Serie VI- Fascicolo 6- Anno 1980

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MOSTRE SULLE MOSTRE DEL SETTECENTO EMILIANO (*) M r se mbra probabile in si. importante ripresa .stud1 d1 stona d a partire dalla fine degli anru. Settan.ta; Vl st r!co- noscerà la determinante funz10ne d1 tmz1at1ve quali le mostre '' plurime, a!lni '79,-'8o, _quali cro- nologicamente precede l1ns1eme d1 espoSlZIOOl del Set- tecento emiliano. Già ora si presentava netta la sensa- zione di di :ii veramente essa cresce nel ncordo, e s1 rmnova col n percorrere 1 cataloghi ampi. e Appari .evidente che tale complesso di nsultatt era stato ottembtle soltanto verso un'operazione lucida e consapevole; e che 1 re- sponsabili, individuate con precisione le caratteristiche del lavoro da svolgere, Io avevan condotto e portato a fine con coerenza estrema. L'estensione, la multiformità delle forze cultura li che han preso parte (si sarebbe tentati di rapportarle alla .con la Emilia persegue il proprio noto d1 ,), han condotto alla globalita dell esame; a entro una sostanziale unità .cii l'eterog7ne1tà originaria delle Global1tà dunque di par- teopazione dellmte .ra e se alcll:I?e _zone rimaste meno illum1nate, sapp1amo che gta st lavora m numerosi altri centri per proseguire e approfondire il discorso (ad esempio, è in programma la più ravvicinata del secolo modenese). Alle lnlZtattVe maggiori si riconoscerà allora fra i loro meriti anche l'ef- ficacia trainante nei confronti di altre, favorendo una concezione non banale del decentramento. Fra i criteri d'impostazione, si alternavano documentazione ed esemplificazione per campione, favorendo la rrusura- zione di reciproca funzionalità fra il singolo manufatt<? e le più generali sistemazioni e progettazioni urbane e di territorio. Con particolare così scopicamente la d1 nec;essaa fra micro e macrofatton; e il persegwmento della ncerca alla luce di un moderno concetto di territorio, insieme con un'inclinazione spesso avvertibile verso un bene culturale inteso quale documento plurisemantico, condu- ceva frequentemente a risultati che molti sentono cor- rispondere alle intime esigenze di una storia d'arte at - tuale. Ma diremmo che l'indicazione che meglio avvin- ceva dal complesso. deUe confern;a non scindibilità det momenti .d1 di tutela e conservazione, d1 deluctdaztone soenti:fica: anche quando non tutto nei le intenzioni. E ripensando a1 crtten dt gtudizm. ad esposizioni d'arte,. sulla. . di massimalist iche negatna zn toto dJ lil.lZLatlye d1 SJmili dimensioni, si poteva concludere essere metro .la " necessarietà , , ed essere una mostra g1usti:ficata e m ogni caso difendibile allorché giunge non casuale a render conto di un lavoro di q.ualsiasi ge_nere svolto in precedenza, d1 una prectsa, contmua ta senetà d'impegno. Tali costanti eran proprie d.el cor_nplesso delle mostre emiliane, di cui proponiamo alcuni contenuti, per altro solo alludtbill nella smtetlettà postulata per queste pagine. Fra ç-ti aspetti positivi deUe valutazioni stavano indubbtamente obiettività ed equilibrio; tali anzt da tra- dursi addirittura in understatement ad esempio neUe pagine di Riccòmini elega!ltemente sixJone bolognese delle pitture e mmor ragione) a quella parmense. Anche a propoSito d1 Maria Crespi, di si ott.enutl Im- portantissimi applicava. una chiave di lettura mtelhgente ma dtscuttbtle. Cresp1 sa- rebbe da vedere nella 11 terza via , del riformismo cat- tolico (dal Muratori al Manzo.ni . al Mode:ni.smo) .che è sempre riuscita a scontentare 1 pro&resststl che 1 con- servatori; così l'artista non p1acque per insufficienza di accadenuca; ribeUismo antiaccademico. Ma d1versamente da Riccònuru, diremmo che Crespi, se non compete ovviamente con Rembrandt, come già avvertiva Roberto Longhi, con Vermeer, stia sopra un diverso e più alto gradino non Millet· e che i richiami d'uso alla scena olandese d1 genere corretti nel senso Crespi non dalla convenxione ma dall'osservaztone, qualcosa ctoe dt raro e qualificante. La pittura italiana successiva ha tra- scurato di accoglierne la lucidità d'indagine, col risultato d'isolarsi anche così dall'Europa. Attraverso la documentaxione dei crespiani e del " Classicismo e Barocchetto , (con artisti come il Viani e il Milani, arcaizzanti ma forse non senza un qualche presennmento formale precocemente allusivo al neoclassicismo) emergeva prepotentemente un? dei poli dell'intero complesso Cret1. Ci auguriamo vivamente che il pubbbco sta. gmnto a recepirne interamente la statura di vera ecceztone, cor- rettamente vedendone nelle belle pagine del Roli la deri- vazione dalla grande tradizione classica autoctona; ma anche cogliendone le aperture neoclassiche di sorprendente modernità (l' ' Umiltà ' e la ' Fanciulla in meditazione' delle collezioni civiche bolognesi), ed ammirando c?me merita l' " evasione immaginosa... meglio che preillu- ministico referto , (Roli) della serie astrologica paragonabile però per genialità d'inventiva. alla sene crespiana dei ' Sacramenti ' di .. Il sul Settecento pittorico bolognese suc;- cessivamente ricco di coerenza net var1 suo1 esponenti, dai più ai meno noti, con buon numero d'inediti e risco- perte, ma con documentazione forzosamente mente limitata dalle necessità espositive; fino a gmngere ai Gandolfi, che qui si vedevan distintamente nelle rispettive personalità. Dalla '' M usa domesnca consigliera pbaldo ... .e e La pittura ttaliana conosce rar1 semplice come ' Perseo e Andromeda ' e Dtana e End1nuone; di Bologna, come 1' ' Annunciazione ' della della stessa città, come il ' San Marco ' dJ . V t: gorso di Budrio) ai due splendidi clipinn londinest ?i Gaetano scoperti da Carlo Volpe, di gusto gtà tardivamente rococ6; fino a Mauro suo figho: . Problemi di difficoltà spesso impervia e dt alto lismo affrontava la mostra della natura morta, produztone cui Volpe riconosce partico lare .nel panorama italiano. Il critico pubblicava come un dipinto di collezione privata milanese . al Piazzetta; e su questa scorta si resta tentati dt attrtbwre al Gandolfi maggiore anche le due . nature morte fio: rentine (P 1529 e P 1530 del r ecentiSSimO catalogo. Uffizi; figg. r e 2), t) in deposito a Palazzo Davanzatl. Qu1 III ©Ministero dei beni e delle attività culturali-Bollettino d'Arte

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MOSTRE

SULLE MOSTRE DEL SETTECENTO EMILIANO (*)

M r sembra probabile eh~ in f';lt~ro si. co~state~à !lO~ importante ripresa ~egli .stud1 d1 stona d ar~e t,tal~am

a partire dalla fine degli anru. Settan.ta; ~.eh~ Vl st r!co­noscerà la determinante funz10ne d1 tmz1at1ve quali le mostre '' plurime, deg~i. a!lni '79,-'8o, f~a.le _quali cro­nologicamente precede l1ns1eme d1 espoSlZIOOl del Set­tecento emiliano. Già ora si presentava netta la sensa­zione di partecip~e di qualco~a :ii veramente ~nificativoi essa cresce nel ncordo, e s1 rmnova col n percorrere 1 cataloghi ampi. e de~gliati. Appari v~ .evidente che tale complesso di nsultatt era stato ottembtle soltanto ~ttra­verso un'operazione lucida e consapevole; e che 1 re­sponsabili, individuate con precisione le caratteristiche del lavoro da svolgere, Io avevan condotto e portato a fine con coerenza estrema. L'estensione, la multiformità delle forze culturali che han preso parte (si sarebbe tentati di rapportarle alla determinazi~ne .con ~ul la reg~one. Emilia persegue il proprio noto o.b~etttvo, d1 "parteo~az1one ,), han condotto alla globalita dell esame; a ncompo~re entro una sostanziale unità .cii ~aggiungi~enti l'eterog7ne1tà originaria delle ~ollaborazt?ru. Global1tà dunque di par­teopazione dellmte.ra reg10ne~ e se alcll:I?e _zone so~o rimaste meno illum1nate, sapp1amo che gta st lavora m numerosi altri centri per proseguire e approfondire il discorso (ad esempio, è in programma la ric<?g~i~ne più ravvicinata del secolo modenese). Alle lnlZtattVe maggiori si riconoscerà allora fra i loro meriti anche l'ef­ficacia trainante nei confronti di altre, favorendo una concezione non banale del decentramento. Fra i criteri d'impostazione, si alternavano documentazione all~rgata ed esemplificazione per campione, favorendo la rrusura­zione di reciproca funzionalità fra il singolo manufatt<? e le più generali sistemazioni e progettazioni urbane e di territorio. Con particolare e~denza. eme~geva così mao:o~ scopicamente la concat~naz~one d1 r~oproche nec;essaa fra micro e macrofatton; e il persegwmento della ncerca alla luce di un moderno concetto di territorio, insieme con un'inclinazione spesso avvertibile verso un bene culturale inteso quale documento plurisemantico, condu­ceva frequentemente a risultati che molti sentono cor­rispondere alle intime esigenze di una storia d'arte at­tuale. Ma diremmo che l'indicazione che meglio avvin­ceva dal complesso. deUe esp<?si~io~i era.~ confern;a ~eUa non scindibilità det momenti .d1 ncogmz~one terrlto~ta!e, di tutela e conservazione, d1 deluctdaztone soenti:fica: anche quando non tutto esa~riv~ i~te~a~en~e; nei ri~ult~t~ le intenzioni. E ripensando a1 crtten dt gtudizm. appli~~bil! ad esposizioni d'arte,. ~n~e sulla. ~C<?r~a . di P.os~to~ massimalistiche negatna zn toto dJ lil.lZLatlye d1 SJmili dimensioni, si poteva concludere essere ~ruc? metro .la " necessarietà , , ed essere una mostra g1usti:ficata e m ogni caso difendibile allorché giunge non casuale a render conto di un lavoro di q.ualsiasi ge_nere COD;Sapevolm~nte svolto in precedenza, d1 una prectsa, contmuata senetà d'impegno. Tali costanti eran proprie d.el cor_nplesso delle mostre emiliane, di cui proponiamo 9u~ ~ssat br~vem~~t~ alcuni contenuti, per altro solo alludtbill nella smtetlettà postulata per queste pagine.

Fra ç-ti aspetti positivi deUe valutazioni cr~tich~ stavano indubbtamente obiettività ed equilibrio; tali anzt da tra-

dursi addirittura in understatement ad esempio neUe pagine di Riccòmini elega!ltemente ~troduttive all'e~po ­sixJone bolognese delle pitture e (dtrem~o ~on. mmor ragione) a quella parmense. Anche a propoSito d1 Gm~eppe Maria Crespi, di c~i. si era~ ~eri~oriall!et;tte ott.enutl Im­portantissimi pres~ltl s~ramen, R1c~òmt~1. applicava. una chiave di lettura mtelhgente ma dtscuttbtle. Cresp1 sa­rebbe da vedere nella 11 terza via , del riformismo cat­tolico (dal Muratori al Manzo.ni . al Mode:ni.smo) .che è sempre riuscita a scontentare s~a 1 pro&resststl che 1 con­servatori; così l'artista non p1acque mt~ramente allor~ per insufficienza di osservan~ accadenuca; a~esso, . ~1 ribeUismo antiaccademico. Ma d1versamente da Riccònuru, diremmo che Crespi, se non compete ovviamente con Rembrandt, come già avvertiva Roberto Longhi, né con Vermeer, stia sopra un diverso e più alto gradino eh~ non Millet· e che i richiami d'uso alla scena olandese d1 genere vad~n corretti nel senso c~e Crespi non f!l~Ov~ dalla convenxione ma dall'osservaztone, qualcosa ctoe dt raro e qualificante. La pittura italiana successiva ha tra­scurato di accoglierne la lucidità d'indagine, col risultato d'isolarsi anche così dall'Europa.

Attraverso la documentaxione dei crespiani e del " Classicismo e Barocchetto , (con artisti come il Viani e il Milani, neocarracces~hi arcaizzanti ma forse non senza un qualche presennmento formale precocemente allusivo al neoclassicismo) emergeva prepotentemente un? dei poli dell'intero complesso d~lle most~e, D~mat? Cret1. Ci auguriamo vivamente che il pubbbco sta. gmnto a recepirne interamente la statura di vera ecceztone, cor­rettamente vedendone nelle belle pagine del Roli la deri­vazione dalla grande tradizione classica autoctona; ma anche cogliendone le aperture neoclassiche di sorprendente modernità (l' ' Umiltà ' e la ' Fanciulla in meditazione' delle collezioni civiche bolognesi), ed ammirando c?me merita l' " evasione immaginosa... meglio che preillu­ministico referto , (Roli) della serie astrologica vatican~, paragonabile però per genialità d'inventiva. alla sene crespiana dei ' Sacramenti ' di Dr~sda .. Il disco~o sul Settecento pittorico bolognese ve~va ?iP~ndos1 suc;­cessivamente ricco di coerenza net var1 suo1 esponenti, dai più ai meno noti, con buon numero d'inediti e risco­perte, ma con documentazione forzosamente nu~erica­mente limitata dalle necessità espositive; fino a gmngere ai Gandolfi, che qui si vedevan distintamente emerg~re nelle rispettive personalità. Dalla '' M usa domesnca consigliera ~i pbaldo ... somm~ss~ .e ~uadent7" {Vol~e; e La pittura ttaliana conosce rar1 es~tL ~~ semplice ~m~en~ come ' Perseo e Andromeda ' e Dtana e End1nuone; di Bologna, come 1' ' Annunciazione ' della Miseric:>r~a della stessa città, come il ' San Marco ' de~ p~ dJ . V t: gorso di Budrio) ai due splendidi clipinn londinest ?i Gaetano scoperti da Carlo Volpe, di tutt'~tro gusto gtà tardivamente rococ6; fino a Mauro suo figho: .

Problemi di difficoltà spesso impervia e dt alto sp~cla­lismo affrontava la mostra della natura morta, produztone cui Volpe riconosce particolare moderni~à .nel panorama italiano. Il critico pubblicava come posstbt~e ~bal?o un dipinto di collezione privata milanese . g1~ rtf~m.o al Piazzetta; e su questa scorta si resta tentati dt attrtbwre al Gandolfi maggiore anche le due be~e . nature morte fio: rentine (P 1529 e P 1530 del recentiSSimO catalogo. degl~ Uffizi; figg. r e 2), t) in deposito a Palazzo Davanzatl. Qu1

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I - FIRENZE, GALLERIE STATALI - UBALDO GANDOLFI: NATURA MORTA CON POLLAME E BROCCA (ATTRIBUITO)

l'insostenibile riferimento tradi2;ionale ad un anonimo seicentesco olandese era già stato corretto da Marco Chia­rini nel catalogo de~li Uffizi in una direzione che tenesse conto di Crespi e P1azzetta. Parametri, come si vede, che ci si attende appunto da Ubaldo; però non son solo i riferimenti culturali, ma anche la conduzione pittorica morbidamente materica a richiamare il nome gandolfiano, sia pure con le cautele del caso.

La pittura fuori Bologna, nell'intrinseca sostanziale povertà di Ferrara (già esposta a suo tempo da Riccòmini) e delle R omagne, presentava col modenese Zoboli (curato da Amalia Mezzetti) una delle realtà interessanti della mostra. In alcuni dei suoi dipinti, con darazioni al 1724 e al 1731, colpiva profondamente un patente presenti­mento, se non lo SI voglia chiamare precorrimento, del Neoclassico e del Romanticismo Storico. Certo le fonti principali sono le accademie carraccesca e marattesca; rndiriz2:ate però a funzioni almeno çerminalmente assai nuove (tale del resto l'imJ?OStazione di un recente articolo d'apertura di !taio Faldi). La separazione e distinzione fra neoclassico e romantico non è d'altronde cosi netta, né ci pare produttivo tentarla; non crediamo quindi che per lo Zoboli "un'inedita violenza espressiva di gusto quasi romantico (sic) .. . appaia in netto contrasto con la teoria e il gusto del Neoclassicismo, (Mezzetti). Queste premonizioni se non anticipazioni potevan risultare una fra le proposte interessanti delle mostre; anche alla luce di artisti-ponte, come l'ancor poco studiato carpi~iano Bonaventura Lamberti, che, scolaro del Cignaru, fu maestro a Roma del Benefial (qui citato del resto da Renato Roli in riferimento al Milani). Nella sua grande tela di Sant' Ignazio in Carpi (fig. 3), che deve appartenere al penultimo decennio del Seicento, 2> il L amberti di­spiega un classicismo solennemente grandioso; ma già sarebbe pronto ad entrare in un linguaggio più moderno, a trasferirsi nel lessico di un Benefial, il paggio che reca la bacinella dell'acqua, e si volge allo spettatore in un misto di spontaneità e misura.

La stessa Accademia Clementina del resto, come dimo­stra Silla Zamboni, non solo si preoccupava di propagare l'eredità del grande classicismo bolognese; ma si costi­tuiva in moderna scuola delle arti, svolgendo fra l'altro un ruolo di attenta tutela allorché a fine secolo dovette gestire il patrimonio figurativo dei conventi soppressi. La sua riaffermazione del carattere liberale delle arti,

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2 - FIRENZE, GALLERIE STATALI - UBALDO GANDOLFI: NATURA MORTA CON P OLLAME E FIASCA (ATTRIBOITO)

contro le concezioni tradizionali delle strutture artis tiche, trovava perfetta consonanza nella coabitazione e poi confluenza nell' Istituto delle Scienze di Palazzo Poggi. A queste vere aperture si contrapponevano d'altronde momenti di ostinata renitenza; e così ad esempio dalla Clementina restano esclusi gli architetti costruttori. E ntro i due poli del palladianesimo e della scenografia, l'alter­nanza fra architettura immaginata e dise~nata da un lato, ed effettivamente costruita dall'altro, si nsolveva del resto troppo spesso a svantaggio di quest'ultima (come si vedeva nella bellissima esposuione presso il Museo Civico, dove un'alta specialìzzazione aveva anche saputo cercare gli strumenti didattici da proporsi con successo ad un pub­blico più vasto). Un difetto tipico dunque di tanta cultura italiana, non solo architettonica né solo settecentesca. Nella pittura scenografica e rovìnistica vedevamo enco­miabilmente esemplificato il lento trascorrere dalla veduta scenografica al puro paesaggio i dal panorama cittadino a quello agreste. Sintonia dunque col prevalere della cam­pagna nei confronti dell'agglomerato urbano, dalla prima alla seconda metà di secolo; ma sempre una campagna arcadica, dove la società del tempo non trovava rinno­vamento nell'impegno del lavoro agricolo, quanto oblio della coscienza nel facile abbandono dell 'impolitica. E la divisione del lavoro, entro le botteghe artistiche di pittura decorativa di paesaggio, col divenire (siamo al parallelo con la Rivoluzione industriale) sempre " più rigorosa e talvolta spersonalizzata , , non avrebbe lasciato spa2;io che all'estrema reazione dell'esasperata individualizzazione del paesaggio romantico.

La mostra dei materiali dell'Istituto delle Scienze, oltre a presentare riscoperti, restaurati e in massima parte restituiti alle funzioni originarie ~li strumenti astronomici della Meridiana e della Specola, Sl poneva entro un ambito ancor più vasto come momento di vera pregnanza nel dibattito cosi attuale fra arti e scienze. E la recente inda­gine conoscitiva di Andrea Emiliani, confluita nel cata­logo, aveva condotto ad integrare ed accrescere l'auto­coscienza dell' Ateneo Bolognese, prossimo ai nove secoli di esistenza; come in un processo psicanalitico, portando alla luce quei procedimenti che fanno parte della sua storia, in una compenetrazione sempre pitt funzionale fra le due culture. Del prestigio settecentesco delle isti­tuzioni bolognesi abbiamo del resto numerose testimo­nianze: dal De Brosses, secondo cui l' Istituto delle

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3 - CARPI, SANT'IGNAZIO - BONAVENTORA LAMBERTI: SAN FRANCESCO SAVERIO CHE BATTEZZA

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4- MODENA, GAL.LERIA ESTENSE- GIOVANNI ANTONIO CIBEI: FRANCESCO IIl DUCA DI MODENA (MODELLETTO IN TERRACOTTA)

Scienze era '' la cosa più interessante che vt s1a in Eu­ropa , , ad altri viaggiatori che nel palazzo di Via Car­bonesi visitavano avanti il 1762 (quando la raccolta rag­giunse l'Accademia Clementina) la collezione d'arte di Francesco Zambeccari. Quest'ultima, dopo il lavoro pio­nieristico dell'Emiliani di qualche anno fa, si poteva vedere ottimamente esemplificata a cura di Rosa D'Amico nei locali della Pinacoteca Nazionale.

Dall'Università alla bottega artigiana: nella pertinente intitolazione dell'Arredo sacro e profano, i1 gruppo diretto da Jadra Bentini poteva mostrare in Palazzo Pepoli, con bella consapevolezza, i frutti di un prolungato lavoro di territorio: ricognizione dei complessi ambientali, indi­viduazione e catalogazione dei pezzt, scheda tura, restauro; e infine proposta al pubblico e pubblicazione scientifica; il tutto a saldare il discorso, conferendogli quella profonda necessarietà che si è detto qualificante per la bontà di una mostra. Il percorso seguiva in parte la scelta della restituzione d'ambienti, in parte l'esposizione (nel salone del Canuti) per gruppi tipologici, con prevalenza, rispetto ad esempio alla mostra del '35, dell'arredo sacro nei con­fronti di quello laico e senatorio. Ma soprattutto risultava

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acqursrta la promozione dell'arredo da elemento acces­sono di un esemplificazione tipologica a protagonista storico dei modi operativi di una civiltà. Di qui l'atten­zione a quei nuclei che avevano avuto garantita nel tempo la propna dotazione di arredi, in primis i Conservatori femminili; o ve le dita instancabili delle donzelle povere, istruite in " tutte le sorta di lavorieri , (Statuto del Ba­raccano, 1740), creavano pizzi e merletti fatti piuttosto di alito che di materia. Altro complesso artigiano di eccezionale interesse la manifattura ceramica di Colle Ameno, or~anizzata come autonoma comunità artigianale (chissà ma1 quanto fourierana) sotto l'illuminata prote­zione del marchese Ghisilieri (e alla sua morte nel 1765 le manifatture si sciolsero). N ella terraglia Aldrovandi entrava invece una qualche quantità di polvere di marmo: fu cosi che il conte acquistò i nobili detriti della statua equestre del Duca estense Francesco III, demolita rivo­luzionariamente nel 1796 dal suo piedistallo modenese in Largo Sant'A~ostino. E certo che l'autore, il carra­rese abate Cibe1, non aveva evitato un'evidentissima sproporzione cortigiana dell'ampolloso Duca con il ca­vallo, come tramanda il modello in terracotta pervenuto una trentina d'anni fa nei depositi della Gallerta Estense di Modena (fig. 4) . 3

Alla Bolo~na papalina si presentavano alternative la Parma illummista e la Faenza giacobina borghese: due sedi di tradizione artistica diversa dal classicismo seicen­tesco. Lungo la strada di Parma, la sosta a Reg~io con­sentiva la visita alle mostre minori del simpatico Fra' Stefano da Carpi (nella cui ingenuità non lat:itano, come giustamente scrive il curatore Pirondini, ironia ed autocritica) e di Gerolamo Donnini, dalsoliano e cigna­nesco soprattutto efficace nei dipinti di destinazione privata. Ma ben altro decollo di civiltà si esprimeva a Parma, città la cui importanza nel terzo quarto del secolo, per la nostra storia, non appare sopravvalutabile: in quei vent'anni di regno di Filippo di Borbone nei quali nuova­mente si voleva dar vita ad uno dei sogni dell'uomo fin dall'antichità ciclici e ricorrenti, di fare del governo di uno stato il paradigma della razionalità del reale. Tanto che l'esposizione avrebbe potuto a buon diritto inti­tolarsi ' Parma e l'Europa, . Sappiamo che l'esterofilia può esser manifestazione estrema di provincialismo; ma nell'attenzione, nella fiducia con cui Parma si appropriò dell'esempio operoso degli stranieri, leggiamo uno dei pochi moment1 autenticamente tutt'altro che provinciali della nostra storia. Gli stranieci la ripagarono affettuosa­mente; il ricorso stendhaliano al toponin1o parmense certifica il nome magicamente capace di evocare e sug­geriJ·e. Certo, nel secolo non ci so n solo quei vent'anni : prima, i Farnese (estinti nel '3r) e la reggenza; e dopo, la decadenza sempre più progressiva, con lo svilirsi degl'ideali di modernizzazione sotto il pio Ferdinando (i Gesuiti, cacciati nel 1768, iniziano a tornare un decen­nio dopo) e la moglie viennese Maria Amalia. Una para­bola che nella mostra della Pilotta si leggeva tutta e bene, con chiarezza di esemplificazione; non senza l'opportuno richiamo che la complessità del reale detesta le semplifi­cazioni ideologizzanti, e che Illuminismo e reazione potevan convivere nel quotidiano fianco a fianco, e così gli artisti portabandiera delle due diverse ideologie po­tevano essere amici, e magari (il piissimo Callani non di­sdegna disegni licenziosi) un unico personaggio con­tenere contemporaneamente in se stesso le due diverse tendenze.

I dipinti esposti a Parma alternavano con gli emiliani (Boselli, Spolverini) le prestigiose presenze straniere:

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'' Dal Ricci al Tiepolo , , ma anche Conca, Benefial, Batoni, e i napoletani Solimena e Traversi. Di quest'ul­timo, artista fra i grandi del secolo, si vedeva ricomposto in mostra il nucleo originariamente destinato al convento francescano di Castellarquato. Fra i meno immediati riferimenti culturali per l'artista poteva sembrare di scorgere, in un dipinto come ' Cristo mostrato al popolo , un qualche sapore bolognese moderno, fra Crespi e Creti (nel torso del Cristo, nel paggio a destra). È un'impres­sione che resta appena enunciata: quei dipinti furono eseguiti a Roma. Certo che l'interesse del T raversi per i Bolo~nesi seicenteschi è già testimoniato nella più antica cita:;;1one dell'artista napoletano (le Pitture di Bologna del Bianconi, del 1776, sette anni dopo la morte del pit­tore) : dover eseguire copie dal Guercino, da Annibale e da Guido per l'Osservanza bolognese poteva averlo indotto ad una permanenza per ora non documentata nella città emiliana.

Per molti, la produuone artistica del grande momento illuministico parmense avrà costituito una sorpresa almeno parziale. Introdotti dai quadri dello Zoffany (cui vanno decisamente mantenuti i bellissimi ritratti dell'architetto Petitot e del nipote), Baldrighi, Ferrari e Bossi dovevan condizionare irrtmediabilmente anche la successiva rifor­ma neoclassica nella forma e cattolica nella sostanza, grazie alla loro apertura culturale, alloro prestigio europeo (Baldrighi, eletto nel '56 Accademico d'Onore e profes­sore all'Académie Royale di Parigi; Bossi, fisiognomista all'altezza degli esperimenti di Lavater e F. X. Messer­schmidt). Nello stesso tempo, Parma veniva sottoposta ad una minuziosa operazione di progettazione urbana da Ennemond Petitot, giuntavi ventiseienne nel 1753. E l'acu­me critico del P etitot, la sua intelligenza storica, la fanta­stica genialità inventiva giungevano a prospettare la città come un'operazione totale, un Gesamtkunstwerk ante litteram, entro un concetto di Natura illuministico, di­verso quindi da quello che abbiamo visto contemporanea­mente vigente a Bologna, e terreno di investigatione ed esperienza. In questo lavoro Petitot costruì il proprio repertorio di forme sempre con un senso ingegneristico che ne impone immediatamente la figura come quella di un vero architetto costruttore. Al crollo dell'Illumini­smo parmense (Condillac parti nel 1767; lo scultore Boudard mori nel 1768; il ministro Du Tillot fu cacciato nel '71), Petitot sopravvisse trent'anni, ma isolato e lon­tano da corte: traendo certo un qualche conforto dal successo che specie in Lombardia continuavano a incon­trare le sue idee architetturali e di design.

Gli studi di architetture e urbanistica trovavano una bella appendice nella vicina Colorno, entro un work in progress che aveva ottenuto l'effettivo coinvolgimento, né paternalistico né velleitario, dell'intera popolazione color­nese: subito saldando con la vita e i bisogni della cittadina quei risultati scientifici emergenti dalle schedature di fondi librari ignorat!J_ dai lavori d'archivio, dalle ricogni­zioni di territorio. r; cosi che il progressivo completa­mento del restauro archi tettonico della reggia approderà alla completa rivitalizzazione attraverso nuove e ben motivate funzioni di un monumento che la cittadina si riacquisisce, riscoprendone la centralità per la propria storia passata.

Non altrettanto fondate motivazioni ci è parso ricono­scere nella mostra di Piacenza: ove la presenza delle arti minori ad esempio (denominate significativamente "ar­redamento, e non " arredo , come altrove) risultava del tutto casuale ed elitaria, rispondente a cnteri che non sapremmo più condividere. Tanto che la parte di vero

interesse e sicura qualità risultava la proposta di esame dell'architettura, avanzata da Anna Maria Matteucci con il consueto approfondimento (approdato ad un recentis­simo volume sull'argomento). l vi si scoprivano, aldilà degli splendidi cancelli in ferro battuto, anche presenze neoclassiche inattese: a Piacenza aveva lavorato del resto lo stesso Cosimo Morelli, e il piacentino Lotario Tomba si mostrava non indegno dell'omonimo romagnolo Pietro.

Certo che il piccolo Bauhaus neoclassico del faentino palazzo Milzetti, dove l'impresa condotta da Felice Giani lavora dal z8o2 al 18o5 intervenendo nell'architettura impostata dal Pistacchi e continuata da Giovanni Antonio Antolini, in un importante crocicchio spaziotemporale indagato da Andrea Emiliani, esemplifica rispetto a l resto della regione le memorabili inedite qualità della Faenza fin de siècle. Visitare il palazzo, appena terminato di restaurare, già sapendo che l'inteUigente acquisizione da parte dello Stato (nel 1973) ne favorirà la destinazione ad archivio del Neoclassico romagnolo, e privi quindi della consueta sensazione di precarietà, predisponeva per il meglio ad immergersi nei due grandi gruppi costitutivi dell'esposizione, la decorazione da un lato e la grande architettura romagnola fra fine Sette- e primo Ottocento dall'altro.

Quanto alla prima, il nucleo abbondante e ben ordinato di opere di Feltce Giani presenti in mostra a cura di Anna Ottani, non può non averne definitivamente introdotto la figura d'artista anche nel comune patrimonio culturale del pubblico non particolarmente specializzato. Una pro­posta cosi organica, sostanziata di esempi di qualità tanto elevata (a partire dal n. I di catalogo: la 'Santa' di pro­prietà di Pico Cellini) ha il valore e l'effetto di una con­sacrazione definitiva; con una diffusione, speriamo, che collocando l'artista nel contesto europeo che gli pertiene faccia sembrare piuttosto un secolo che soltanto sette gli anni trascorsi dall' incredibile voce di catalogo sul Giani nella mostra londinese sul N eoclassico, farcita di errori. Raro praticante di dipinti da cavalletto (forse, proponiamo, perché lo stile compendiario e il tocco sprez­zato funzionali alla decorazione murale, avrebbero indotto il pubblico ad equivocare per non finito un quadro su tela), da giovane alla scuola di Ubaldo Gandolfi e del Pedrini (e cosi il filo si saldava, per chi già avesse fre­quentato la mostra di Bologna), già in due opere del 1784 Giani rende certi del suo dominio dei differenti registri da suonare: appassionatamente agitato nel ' Sansone e Dalila ' secondo premio a Parma, è classico e rnisuratis­simo nel ' Genio delle Belle Arti ' ancora di proprietà Cellini. C'è da augurarsi ora una monografia compren­siva, che riordini il vasto materiale tuttora in esistenza; cui è da aggiungere, fra i tanti cicli decorativi emiliani, la saletta modenese del 1815 che illustriamo brevemente a parte. Con Giani dunque la mostra faentina andava sul sicuro: levando gli occhi dai disegni prel?aratori esposti nelle vetrine alle pitture murali dei soffitti, molti avran provato con particolare intensità il brivido di riper­correre fino a parteciparvi quello speciale atto creativo.

Decorazione in scala più ridotta, ma spesso geniale, quella del comasco Filippo Comerio per la fab brica cera­mica Ferniani; e non sappiamo quanti, dopo tanta libertà stilistica sua e del Giani, avranno avuto occhi per il purismo del Minardi. Lo stesso passaggio al Purismo è nell'ar­chitettura di Pietro Tomba (e qui il calembour sarebb~ fin troppo facile), dopo le grandi figure d 'architetto dt Pistacchi e dell' Antohni: sempre generosamente sfortu­nato il primo, e del resto " architetto senza architet~ur_e per eccellenza del Neodassicismo italiano 11 (Bertom) 1l

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secondo. Pur apprezzando tanta nobiltà di sentimenti, più d'uno avrà ritenuto non proprio tragico che tanti multi­formi progetti, come la caserma sul Moncenisio per 14500 allievi, non abbiano avuto modo di realizzarsi.

Ma qui chiudendo su queste mostre, e aldilà degli aspetti che con maggiore evidenza e precedenza si presen­tavano, crediamo che col passar del tempo si misurerà ancor meglio l'intera portata dello sforzo compiuto in Emilia per condurre a realizzazione queste iniztative: e valutare il vero avanzamento della ricerca cui esse han condotto. Nei loro caratteri comuni, in quelli che le diversificavano, le civiltà figurative del Settecento emi­liano son state ricostruite con eccezionale efficacia di risultati, ed oggi fan parte più e meglio del nostro patri­monio culturale.

G IORGIO BONSANTI

(*) Le mostre in esame sono: L'Arte del Settecent() in Emilia-Romagna. La pWura. L 'Accademia

Clementina, Bologna, Palazzo del Podestà, Palazzo di Re Enzo. L'Arte del Settecento in Emilia-Romagna. Architettura, Scenografia, Pittura di Paesaggio, Bologna, Museo Civico. L'Arte del Settecento in Emilia e Romagna. L'arredo sacro e profano, Bologna, Palazzo

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Pepoli Campogrande. L'Arte del Settecento in Emilia-Romagna. La raccolta Zambeccari, Bologna, Pinacoteca Nazionale (periodo: 10 settembre- 25 novembre 1979). I materiali dell'Istituto per le scienze, Bologna Accademia delle Scienze (periodo: ro settembre -25 novembre 1979). La Reggia di Colorno nel '700, Colorno, Palazzo Due<~Je (periodo 5 settembre - 5 novembre 1979). L'Arte del Set­tecento in Emilia e Romagna. L'età neoclassica a Faenza, Faenza, Palazzo Milzetti (periodo: 8 settembre - 26 novembre 1979). L'Arte del Settecento nell'Emilia e Romagna. L'Arte a Parma dai Farnese ai B orbone, Parma, Palazzo della Pilotta (periodo: 22 set­tembre- 22 dicembre ~979). Società e cultura nella Piacenza del '7oo, Piacenza, Palazzo Farnese (periodo: 30 settembre - rS novembre 1979). Fra' Stefano da Carpi, Reggio Emilia, Ridotto del Teatro Municipale (periodo: 29 settembre - 28 ottobre 1979). Girolamo Donnini, Reggio Emilia, Palazzo del Capitano del Popolo (periodo: 6 ottobre - 31 ottobre 1979).

1) Cm. 68 x 96. Acquistati all'esportazione nel 1956; inv. 1890, nn. 9379 e 938o espost.i nel r96o (Nuovi acquisti delle Gallerie fiorentine, nn. 6 e 7).

2) Scheda 1939, n. 20; scheda 1968, n. 3, redatta d a Alfonso Garuti. il dipinto, di grandi dimensioni (350 x 270) è stato restau­rato nel 1976 da Maricetta Parlatore M elega, a cura della Soprin­tendenza. Sul L amberti mane<~ uno studio mod!:rno, che appare non rinviabile.

3) 11 bozzetto, lasciato in visione da un pnvato anonimo circa trent'anni fa e non più reclamato, non è ancora inventariato.

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ABBREVIAZIONI

A.C. = Archeologia Classica.

Bull. Com. = Balleuino della Commissione Archeologica Comunale.

C.V.A.

D.d.A.

E.A.A.

].d.l.

- Corpus Vasorum Antiquorum.

= Dialoghi di Archeologia.

= Enciclopedia dell'Arte Antica Classica e Orientale.

= jahrbuch des Deutschen Archéiologischen Instituts.

M.A.L. = Monumenti Antichi dell'Accademia dei Lincei.

N.S. = Notizie degli Scavi di Antichità.

R.E. = PAULY-WJSSOWA, Realencyclopedie der Klassischen Altertumswissenschaft.

R.I.A.S.A. = Rivista dell'Istituto di Archeologia e Storia dell'Arte.

R.M. = Mitteilungen des Deutschen Archaologischen Instituts Romische Abteilung.

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