Sentieri e strade storiche in Valtellina e nei Grigioni. · Per mantenere e vivificare i rapporti...

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1 Sentieri e strade storiche in Valtellina e nei Grigioni. Dalla preistoria all’epoca austro-ungarica Cristina Pedrana ottobre 2004 Città di Sondrio Unione Europea Regione Bregaglia Castello Masegra e Palazzi Sali:s un circuito culturale dell’area retica alpina Progetto Interreg IIIA

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Sentieri e strade storiche in Valtellina e nei Grigioni.

Dalla preistoria all’epoca austro-ungarica

Cristina Pedrana

ottobre 2004

Città di Sondrio Unione Europea Regione Bregaglia

Castello Masegra e Palazzi Sali:s un circuito culturale dell’area retica alpina Progetto Interreg IIIA

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Città di Sondrio

Le relazioni culturali, storiche, artistiche, economiche e sociali fra le due realtà confinanti della Valtellina e Valchiavenna e del Canton Grigione sono di lunga data e sono state nel tempo particolarmente intense e significative, sebbene non prive, a volte, di conflitti e lacerazioni. A partire dalla seconda metà del secolo appena trascorso nei due territori confinanti si è consolidato un lavoro di ricerca storiografica che ha consentito di mettere in luce, al di là degli elementi di frattura e divisone, i rapporti di collaborazione intercorsi tra i due popoli e le problematiche socio-culturali alle quali essi hanno trovato nel tempo soluzioni e risposte analoghe. L’amministrazione comunale di Sondrio è consapevole che, nel momento in cui – come membri dell’Unione Europea – siamo impegnati nella costruzione di una comune identità europea, la conoscenza dell’insieme di vicende storico - politiche e dei prodotti culturali che formano le radici di ciascun paese assume un’importanza centrale. Ha, pertanto, voluto valorizzare e sostenere questa attività di ricerca attraverso il progetto “Castello Masegra e Palazzi Salis: un circuito culturale dell’area retica alpina”. Nel presentare oggi con piacere al largo pubblico della rete web il risultato del lavoro di un gruppo di qualificati e appassionati studiosi della provincia di Sondrio, il Comune di Sondrio ritiene di rispondere, almeno in parte, all’auspicio avanzato ormai più di 50 anni fa dallo storico Enrico Besta: “Ogni popolo è giustamente custode geloso delle proprie tradizioni, ma il tradizionalismo non deve essere fomite di antitesi etniche e politiche. Una storia che si ispiri a tradizionalismi angusti è propaganda politica, per se stessa la storia non provoca scissure, promuove armonie. Ecco perché nell’interesse generale della cultura, mi rifiorisce sulle labbra l’augurio che gli storici reti ed i valtellinesi si tendano fraternamente la mano perché su entrambi la luce del passato brilli senza velo e adduca verso il conseguimento di una civiltà veramente umana.” (Enrico Besta, Coira 24 aprile 1948) L’assessore alla cultura Il sindaco di Sondrio Giuseppina Fapani Antamati Bianca Bianchini

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Sommario Introduzione............................................................................................................................................. 5 Epoca preistorica ...................................................................................................................................... 8 Epoca romana..........................................................................................................................................12 Epoca medioeval e e ducale ........................................................................................................................20 Epoca Grigiona........................................................................................................................................31 Epoca Napoleonica (1797-1815) .................................................................................................................39 Epoca Austro-ungarica ..............................................................................................................................43 Bibliografia.............................................................................................................................................53

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Abstract In un progetto di forte valenza culturale come il progetto "Castello Masegra e Palazzi Salis: un circuito dell'area Retica Alpina", promosso per valorizzare la cultura di valli contigue, unite da un territorio e da una storia quotidiana che presentano caratteri di omogeneità, non poteva mancare un riferimento alle strade. Esse sono il segno concreto e visibile di una fittissima rete di comunicazioni materiali e culturali, diffusa sulle Alpi all'interno di vallate impervie e per valichi elevati, in costante evoluzione, a seconda dei bisogni delle popolazioni e dei mutamenti del clima, fattore quest'ultimo che consentì per molti secoli - almeno fino alla fine del XVI secolo - il transito in luoghi oggi inaccessibili. Lo scopo del lavoro è quello di fornire, in una veloce panoramica, alcune indicazioni sulla origine e sullo sviluppo della rete di piste, di sentieri, di mulattiere, di strade che, dalla preistoria fino alla metà del XIX secolo, ha segnato e caratterizzato il territorio della Valtellina e della Val Chiavenna, nel cuore delle Alpi Centrali. Uno studio approfondito e completo, su di un argomento così ricco e fecondo di implicazioni e riferimenti di carattere geografico, ambientale, antropologico, storico, sociale, architettonico, spirituale richiederebbe spazi e tempi ben più vasti. Ai limiti di una sintesi necessariamente incompleta e poco esauriente, si aggiungono, d'altro canto, i molti aspetti ancora oscuri su itinerari, tracciati o vicende legate ai trasporti e ai commerci. La finalità vera di questa ricerca, allora, potrebbe forse essere quella di suscitare curiosità, di far nascere il desiderio di studi accurati sulle fonti bibliografiche o, soprattutto, di ricerche sul campo, che integrino i molti dati mancanti per comporre il variegato tessuto di rapporti, comunicazioni e scambi con altri popoli. La scoperta di nuove fonti documentarie o di testimonianze materiali, importanti o modeste che siano, potrebbe dar corpo e forza a ipotesi, proposte o supposizioni avanzate dagli autorevoli studiosi che si sono finora impegnati in queste ricerche. Forse, lo scoprire che proprio il sentiero dietro casa, tante volte inconsapevolmente percorso, è stato nei secoli passati il faticoso tramite verso paesi e genti vicini, ma di cui, oggi, sappiamo molto meno di quanto non sapessero i nostri antenati, ci può aiutare a riflettere e a comprendere il senso delle infinite trasformazioni della storia. Percorrendo e studiando gli antichi tracciati, ci si rende immediatamente conto di come le Alpi non siano mai state un ostacolo insormontabile: gli uomini, infatti, hanno sempre trovato il modo di vincere le asperità del terreno o l'inclemenza del clima e di raggiungere i propri obiettivi strategici, politici, economici o culturali, nonostante i mezzi semplici e rozzi di cui potevano disporre. Altre riflessioni si possono fare notando come le direttrici fondamentali degli spostamenti siano collocate sull'asse da Nord a Sud e viceversa; poi, ancora, ci si potrebbe stupire per il numero elevato degli itinerari, oggi quasi del tutto dimenticati, utilizzati in un periodo difficile come quello medioevale; in cui gli uomini si spostavano per commerci, pellegrinaggi, guerre di attacco o di difesa con caparbia costanza. Data la centralità del territorio valtellinese rispetto alle grandi potenze europee nel XVII secolo, un altro interessante argomento di studio potrebbe riguardare le strette correlazioni tra le alleanze politiche e la costruzione di nuove strade come avvenne nel periodo del governo grigione, o, ancora, su quali siano state le tecniche costruttive, come si siano modificati i tracciati e le tipologie nel corso dei secoli: da sentieri che congiungono piccole contrade a strade che evitano i borghi. Tantissimi i campi di indagine: i risultati potrebbero confluire in un' opera completa che oggi manca.

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Sentieri e strade storiche in Valtellina e nei Grigioni dalla preistoria all’epoca austro-ungarica

Cristina Pedrana

Introduzione La qualità delle relazioni, sempre necessarie e intense, tra uomo e ambiente, tra uomo e il suo territorio, può condizionare e modificare la nostra esistenza fisica e spirituale in modo così forte e incisivo che, se vogliamo condurre una vita serena, dobbiamo improntare i rapporti con quanto ci circonda ad un equilibrio armonioso, sostenuto da amore e rispetto. Sentimenti questi ultimi, che sorgono spontanei quando si conoscono bene i luoghi in cui si vive; i paesaggi entrano dentro al nostro cuore e noi sentiamo di farne parte quando li conosciamo a fondo in tutti i loro aspetti. Ora, una conoscenza davvero profonda del luogo in cui si vive si può ottenere grazie ad un particolare gusto per il sapere, grazie ad una vista che "vede" e sa andare al di là di ciò che il paesaggio presenta esteriormente ai nostri occhi, consentendo una "intelligenza" del territorio che va oltre i confini del nostro tempo. Mentre cogliamo i mutamenti di certe situazioni, possiamo, forse, comprendere le cause di scelte fatte nell'antichità che oggi condizionano la nostra vita: perché questo paese è sorto qui? perché questa strada non è stata costruita in una valle laterale? La riflessione approda, attraverso l'indagine storica, alle nostre origini e ci aiuta a capire chi siamo e, forse, ci mostra alcune linee di tendenza per i comportamenti nel futuro. Nell'ambito del paesaggio, l'elemento dove meglio si evidenzia e caratterizza l'intervento dell'uomo, assumendo un rilievo sempre più deciso e incisivo per le sue vicende, è la presenza della rete viaria che in modo capillare raggiunge ogni centro abitato. L'ampia distesa orografica delle Alpi che separa i grandi bacini fluviali dell'Europa centro-meridionale, con la sua caratteristica strutturazione di impervie vette e solchi tortuosi nelle vallate, non sembra certo favorevole per i transiti. D'altronde anche i fattori climatico-ambientali spesso ostili, segnati da fasi fredde con conseguenti espansioni glaciali e fasi calde seguite da alluvioni e gigantesche frane, hanno pesantemente condizionato la storia degli attraversamenti e degli scambi materiali e culturali delle popolazioni. Gli Horridi montes, le tremendae Alpes1, viste nella tradizione classica come una barriera posta a guardia dell'ordinamento politico e dell'identità culturale dei Romani, invece, in realtà sono state il centro nodale di incontri, di rapporti e di interazioni tra gruppi etnici diversi che con le loro piccole storie di viandanti, mercanti o pellegrini sfiniti dalla stanchezza, hanno contribuito a costruire eventi storici di ben altra portata. Certamente per i Romani abituati a razionalizzare e a organizzare il terreno per la coltivazione e, per di più, provenienti da territori "più facili", le Alpi dovevano rappresentare un luogo ostico, selvaggio, indomabile e perciò stesso avvolto in un'aura di mistero e paura che ha portato nel tempo alla sacralizzazione di alcuni particolari siti montani. Alle popolazioni indigene, ovviamente, questo sentimento di avversione e di necessaria sfida era sconosciuto, anzi esse sono riuscite ad organizzarsi in quegli "stati di valico" che ancora oggi, pur nelle persistenti difficoltà ambientali, sono modello di una struttura fondata su intense e capillari vie di comunicazione.

1 La citazione è tratta dal titolo del testo di F. Borca, Horridi Montes ambiente e uomini di montagna visti dai gallo-romani, Aosta 2002.

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Dai primi modi di vita autoorganizzati, piuttosto simili tra loro su tutto l'arco alpino, si è arrivati a forme di civiltà diversificate, più o meno ricche, più o meno evolute. Tuttavia le popolazioni delle Alpi, pur nella loro varietà, hanno un comune denominatore così fortemente vincolante e radicato nell'ambiente che non a torto, come ricorda A. Gorfer2, ci si è chiesti se non esista un'anima della "nazione" alpina. Forse è possibile l'esistenza di uno spirito comune che ignora la presenza di valichi, di barriere frapposte da creste e da fiumi, che non tiene conto di dogane e di confini politici, comunque sempre artificiali anche quando rispettano gli spartiacque. Tuttavia è anche vero che in un vasto ambiente omogeneo, il senso di appartenenza a un luogo, o meglio la coscienza di questa appartenenza, può venire meno dopo secoli vissuti in stretto collegamento o, addirittura, in dipendenza da popoli diversi, fortemente accentratori, o sotto altre organizzazioni politiche capaci di imporsi. Può venire meno soprattutto se si insinuano il pregiudizio, il desiderio di volontario isolamento, la volontà di prevaricare e l'ignoranza del proprio passato. Per mantenere e vivificare i rapporti con le popolazioni che vivono tante esperienze simili alle nostre, per vivere più consapevolmente e intensamente il nostro ambiente alpino, sembra, dunque, necessario conoscere a fondo il territorio in cui si vive, anche attraverso l'elemento più ovvio, perché indissolubilmente legato all'idea di comunicazione, e cioè la fitta rete di strade, sentieri, mulattiere che lo hanno segnato nel passato, permettendo il nascere e il fiorire di incontri, e, talvolta, anche di scontri, che comunque costituiscono le basi della nostra civiltà. Perciò lo scoprire che, magari, proprio il sentiero dietro casa, che tante volte abbiamo percorso inconsapevoli, ha visto passare schiere di soldati, messaggeri o diplomatici affaticati o anche solo file di muli carichi di merci, diretti verso paesi di cui noi, oggi, sappiamo meno di quanto sapessero i nostri antenati, forse ci può aiutare a riflettere e a comprendere. È necessario ripercorrere e ispezionare antichi tracciati alla ricerca di strutture di supporto alle strade, come ponti, muri di sostegno, luoghi di sosta, osterie, chiese o cappelle o altri resti abbandonati; tutti questi elementi, insieme ad una attenta osservazione delle condizioni idro-orografiche, agricole e insediative, ci possono aiutare a ricostruire l'immagine di passaggi, oggi, almeno in parte, dimenticati.

Lo scopo di questo necessariamente sintetico lavoro è di ricordare quanto le strade, che sono il segno concreto della comunicazione materiale e spirituale, fin dai tempi più lontani abbiano svolto una funzione fondamentale nello sviluppo della nostra storia. Esse infatti, sono l'elemento artificiale, nato con l'uomo, che innestandosi sull'elemento naturale, hanno creato un nuovo paesaggio che, via via profondamente modificato, a sua volta incideva sui modi di essere delle popolazioni, portando al cambiamento di abitudini e di mentalità. Secondo la scala dell'attività antropica, proposta da Caniggia3, la prima attività dell'uomo è stata quella di percorrere il territorio, in seguito si è insediato in un luogo, ha avviato una attività produttiva e, quindi, ha organizzato gli scambi e cercato i percorsi per poterli effettuare. Lo studio di dove, come, quando e perché è nata una strada presuppone una riflessione sulla situazione geografica, ambientale e storica che ne ha favorito la nascita. Come nasce una strada? "Popolazioni in movimento, individuato un luogo di insediamento che corrisponda a talune esigenze, vi si insediano; da lì poi cominciano a dirigersi verso una serie di luoghi che esercitano un potere di attrazione per le loro caratteristiche, per esempio per l'esposizione riparata, per la presenza di sorgenti, luoghi di culto, di punti di avvistamento o di difesa. Le correnti di circolazione generano dei camminamenti che nel tempo diventano sentieri e poi strade". Questa sorta di definizione di Pierre Lavedan4 sembra descrivere efficacemente l'origine delle strade.

2 A. Gorfer, Itinerari alpini nel Medioevo in Valtellina, Sondrio 1993. 3 G. Caniggia, Strutturazione dello spazio antropico, Firenze 1985. 4 P. Lavedan – J. Hugueney, L'urbanisme au Moyen Age, Ginevra 1974; G. Oneto, Paesaggio e architettura delle regioni padano alpine dalle origini alla fine del primo millennio, Ivrea 2002.

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È importante distinguere i passaggi nati per soddisfare bisogni occasionali o, comunque, saltuari che hanno dato vita a piste o sentieri di importanza temporanea e solo locale, da quelli che hanno, nel corso degli anni, assunto una notevole rilevanza storica o che sono nati per precise esigenza di difesa, invasione, di particolari traffici commerciali; strade, cioè, che sono sorte su di un evidente progetto viario5. In questa ottica subito si distinguono le direttrici primarie del nostro territorio, le cui linee di tendenza si sviluppano prevalentemente sull'asse sud-nord, a riprova che le Alpi non hanno mai costituito una barriera insormontabile, anzi, che attraverso i loro valichi hanno offerto la possibilità di oltrepassare gli spartiacque. La direzionalità costante, però, si concretizza in numerosissimi itinerari paralleli, affiancati, anche a poca distanza uno dall'altro, utilizzati in alternanza a seconda delle situazioni e del trascorrere del tempo. Ci si può chiedere, allora, perché certi percorsi siano stati abbandonati per lungo tempo e poi riutilizzati, oppure perché altri sentieri, prima trascurati, siano in seguito divenuti vie di primaria importanza. È difficile arrivare ad una risposta soddisfacente dato che spesso la ricostruzione materiale è avvenuta cancellando le tracce e i manufatti più antichi e, quindi, rendendo impossibile riconoscere e leggere l' itinerario precedente. La via lungo la Valtellina, nella direzione ovest-est, che dal secolo XIX ha concentrato su di sé i maggiori interessi, non esisteva nella posizione attuale sul fondovalle; c' era sul versante retico (e così anche su quello orobico), una strada a mezzacosta con la funzione di collegamento tra i diversi paesi, essa a sua volta costituiva il raccordo della fitta rete di sentieri che scendevano dalle valli retrostanti. Le difficoltà maggiori si incontravano quando necessariamente si doveva oltrepassare l'Adda: i ponti erano pochissimi e frequentemente in pessime condizioni, c'erano alcuni punti di approdo chiamati porti, come quello di Albosaggia, dove, comunque, l'attraversamento era assai rischioso6.

5 G. Luraschi, Via Regina: inquadramento storico, in L'antica via Regina, Como 1995. 6 D. Sosio, Albosaggia, Sondrio 1987.

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Epoca preistorica

Ancora tra i 25.000 e i 15.000 anni fa la Valtellina era completamente ricoperta dai ghiacci dell'ultima grande glaciazione, nel corso di un millennio iniziò il ritiro delle lingue di ghiaccio che ebbe come conseguenza il collasso dei depositi rocciosi e quindi il diffondersi di enormi frane come quella nel territorio di Flims nel Canton Grigioni. Tra il 10.000 e il 6.000 a.C. nel cosiddetto stadio di Daun, il clima sempre più mite consentì agli uomini di cominciare a insediarsi anche nelle Alpi centrali. Dal 6000 a.C. per tutto il periodo neolitico fino al 2.200 a.C., per l'eneolitico fino al 1500, per il calcolitico fino circa al 1000 a.C. poi ancora per tutta l'età del ferro (ma anche per le epoche storiche fino alla seconda metà del XVI secolo dopo Cristo) i pascoli e le praterie si trovavano a quote molto elevate considerato che il limite dei ghiacciai era risalito fin oltre i 3.350 metri di altitudine. Dunque l'estensione molto

Siti e percorsi prevalentemente utili zzati in epoca preistorica

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maggiore dei pascoli, l'inerbimento di zone prima sterili e lo sviluppo dell'area boschiva consentirono insediamenti in alta quota. E proprio all'epoca mesolitica risalgono le prime tracce di popolazioni protocamune. Nelle nostre zone gli scavi hanno portato alla luce i resti di alcuni bivacchi e piccoli insediamenti presso il passo del Gavia e al Piano dei Cavalli in Val San Giacomo7. All'età neolitica superiore risalgono le prime incisioni antropomorfe della zona di Grosio che risentono dell'influenza camuna con le loro figure legate ad una tecnica molto semplice e schematica che, poi, divenendo via via nel corso di migliaia di anni, fino alla prima età del bronzo, più articolate e complesse ci danno preziose indicazioni sul modificarsi della vita della popolazione indigena8. Sicuramente degne di nota per le somiglianze con quelle di altri siti sono le incisioni ritrovate nei pressi di Castione Andevenno, che risalgono all'età del bronzo. All'età del rame risalgono forse le stele trovate nella zona di Teglio9. I transiti, soprattutto nell'età del bronzo e del ferro, erano facilitati da valichi accessibili e percorribili quasi senza problemi, la catena delle Alpi. insomma, non si poneva come un ostacolo tra un versante e l'altro e, quindi, non impediva i rapporti tra gli abitanti di una vallata e l'altra, anzi, spesso, date le difficili condizioni dei fondovalle paludosi, i rilievi costituivano una zona di sicurezza su cui si era instaurata una fitta rete di itinerari e collegamenti. A testimonianza della facilità di transito a quote molto elevate, si può citare il ritrovamento del cacciatore di Similaun, morto mentre passava su di un valico minore della catena altoatesina presso il giogo della Tisa. Testimonianze di antichissimi scambi avvenuti nella età precedente a quella del ferro, si trovano in numerosi reperti nelle zone della Val Chiavenna in cui sono evidenti influenze della cultura di Golasecca diffusa a Est nel nord della Lombardia e nel Canton Ticino, mentre in Valtellina si evidenziano contatti con la cultura altoatesina e dei grigioni orientali di Luco-Melun10. Eventuali ostacoli o difficoltà nei rapporti con popolazioni oltremontane, piuttosto, potevano derivare da condizioni metereologiche momentaneamente avverse o da situazioni localmente ostili. A segnare i limiti del territorio e a costituire una barriera quasi insormontabile tra una popolazione e l'altra, più che le creste alpine, furono i fiumi e i torrenti che impedirono regolari e costanti comunicazioni, obbligando all'isolamento anche culturale paesi magari in linea d'aria vicinissimi. A prova di questa "incomunicabilità" vi sono numerose attestazioni toponomastiche e molte forme lessicali che rivelano origini decisamente differenti tra luoghi che, pur fronteggiandosi, sono separati da corsi d'acqua.

7 F. Fedele, Preistoria e paleoambienti della Valchiavenna 1994: S. Caterina di Gordona, Pian dei Cavalli, Montespluga, in “ Clavenna”, XXXIII (1994), pp. 9-86; M. Cremaschi – Fabio Negrino – Diego Angelucci, Testimonianze mesolitiche a Dosso Gavia – Val di Gavia (Sondrio), in Atti del II convegno Archeologico Provinciale, Grosio 1995, pp. 35-40. 8 D. Pace, Sistema petroglifico di Grosio, in “Bollettino della Società storica valtellinese”, 23 (1970), pp. 5-33. Cfr anche. G. Antonioli, Valgrosina arcaica, dal lessico alla toponomastica per giungere alle più antiche attestazioni documentarie, in “Bollettino storico Alta Valtellina”, 6 (2003), pp. 19-28. 9 E. Anati, Le prime comunità umane un Valtellina, in Le origini della Valtellina e della Valchiavenna. Contributi di storia sociale dalla preistoria all’alto medioevo , Sondrio 1989, pp. 31-43. 10 R. Poggiani Keller, Valtellina e mondo alpino nella preistoria, Milano 1989 e U. Sansoni - S. Gavaldo – C. Gastaldi, Simboli sulla roccia, Capo di Ponte, 1999.

Incisioni rupestri nella zona di Castione

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I primi trasferimenti furono quelli legati alle transumanze di greggi alla ricerca di pascoli migliori; per lo spostamento furono utilizzati, lungo le vallate più ampie e quando le creste non troppo accidentate lo rendevano possibile, i percorsi di crinale, sia per evitare l'attraversamento dei fiumi, sia per dominare dall'alto territori poco conosciuti, sia, infine, perché ad altitudini elevate l'assenza di boschi rendeva più agevole il transito11. La mancanza di sorgenti d'acqua non consentiva stanziamenti prolungati, perciò le prime popolazioni che decisero di insediarsi stabilmente sui monti scelsero zone comunque alte sui pendii, tra i 1.500 e i 2.000 metri di altitudine, ma in luoghi vicini alle risorgive, di solito su alture tra un displuvio e l'altro. Gli itinerari allora divennero di "crinale secondario", mantenendosi in quota con la funzione di collegamento tra i diversi villaggi sullo stesso versante o sul versante opposto, oltre lo spartiacque. L'economia chiusa, di pura sussistenza, non necessitava ancora di scambi commerciali e, quindi, nemmeno di relazioni frequenti con altri gruppi di uomini. Solo più tardi, quando si fece urgente la necessità di scambi regolari e a largo raggio, i tracciati delle strade si abbassarono ulteriormente, raggiungendo i fondovalle, che, comunque, per secoli continuarono a rappresentare un pericoloso ostacolo12, almeno finché non si diede inizio con tecniche avanzate ad opere di bonifica e arginatura. Sulle vie di fondovalle confluirono nel tempo i sentieri provenienti dagli altri versanti e si istituì una vera e propria rete viaria. Nell'età del ferro tra il 1100 e il 900 a.C. si verificò un temporaneo e diffuso abbassamento della temperatura accompagnato da un aumento della piovosità, questa variazione climatica nelle pianure del nord Italia portò alla formazione di paludi e stagni che resero più difficili gli spostamenti. Per quanto riguarda l'economia agricola l'agricoltura, allora praticata da Liguri, Reti, Celti, era di semplice sussistenza; sulle pendici dei monti fin dal 700 a.C. si diffuse la messa a dimora del castagno che integrava con i suoi frutti i prodotti alimentari. In quei secoli ebbe inizio anche il fenomeno della transumanza, lo spostamento, cioè, di mandrie e greggi alla ricerca di pascoli più ricchi e sfruttabili, che portò alla costruzione dei primi alpeggi. Nella tabella seguente, ripresa da Gilberto Oneto13, si evidenzia l'epoca in cui le prime popolazioni si insediarono nelle nostre zone lasciando alcune delle tracce alle quali già si è accennato in precedenza. Paleolitico 150.000 - 10.000 a.C. Mesolitico 10.000 - 6.000 a.C. Protocamuni (bivacchi Gavia e

Val San Giacomo) Neolitico inferiore Neolitico medio Neolitico superiore

6.000 - 4.000 a.C. 4.000 - 3.000 a.C. 3.000 - 2.200 a.C.

Camuni I Liguri Camuni II Prime incisioni a Grosio

Eneolitico 2.200 - 1.500 a.C. Arrivo Indoeuropei Calcolitico 1.500 - 1.000 a.C. Cultura dei Castellieri, di

Golasecca, di Terramare, Camuni IV

Età del ferro 1.000 - 100 a.C. Liguri, Reti, Veneti, Etruschi, Protocelti, Celti

11 G. Caniggia, Strutturazione dello spazio antropico, Firenze 1985; G. Caniggia, Percorsi, insediamenti e difese in rapporto all'oroidrografia della Lombardia prealpina, in Le fortificazioni del lago di Como, Como 1971. 12 P. Jorio, Acque, ponti, diavoli nel leggendario alpino, Ivrea, 1999. Cfr anche Il segno minore, Capo di Ponte, 2001. 13 G. Oneto, Paesaggio e architettura delle regioni padano alpine dalle origini alla fine del primo millennio, Ivrea 2002.

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L'invasione delle tribù celtiche intorno al 600 a.C. non si fermò nella pianura padana, ma si introdusse anche in alcune delle vallate più a nord sovrapponendo e mescolando elementi della cultura celtica a quelli retici. Le popolazioni di origine celtica, che erano molto interessate agli scambi, costruirono una fitta rete di comunicazioni via acqua, le sole allora possibili nella pianura padana, che all'epoca era ricchissima di acque interne. Nei luoghi più elevati, nelle zone collinari o montane, la rete era continuata e integrata da un efficiente sistema stradale, che in seguito venne ripreso e razionalizzato dai Romani. Le strade dei Celti erano pavimentate con argilla stesa su fascine e tronchi d'albero e spesso erano sostenute da muretti a secco costruiti con una tecnica molto accurata, la stessa utilizzata anche per costruire terrazzamenti per il recupero di terreno atto alla coltivazione di prodotti pregiati come il vino. Nella zona tra Valtellina, Valchiavenna e Grigioni gli assi di percorrenza più antichi, a tutt'oggi ricostruibili attraverso il ritrovamento di reperti, assai vari per tipologia e consistenza, sono: l'asse di crinale dal Passo di San Jorio allo Spluga; l'asse Valcamonica - Passo Gavia - Bormio - Val Monastero e la zona del Passo del Forno; l'asse Valcamonica - passo Mortirolo - Valtellina (con le deviazioni verso Grosio e verso Teglio) -passo del Bernina - Engadina; la bassa Engadina verso l'Alto Adige; la zona intorno a Sondrio all'imbocco della Val Malenco.

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Epoca romana

Per le vie di comunicazione utilizzate all'interno delle Alpi in epoca preistorica dirette verso i grandi bacini fluviali del Nord, per quanto capillari esse potessero essere, non si può parlare di un vero e proprio sistema viario. Infatti, solo dopo la conquista romana del territorio alpino, avvenuta nel 16-15 a.C. sotto l'imperatore Ottaviano Augusto, fu istituita una rete di strade razionale ed efficiente per raggiungere con facilità il limes danubiano, linea di confine con i Germani. L'imperatore, conquistate le Alpi orientali e quelle occidentali, talora in modo pacifico altre volte con violente repressioni, si trovò ad affrontare la zona centrale occupata dai Reti. La zona, chiamata Rezia, corrispondeva all'incirca alla regione tra i laghi di Como e di Costanza, tra i passi del Gottardo e del Brennero; della popolazione indigena si sa molto poco. Druso e Tiberio, sotto Augusto, riuscirono a sottomettere i Reti per assicurarsi i passi alpini e forse anche per difendersi dalle loro razzie. L'obiettivo strategico di raggiungere il limes danubiano e le

Percorsi prevalentemente utilizzati in epoca romana

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importanti città di Augusta Raurica (Basilea), Brigantium (Bregenz) e Augusta Vindelicorum (Augsburg) fu ottenuto in seguito con l'apertura di due vie tra loro complementari: una voluta dall'imperatore Claudio (41-54 d.C.) come via di rifornimento militare, partiva da Altinum presso Venezia e attraverso Feltria (Feltre), Tridentum (Trento), Maia (Merano), la valle dell'Adige, il passo Resia, Landeck, il Fernpass, raggiungeva Augusta Vindelicorum (Augsburg), si chiamò via Claudia Augusta14 e venne utilizzata fino a quando fu costruita la via sul passo del Brennero. L'altra che direttamente percorre il nostro territorio, da Como, sulla via d'acqua del lago raggiungeva Samolaco e quindi Chiavenna; da lì si divideva in due itinerari entrambi diretti a Coira (Curia Raetorum), uno attraverso la Val San Giacomo e il Passo Spluga, l'altro lungo la Val Bregaglia e i passi o del Settimo o, come variante, del Maloia e dello Julier. È impossibile proporre datazioni sicure per la loro costruzione; Strabone nella sua Geografia scritta, almeno per quanto riguarda i libri IV e V, nel 18 d.C. afferma che:

"Al di sopra di Como, posta alla base delle Alpi, abitano da un lato i Reti e i Vennoni, rivolti ad oriente, dall'altro i Leponti, i Tridentini gli Stoni, e un gran numero di piccoli popoli che occupavano un tempo l'Italia, dediti al brigantaggio e poveri: ora alcuni sono stati annientati, altri completamente civilizzati, tanto che i passaggi tra i monti attraverso il loro territorio, che una volta erano pochi e pericolosi, ora sono molto più numerosi e sicuri, per quanto riguarda gli abitanti, e anche comodi, dove è possibile in virtù dell'ingegno umano. Infatti Cesare Augusto ha aggiunto alla distruzione dei briganti la costruzione di strade, nei limiti del possibile: non si è infatti in grado ovunque di contrastare la natura, a causa di rocce e crepacci di inusitata grandezza: mentre le une incombono sulla via, gli altri si spalancano immediatamente al di sotto, tanto che la benché minima deviazione costituisce il rischio inevitabile di una caduta in precipizi senza fondo. In certi punti la strada è così a strapiombo che la vertigine assale tanto i pedoni quanto gli animali da soma che non sono abituati; quelli locali, invece, portano senza problemi i loro carichi". (Libro IV 6.6)

Non sarebbe difficile vedere in queste parole un accenno alle nostre strade, ma una testimonianza sicura ci viene solo dall'inserimento delle vie sopra citate in tre itinerari di epoca tardoimperiale: la Tabula Peutigeriana e due Itineraria Antonini. Il primo documento, ora conservato nella Biblioteca nazionale austriaca a Vienna, e sicuramente il più suggestivo e interessante per vari aspetti, è un itinerarium pictum, cioè dipinto, che risale agli inizi del terzo secolo dopo Cristo, ritrovato in una copia medioevale dallo studioso Konrad Peutinger nel XVI secolo15. Si tratta di una carta stradale che doveva avere la funzione di pratico strumento per chi doveva viaggiare. Fino al 1863 formava un rotolo indiviso, lungo 7,40 metri e alto 34 centimetri; per evitare che fosse danneggiato, le pergamene che lo componevano furono separate e la lunghezza fu ridotta a 6,82 metri. Nella Tabula che rappresenta quasi tutta la terra abitabile conosciuta, dalle Colonne d'Ercole a ovest alla Sera Maior (Cina) a est, l'autore preoccupato solo di segnare le strade ha considerato il resto come accessorio deformando il disegno; ad esempio ha ridotto il mare ad una striscia sottile, ha segnalato il percorso dei fiumi senza stretto 14 S. Castelpietra, La via Claudia Augusta, in “Raetia”, aprile-giugno (1935), pp. 33-48. 15 F. Prontera (a cura di), Tabula Peutingeriana, le antiche vie del mondo, Città di Castello 2003.

Particolare della Tabula peuntingeriana

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rapporto con la realtà fisica, ma solo per mostrarne i punti di transito e delle isole sono rappresentate solo quelle fornite di strade. Tutta la rete stradale è rappresentata da una fitta ragnatela di fili rossi. Gli itinerari sono tracciati con una serie di segmenti rettilinei di diversa lunghezza, ciascuno rappresenta una frazione del percorso ed è unito al successivo con un tratto ad angolo retto che indica un centro abitato o una statio. La distanza tra due centri è segnata in nero da un numero in lettere romane che indica la distanza in miglia romane, in leghe per la Gallia, in parasanga per la Persia16. Le linee a zig zag segnalano i raccordi tra una strada e l'altra. Nel segmento III A,B si trova il seguente itinerario:

Curia XXXII

Coira era l’antica Curia Raetorum ma la sua fondazione risale all’epoca preistorica circa 3000 anni avanti

Cristo Lapidaria XVII

Zillis in alto sulla Via Mala, resti della strada romana sono

stati trovati nelle gole del Reno Cunu aureu X

Passo Spluga

Tarvessedo XX

Isola o, meno probabilmente, Madesimo

Clavenna XVIII

Chiavenna

Ad Lacum XL

Samolaco che allora si trovava sulle rive del lago

Comum Como Questo stesso percorso, con la citazione delle stazioni di Coira, Tarvessedo, Clavenna, e dei tragitti ad Lacum Comacenum, per lacum Comum usque, si trova descritto negli Itineraria Antonini Augusti provinciarum et maritimum, un itinerario annotato, risalente probabilmente ad Antonino Caracalla17, costituito da un elenco di luoghi, di stazioni di sosta con l'indicazione delle distanze tra l'una e l'altra indicate in miglia romane, senza disegni. Gli itineraria adnotata servivano per scopi militari e per il cursus postale, cioè il servizio di posta. Un altro itinerarium adnotatum indicava il percorso tra Como e Coira attraverso il passo del Septimer o forse del Maloia e dello Julier con le seguenti stazioni:

Curia XX

Tinnetione XV

Tinizong

Muro XX

Castelmuro

Summolacu XV

Samolaco Percorso via acqua

Comum XVIII

Mediolanum Milano 16 Il miglio romano corrisponde a 1481,75 metri, la lega a circa 2222 metri, la parasanga a circa 5500 metri. 17 È diffi cile risalire a qual e degli imperatori ci si possa ri ferire, infatti almeno otto furono coloro che si fregiarono del titolo di Antonino. Cfr Scriptores Historiae Augustae, vol. II, Leipzig 1971.

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Sia l'Itinerarium Antonini che la Tavola Peutingeriana non citano la via Claudia Augusta del passo Resia, ma quella del Brennero, ciò consente di datare gli itinerari come tardo imperiali, quando il Passo Resia aveva perso importanza rispetto al Brennero. Non esplicitamente citato negli itinerari di Antonino né sulla Tavola Peutingeriana, il passo del Settimo, alto 2.310 metri, che si trova tra il Pizzo Forcellina e il Pizzo Lunghin era forse già noto e percorso fin dall'epoca preistorica, ma assunse importanza strategica, oltreché commerciale con i romani nel tardo impero. Esso doveva essere il passaggio percorso tra Murus (Castelmur) e Tinnetio (Tinzen). La prima citazione di questo passo risale alla fine del IV secolo d.C. Si è molto discusso sull'origine del toponimo Septimer, di sicura origine latina, l'ipotesi più accreditata è che derivi da saepire = recintare o set = luogo di sosta. Il passo era il più rapido e diretto per raggiungere Coira, molto ripido nella parte a sud, con pendii più dolci verso nord veniva utilizzato soprattutto per merci leggere, ipotesi accreditata anche dal fatto che in loco non sono state ritrovate rotaie, segno inequivocabile del passaggio di carri pesanti. Testimonianze dell'origine romana sono anche alcuni resti di fortificazione a nord-est di Vicosoprano, risalenti a quel periodo, che lasciano intendere che la via passasse sul lato destro della valle che risultava più sicuro. Pare anche che l'ospizio di San Pietro costruito sul passo nell'831 fosse stato edificato sui resti di un antico tempio pagano. Alcuni storici ritengono che proprio sul Septimer fosse passato il generale romano di origine vandala Stilicone nel 401, come ricorda il poeta Claudiano nella sua opera De bello Gothico. L'importanza militare del passo è legata all'esigenza romana di dirigersi verso il nord, non appena i generali romani si resero conto che le Alpi non costituivano affatto una barriera insormontabile e sicura contro le invasioni barbariche e che, dunque, era necessario controllare tutta la zona montuosa fin al Danubio. La strada nella Val Bregaglia scorreva, come lascerebbero supporre alcuni resti di fortificazioni nei pressi di Vicosoprano sul lato destro della valle. Non si conoscono date sicure per la costruzione di questa via, è certo, però, che il popolo bregagliotto - gli antiche Bergalei, pur non citati nel Trophaeum Alpium di La Turbie, che ricordava i nomi dei popoli alpini sottomessi da Augusto -, erano ben noti all'imperatore romano Tiberio Claudio. Egli, infatti, nella tavola bronzea di Clés, impone con un editto la risoluzione di alcune controversie, forse di natura commerciale, tra Bergalei e Comaschi. Da Muro, o meglio dall'odierna Casaccia, proseguendo verso est si poteva salire al passo del Maloia lungo una via scoperta e studiata da Armon Planta18: il Malogin, che con un ripido percorso di pochissimi tornanti, segnato da profonde rotaie incise nella roccia, consentiva, sia pure con difficoltà, la salita di carri fino al passo. Di fronte a Sils Baselgia (Silio nell'antichità, come sottolineava Ulrich Campell nella sua importante Raethiae alpestris topographica descriptio del 1581), dove furono trovati tre altari romani, ancora la presenza di profondi binari incisi nella pietra indicano che il percorso saliva sul versante a sinistra dell'Inn, in diagonale verso il passo Julier (2.284 m.) segnalato da due colonne, che forse anticamente erano tre, ancora oggi visibili. Il tracciato del Maloia e dello Julier pare più antico rispetto alla via del passo Spluga, infatti le tecniche di costruzione e di selciatura più accurate dimostrano che essa fu realizzato in epoca più tarda, forse nel II secolo dopo Cristo19. Quando l'imperatore Diocleziano (284 – 305 d.C.), dopo che il suo predecessore Probo ebbe pacificato tutta la Rezia, nel 278 d.C. creò la Provincia Raethia divisa in Raethia I, con capitale Curia Raetorum (Coira), e Raethia II, con capitale Augusta Vindelicorum (Augsburg), la rete stradale si era sicuramente rafforzata permettendo scambi e traffici intensi attraverso le Alpi. Ai

18 A. Planta, La via romana raggiungeva il Maloggia salendo dal Malogin. Sulle tracce della via romana sopra il Maloggia e il Giulia, in “ Quaderni Grigionitaliani”, a. XLIII, 2 (1974), pp. 139-146. 19 I. Schenatti, Le strade romane di Valtellina e val Bregaglia, Sondrio 1927; M. Balatti - G. Scaramellini, Percorsi storici di Valchiavenna, Chiavenna 1995.

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soldati romani stanziati nei luoghi fortificati si unirono nel tempo anche civili e insieme, mescolandosi con i Reti indigeni, diedero vita alla cultura e alla lingua retoromancia. Prese in cons iderazione rapidamente le strade che oltrepassavano le Alpi, può essere interessante vedere come si arrivava fino al porto di Samolaco, l'antico Summus lacus dell' Itinerarium Antonini, che allora costituiva il punto di approdo più a nord del Lario. Solo in epoca medioevale, infatti, l'arretramento delle acque e il conseguente interramento di una ampia zona, costrinsero le imbarcazioni ad approdare a Riva di Novate. Come era organizzata la navigazione sul Lario e lungo il primo tratto dell'Adda ? Fino alle campagne militari di Ottaviano Augusto non si era sentita la necessità di strutture viarie davvero efficienti, poi, quando fu deciso di dotare anche le zone alpine di percorsi sicuri, la prima ad essere potenziata fu la via d'acqua sul lago di Como. La strada Regina, così chiamata dalla dominazione longobarda, era probabilmente preromana, non esistono tracce sicure di mutationes o di stationes risalenti al periodo romano e anche le rotaie scavate nella roccia sono piuttosto rare. Quindi il suo utilizzo in questo periodo non appare provato, mentre sicuramente le veniva preferito il percorso via acqua. Molto importante per la navigazione sul Lario anche ciò che ricorda ancora una volta Strabone in Geografia 5,6 cioè che Cesare fece affluire nel 59 a. C. a Como 5.000 coloni di cui 500 dalla Magna Grecia. Proprio costoro, i Neocometi (da cui Novum Comum), forti delle loro esperienze sul mare, probabilmente istituirono la navigazione sul Lario. Anche il nome di una delle imbarcazioni più usate, il comballo deriva dal greco kumbé che significa barca20. Tra le testimonianze di un attivo trasporto via acqua abbiamo tre iscrizioni lapidee del Corpus inscriptionum latinarum che attestano la presenza di un Collegium nautarum comensium che si

occupavano appunto di tale attività nella città lariana21.

Da Como a Samolaco si impiegavano circa 16 ore a fronte di almeno tre giorni di difficile cammino. Il periodo aureo per l'utilizzo di questo tragitto ebbe inizio con il trasferimento della capitale dell'Impero a Milano (288-289 d.C.), quando fu nominato sul Lario un Praefectus classis comensis cum curis civitatis comandante della flotta comense. Ricordati dal poeta Claudiano sono anche i diversi passaggi sulle acque del lago di Stilicone, il già ricordato tutore e ministro di Onorio, figlio di Teodosio. Il periodo di splendore del percorso sulle acque del lago durò fino all'arrivo dei Longobardi quando prevalse l'uso della strada Regina, come testimoniano i numerosi monumenti, chiese, battisteri e ponti posti sul suo tracciato. Summus Lacus era una mansio dove si lasciavano le imbarcazioni per proseguire fino a Chiavenna; più tardi, per l'arretramento delle acque e il conseguente interramento l'approdo fu spostato a sud, a Riva di Chiavenna. Il lago di Como e quello di Mezzola, come si evince da un diploma di Ottone II risalente al 997, erano allora uniti.

20 P. Pensa, Le antiche vie di comunicazione del territorio orientale del lago e le loro fortificazioni, Como 1977. 21 T. Mommsen, C.I.L. , III, De Raethiae provinciae origine et finibus, Berlino 1863.

Triangia

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Di rilevante interesse per la Valtellina può essere anche la questione sull'origine romana o meno della unica via che trasversalmente collegava il Lario con l'Alta valle: la via Valeriana. La via Valeriana aveva inizio a Olonio, percorreva la Valtellina sulla riva destra dell'Adda fino a Stazzona, da lì passava sulla riva sinistra. Raggiunto Bormio si poteva proseguire verso nord attraverso i passi di Fraele, del Gallo, della Val Mora o attraverso l'Umbrail e raggiungere Santa Maria in Val Monastero. Il percorso dapprima sulle rive del fiume, tra Colico e Campovico, corre poi a mezza costa, per evitare i rischi di alluvioni, toccando Dazio, Ardenno, Pedemonte, Berbenno, Postalesio, Castione, Triangia o forse Triasso, la località Sassella, Sondrio, Pendolasco, Tresivio, Ponte, Chiuro, poi scende a San Giacomo, Tresenda, Villa di Tirano, da qui, attraversata l'Adda, tocca Stazzona, Lovero, Tovo, Mazzo, Grosio, Grosotto, Bolladore, Bormio. Essa, larga circa due metri, era sicuramente utilizzata nel Medioevo come si rileva da numerose testimonianze, ma si può ipotizzare una sua origina romana. I pareri degli studiosi al riguardo sono discordi: non abbiamo testimonianze o documenti attestanti in modo definitivo la sua origine. Probabilmente era utilizzata fin dai tempi più antichi, anche per brevi tragitti, dalle popolazioni che qui vivevano prima della conquista romana. Non bisogna dimenticare che gli spostamenti importanti per gli scambi avvenivano prevalentemente sulle direttrici nord-sud, e viceversa, piuttosto che sulla linea est-ovest quale è quella su cui si stende la Valtellina. La conquista della zona retica cisalpina al centro delle Alpi non comportò nessuna delle difficoltà che i romani incontrarono per esempio contro la popolazione dei Salassi appena più a ovest, nella Val d'Aosta, che venne completamente distrutta; gli attraversamenti perciò non avevano carattere militare ma dovevano per lo più soddisfare esigenze di traffici locali. I Romani, quando non appariva loro necessario costruire vie veloci per il trasferimento di eserciti e attrezzature militari, spesso utilizzarono per i loro spostamenti, dopo averli sistemati e razionalizzati, percorsi antichi. Tuttavia a favore della romanità della nostra via Valeriana, oltre al nome che deriverebbe da Gaio Publio Licinio Valeriano che tra il 252 e il 253 dopo Cristo, appena prima di succedere a Treboniano Gallo e di diventare imperatore, si trovava nella Rezia con l'incarico di radunare truppe e di altri compiti non meglio precisati, vale la considerazione che questa via poteva costituire il collegamento tra Mediolanum e Comum e la via Claudia Augusta, costruita da Druso e importantissima fino a quando gli imperatori Settimio Severo e Caracalla fecero costruire la strada del Brennero dal percorso più breve. La Via Claudia Augusta collegava Altinum nel Veneto attraverso la valle dell'Adige, il passo Resia e il Fern Pass con l'attuale Augsburg, la Augusta Vindelicorum, "splendidissima Rhaetiae Provinciae colonia" come la definiva Tacito. Il percorso della Valeriana, dunque, attraversava la Valtellina, proseguiva sull'Umbrail e lungo la Val Monastero e raggiungeva la via Claudia Augusta a Malles. Mentre non esclude una strada che dal lago raggiungeva Bormio e le sue terme, Alberto Grilli, pensa costruito dai Romani soprattutto il tratto Aprica – Stazzona22 - lago di Como da far percorrere alle truppe per congiungere la via dello Spluga con il passo del Tonale, attraverso la via Valeriana della Valcamonica, dato che più a nord c'era il pericolo dei Germani. Tutti gli studiosi di filologia, da Pio Rajna, che in un discorso del 1926 si disse persuaso dell'origine romana della via, ad Alberto Grilli nei suoi recenti scritti23, sono a favore della romanità e ricordano

22 Sulla romanità di Stazzona non vi sono dubbi, vuoi per il toponimo, vuoi per il ritrovamento di una stele in lingua latina attestante i legami con la comunità camuna. 23 A. Grilli, Tracciato romano in Valcamonica, in Viaggiare in Valcamonica, Brescia 1997. sulla questione cfr A. Garzetti, Le origini della Valtellina e della Valchiavenna, Sondrio 1989; A. Sala, Ipotesi di persistenze romane in Lombardia: le torri di Bergamo, quelle della Val Chiavenna e della Valtellina e il sistema fortificato dei laghi lombardi, in “Bollettino della Società storica valtellinese”, 56 (2003), pp. 7-34.

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che le leggi linguistiche non permettono che un nome proprio si corrompa passando da un significato noto di etimologia popolare (Vallesana) a uno di origine ignota o di cui si è persa memoria (nel nostro caso Valeriana, nome ora in uso). Ciò attesta in modo inequivocabile che il nome della via non significhi solamente "via di valle" o "Vallesana", ma risalga al nome proprio di Valeriano, come per la via che risale il lago d'Iseo da Brescia al Tonale. Altri storici come Enrico Besta, Albino Garzetti e Ugo Cavallari ritengono che la via Valeriana non sia stata costruita come tutte le strade romane per esigenze militari o strategiche, ma per semplici collegamenti tra contrade contigue e quindi fosse una semplice strada di valle. A riprova di ciò il Cavallari riporta in un suo articolo del 196024 alcuni documenti del XVII secolo che citano dandole il nome di "Valeriana" anche la strada che congiunge Albosaggia con Caiolo, sulla sinistra del fiume Adda. A suggestive ipotesi di percorsi in epoca romana si può arrivare esaminando, come suggerisce Giliana Muffatti Musselli25, i luoghi di ritrovamento delle numerose monete romane lungo la via Valeriana, ma anche nel Bormiese e in Valmalenco. Come testimonia la cartina allegata, i rinvenimenti sono diffusi lungo le arterie principali. Le monete sono di bronzo e di scarso valore nominale, perciò sarebbero servite per piccole transazioni economiche, rimanendo a lungo in circolazione. Sul passo del Bernina non sono state ritrovate tracce di vie romane; forse esso interessò poco sia dal punto di vista strategico che commerciale. Importante, invece, doveva essere la direttrice Val Camonica - Passo del Gavia - Bormio - Passo Umbrail - Val Monastero.

24 U. Cavallari, La via Valeriana, in “ Bollettino della Società storica valtellinese”, 14 (1960), pp. 25-30. 25 G. Muffatti Musselli, Aspetti della circolazione monetaria in Valtellina e Valchiavenna in epoca preromana e romana, in “ Bollettino della Società storica valtellinese”, 41 (1988), pp. 9-24.

Schema relativo ai ritrovamenti di monete romane in provincia di Sondrio (da Muffatti Musselli, Aspetti della circolazione monetaria …, 1988

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A questo punto può sorgere la curiosità di quale fosse il sistema di costruzione delle strade romane e di come avvenissero i trasporti. Va ricordato innanzi tutto che nei confronti dell'ambiente Roma attuò quasi sempre una politica di deforestazione e di razionalizzazione dei manufatti precedenti, attraverso un radicale intervento umano che condusse alla costruzione di un paesaggio artificiale; tuttavia questo non fu sempre possibile; soprattutto nelle zone alpine, montuose e impervie, il paesaggio non subì mai modifiche radicali. Come erano le strade e come avvenivano i trasporti? L'utilizzo del carro26 è testimoniato fin dal periodo calcolitico come evidenziano numerose incisioni rupestri, prima come strumento di guerra poi per il trasporto. A due o a quattro ruote era usato anche dai Celti. Quelli dei romani, in genere, erano a quattro ruote di cui le due anteriori prive di sterzo, perciò tutta la parte anteriore non poteva girare, le ruote erano molto grandi, con un diametro di almeno un metro. Ciò obbligava alla costruzione di strade dal tracciato rettilineo, prive di svolte; la ripidezza, infatti, non costituiva un problema e poteva superare il 30%. Se necessario venivano scavate scale in pietra con buchi laterali dove infilare delle stanghe per aiutare le bestie ( buoi o più raramente cavalli) a trascinare i veicoli nei tratti più impervi. Per evitare lo sbandamento delle vetture nella roccia venivano già in fase di costruzione scavate delle rotaie distanti tra loro circa 107 cm; in montagna lo scartamento, però, era spesso di circa 90 cm. Le rotaie divennero col tempo sempre più larghe e profonde per il logoramento della roccia dovuto soprattutto ai blocchi posti alle ruote durante le discese. Secondo alcuni studiosi, tra cui Armon Planta nell'opera già citata, è probabile che i carri usati sulle vie alpine fossero in gran parte a due ruote. I romani costruivano soprattutto strade militari, evitavano i ponti preferendo in genere i guadi e si tenevano a mezzacosta per evitare i pericoli dei fondovalle. In montagna la costruzione delle strade prevedeva tecniche assai differenti da quelle delle strade in pianura; esse dovevano seguire le irregolarità del terreno e si dovevano utilizzare materiali locali. Le vie, larghe dai 140 ai 180 centimetri, non potevano essere lapide stratae cioè lastricate come quelle in pianura, ma erano glarea stratae cioè ricoperte di ciottoli. La stessa limitata larghezza non era solo prerogativa delle strade di montagna, infatti, di quelle dimensioni erano anche alcune strade importanti come quella tra Aquileia e Trieste. Per facilitare i transiti sulle vie erano poste ogni 8/10 miglia (ma anche meno) delle stazioni di posta chiamate mutationes per il cambio dei cavalli e per il rifornimento di viveri; ogni 7/8 mutationes alla distanza di un giorno di viaggio una dall'altra, si trovavano delle mansiones con la funzione di alberghi di ricovero e ristoro per i viaggiatori27. In genere alla fine di ogni miglio che corrispondeva a m 1.481,75, veniva posta una colonna di pietra miliare spesso con iscrizione indicante il nome di chi si era fatto promotore e si era impegnato nella costruzione della strada. Lungo le vie principali si poteva usufruire del cursus publicus, una specie di servizio pubblico di trasporti e messaggerie.

26 M. A. Levi, Le strade romane, in Roma antica, Utet 1963. H. Gredig - A. Hegland, Es muss nicht immer romisch sein, Landquart 2000. 27 G. Walser, Die romischen Strassen und Meilensteine in Raetien, Stuttgart 1983.

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Epoca medioevale e ducale

Osservando il numero e la disposizione degli itinerari segnati sulla cartina, ci si potrebbe chiedere se davvero, come risulta da vari documenti e testimonianze antiche, essi fossero tutti utilizzati durante il periodo medioevale. Molti percorsi sono paralleli, con la medesima direzione, vicini, alcuni sembrerebbero superflui, eppure va considerato che le condizioni dei trasporti dell'epoca erano tali per cui ognuno dei percorsi aveva una sua funzione e obbediva a particolari esigenze di traffico locale. Seguire con gli animali o a piedi un itinerario piuttosto che un altro, come ricorda Guglielmo Scaramellini, anche non troppo distanti uno dall'altro, poteva significare notevole risparmio di tempo e di denaro. L'elenco di questi tracciati è lungo e probabilmente incompleto: partendo dal lato occidentale del Lario la via Regina, dopo Sorico si biforcava, a sinistra mantenendo il nome di Regina (di origine

Percorsi maggiormente utilizzati in epoca medioevale e ducale

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Longobarda), si innalzava ai Prati Meriggi, per poi proseguire lungo la via Francisca fino a Chiavenna; a destra raggiungeva il passo d'Adda dove si traghettava nei pressi della torre di Olonio per poi proseguire verso la Valtellina, come è testimoniato negli Statuti di Como. Verso la Val Chiavenna proseguiva anche il percorso via acqua fino a Riva di Novate; il lago, infatti, come già si è osservato, si era ridotto rispetto all'epoca romana quando si poteva raggiungere Samolaco; da lì, superata Chiavenna, le mete erano da un lato il passo Spluga e dall'altro il passo Septimer o il Maloia, poi, finalmente, era possibile oltrepassare lo spartiacque. Lungo la valle, però, si aprivano numerose altre possibilità di varco: il Passo Forcola (che verrà sistemato e utilizzato soprattutto dal XVI secolo), il Passo Baldiscio, il Passo Curciusa, il Passo Emet, quello dell'Acqua Fraggia. Sul versante retico grande importanza ebbero in Valmalenco i passi del Muretto e di Tremogge. Da Tirano e Poschiavo il passo del Bernina e da Grosio i valichi della Val Grosina. Molti i passaggi sulla catena delle Orobie, sugli Zappelli di Aprica, sui passi di Piangembro, del Mortirolo e di Guspessa, ancora la valle di Rezzalo, l'antichissimo Passo del Gavia, e quello di Sforzellina verso Peio. Percorsa era la Val Martello, anche se i valichi più usati per la loro limitata altitudine erano quelli di Fraele (m.1941), di San Giacomo (m. 1952) e del Gallo. Da Fraele lungo la Val Mora si snodava la "via lunga" di Val Venosta, sempre nella zona altri passi erano quelli di Val Viola, della Forcola di Livigno, del Passo di Cassana e l'altra importantissima: la "via corta" di Val Venosta che, attraverso il passo della Forcola di Rims e l'Umbrail, raggiungevano Santa Maria in Val Monastero e poi il passo Resia. Nell'Alto Medioevo, in generale, si verificò una decadenza della viabilità, soprattutto a causa di una scarsa manutenzione; le strade erano divenute impraticabili per i carri; i veicoli da viaggio del periodo imperiale romano furono sostituiti con muli o cavalli, molti tratti furono percorribili solo a piedi e con grandi disagi. Dall'epoca del dominio dei Carolingi si verificò un miglioramento dovuto ad una maggiore cura per i traffici commerciali e quindi per i collegamenti con le popolazioni vicine. Venne istituito il pagamento di pedaggi e furono costruite dogane per poterli riscuotere. Tra le dogane più importanti ci furono quella di Chiavenna e quella di Vicosoprano in Val Bregaglia. Per garantire l'acquisizione dei pedaggi e dei dazi sulle merci vennero individuate alcune vie più importanti denominate stratae rectae che dovevano obbligatoriamente essere percorse proprio perché obbedivano a criteri fiscali28. Sugli assi principali dei traffici le mulattiere avevano una larghezza di due o tre metri, tanto da consentire l'incrocio nelle direzioni opposte. Le merci da sud verso nord erano costituite principalmente da vino, cereali, panni, fustagni, ferrami, spezie, olio; dal nord verso sud, soprattutto, lana, cavalli, bovini, cuoio, pellami. Dal Tirolo verso i Grigioni e quindi verso la Valtellina giungeva il sale delle miniere di Hall. La città di Como era un nodo stradale molto importante al centro di una rete che collegava Bormio, Chiavenna e Bellinzona con Milano. Le vie per raggiungere queste città erano rigorosamente

28 G. Soldi Rondinini, Le vie transalpine del commercio milanese dal sec. XIII al XV, in Felix olim Lombardia, Milano 1978; P. Mainoni, I traffici sul lago di Como e il problema della loro sicurezza nei secoli XIII - XV, in Le fortificazioni del lago di Como, Como 1971; A. Cassi Ramelli, Geografia militare e castellologia, in Il sistema fortificato dei laghi lombardi, atti delle giornate di studio, Varenna, Villa Monastero 13-16 giugno 1974, Como 1977, pp. 11-18.

Un tratto della Val Mora

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stabilite ed era vietato transitare per vie alternative che permettessero di evitare il pagamento di pedaggi e dazi. Non bisogna dimenticare che i prelievi daziari costituivano la maggior parte delle entrate ordinarie dello stato; essi venivano effettuati alla torre di Olonio29 dove c'era uno sbarramento tra il Lario e il lago di Mezzola, a Chiavenna e, forse, a Portarezza in Val San Giacomo e a Promontogno in Val Bregaglia. La riscossione dei pedaggi che toccava talvolta anche a famiglie della piccola nobiltà, insieme alla partecipazione di signori feudali a imprese commerciali, garantì a questi ultimi una grande potenza economica e politica. Le famiglie più importanti dei paesi che sorgevano lungo la strada avevano, in cambio dell'appalto alla riscossione dei pedaggi e delle licenze per il trasporto delle merci, l'obbligo della manutenzione della viabilità. Nei primi secoli del Medioevo si prestò molta attenzione alla via lacuale; i Bizantini infatti, erano dei buoni navigatori e sicuramente preferivano muoversi sull'acqua che lungo le vie di terra. Da Cassiodoro si sa che Teodorico ordinò di rimuovere le peschiere che impedivano il passaggio delle imbarcazioni, segno anche questo di attenzione e cura per il percorso via acqua; i Longobardi invece, almeno agli inizi del loro dominio, non erano buoni navigatori e ripristinarono perciò la via Regina. Con i Franchi i trasporti sul lago si diffusero e si moltiplicarono le concessioni dei diritti di pesca e di libera navigazione per il trasporto di olio, vino, castagne. L'insicurezza sempre più preoccupante dei tragitti via terra portò all'utilizzo della navigazione per tutti gli spostamenti. Documentazione copiosa di queste attività si trova nel volumen magnum degli statuti di Como pubblicati con la riforma di Azzone nel 1335, negli Statuti di Lecco del 1300, negli Statuti di Bellano, di Dervio, di Gravedona. Nei secoli ducali e in quelli seguenti, la navigazione dal punto di vista tecnico, si mantenne uguale a quella dei secoli precedenti. La necessità di controllo e ragioni di sicurezza portarono i Visconti a nominare la figura del Capitano del lago. I porti lacuali più importanti erano quello di Como, antico porto sempre minacciato dalle acque del lago, e quello di Bellagio, costruito nel 1431. Il porto di Colico fu progettato dall'Ingegner Gaetano Bellotti solo nel 1791. La navigabilità dell'Adda, invece, rappresentò sempre un problema: a nord del lago per il continuo mutare del corso del fiume, a sud del lago per le rapide di Paderno. L'Adda era navigabile fin sotto il castello di Domofole a Traona, come testimonia il viaggio di Galizia condotta da Olonio a Traona durante la guerra decennale tra Como e Milano come è narrato nel testo De bello Mediolanensium adversus comenses anno 1125. L'Adda era ancora navigabile alla fine del '400, quando Bianca Maria Sforza nel 1493 navigò presso la torre di Olonio, dove oggi si trova il ponte del Passo, per raggiungere il futuro marito Massimiliano. Poi per le alluvioni, tra le quali terribile fu quella del 1520, che addirittura modificarono il corso del fiume, la navigazione fu abbandonata30. Perché ci si spostava? Tra le diverse cause degli spostamenti uno dei motivi più diffusi di transito erano i pellegrinaggi verso i luoghi sacri più famosi: dal sepolcro di Cristo a Gerusalemme alla tomba di San Pietro a Roma o a quella di San Giacomo a Santiago de Compostela, ma anche verso santuari vicini come ad Ardesio, oltre le Orobie, o a San Gaudenzio in Val Bregaglia.

29 Cfr M. Belloni Zecchinelli, La torre di Olonio, in Le fortificazioni del lago di Como, Como 1971. 30 Per la navigabilità sul lago di Como e sull'Adda cfr P. Pensa, Le comunicazioni nel bacino dell'Adda, in “ Archivi di Lecco”, 2-3 (1988); M. Bonino, Le costruzioni navali del Lario tra tardoantico e tradizione recente, in L’Antica Via Regina. Tra gli Itinerari Stradali e le vie d’Acqua del Comasco, Como 1995, pp. 565-582; e P. Mainoni, I traffici sul lago di Como e il problema della loro sicurezza nei secoli XIII - XV, in Le fortificazioni del lago di Como, Como 1971.

Resti della chiesa di San Gaudenzio

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Con la diffusione del Cristianesimo, che sulle Alpi avvenne a partire dal IV-V secolo, e la istituzione dei primi monasteri anche nelle zone di montagna, si rese necessario costruire nei pressi delle principali strade dei rifugi per ospitare i pellegrini. Spesso questi edifici si trovavano accanto a monasteri o chiese e furono istituiti per venire incontro alle esigenze di riposo e ristoro dei viandanti31. È probabile che alcuni degli xenodochi fossero stati edificati dove in epoca romana esistevano delle mansiones che erano stazioni di posta e ricovero per i viaggiatori. Gli ospizi sulle Alpi erano spesso costituiti solo da una cucina dove gustare un piatto caldo, e da un semplice dormitorio, a differenza di altri molto più complessi e ben attrezzati. Dal X secolo si intensificarono, divenendo un fenomeno assai diffuso, i pellegrinaggi verso i luoghi santi come Roma o Santiago de Compostela o anche i pellegrinaggi di penitenza per espiare le colpe commesse; i luoghi di ricovero assunsero, quindi, grande rilevanza sociale e religiosa lungo i difficili percorsi. I pellegrini giungevano da tutta Europa seguendo i "cammini dei pellegrini"; i tracciati erano spesso pericolosi sia per gli elementi naturali che per le imboscate di ladri e banditi. Perciò i viaggiatori più poveri che non potevano permettersi la scorta, si riunivano in gruppo per darsi aiuto reciproco. In genere, durante il periodo di pellegrinaggio, chi si avviava verso i luoghi santi era sotto la protezione della Chiesa, addirittura il diritto canonico accordava al pellegrino uno statuto giuridico particolare consentendogli di beneficiare della cosiddetta "Pace di Dio" che lo garantiva da arresti arbitrari e da aggressioni. Le difficoltà, comunque, non erano poche anche a causa della curiosa istituzione di pellegrinaggi imposti dalla Chiesa o da alcuni tribunali a chi avesse commesso dei delitti, al fine di espiare le proprie colpe; la presenza e la compagnia di questi penitenti-banditi certamente poteva comportare rischi e pericoli per gli altri pellegrini. In Valtellina i più importanti xenodochi medioevali furono quelli di Santa Perpetua32, appena sopra Tirano, San Romerio, in posizione elevata sopra il lago di Poschiavo, San Martino di Serravalle, ora scomparso sotto la frana della Val Pola, San Giacomo di Fraele33, nella valle omonima ora sommerso dalle acque del lago artificiale; nei Grigioni c'era un ospizio a Splugen, per i viaggiatori provenienti dal passo dello Spluga, uno in Val Bregaglia a Casaccia presso la Chiesa di San Gaudenzio, ai piedi del passo del Septimer e del Maloia e quello di San Pietro presso la sommità del Septimer. Un altro ospizio per i viaggiatori si trovava presso l'abbazia di San Giovanni a Mustair in Val Monastero, esso era una vera e propria stazione di sosta, in grado di accogliere e ospitare anche i personaggi più illustri. Notizie si hanno dell’ospizio Ca’ della Montagna a Montespluga e sulle coste a Isola sulla via tra Campodolcino e il Cardinello. Lungo i sentieri, le mulattiere e le strade si trovavano moltissime cappelle per le preghiere propiziatrici di un viaggio sereno, dedicate soprattutto alla Madonna. Tra i santi particolarmente venerato era san Nicola, protettore dei viaggiatori; molto noto e diffuso anche nelle nostre zone era il culto di san Giacomo, protettore dei valichi a cui erano dedicate chiese e cappelle (in Val San Giacomo verso il passo Spluga, San Giacomo di Fraele, San Giacomo in Val Grosina).

31 S. Tenderini, Ospitalità e passi alpini, Torino, 2000. 32 E. Pedrotti, Gli xenodochi di san Remigio e santa Perpetua, Milano 1957. 33 Cfr G. D. Oltrona Visconti, Viandanti, minatori, armigeri nell’ospitale a S. Giacomo di Fraele, in “Bollettino della Società storica valtellinese”, 49 (1996), pp. 37-46.

Verso il passo del Septimer

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Si presentano ora alcune note sugli itinerari e i passi più battuti durante l'epoca medioevale fino a tutto il secolo XV; la loro frequentazione è attestata da documenti e testimonianze che ne sottolineano l'importanza. Per il passo del Septimer34, che collega Casaccia in Val Bregaglia e Bivio e di cui si è già accennata l'importanza in epoca romana, il primo passaggio storicamente documentato è quello del vescovo di Treviso avvenuto nell'895. Di qui passò anche Ottone I e dopo di lui ben diciassette imperatori utilizzarono questa via. Con la donazione della Val Bregaglia al vescovo di Coira, gli Ottoni si garantirono il passaggio sulle Alpi, in cambio dei diritti di riscossione dei dazi sui transiti commerciali, che costituivano una buona fonte di reddito e consentivano alla popolazione un discreto tenore di vita. Durante il Medioevo l'importanza commerciale del passo crebbe sempre di più e, quando il Duca di Milano fece costruire nel 1386 la strada del San Bernardino che ovviamente poteva costituire una minaccia per i transiti sul Septimer, venne affidato a Giacomo, Signore di Castelmur il compito di realizzare una strada carreggiabile larga due metri e mezzo, lastricata in pietra, sulla quale potessero transitare carri con un carico di circa 300 chilogrammi. Nell'arco di poco tempo, tra il 1387 e il 1390, essa fu pronta e allo stesso Signore di Castelmur toccò di provvedere alla manutenzione in cambio del monopolio sulla riscossione dei pedaggi. Tra il XV e il XVII secolo il Septimer entra nel complesso reticolo del sistema viario della Repubblica delle Tre Leghe, divenendone parte integrante, anche se la sistemazione della via Mala fino a Thusis, realizzata nel 1473, segnò il destino del passo che perse la preminenza dei secoli precedenti, per venire poi gradatamente abbandonato. Proprio il fatto di essere rimasto come era anticamente senza rifacimenti di sorta ci ha consentito di poterne studiare i manufatti originali e di farci un'idea verosimile del suo tracciato. L'itinerario dello Spluga35, che era utilizzato inizialmente come via alternativa a quella superiore del Septimer, venne frequentato sempre più spesso e quando i signori di Werdenberg e Sargans decisero la sistemazione del tratto fino a Thusis e si costituì la corporazione dei Porti, anche i grossi traffici presero questa via. Le possibilità di accesso al passo dalla parte meridionale erano più di una: da Campodolcino a Madesimo e poi a Montespluga attraverso gli Andossi, da Campodolcino a Pianazzo, risalendo il dirupo del Sengio, e da Campodolcino attraverso la gola del Cardinello fino a Montespluga. Il prevalere di un itinerario piuttosto di un altro e la relativa qualifica di strada imperiale comportavano, come ricorda Guglielmo Scaramellini36, non indifferenti vantaggi economici per i proprietari dei terreni confinanti e furono fonte di lunghe discussioni. Di rilievo anche la via del Passo dell'Emet 37 che unisce Madesimo con Innerferrera attraverso la valle di Niemet. Secondo l'ipotesi di qualche studioso il passo di Emet sarebbe stato addirittura il Cunnus aureus della tavola Peutingeriana che comunemente si identifica con il passo dello Spluga. Il primo documento storico in cui viene citato l'Emet è una pergamena del 1204; in tutto il Medioevo probabilmente il passo era utilizzato dai trasportatori insieme allo Spluga senza particolari preferenze per l'uno o per l'altro, entrambi infatti seguivano la stessa direttrice e si riunivano a nord di Andeer sulla via Mala. Nel corso dei secoli si finì per preferire lo Spluga per i commerci più importanti, grazie alla presenza delle organizzazione dei conducenti detti Porti che risiedevano soprattutto a Splugen o a Isola, l'Emet continuò così a soddisfare solo le esigenze di traffico comune a carattere locale di poche famiglie.

34 L. Ceretti - F. Monteforte, Septimer. Il pass da Sett, Sondrio 1995; M. Balatti - G. Scaramellini, Percorsi storici di Valchiavenna, Chiavenna 1995. 35 M. Bundi, La storia del passo dello Spluga, in “Rassegna economica della Provincia di Sondrio” 7-8 (1969). 36 G. Scaramellini, in M. Balatti - G. Scaramellini, Percorsi storici di Valchiavenna, Chiavenna 1995. 37 Per i passi minori della Valchiavenna cfr M. Balatti, Percorsi storici….

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Utilizzata anche se faticosa, era la strada dell'Acqua Fraggia. La via collega Borgonovo con Savogno, attraverso una scalinata di duemila gradini, da lì si saliva al passo di Lei e quindi si scendeva attraverso la Val di Cà fino ad Avers in val Madris. Il tragitto era, come ricorda Giovanni Guler38, il più breve per raggiungere Coira da Chiavenna, esso, però, poteva essere percorso solo a piedi. Il primo tratto di questa Strata communis era molto curato, soprattutto nella parte lastricata a gradoni. Alla Val Madris si accedeva da Castasegna e da Soglio anche attraverso il passo di Prasignola, percorso caratterizzato come quello dell'Acqua Fraggia da una lunga scalinata detta dei Travet. Altro passo importante che permetteva il transito tra Val Chiavenna e Val Mesolcina era il passo del Baldiscio. Ritrovamenti archeologici testimoniano come già percorsi i tracciati che lungo il crinale dal passo di San Jorio39 giungevano al piano dei Cavalli, nei pressi del passo del Baldiscio, ma è dall'epoca medioevale che il transito sul passo divenne comune e di facile accesso. Un atto notarile del 1203 testimonia un accordo tra gli abitanti del Mesocco e quelli della Val Chiavenna che concedeva, confermando il diritto di proprietà del Mesocco, ai Chiavennaschi la possibilità di transito con il bestiame e tutte le masserizie dei pastori. Dopo il passo si poteva scendere al piano di San Giacomo nella Val Mesolcina, oppure, attraverso la bocchetta di Curciusa o il passo delle Zocane si scendeva nella valle Curciusa fino alla via Mala. Questo passaggio, alternativo a quello dello Spluga consentiva di andare da Chiavenna a Ilanz nei Grigioni in 16 ore e mezzo. Quando nel 1496 le comunità di Chiavenna e Mesocco si scambiarono i possessi in modo che Curciusa tornò al Mesocco e i pascoli di Borghetto a Chiavenna, la strada del passo del Baldiscio tornò ad essere un semplice passaggio di pastori ma mantenuto in efficienza con cura. Attraverso questo passo sarebbe passato, secondo una tradizione, San Bernardino da Siena per andare a predicare nella Rezia. Oltre che di valichi, la rete viaria ha bisogno di ponti per attraversare i corsi d'acqua che, sempre, sono stati visti come la vera barriera e l'ostacolo più imprevedibile, in particolar modo il fiume Adda, troppo spesso pronto a straripare e a stravolgere gli eventuali passaggi sul fondovalle40. Gli attraversamenti erano possibili solo in pochi punti. Oltre al ponte di Ganda di cui ora si dirà, e di quelli all'interno delle cittadine, di notevole importanza erano il ponte di San Pietro a Berbenno, quello a San Giacomo, quello di Stazzona, quello di Mazzo. Il ponte di Ganda, quello più noto, che da Morbegno portava al versante retico, fu costruito verso la fine del XV secolo in pietra per volere di Ludovico il Moro contro le mire espansionistiche dei grigioni. Infatti si era da poco verificato un saccheggio ai danni di Chiavenna e perciò Ludovico Sforza decise di riattare il sistema viario e di fortificare la zona con la costruzione di mura e castelli. Tra le opere più urgenti c'erano le sistemazioni delle strade di Desco e della Sassella, la costruzione dei ponti sul Masino e sull'Adda a San Pietro e, forse più importante fra tutti, del ponte di Ganda che doveva collegare Morbegno con la via diretta verso la Val Chiavenna e lo Spluga. Sia il progetto che la sua esecuzione ebbero una storia piuttosto travagliata, perché, affidati in un primo momento all'architetto Giovanni Antonio Amadeo nel 1489, passarono poi nelle mani dell'ingegnere Stefano Bascapé che non riuscì a concludere l'impresa. La costruzione riprese dopo qualche anno di nuovo sotto la direzione dell'Amadeo che finalmente riuscì a portare l'opera a compimento verso la fine del '400. 38 G. Guler von Weineck, Raetia, ……. 1616 (versione dal t edesco della sola parte che riguarda la Valtellina e la Valchiavenna, a cura di Giustino Renato Orsini, Sondrio 1959. 39 M. Belloni Zecchinelli, Il passo di sant’Jorio nei secoli, in L’Antica Via Regina. Tra gli Itinerari Stradali e le vie d’Acqua del Comasco, Como 1995, pp. 487-496. 40 A. Boscacci, Il taglio dell'Adda, in “Bollettino della Società storica valtellinese”, 35 (1982), pp. 105-116; A. Boscacci, Pescaie, paludi e navigazione sull'Adda, in “Bollettino della Società storica valtellinese”, 36 (1983), pp. 215-234; A. Boscacci, Pian di Spagna – bonifica e diritto di pascolo, in “ Bollettino della Società storica valtellinese”, 37 (1984), pp. 157-180.

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Distrutto da una piena nel 1566, venne ricostruito nel 1568; di nuovo travolto nel 1772, venne ricostruito nel 1778 su progetto del capomastro Antonio Nolfi di Como ma ad opera dell'ingegner Francesco Ferrari. Il ponte, largo quasi sei metri, aveva il piano carreggiabile arcuato nel senso della lunghezza, era costruito con materiali di pietra locale in modo solidissimo per poter resistere alle piene dell'Adda. Risalendo la Valtellina, la valle che ancora oggi consente il transito verso il Canton Grigione, si apre alle spalle di Tirano e raggiunge il passo del Bernina, a 2.338 metri sul livello del mare; esso collega Poschiavo con Pontresina e l'Alta Engadina. Nei secoli passati questo itinerario era fuori dai grandi percorsi internazionali quali quello dello Spluga, del Settimo o del San Bernardino e il valico si connotava dunque come un passo di valenza interregionale41. Non esistono documenti comprovanti l'utilizzo di questa via in epoca romana, tuttavia il ritrovamento di alcune monete dell'impero lasciano pensare a possibili comunicazioni tra il sud e il nord delle Alpi anche in questa zona. Quasi inesistenti sono le notizie sul passo per il periodo alto medioevale; si parla del passaggio di popolazioni saracene che, intorno alla metà del X secolo si sarebbero fermate a Pontresina. Pare accertato che nei secoli seguenti la valle di Poschiavo dipendesse dal vescovo di Coira per le questioni ecclesiastiche e da quello di Como per il potere temporale. Certamente la costruzione dello xenodochio di San Romerio, intorno al 1050, sopra il punto di distacco di una frana preistorica, e di quello di Santa Perpetua, poco sopra Tirano sull'altro versante della valle, sono la testimonianza sicura di passaggi legati a traffici commerciali e diplomatici o a pellegrinaggi. Con l'affermazione di Azzone Visconti nel 1335, la città di Como e la Valtellina divennero possedimenti ducali, nel 1350 anche Poschiavo con la sua valle venne incorporata nei possedimenti; e così fu inviato un podestà che sostituì i consoli di Como. Nel 1408 Poschiavo si ribellò ai signori milanesi e aderì alla Lega Caddea. Il traffico di merci nel XIV e nel XV secolo si mantenne molto intenso soprattutto lungo la direttrice Maloia-Engadina-Tirolo, ma ben frequentato era anche il collegamento Valtellina-Engadina tramite, appunto, il valico del Bernina. L'impegno dedicato ai commerci e al passaggio di mercanzie impediva agli Engadinesi di occuparsi delle strade, perciò la cura e l' apertura invernale dei passi del Forno e del Bernina vennero affidate rispettivamente agli abitanti della Val Monastero e a quelli di Poschiavo, come prova la prima convenzione in tal senso documentata del 1438. A Poschiavo, però, nel XV secolo non c'erano né mercato né emporio che invece erano presenti a Santa Maria di Val Monastero, a Samedan e a Tirano, dove dal 1514 si svolgeva anche una importantissima fiera.

41 Per la strada del Bernina cfr.R. Bornatico, La strada del Bernina, Poschiavo 1974; G. Scaramellini, Viaggiando nei secoli sul Bernina in Il passo del Bernina: 500 anni memorie, poesie, lettere, Clusone 1997; R. Tognina, Lingua e cultura della Valle di Poschiavo, Poschiavo 1981; R. Tognina, Introduzione a Poschiavo, in “ Bollettino della Società storica valtellinese”, 29 (1976), pp. 17-34; Zala - Pozzi, La strada del Bernina, in "Grigione italiano" 1952.

Incisione di J. J. Meyer raffigurante la conca di Tirano, 1831

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Le merci esportate erano costituite da grano della Lombardia, olio, castagne e vino valtellinese, in cambio si importavano animali, pellame, tele grezze, formaggi, legname dall'Engadina e sale dalle miniere del Tirolo. Nel 1522, come è attestato in una pergamena, si stipulò un accordo tra i comuni di Poschiavo e quelli dell'Alta Engadina, per costruire una nuova strada "regalis" lungo la valle da Pedemonte e La Rosa, forse sulla traccia di un antico sentiero distrutto dalla disastrosa frana del 13 giugno 1486, che seppellì completamente il villaggio di Zarera all'imbocco della Val di Campo. Fino ad allora, ma anche dopo, come ci dicono testimonianze dell'epoca, era stata usata la via di Cavaglia (quella oggi percorsa dalla ferrovia) che, più corta, affrontava subito una erta salita fino a raggiungere i 2.200 metri di quota, con un percorso di facile utilizzo, ma anche più esposto alle devastanti valanghe che in quegli anni rendevano pericolosissimo il transito. Proprio per evitare questo rischio forse fu ideato il nuovo progetto viario più a oriente che prevedeva, per alleviare le fatiche dei viandanti, due stazioni per il ristoro: a Pisciadello, all'inizio della Val di Campo, e a La Rosa. Tra i personaggi che sono transitati sul passo Bernina si ricordano Carlo V re di Germania e di Boemia, che nel 1355, dopo essere stato incoronato imperatore del Regno italico a Milano e aver fatto tappa a Roma, ritornò verso il nord, passando attraverso la Valcamonica, Tirano, il passo del Bernina e Coira. Anche Benvenuto Cellini ricorda in un breve passo della sua opera il passaggio dell'Albula e del Bernina, avvenuto l'8 maggio 1537. La Val Malenco si apre alle spalle di Sondrio e fu assai frequentata fin dai tempi più antichi come attestano innumerevoli segni di passaggio sui suoi valichi42.

Pare accertato che, sulla testata della Valle, oltre al passo del Muretto, nei luoghi detti "cengia del cavallo" passasse nel XV secolo una mulattiera che, travalicando il passo di Tremogge (m 3.014), raggiungeva la valle di Fex e quindi l'Engadina a Sils. Altri percorsi più a est si dirigevano verso la valle di Poschiavo attraverso i passi della Val Poschiavina e di Canciano. La strada del passo del Muretto, che era quello più noto, costituiva la direttrice più breve sulla linea Venezia, Septimer e Coira. Frequentata verosimilmente in epoca preistorica, lo fu con una certa

42 Sulla viabilità in Valmalenco e sulle comunicazioni con la Svizzera cfr N. Canetta, L'importanza strategica della strada del Muretto dal XIII al XVII secolo e le fortificazioni ad essa collegate, in “ Bollettino della Società storica valtellinese”, 31 (1978), pp. 37-40; E..e N. Canetta, Sui sentieri delle Alpi Svizzere-Grigioni, Torino 1993; G. C. Corbellini, Vicende dell'insediamento umano in Valmalenco, tesi di laurea, rel. Mario Pinna, Milano, Università Cattolica del Sacro Cuore, a.a. 1967/1968; L. De Bernardi, Valmalenco, una lunga storia, Sondrio 1986; L. Livieri, La Valmalenco, Sondrio, s.d.; S. Masa, La "strada Cavallera" del Muretto. Valmalenco, transito e commerci su una via retica fra Valtellina e Grigioni in epoca moderna, tesi di laurea, rel. Carlo Capra e Claudia di Filippo Bareggi, Milano, Università degli Studi, a.a. 1992/1993; E. Pavesi, Valmalenco, San Casciano 1969.

La chiesa di San Giovanni di Münstair

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sicurezza anche nel periodo romano, come proverebbe il ritrovamento di monete di quel periodo proprio nei pressi del passo. Ma è nel Medioevo che l'utilizzo di questa via, soprattutto per traffici commerciali a carattere locale, divenne regolare e continuo, prolungandosi poi nei secoli successivi. L'itinerario che aveva inizio a Sondrio, nel periodo più antico saliva dalla vecchia strada della Valmalenco fino a Mossini (forse l'antica Rovoledo, poi distrutta da una enorme frana) e proseguiva fino a Cagnoletti e a Torre. Solo durante il Medioevo fu costruita la cosiddetta "cavallera" che da Sondrio attraverso la salita Ligari o la via Scarpatetti raggiungeva il castello Masegra, quindi il Moncucco, i piccoli centri di Pozzoni e di Scherini, Arquino, dopo aver attraversato il ponte sull'Antognasco, Caparé, Menesatti, Cucchi, e, dopo il passaggio sul ponte nuovo sul torrente Mallero, raggiungeva Torre. Da lì, restando accanto al corso d'acqua, arrivava a Chiesa, quindi oltrepassava la località Giovello, San Giuseppe, Carotte e Chiareggio (o Cereccio come si trova in alcuni antichi documenti). Dopo aver attraversato il piano del Lupo, così detto dal termine lop che indica i residui di miniera, la strada saliva senza tornanti, direttamente all'Alpe Oro, quindi superava uno sperone di roccia, un lungo pendio ghiaioso e infine la bala del Muret, l'ultimo ripido pendio prima della discesa sul versante elvetico dove il tracciato antico è scomparso. Comunque la via, dopo aver superato il Plan Canin dove ha inizio la valle del Forno, scendeva al lago di Cavlocio e raggiungeva il passo del Maloia. Una meta poteva essere Casaccia, dove si trovavano la sosta e la dogana, oppure, salendo al passo Lunghin e attraverso la val Maroz e il passo del Septimer, raggiungere Bivio e quindi Coira. Il passo del Muretto era largamente praticato, come pure il passo di Tremoggia, anche grazie alle condizioni climatiche, un tempo decisamente più favorevoli di quelle di oggi. Per impedire il transito di eserciti nemici, non appena i Capitanei riuscirono a imporre il loro potere sulla media Valtellina, furono costruite fortificazioni, a destra e a sinistra del Mallero a difesa della valle e, quindi, di Sondrio. Le strade ovviamente servivano a collegare questi luoghi fortificati di cui una possibile ricostruzione è la seguente: per la parte alta della valle probabilmente vi erano dei posti di guardia al passo del Muretto, all'Alpe dell'Oro, all'Alpe Senevedo, alla Zocca, in località Cane. Un forte di sbarramento si trovava vicino al Giovello; di esso ci restano diverse attendibili testimonianze storiche, le rovine, invece sono state completamente eliminate per l'allargamento delle cave di serpentino, proprio in quella località. Qualche testimonianza di fortificazione si ha anche per Primolo, per la sua panoramica posizione. La costruzione più imponente doveva, però, essere il castello di Caspoggio, posto su di un dosso, con piena visualità della valle. Di esso restano alcuni ruderi, piuttosto maltenuti, che, tuttavia, ne testimoniano le dimensioni e la solidità: c'erano mura di cinta ed edifici interni di buone dimensioni; i contorni degli edifici primari erano, come si può vedere ancora oggi, rifiniti con grossi blocchi di granito squadrati e bugnati. Scendendo verso valle, una torre si trovava in località Basci, un'altra a Torre Santa Maria, dove si trovava in località Volardi, anche un edificio fortificato, oggi chiamato "castello", forse sede di scambio e di stazionamento. Quasi di fronte si vede il suggestivo borgo fortificato di Melirolo con le sue torri-colombaie, ancora ben conservate, anche se utilizzate come edificio agricolo. Borghi fortificati erano anche Cristini e Zarri. Un'altra torre era a Marveggia e una nel borgo fortificato, oggi quasi del tutto abbandonato ma allora molto importante, di Gualtieri. Da lì il collegamento visivo diretto, grazie a fuochi di notte e specchi o segnali di fumo di giorno, con il castello Masegra. Si ipotizza che anche nei pressi di Campo Franscia, visto che i passi verso la valle di Poschiavo erano percorribili e percorsi, ci fosse nella zona di Vetto un luogo fortificato. Attraverso questa linea diretta, a vista, in pochissimo tempo era possibile inviare informazioni dai 2572 metri del Muretto a Sondrio e anticipare di molto le invasioni di nemici che avanzavano lungo le faticose vie di terra.

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In Alta valle43 i passi ed i percorsi più importanti verso l'Engadina e la Val Venosta, frequentati probabilmente anche in epoche preistoriche, ma comunque largamente utilizzati dal Medioevo fino agli inizi del XIX secolo furono il passo di Umbrail o Ombraglio denominato "via breve di Val Venosta" e il passo di Fraele o "via lunga di Val Venosta". Entrambi avevano come punto di partenza Bormio dove si giungeva attraverso il passo del Gavia o seguendo la Valtellina per Bolladore, Serravalle, Cepina. Il primo itinerario all'uscita da Bormio, oltrepassato il torrente Campello e raggiunto il bivio da cui si divideva la strada per Fraele, proseguiva a destra per Molina, attraversava il bosco di Morena (l'attuale parco dei Bagni Nuovi) raggiungeva il difficile passaggio delle "scale dei Bagni" sotto la chiesetta, costruita probabilmente in epoca carolingia, di San Martino dei Bagni; con un altro pericoloso tratto si portava sotto la torre detta Serra frontis, oggi scomparsa, che faceva parte di un sistema di fortificazioni citato per la prima volta in un documento del 1201, ma sistemato e reso sicuro nel 1391 per volontà di Gian Galeazzo Visconti. Da lì la strada scendeva al ponte sul torrente Braulio, poi, senza tornanti ma con una ampia curva, risaliva il versante opposto per raggiungere l'imbocco della valle della Forcola di Rims, superato il passo omonimo, affacciato sulla valle del Braulio, attraverso il passo di Umbrail e la valle Muranza scendeva a Santa Maria in Val Monastero. Nei pressi del passo, poco prima dell'inizio della discesa c'era una "hostaria", storicamente documentata dal 1496, che costituiva un sicuro ricovero per i viandanti soprattutto in inverno. Essa venne distrutta e successivamente ricostruita due volte nel corso del '600. Lungo questo itinerario passò Bianca Maria Sforza per andare incontro al suo sposo Massimiliano I d'Asburgo nel 1493, ancora vi passò Ludovico il Moro nel 1496, quando si recò a Mals per incontrare l'imperatore Massimiliano, probabilmente accompagnato da Leonardo da Vinci 44. Invece di scendere in Val Monastero, vi era la possibilità di salire fino al passo dello Stelvio e, con un percorso piuttosto accidentato, raggiungere Malles lungo la valle di Trafoi. Questo itinerario, percorribile solitamente solo alcuni mesi in estate, fu aperto nell'inverno del 1485, quando si scatenarono forti dissidi con gli abitanti della Val Monastero per ragioni commerciali. Fu utilizzato anche dal Duca di Feria nel 1633, quando, non volendo passare sul territorio dei Grigioni, con imponenti truppe raggiunse il Tirolo. Negli anni delle guerre di Valtellina nella prima metà del XVII secolo questi passi furono percorsi più volte dagli eserciti con conseguenze devastanti per gli abitanti dei territori vicini. La via lunga di Fraele, invece, passava nei pressi della chiesa di San Gallo, raggiungeva Premadio, saliva lungo le difficili "scale di Fraele" fino alle torri, da lì lungo la dolce valle di San Giacomo, oltrepassata l'osteria "hospitalis", di cui si parla in una pergamena del 1287 situata nei pressi della

43 Per la viabilità in Alta Valle cfr. La storia di Livigno dal Medioevo al 1797, a cura di Francesco Palazzi Trivelli, Sondrio 1995; E. Besta, Bormio antica e medioevale, Milano 1945; M.L. Galli, , I valichi più praticati negli ultimi due secoli e gli attuali nell'Alta Valtellina, tesi di laurea Università Cattolica del Sacro Cuore, anno acc. 1970-71; I. Silvestri, Le strade dell’Umbrail e dello Stelvio dal Medioevo al 1900, Bormio 2001; T. Urangia Tazzoli, La Contea di Bormio, voll. 1-IV, Bergamo 1930-1938. 44 L. Conato, Leonardo da Vinci nella valle dell'Adda, Como 2003.

Le torri di Fraele in Valdidentro

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antica chiesa di San Giacomo, arrivava in Val Mora, attraverso il pass Redond e la Val Vau raggiungeva Santa Maria. Rispetto all'itinerario della "via corta" questo tracciato era molto più accessibile anche nella stagione invernale, l'unico punto pericoloso, ai piedi delle torri di Fraele, era superato da una via artificiale costruita con tronchi e assi di legno, perciò poteva essere percorsa anche da cavalli con la soma. Il primo accenno a questa strada si trova in un documento del 1334; l'ospizio di San Giacomo, però, è citato in documenti molto più antichi. Come attestano alcune fonti, dal 1357 in avanti risultò per molto tempo la via preferita dai cavallanti anche grazie alle continue migliorie apportate. Così la via di Umbrail perse man mano importanza, anche se continuava ad essere percorsa da molti per la brevità del suo tracciato. Tra le merci trasportate era soprattutto il vino della Valtellina ad avere il posto d'onore nell'esportazione verso oltralpe, mentre veniva importato dal Tirolo il sale di Halstatt, considerato merce preziosissima, perché permetteva di conservare gli alimenti. Solo negli ultimi anni del XVIII secolo, anche a causa del clima più crudo, era infatti in atto la cosiddetta piccola glaciazione napoleonica, fu decretato ufficialmente l'abbandono della via di Umbrail a favore di quella di Fraele più comoda e sicura. Entrambi i valichi, durante l'epoca napoleonica furono teatro di sanguinosi scontri, ai quali seguì un lungo periodo di decadenza. L'economia del Bormiese, infatti, decaduti con l'avvento della Repubblica Cisalpina prima e del Regno d'Italia dopo, tutti i privilegi che avevano nei secoli precedenti consentito un florido commercio con i paesi oltremontani, si trovò in pesanti difficoltà, precipitando la popolazione in miserevoli condizioni. Tuttavia, sarà proprio Napoleone, come vedremo più avanti, per ragioni strettamente militari, a volere un nuovo collegamento con il regno di Baviera, suo alleato, attraverso il passo dello Stelvio, per non toccare i territori Grigioni. Da Livigno verso Zernez la via più importante, denominata "via di valle", passava presso il rifugio di Viera, il passo del Gallo e raggiungeva Zernez. La sua manutenzione era affidata ai proprietari dei fondi prospicienti la via e alla vicinanza, durante l'inverno era mantenuta aperta dai "rotteri". Il ponte del Gallo era spesso malandato, ma era anche l'unico passaggio diretto tra Engadina e Bormio - Brescia - Venezia. C'era una mulattiera che dal Gallo andava a Fraele e quindi a Bormio. Per recarsi in Engadina, un'altra via secondaria, ma non senza importanza, passava attraverso la valle del Fain, che, imboccata poco prima della Forcola, consentiva in breve di raggiungere Pontresina. Frequentato fin dai tempi antichi era anche il passo di Cassana che collegava Schanfs con la Val Federia; da lì passò il Duca di Rohan, nel XVII secolo.

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Epoca grigiona

Dal XVI secolo le vie di comunicazione minori continuavano ad essere tranquillamente percorse per esercitare i piccoli traffici locali e per raggiungere i luoghi dove si tenevano mercati e fiere che, come la fiera istituita nel 1514 a Tirano, attiravano gli abitanti delle valli. Al contrario, le strade più battute e di maggior importanza si trovarono a subire i mutamenti politici del turbolento periodo storico; le conseguenti trasformazioni territoriali furono spesso causa di cambiamenti negli itinerari. La politica di governo dei Grigioni, che dal 1512 erano signori anche di Valtellina e Valchiavenna, gli stretti rapporti diplomatici ed economici con la Repubblica di Venezia che aveva conquistato il territorio di Bergamo quasi fino al Lario, i contrasti con il Ducato di Milano e con gli Spagnoli, costituirono i più importanti motivi di modifica per alcuni dei percorsi fino ad allora molto utilizzati.

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Quelle storico-politiche non furono però le uniche cause, infatti nel corso del XVI secolo si verificarono alcune catastrofi naturali, quale la terribile alluvione del 1520 che fece deviare il corso dell'Adda, frane imponenti e addirittura l'avanzamento dei ghiacci nel quadro climatico sfavorevole della piccola età glaciale che durerà fino alla metà del XIX secolo; tutto ciò comportò gravi conseguenze per i trasporti. In questo scenario particolare rilievo assumono i rapporti economici tra Grigioni e Venezia45.

Nei secoli XV, XVI e XVII i rapporti tra lo Stato delle Tre Leghe e la Repubblica di Venezia si mantennero, sia pure con alterne vicende, molto stretti. Uno dei fenomeni più interessanti che comprovano i legami tra i due stati è quello dell'emigrazione verso la città veneta. La presenza engadinese a Venezia, come numerosi documenti riportano, è attestata dal 1458: si trattava soprattutto di uomini che svolgevano l'attività di fornai, pasticceri, arrotini e vetrai; emigrati da soli, senza la propria famiglia, essi mandavano tutti i guadagni nelle loro valli, contribuendo a migliorare la situazione economica dei familiari rimasti a casa. Numerosa era anche la presenza valtellinese; le attività privilegiate in questo caso erano quella del falegname, del muratore, del fabbro, del calderaio e del salsicciaio. Momento di grande rilievo per l'economia delle valli centro-alpine, ma anche delle zone a sud delle Orobie e quindi anche per i mercanti veneti, era la fiera di Tirano, istituzionalizzata a partire dal 1514. Essa, posta nel giorno 29 settembre, data in cui solitamente il bestiame scendeva dagli alpeggi, in realtà durava da nove giorni prima a quattro giorni dopo il giorno prefissato e faceva di Tirano il centro di smistamento di una enorme quantità di merci. Mercanti e mercanzie giungevano dalla Francia, dalla Germania e da tutta l'Italia settentrionale attraverso mulattiere e sentieri per vendere o scambiare i loro prodotti. Nella seconda metà del XVI secolo molto vivace e redditizio divenne il commercio di bestiame e di prodotti agricoli, tanto che i mercanti di bestiame ottennero nel 1579 il privilegio che le loro borse non potessero essere ispezionate o perquisite. Pochi anni dopo, nel 1582, una ordinanza del Senato veneziano consentiva addirittura di portare armi per la difesa personale. Forse fu proprio grazie a queste immunità che anche i testi dei seguaci della Riforma, stampati a Poschiavo presso la tipografia Landolfi, passarono le barriere doganali e le ispezioni degli inquisitori e, attraverso le vie e i passi delle Orobie, raggiunsero la pianura. L'importante trattato tra Venezia e le Tre Leghe che venne stipulato nel 1603 prevedeva facilitazioni nelle relazioni economiche tra i due Stati. Nuovo e forte impulso ebbe allora l'attività mineraria, svolta nelle valli bresciane e in diverse località del versante settentrionale delle Orobie; per il materiale estratto era prevista la commercializzazione nei paesi del nord. Anche per questa attività, dunque, erano necessarie vie che consentissero trasporti rapidi e sicuri. A fronte della costruzione di nuovi percorsi o di un rinnovamento di qualcuno di quelli antichi, si verificò, come già detto, un abbandono di parecchi itinerari molto battuti nel Medioevo. Per esempio, anche il passo del Muretto in Valmalenco, come del resto accadde per tutti i passi più elevati, progressivamente ricoperto da neve e ghiaccio per lunghi periodi, perse l'importanza che lo aveva reso celebre nel periodo precedente. Il passo del Septimer venne quasi abbandonato in

45 M. Bundi, I primi rapporti tra Grigioni e Venezia nel secolo XV e XVI, Chiavenna 1996.

La via verso il passo del Muretto

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seguito alla ricostruzione del tratto di via Mala tra Splugen e Thusis, in questo modo per i commerci ritornava più agevole il passo dello Spluga. Per motivi diversi dunque si verificarono modifiche nella viabilità e ciò comportò radicali cambiamenti nell'economia delle zone interessate. Il dissesto idrogeologico con la disastrosa alluvione che nel 1520 fece mutare l'alveo al fiume Adda obbligandolo a sfociare nel lago di Mezzola invece che nel lago di Como 46, costrinse i Grigioni alla costruzione della Strada dei cavalli o del Sasso Corbé47. Questa via tracciata ed aperta nei primi decenni del 1500 come strada mulattiera, rimase l'unica impervia via terrestre di comunicazione tra la Valtellina e la Val Chiavenna fino al 1834, anno in cui l'ingegner Carlo Donegani costruì il collegamento tra Colico e Riva di Chiavenna. Paolo Giovio, studioso comasco, vissuto tra il 1483 e il 1552, nella Descriptio Larii lacus ricorda: "Da Novato li Grisoni giù per li lati deli aspri sassi de la entrata d' Adda, han fatto una via per forza di intaglio, per poter venire a piedi nella valle Turena". Già da tempo per i danni del fiume era sparito l'importantissimo e rinomato centro di Olonio48 col suo mercato istituito durante il Medioevo fin dall'840, quando ne fu concessa l'apertura dall'imperatore Lotario all'abate di Saint Denis allora possessore di parte della Valtellina. Col paese era scomparso anche il porto della Molata era, quindi, sfumata la possibilità per i commercianti di imbarcare merci da trasportare via acqua. Nel XVI secolo i Grigioni, sempre molto interessati agli scambi commerciali, diplomatici e militari con Venezia, volendo evitare il passaggio in località dipendenti dal Ducato di Milano, videro la soluzione nel tragitto via terra che da Chiavenna, attraverso l'arduo passaggio sopra il sasso di Verceia raggiungeva Monastero di Dubino per poi proseguire per Morbegno e per la Bergamasca, che appunto era diventata dominio della Serenissima dal 1428, attraverso la via Priula che verrà aperta nel 1593, o attraverso altri passi allora utilizzati. Tra questi itinerari diretti verso la parte meridionale delle Orobie c'era la strada del Passo di Dordona (2.080 metri) che da Fusine porta in Val Madre e dopo il giogo conduce nella Bergamasca. Questa via che era divenuta un sentiero di poca importanza, fu ricostruita dai Grigioni nel 1582. La Commissione che ne volle la costruzione parlò di necessità strategiche e commerciali, ma pare accertato che il vero motivo fosse la precisa volontà di Battista Salis Soglio, un ricchissimo possidente grigione, proprietario di pregiate miniere di ferro e di fucine in alta Val Madre, di rendere il trasporto del minerale ferroso in bassa valle più agevole, veloce e dunque più remunerativo. Così la mulattiera fu costruita rapidamente e a regola d'arte. Un'altra via che visse un periodo di notevoli e redditizi traffici nel periodo del governo grigione fu la strada del passo Forcola di Val Chiavenna49. Frequentata anche prima, probabilmente già dall'epoca preistorica e poi nel Medioevo soprattutto come strada militare, essa assunse grande importanza per il commercio transalpino a partire dall'ultimo decennio del XVI secolo. Dopo la costruzione della strada Priula, di cui si parlerà tra breve, che dalla Val Brembana, attraverso il passo di San Marco, giungeva a Morbegno , e da lì, oltrepassato il ponte di Ganda e il Sasso Corbé scendeva a Verceia, la via normalmente utilizzata per il transito era quella del passo dello Spluga. A causa dei dazi piuttosto onerosi, però, si pensò al passo della Forcola come alternativa verso il Ticino che allora era baliaggio degli Svizzeri.

46 D. Bertoglio, Relazione sulle variazioni del delta dell'Adda presso Colico negli ultimi secoli, Milano 1935. 47 G. Scaramellini, La strada dei cavalli: storico tracciato stradale della bassa Valchiavenna, Verceia 2002. 48 M. Belloni Zecchinelli, La torre di Olonio, in Il sistema fortificato dei laghi lombardi, atti delle giornate di studio, Varenna, Villa Monastero 13-16 giugno 1974, Como 1977, pp. 57-78. 49 M. Balatti, La strada traversa della Forcola, in “ Rassegna economica della Provincia di Sondrio”, n. 5 (1995), pp. 33-40.

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La strada conduceva nella Val Mesolcina fino a Soazza. Le merci che più frequentemente venivano trasportate e che quindi costituivano l'oggetto di importanti commerci erano pelli, laveggi, formaggi, vini, granaglie, spezie, sale, pizzi e sete. La via perse di importanza con la costruzione della carrozzabili dello Spluga e del San Bernardino nei primi decenni del XIX secolo. Per i commerci tra Valtellina e Venezia, la via fino alla seconda metà del XVI secolo più utilizzata era quella del passo dell'Aprica che, però, in seguito al ripristino dello Spluga, risultava un po' troppo ad est e quindi fuori mano. L'alternativa, la cosiddetta via dell'Adda che da Brivio conduceva a Riva di Chiavenna o a Traona, soggetta ai forti dazi degli Spagnoli, risultava economicamente poco conveniente. Si pensò dunque ad una nuova via che transitasse tutta nel territorio della Serenissima e venne costruita nel 1593 la via del passo di San Marco o via Priula, che vide un periodo di splendore nel XVII secolo. La strada Priula50, costruita nel 1592-1593, collegava Bergamo con Morbegno - Val Chiavenna - Spluga - Coira. Tra i due versanti delle Orobie esistevano numerosi percorsi anche nelle epoche precedenti utilizzati come mulattiere, tra di essi il più importante era quella che transitava da Averara. Lo stato di semiabbandono e di degrado di queste vie, tuttavia, era tale che spesso neppure gli abitanti della valle se ne servivano preferendo il lungo giro della via dell'Adda. Agli inizi del 1590 il governo di Milano intraprese la sistemazione della navigazione sull'Adda, ciò destò viva preoccupazione tra i Bergamaschi che vedevano in pericolo lo sviluppo dei loro traffici. Alvise Priuli, podestà di Bergamo dal 1591 al 1593, si fece carico del problema e il 29 agosto 1592 riuscì ad ottenere l'autorizzazione per l'inizio dei lavori per la nuova strada verso la Valtellina e i Grigioni. Sul versante bergamasco le tappe più importanti erano Zogno, San Giovanni Bianco, Olmo, Mezzoldo (il percorso precedente passava invece per Averara), il passo di San Marco alto metri 1992, e, sul versante valtellinese, Albaredo e Morbegno. Da Mezzoldo il transito poteva avvenire solo con bestie da soma fino ad Albaredo. Quali furono i principali motivi che spinsero alla costruzione della strada di San Marco ? L'esigenza di costruire questa via nacque nel quadro dei traffici commerciali e diplomatici tra Venezia e i Grigioni, soprattutto dopo che Venezia nel 1428 aveva esteso i suoi possedimenti con l'accorpamento di Bergamo fino quasi alle rive del Lario. Bergamo era diventata, dunque, un notevole centro commerciale, molte delle merci, dirette verso i Grigioni, utilizzavano il vecchio valico di Averara, ormai in degrado, oppure transitavano da Brivio e da qui sul lago di Como fino a Riva di Chiavenna. Quest'ultimo percorso, già spesso reso difficile da imprevisti nella navigazione, era inoltre sottoposto ai pesanti dazi del governo spagnolo-milanese e non consentiva il trasporto di eventuali truppe e materiale bellico. Per questi motivi e per venire incontro alle richieste di miglioramento delle condizioni economiche delle popolazioni della Val Brembana, Venezia acconsentì alla costruzione della nuova via e affidò l'impresa al senatore della Repubblica Alvise Priuli, allora podestà di Bergamo. Alvise Priuli, dopo aver preparato con molta accuratezza il nuovo tracciato che, sia pur con notevoli miglioramenti, sostanzialmente rispettava il vecchio percorso, fece eseguire i lavori con competenza e rigore, dimostrandosi un ottimo tecnico. La strada larga tre metri, era percorribile con animali da soma a pieno carico per tutto il percorso, ma anche con birozzi ovvero carri a due ruote. L'accuratezza dell'impianto stradale era evidenziata dalla presenza di muri di sostegno, canali di scolo, parapetti, piazzole di sosta, fontane e siti di sosta per il riposo. A Mezzoldo e ad Albaredo furono costruite una dogana e una stazione di posta. Poco sotto il valico, che venne dedicato al protettore di Venezia, San Marco, fu eretto un rifugio a due piani, con stalle e locali di ristoro; ai gestori del rifugio toccava anche il compito di tenere aperta e pulita la strada durante l'inverno. 50 G. Scaramellini, La strada Priula, Morbegno 1992; A. Allegri, La strada di san Marco tra la Bergamasca e la Valtellina: storia di un'importante via di comunicazione economica e militare, tesi di laurea, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, a.a. 1967-1968.

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Su richiesta delle autorità dei grigioni lo stesso Priuli assunse la direzione dei lavori anche sul versante valtellinese che, a differenza di quelli sul versante meridionale, procedevano a rilento. Dal punto di vista militare e strategico la via era sicura, infatti bastavano in taluni punti un centinaio di soldati per bloccare eventuali invasioni di eserciti nemici, inoltre sul torrente erano stati costruiti otto ponti che, in caso di necessità potevano essere distrutti e impedire così ogni passaggio. La spesa per l'opera fu di circa 7.000 ducati, tutti reperiti dal Priuli tramite multe, tassazioni e versamenti volontari. Nel giro di pochi mesi i lavori vennero conclusi e i vantaggi economici derivati dai traffici cominciarono ad essere avvertiti. La strada venne utilizzata da moltissimi mercanti anche perché Venezia, sulla base dell'alleanza con le Tre Leghe del settembre 1603, per favorirvi i traffici concesse esenzione daziaria per tutte le merci prodotte in Italia ed esportate attraverso il passo di San Marco e viceversa per le merci valtellinesi e grigionesi importate a Venezia. Qualche opposizione alla costruzione della strada si verificò in Valtellina soprattutto per timore di rappresaglie da parte degli Spagnoli; contrarietà si ebbero anche da parte delle autorità ecclesiastiche che temevano il passaggio e il commercio di libri e opuscoli scritti a favore dell'eresia protestante. Di qui passò l'itinerario del servizio postale più famoso dell'epoca che, organizzato dalla famiglia dei Tasso, collegava Bergamo con il nord Europa51. Nel XVI secolo, infatti, la famiglia dei Tasso, originaria di Cornello, paese della Val Brembana, diede avvio al primo vero e proprio servizio postale e gestì, attraverso i membri della famiglia, le comunicazioni tra i vari stati europei per almeno quattro secoli. Secondo la tradizione di famiglia, l'attività ebbe inizio con Omodeo Tasso, che nella seconda metà del XIII secolo formò il primo gruppo di corrieri. Chi, però, organizzò il servizio in modo impeccabile, tanto da essere nominato capitano e maestro generale delle poste da Filippo il Bello, fu Francesco Tasso. La famiglia ottenne da Massimiliano I il monopolio per prestare servizio anche per i privati. Verso la metà del 1500 i Taxis (così fuori d'Italia si era trasformato il cognome) avevano in Europa dodici uffici postali; in Italia uno dei più importanti aveva la sede a Milano, gli altri erano a Trento, Venezia, Roma. Per il servizio, alle origini effettuato con pedoni e uomini a cavallo, grazie ai miglioramenti delle strade dal XVII secolo in poi, furono utilizzate carrozze che potevano trasportare anche passeggeri. Per quanto riguarda Valtellina e Valchiavenna, i corrieri postali percorrevano i tragitti a cavallo. Punto di partenza era la località Torretta presso Piantedo sul confine col Ducato di Milano, da lì si dirigevano rispettivamente a Bormio e oltre, attraverso i passi di Fraele e dell'Umbrail, e a Chiavenna, per poi assicurare i trasporti internazionali attraverso il passo dello Spluga o del Maloia52.

51 B. Leoni, Notizie sul servizio postale in Valtellina e Valchiavenna dal XV secolo sino alla fine del XVIII, in “Rassegna economica della Provincia di Sondrio”, 10 (1958), pp. 5-12; V. Mora, I Tasso e le poste. Cornello dei Tasso. Con i Tasso da Cornello all'Europa, Bergamo 1982. 52 G. Scaramellini, Il territorio e la società nella provincia di Sondrio, in Sondrio e il suo territorio, a cura di O. Lurati - R. Meazza - A. Stella, Milano 1995, pp. 11-40.

Resti della strada Priula

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Anche il convoglio del corriere di Lindau che da Milano raggiungeva Fussach sul lago di Costanza, transitando via acqua sul lago di Como, e poi per Chiavenna e il Passo dello Spluga, fu per secoli il filo che mantenne vivi i rapporti commerciali e culturali tra le popolazioni. Grande rilevanza ebbero i passi tra la Val Camonica e la media Valtellina. La strada dell'Aprica fu utilizzata tra l'altro, per un secondo servizio postale che, con un itinerario attraverso i passi dell'Aprica, del Bernina e dell' Albula, arrivava fino a Coira. Infatti nel 1522 il re francese Francesco I aveva iniziato ad installare stazioni di posta permanenti tra Lione e Solothurn; il legato francese Jean Jacques de Castion, milanese di nascita, riuscì a convincere il Consiglio della Corona francese a istituire dal 1 marzo 1548 un servizio di posta tra Coira e Aprica. Le stazioni erano: Coira, Lenz, Bergun, La Punt, Chamuesch, Pontresina, Poschiavo, Tirano, Aprica, da lì si proseguiva lungo la Val Camonica. I passi attraversati erano dunque l'Albula, il Bernina e l'Aprica. Ottavio Cottogno autore del testo "Compendio delle Poste", stampato a Milano nel 1623, ci fornisce alcune interessanti indicazioni sugli itinerari più importanti. A garantire i passaggi e la sicurezza sulle strade c'erano ancora, come nei secoli precedenti, i Porti. Si trattava di una sorta di corporazione di trasportatori raccolti su base territoriale e organizzati in una istituzione di diritto pubblico diffusa su tutte le Alpi, che, quindi, assumeva connotati diversi a seconda della localizzazione. In sostanza era una associazione volontaria di abitanti di un comune che, pur svolgendo un proprio lavoro e indipendentemente da questo, ricoprivano il ruolo di vetturini o conduttori, a turno (a roda) dietro il pagamento di una piccola somma, per trasportare merci sul territorio del proprio comune. Obbligo riconosciuto era quello di vigilare e operare sul tratto di strada a loro affidato. Compito loro era anche quello di provvedere al funzionamento dei ricoveri, alla conservazione delle merci, allo sgombero delle nevi. I proventi del trasporto erano suddivisi tra tutti coloro che avevano partecipato all'impresa e questo costituiva una notevole fonte di guadagno, soprattutto per le zone più povere come quella della valle di San Giacomo in Val Chiavenna. Il sistema, tuttavia, comportava disagi e rallentamenti in quanto le merci alla fine di ogni tratto dovevano essere trasbordate su altre vetture con altri cavallanti. Pagando una tassa si poteva usufruire di un servizio, chiamato adrittura, con un unico vetturale, ma tale possibilità era fortemente avversata dai Porti che vedevano sminuita la loro possibilità di guadagno. L'istituzione dei Porti nelle nostre zone risale al 1390 quando quattro Porti si trovano ad operare sul passo del Settimo. Già si è detto dell'importanza dei passaggi attraverso le Orobie. I versanti della catena orobica sono sempre stati percorsi fin dalle epoche più antiche dalle popolazioni locali che mantenevano tra loro rapporti molto più stretti e continui di quanto non si verifichi oggi, come testimoniano anche alcune affinità linguistiche tra i dialetti della Bergamasca e quelli della sponda sinistra dell'Adda. I transiti non cessarono neanche quando lo spartiacque lungo la catena divenne confine politico, dapprima nel

Resti dell’antico tracciato verso il passo del Bernina

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1428 con l'affermarsi del dominio di Venezia su Bergamo e Brescia e poi dal 1512 con il dominio grigione sulla Valtellina. Soprattutto in questo ultimo periodo i traffici sulle direttrici nord-sud delle vallate orobiche si intensificarono perché il transito attraverso la Valtellina consentiva a Venezia di evitare il passaggio nelle terre dominate dagli Asburgo. Nella prima metà del secolo XVI l'asse principale del traffico che da Venezia si dirigeva verso la Germania passava per Brescia - passo dell'Aprica - Tirano - passo Bernina - passo Albula – Coira. Nella seconda metà del XVI secolo la maggior parte del traffico si spostò sul passo del Gavia e sul passo di San Marco, grazie alla costruzione della nuova strada. Il motivo di questo cambiamento nelle preferenze di itinerario va cercato nel fatto che il percorso degli Zappelli di Aprica, in aggiunta alle alte quote dei passi del Bernina e dell' Albula, era piuttosto disagevole. Oltre a ciò, la Valcamonica, a causa della politica repressiva di Venezia nei confronti dell'attività mineraria e di lavorazione del ferro che in quegli anni cominciò ad incidere sulle attività estrattive, si trovava in una situazione di recessione economica. Anche la viabilità ne soffrì le conseguenze. Attraverso le testimonianze dirette di alcuni esponenti politici o militari del XVII secolo si sono potuti ricostruire gli itinerari allora più percorsi53. Giovan Battista Padavino, segretario della Repubblica di Venezia, nel 1603 scrisse una nota delle strade per raggiungere la terra dei Grigioni e della Valtellina partendo da Zurigo: la più importante era quella del Septimer; tra le altre ne ricorda una che da Glarona attraverso il Segnespass porta a Thusis e allo Spluga e quindi a Chiavenna, una che dal Landquart porta a Kloster, Susch, Fluela pass, Zernetz, passo del Forno, Umbrail, Bormio. Un'altra possibilità segnalata era quella che da Coira attraverso lo Julier, Silvaplana, Pontresina, il passo del Bernina, conduceva a Tirano; da lì, attraverso il passo dell'Aprica si raggiungeva la terra dei Veneziani. Ancora da Coira e Tiefencastel, attraverso l'Albula si raggiungeva l'Engadina nei pressi di Zuoz. Qualche anno dopo, nel 1620, Gian Battista Apolloni, bandito dalla Val Camonica, fu ingaggiato dai capi della congiura contro i Grigioni come esperto di cose militari e buon conoscitore della zona. In appendice alla sua "Narrativa breve delle cose occorse in Valtellina fino alli 5 di giugno 1621" si trova, oltre a quella che illustra i passaggi verso Trento e il Tirolo, una descrizione delle vie allora percorse sui versanti dello spartiacque dal Gavia fino al Lago di Como:

"Strada del Gavia da Ponte di Legno a Bormio: strada cattiva di 16 miglia si usa due o tre mesi all'anno, vi passano difficilmente solo le bestie. Strada della valle di Rezzalo da Vezza d'Oglio a Sondalo percorribile a piedi solo per due mesi all'anno. Strada dal Gavia a Peio attraverso la valle Ombrina o il passo della Sforzellina. Strada da Monno al Mortirolo e quindi dal passo al luogo detto "alla fontana" a destra verso Grosio e Bormio, oppure a sinistra verso Mazzo, Tovo, Lovero. La via è percorribile tutto l'anno con cavalli carichi e anche con carrette a due ruote dette brozzi o privale. Strada da Edolo - Cortenedolo attraverso il passo di Guspessa a T irano lunga 11 miglia.

53 Tra i testi più importanti degli studiosi che si sono occupati dell'argomento: S. Massera, Antiche strade orobiche tra la Repubblica di san Marco e la Valtellina in “Rassegna economica della Provincia di Sondrio”, n. 3 (1988), pp. 87-92; S. Massera, Le principali vie di comunicazione tra la Repubblica di Venezia e i cantoni svizzeri attraverso la Valtellina e i Grigioni nel secolo XVII, in “Rassegna economica della Provincia di Sondrio”, n. 4 (1983), pp. 15-26; S. Calvi, Zapei di Abriga: riflessioni su alcune annotazioni d'archivio, s. l., 1996 ; L. Leonardo, Edolo e i passi dell'alta Valcamonica in una relazione del 1627, in “Commentari dell’Ateneo di Brescia” 1988, pp. 111-133; E. Tagliabue, Strade militari della Rezia e del Ticino, in “Bollettino storico della Svizzera italiana”,1901 (studio su un manoscritto di A. Vignati); P. Pensa, Le comunicazioni nel bacino dell'Adda, in “ Archivi di Lecco”, a.11, n. 2 (1988), pp. 326-351; B. Leoni - L. Livieri, Una relazione sulla Valtellina di quattrocento anni fa, in “ Rassegna economica della Provincia di Sondrio”, n. 5 (1958), pp. 12-16.

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Dal passo si può scendere a Sernio attraverso il sentiero detto Spigon , molto difficile ed erto, in tre ore. Strada di Piatolta che comincia sopra Corteno a Galeno sale al pianoro di Pian Gembro e quindi si divide: a destra verso il castello di T irano si può percorrere in estate con cavalli carichi. A sinistra invece scende a Stazzona. Strada degli Zappelli di Aprica: da Edolo in 16 miglia passando da Corteno, il piano di Camuzzone, la chiesa di San Pietro, il gruppo di case di Aprica e i pericolosi Zappelli, sorta di gradoni che oltrepassano un tratto particolarmente erto, scende a Motta da dove si può andare a Stazzona oppure, a sinistra, verso Teglio attraversando il ponte di Tresenda o ancora più a sinistra recarsi al ponte di San Giacomo e proseguire per Chiuro, Ponte, Sondrio Strada della valle di Belviso che porta alle fucine e quindi attraverso il monte Muracolo (passo del Venerocolo), verso la valle di Paisco e verso la valle di Scalve".

In modo molto succinto vengono citate anche le vie più a occidente. Passi della Valle di Arigna: passo di Coca, passo del Diavolo, passo del Salto, passo di Cigola, passo Venina ( ai cui piedi si trovavano ricche miniere), passo di Publino da Caiolo a Carona, passo di Val Cervia da Cedrasco a Carona, passo di Dordona con una mulattiera da Fusine a Foppolo, passo di Tartano, di San Marco, passo di Verrobbio tra la valle del Bitto di Gerla e Averara, la Bocchetta di Trona tra la Valsassina e Morbegno e il passo del Legnone (2.223 m.) tra Delebio e Piagnona usato soprattutto per il trasporto del carbone di legna.

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Epoca napoleonica (1797-1815) La situazione della viabilità fino alla conquista napoleonica era pesantissima, come ricordano vari documenti dell'epoca: la trascuratezza nella manutenzione era tale da non consentire passaggi sicuri su nessuna delle via allora percorribili. Alluvioni, degrado naturale, frane o valanghe rendevano quasi impossibili gli scambi commerciali e ostacolavano anche i passaggi di eserciti, come testimonia la tragica esperienza del generale napoleonico Mac Donald che, sul passo dello Spluga, alla fine dell’Ottocento perse molti dei suoi 1200 uomini, insieme ad armi e animali. Napoleone, che otteneva i suoi successi militari soprattutto attraverso rapidi spostamenti militari, prestò sempre grande attenzione alle strade dei territori da lui dominati. Egli, come molti secoli prima di lui i romani, si rese conto che le Alpi costituivano una importantissima cerniera tra l'Europa e l'Italia e che, quindi, anch'esse dovevano essere solcate da efficaci vie di comunicazione. Per sua volontà nel maggio del 1806 venne costituito l'Ufficio di Acque e Strade con un corpo di 114 ingegneri, si censirono e distinsero tutte le strade in Nazionali, Comunali e Private. Si stabilì, tra molte altre norme, che le vie definite Nazionali dovevano essere larghe da sei a otto metri, presentare una certa convessità e avere fossette laterali per lo scarico. Nella nostra zona, Napoleone fece eseguire studi per costruire una strada di fondovalle in Valtellina che sostituisse quella di versante, ormai da tempo percorribile solo con carrette e, quindi, incompatibile con le nuove esigenze di viabilità. Il progetto della nuova strada che doveva collegare Colico con Bormio fu affidato all'Ingegner Filippo Ferranti. Esso venne realizzato in parte tra il 1809 e il 1810 con la costruzione della strada carrozzabile nel tratto Colico-Sondrio lungo 45.575 metri. Nel 1811 si poté istituire il primo servizio pubblico postale con due carrozze rispettivamente per i tratti Sondrio-Morbegno e Morbegno-Colico. Le notevoli difficoltà di transito in Val Chiavenna spinsero le autorità locali a chiedere insistentemente la sistemazione e la costruzione di nuove vie. Il rifiuto sistematico opposto ogni volta alle richieste effettuate, si può, forse, spiegare con la convinzione da parte delle autorità della scarsa importanza strategica di questi percorsi che, diretti verso la Svizzera, potevano avere un risvolto solo commerciale e quindi non attiravano affatto l'interesse di chi governava. Napoleone si occupò anche di strade minori facendone sistemare i tratti più ardui; ancora oggi si chiama "Napoleona" il tratto di strada tra Lierna e Fiumelatte con la salita fino a Roslina; così pure per suo ordine venne sistemato il tratto tra Dervio e Bellano. Sulla strada Regina furono resi carrozzabili il tratto Como - Moltrasio e quello Gravedona - Valtellina. Il resto del tragitto era solo someggiabile perché il grosso dei trasporti avveniva come nei tempi più antichi, lungo la via d'acqua sul lago.

Incisione con il generale Mc. Donald sullo Spluga

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Interessante osservare lo stato della viabilità come si trovava esposto nel Quadro delle Strade Nazionali voluto da Napoleone: Sondrio-Tirano 26.470 metri Largo da 2,5 a 4 metri Carreggiabile ma in

cattivo stato Tirano-Bormio 36.346 metri Largo da 2 a 4 metri Carrozzabile ma

malandato e pericoloso per frane e valanghe

Bormio-Monte di Fraele

25.925 metri Largo da 1 a 3 metri Percorribile a cavallo, in alcuni tratti con carrette a due ruote

Morbegno-Bocca d'Adda

17.234 metri Largo da 2,5 a 5 metri Carreggiabile

Bocca d'Adda- Riva di Mezzola

5.316 metri Largo da 1 a 3 metri Cavalcabile con pericolo

Mi sembra utile per comprendere lo stato della viabilità dell'inizio dell'Ottocento riportare direttamente per intero una importante testimonianza dell’epoca. Essa è tratta da una relazione di Francesco Bellati che era stato Commissario di Governo nel Dipartimento d'Adda e d'Oglio. Il capitolo VIII della relazione stesa nel 1802 e presentata al Vice Presidente della Repubblica Italiana, traccia un quadro decisamente negativo sulla viabilità negli anni immediatamente precedenti.

"Una sola strada guida il viandante dalla Riva di Colico fino oltre Bormio al confine della Valtellina verso lo Stato Elvetico e l'altra dalla riva del lago di Mezzola passando per Chiavenna lo guida fino al Monte Spluga. Havvene una terza la quale da Ardenno, costeggiando il monte in cui è tagliata passa per Traona e Dubino e conduce fino alla riva suddetta del lago di Mezzola; queste tre strade sono quelle che dette altre volte "Provinciali" ora appellansi "Postali". Ma quali strade son esse? Se parlasi della prima essa era una volta servibile e comoda per larghi carri e per carrozze ad uso de' viaggiatori: ora non l'è più che per cavalli, muli e altre bestie, ed è pericolosa per piccolissimi carri o per carrozze. Ad un miglio distante dalla Riva di Colico esisteva anticamente una strada la quale scorrendo per la pianura e lasciando fuori la convessità del vicino monte, forniva ai viandanti un comodo e più breve cammino. Guastatasi ella successivamente e pel debordamento delle acque e per quelle che colano dal monte contiguo non è incomodamente praticabile che in qualche mese all'anno, ed intanto convien prendere una orribile alta strada di circa quattro miglia tagliata nel monte medesimo, la quale segnatamente d'inverno è assai pericolosa e per le nevi e pel ghiaccio e per gli sassi che vi cadono dall'alto. Da qui poi fino a Morbegno e fino al fiume Tartano sopra Talamona per lo spazio di circa otto miglia si viaggia con minore incomodo. Ma giunto il viaggiatore a quello torrente convien che guadi i moltiplicati sovente assai gonfi e minacciosi suoi rami per lo spazio di circa un miglio ovvero che con pericolo cammini sui disastrosi suoi antichi letti. Quindi traversando l'Adda sovra un ponte che a mia istanza si sta ora costruendo per togliere il pericolo e la frequente impossibilità di passarlo a guado nei mesi estivi, si entra nella vasta pianura di brugherie comunali detta la Selvetta, dove nei detti mesi l'Adda gonfiandosi per lo scioglimento delle nevi invade e copre la strada ad una altezza tale che non potendo più né cavalli né carri marciare sicuri, è costretto il pedone e il cavallo di prendere un lungo e pericoloso sentiero tagliato nel monte, ed il picciol carro e le condotte di

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muli carichi battono la terza strada che ho qui sopra accennata, la quale e per la sua angustia e per gli gravi inciampi che vi sovrastano e pel pericoloso guado del fiume Masino e per gli frequenti disgraziati casi che sono occorsi e finalmente anche per la soverchia lunghezza, è mal volentieri e con difficoltà abbracciata. Si arriva quindi al bel ponte di San Pietro che sotto i miei occhi e a spese della Cassa Dipartimentale feci rinnovare, giacché il legname del vecchio era logoro e minaccioso ad ogni momento e giustamente intimoriva i condottieri. Da qui fino a Sondrio la strada è carreggiabile e non meriterebbe che di rettilinearla e liberarla dalle acque che vi si lasciano scorrere dalle vicine alture, come pure di portare al piano quel breve tratto di strada assai erta che è stata tagliata nel monte detto la Sassella al tempo in cui l'Adda scorreva alle sue radici. Ma inoltrando il cammino nell'Alta Valtellina trovasi questa strada postale ora di qua, ora di là del fiume, guidata da malsicuri ed angusti ponti di legno, ora rovinata, ora pericolosa, ora minacciata, ora coperta dalle acque, ora carreggiabile, ora appena servibile al pedone e al cavallo. Io mi astengo di più parlarne e mi riporto a quanto su di essa ha riferito l'Ingegnere Gianni dietro la visita che se ne fece d'ordine del Ministro dell'Interno che, a mia istanza, ve lo spedì nel mese di aprile. Intanto non ho mancato di assegnare delle somme sulla Cassa Dipartimentale per riparare il rovinato ponte di Ceppina e qualche altro. Evvi pure una strada detta del Mureto che da Sondrio per la valle Malenco mette al confine. Ma questa si ritiene in minor conto riguardandosi piuttosto per una via di più certa ed immediata comunicazione commerciale tra quel distretto e il contiguo paese grigione. Pure per questa sulla rimostranza e sulla perizia avanzatami da quella Municipalità, assegnai sulla Cassa Dipartimentale la somma di cento zecchini per riparare parte della rovine che la rendevano impraticabile anche nei mesi estivi nei quali soltanto può servire. Parlando ora della strada che dal maestoso ponte detto di Ganda sull'Adda che costò undici mille Zecchini, passa per Traona e Dubino, attraversa il Chiavennasco, essa sebbene assai rotta e seminata di grossi sassi e da buche, pure è carreggiabile discretamente fino a Chiavenna, tranne quel pezzo che dal piano di Colico mette alla riva detta di Chiavenna, il quale essendo scolpito nel sasso è assai angusto, ripido ed anche pericoloso e non può esso evitarsi quando pel vento contrario non possa navigarsi il lago di Mezzola. Poco sopra la detta Comune di Chiavenna, s'innoltra nella valle di San Giacomo la strada che successivamente suddivisa mette, l'una per Campo Dolcino, l'altra per Villa fino allo Stato Reto. Questa strada tanto interessante per le relazioni commerciali tra gli Svizzeri e l'Italia, fu dopo la Rivoluzione non conservata, ed ora trovasi in uno stato assai rovinoso, per cui i commercianti e spedizionieri di Chiavenna sentono ormai i perniciosi effetti. Io stesso fui a vederla e dovetti convincermi che o un sensibile risparmio di spesa ovvero la pura necessità determinar possa i mulattieri a dirigere per quella difficile via il trasporto delle merci. E siccome in quella visita osservai come nei contorni della già Comune di Piuro stata nel secolo XVII sotterrata da un monte cadutovi sopra, si fosse rotta la strada e resa pressocché impraticabile per essersi abbassata una grossa parte della contigua montagna, così non tardai a far sovvenire a quella municipalità dalla Cassa Dipartimentale la somma di zecchini 6/m per l'effetto che ne facesse prontamente eseguire le più urgenti riparazioni e ne feci immediatamente rapporto al Ministro dell'Interno per dimostrargli la convenienza e l'importanza di mantenerla praticabile

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pel vantaggio dello Stato che profitta della esportazione dei propri prodotti e delle proprie manifatture, e più dei transiti della mercanzia che dalla Germania passa in Italia, e viceversa la perizia ammontava a circa zecchini 11/m; ed avrei desiderato che l'Ingegnere Gianni avesse colà portato le sue ispezioni. Sussisteva già colà un dazio per la manutenzione di quella strada ma esso fu per effetto della legge 5 Pratile anno VI era francese avocato alla Nazione ed ora è in Amministrazione e proprietà delle Finanze Nazionali, apparterrebbe dunque alla Finanza; e per la natura stessa del Dazio e per l'immediato rapporto e vantaggio che da tale strada le ne deriva di concorrere alla sua riparazione e conservazione. Ma se pur volesse il governo assegnare per quest'oggetto una parte di quelle tasse straordinarie arretrate che son dovute dai commercianti chiavennaschi, essi farebbero ben volentieri uno sforzo per soddisfarle in vista dell'uso delle medesime a sostegno di quel commercio, che è la fonte delle loro ricchezze e sussistenza. Ritengasi per massima che quanto più si ritardano simili riparazioni il male cresce per tal modo che o diviene irreparabile ovvero vi abbisognano somme insopportabili. Volendosi passare al riattamento di tutte questa strade o piuttosto alla costruzione di nuove, che sarebbe meno dispendioso, più solido e quindi più conveniente, sarebbe desiderabile che si adottassero le massime direttive prescritte dal Piano Stradale della Lombardia ex-austriaca, stampato nell'anno 1777 le quali sono un parto di uomini della più consumata ponderatezza ed esperienza”.

Un problema che verrà risolto definitivamente solo quando gli austriaci, sconfitto Napoleone, dopo il Congresso di Vienna prenderanno il potere anche sulla Valtellina, ma che si era evidenziato anche prima, era quello di trovare tra i vari itinerari esistenti un tracciato che potesse portare a settentrione senza toccare i territori dei Grigioni. La strada più utilizzata per il trasporto di mercanzie fino ad allora era quella di Fraele. L'idea di una grande strada di comunicazione tra Valtellina e Alto Adige nacque in seguito alla pubblicazione del trattato di Commercio tra il Regno d' Italia e il regno di Baviera avvenuta il 12 gennaio 1808, in esso si progettava di aprire nuove vie commerciali carreggiabili tra i due stati. Si presero in esame diversi possibili itinerari: uno che da Colico salisse a Chiavenna e, attraverso il passo del Maloia e l'Engadina, scendesse a Landeck e un altro che utilizzasse il passo di Fraele, come i Bormiesi speravano; entrambi, però, dovevano penetrare e in parte percorrere il territorio dei Grigioni. La possibilità venne scartata come inopportuna in quanto era sfumata una trattativa con la Svizzera per uno scambio tra la zona di Santa Maria in Val Monastero e quella di Livigno e Trepalle; rimaneva perciò solo l'antico tracciato del "camino de Stelvi". Un altro itinerario che dalla Valfurva raggiungeva, tramite il passo del Gavia, la valle dell'Adige non venne preso in considerazione perché avrebbe portato troppo a sud rispetto al Tirolo. La strada dello Stelvio era, dunque, la più breve verso lo stato bavarese e si snodava tutta sul territorio dei due stati del Regno Italico e di Baviera. Il compito di studiare e disegnare il percorso fu affidato all'ingegner Filippo Ferranti, che concluse il suo lavoro nel 1812; l'effettiva realizzazione, invece, essendo mutata la situazione politica e non ravvisandosi un immediato interesse militare e strategico, si arenò e venne ripresa solo qualche anno dopo dall'Amministrazione austriaca. Il progetto del Ferranti prevedeva una carreggiabile larga metri 2,70, con pendenze accentuate, talvolta superiori al 10%; esso non fu completato per la parte che riguardava il versante atesino e rimase irrealizzato, il disegno fu, tuttavia, utilizzato per la stesura del proprio piano progettuale da Carlo Donegani, che riconobbe la validità di molte delle scelte operate da Filippo Ferranti nel tracciato della strada sul piano generale.

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Epoca austro-ungarica Dal 1818, sotto il nuovo Governo Austriaco, la Direzione Generale delle Pubbliche Costruzioni proseguì il lavoro avviato con i progetti napoleonici e con quelli della riforma di Maria Teresa d'Austria, dando un impulso notevolissimo alla costruzione e al rinnovamento delle principali arterie del sistema viario. Ogni provincia ebbe un ingegnere capo e uno aggiunto, ventiquattro ingegneri di delegazione e sei praticanti retribuiti; le strade erano chiamate "regie", cioè a carico dello Stato. Per la manutenzione si poteva contare su di un numeroso personale subalterno; particolare importanza nelle zone di montagna, assunsero i "rotteri", lavoratori giornalieri che, oltre che ad accompagnare le diligenze, avevano il compito in inverno di conservare le strade slittabili e di provvedere al taglio delle nevi in primavera.

La cartina si riferisce sia all’epoca napoleonica (tratto giallo) sia a quella austro-ungarica (tratti rossi)

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Lo straordinario progettista ed esecutore di tutte le principali strade della provincia di Sondrio fu l'ingegner Carlo Donegani, nato a Brescia nel 1775 e morto a Milano nel 1845. Con l'aiuto di validi collaboratori realizzò tutta la viabilità della Provincia di Sondrio. In ordine di tempo, la prima strada da lui progettata e costruita tra il 1818 e il 1822 fu la strada commerciale del Passo Spluga che, in concorrenza con l'intervento piemontese sul San Bernardino, fu la prima vera carrozzabile. Quasi contemporaneamente (1820 - 1825) fu realizzata la strada militare dello Stelvio che, partendo da Milano, raggiungeva Spondigna nella valle dell'Adige. Il tratto Lecco - Colico, il cui tracciato venne scelto dopo aver studiato le possibili alternativa della Valsassina e della Regina, fu costruito tra il 1818 e il 1831. Il tratto Colico - Sondrio era già stato sistemato in epoca precedente, mentre tra il 1817 e il 1820 fu rettificata e in parte rifatta la strada da Bormio al santuario di Tirano. In poco più di dieci anni una rete viaria efficiente percorreva il territorio di Valtellina e Valchiavenna, consentendo l'instaurarsi di relazioni sociali, commerciali e culturali fino ad allora piuttosto difficili. Il progetto della strada da Chiavenna a Splugen fu preparato e realizzato tra il 1818 e il 1822; la strada si snodava su un percorso di m 32.000 fino al passo Spluga e di m 7.990 dal passo a Splugen; la carreggiata era larga cinque metri e la pendenza non oltrepassava mai il 10%.

Per ovviare alla forte ripidità dei pendii, furono costruiti 54 tourniquets (come allora si definivano i tornanti) sul versante lombardo e 30 sul versante grigione; nei punti più pericolosi la via era riparata da cinque gallerie. Per un ricovero confortevole dei viaggiatori erano state edificate tre cantoniere oltre alla Casa della Montagna, che era un'osteria utilizzata anche come cantoniera. La spesa di tutta l'opera fu interamente sostenuta dal governo austriaco, mentre naturalmente ne ebbero grandi vantaggi anche i traffici svizzeri.

La strada commerciale dello Spluga, progettata e costruita da Carlo Donegani, iniziava alla Riva di Chiavenna e terminava al villaggio di Splugen nei Grigioni. Il tratto fino a Thusis, in direzione di Coira, fu realizzato nel 1822 dagli ingegneri Riccardo La Nicca, grigionese e Giulio Pocobelli, ticinese. La strada, costruita con perizia, si presentava ben sicura, tuttavia, in seguito alle piene del 1827 e, soprattutto, alla alluvione del 1834, che comportarono terribili danni, dovette subire alcune modifiche nel tracciato. Sul versante italiano, per lo straripamento del fiume Liro nel 1834 essa rimase chiusa per cinque anni nel tratto Campodolcino - Isola; fu infatti costruito in quel periodo il nuovo tracciato che saliva con tornanti fino a Pianazzo e che venne inaugurato nel 1839. Qui di seguito si riporta la tabella che illustra i progetti dell'ingegner

Incisione di J. J. Meyer raffigurante il passo dello Stelvio, 1831

Busto di Carlo Donegani presso il Liceo scientifico “Carlo

Donegani” di Sondrio

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Donegani ripresa dal testo manoscritto autografo che si trova nell'Archivio di Stato di Sondrio nel Fondo Donegani.

Strada della Spluga "Il progetto di ridurre carrozzabile il passo Commerciale da Chiavenna al villaggio di Splugen sul Reno nel Canton Grigione passando il Giogo sul Monte Spluga, ebbe luogo nel 1818 e nell’anno vennero intrapresi i lavori, e proseguiti con tanta attività nei pochi mesi estivi (non permettendo quell’alpestre sito di lavorare in altri tempi) di maniera che in due stagioni cioè alla fine del 1819 erano quasi ultimati e pel 1820 già aperta liberamente al Carreggio. La parte del Versante Lombardo che è lunga da Chiavenna al Giogo Metri 32.000 importò la spesa di L.1.260.000 con gli indennizzi dei fondi occupati, e la parte del Versante Grigione che è lunga dal Giogo a Splugen altri M.i 7990, venne costrutta egualmente a spese dell’Erario nostro in forza di analoghi trattati imposti oltre L. 273.000.

Difficoltà principali Come superate 1: Ascesa sopra tratte obbligate di limitatissima base ammontanti in complesso a Metri verticali 1800, trovandosi Chiavenna a M.ri 317 sopra il pelo del Mare e quindi il sud. Giogo a M.ri 2117. Conseguente discesa del Giogo al Ponte sul Reno in Metri verticali 669 sopra base egualmente limitata e non sufficiente per uno sviluppo con andamento continuativo. Più si riducevano a tratte non suscettibili se non ché coll’introduzione dei ripieghi esterni.

Una sifatta ascesa la quale di lunghezza dei nominati Metri 920 e che sembrerebbe a primo sguardo facilmente sviluppabile esigette grandi studi e fu oggetto di grandi discussioni che in altri tempi per la circostanza di avere lunghezza linea quattro tratte quasi piane sommanti in complesso la fuga di M.i 8900 circa ed in vari altri punti obbligati. Quindi vi s i supplì col complesso di N. 50 andirivieni o Tourniquets nel Versante Lombardo e N.30 nel Versante Grigione Mediante il cui ripiego vedesi l’elevatezza totale sotto varie livellette più o meno acclivi la maggior parte trottabili anche in ascesa, e nessuna superante il dieci per cento stato stabilito pel maximum dalla Commissione come non vedonsi contro pendenza eccettuando gli accessi al Ponte del Torrente Rabbiosa e la piccola discesa al Piano della Montagna siccome non variabili né diversamente per naturale conformazione. Tali due uniche controtendenze sono di pochi metri e niente incommode per la loro sensibile acclività.

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2: Consimile a quella rimarcata per la strada dello Stelvio. 3: Dominio delle Nevi/Idem/ La frequenza d’intemperie ed intenso freddo che esigono mesi di ricoverarsi e ristorarsi poiché dopo Isola e Gianopo si entra nella parte che non permetta altra vegetazione e che era tutta deserta sempre il abituro la così detta Casa della Montagna e Dogana presso l’ultima a della sommità. In questa strada poi domina anche il vento chiamato col nome di Siva e che equivale alla cosiddetta Tormenta che inquieta quasi tutti i passi montani.

Vinta con opere e mezzi larghezza simile, colla differenza che non occorsesi gallerie perforanti il nucleo del monte: essendo tutte le gallerie artificialmente applicate con piedritto ed arco appropriati al monte serviti di paravalanghe e col più mirabile effetto, e contano la riflessibile lunghezza di M. 1072. comprese due piccoli tratti in legno così adottati per pura mancanza di basi per l’appoggio del piedritto esterno di muratura. E risultati eguali; solo osserva che rispetto al Commercio sono eguali le circostanze siccome lo Spluga è già scala vecchia conosciuta. Vedonsi erette poi Case Cantoniere abitate da custodi salariati i quali esercitano anche colle discipline eguali a quelle dello Stelvio, d’un Oratorio con Casa per il cappellano ed abitazione per rotteri o rompitori di neve che là si chiamano Veghesi. Sul Versante Grigione poi un progetto per una casa di riposo e pei Veghesi ed una paravalanghe muraria lunga Metri 320. la sommità, il qual prospetto era ripreso in considerazione dovrà far luce quanto prima. Difesa di barricate idem come lo Stelvio.

C. Donegani

Difficile dunque era il tracciato sul passo dello Spluga, per la via commerciale omonima, ma ancora più arduo da costruire era il percorso da progettare e realizzare attraverso il passo dello Stelvio, per raggiungere da Bormio la località di Spondigna posta sul fiume Adige in Val Venosta. Il percorso, che seguiva l'antico "camino di Stelvio", fu scelto dopo aver vagliato le possibili alternative, come già in precedenza aveva fatto l'ingegner Filippo Ferranti durante il Regno d'Italia, perché offriva il transito senza toccare il territorio svizzero, e permetteva la più breve comunicazione tra il Tirolo tedesco e la Lombardia. Carlo Donegani manifestò in quest'opera tutto il suo ingegno e le sue competenze tecniche, costruendo in soli cinque anni, tra il 1820 e il 1825, anche se in realtà il tempo a disposizione fu di molto inferiore a causa dell'altitudine e delle condizioni meteorologiche, l'attuale strada con i suoi 34 tornanti nella parte lombarda e 48 nella parte altoatesina, le numerose gallerie scavate nel sasso, i ponti, quattro case cantoniere, due caserme e tre casini per i rotteri ed altri manufatti come i paravalanghe in legno sul versante tirolese, che si resero necessari poiché la strada era aperta anche in inverno. Suoi anche il progetto e la realizzazione del piccolo oratorio dedicato a San Ranieri protettore degli eremiti e dei viandanti. Il santo era stato scelto in onore del viceré l'arciduca Ranieri, il quale donò

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alla chiesa come segno di gratitudine un reliquiario e una tela raffigurante San Ranieri, appositamente commissionata a Francesco Hayez, che ora si trova presso il Museo civico di Bormio. Attraverso il passo dello Stelvio, prima dell'apertura della nuova strada non era mai stato attivo un vero servizio di posta. Dal 1831 la ditta Soresi e Barisoni di Milano istituì un servizio regolare tra il capoluogo e Landeck con le carrozze a cavalli. Con nove cambi e in 115 ore di viaggio, merci e persone potevano giungere a destinazione. Di seguito si riportano delle "Avvertenze" scritte di pugno da Carlo Donegani su di una tavola, che ora si trova presso il Krieg Archiv di Vienna, in cui viene brevemente riassunta la storia del progetto relativo alla strada dello Stelvio

Avvertenze “Prima che si pensasse all'esperimento della strada per giogo di Stelvio conoscevansi due soli stentatissimi sentieri per pedoni e bestiami comunicanti con lo Stato grigione, uno dei quali passava il confine giogo di Worms e l'altro dirigevasi per la valle di Fraele, esposti entrambi ai maggiori pericoli, oltre a trovarsi chiusi e intransitabili nell'inverno a causa delle nevi. Per passar poi nel T irolo non eravi sentiero di sorta, uno soltanto superavansi da chi non ne poteva fare a meno, con le difficoltà che si hanno per monti privi di strada coll'arrampicarsi in qualche maniera. Commissione mista per decidere se poteva aprirsi una Strada Militare passando sempre sul suolo della Monarchia. Fu deciso affermativamente. Il sottoscritto che pure formava parte della Commissione ebbe l'onorevole incarico di compilare il progetto d'ambi i versanti, cioè Lombardo e T irolese, ed ebbe in seguito la soddisfazione conseguente di vederlo approvato. Nell'estate 1820 si intrapresero i lavori, ed al principio del 1825 fu aperta tutta la Strada liberamente al carreggio. La spesa per la costruzione a tutto il 1825 fu di fiorini 697/m. Ma siccome nelle successive invernali stagioni sonosi perfezionati gli studi sui perniciosi effetti delle nevi, e definitivamente sanzionati i veri mezzi per garantirsene, vennero costruite le paravalanghe per la fuga di m. 4000 circa, vennero costruiti tre casini pei Rotteri, aumentate due case per stazioni di Posta e per le operazioni Finanziere, più l'Oratorio con casa annessa pel Cappellano con altri lavori accessori incontrando la conseguente spesa di Fiorini 170/m i quali sommati coi primi suddetti ammontano in complesso a Fiorini 867/m. La spesa pei compensi ai danneggiati per occupazione de' fondi fu di Fiorini 11300. La complessiva spesa quindi per tutta questa grande Opera tutto compreso fu di Fiorini 878.300. La spesa annua di manutenzione compreso il servizio invernale per la rotta delle nevi, e pel taglio finale a terreno nell'aprirsi della stagione estiva, ammonta a Fiorini 16.000, per cui risultando la sua lunghezza di m. 48.111, costa per ogni metro di fuga Fiorini 0,20 circa. Il passo in questo modo e con siffatto attivo servizio è costantemente aperto. Non si conoscono incagli, né ritardi maggiori di mezze giornate anche nel cuore dell'inverno, nel quale il corso delle slitte risulta assai facile adattandosi su queste anche le carrozze più veloci e pesanti. Non occorrono per gli attiragli i rinforzi di cavalli denominati Vorspaun essendo le pendenze regolate al di sotto dei 10° e mai maggiori di tale estremo come fu dalla Commissione stabilito per massima. La larghezza utile della strada è costante di m.5. Le rimarchevoli spedizioni periodiche delle sete ed altre merci con ritorno alternato, introdotto per questa strada dalla Ditta Soresi e Barisoni di Milano, con i cui pesanti attiragli fu attraversato il giogo settimanalmente dal principio del 1831 a tutt 'oggi 20 agosto 1833, senza il più piccolo sinistro, e che va sempre più aumentandosi è prova indubitabile di quanto si è qui sopra notato per l'utilità e buon servizio di questa strada.

Carlo Donegani”

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Sempre opera di Carlo Donegani fu la costruzione del tratto Colico - Riva di Chiavenna, effettuata tra il 1833 e il 1835, che costituiva il naturale completamento della appena conclusa strada da Lecco a Colico. Dopo la costruzione della nuova strada da Lecco a Colico (1821-1832), per raggiungere la Riva di Chiavenna, il collegamento era, fino ad allora, assicurato dalla via d'acqua, però, solo tramite piccole barche che erano le uniche in grado di risalire il canale tra il Lario e il lago di Mezzola, sia pure con molti rischi per le merci trasportate e notevoli perdite di tempo.

L'antica e pericolosa via dei Cavalli, praticata nei secoli precedenti col suo ardito percorso, era stata abbandonata; si rendeva dunque necessaria una nuova strada che superasse i forti scoscendimenti a picco sul lago nella zona di Verceia. Il problema fu risolto grazie al progetto dell'Ingegner Carlo Donegani che tagliando il sasso quasi vicino alla riva del lago e con l'ausilio di due scenografiche gallerie, con l'ormai consueta perizia, riuscì a concludere l'opera in soli due anni. Vediamo cosa scrive quasi alla conclusione di questa nuova fatica:

Strada lacustre da Lecco a Colico e Riva di Chiavenna

"Il progetto di aprire questa strada onde evitare l’incommodo e pericoloso ripiego della navigazione per raggiungere le anzi nominate due grandiose strade dello Spluga e dello Stelvio fu oggetto di molteplici discussioni segnatamente per le viste militari e per le quali appunto ebbero luogo previamente i rilievi con progetti completi lungo la Valsassina da Lecco

Incisione raffigurante un tratto della strada per Chiavenna

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a Dervio e Colico e lungo la sponda occidentale del lago di Como sino al passo d'Adda e finalmente poi nel 1818 essendo stata adottata la massima di percorrere la sponda orientale del ramo di Lecco a conseguente linea sino a Colico fu il progetto anche di quest’ultima estimato dall’Ing. Donegani in seguito al quale fu nel 1820 intrapreso il lavoro; quest’opera fu appaltata in quattro diversi lotti e quindi in quattro differenti epoche e si riuscì a rendere tutta la linea carrozzabile all fine del 1831. La spesa erogatasi per tutta questa strada tanto disseminata di difficoltà e imponenti ripieghi fu di Austriache £ 3.460.000 compresasi in essa somma l’indennizzo per fondi occupati e case demolite per la riflessibile somma di £ 500 circa.

Difficoltà principali Come superate 1: Estese tratte voltuarie di scogli con scarpa limitatissima e quasi apico sul lago per cui mancava una base trasversale ove appoggiare la strada 2: Altre estesissime tratte di china di nel lago con scarsissima base che esigge l’impianto di muri precisamente in spiaggia, onde acquistare la larghezza necessaria per la carriera non potendosi maggiormente intaccare la china del Monte sovrastante e segnatamente ove il terreno scorrevole si sarebbe messo in movimento con pericolo di frane. 3: Ristrettezza di tutte le tratte attraversanti i vari paesi da percorrersi internamente non potendo lambirli piuttosto in riva del Lago in causa dell’esercizio di navigazione cioè porti, darsene, spiagge d’approdo e di rilevanti usi di pescagione che si sarebbero interseccati a inoperosi. 4: Innumerevoli sbocchi di Valli e Torrenti, con moltiplicatissimi altri scoli trattandosi del piede di continuative falde di Monti in tutta la linea.

Vennero perforati essi scogli con estese tratte di gallerie per la complessiva fuga di M.ri 1190. Sono esse gallerie bastantemente chiare cola luce procurata da un conveniente numero di finestroni aperti verso il lago, i quali offrono in oltre ai passeggeri gradevolissimi variati punti di vedute che rendono il passaggio di queste grotte più interessante e invece di destare quell’apprensione come al primo colpo d’occhio a ciascuno sembrerebbe. La loro lunghezza è di Metri 5 è atta al cambio di ogni carro o vettura, così è bastantemente generosa pel passaggio di qualunque carico anche voluminosissimo che vi si debba introdurre. I detti scogli poi nel rimenane delle loro fughe ove si presentavano con qualche base in ritiro e di roccia vennero intagliati colle strade a così detto Cielo aperto e mediamente grandi muri di spallatura con attraverso ai burroni ed altri ripieghi si ottenne ovunque la larghezza di M.ri 5 oltre la cunetta di scolo. Intorno poi ai sudd.i Muri di spallatura si…. Tutti i paesi che vennero attraversati colla nuova strada e che avevano anguste stradelle furono ridotti in modo più regolare colle necessarie mutilazioni dei Caseggiati rifabbricati anche più elegantemente di prima. Tutti i Fiumi, Torrenti, Valli scoli secondari e burroni vedonsi attraversati con solidi ponti arcuati tutti in vivo con rivestimenti di pietre da taglio diligentemente combacciate non

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5: Esposizione agli insulti delle Onde del Lago trattandosi della riflessibile differenza di M.i 4 fra lo stato di magra e quello di straordinaria piena.

esistendone che un solo con impalcature in legno per circostanze parziali di località. Tutti i muri piantati in spiagge e soggetti quindi agli insulti delle Onde del Lago sono rivestiti sino all’altezza di M.i 5 sopra la magra con pietre lavorate e combacciate diligentemente a corsi regolari per cui non vedonsi interstizi di cemento e quindi insuscetibili di venir attaccati. Sopra essi muri sorge il parapetto alto un Metro sopra il piano della Strada con che è tolta ogni apprensione e pericolo, oltre di ché si presentano essi figura più aggradevole colla più ben condotta curvatura e generalmente coperti da lastre di marmo lavorate e combacciate nel modo più regolare ed esatto. Vedensi inoltre nei siti meno importanti estese tratte barricate, e paracarri cilindrici di granito di maniera che a chi percorre questa linea nulla restasi a desiderare. Per Vice Reale graziosa disposizione, poi di S.A.I. vedonsi distribuite a cinque distanze rispetti replicato con piantaggioni per l’ombra e ristoro dei viandanti, e con alcune fontane di ottima acqua, sedili. Il che rende sempre più amena questa strada e dilettevole il viaggio in ogni maniera. L’iscrizione per questa strada certamente ordinata da S.M. vien locata nello scoglio di Varenna denominato il Sasso Morcata nel quale vedonsi i perforamenti più importanti delle nominate gallerie e che presentano il lavoro più arduo e imponente questa strada. La lunghezza della Piana di Lecco a Colico è di M.i 41008. Parte consecutiva in costruzione da Colico alla riva di Chiavenna.

Anche il progetto per quest’ultima tratta che riunisce due grandi strade di Milano Lecco Colico, e della Valtellina con la grandiosa strada Montana di Spluga, dopo una serie annosa di militari discussioni essendo stato finalmente adottato secondo le ultime disposizioni del 1831 ne fu intrapresa l’esecuzione in autunno del 1833 ed il lavoro è già spinto al segni di non dubitarne l’apertura carrozzabile pel sembra prossimo, cioè del corrente 1834.

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Le difficoltà ed i mezzi con che furono superate equivalgono consimilmente le anzidette per la strada da Colico a Lecco essendovi qui pure due perforanti Gallerie della fuga complessiva di M.ri 196 in muratura nel lago equamente rivestite con parapetti e barricate e più un ponte con spalle di vivo e stilate di Larice della lunghezza di M.i 114 pel passaggio dell’Adda. La complessiva lunghezza di questa strada è di M.i 15.014 e a lavoro finito importerà a circa L 650/m compresi gli indennizzi di proprietari di fondi e case da occuparsi.

C. D.ni Di sua mano furono anche i rilievi per il tratto Tresenda-Aprica che, in sostituzione degli ormai obsoleti Zapei di Avriga, fu poi costruito dal figlio, Ingegner Giovanni Donegani, negli anni tra il 1845 e il 1855. Nel corso del XIX secolo furono costruite numerose strade nei Grigioni, tra di esse la Strada Poschiavo - Bernina - Pontresina - Samaden (1847-1865) dall' Ingegner Riccardo La Nicca. La sua realizzazione fu caldeggiata anche da Carlo Cattaneo nei suoi appunti sulle strade dei grigioni scritti nel 1842, come ricorda Guglielmo Scaramellini in Le carrozzabili dello Spluga e dello Stelvio nell'epoca lombardo-veneta. Ancora furono costruiti la strada del San Bernardino (1818-1823) dall' Ingegner Giulio Pocobelli; il Tratto Splugen-Thusis nel 1822 dall'Ingegner Giulio Pocobelli e dall'Ingegner Riccardo La Nicca. Nella prima metà del XIX secolo vennero realizzate anche la carrozzabile dello Julier (1834-1840), il tratto Chiavenna – Castasegna esistente già negli anni ’40 dell’Ottocento e il tratto Maloia - Castasegna (1827-1828): con la costruzione di questa strada, dal 1840, il passo del Settimo che già aveva perso molta della sua importanza, venne definitivamente abbandonato. La costruzione di tutte queste vie occupò per parecchi anni un numero cospicuo di lavoratori (solo per lo Stelvio si parlava di più di duemila operai) per cui portò un effetto benefico sulle disastrate situazioni economiche locali. Vantaggi notevoli ebbero naturalmente i commerci da e per il Nord. Soprattutto la via dello Spluga, data anche la vocazione commerciale che nei secoli sempre contraddistinse Chiavenna, diede luogo ad un fiorire di attività di tale natura. La strada dello Stelvio, costruita con finalità militari e strategiche, ebbe poca importanza dal punto di vista commerciale. Quando poi l'Austria, perduta la Lombardia nel 1859, ne decretò la chiusura durante i mesi invernali, ma, soprattutto, quando, da un lato, venne realizzata la più comoda e accessibile via del Tonale e, dall'altro, si iniziarono a costruire le nuove linee ferroviarie, essa entrò in un lungo periodo di crisi, più tardi in parte risolto con l'avvento del turismo. In conclusione di questa ricerca, vorrei riproporre le parole di un attento analista della situazione nella provincia di Sondrio. Pietro Rebuschini così descrive lo stato della viabilità nel 1833 nella sua Descrizione statistica della provincia di Valtellina giusta lo stato in cui trovavasi l'anno 1833:

"Non vi ha confronto fra lo stato delle strade che esistevano ai tempi in cui la Valtellina coi due contadi di Bormio e Chiavenna, era sotto il dominio de' Grigioni, e quelle che trovansi attualmente.

La strada nei pressi del passo dello Stelvio dal versante atesino

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Allora lungo la vallata incominciando da Colico fino a Bormio, esisteva la così detta strada Valeriana, la quale mettendo in comunicazione i paesi posti alle falde de' fianchi della vallata stessa, scorreva or in piano, or in colle più o meno erto e pericoloso, come era la Scalottola di Piantedo, la Sasella di Sondrio ecc.; or sopra fondo fangoso od inondato dai trabocchi dell'Adda, e delle irruzioni dei torrenti, per cui non era praticabile che dai pedoni, dai cavalli e al più da qualche piccolo carro in alcune tratte; sì che i trasporti venivano con grave spesa e ritardo eseguiti generalmente a soma, e per conseguenza erano assai poche le relazioni coi confinanti paesi del comasco. Non meno disastrosa era quella che da Morbegno attraversando l'Adda sul bel ponte di Ganda, passava per Traona, Mantello e Dubino, indi a Bocca d'Adda metteva nel chiavennasco, attraversando il pericoloso sasso di Verceja e da ivi allo Spluga e nella Valle Pregallia. Le strade comunali e secondarie che da quelle dipartivansi, erano ancor più in deplorabile stato, con pregiudizio non lieve anche dell'agricoltura. Ma ora, mercè la Sovrana provvidenza, sonosi condotte a perfezione due grandi strade: quelle, cioè, dello Spluga e dello Stelvio; ed una strada in attività di lavoro, che da Colico congiungesi a quella di Chiavenna, porrà in perenne e facile comunicazione quest 'ultimo territorio colla Valtellina, che dapprima riesciva assai difficile per la disastrosa strada, massime sul già nominato sasso di Verceja. Il vantaggio che queste nuove strade han portato alla Valtellina è grande, essendosi per esse oltremodo aumentate le commerciali relazioni coi paesi dell'Italia, Germania e Svizzera: si è aumentato il numero de' passeggeri anche facoltosi, che lascian sempre denaro in luogo: i viaggi ed i trasporti si sono resi sempre sicuri, comodi, celeri, e di minor dispendio: infine si è aperto alla Valtellina un mezzo per lo smercio de' prodotti del suo territorio, dapprima impedito o reso difficile e dispendioso per la scabrosità delle strade e per mancanza di reciproche relazioni. Passando alla strada che da Colico ascende e percorre tutta la Valtellina fino a Bormio, indi alla sommità dello Stelvio al confine dello Stato Lombardo, da dove discende nella valle di Trafoi territorio tirolese, si dirà primieramente esser la medesima una delle più belle ed assai ben conservata, potendo per essa passare ogni sorta di attiragli. Da Colico a Bormio vi è la distanza di metri 110.836, ossia miglia comuni lombarde 60 circa; e da Bormio al Giogo dello Stelvio altri metri 20.400, il quale ultimo trovasi all'elevatezza di metri 2841 sul livello del mare. La larghezza della strada da Colico a Bormio è di metri 5 in 5,50; e da Bormio alla suddetta sommità di soli metri 5. In cotal modo gli abitanti di Bormio, nel mezzo del cui esteso abitato scorre la strada, ne risentiranno molto vantaggio, siccome l'avevano in altri tempi più remoti, allorché vi era un vivo commercio di transito procedente dallo Stato Veneto per la Germania, tenendo la via del Fraele per Santa Maria, donde il trasporto non potevasi eseguire che a soma. Una prova che Bormio fosse luogo di commercio di transito si ha dall'ampio fabbricato che serviva di sosta, o Dogana, posto in fianco alla piazza d'innanzi alla chiesa parrocchiale, ora ridotto ad altro uso. Il primo tronco di tale strada dal confine di Colico fino a Sondrio fu ultimato il 1815: da Sondrio a T irano il 1819 e 1820: da Bormio alla Stelvio il 1823; e da quivi

Progetto di Carlo Donegani relativo al ponte prima della galleria ai Bagni di Bormio, lungo la strada dello Stelvio

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a Trafoi il 1825.”

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