suoi vecchi amici dimenticati e si faceva narrare storie della sua infanzia, dell’adolescenza, dei giorni immediatamente precedenti all’incidente in cui aveva perso la memoria. Qualcuno le raccontò della gita scolastica a Vienna, qualcun altro le riferì della sua passione per gli animali, qualcun altro ancora le ricordò le spedizioni nella casa stregata, un vecchio rudere abbandonato dietro la loro scuola. C’era persino una ragazza che sosteneva di essere la sua migliore amica, Giulia si chiamava, ma proprio non riusciva a ricordarla. A volte le tenebre in cui era avvolta la sua mente si diradavano, lasciando il posto a qualche ricordo, ma non erano che lampi in una notte tempestosa.

Un uomo affascinate le si avvicinò. Indossava un costosissimo vestito alla moda che ne esaltava il portamento fiero, la chioma lucente gli incorniciava il volto evidenziando il suo sorriso perfetto mentre le mani ben curate le porgevano una coppa di champagne. Alessandra avvertì una stretta al cuore, una lama che le penetrava nella carne ferendola. Prese il bicchiere con un movimento lento e impacciato, non riuscendo a staccare gli occhi da quelli verdi di lui che sembravano leggerle dentro, che le narravano di altre epoche e altri mondi, che la rendevano completamente vulnerabile. Non sapeva chi fosse quell’incantevole sconosciuto, né se lo avesse mai incontrato nella sua vita precedente, di una cosa sola era certa, che l’aveva stregata con un solo sguardo, e questo le bastò quando lui le propose di fare una passeggiata al chiaro di luna. Decisero che si sarebbero rivisti la sera seguente. Quella notte, Alessandra non chiuse occhio perché appena lo faceva il volto di Claudio le compariva dinanzi ed era così reale e così bello che le veniva voglia di toccarlo. Attese con impazienza che si facesse sera, indossò un seducente abito nero che le lasciava scoperta la schiena e mise due gocce del suo profumo preferito sul profondo decolté. Era la donna più bella che si fosse mai vista. Quando l’aveva scorta alla festa, Claudio aveva stentato a riconoscerla tanto era diversa dalla ragazzina lentigginosa e tutt’ossa che al liceo gli mandava biglietti d’amore facendoli passare di banco in banco. Ora che la sua bellezza era sbocciata la rivoleva tutta per sé, ad ogni costo.

La accolse con un desueto baciamano, le aprì la portiera e l’aiutò a salire in macchina, attenzioni tutte che le donne moderne dicono di disprezzare ma che in fondo le fanno sentire speciali. Cenarono in un ristorantino fuori mano, noto per la clientela selezionata e il servizio impeccabile. Anche Claudio aveva una storia per lei. Al liceo erano stati fidanzati, lui le aveva fatto una corte spietata finché lei non aveva ceduto ma poi erano stati costretti a lasciarsi quando era andata a studiare all’estero.

«Sono stato il tuo primo amore» disse con una punta d’orgoglio nella voce. La realtà era ben diversa ma la donna non poteva saperlo, qualunque cosa lui dicesse era la verità.

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Trascorsero un romantico weekend nello chalet di montagna di Claudio, una splendida villetta in legno, arredata in modo sobrio ma elegante, con una grande scalinata centrale che portava al piano di sopra, dove c’erano le stanze da letto, e un ampio salone con un camino sempre pronto ad essere acceso. La vista che si godeva dalla terrazza era un vero spettacolo: il cielo purpureo, tramontando dietro la montagna, si specchiava nel lago tingendolo di rosso. Nel giardino si potevano raccogliere succulente fragoline di bosco, lamponi e more. Trascorsero la prima sera accovacciati davanti al fuoco scoppiettante e il giorno seguente esplorarono i boschi, nuotarono insieme alle oche e si dilettarono tra i fornelli, con lo stesso entusiasmo di due ragazzini al primo amore, lo stesso che avevano vissuto anni prima e che Claudio stava rinventato apposta per conquistarla.

Tornata a casa, raccontò tutto a Giulia ma lei la mise in guardia. Alessandra non poteva, non voleva credere che quelle di Claudio fossero tutte bugie eppure decise di fidarsi del buon senso dell’amica e di affrontarlo quella sera stessa.

Non fece parola della conversazione avuta con Giulia ma fu categorica nel voler troncare la loro storia, almeno fino a quando non avesse riacquistato completamente la memoria. Claudio dovette arrendersi di fronte a tanta risolutezza e, dopo un vano tentativo di trattenerla con sé, la lasciò andare al suo destino.

L’amnesia andò progressivamente migliorando e Alessandra poté lasciare la casa dei genitori per ritrasferirsi nel suo appartamento in centro, riprese a lavorare e a tenere conferenze in pubblico. Fu in una di queste occasioni che rivide Claudio e percepì di nuovo quella stretta al cuore. Questa volta, però, non era sicura che si trattasse d’amore.

Quella sera tornò a casa con l’angosciante sensazione che qualcuno la stesse seguendo ma, ogni volta che si girava, non vedeva che la sua ombra. Silenzioso come un gatto, un uomo con il volto coperto l’afferrò da dietro proprio mentre apriva il portone del suo palazzo. Con una mano le stringeva la vita e con l’altra le teneva premuta la bocca per impedirle di urlare. Milioni di pensieri le attraversarono la mente, mescolandosi a scene della sua vita. La memoria le tornò nello stesso istante in cui realizzò che poteva morire asfissiata nel bagagliaio di un auto e nessuno l’avrebbe mai ritrovata.

Quando aprì la portiera, il suo sequestratore aveva ancora il viso coperto ma non aveva bendato lei perché non gli importava che riconoscesse il posto, o lui. Alessandra gridò di non farle del male, se erano i soldi che voleva suo padre avrebbe pagato qualunque cifra pur di riaverla sana e salva.

«Non è il denaro che m’interessa» Quella voce suonava stranamente familiare, mentre l’uomo la trascinava a forza in casa.

Alessandra alzò lo sguardo e, appena riconobbe lo chalet, capì di essere precipitata in un incubo senza via d’uscita.

Ora si trovava nello scantinato, umido e buio, legata per il polso destro ad una catena e con indosso un abito da sposa che Claudio l’aveva costretta ad indossare. Continuava a guardarla con suoi penetranti occhi verdi, gli stessi che l’avevano incantata, solo che questa volta erano iniettati di follia.

«Io posso darti tutto» le ripeteva. «Ti porterò in giro per il mondo e ti comprerò tutto quello che desideri, basta soltanto che mi sposi»

«Mai!» urlò, cercando invano di liberarsi dal vincolo che la tratteneva. Claudio le girò intorno, accarezzò le sue spalle abbronzate, le afferrò il viso e la baciò con

violenza. Poi le poggiò una gelida pistola sulla pelle calda e Alessandra, che fino a quel momento aveva cercato di non mostrarsi spaventata, lanciò un urlo di terrore. Il battito del suo cuore si stava pericolosamente allentando e il suo respiro affievolendo.

«Se non potrò averti io» disse Claudio, «mai nessuno ti avrà» e, allontanandosi, sparò un colpo in direzione della ragazza, che cadde a terra con il ventre insanguinato. Poi puntò l’arma verso se stesso e si sparò un solo, precisissimo colpo alla tempia.

Il rumore ridestò Alessandra. Il proiettile che avrebbe dovuto ucciderla era stato deviato da una stecca del bustino ferendola superficialmente. A fatica riuscì a raggiungere il telefono al piano superiore e a chiamare i soccorsi. Quando si fu completamente ristabilita, raccolse le sue cose e partì per un lungo viaggio intorno al mondo, lontana da una vita che ormai non le apparteneva più, dai ricordi dolorosi, dagli amori tragici. * Studentessa di Scienze della comunicazione presso l'Università degli Studi di Salerno, è appassionata di letteratura, cinema, sport e viaggi.

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Pulcinella’s way_3 di Alessandro Gioia ([email protected]) Sono figlio unico e la mia stanza è tutto il mio mondo e non la divido con nessuno, ma la mia solitudine mi ha sempre spinto a cercare gli amici, i cosiddetti amici che mai ti tradiscono, quelli che non si drogano o si fanno le canne, non si ubriacano e si mettono a correre con le loro automobili nuove di zecca e poi finiscono in ospedale oppure peggio. Per il mio animo tranquillo e contemplativo, da frate francescano, amo il risparmio e la tranquillità, e lo amavo allora…mi sentivo molto vicino alla figura di San Francesco d’Assisi nato a Gubbio figlio di ricco mercante…Luca con il suo cinismo diceva che se fossi nato ricco del santo e della sua filosofia di vita me ne sarei altamente fregato e che era solo una scusa per non offrire, ma non era vero perché il sottoscritto figlio di muratore senza uno stipendio sicuro e non incline al pessimismo radicale ogni tanto qualcosa la offriva, semplicemente non mi piaceva il superfluo, dividevo il necessario dal non necessario. Adottavo la filosofia greca, se fossi rimasto economicamente in un lontano futuro, tanto per fare un esempio, avrei potuto mettere in pratica la filosofia di Diogene detto il cane. Non aveva mai bisogno di nulla, ad una cosa sarebbe poi servita, in fondo in fondo, la mia laurea in filosofia. Alla faccia di chi mi vuole male.

Non avevamo preso il diretto, tanto chi ci correva dietro? Passando davanti ad ogni stazione non vedevamo altro che gente che andava e veniva, saliva e scendeva dal treno come se lo stesso non fosse altro che una piccola giostra da luna-park mobile. Chi andava a lavorare, chi come noi perdeva il suo tempo e passava la sua giovinezza tra mille domande e mille perché che nessuno avrebbe mai svelato, né quello che leggevamo e né quello che avremmo letto. Con noi portammo qualcosa da mangiare e un po’ d’acqua minerale, comprammo il tutto presso un piccolo negozio alimentare del nostro quartiere, quello vicino alla pizzeria, “ La madonna di Pompei”, titolo religioso dovuto alla forte devozione del suo proprietario, Carlo Esposito, che affermava di vedere la madonna spesso e volentieri tutta lucente, un buon uomo Carlo, sposato con Michelina Caputo, donna semplice e umile, laboriosa, la donna ideale per un uomo senza grilli per la testa.

Oltre che con la madonna Carlo purtroppo aveva a che a fare con i soliti “signori” del quartiere che ogni mese venivano a riscuotere la loro parte. “Per motivi di sicurezza, don Carlo, lei una persona ragionevole, l’assicurazione è sempre un qualcosa di pratico, bisogna essere pragmatici. Vedrà, lei qui, non avrà mai problemi.” E se ne andavano… giacca, cravatta e sorriso malizioso.

“Michelina, cosa vuoi che sia, e come se li regalassi, devolvessi, così immagino, penso…e si va avanti!” pronunciava le solite parole continuando ad infornare. La moglie taceva e intanto pensava che a mangiare non erano gli unici, un buon quaranta per cento dei suoi clienti non pagava: la moglie del finanziere, per paura che il marito si presentasse nel suo locale per qualche ispezione, e non si può mai sapere… bisogna farseli amici. Il carabiniere per qualche multa da evitare, il vigile per il parcheggio, e così via. Era pieno di amici Carlo, tutti gli volevano bene, e il Vesuvio, sempre lì, a prendersi gioco del mondo e delle sue miserie.

Certo mangiare un panino e pensare a Carlo il nostro pizzaiolo personale con la sua figura di pulcinella d’altri tempi metteva una gran tristezza.

“Così va il mondo cari amici, e non c’è nulla da fare, noi che parliamo sempre in italiano, che vogliamo fare i laureati, i laureandi, gli studenti… mettetela come volete, non cambieremo mai, oppure, faremo finta di cambiare, siamo nati qua, con i nostri pregi e i nostri difetti che la società che ci circonda ci ha donato. Tutto qua. La camorra, i guai, la disoccupazione, la raccomandazione, ma è normale no?! Provate un po’ a trasformare in filosofia tutti i problemi che ho appena elencato, anche se ce ne sarebbero altri. Provateci! Il male lo vogliamo noi, siamo tutti d’accordo, lo sai perché, siamo fatti di carne e ossa e poco spirito, siamo…per così dire, anime pratiche và, crediamo e non crediamo, amiamo e non amiamo, ridiamo e piangiamo, come pulcinella. Prendiamo la raccomandazione, è un bisogno fisiologico, rientra nei bisogni primari dell’ uomo meridionale, è una questione antropologica. Noi meridionali siamo una specie di razza a parte, dediti a fregare il prossimo con il nostro sorriso stampato sulla faccia. Amiamo il presepe, le chiese barocche e altro ancora, figli devoti di un Dio lontano e intangibile.”

Cresciamo con le nostre nonne sempre vestite di nero e giochiamo nei cortili a nascondino, spensierati. All’improvviso si cresce e bisogna fare i conti con l’amara realtà, niente più giochi né cartoni animati che ti bombardano la testa che fino a quando non arrivi all’età dei dodici o

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tredici anni in cuor tuo pensi che ancora esistono. Cavolo sveglia! dai diciotto anni in poi tutto cambia, i telegiornali locali ti fanno vedere ben altre cose: i disoccupati storici, i drogati, tutti giovani che delusi o sbandati si bucano come cani rognosi senza un perché. Ma tu non lo capisci e continui a far finta di nulla, sei ragazzino, senza esperienza, e poi… bum, cresciuto, ti ritrovi adulto e solo. E cosa si fa? Si accetta tutto subendo il sistema! la corruzione non la puoi sconfiggere perché è come un tumore, tumore sociale, ma sempre un tumore è! Espande le proprie metastasi dappertutto come un contadino i propri semi. Vuoi lavorare: devi conoscere e pagare, se sei fortunato. E dopo… ti sposi, felice e contento di aver fregato il mondo. Sei qualcuno o lo sei diventato finalmente… ma non hai la coscienza pulita e la notte non dormi. Diciamo che sei stato sfortunato và! Invidi in fondo tutti coloro che sono puliti, tu non lo sei più e non puoi criticare più nessuno perché fai parte della grande melma sociale che abita questo strano universo nato chissà come e chissà perché! E con gli anni non potendo trovare una risposta da nessuna parte ti metti a credere in Dio, lo preghi e con i soldi della pensione compri la tua candela bianca giornaliera e vai in chiesa insieme a tua moglie che bella com’era con gli anni è ingrassata tra dispiaceri e dolci a cioccolato. Poi muori e tutto finisce e i tuoi figli si “mangiano” tutto. La vita… la vivo solo perché è bello respirare, ti apre i polmoni, cammini per le strade, vedi gente, il sole, la luna, mangi e bevi vino a volontà. Per il resto, ha poche cose la vita. Pochi pregi e la filosofia qui c’entra poco!”

Parole di Pietro l’ultimo dei moschettieri moderni, che tipo! riusciva sempre a guastare tutto, un sogno, un’aspettativa, cinico come Luca, ma più espansivo e di corporatura più robusta, l’ultimo adepto di questa nostra brigata. Ci sentivamo fuori dal mondo e quindi eravamo una setta, come i primi cristiani o i testimoni di Geova che ti arrivano in casa e non se ne vogliono andare fino a quando non accetti di ascoltarli… ma noi eravamo diversi, cercavamo di romperci le scatole tra di noi perché in fondo chi avrebbe avuto voglia d’ascoltarci? Oggi non si è tanto pazienti, i giovani, chi cazzo sono?! Chi li ascolta?! Pietro malefico personaggio in senso buono, che sembrava un panda cinese quasi estinto, tanto per capirci, con i suoi vestiti color bianco e nero e le scarpe d’inverno anche in piena estate.

Pietro era crudo, cinico, e perforava la realtà, insomma uno da cui stare alla larga. Riusciva a smontare tutte le cose belle di questo mondo, ma in fondo, in cuor suo credeva in qualcosa di diverso. Il mondo come lo aveva trovato non gli piaceva e da piccolo anziché uscire con gli altri suoi coetanei rimaneva a casa a leggere ogni sorta di fumetto e libri d’avventura in quantità, se elencassi le sue letture non basterebbero cento fogli. Si fa per dire! Ma leggeva molto e la cosa più buffa era che alla fine delle sue letture voleva tanto riportare i personaggi conosciuti sulla terra, tra di noi, non riusciva a percepire che erano frutto di fantasia. No! Un giorno mi confidò, eravamo davanti al distributore del caffè all’università, era pieno pomeriggio, poco lontano da noi era seduto un ragazzo sui trent’anni con una radio ed avevano appena dato la notizia che a Napoli un pregiudicato era stato ucciso da alcuni sicari che poi erano riusciti a svignarsela. Tanto per cambiare!

“L’uomo, un uomo di ventidue anni già noto alle forze dell’ordine è stato ritrovato ieri sera davanti casa sua. Il corpo crivellato di colpi, giace immobile sull’asfalto...” Così riportò testualmente la radio. Giaceva immobile… sfido io, era morto!

Pietro con i suoi faccioni e i suoi piccoli occhi da cinese non perse l’occasione per ricominciare a parlare per dirne tante delle sue.

“Sai che ti dico, con te voglio proprio sfogarmi!” in realtà non era la prima volta. Non riusciva a capire che qui non poteva fare il “ tedesco”. L’ordine è una cosa che non ci compete. Noi siamo persone fatte così! Banali, siamo esseri banali persi nella nostra superficialità esistenziale, è inutile promulgare leggi a nostro favore, gli aiuti della comunità europea, siamo meridionali. Devono accettarci così, come si accetta un fratello gretto e maleducato. Bisogna volergli bene e con il tempo fargli capire che sbaglia. Inutile rimproverarlo perché non ti darà mai ascolto. Calma, calma e sangue freddo.

“Da piccolo, mio caro Giuseppe,” appena sentirono la sua voce gli altri candidati al caffè del distributore si voltarono, quando parlava lui era veramente uno spettacolo, “sognavo un mondo perfetto, non dico perfetto, è pura utopia lo so da me, ma quasi. Ad esempio tutti questi guai che ci assillano tra cui la camorra, la mafia, e altre cose, sai come si potrebbero risolvere?” “Non lo so” risposi girandomi intorno a mio volta per evitare un’altra delle mie eclatanti figuracce. “E te lo dico io, t’illumino!” Fu un fiume in piena…

(… continua sul prossimo numero)

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@ S E R V I Z I O C I V I L E @ Notizie dal Servizio Civile di Sara Ingino* ([email protected])

Ciao a tutti sono Sara e come il mese scorso ho deciso di raccontarvi la storia di una signora di Serino che per seguire il marito è emigrata a Londra.

Aveva 20 anni quando si è sposata e nel 1967 per esigenze di lavoro il marito decide di partire per l'Inghilterra e lei lo segue. Si trova così in un Paese sconosciuto, senza amiche e senza un punto di riferimento. Nasce una bambina e le esigenze economiche la costringono a trovare anche lei un lavoro. Iniziò a lavorare presso una ditta di tendaggi dove conobbe ragazze italiane con cui strinse amicizia. Purtroppo però a causa di un problema alla schiena dovette lasciare a malincuore questa ditta trovando posto presso un piccolo ristorante. Si iscrisse presso un'agenzia che trovava lavoro agli emigranti i quali le fecero fare un corso di sei mesi per imparare e mettere in pratica il galateo.

Durante l'intervista lei mi offrì un caffè e mi dimostrò come anche in un gesto semplice come versare del caffè in una tazza ci vuole classe e delicatezza. Iniziò a lavorare in ristoranti e in alberghi molto prestigiosi, conobbe l'alta borghesia londinese. Si trovava a proprio agio perchè veniva rispettata. Suo marito però stanco di vivere in Inghilterra decise di tornare in Italia anche per accudire i genitori ormai anziani. Invano lei lo supplicò, pianse si disperò, ma per non divorziare decise di tornare in Italia.

Nell'intervista mi ha detto di non essersi mai più sentita viva e libera, la sua gioia di vivere è morta quando ha abbandonato l'Inghilterra, non era la sua patria, non era la sua lingua, non era la sua gente ma alla fine un emigrante non ha mai una patria ovunque va è sempre uno straniero in terra straniera e Londra per lei era ciò che si avvicinava di più al suo ideale di "Casa" * Volontaria di Servizio Civile Nazionale

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@ S T O R I A @ Matteo Marra di Ottaviano De Biase* ([email protected]) Proseguiamo con la nostro ricostruzione storica del Feudo. Ci eravamo lasciati con la morte di Guglielmo de Marra - Napoli, 1344. E questi erano i suoi figli: Matteo, Nicola, Iacobo Antonio, Cupella, Ilaria e Francesca.

Matteo, essendo il primogenito, ereditò il Feudo di Serino. Anche Matteo, sulla scia dei suoi antenati, era aggregato alla Corte di Napoli. Tra le più importanti missioni affidategli da re Carlo riscontriamo quella del 1381 allorquando la regina Giovanna I lo inviò in Francia per offrire la successione del Regno a Luigi d’Angiò.

Durante questi suoi impegni, diciamo politico-istituzionali, Matteo affidò il feudo di Serino nelle mani del fratello Iacobo Antonio. Esiste al riguardo una citazione del 27 gennaio 1383, allorquando Carlo d’Angiò, avendo necessità di fare cassa per il mantenimento del suo esercito, ordinò al Real Ciambellano di Corte, Nicola Brancaccio, di recarsi nelle terre di Jacobus de Serino per esigere dalla locale Università la tassa di un carlino al mese per ogni fuoco censito. Faccio ammenda che il fuoco corrisponde oggi a un nucleo familiare e che il carlino era una moneta in circolazione nel regno di Napoli.

Tra i vari incarichi assunti Matteo si vide assegnato quello di Capitano a Guerra. Ossia fu investito della nomina di giustiziere sulla maggior parte delle terre del Principato Ultra (oltre a Serino e Montoro troviamo citati i paesi di Volturara, Cassano, Montella, ed altri fino a lambire le terre di Lauro) e del confinante Principato Citra (e qui si citano Sanseverino e Castel San Giorgio). Figura che potremmo paragonare oggigiorno a quella coperta dal procuratore della repubblica.

Notizie sulla vita privata di Matteo sono scarse e confuse. Quella citata nel diario del duca di Monteleone ci sembra interessante. Leggiamo testualmente: questo anno fu morto Matteo de Serino, et lassao la mogliera et un figlio piccolo, nominato Iacobo Antonio, et la donna era sore a lo Conte de Caserta (…) Landolfo (et Loise) de la Tacta : et un homo d’arme, chiamato l’Ungaro, lo quale signorigiava Sarno et Caivano, vedendo ch’era morto Matteo de Serino, subito se mosse con suo potere et andò de nocte, et scalò dove stava la donna et figlio et portandoli a Sarno, et per forza li convenne la pigliare per mogliere; ma la donna hebbe i suoi frati per tutti nemici mortali, ma de poi furono amici…

La data di morte di Matteo ci viene segnalata da una Lapide ove si indica il 22 dicembre 1449. Ritrovò sepoltura, sotto l’organo di San Lorenzo Maggiore, nel 1487.

ALEXANDER DE MARRA PIUS FILIUS S(anctae R(omanae) E(cclesiae) PROTONOTARIUS MATHEO ANTONIO DE MARRA

MILITI STRENUO ET DOMINO SERENI EX BONIS SUIS HOC SEP(ulcrum)

FAC(iendum) CURAVIT OBIIT AUTEM V.IDUS DEC(embres) MCDXLIX

H(oc) O(pus) F(ecit) A.D. MCDLXXXVII

Il figlio Giacomo sposò Ilaria Scillato, della temuta casa Scillato. Temuta in quanto protetta

dal re Ladislao, la quale gli portò in dote Chiachitelle, Ceppaloni, Circello, ed altri piccoli feudi dell’area beneventana. Giacomo (termine italianizzato di Jacobo), nel febbraio 1449 oltre ad ereditare Serino fece suoi i feudi di Montemarano, Castelfranci e Volturara. Giacomo ebbe vita breve. Schieratosi a sostegno della politica di Renato d’Angiò andò in rovina. Con l’avvento di Ferrante I d’Aragona al trono di Napoli, il feudo di Serino passò ai suoi legittimi eredi. Con privilegio in nostris felicibus castris contra flumerium, il 29 febbraio 1460, Ferrante restituisce al giovane Camillo de Marra, figlio di Giacomo, il feudo di Serino e pochi altri il quale, per

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riavere le terre perse dal genitore si era indebitato fino all’osso, riavutole, e avendo necessità di fare cassa, mette in vendita il feudo di Serino, il più ricco. Argomento che affronteremo nel prossimo numero della Newletter.

(La storia continua…) * Autore di storia locale, narrativa, poesia e teatro. Forum Italicum e Gradiva, riviste di critica letteraria Statunitensi, si sono spesse volte occupate dei suoi lavori, con riconoscimenti accademici, recensioni e traduzioni in inglese. Attualmente collabora alla formazione del Dizionario Bibliografico degli Irpini, e con alcune riviste letterarie nazionali ed estere.

@ dalla S V I Z Z E R A @ La Madonna delle Galline Pagani (SA). Dal 13 al 18 Aprile festeggiamenti in onore della Madonna del Carmelo, detta delle Galline. di Liberata Ginolfi*

Il nome della manifestazione va ricercato nel 1500, quando delle galline raspando la terra fecero venire alla luce un’icona della Madonna del Carmelo che durante le incursioni dei saraceni era stata occultata per preservarla dal loro scempio.

Pagani (SA), 18 Aprile 2007 Lasciata la tranquilla Svizzera alle 12.40 di venerdì 13 aprile ci ritroviamo dopo circa 4 ore a

Pagani (SA), dove alle ore 18.00 avverrà l’apertura del Santuario della Madonna delle Galline. Come ci viene consigliato dal dott. Valerio Ricciardelli scegliamo un posto “strategico” per

poter assistere alla cerimonia. Ben presto, infatti, la piazza si riempie di una folla calcante, si sentono suoni e canti sul

tamburo (la tammorra) che arrivano alternativamente da diversi gruppi di fedeli, i quali vengono a rendere il loro ‘sacrificio sonoro’ alla Madonna ed a partecipare al rito di apertura delle porte della chiesa. Questa è rimasta chiusa dal lunedì in Albis ed ora sarà aperta con un rito che sa di “magico”: canti inneggianti alla Madonna delle Galline, figura molto vicina al popolo. A Lei i fedeli si rivolgono come a una di loro, come ‘a Figliola’, ‘a Zingara’, ‘a Mariola’, ‘a Puverella’; tutti attributi affettuosamente scherzosi che danno un’impronta di “umanità” alla figura sacra della Vergine e che fanno parte del rito dello “sfottò”.

Al suono delle tammorre e delle nacchere si eseguono canti sul tamburo (fatto di pelle di capra) e si danza un ballo dalle connotazioni sensuali riferite alla vita ed alla trasmissione della vita; si tiene il tempo con il ritmo del cuore, battendo il piede sulla terra come ad evocarne le forze generatrici.

Tutto si ferma alle 18.00, quando le campane danno il segnale dell’apertura delle porte, la banda cittadina suona a festa, nel cielo esplodono fuochi d’artificio, dozzine di colombi bianchi vengono liberati ed un fedele “iniziato” batte con forza alla porta del santuario che poco dopo viene aperta, lasciando entrare la folla di fedeli e curiosi accorsi da vicino e da lontano.

In seguito i canti e i balli riprendono frenetici al ritmo delle tammorre in grandi e piccoli cerchi umani che si formano qua e là nelle piazze e che coinvolgono sempre più persone.

Nel frattempo alle 20.00, nella sala consiliare del comune, ha luogo un convegno dal titolo “ritmo e danza”, con la partecipazione dell’insostituibile M° Roberto De Simone e di altri esperti provenienti dalle università di Roma, Napoli, Salerno.

Legati alla manifestazione vi saranno nei giorni seguenti altri convegni (su gastronomia, riti e miti, la Madonna delle Galline nel mondo), mostre, sagre, fiere, paranze, ritmofestival, premiazioni e riconoscimenti, fuochi pirotecnici, apertura dei toselli che quest’anno sono 22.

I toselli (dallo spagnolo dossel ) vengono installati in corti settecentesche e ottocentesche, esponendo un quadro della Madonna addobbato, al quale i fedeli offrono “i frutti della terra”.

Questi cortili-toselli rimangono coperti fino alla domenica, quando vengono ‘svelati’ al passaggio della statua della Madonna dai capelli rossi.

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In seguito nei toselli si offrirà ositalità ai visitatori con i quali i padroni di casa condividono cibo, danze e canti, che rievocano antichi riti di corteggiamento e che allo stesso tempo costituiscono anche una preghiera.

Singolare è pure il corteo dei Tammorrari, seguito dal rito della deposizione delle tammorre ai piedi della Madonna.

Questa manifestazione, ricca di simboli e di significati legati ad una religiosità arcaica, comprende il rito del donare alla Madonna, da parte del primo cittadino, tante colombe quanti sono gli anni della figlia primogenita.

La giornata più emozionante è, comunque, la domenica quando “… a Maronna jesce ‘e nnove e se retire ‘a calata ‘e ll’ora…Figlio’ ” (canto ‘a ffigliola).

Secondo uno studio di Roberto De Simone la processione della Madonna che si svolge la domenica (con le sue peculiarità rappresentative) rientra nel mito e nel culto delle “sette sorelle” che si pratica durante l’anno nelle feste campane, culto caratterizzato dai temi della madre, della fertilità e della morte.

La processione della domenica dura circa tredici ore (dalle nove del mattino fino alla tarda serata), con una breve interruzione per il pranzo. E’ di buon augurio per le famiglie paganesi ospitare a casa per pranzo visitatori ‘stranieri’ !

La statua della Madonna, accompagnata da colombi, galline, fedeli, percorre le vie della città preparata a festa, fermandosi ai toselli e ovunque vi siano persone devote che vogliono donarle volatili, carciofi, pane e altri prodotti della terra. Durante queste soste è frequente vedere genitori che elevano i propri piccoli verso la “Mamma” e ne invocano la benedizione.

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Dai balconi addobbati con lenzuola e coperte del corredo nuziale piovono, insieme a petali di rosa, fiumi di coriandoli colorati sulla processione, che quest’anno ha visto circa 300'000 partecipanti.

Nel pomeriggio si procede al rito di Sant’Alfonso de’ Liguori nell’omonima piazza, con offerta alla Madonna di polli, conigli, oche, fagiani e pavoni. In seguito si potranno acquistare o ‘riscattare’ questi doni, seguendo un’antica usanza.

Si prosegue con il rito del dono delle colombe da parte del sindaco Gambino e si riaccompagna la Madonna al Santuario dove si arriva a tarda sera.

Oltre ai canti e ai suoni su tammorra, ai fuochi d’artificio, alle parole d’invocazione dei fedeli, alla folla festante, durante la lunga processione si percepisce qua e là l’odore delle carbonelle, dei carciofi arrostiti, del sugo di ragù e del pomodoro S. Marzano (prodotto tipico dell’Agro nocerino).

Queste ed altre specialità le gusteremo poi a casa di Lia di cui siamo ospiti. Mano a mano che la processione lascia il centro per inoltrarsi tra i campi della periferia, tali

odori si attenuano per lasciare il posto ai profumi dei fiori di zagara, dei limoni, della terra lavorata, quella terra generosa che ancora oggi, nel turbinio di una vita frenetica all’insegna di un egoismo dilagante, trova il tempo e il modo di coltivare il privilegio del “donare” spontaneo e lo spirito di sincera ospitalità.

Noi dell’associazione Kulturandum, Rorschach prevediamo una serie di scambi con questa cultura di origine contadina che ha tanto da comunicare e far riflettere a noi”cittadini moderni”. * Corrispondente dalla Svizzera per la Newsletter della Pro Loco Serino

@ VARIE ed EVENTUALI @ Il nostro maggio degli eventi di Maria Marra* ([email protected]) Ciao a tutti.

Sono di nuovi con Voi anche se con un po’ di ritardo rispetto alla solita uscita della nostra newsletter.

Adesso vi aggiornerò su come sono andate le nostre iniziative nel mese di maggio. Vi ricordate della II edizione di “Se questo è un bambino…” del 18 Maggio? Nonostante il

tempo non fosse dei migliori, siamo riusciti a svolgere la fiaccolata prevista. Non ho visto parecchi di voi: sicuramente eravate in altre faccende affaccendati!!! grazie lo stesso.

Un grazie al nostro caro Sindaco Gaetano De Feo, che ha mobilitato i Vigili per l’occasione. In biblioteca abbiamo proiettato l’intervista a Suor Fernanda Pellizer, missionaria

Comboniana impegnata da 25 anni nel Nord dell’Uganda. La missionaria ha risposto a dieci domande scritte da noi della Pro Loco e direttamente rivolte alla suora dalla nostra carissima amica Antonella Colangelo, ideatrice del progetto MARIArte e della Giornata Mondiale di Meditazione-Preghiera per il disarmo dei bambini soldato. Suor Fernanda ha risposto, una ad una, a tutte le nostre domande chiudendo con un saluto rivolto a tutti i serinesi. Il testo integrale delle domande e delle risposte lo potete leggere nella rubrica “attualità” a cura della nostra Annarosa D’Agostino.

Cara Antonella, sei ancora emozionata per l’incontro con Suor Fernanda? All’iniziativa sono intervenuti anche gli assessori Marco Ingino, autore di un bell’intervento,

e Pellegrino Mariconda. L’assessore alla cultura, Ingino, ha avuto la brillante idea di proporre alle nostre scolaresche la proiezione del dvd. Se ne riparlerà il prossimo anno scolastico.

Il 19 e 20 maggio, come da programma, ci siamo divertiti con l’Olimpiade dei ragazzi, giunta all’ottava edizione. È stato uno spettacolo vedere tanta festosa gioventù!

Il 19 maggio tra tante peripezie si è dato il via alla prima tornata di giochi. Si è passati dalla corsa veloce all’hula hop, dal palleggio di pallavolo a tempo al tiro del pallone in porta piccola, per concludere con l’ormai mitico lancio della pallina.

Complimenti ragazzi siete stati fortissimi! Continuate così.

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Il 20 maggio, invece, si è svolta la corsa di resistenza. Noi (io e il mio caro maritino) siamo arrivati intorno alle 9:00. La corsa è iniziata verso le 9:30. Partono i ragazzi del primo gruppo, in lontananza esultano i genitori, ma non si sente nulla, non c’è coinvolgimento.

Ad un certo punto, dagli altoparlanti riconosco una voce familiare: «ed ecco il ragazzo con la maglia bianca che rimonta su quello con la maglia rossa!!! È una gara bellissima dall’esito assolutamente incerto. Un finale al fotofinish. Stasera vedremo alla moviola…». La voce commenta passo passo la corsa, con una bravura incredibile. Mi chiedo esterrefatta: «non sarà mica Bruno Pizzul in persona?». E invece no. È il nostro nonsò-cratico, che non si tira mai indietro, che prova a districarsi nelle più disparate situazioni portando la sua allegria che entra nel cuore delle persone: mi fermo qui altrimenti…

Perso un fotografo se ne inventa un altro. Ed è così che mi sono ritrovata dietro all’obiettivo: avrò scattato qualcosa come trecento foto.

Sempre in occasione dell’Olimpiade dei ragazzi, il presidente Tommaso Rocco ha consegnato una targa ricordo in onore del nostro mitico Felice Pellecchia alla moglie ed alla figlia. Il minuto di silenzio è stato davvero commovente.

La Croce Rossa Italiana, sezione di Avellino, ha poi simulato un Pronto Intervento al 118:

che bravi ragazzi, sembrava tutto vero. Mi hanno anche presa in giro per le ferite finte, buon lavoro a tutti voi.

Era presente anche il gazebo dell’UNICEF e l’immancabile “Vicienzo” o gelataio. Il simpaticissimo Baby Sindaco, Simone De Feo, insieme al nostro Sindaco Senior hanno

consegnato le coppe ai vincitori: in posa, un sorriso e poi un clic. Gran parte della riuscita dell’iniziativa è merito del nostro grande Maresciallo Andrea

Vastola, che con impegno e dedizione porta avanti questa iniziativa da tanti anni. Perdonateci se c’è stato qualche momento di défaillance: noi ce la mettiamo tutta e ci

impegniamo per migliorare di anno in anno. Se poi l’anno venturo qualcuno si vuole divertire con noi, fatecelo sapere. A tutti un caloroso arrivederci al prossimo numero della Newsletter e alle prossime iniziative

della Pro Loco a cominciare dall’Incontro con la montagna… sulla vetta del Terminio che si terrà ilprossimo 2 giugno. Sarà, come sempre, una giornata ecologica di aggregazione, riflessione e confronto (vedi la locandina alla pagina seguente). * Assicuratrice esperta del ramo amministrativo, contabile e marketing, nonché moglie del libero pensatore nonsòcratico.

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Pro Loco Serino Palazzo Municipale, Piazza Cicarelli Sito internet: www.prolocoserino.it E-mail: [email protected]

Incontro con la montagna… … sulla vetta del Terminio

2 giugno 2007

Una giornata ecologica di aggregazione, riflessione e confronto

Programma 8:30 Raduno sul Terminio nei pressi del

ristorante Bucaneve

9:00 Partenza verso la vetta del Terminio

10:30 Incontro con la Natura

13:00 Condividi il tuo pranzo

16:00 Discesa verso valle