Sensini Esperienza in WB Tesi Laurea
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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI BOLOGNA
FACOLTA’ DI LETTERE E FILOSOFIA
Corso di laurea in Filosofia
Il PROBLEMA DELL’«ESPERIENZA»
IN WALTER BENJAMIN Tesi di laurea in Poetica e Retorica Relatore Presentata da prof. Paolo Bagni Paolo Sensini
Cinque parole chiave: Benjamin, esperienza, materialismo storico, redenzione, rivoluzione
sessione estiva
anno accademico 1995-1996
Determinate paro le possono ancor sempre ,
secondo le c i rcos tanze , seppe l l i re o
d i sseppel l i re de termina te conv inz ion i
Es is te un punto d’arr ivo , ma nessuna v ia;
c iò che ch iamiamo v ia non è che
la nost ra es i taz ione
F ranz Kafka
Rari sen t ier i accompagnano
Chi in bu ie cose v iaggia
Nel le voc i , spa lancate
Bracc ia in g inocch io f ra a l i 1
F r i tz Heinle
PARTE PRIMA
1. Storia del concetto di esperienza
Ci proponiamo qui di analizzare i l concetto di
«esperienza» alla luce degli studi fondamentali compiuti da
Walter Benjamin nel complesso della sua opera; tuttavia
considerati i l imiti che sono posti naturalmente ad una tesi di
laurea ci concentreremo specificatamente su quei saggi in cui
Benjamin parla esplici tamente dell’esperienza , e cioè: Sul
programma della f i losofia futura (1917); Esperienza e povertà
(1933); Il narratore (1936), Viaggio attraverso l’inflazione
tedesca , (1923-1926) i Manoscrit t i preparatori alle Tesi di
1 Le citazioni in esergo sono tratte da Franz Kafka, Confessioni e diari, Milano, 1991, p. 716, 718, e dalle poesie di Fritz Heinle contenute nel numero di “Aut -aut”, 1982, 189-190, p.41
Filosofia della Storia , 2 nonchè sul saggio Di alcuni motivi in
Baudelaire in cui egli sviluppa in modo esemplare la tematica
della perdita dell’esperienza , coagulata at torno alle
problematiche fi losofiche peculiarmente legate al suo modello
interpretativo del contesto metropolitano socio-economico e
cri t ico- let terario.
Il metodo con cui tenteremo di avvicinarci all’ opera di
Benjamin è lo stesso con cui egli definì la modali tà operativa
propria del crit ico, e cioè se si vuole concepire, “con una
metafora, l’opera in sviluppo nella storia come un rogo, i l
commentatore gli sta davanti come il chimico, i l cri t ico come
l’alchimista. Se per i l primo, legno e cenere sono gli oggetti
della sua analisi , per l’al tro solo la fiamma custodisce un
segreto: quello della vita. Così i l cri t ico cerca la veri tà la cui
fiamma vivente continua ad ardere sui ceppi pesanti del passato
e sulla cenere del vissuto”. 3
Se l’inizio della ricerca verterà sulla definizione complessiva
dal punto di vista storico ed etimologico della parola e del
concetto di esperienza , e sull’ analisi della trasformazione del
concetto di esperienza - in campo estetico-fi losofico- dalla sua
configurazione pre-kantiana ad una interamente cri t ico-
materialista, la parte successiva sarà dedicata all’analisi
dell’espressione di quest’ult ima nei saggi sopra citat i .
Mentre, da un lato, “per i romantici e la fi losofia speculativa i l
termine crit ico significava: oggettivamente produttivo, creativo
a ragion veduta ed essere cri t ici voleva dire spingere tanto in
alto i l pensiero al di sopra di ogni impedimento da far
emergere, come per incanto, dal discernimento dei falsi
impedimenti , la conoscenza della verità”4 e dall’al tro “scrivere
2 Tali materiali sono stati gentilmente forniti durante il seminario tenuto dal professor Gianfranco Bonola nell’anno 1992; la traduzione è a cura del professor Gianfranco Bonola e del professor Michele Ranchetti 3 Walter Benjamin, Le affinità elettive, in Angelus Novus, Torino, 1989, p. 164 4 Walter Benjamin, Il concetto di critica nel romanticismo tedesco, Torino, 1982, p. 45
storia significa citare storia”5, e “nel concetto delle ci tazioni è,
però, implicito che l’oggetto storico venga strappato dal suo
contesto”6, così che “l’esposizione materialist ica della storia
conduce i l passato a parlare in una situazione crit ica i l
presente” allora, coerentemente con questi assunti , non dovremo
comportarci come quei “fi losofi che fino ad ora avevano pronta
sulle loro cattedre la soluzione di tutt i gl i enigmi, e lo sciocco
mondo esoterico non aveva che da spalancare i l muso perchè gli
volassero in bocca le colombe arrosti te della scienza assoluta
[ . . . ] Se non è affar nostro la costruzione del futuro e
l’ invenzione di una formula perennemente attuale, è tanto più
evidente ciò che dobbiamo attuare nel presente, e cioè la crit ica
radicale di tut to ciò che esiste, radicale nel senso che la cri t ica
non si spaventa né di fronte ai r isultati ai quali perviene né di
fronte al confli t to con le forze esistenti”.7
In questo senso, e solo in questo senso, una crit ica del concetto
di esperienza che sia all’altezza dei tempi dovrà farsi carico di
sondare quest’ult imo negli aspett i in cui esso si compone:
fi losofico, estetico, poli t ico e sociale.
Ma part iamo dalla domanda più elementare: che cosa significa
esperienza?
L’esperienza è polivalente, e può essere determinata nel suo
significato soltanto settorialmente; l’elemento comune di
diversi concett i settoriali di esperienza è una specie di parola
radicale, di metafora, che esprime la maniera complessa in cui
hanno origine le conoscenze umane, e i l movimento culturale
che comprende quell’origine in forma storicamente specifica.
La complessità di quell’origine consiste nel fat to che vi
circolano tutte le dimensioni della conoscenza umana: visione,
osservazione, contatto vissuto, intuizione, comprensione ecc.
5 Walter Benjamin, Parigi Capitale del XIX secolo, Torino, 1986, p. 618 6 Walter Benjamin, ibidem, p. 610 7 Annali franco-tedeschi, Milano , 1965, Lettera di K. Marx a A. Ruge, p. 80
Anche l’organizzazione della moderna osservazione scientifica
rientra nell’ambito dell’ esperienza .
L’accezione più semplice di esperienza sembra essere questa:
l’uomo riceve impressioni che generano in lui sensazioni.
Questo mondo d’esperienza pre-razionale è forse al la base
dell’immagine che sta dietro i l termine di esperienza : si fa un
viaggio e se ne ricevono impressioni. Invero la parola
esperienza , ex-per- ientia , deriva da ex-per- ire : intende un
venire da e un passare attraverso.
Ma ci si può anche mettere in un atteggiamento att ivo: cercare
si tuazioni capaci di suscitare impressioni, e poi raccogliere
queste ult ime. Si apre in questo modo il campo delle percezioni
e dell’osservazione organizzata.
La parola fondamentale esperienza vive innanzitutto nella
dimensione del quotidiano. La radice indogermanica di alcune
accezioni germaniche e romane di sperimentare [experiri] -
esplorare viaggiando e appropriarsi sperimentalmente - indica
già che l’esperienza non esiste indipendentemente dalla
persona. Secondo la versione germanica l’esperto è l’uomo che
ha viaggiato e perciò conosce i l mondo non solo per sentito
dire, ma perchè c’è stato, ha vissuto, sofferto, agito.8 Secondo
la versione lat ina, l’esperto, i l peri tus, ha come incorporato la
conoscenza attraverso tentativi , prove, errori e convalide.
L’esperienza in questo senso non è facilmente trasmissibile; la
si trasmette non comunicando qualcosa oggettivamente ma
vivendola insieme. La trasmissione di esperienze sentite e
vissute esige comunanza di vita.
Il problema del concetto di esperienza è dato quindi dalla sua
complessità: esperienza è infatt i sia ciò che si vive (solo in
parte consapevolmente), sia i l processo attraverso in cui ci si
appropria del vissuto e lo si sintetizza.
8 Dietmar Mieth, Alla ricerca di una definizione del concetto di “esperienza”: che cosa è l’esperienza?, in Concilium, 14 (1978)
Pochi termini della nostra l ingua hanno un contenuto più
stratificato, e si prestano ad una maggiore varietà di usi . La
parola esperienza assume significati diversi a seconda dei
contesti in cui è inseri ta, e ad ogni sl i t tamento di significato
corrisponde uno spostamento dei soggetti significanti che lo
interpretano.
Le stratificazioni di significato che avvertiamo nel termine
esperienza r imandano ad una storia articolata, che riguarda
tanto i l concetto stesso quanto le condizioni della vita materiale
e i contesti culturali in cui esso è stato uti l izzato.
A questo punto ci proponiamo di tracciare dal punto di vista
et imologico e storico-fi losofico l’evoluzione della parola
esperienza , dall’antichità fino alla concezione della scienza
moderna, mostrando come fosse già progetto di quest’ult ima
quell’espropriazione dell’esperienza che sarà poi i l tema
centrale dei saggi di Benjamin.
Nel percorrere la storia del concetto di esperienza , osserviamo
subito che Aristotele e gli antichi contrapponevano l’empeiria
al l’episteme , un sapere che ciascuno acquisisce in situazioni
differenti e che è oggetto della prassi ed un sapere di ciò che
non muta, oggetto della scienza. Unicamente la matematica e
l’astronomia, in quanto saperi dell’immutabile, di enti
contemplati dalla mente o da distanze irrangiungibil i , sono
epistemai . “La sensazione in atto corisponde all’esercizio della
scienza [ . . .] la sensazione in atto ha per oggetto cose
part icolari ; mentre la scienza ha per oggetto gli universali .
Perciò i l pensare è in potere dell’uomo quando vuole, ma il
sentire non è in suo potere perchè è necessario ci sia i l
sensibile.”9
Nel pensiero greco i l sostantivo empeiria è pensato in stretta
relazione con l’aggettivo em-peiros , esperto nel senso di pratico
9 Aristotele, Fisica, Bari, 1991,VII, 3, 274b, 20-21
- empeiros da peira , prova, tentativo, esperimento, peiran
echein t inos , avere esperienza di una cosa.10 In modo particolare
Aristotele colloca l’empeiria t ra la percezione sensibile -
aistheis- e i l r icordo -mneme- e la t iene dist inta dalla
conoscenza universale (cioè dall’ episteme) . L’empeiria è una
dynamis, una facoltà produttiva acquisita at traverso
osservazioni particolari e con l’aiuto del r icordo: “negli uomini
l’esperienza deriva dalla memoria: infatt i , molti ricordi dello
stesso oggetto giungono a costi tuire un’esperienza unica”.11 Le
esperienze hanno per così dire i l loro ambiente vitale e la loro
interpretazione nel ricordo e nella dimenticanza. Per la
continuità della tradizione viva dell’esperienza at traverso
l’interpretazione, la dimenticanza è al tret tanto importante del
ricordo perchè soltanto tutte e due assieme generano la
plastici tà dell’esperienza . Ma ricordo e dimenticanza
sottostanno a interessi pratici . La continuità della storia è la
ricostruzione della storia secondo un’intenzione pratica.
L’originali tà si tuazionale dell’esperienza s i realizza nella
saggezza storica dell’esperienza . Nella prassi si acquisisce una
conoscenza che punta aldilà della prassi stessa, verso una
dimensione di distanza dal produrre e dai suoi eventuali
risultat i ; in tal senso l’esperienza non nasce in contrasto con la
ragione ma costi tuisce una sorta di sapere pratico nella sfera dei
fat t i s ingoli ,e, come tale, rappresenta un preliminare della
conoscenza razionale in base a principi universali . Nella
definizione di Sesto Empirico - detto appunto tale poichè egli
definisce empirici o metodici i medici che rifiutano ogni
dottrina dogmatica e ogni affermazione azzardata relat iva ai
fatt i oscuri e seguono invece i fenomeni così come si
presentano, nonchè i bisogni corporei e le indicazioni della
natura- emergono i due cardini principali di ogni atteggiamento
10 Senofonte in Liddel- Scott, Vocabolario Greco-Italiano, Firenze, 1975 11 Aristotele, Metafisica, Bari, 1991, I, 1, 980b 25
empirist ico: i l cri terio che fa dell’esperienza i l luogo
dell’originaria e genuina evidenza, e i l principio metodico che
assume come base di ogni sapere i dati sensoriali , sicchè si
deve procedere dalla sensazione al concetto e non viceversa.
Così Platone osserva che l’esperienza consente di procedere con
una certa regola, la quale è la base di ogni arte (techne).12
Questo empirismo ha ricevuto in seguito sempre nuove
modificazioni, ma è rimasto nella dottrina della conoscenza
come un punto quasi scontato.
E’ importante osservare a tal proposito come solo
l’esperimento, nella sua ripetibil i tà, congiunga nella scienza
moderna la vicinanza dell’oggetto sensibile con la certezza; i l
pensiero classico non conosce un problema dell’esperienza
come tale, ma ciò che si pone per noi come problema
dell’esperienza , si presenta naturalmente ad esso come
problema del rapporto fra l’ intelletto separato e i singoli
individui, fra l’uno e i l molteplice , fra l’ intell igibile e i l
sensibile.
Infatt i dobbiamo pensare che, se per noi oggi non è possibile
pensare l’esperienza senza la conoscenza, fino alla nascita della
scienza moderna non solo esperienza e conoscenza avevano
ciascuna i l proprio luogo, ma diverso era anche i l soggetto cui
esse facevano capo. Soggetto dell’esperienza era i l senso
comune, presente in ogni individuo - è i l principio che giudica
di Aristotele, la vis aestimativa della psicologia medioevale-
mentre soggetto della scienza è i l nous o intellet to agente, che è
separato dall’esperienza , impassibile e divino; per essere più
precisi , la conoscenza non aveva un soggetto nel senso moderno
di un ego, ma piuttosto i l singolo individuo era i l sub-jectum in
cui l’ intelletto agente, unico e separato, attuava la conoscenza.
12 Platone, Gorgia, 448c, Milano, 1991
E’ in questa separazione tra esperienza e conoscenza che va
visto i l senso delle dispute che divisero gli interpreti
dell’aristotelismo tardo antico e medioevale circa l’unicità e la
separazione dell’intellet to e la sua comunicazione con i soggett i
dell’esperienza . Intel l igenza -nous- e anima -psyche- non sono
infatt i per i l pensiero antico e per quello medioevale, almeno
fino a San Tommaso, la stessa cosa, e l’ intelletto non è una
facoltà dell’anima: esso non le appartiene in alcun modo, ma
“separato, incommisto, impassivo” secondo la celebre formula
aristotelica, comunica con essa per attuare la conoscenza.
“Se i l pensare è come il sentire, consisterà o in una passione da
parte dell’intell igibile, o in altro di simile. Perciò deve essere
impassiva, ma ricett iva della forma e in potenza tale e quale è
la forma e tuttavia non identica alla forma [ . . .] . Di qui è
necessario che l’intelletto, poichè pensa tutte le cose, sia non
mescolato, per dominare e cioè per conoscere, perchè se
manifesta la propria forma vicino ad una forma altrui, le fa
ostacolo e l’intercetterà [ . . .] Perciò non è ragionevole che sia
mescolato al corpo [ . . . ] La parte intellett iva è i l luogo delle
forme in potenza. [ . . . ] L’intelletto è in potenza tutt i gli
intell igibil i , ma in atto nessuno prima di pensarli . Deve essere
di esso come di una tavoletta, in cui non c’è niente scrit to
at tualmente”.13
E quindi i l pensiero classico non conosce un problema
dell’esperienza come tale, ma quello del rapporto tra l’uno e i l
molteplice.
In un modo particolare si presenta i l problema dell’esperienza
nelle quête medioevali . Poichè i l rapporto tra esperienza e
scienza nel mondo cristiano-medioevale è governato da un
principio che Onorio di Autun formula in modo esemplare
13Aristotele, De Anima, Bari, 1991, III, 429a 10-21, 430a 1-5. Per lo sviluppo della problematica del rapporto tra intelletto separato e singoli individui si rimanda al commento di Aristotele in Averroè, Antologia di scritti sull’anima, Roma, 1996, pp. 72 seguenti
scrivendo “Prima del peccato originale l’uomo conosceva i l
bene e i l male: i l bene per esperienza (per experientiam), i l
male per scienza (per scientiam) . Ma, dopo il peccato, l’uomo
conosce i l male per esperienza , i l bene solo per scienza”.14 Del
resto lo stesso Benjamin nel saggio Sulla l ingua in generale e
sulla l ingua degli uomini , si si tua su di un posizione analoga a
quella medioevale, per cui i l piano originale del l inguaggio è
quello dei nomi, e quindi la l ingua paradisiaca dell’uomo non
può non essere perfettamente conoscente, cosa che non può
celare neppure la presenza dell’albero della conoscenza. Invero
i suoi frutt i dovevano dare la conoscenza di ciò che è bene e di
ciò che è male, e la conoscenza a cui seduce i l serpente, i l
sapere di ciò che è bene e male, è senza nome, è, nel senso più
profondo, nulla e senza valore, e questo sapere è esso i l solo
male che conosca lo stato paradisiaco. Il sapere del bene e del
male abbandona il nome, è una conoscenza estrinseca,
l’ imitazione improduttiva del verbo creatore. Il nome esce da se
stesso in questa conoscenza, per cui i l peccato originale è l’atto
di nascita della parola umana. E’ la Bibbia che “introduce i l
male mediante i l concetto di sapere. In quanto trionfo della
soggett ività e in quanto spinto dal dominio dell’arbitrio su tutte
le cose, quel sapere è l’origine di ogni concezione allegorica.
Per i l inguaggi, i l nome è soltanto un fondamento in cui si
radicano gli elementi concreti . ma gli elementi astrat t i del
l inguaggio sono radicati nella parola giudicante, nel giudizio.
Nel male tout court la soggett ività at t inge la sua realtà e la vede
come un mero rispecchiamento di se stessa in Dio”.15
La quête, cioè i l tentativo dell’uomo che può solo conoscere i l
bene per scientiam , esprime l’impossibil i tà di unire scienza ed
esperienza in un unico soggetto, è i l segno dell’aporia, ovvero 14 Per il riferimento a Bacone e alla quete medioevale, cfr. Rosier I., Libera A. de, Intention de signifier et engendrement du discours chez Roger Bacon, in “Histoire, Epistémologie, Language”, 8/2 (1986), pp. 63-79
letteralmente della mancanza di via. Per questo la quête è
l’esatto contrario di quella scientia experimentalis , i l cui
progetto è già sognato, alla fine del Medioevo, da Ruggero
Bacone, e che troverà poi in Francesco Bacone la sua
codificazione. “La scienza sperimentale prese l’avvio nel
Medioevo, giacchè appunto Bacone tratta dell’experiri e dell’
experimentum, e perciò parla anche di quantità . [ . . . ] L’experiri
di massima è contro ciò che è predetto in modo normativo e che
non è dimostrabile”.16
Ruggero Bacone infatt i sostiene la necessità di studiare la
natura non solo mediante la semplice esperienza sensoriale e i l
ragionamento astratto, ma anche con l’ausil io di strumenti
tecnici e apparati , e quindi presuppone la costruzione di una
certa via alla conoscenza. “L’avvicinarsi e i l verificare la
previsione fatta sulla regola, così che l’adesione alla regola
principalmente, e solo questa, determini l’oggettuali tà nel suo
ambito e l’ambito non sia concepibile in altro modo che
attraverso i l porre in risalto le regole e queste [siano
concepibil i] solo tramite l’esibizione della regolari tà (mettere
alla prova le possibil i tà della regolamentazione, sperimentare la
‘natura’ stessa) e precisamente così che la regola sia una regola
dell’ordine di misura e della misurabil i tà possibile (Spazio-
Tempo). [ . . . ] Il nudo gurdarsi intorno addiviene ad un osservare
che persegue ciò che si fa incontro, e precisamente sotto
mutevoli condizioni del suo essere incontrato e del suo
presentarsi .
Perciò queste condizioni e i l loro stesso cambiamento possono
essere nuovamente incontrate e attese ma possono anche venire
modificate at traverso un intervento . Nell’ult imo caso ci
15 Walter Benjamin, Il Dramma barocco tedesco, Torino, 1980, pp. 250-252 16 Martin Heidegger, Beitrage zur Philosophie (vom Ereignis), Frankfurt am Main, 1989, band 65, p. 162, inedito; abbiamo tradotto da questo volume le pagine 159-166, le quali tracciano una straordinaria sintesi della parola esperienza dalla grecità all’esperimento scientifico moderno.
procuriamo esperienze definite at traverso interventi definit i e
sotto l’uso di condizioni del vedere e del determinare più
precise. Si potrebbe qui parlare già di un “experimentum” senza
che sia data la traccia di un “esperimento” [moderno] e della
sua condizione.
Questo sempre più quando le osservazioni vengono riunite, in
modo che sono possibil i due casi: un indiscriminato accumulo
di osservazioni sul solo terreno della loro molteplicità
incalcolabile e del loro apparire; e una collezione dettata
dall’ordinamento, i l cui “principio” non sia affatto tratto dagli
oggetti osservati [ . . . ] Qui è essenzialmente l’anticipazione
all’adesione alla regola, dunque a ciò che ricorre stabilmente in
eguali condizioni”.17
Agli inizi dell’età moderna la questione dei modi di ordinare
determinati aspett i dell’esperienza s i biforca in due rami:
assist iamo, infatt i , da un lato, al tentativo di trasformare
l’esperienza individuale in una nuova forma di saggezza,
consona ad un mondo pieno di pericoli e in continuo mutamento
-ed assume così , talvolta, una tonali tà malinconica, come in
Montaigne, o diventa acume, agudeza del ingenio , arte sublime
di sopravvivenza, come in Balthasar Gracian.
Alla separazione dell’esperienza e della scienza di cui si è detto
sopra, del sapere umano e del sapere divino, questa esperienza
che è l’esperienza t radizionale si mantiene fedele, ed è proprio
esperienza del l imite che separa queste due sfere. Questo l imite
è la morte; in tal senso Montaigne dice che i l fine ult imo
dell’esperienza è l’avvicinamento alla morte, cioè un portare
l’uomo a maturità at traverso un’anticipazione della morte in
quanto l imite estremo dell’esperienza . L’esperienza di cui si
occupa Montaigne non è rivolta alla scienza; è un soggetto
informe su cui non si può stabil ire alcun giudizio costante.
17 Martin Heidegger, ibidem, pp. 160-162
Dall’altro lato assist iamo alla trasformazione dell’esperienza in
met-odos , via comune a tutt i e insegnabile a chiunque voglia
sottoporsi ad una disciplina rigorosa che tuttavia non umilia la
ragione: è proprio la scienza moderna che, nella sua ricerca
della certezza, abolisce la separazione fra luogo dell’esperienza
e luogo della conoscenza e fa dell’esperienza i l luogo, i l
metodo, ovvero i l cammino, della conoscenza, la strada maestra
del conoscere.
Questa idea rappresenta una svolta imponente: è l’affermazione
di un nuovo principio di legit t imazione del sapere, in cui la
verità è att ingibile non più solo mediante la fi losofia o
mediante la rivelazione, ma attraverso l’esperienza intesa come
esercizio metodico dell’osservazione, rigorosamente
controllato, r ipetibile e depurato da ogni tratto soggettivo; la
conoscenza che la scienza moderna persegue è una conoscenza
razionale nella misura in cui prescinde dai pregiuduzi e dalle
passioni di ciascuno, dalle deformazioni dovute
all’approssimazione dei sensi . E poichè i sensi ingannano, i l
corpo andrà completamente disinvesti to di ogni ri l ievo e di ogni
responsabili tà conoscitiva. Il gesto che demarca ciò che è
razionale da ciò che è irrazionale, separa al tempo stesso i l sano
dal malato, “i l normale dal patologico”.18 Il corpo sensibile va
sosti tuito con i l corpo-macchina, i l corpo-obbediente ai
comandi dello spiri to. Fino a tutta l’età del posit ivismo e oltre,
pur con alcune differenze, i l termine esperimento significherà
per ogni scienziato innanzitutto questo: osservare la realtà e
sottomettersi alla sua evidenza, elaborando una rete di saperi
che congiungano la teoria alla sua verifica metodica mediante
esperienze controllate, gli esperimenti .
Il primo che usa chiaramente i l termine esperimento nel senso
di elaborazione tecnica dell’esperienza e che ne definisce la
18 G. Canguilhem, Introduzione alla storia delle scienze, Milano, 1973, p. 457
teoria è Francesco Bacone -invero nel Medioevo e nel
Rinascimento esperimento, experimentum, ed esperienza ,
experientia, avevano significato più o meno equivalente.
Bacone rifiuta sia la deduzione verbalistica sia l’esperienza
ingenua e confusa. L’esperimento baconiano comporta
l’osservazione e la ripart izione dei dati dell’esperienza in modo
che su tale base sia possibile formulare un’ipotesi relativa alle
cause del fenomeno indagato. Tale ipotesi va poi sottomessa a
prova, ovvero a esperimento stretto, anche con l’ausil io di
strumenti . L’esperimento baconiano unisce dunque, come
prescrive anche i l metodo sperimentale di Galileo, esperienza e
ragione; ma il metodo gali leiano si caratterizza per l’ impiego
della matematica, tramite la quale Gali leo ridusse l’esperienza
singola definita attraverso l’esperimento alla sua funzione di
verificazione o falsificazione di una teoria matematica. La
matematica consente infatt i di predisporre esperimenti
art ificiali capaci di provocare la natura a fornire risposte esatte,
come nel caso del pendolo fisico in laboratorio per misurarne le
oscil lazioni e ricavarne le leggi.
All’esigenza di razionalizzazione del sapere risponde anche
l’affermazione di un l inguaggio astratto e formalizzato, i l
l inguaggio della matematica come linguaggio scientifico per
eccellenza, concentrando l’attenzione della scienza sui rapporti
misurabil i t ra i fenomeni, intesi come gli unici suscett ibil i di
una verifica cosiddetta scientifica. “La cosa determinante del
nuovo “esperimento” [è] prova come ricerca , non è l’
“apparecchiatura” come tale, ma i l porre domande, cioè i l
concetto di Natura . L’esperimento nel senso dell’età nuova è
experientia nel senso della Scienza esatta . Poichè esatta, al lora
esperimento.”19 L’esperimento “esatto” è quello che misura, ed
è possibile dove “ [vi è] l’anticipazione nell’ambito oggettivo,
19 Martin Heidegger, op. cit., pp. 164, 166
essenziale e definito solo in termini quanti tat ivi ed aderenti ad
una regola; e l’anticipazione lo determina così nella sua
essenza”.20
I presupposti eesenziali che ist i tuirono i fondatori della scienza
moderna per relizzare la loro ambizione sono il progetto
matematico della natura - per scoprire attraverso questa via la
diversità dei fenomeni, le leggi matematiche che cotituiscono
l’essenza stessa del cambiamento -, l ’ oggettuali tà della natura
e i l suo essere-rappresentato, e la trasformazione dell’Essenza
della verità dalla essenziali tà alla particolarità giacchè solo
sotto questa presupposizione un risultato particolare può
esigere forza di fondamento e dimostrazione.
Il sapere che la scienza moderna definisce non può essere inteso
come un sapere che proviene dall’esperienza : “[ . . .] la scienza
razionale-matematica non sarà sperimentale nel senso più lato
[ . . .] Poichè la “scienza” dell’età nuova (Fisica) è matematica
(non empirica), allora essa è necessariamente sperimentale nel
senso dell’esperimento che misura”21; tuttavia la nozione di
esperienza vi gioca un ruolo cruciale nella misura in cui al
principio tradizionale del rispetto dell’auctori tas e della let tera
della rivelazione divina si oppone i l principio dell’indipendenza
del ricercatore nella sua osservazione della natura e nella
investigazione delle sue leggi.
“Ora [Jetzt] l’esperimento non [è] solo contro un nudo discorso
e la dialet t ica (sermones et scripta, argumentum ex verbo), ma
contro un qualsiasi investigare che segue solo la curiosità di un
rappresentare indeterminato (experiri) . Ora [Jetzt] la differenza
[non è] più nei confronti di nudi discorsi , di raccolta di
opinioni , affermazioni che hanno i l valore di norma su uno
stato di cose , ma nei r iguardi di ciò che è stato ora scrit to ,
20 Martin Heidegger, ibidem, p. 162 21 Martin Heidegger, ibidem, p. 163
stabil i to e accertato , che cosa si presenta , senza l’anticipazione
definita che traccia i l procedimento
Ora [Jetzt] l’esperimento è un pezzo di sussistenza necessario
dell’esatto , fondato sulla ricerca quantitativa della natura, e
non più solo contro i l nudo argumentum ex verbo e contro la
“speculazione” ma contro ogni experiri”.22
La questione viene implicitamente sollevata da Cartesio nelle
Regulae ad directionem ingenii , in particolare dalle regole XI e
XII, dove viene formulata in termini di transito di un’evidenza
iniziale at traverso tutt i i passaggi del ragionamento. In Cartesio
l’evidenza si trasmette at travero la catena dimostrativa così da
consentire la coesione e la correttezza del ragionamento e di
permettere a ciascuno di capire e giudicare secondo il lumen
naturale, senza nulla imporre per autori tà. E’ l’oggett ività e
l’ indiscutibil i tà dell’evidenza che si impone al soggetto e che
fonda la scienza come episteme , qualcosa che cartesianamente
poggia su un fundamentum inconcussum . Dinanzi al tumulto e
alle ansie del mondo, la scienza offre la sicura fortezza di
questo fondamento, di una verità indubitabile, da cui poi potrà
iniziare la strada del concatenamento delle evidenze.
A Cartesio va ascri t to quell’ulteriore passo che ha reso
possibile la nascita della scienza moderna: nella ricerca della
certezza, che è certezza e salvezza dell’Io, non basta riunificare
i l luogo della conoscenza con quello dell’esperienza ; la
radicali tà del nuovo metodo richiede anche l’espropriazione dei
soggett i separati di esperienza e conoscenza e la posizione, al
loro posto, di un unico soggetto: “la grande rivoluzione della
scienza moderna non consistette tanto in una allegazione
dell’esperienza contro l’autori tà (dell’argumentum ex re contro
l’argumentum ex verbo, che non sono, in realtà, inconciliabil i)
quanto nel riferire conoscenza ed esperienza a un soggetto
22 Martin Heidegger, ibidem, p. 163-166
unico, che non è altro che la loro coincidenza in un punto
archimedico astratto: l’ego cogito cartesiano”.23
“La verità -in questo senso- è sempre una propositio vera, una
proposizione vera, vale a dire un giudizio corretto. Il giudizio è
connexio praedicati cum subiecto, connessione del predicato
con i l soggetto di cui esso è predicato. Ciò che, in quanto unità
unificante di soggetto e predicato, regge la loro connessione è i l
fondo (Boden), i l fondamento del giudizio. Il fondamento dà
conto della verità del giudizio. Conto si dice in latino Ratio. Il
fondamento della verità del giudizio viene presentato come la
ratio.”24
Il che significa che esperienza e scienza vengono a interferire
in un unico soggetto che è universale ed impassibile e nello
stesso tempo un ego, r iunendo in sé le proprietà dell’intelletto
separato e del soggetto dell’esperienza ; in tal senso la scienza
moderna riattua la congiunzione tra sapere umano e divino, e
l’avvicinamento dei ciel i dell’intell igenza pura con la terra
dell’esperienza individuale è la grande scoperta dell’astrologia
, che fa di essa non già un’avversaria, ma una condizione della
scienza moderna; mentre la concezione aristotelica della sfere
celesti omocentriche come intell igenze pure, divine, immuni da
cambiamento e da corruzione e separate dal mondo terrestre e
sublunare, luogo del cambiamento e della corruzione, si
inserisce sullo sfondo di una cultura che concepisce esperienza
e conoscenza come due sfere autonome, la scienza moderna potè
unificare in un soggetto unico scienza ed esperienza solo perchè
l’astrologia aveva stretto in un soggetto unico nel destino cielo
e terra, divino ed umano. E solo perchè la mistica neoplatonica
ed ermetica aveva colmato la separazione tra nous e psyche e la
differenza platonica tra l’uno e i l molteplice, con un sistema
emanatist ico in cui una gerarchia continua di intell igenze,
23 Giorgio Agamben, Infanzia e storia, Torino, 1978, p. 13 24 Martin Heidegger, Il principio di ragione, Milano, 1991, p. 200
angeli , demoni e anime (si pensi ad Avicenna e a Dante),
comunicava in una grande catena che parte dall’Uno e ad esso
fa ri torno, fu possibile porre a fondamento della scienza
sperimentale un unico soggetto. Soggetto della scienza che in
Cartesio prende il nome di esprit (che in francese è la parola
che più propriamente corrisponde al latino ego), lo spiri to che
nella speculazione tardo antica e medievale rappresentava i l
mediatore universale di questa ineffabile unione tra intell igibile
e sensibile, corporeo ed incorporeo.
Ma è proprio quell’esigenza della scienza moderna di enucleare
una dimensione oggettiva nel processo conoscitivo che ha
comportato, nello stesso momento in cui l’esperienza è stata
posta in auge come via maestra del conoscere, una svalutazione
radicale dell’esperienza dei singoli , cioè del modo in cui
ciascuno vive la sua realtà concreta. Invero la certificazione
scientifica dell’esperienza che si at tua nell’esperimento, che
permette di dedurre le impressioni sensibil i nell’esattezza di
determinazioni quanti tat ive e, quindi, di prevedere impressioni
future, trasporta l’esperienza i l più possibile fuori dell’uomo:
negli strumenti e nei numeri. In questo modo l’esperienza
t radizionale perde ogni valore: essa è incompatibile con la
certezza, e un’esperienza divenuta calcolabile e certa perde
immediatamente la sua autorità, poichè non si può formulare
una massima né raccontare una storia là dove vige una legge
scientifica; questo processo di espropriazione dell’esperienza è
chiaramente evidenziato in un passo del Novum Organum di
Francesco Bacone che recita: “l’esperienza , se viene incontro
spontaneamente, si chiama caso, se appositamente cercata
prende i l nome di esperimento. Ma l’esperienza comune non è
che una scoperta slegata, un pocedere a tastoni come chi di
notte si vada aggirando, [ . . . ] mentre sarebbe assai più uti le e
prudente aspettare i l giorno ed accendere un lume. [ . . . ] L’ordine
vero dell’esperienza comincia con l’accendere i l lume; con esso
poi si r ischiara la via, principiando dall’esperienza ordinata e
matura e non già da quella saltuaria e a rovescio; prima deduce
gli assiomi e poi procede a nuovi esperimenti”.25 In questa
frase, l’esperienza in senso tradizionale, cioè quella che si
traduce in massime e proverbi, è già condannata senza appello.
La trasformazione del soggetto dell’esperienza non lascia
immutata l’esperienza t radizionale. In quanto i l suo fine era di
portare l’uomo alla maturità, cioè ad una anticipazione della
morte come idea di una totali tà compiuta dell’esperienza , essa
era, infatt i , qualcosa di essenzialmente finito, era, cioè,
qualcosa che si poteva avere e non soltanto fare. Ma una volta
che l’esperienza s ia riferi ta al soggetto della scienza, essa
diventa qualcosa di essenzialmente infinito, un concetto
asintotico, per dirla con Kant, qualcosa che si può solo fare e
mai avere: nient’altro, appunto, che i l processo infinito della
conoscenza. Il soggetto del’esperienza si è sdoppiato ed è
perfettamente simboleggiato in un romanzo contemporaneo alle
publicazioni di Keplero e Galileo, e precisamente i l Don
Chisciotte di Miguel de Cervantes Saavedra; Don Chisciotte
rappresenta i l vecchio soggetto della conoscenza, che può solo
fare esperienza senza mai averla, mentre Sancho Pancha, i l
vecchio soggetto dell’esperienza , può soltanto avere esperienza
senza mai farla.
La distinzione tra verità di fatto e di ragione operata da
Leibniz, e secondo cui “quando ci si aspetta che domani sorgerà
i l sole si agisce da empirici , poichè è andata sempre così , f ino
ad oggi. Solo l’astronomo giudica con ragione”26, sancisce
ulteriormente la condanna della fine dell’esperienza
tradizionale. Condanna perchè la scienza moderna nasce da una
diffidenza senza precedenti nei confronti dell’esperienza come
25Francesco Bacone, Novum Organum sive indicia vera de interpretatione natura, Londinium, 1713 26 Gottfried W. Leibniz, Nuovi saggi sull’intelletto umano, Roma, 1982, p. 273
era tradizionalmente intesa, e cioè la “selva” di Bacone, i l
dubbio di Cartesio e la sua celebre ipotesi di un demone la cui
sola occupazione è quella di ingannare i nostri sensi; si tratta di
una rivoluzione, di uno sconvolgimento generale dell’immagine
del mondo. Il dubbio, l’ incertezza radicale necessitano di
decisione; così Benjamin nel saggio Esperienza e povertà , in
cui ri leva la miseria dell’esperienza contemporanea, richiama i l
gesto decisivo di Cartesio: “tra i grandi creatori ci sono stati gli
implacabili che per prima cosa facevano piazza pulita. Essi
infatt i volevano avere un tavolo per disegnare; sono stati dei
costruttori . Così un costruttore fu Cartesio che per prima cosa
per tutta la sua fi losofia non voleva avere nient’altro che
un’unica certezza: ‘penso dunque sono’ e da questa prese le
mosse”.27
Dallo sguardo gettato nel perspicil lum di Galileo non uscirono
certamente sicurezza e fiducia nell’esperienza . Il sapere
moderno tra Cartesio ed Hegel ha cercato di trovare una via
regia alla fi losofia, un’uscita dall’ingens sylva o dalla selva
delle somiglianze che non fosse un puro errare, ma un sicuro
procedere in avanti .
Questa è, per così dire, la scena primitiva della separazione tra
un’esperienza destinata ad essere promossa a scienza, e una
larga parte di essa, di cui la vita umana è intrisa, destinata a
muoversi nelle sabbie mobili ; l’ idea del mettersi in viaggio, del
condividere con altri percorsi o rotte, è stata la base su cui la
letteratura e la fi losofia moderna hanno costruito i l
Bildungsroman o la Fenomenologia , come strada maestra dove
ciascuno cammina e nessuno si distingue.
Il modello, le immagini della scienza e della ragione, che si
costruiscono a partire dalla rivoluzione scientifica, pervadono
ogni ambito conoscit ivo e di vita.
27 Walter Benjamin, Esperienza e povertà, in Critica e storia, Venezia, 1980, p. 205
E’ con Locke che si ha lo sviluppo, nella direzione
dell’empirismo moderno, di quell’empirismo che nella cultura
antica aveva trovato i l suo luogo nella frattura tra i l piano della
conoscenza e quello dell’esperienza . L’empirismo moderno che
muove da Locke tentò di r icondurre esplicitamente
all’esperienza , cioè alla pura percezione sensibile, ogni sapere,
eccetto la matematica, mediante una argomentazione
prevalentemente modulata sulla psicologia della conoscenza.
L’esperienza era per Locke il materiale della conoscenza e al
tempo stesso i l cri terio ult imo della sua veri tà; l’esperienza
sensoriale vanta in lui , oltre che una priori tà temporale, anche
una priorità logica nella genesi del conoscere, ed egli ,
r ifacendosi alla tradizione del pensiero antico, enunciava tale
fatto col principio: “Nihil est in intellectu quod prius non fuerit
in sensu”. Kant riconosce i l significato dell’empirismo in
quanto teoria della conoscenza come via allo scett icismo. Egli
contrappone razionalismo dogmatico ed empirismo scett ico con
un discorso cri t ico che si basa sulla delimitazione sia della
conoscenza sperimentale che di quella razionale.
Kant, infatt i , mentre identifica i l contenuto dell’esperienza
possibile con la scienza del suo tempo (cioè con la fisica
newtoniana), pone però con nuovo rigore i l problema del suo
soggetto. Contro la sostanzializzazione del soggetto in un unico
io psichico, Kant comincia infatt i col dist inguere l’io penso,
soggetto trascendentale che non può essere in alcun modo
sostanziato o psicologizzato, dalla coscienza psicologica o io
empirico.
E’ i l vecchio soggetto della esperienza che torna qui a
presentarsi autonomamente come io empirico; accanto ad esso,
come condizione di ogni conoscenza, sta l’ io penso, la
coscienza trascendentale, cioè l’unità sintet ica originaria della
coscienza. Per Kant, i l soggetto trascendentale, come non può
conoscere un oggetto, ma soltanto pensarlo, così non può
nemmeno conoscere sé stesso come una realtà sostanziale, che
potrebbe essere oggetto di una psicologia razionale. In questo
modo, l’ impostazione più rigorosa del problema dell’esperienza
f inisce col fondarne la possibil i tà attraverso la posizione
dell’inesperibile.
A Kant va ascrit to, secondo Benjamin, un grande merito, e cioè
egli è l’ult imo -anzi l’unico dopo Platone-, tra tutt i i f i losofi
che non si curano direttamente dell’ampiezza e delle profondità,
a dedicarsi con particolare forza alla giustificazione della
conoscenza. Kant e Platone non hanno bandito dalla fi losofia
l’ istanza della profondità, ma ne hanno reso ragione in una
maniera singolare, identificandola con l’istanza della
giustificazione. “Il problema della gnoseologia kantiana -e di
ogni grande gnoseologia in genere- ha due lati , e solo di uno
Kant potè dare una spiegazione valida. In primo luogo il
problema della certezza della dignità di un’esperienza che era
transitoria. Poichè l’interesse fi losofico universale è sempre
volto insieme alla validità atemporale della conoscenza e alla
certezza di un’esperienza temporale, che costi tuisce i l suo
oggetto più prossimo se non l’unico”.28
Anche se Kant ha voluto trarre i principi dell’esperienza dalle
scienze, e in particolar modo dalla fisica matematica, in lui
sarebbe sempre rimasto presente i l vecchio concetto di
esperienza , che ha la sua caratterist ica principale nel suo
rapporto non solo con la coscienza pura, ma
contemporaneamente anche con quella empirica. “Ma proprio di
questo si trat ta: dell’idea dell’esperienza nuda primitiva e
naturale, che apparve a Kant come l’unica data, anzi l’unica
possibile -a Kant che condivise in qualche modo l’orizzonte
mentale del suo tempo [l’i l luminismo]”.29
28 Walter Benjamin, Sul programma della filosofia futura, in Metafisica della gioventù, Torino, 1982, p. 214 29 Walter Benjamin, ibidem, p. 215
Nessun fi losofo prekantiano aveva affrontato in questa maniera
i l compito gnoseologico, anche se in verità nessuno aveva avuto
l ibertà di intervento analoga, poichè un’esperienza che aveva la
sua quintessenza nella fisica newtoniana poteva essere trat tata
con “tirannica durezza” senza sofferenze. Per l’i l luminismo
infatt i non c’erano autorità -non nel senso di istanze a cui
obbedire acrit icamente, ma di forze spiri tuali che avrebbero
potuto dare all’esperienza un grande contenuto.
“Ciò che deve intraprendere la fi losofia futura sulla base della
t ipologia del pensiero kantiano è la fondazione gnoseologica di
un concetto superiore di esperienza”.30
La fi losofia futura che Benjamin ha in mente di fondare deve
procedere metodicamente (ossia come procede ogni fi losofia
autentica) riconducendo ad un unico concetto la conoscenza e
una nuova immagine del mondo.
Se nella teoria kantiana della conoscenza ogni elemento
metafisico è un germe patologico che si esplica nella
preclusione della conoscenza dell’ambito intero dell’esperienza
possibile, in tutta la sua l ibertà e profondità, la fi losofia potrà
svilupparsi se ogni distruzione di questi elementi metafisici
presenti nella gnoseologia kantiana porrà insieme le basi di
un’esperienza metafisica compiuta e profonda. “Esiste, ed è
questo i l presupposto storico della fi losofia futura - i l rapporto
più profondo fra quell’esperienza di cui neanche l’indagine più
profonda potè mai condurre alle verità metafisiche, e quella
teoria della conoscenza che non ha ancora saputo determinare in
misura soddisfacente i l luogo logico della ricerca metafisica”.31
Le insufficienze che si riscontrano relat ivamente al l’esperienza
e alla metafisica si esprimono all’interno della stessa
gnoseologia nella forma di elementi di una metafisica
speculativa (ossia rudimentale). I più importanti di questi
30 Benjamin, ibidem, p. 216 31 Benjamin, ibidem, p. 217
elementi sono: in primo luogo, una concezione della conoscenza
come rapporto tra soggetti e oggetti comunque intesi -
concezione che Kant non ha superato definit ivamente
nonostante tutt i gli spunti e i suggerimenti in tal senso; in
secondo luogo, i l rapporto della conoscenza e dell’esperienza
con la coscienza empirica, che viene a sua volta superato da
Kant solo in una forma incipiente e incompiuta.
Ma la coscienza conoscente ha questo carattere di soggetto
perchè è stata concepita in analogia con quella empirica, che ha
certamente degli oggetti di fronte a sé, tant’è che è indubbio
che nel concetto kantiano di conoscenza la parte principale è
svolta dall’idea, ancorchè sublimata, di un Io individuale
psicosomatico, che riceve le sensazioni per mezzo dei sensi e si
forma le sue rappresentazioni sulla base di esse. Ma
quest’ult ima idea ha carattere mitologico, e i l suo contenuto di
veri tà ha lo stesso valore che possiede ogni altra mitologia
gnoseologica. “L’idea della conoscenza umana sensibile (e
intellet tuale) concepita sia nella nostra epoca che in quella
kantiana e anche prekantiana è una mitologia”.32
Concepita com’è da Kant, in relazione all’individuo umano
psicosomatico e al la sua coscienza, anzichè come specificazione
sistematica della conoscenza, l’esperienza è a sua volta e in
tutt i i suoi modi semplici oggetto di questa conoscenza reale e
precisamente del suo ramo psicologico;“ogni esperienza
autentica, invece, si fonda sulla coscienza gnoseologica pura
(trascendentale). Se possiamo ancora usare i l termine
“coscienza” [questo lo si potrà] una volta che sia privato di
ogni elemento soggettivo”.33
La gnoseologia futura ha perciò i l compito di “trovare, per la
conoscenza, la sfera della neutrali tà totale rispetto ai concetti
32 Benjamin, p. 218 33 Benjamin, ibidem, p. 219
oggetto e soggetto”34; in al tri termini, di determinare la sfera
autentica e autonoma della conoscenza, in cui questo concetto
non indica più la relazione tra due entità metafisiche, fermo
restando che le condizioni della conoscenza sono quelle
dell’esperienza. Anzi, questo principio realizzerebbe per la
prima volta i l suo significato autentico.
34 Benjamin, ibidem
Ma evidentemente ciò che caratterizza i l concetto della
metafisica non è l’ i l legit t imità delle sue conoscenze (almeno
non per Kant, che altrimenti non avrebbe scrit to i Prolegomeni
per la metafisica): è la sua capacità universale di collegare
direttamente l’esperienza intera con i l concetto di Dio,
mediante le idee.
E così si può anche dire che “la fi losofia futura ha i l compito di
scoprire o creare quel concetto di conoscenza che rapporta lo
stesso concetto di esperienza solo ed esclusivamente al la
coscienza trascendentale, e che però assicura la possibil i tà
logica non solo dell’esperienza meccanica, ma anche di quella
religiosa, i l che non significa affatto che la conoscenza
consente l’esistenza di Dio, ma solo e precisamente che essa
soltanto consente l’esperienza di Dio e la sua dottrina”.35
La definizione del concetto di identi tà -un concetto ignorato da
Kant- svolgerà una parte molto importante nella logica
trascendentale: l’ identità non è presente nella tavola kantiana
delle categorie eppure costi tuisce probabilmente i l concetto
supremo di una tavola logico-trascendentale, e forse è
veramente in grado di dare una fondazione autonoma alla sfera
della conoscenza, al di là della coppia terminologica soggetto-
oggetto. Già nella versione Kantiana la dialett ica trascendentale
indica le idee, su cui si fonda l’unità dell’esperienza . “Per un
concetto approfondito di esperienza la continuità è
indispensabile non meno dell’unità, e nelle idee deve essere
ri trovata la ragione dell’unità e della continuità di
quell’esperienza non volgare e non soltanto scientifica, ma
metafisica. Si deve dimostrare come le idee convergano nel
concetto sommo della conoscenza”.36
Se questo è vero ciò significa che “la struttura della veri tà esige
un essere che per la sua estraneità al l’intuizione somigli a
35 Walter Benjamin, ibidem, p. 220 36 Walter Benjamin, ibidem, p. 224
quello puro e semplice delle cose ma a questo superiore per
consistenza. Non in quanto intenzionare determinantesi
nell’empiria consiste la veri tà. “L’essere sottratto ad ogni
fenomenicità, l’unico essere a cui spett i questa potenza è quello
del nome. Esso determina i l darsi delle idee”.37
La grande trasformazione e correzione che deve subire i l
concetto unilateralmente matematico e meccanico della
conoscenza potrà essere attuata solo se la conoscenza verrà
rapportata al l inguaggio; “l’idea è un che di l inguistico, più
precisamente: qualcosa che, nell’essenza della parola, coincide
col momento in cui questa è simbolo [ . . . ] Qui non si tratta di
una presentazione intuit iva di immagini, piuttosto nella
contemplazione fi losofica, dal nucleo più intimo della realtà, si
l ibera l’idea in quanto parola, parola che di nuovo pretende ai
suoi diri t t i denominativi”.38
Se Kant ebbe coscienza del fatto che la conoscenza fi losofica è
assolutamente sicura a priori , se ebbe coscienza di questi
requisit i per cui la fi losofia non è inferiore alla matematica,
invece trascurò completamente i l fatto che “ogni conoscenza
fi losofica trova la sua espressione esclusivamente nella l ingua,
e non nei numeri e nelle formule”.39
Nel concetto di conoscenza nato dalla rif lessione sulla sua
natura l inguistica creerà un concetto corrispondente
dell’esperienza , che abbraccerà anche settori che Kant non è
riuscito a collocare nel suo sistema; se Kant infatt i instaura un
nuovo patto fenomenologico che rende l’esperienza dicibile nei
nuovi termini della fisica newtoniana e che rende ampiamente
sfruttabil i le “fert i l i bassure dell’esperienza”, i l processo è
quello di al tre esclusioni, di al tri divieti di accesso attraverso
37 Walter Benjamin, Il dramma barocco tedesco, Torino, 1980, p. 13 38 Walter Benjamin, ibidem, pp. 13-14 39 Walter Benjamin, Sul programma della filosofia futura, in op. cit., p. 224
strumenti teorici a zone- come ‘esperienza’, la morale, i l gusto-
cui si arriva per altre strade.
E così l’ istanza che Benjamin rivolge alla fi losofia futura può
essere formulata in ult ima analisi in questi termini: sulla base
del sistema kantiano creare un concetto della conoscenza a cui
corrisponda i l concetto dell’esperienza la cui conoscenza è
dottrina. “Una fi losofia siffatta sarebbe essa stessa teologia,
nella sua parte generale, oppure quest’ult ima le sarebbe
subordinata, nella misura in cui comprende anche elementi di
fi losofia della storia”.40
L’intera fi losofia è dunque teoria della conoscenza, è solo e
precisamente teoria, cri t ica e dogmatica, di ogni conoscenza.
Entrambe le part i , quella cri t ica e quella dogmatica, rientrano
nell’ambito della fi losofia, e quindi poichè la parte dogmatica
non coincide -ad esempio- con le singole scienze, si pone
naturalmente i l problema del confine che separa la fi losofia
dalla scienza part icolare. Ora i l s ignificato del termine
“metafisico”, così come è stato usato, comporta precisamente
che questo confine non sia presente; e la trasformazione dell’
“esperienza” in una “metafisica” significa che nella parte
metafisica o dogmatica della fi losofia -in cui trapassa la parte
suprema della teoria della conoscenza, ossia la parte crit ica- è
virtualmente inclusa la cosiddetta esperienza .
Sul piano metafisico puro i l concetto originario dell’esperienza
passa nella sua totali tà in un senso completamente diverso da
quello in cui passa nelle sue singole specificazioni, le scienze:
ossia immediatamente -dove resta ancora da determinarsi i l
senso di questa immediatezza contrapposta a quella mediazione.
“Dire che una conoscenza è metafisica significa, in senso
rigoroso: si riferisce, tramite i l concetto originario della
40 Walter Benjamin, ibidem, pp. 224-225
conoscenza, alla totali tà concreta dell’esperienza- ossia
al l’esistenza”.41
E’ nel romanticismo che i l procedere cri t ico acquista una
strett issima affinità con quello riflet tente; “nella riflessione del
pensiero si trovano impressi i due momenti fondamentali di
ogni rif lessione: att ività spontanea e conoscenza. In essa,
infatt i , viene riflesso, pensato, l’unico soggetto della
rif lessione, i l pensiero [ . . . ] Nella conoscenza del pensiero per
mezzo di se stesso è inclusa tutta la conoscenza in generale.” 42;
questa rif lessione di Benjamin è contenuta nella sua tesi di
laurea del 1919 inti tolata “Il concetto di crit ica nel
romanticismo tedesco” in cui egli dà continuità e
approfondimento agli spunti cri t ici abbozzati nelle loro l inee
guida dal testo sopra menzionato.
Per lui , la cultura che i l romanticismo elabora e diffonde apre,
nella ricerca del senso, la via d’accesso all’esperienza di sé e
alla possibil i tà di essere se stesso; i Romantici “presuppongono
quel primo originario pensiero materiale, che è i l senso, come
già “pieno”.. . Sulla base di questo assioma, i l medium della
rif lessione diventa i l sistema, l’assoluto metodologico diventa
ontologico. Così tutto ciò che è nell’assoluto, tutto i l reale,
pensa; poichè questo pensiero è quello della rif lessione, esso
può pensare solo se stesso, più esattamente, solo i l proprio
pensare, e, poichè questo suo proprio pensare è una
sostanziali tà piena, ne discende che esso, nello stesso momento
in cui pensa, conosce se stesso. Ogni conoscenza è
autoconoscenza di un essere pensante che non ha affatto
bisogno di essere un Io”.43 Ovvero nei Romantici dove c’è
autoconoscenza è soppressa la correlazione tra soggeto e
oggetto, nel medium della rif lessione la cosa e l’essenza
41 Walter Benjamin, ibidem, p. 227 42 Walter Benjamin, Il concetto di critica nel Romanticismo tedesco, Torino, 1982, pp.48-49 43 Walter Benjamin, ibidem, p. 49
conoscente trapassano l’una nell’altra. La forma più puntuale
del principio fondamentale della teoria romantica della
conoscenza dell’oggetto richiede che “la conoscenza è
immediata in un grado tanto elevato quanto può mai esserlo la
percezione”.44 In questo senso per i romantici osservare una
cosa significa solo st imolarla al l’autocoscienza, e quindi
l’esperimento consiste nell’evocazione dell’autocoscienza e
dell’autoconoscenza nella misura in cui i l medium di
conoscenza e percezione coincidono. La legge fondamentale del
medium abbraccia quindi anche la sfera della percezione e
dell’att ività; infatt i nella conoscenza del pensiero per mezzo di
se stesso (autoconoscenza) è inclusa tutta la conoscenza in
generale. “Il romanticismo fondò la sua teoria della conoscenza
sul concetto di r if lessione, perchè tale concetto garantiva non
soltanto l’immediatezza della conoscenza, ma anche, e nella
stessa misura, una peculiare infinità della connessione”.45
La questione dell’identi tà dei singoli ha potuto ottenere così nel
romanticismo, sulla base di questa “infinità della connessione”,
una risposta che è l’esatto rovesciamento di quella tradizionale:
anzichè rimanere fedeli ad un costume, a una legge e dunque ad
un orizzonte dato di abitudini e di aspettative, essere-se-stesso
ha significato nel moderno affrancarsi da ogni vincolo di
appartenenza specifico e part icolare, esporsi senza pregiudizi
all’ infinita varietà dei possibil i offerti dal mondo e attestare,
con questa esposizione, la propria fedeltà al senso unitario del
mondo in quanto tale.
Essere cit tadini del mondo, come nell’ideale cosmopolita della
modernità, può voler dire semplicemente essere senza patria,
sradicati e stranieri dovunque; tenersi aperti ad ogni possibil i tà
mondana può volere dire schivare ogni effett iva realizzazione
di sé, come accade, da un certo momento in poi, ai protagonist i
44 Walter Benjamin, ibidem, p. 53 45 Walter Benjamin, Il dramma barocco tedesco, op. cit., p. 16
del romanzo di formazione moderno (Bildungsroman).46 Per i
romantici “la forma per eccellenza simbolica è i l romanzo,
giacchè caratterist ica in questa forma è la sua apparente l ibertà
e mancanza di regole”47 e quindi la rivelazione della sua
assoluta dipendenza dall’idea dell’arte; “la teoria romatica
dell’arte poggia infatt i sulla determinazione dell’assoluto
medium della rif lessione quale arte, o più esattamente, quale
idea dell’arte”48. Il romanzo, è l’ idea della poesia, e in quanto
summa di tutto i l poetico, è una denominazione dell’assoluto
poetico. “Oggetto della cri t ica fi losofica è di dimostrare che la
funzione della forma artist ica è di rendere quei concreti
contenuti storici che stanno alla base di ogni opera significativa
contenuti di veri tà fi losofica”.49
L’elemento portante di questa nuova via che diparte dal
discorso cri t ico di Kant e dei Romantici , segnatamente con F.
Schlegel e Novalis, è che l’istanza di dare senso alla vita
prende corpo nel mondo moderno intrecciando due
intenzionali tà dist inte: da un lato i l progetto di unificare
l’intera biografia individuale intorno ad un’unica decisione di
fondo circa l’esistenza come tale - nei termini di Max Weber la
storia di tutto ciò è la storia del passaggio da un mondo del
destino ad un mondo della de-cisione e della scelta, da un
mondo dell’incanto ad uno del disincanto -; dall’altro la volontà
di mettere ordine nel mondo, superando la caoticità che
minaccia di imporsi non appena ci si esponga al mondo senza
fi l tro di un orizzonte familiare e ben delimitato. E qui, dice
Benjamin, sta la caratterist ica del XIX secolo, la singolare
fusione di tendenze individualist iche e collet t ivist iche che ha,
più di ogni epoca precedente, la tendenza a bollare ogni azione
con l’etichetta dell’individuali tà, Io, Nazione, Arte, ma deve 46 Per il Bildungsroman cfr. Franco Moretti, Il romanzo di formazione, Milano, 1986 47 Walter Benjamin, Il concetto di critica nel Romanticismo tedesco, op. cit., p. 92 48 Walter Benjamin, ibidem
poi creare negli ambiti più reconditi del quotidiano gli elementi
per una struttura collet t iva; e questa e la materia con cui
bisogna fare i conti: case popolari , mercati coperti , e poi, più in
là nel tempo, magazzini ed esposizioni.
Per quanto i l mondo dell’industria non possa essere un oggetto
esplicito della rif lessione romantica, mentre lo è, senza dubbio,
quello del fi l isteismo piccolo-borghese e mercanti le, la cultura
romantica è probabilmente la prima manifestazione dello spiri to
europeo in cui si r iconosce che la fine delle comunità
tradizionali , e dei modi di produrre e di vivere pre-industriali ,
rappresenta tanto la perdita di un certo t ipo di legami fra gli
uomini, quanto la fine di una complicità, a lungo sperimentata,
con i l mondo della natura. La nostalgia che fonda i l
romanticismo è la nostalgia di questa complicità. Ma non si
costi tuisce tanto come il desiderio di tornare al passato, quanto
come un sogno di armonia rinnovata, dove la memoria indica,
più che i l passato in sé, la direzione di un’utopia.
Per molti giovani ebrei tedeschi della generazione di Walter
Benjamin, nati cioè tutt i nell’ult imo ventennio dell’ottocento -e
ci r iferiamo a Franz Rosenzweig, Gershom Scolem, Martin
Buber, Franz Kafka, Ernst Bloch, Gyorgy Lukàcs, Ernst Toller,
Erich Fromm, Leo Lowenthal - i l punto di partenza del loro
percorso spiri tuale è proprio la cultura romantica.
Nello specifico benjaminiano, la sua concezione del
romanticismo è irriducibile al le idee romantiche classiche , ma
la sua cri t ica in chiave t ipicamente romantica nei confronti
della società industriale-capitalista, nonchè alle concezioni
romantiche della religione, dell’arte e della cultura, è presente
nei suoi scri t t i .
49 Walter Benjamin, Il Dramma barocco tedesco, op. cit., p. 189
Come scriverà in una lettera a Gershom Scholem del giugno
1917, per lui “il romanticismo è certamente l’ult imo movimento
che abbia ancora salvato la tradizione”.50
L’unicità e la ricchezza estrema dell’opera di Benjamin, si
comprende allorquando si considera i l suo pensiero non come
puramente poli t ico o religioso, cri t ico-letterario o
semplicemente teso al solo rinnovamento dell’estetica
marxiana. L’orizzonte ult imo della sua opera è una nuova
concezione della storia: l’i t inerario spiri tuale estremamente
originale di Walter Benjamin mette in luce l’affinità elet t iva51
caratterist ica del suo pensiero tra temi messianici e utopico-
anarchici che affonda le sue radici nella crit ica neoromantica
del progresso e che si riscontra in altri pensatori a lui coevi ma
che in Benjamin raggiunge la sua più alta espressione
fi losofica.
Se esaminiamo uno dei suoi primi lavori , i l discorso La vita
degli studenti (1915), possiamo già percepire l’abbozzo di tutta
la sua visione sociale-religiosa. Contro le informi tendenze
progressiste egli celebra i l potere cri t ico di immagini utopiche
come la rivoluzione francese del 1789 o i l regno messianico.
L’anarchismo è suggerito dall’affermazione che “ogni scienza e
ogni l ibera arte sono necessariamente estranee allo stato e
spesso nemiche dello Stato”.52
Utopia, anarchismo, rivoluzione e messianismo sono
alchemicamente combinati e art icolati con una cri t ica culturale
neoromantica del progresso e della conoscenza puramente
tecnico-scientifica; i l passato e i l futuro sono direttamente
associati in una sintesi t ipicamente romantico-rivoluzionaria.
50 Walter Benjamin, Lettere 1913-1940, Torino, 1978, p. 29 51 Per goethe c’è affinità elettiva quando due esseri o elementi “si cercano l’un l’altro, si attirano, si divorano l’un l’altro e successivamente riemergono da questa unione intima in una forma mutata e inattesa” J:W:Goethe, le affinità elettive, Garzanti, 1985, p.39. Per una approfondita analisi dello statuto concettuale e della trasmutazione dell’espressione affinità elettiva, cfr. M. Lowy, Redenzione ed utopia, Bollati Boringhieri 1992, p. 14-21] 52 Walter Benjamin, ibidem, p. 143
Anche i primi scrit t i di Benjamin sulla teologia ebraica sono
ispirati al romanticismo; ciò vale soprattutto per i l saggio del
1916 Sulla l ingua in generale e sulla l ingua dell’uomo che di
soli to si at tribuisce all’influenza di certe fonti cabbalist iche; la
dimensione utopico messianica di questa fi losofia del
l inguaggio si manifesta in uno scrit to successivo, Il compito del
traduttore , del 1921, che incorpora già i r isultati della
discussione sulla kabbalah e della lettura dello studioso di
kabbalah Joseph Molitor; la teologia l inguistica del giovane
Benjamin sembra dunque costi tuirsi secondo un paradigma
messianico-resti tuzionista di ispirazione cabalist ica e
romantica, teso al la restaurazione dell’armonia edenica. E’ con
i l saggio Per la crit ica della violenza che compare nella
produzione di Benjamin i l primo accenno al bolscevismo,
diret tamente associato al l’anarcosindacalismo come dottrina
rivoluzionaria antiparlamentare. Dopo la scoperta
contemporanea del marxismo attraverso Storia e coscienza di
classe di Lukàcs e del bolscevismo attraverso Asja Lacis, i l
comunismo diventerà centrale nella riflessione poli t ica di
Benjamin, e i l legame tra idee comuniste e idee l ibertarie, - e
l’utopia l ibertaria di Benjamin, anch’essa fondata su una
sensibil i tà neoromantica -, sarà sempre presente nel corso della
sua evoluzione poli t ica. Se nel cammino spiri tuale di Benjamin
ci sono stati importanti cambiamenti , tuttavia i l comunismo e i l
materialismo storico non sosti tuirono le sue precedenti
convinzioni romantiche spiri tualiste e l ibertarie, ma si fusero
con esse dando luogo ad una figura di pensiero singolare. Ed
anzi t ipico del suo pensiero è i l rovesciamento dell’anarchismo
in messianesimo e viceversa, e questa è una chiave essenziale
per comprendere la visione sociale-religiosa esoterica di
Benjamin, dal Frammento teologico-polit ico al le Tesi di
Filosofia della Storia .
In via generale le concezioni polit iche di Benjamin sono
influenzate da quei pensatori l ibertari , anarchici o
anarcosindacalist i che sono più profondamente legati al
romanticismo anticapital ista e al le sue aspirazioni
resti tuzioniste: George Sorel , Gustav Landauer, Tolstoj ,
Strindberg. Tuttavia le sue idee sono lungi dall’essere polit iche
nel senso abituale del termine. Scholem ha definito “anarchismo
teocratico” la dottrina che era loro comune nel 1919 e i l
termine teocratico non ha un significato polit ico ma
esclusivamente religioso. La chiave per comprendere i l
carattere part icolare dell’anarchismo di Benjamin è i l suo
rapporto con il messianismo ebraico, una relazione che può
essere i l lustrata soltanto mediante i l concetto sopra citato di
affinità elett iva: partendo dalle stesse radici neoromantiche i
due pensatori (Benjamin e Scholem) hanno in comune una
struttura utopico-resti tuzionista, una prospett iva rivoluzionaria-
catastrofica della storia e un’immagine l ibertaria del futuro
edenico. Il r imando alla concezione ebraico messianica della
temporali tà è importantissima. L’Israele biblico ignorava la
concezione del tempo come a priori assoluto e l ineare, in cui
collocare i fenomeni. Esso “non sapeva immaginarsi un tempo
senza un evento determinato, conosceva cioè soltanto un tempo
pieno.. .vi è un tempo per generare, un tempo per radunare i l
bestiame, uno per i l re di scendere nel campo. La vita umana è
insieme di molti tempi in cui accade i l manifestarsi di Dio”.53
Così, scrive Benjamin, “è certo che i l tempo non era appreso
dagli indovini, che cercavano di estrarne ciò che si cela nel suo
grembo, come omogeneo né come vuoto. Chi tenga presente
questo, può forse giungere a farsi un’idea del modo in cui i l
passato era appreso nella memoria: e cioè nello stesso. E’ noto
che agli ebrei era vietato indagare i l futuro. La Thora e la
53 G. von Rad, Teologia dell’antico testamento, Brescia, 1972, vol. II, p. 437
preghiera l i istruiscono invece nella memoria. Ciò l i l ibererà
dal fascino del futuro, a cui soggiacciono quelli che cercano
informazioni presso gli indovini. Ma non per questo i l futuro
diventerà per gli ebrei un tempo omogeneo e vuoto. Perchè ogni
secondo, in esso, era la piccola porta da cui poteva entrare i l
Messia”.54 “La memoria, in cui dobbiamo vedere la quintessenza
della loro concezione teologica della storia, l ibera i l futuro
dall’incanto a cui resta soggetta la magia. Ma non per questo
essa fa del futuro un tempo vuoto. Il cardine su cui si muove
quella porta [quella da cui può entrare in ogni secondo il
Messia] è la memoria”.55 Per gli ebrei l’eternità non era un
prolungamento infinito, vuoto, astratto e l ineare del tempo, ma
rinviava ad un altro concetto del tempo, diverso dalla categoria
kantiana, nozione vuota e formale, ma come inseparabile da
tutto i l suo contenuto. La prima espressione del tentativo di
superare la concezione omogenea, vuota, puramente quntitativa
del tempo è l’art icolo sul Trauerspiel e la Tragedia - testo che
costi tuisce la prima esposizione dei temi che saranno svolti da
Benjamin nel suo studio sul Dramma barocco tedesco - in cui
Benjamin oppone i l tempo della storia al tempo meccanico e
vuoto degli orologi, che si manifesta nella regolarità di
trasformazioni spaziali ; quando questo tempo è riempito esso
diventa secondo Benjamin, “tempo messianico”56; i l che
significa che per Benjamin non si tratta di attendere, ma di
cogliere la possibil i tà rivoluzionaria offerta in ogni istante
storico e in questo senso egli non si collega alla corrente
quietista dominante della religione ebraica ortodossa, ma
appartiene piuttosto al la tradizione degli “acceleratori della
fine”, la tradizione di cui parla Franz Rosenzweig, di coloro che
vogliono forzare l’avvento del regno.
54 W. Benjamin, in Angelus Novus, op. cit., p.86 55 W. Benjamin, Manoscritti Preparatori, Ms 1053v, I 1252 56 W. Benjamin, Metafisica della gioventù, op. cit., p. 168 seguenti
Strada a senso unico è i l primo scri t to in cui la cri t ica
neoromantica del progresso non scompare, ma si carica di una
tensione rivoluzionaria marxista. Questo è i l primo testo in cui
Benjamin opponga la rivoluzione alla continuità catastrofica del
progresso tecnico assoggettato alle classi dominanti .
L’obiett ivo della sua crit ica non è la negazione della tecnica ma
la sua ridefinizione radicale: piuttosto che dominio della natura
essa deve divenire “dominio del rapporto tra natura e umanità”.
I riferimenti al l’anarchismo e al comunismo rimarrano più o
meno esplicit i nel corso di tutta la sua produzione; tra ogni
termine dell’utopia rivoluzionaria profana e della sfera
messianica sacra, tra la storia della redenzione e la storia della
lotta di classe, r imane sempre una corrispondenza in senso
baudelairiano: al paradiso perduto corrisponde la società
comunista preistorica, egualitaria, ovvero senza classi ,
democratica e non autoritaria, vivente in una armonia edenica
con la natura; all’espulsione dal giardino dell’Eden, o alla
tempesta che allontana gli uomini dal paradiso verso l’inferno
corrispondono il progresso, la civil tà industriale, la società
capital ist ico mercanti le, la catastrofe moderna e i l suo
accumulo di detri t i ; al l’avvento del messia corrisponde
l’interruzione rivoluzionaria-proletaria della storia; e all’età
messianica, i l r istabil imento del paradiso con la sua l ingua
adamitica, corrispondono la società senza classi e senza stato e
la sua l ingua universale.
Se non si può comprendere né i l messianismo né l’anarchismo
di Benjamin senza i l terreno culturale romantico che serve da
fondamento comune ad entrambi, sarebbe tuttavia sbagliato non
vedere anche la dimensione razionalista della sua visione del
mondo soprattutto in relazione a Kant e al neokantismo;
l’art icolazione tra romantik e aufklärung costi tuisce i l perno
intorno a cui ruota la ricerca di un punto di convergenza
possibile tra messianismo ebraico e internazionalismo
proletario, cri t ica romantica della civil tà borghese e umanismo
rivoluzionario.
2. Il discorso sull’esperienza tra XVIII e XIX secolo.
Benjamin e i l materialismo storico
Sul piano fi losofico, i l romanticismo trova corrispondenze
nell’idealismo tedesco, e i l concetto di esperienza che si
delinea si formula esplicitamente nel pensiero di Hegel, nel
quale soggetto e natura sono bensì r iconosciuti come elementi
di una anti tesi , ma questa è ricomposta come parte di una
dialet t ica, che svela la natura come alteri tà necessaria da cui la
coscienza si differenzia solo per riconcil iarsi ad un l ivello
superiore: i l concetto assoluto.
Il viaggio come spostamento laterale nello spazio diventa
viaggio come spostamento assiale nel tempo in direzione del
futuro.
Per Hegel l’esperienza è essenzialmente i l movimento storico
dello spiri to, movimento che culmina nel concetto. Il pensiero
non è separato dall’esperienza : c’è un’esperienza del pensare,
non solo un pensare l’esperienza .
Nell’Enciclopedia Hegel presenta la fi losofia kantiana come
quella che ha concepito lo spiri to solo come coscienza, cioè
nell’opposizione di autocoscienza e coscienza empirica, e non è
riuscita perciò a pervenire al concetto dello spiri to come esso è
in sé e per sé, cioè come unità della coscienza e della
autocoscienza.
Invero i l t i tolo originario della Fenomenologia dello Spirito
suona come: Fenomenologia dello spiri to , Scienza
dell’esperienza della coscienza , l ’esperienza cessa cioè di
essere semplicemente un modo o uno strumento o un l imite
della coscienza e diventa l’essenza stessa del nuovo soggetto
assoluto: cioè la struttura del processo dialett ico come
movimento; nella sua t ipica terminologia, si trat ta di un
“movimento dialett ico che la coscienza esercita in lei stessa -e
nel suo sapere e nel suo oggetto- in quanto gliene sorge i l
nuovo vero oggetto” 57. La nozione di esperienza acquista qui i l
suo spessore di per-corso. Non a caso i l termine con cui Hegel
designa l’esperienza è Erfahrung : l ’esperienza si fa ancora
cammino, i ter , odos (met-odos) at traverso i l quale si raggiunge
la veri tà; infatt i i l termine tedesco Erfahrung e collegato al
verbo erfahren, composto da fahren, viaggiare, e dal prefisso
inseparabile er, in cui è presente sia l’idea del divenire che
quella del patire. La verità, si potrebbe dire, torna in cammino,
si sposta insieme all’orizzonte che circoscrive, condannandosi
ad un viaggio infinito.
Questo movimento si incarna nella metafora del viaggio, ma
non vi si r iduce: “le figurazioni della coscienza non sono solo
icone per cui basti i l puro stare a vedere, non sono solo stazioni
presso cui si sosta. Esse vanno penetrate, smontate, r iplasmate.
Questa esperienza [ . . . ] è un lavoro”.58
L’esperienza è dunque un percorso, un viaggio, un lavoro. In
essa la coscienza si arricchisce, e, se ri torna infine a se stessa
non lo fa senza essersi modificata e senza avere modificato i l
mondo ovvero “tale i t inerario verso la scienza è esso stesso già
scienza, e, secondo il contenuto di quest’ult ima, è quindi
scienza dell’esperienza della coscienza”.59
L’esperienza è i l cammino del soggetto che affronta l’al tro da
sé e lo trasforma, trasformando se stesso.
Scienza dell’esperienza della coscienza significa che la
coscienza, i l nuovo soggetto assoluto, è, nella sua essenza, un
cammino verso la scienza, una esperienza (ex-per- ientia , un
57 G. W. F. Hegel, Fenomenologia dello Spirito, Firenze, 1988, vol. I, p. 76 58 Dario Borso, Hegel politico dell’esperienza, Milano, 1976, p. 17 59 G. W. F. Hegel, op. cit., p. 78
provenire da e un andare at traverso) che è già essa stessa
scienza. Esperienza è qui semplicemente i l nome del trat to
fondamentale della coscienza: la sua essenziale negatività, i l
suo essere sempre già ciò che non è ancora. La dialett ica
manifesta come, nel nuovo soggetto assoluto, l’essenza della
conoscenza si sia ormai identificata con quella dell’esperienza .
Il carattere negativo, che era già implicito nell’esperienza
tradizionale, in quanto questa era sempre un’esperienza della
morte, diventa qui la struttura stessa dell’essere umano.
Per questo l’esperienza è ora definit ivamente qualcosa che si
può solo fare e mai avere: essa non è mai intera se non
nell’approssimazione infinita del processo globale.
Al fenomeno di progressiva trasformazione delle condizioni di
vita da una dimensione rurale ad una metropolitana in continua,
rapida evoluzione, e che coincide con il passaggio dalle società
tradizionali in cui l’esperienza veniva sedimentata e trasmessa
come patrimonio collett ivo da generazione a generazione a
quelle in cui si apre una molteplicità di possibil i tà, corrisponde
nell’ottocento i l tentativo di razionalizzare lo svolgimento e i l
progresso incessante della civil tà umana; ciò trova riscontro nel
fatto che i l processo att ivato dalla scienza moderna e dunque
dallo scatenamento di tutte le forze produttive sembra essere
giunto ad un punto di certezza tale per cui l’ io che conosce è
senza corpo, i l soggetto è conosciuto come un puro oggetto, via
via sottomesso e classificato dalle leggi storiche o biologiche o
anatomiche, sociali o poli t iche - ed è forse questa assenza di
enfasi a costi tuire l’eccesso di fantasia che secondo Benjamin
caratterizza i l XIX secolo, ed è qui che va inseri ta la cri t ica al
XIX secolo, che non sia tanto una crit ica al suo meccanicismo e
meccanismo, ma della mania appunto dei suoi mascheramenti
fantastici .
Il XIX secolo è percorso da correnti varie che tutte però si
r iagganciano a questo tentativo di razionalizzazione
dell’esperienza da intendersi quindi come osservazione
sistematizzabile del sapere; in particolar modo ricevono
impulso le scienze sociali - che si sviluppano appunto sotto i l
segno dell’esperienza intesa come osservazione organizzabile in
modo sistematico e oggettivo - , le scienze naturali e la
psicofisiologia che si costi tuisce come scienza dei fat t i di
coscienza.
Così per Comte si trattò essenzialmente di fondare una nuova
scienza, la sociologia o scienza empirica dei fenomeni sociali ,
la cui parte dinamica aveva i l compito di studiare i l progresso
sociale sottomettendone lo svolgimento a leggi in grado di
prevederne i l comportmento, al pari dell’osservazione oggett iva
e riproducibile dei fenomeni naturali ; i l posit ivismo comtiano e
la sua idea del progresso giocano un ruolo fondamentale nei
processi di trasformazione della società ottocentesca e nei suoi
at teggiamenti a riguardo della evoluzione, che i l posit ivismo
spacciava come una legge rivelata dalla storia. La concezione
stessa della storia inaugurata dal posit ivismo è fatta oggetto da
Benjamin di particolare attenzione, perchè è in
contrapposizione a tale concezione che egli opporrà i l metodo
materialist ico ; egli individua nell’ immedesimazione in ciò che
è stato - che serve in ult ima analisi ad una esposizione che deve
farlo rivivere nel presente- la tendenza che si accompagna alla
concezione posit ivist ica della storia; l’immedesimazione è quel
processo di let tura della storia per cui ci si toglie di mente tutto
quello che si sa sul corso successivo della storia. Questo t ipo di
proiezione del passato nel presente costi tuisce, nell’ambito
della storia, i l corrispett ivo della sosti tuzione di configurazioni
identiche per le trasformazioni del mondo fisico. Questa
sosti tuzione è stata evidenziata da Meyerson come fondamento
delle scienze naturali nella sua opera De l ’explication dans les
sciences . 60 “Quella proiezione è la quintessenza del carattere
propriamente ‘scientifico’ della storia in senso posit ivist ico. Il
prezzo pagato per questa scientifici tà è la completa
eliminazione di tutto ciò che possa ricordare la destinazione
originaria della storia come memoria [Eingedenken].”61
Benjamin osserva come la falsa vivezza di ciò che viene fat to
rivivere nel presente dallo storicismo posit ivista contrassegna
la definit iva sottomissione della storia al concetto moderno di
scienza. “Il proposito di r invenire le leggi che regolano il corso
degli avvenimenti nella storia, non è né l’unica né la più sott i le
maniera di assimilare la storiografia al la scienza naturale. Del
medesimo raggiro si rende colpevole, r imanendo però molto più
diffici le da smascherare, l’idea che i l compito dello storico sia
quello di far rivivere i l passato nel presente”.62
Alla sensibil i tà del naturalismo che aveva privilegiato lo studio
della realtà nelle sue basi scientifiche e naturali -e che
riconosceva i l compito della conoscenza umana non già nella
ricerca delle essenze o di principi superiori , ma nello scoprire
le leggi di natura (sul modello della grande legge newtoniana
della gravitazione universale), le quali poi non sono altro che
descrizioni abbreviate dei fat t i s tessi , caratterizzate dalla loro
capacità di previsione dei fenomeni - , opposero vivace reazione
tanto Walter Benjamin quanto un’artista cui Benjamin tributò
sempre grande attenzione e cioè Paul Scheerbart .
Scheerbart prende esplicita posizione contro le scienze naturali
nel racconto inti tolato Il terrore che viene dal vetro , s toria
fantastica in cui si parla della vetrificazione di una intera fascia
di terri torio tedesco, delle persone, degli animali e delle cose l ì
presenti; tutto viene improvvisamente ricoperto da una molle
massa di vetro di cui nessuno scienziato riesce a dare
60 Meyerson, De l’explicatio dans les sciences, Paris, 1921 61 Walter Benjamin, Manoscritti Preparatori, Ms 1098r, I 1230s 62 Walter Benjamin, ibidem, Ms 1098r, I 1230s
spiegazione, nemmeno il protagonista del racconto, professore
di chimica, che si r i trova a dire: “Tutto questo è in palese
contraddizione con le leggi di natura. Io però ho sempre detto:
noi non abbiamo la più pall ida idea delle leggi di natura. Sulla
Terra esistono combinazioni tra elementi che noi ignoriamo
completamente”.63 Lo stupore e l’ impossibil i tà di r idurre ogni
fenomeno ad una legge che ne garantisca la riproducibili tà
conducono, nella fantasia scheerbartiana, “il governo a proibire
alle università di parlare d’ora in avanti di «leggi di natura»,
dato che grazie a quella molle massa di vetro la capacità di
ragionamento umana si era dimostrata insufficiente a
conoscerne le leggi”.64
E’ invece sul terreno del superamento dell’opposizione kantiana
tra io trascendentale ed empirico e sulla sostanzializzazione del
soggetto in una psyche , che la psicologia ottocentesca
costruisce i l mito centrale del XIX secolo: quello di un io
psico-somatico che realizza in carne ed ossa quell’unione
mistica di nous e psyche su cui aveva fatto naufragio la mistica
antica. La psicologia cosiddetta scientifica (Fechner, Wundt),
cerca di aggirare l’impossibil i tà della psicologia razionale di
sostantivare i l soggetto e quella della psicologia empirica di
superare i l imiti di una fisiologia e di raggiungere i l soggetto,
costruendosi come scienza dei fat t i di coscienza .
Nei suoi Elementi di psicofisica (1860) Fechner sostenne che
un’unità di misura dello psichico non potesse essere trovata
nello psichico stesso, bensì in relazione a risultat i della
indagine fisica. Egli si preoccupò quindi di stabil ire le leggi
che governano i rapporti tra st imolo fisico e sensazione, e legò
il suo nome alla legge secondo la quale la grandezza soggettiva
di una sensazione è misurata dal logaritmo della grandezza
fisica del suo st imolo.
63 Paul Scheerbart, Il terrore che viene dal vetro, in Scheerbartiana, Milano, 1982, pp. 174 64 Paul Scheerbart, ibidem, p. 180
Ma è proprio l’ipotesi del parallel ismo psico-fisiologico a
tradire la derivazione metafisica della psicologia scientifica
(che Bergson a ragione riconduceva all’opposizione cartesiana
di res cogitans e res extensa, comunicanti nell’uomo) e la sua
impossibil i tà di fat to di cogliere i l fat to di coscienza, che ha
scisso in due, nello stesso tempo come processo fisiologico e
come coscienza.
Sulla cri t ica della psico-fisiologia ottocentesca e delle scienze
naturali Dilthey e Bergson fondano, alla fine del secolo XIX, i l
loro tentativo di cogliere la vita in una esperienza pura. Ai fatt i
di coscienza che la psicologia cercava di costruire at traverso la
loro sostanzializzazione psicofisica, essi oppongono il carattere
non sostanziale, ma puramente qualitativo della coscienza,
quale si r ivela nell’esperienza immediata: la durata pura di
Bergson e l’esperienza vissuta (Erlebnis) di Dilthey. Nell’idea
di Erlebnis infatt i s ta t ipicamente un’impronta di immediatezza:
essa deriva dal verbo erleben, che propriamente significa essere
in vita mentre una cosa succede. L’espressione esperienza
vissuta usata da Benjamin corrisponde crit icamente all’
Erlebnis di Dilthey.
Poichè i l soggetto umano è parte del mondo storico-sociale,
dist into dal mondo naturale, la comprensione di questo mondo,
che si realizza nelle scienze dello spiri to, richiede procedimenti
propri diversi da quell i adottati dalle scienze naturali , in cui la
differenza tra soggetto e oggetto del conoscere si pone in modo
radicale; la fondazione gnoseologica delle scienze dello spiri to
deve essere elaborata ricorrendo ad una psicologia che muova
dall’unità interiore immediata del concreto soggetto storico.65
65 L’importanza del concetto di Erlebnis sta nel fatto che è nel suo nome che le scienze storico sociali si distaccano da quelle naturali. Nella prospettiva aperta da Dilthey, le prime differiscono dalle seconde proprio perchè il loro oggetto è fornito dalle esperienze vissute dagli uomini. Le scienze naturali hanno per oggetto fenomeni materiali, le scienze dell’uomo produzioni di significato. Il senso comune espulso come prescientifico dalla scienze naturali, ritorna come oggetto del conoscere: è infatti il mondo dei significati condivisi, sedimentati e trasmessi all’interno delle società nel loro vivere nel tempo, è l’humus in cui si costistuiscono
Con Dilthey e Bergson assist iamo alla crisi del modello
interpretativo ottocentesco basato sulla semplice osservazione,
giacchè ora entra in gioco la consapevolezza della problematica
del soggetto in ogni operazione conoscit iva. L’esperienza è ora
una relazione, un rapporto tra soggetto e oggetto: “Esperienza
vien detto quel movimento dove l’immediato, i l non
sperimentato, cioè l’astratto, appartenga all’essere sensibile o
al semplice solo pensato, si venga alienando, e poi, da questa
al ienazione, torna a se stesso; così soltanto ora, dacchè è anche
proprietà della coscienza, l’immediato è presentato nella sua
effettuale veri tà”.66 L’esperienza è uno spazio-tempo in cui la
l inea di demarcazione tra i l soggetto e l’oggetto diventa
problematica.67
Tutta la fi losofia della vita, così come buona parte della cultura
sullo scorcio del XIX secolo, compresa la poesia, sono volte a
catturare questa esperienza vissuta quale si r ivela
al l’introspezione nella sua immediatezza preconcettuale. Il
senso interno, che era per Kant, in sé privo di valore
conoscit ivo e non esprimeva altro che l’impossibil i tà dell’ io
trascendentale di conoscere se stesso, diventa ora la sorgente
dell’esperienza più autentica.
le esperienze. In tale senso l’esito più immediato delle posizioni diltheyane è rappresentato dalla sociologia di Weber radicalmente antipositivista, che si definisce come sociologia comprendente essendo il suo oggetto l’agire umano in quanto dotato di senso. A questa esperienza corrisponde l’esperienza dello scienziato che mediante un’azione interpretativa ricostruisce il senso che è plausibilmente e tipicamente intenzionato nell’agire dei soggetti intorno a cui egli fa ricerca (M. Weber, Economia e Società, Milano, 1995). Bergson esercitò dal canto suo una critica alla scienza di estrema attualità, se è vero che Ilja Prigogine, studioso delle strutture dissipative e premio Nobel per la chimica nel 1977, a tali critiche fa esplicito riferimento come ad un campo ancora da esplorare. Bergson invero scrive che in fisica, il qualitativamente nuovo, l’innovazione, non possono trovare posto, e in ciò esprime una delle conseguenze essenziali del progetto di matematizzazione della natura proprio della scienza moderna. In tal modo la nozione di creatività viene considerata ora molto importante in un orizzonte scientifico in cui il caso e la novità non sono più accidenti marginali. I. Prigogine, La nuova alleanza, metamorfosi della scienza, Torino, 1982, pagina 92 66 G. W. F. Hegel, in op. cit., p. 29 67Anche lo strumento di misura usato nell’esperimento turba l’oggetto naturale, non tanto perchè esso sia adoperato da osservatori umani, quanto perchè esso stesso è un oggetto naturale e fisico, e pertanto è sottoposto alle medesime leggi fisiche della teoria in base alla quale l’esperimento viene predisposto: in tal senso gioca un ruolo fondamentale nella fisica moderna il principio di indeterminazione di Heisenberg
La crit ica dello psicologismo e dell’empirismo produce in realtà
due posizioni complementari: da una parte sta appunto lo
storicismo di Dilthey, in cui la fondazione gnoseologica delle
scienze dello spiri to viene elaborata ricorrendo a quella
psicologia che muova dall’unità interiore immediata del
concreto soggetto storico; la dialett ica che, hegelianamente, è
inquietudine, viene dissolta dallo storicismo dil theyano in
divenire e movimento amorfi , naturalizzato nell’immagine
ricorrente del flusso di esperienza e dell’onda che succede
all’onda, in cui l’ individualità campeggia sullo sfumato di una
universali tà al lusa, mai percepibile, che si perde nell’indist into.
Di fronte al reale immiserirsi dell’esperienza , dovuto alla
rottura della tradizione, al dissociarsi di progresso e arcaicità,
Dilthey, al pari di Bergson, ha elaborato una strategia
complementare di arricchimento dell’esperienza e di connesso
occultamento della frattura della tradizione. A condizione di
ridurre i l futuro a semplice al di là del presente, diventava
possibile riconcil iare i l passato con i l presente, nella misura in
cui i l comprendere ciò che altri uomini avevano fatto nel tempo
e la storia el iminavano la miseria, toglievano le l imitazioni
soggett ive.
Dall’al tra parte sta invece i l neo-kantismo di Natorp e Cohen,
che Benjamin ben conosceva, e che è l’elaborazione di una
teoria generale dell’esperienza che comporta che le forme,
l’universale, sono separate dalla storia, dall’individuale,
analogamente a quanto accade al platonismo dei numeri in
matematica.
In particolar modo a Cohen si r icollega i l socialismo
neokantiano, inteso a riformare i l materialismo storico
attraverso l’etica kantiana, e che intende i l progresso come
perfett ibil i tà infinita. A tale proposito, contro le dottrine della
socialdemocrazia, Benjamin avrà a dire: “Il progresso non sta in
nessun rapporto con l’interrompersi della storia. Questo
interrompersi viene pregiudicato dalla dottrina della
perfett ibil i tà infinita”.68 Benjamin inoltre individua in tale
modo le caratterist iche dell’ideale educativo socialdemocratico:
“la fede nella scienza, la fede nella logica della storia,
l ’emancipazione da ogni metafisica e mistica”.69
Da una parte, dunque, una individualità troppo concreta,
storicamente determinata, ma senza alcuna trascendenza, che fa
riferimento a Dilthey, dall’altra come complemento quella di
una universali tà vuota, che non ha mai termine, quella del
neokantismo. Lo sforzo di Benjamin è al contrario volto a
costruire una dialett ica in cui i l movimento si strutturi in
forme, diventi intell igibile, interrompa la mediazione infinita,
in cui universali tà e individualità coincidono immediatamente;
in questo senso è estremamente importante l’appoggio al
proprio pensiero che Benjamin trova in Leibniz da cui mutua
l’idea di monade, che permette di r inchiudere la ricchezza del
mondo e del divenire in una struttura individualizzata, in un
punto di vista singolo che non contrasta con l’universale, ma ne
seleziona una angolatura. La scoperta di Leibniz e i l suo nesso
con Rosenzweig sono in Benjamin relativamente precoci: “le
idee sono stelle, in contrasto con il sole della rivelazione. Non
bril lano nel giorno della storia, operano solo invisibilmente in
esso”.70
Il concetto di monade, fondamentale in Leibniz e nato in
associazione alla discontinuità dei numeri interi , rappresenta
per Benjamin una sorta di dottrina delle idee. La monade, la
contrazione della realtà in uno, è l’ impoverimento che si mostra
nella vera ricchezza: “l’idea è monade significa: ogni idea
contiene l’immagine del mondo”.71
68 Walter Benjamin, Manoscritti Preparatori, Ms 480 1-3, I 1243 69 Walter Benjamin, ibidem, Ms 395v, II 1357 70 Walter benjamin, Lettere, op. cit., pp. 371,371 71 Walter Benjamin, Il dramma barocco tedesco, op. cit., p. 31
La storia e la varietà del mondo non vengono in tal modo
cancellate ma radicate in una prospett iva, dal centro della
monade stessa, senza la quale resterebbero molteplicità
incoerenti e movimento senza senso. La struttura monadica
connette realmente l’universale con l’individualità del punto di
vista nell’orizzonte di simultaneità delle immagini della Jetzt-
Zeit , che significa let teralmente tempo-ora, ed è ciò che
stereoscopicamente raggruma passato, presente e futuro, e che
contiene in sé l’immagine del tempo storico messianico.72
A sostegno della ricerca di coincidenza immediata di
universali tà e individuali tà interviene in Benjamin anche i l
metodo fi lologico che, lungi dal dare l’apparenza della fatt icità
compatta che incanta lo studioso, svanisce nella costruzione
dell’oggetto in una prospett iva storica, che è poi la nostra
esperienza nella storia, costruzione che non privilegia la
struttura rispetto al particolare, poichè sia l’uno che l’altro
sono sempre carichi di storicità; per questo “il metodo storico è
un metodo fi lologico che ha a suo fondamento i l l ibro della
vita. ‘Leggere quello che non è mai stato scrit to”, ha detto
Hoffmansthal’”.73 La storia può essere quindi paragonata ad un
testo, e per essa può valere ciò che un autore contamporaneo a
Benjamin dice dei test i let terari , e cioè che i l passato vi ha
depositato immagini che si potrebbero paragonare a quelle che
vengono fissate da una lastra fotosensibile. “Solo i l futuro ha a
72 Il termine Jetzt-Zeit nella struttura del pensiero di Benjamin riveste un’importanza fondamentale: esso è composto da Jetzt istante, ora, e Zeit, tempo, e significa epoca attuale, presente. Nella storia del linguaggio filosofico esiste una differenza precisa tra Jetzt e Augenblick, ed è Heidegger in Essere e Tempo a puntualizzare questa differenza (Essere e tempo, Torino, pagina 491-492); Augenblick, attimo, e Jetzt, istante, ora, sono completamente eterogenei, appartengono a due diversi progetti di vita e a due differenti atteggiamenti rispetto al tempo; l’uno, Augenblick (attimo), rimanda al tempo e al presente autentico, l’altro, Jetzt (istante o ora), rimanda al continuum del tempo e al presente inautentico -proprio della concezione volgare del tempo, o che è lo stesso heideggerianamente- della metafisica occidentale. Benjamin, nelle tesi dà una torsione tutta sua al concetto di Jetzt-Zeit, funzionalizzata all’elaborazione del concetto di storia, o più precisamente, secondo un’espressione di Lukàcs, all’impostazione del “problema del presente come problema storico”. 73 Walter Benjamin, Manoscritti Preparatori, Ms 470, 1-4, I 1238
sua disposizione acidi abbastanza forti da sviluppare questa
lastra così che l’immagine venga ad apparire in tutt i i suoi
dettagli”.74
Salvare i l dettaglio, i l piccolo, i l part icolare, e, a part ire da
esso, stare nella struttura complessiva delle forme è un
insegnamento che Benjamin raccoglie oltre che dalla fi lologia e
dall’idea leibniziana di monade anche dalla Psicopatologia
della vita quotidiana di Freud, che lavora sui residui della
realtà, dai romanzi di Proust e di Joyce, per la ridondanza dei
particolari , ed ancora da Rosenzweig e da Focillon, da una cui
frase, e dalla modali tà con cui viene citata da Benjamin
estrapolata dal suo contesto storico e caricata di esplosività
millenarista, si accede pianamente alla sua concezione
materialist ico- teologica della storia: “far data, non è
intervenire passivamente nella cronologia, ma precipitare i l
momento”.
Per spiegare questa “citazione” dobbiamo pensare che i l metodo
storico uti l izzato da Benjamin fa appello alla storiografia
tradizionale nella misura in cui richiede che lo storico sia una
sorta di veggente rivolto all’indietro; ma mentre
l’interpretazione tradizionale del compito dello storico ri t iene
che egli stesso, trasferendosi interamente in un passato remoto,
profetizzi quello che per quest’ult imo era ancora futuro, ma che
nel contempo è diventato anch’esso passato, cioè si immedesimi
nella storia, a produrre uno storicismo placidamente narrativo
come era quello di Foustel de Coulanges; dall’altro lato
l’interpretazione materialist ica assegna ancora al lo storico i l
compito di volgersi all’ indietro, ma è davanti al passato che si
al lontana rapidamente, è davanti al le vette degli eventi
precedenti che ne arginano la vista e che vanno sempre più
dileguandosi nella notte dei tempi che egli deve accendere i l
74 L’autore cui Benjamin si riferisce è Monglond
proprio sguardo di veggente, cioè deve voltare le spalle al
proprio tempo e fare del presente l’oggetto della propria
profezia, attualizzando nel presente determinati att imi del
passato, che in tal modo possono ottenere un grado di attuali tà
più alto che al momento della loro esistenza; e quanto più lo
spiri to si spinge nel passato, tanto più aumenta la massa di ciò
che ancora non è divenuto storia. Nel concetto di presente
inteso come oggetto intenzionale di una profezia sta
precisamente i l fondamento dell’attuali tà della storiografia
autentica, la presentificazione e compenetrazione dialet t ica di
circostanze che appartengono al passato è la prova di verità
dell’agire presente; come dice Turgot questo concetto di un
presente “che costi tuisce l’oggetto intenzionale di una profezia
è un concetto interamente ed essenzialmente poli t ico”75, giacchè
prima che noi ci siamo potuti informare su un dato stato di
cose, questo si è già trasformato più volte; cioè la profezia si
r ivolge ad un futuro che è esso stesso già divenuto passato.
L’attualizzazione di determinati at t imi del passato nel presente
si traduce nell’immagine secondo la quale l’accadere che
circonda lo storico e a cui egli prende parte, sarà sempre al
fondo della sua esposizione come un testo scrit to con inchiostro
simpatico; la storia cioè, si frantuma in immagini, non in storie,
e quindi si presenta al let tore come costi tuita di ci tazioni
discontinue sulla pagina e nel tempo; chi invece “va a frugare
nel passato come in un ripostiglio di esempi e di analogie, non
ha ancora la minima idea di quanto, in un dato att imo, dipenda
dalla sua at tualizzazione”76; la storiografia autentica si oppone
al credo dello storicismo basato su quella curiosità che spinge
alla ricerca lo storico e affascina i l let tore e i l cui risultato è
che i l fat to resta integro, intatto, poggiato sulla casti tà della
storia e “sul crasso posit ivismo di questa confessione di fede
75 Walter Benjamin, ibidem, Ms 471, I 1237s 76 Walter Benjamin, ibidem
che è apparenza”77; l ’edificio storico che così si r icostruisce è
quella storia universale cui Benjamin si oppone in quanto
“reazionaria”, giacchè è una storia senza principio costrutt ivo,
legata al l’idea di progresso e di cultura, e che quindi inserisce
tutt i i s ingoli istanti della storia dell’umanità al l’interno della
catena del progresso piegandoli al comune denominatore della
cultura, dell’ i l luminismo, dello spiri to oggett ivo, ovvero di
quella cultura che è costruita dai vincitori nella storia e dai
dominatori che ad essi si appellano. In tal senso la storia
universale così concepita e at tuata mira al la costruzione della
continuità, non ha armatura teoretica, e non soggiace a nessun
altro principio se non al puro procedimento additivo che
mobili ta la massa dei fat t i , per riempire i l tempo omogeneo e
vuoto. “Meglio non si potrebbe caratterizzare i l metodo al quale
si contrappone i l metodo materialist ico”.78
A fondamento della storiografia materialist ica, infatt i , sta un
vero principio costrutt ivo, che ha come base la struttura
monadologica della storia, in forza della quale i l materialista
“fa saltare dal decorso omogeneo della storia un’epoca
determinata. Con ciò egli si distacca in modo inconfondibile
dallo storico universale, [poichè] i l suo oggetto [quello del
materialista storico] è monadologico”.79 A fondamento della
vera storia universale sta quel principio costrutt ivo che
consente di rappresentare questa storia nelle storie parziali .
Contro lo “storicismo [che] culmina, in l inea di diri t to, nel
concetto di una storia universale”, che fa muovere ciò che è
immobile, tende ad arrestare ciò che è in movimento, contro le
possibil i interpretazioni storicist iche o essenzialist iche della
dialett ica e del marxismo, Benjamin si appella al la “storiografia
material ist ica, che da questa [cioè dalla storia universale intesa
77 Walter Benjamin, Manoscritti Preparatori, Ms 1097 1-13, I 1230 78 Walter Benjamin, Manoscritti Preparatori, Ms 442 1-8, I 1248 79 Walter Benjamin, ibidem, Ms 450, I 1250s
in senso “reazionario”] , sotto i l profilo metodologico, si
distacca più nettamente che da ogni al tra; mentre lo storicismo
fa valere l’immagine eterna del passato, i l materialismo storico
fa valere una determinata esperienza del passato, e in ciò sta la
rottura del momento epico, “placidamente narrativo” dello
storicismo; in questa rottura vengono liberate tutte quelle
poderose energie che rimangono imbrigliate nel “c’era una
volta” dello storicismo. Il compito del materialista storico è
mettere in opera l’esperienza della storia, che “per ogni
presente è un’esperienza originaria”,80 nella misura in cui un
dato di fatto, in quanto causa-effetto, non si costi tuisce per
questo come dato storico, ma lo diventa postumamente, tramite
avvenimenti che possono esserne separati da millenni.
E’ solo lo storico che muove da questa considerazione che cessa
di lasciarsi scorrere tra le dita i l succedersi degli avvenimenti
come un rosario, che non stabilisce più un nesso causale tra i
diversi momenti della storia, come vuole fare quella
storiografia che è intenzionata a ricostruire la storia come
continuità degli eventi , ma che fa saltare fuori dalla continuità
degli eventi un particolare fatto storico, congiungendolo in tal
modo con il presente in una sorta di attualizzazione
messianica81 -e non attraverso la pura immedesimazione con
esso a prescindere dal momento attuale.
Esiste un punto preciso nell’immagine storicist ica della storia,
in cui i l material ismo storico si apre una breccia, e questo
punto è perfettamente sintetizzato in un detto di Gottfried
Keller: “La verità non ci potrà sfuggire”; e questo perchè è
un’immagine irrecuperabile del passato, che minaccia di svanire
con ogni presente che non abbia riconosciuto di essere chiamato
in causa da essa. “La lieta novella che lo storico reca col
batticuore al passato viene da una bocca che forse, già
80 Walter Benjamin, ibidem, Ms I 1244, II 481 14-15 81 Per lo svolgimento di tale concetto si rimanda al capitolo 2, paragrafo 1
nell’att imo in cui si apre, parla nel vuoto. La salvazione del
passato che viene compiuta dallo storico può essere messa in
opera solo come salvazione di qualcosa che è già
irrimediabilmente perduto nell’att imo seguente”.82
Proprio perchè i l metodo storiografico di cui Benjamin fa i l
puntello della sua analisi è un metodo che non vuole trovare
nessi causali tra i vari fenomeni ma che strappa gli eventi dal
loro contesto per ricongiungerli e legit t imarli nell’at tuali tà
dell’ora, esso di fatto cerca di individuare una connessione
espressiva nell’ambito di ogni manifestazione della realtà
umana; tale metodo si applica quindi anche alla nuova realtà
sociale, quella della grande metropoli , “delle prime architet ture
industriali , delle prime macchine, ma anche dei primi grandi
magazzini e delle prime reclames”.83
La prima tappa di questo cammino è quella di assumere i l
principio del montaggio nella storia, erigere le grandi
costruzioni sulla base di “minuscoli elementi ri tagliat i con
nettezza e precisione”84, e scoprire nell’analisi del piccolo
momento part icolare i l cristal lo dell’accadere totale. Ciò
implica la rottura con i l volgare naturalismo storico, poichè “la
ricerca deve appropriarsi del materiale nei particolari , deve
analizzare le sue differenti forme di sviluppo e deve
rintracciarne l’interno concatenamento. Solo dopo che è stato
compiuto questo lavoro, la vita materiale si presenta ora
idealmente riflessa come un a priori”.85 Il compito del cri t ico è
dunque collegarsi a qualunque forma della coscienza pratica e
teorica, recente e del passato remoto, e dalle forme proprie
della realtà esistente che si vanno rapidamente modificando
sviluppare la vera realtà come loro dovere e loro scopo finale.
82 Walter Benjamin, Manoscritti Preparatori, Ms 448, I 1247s 83 Walter Benjamin, Parigi..., op. cit., p. 595 N 1a, 7 84 Walter Benjamin, ibidem, p. 597, N 2, 6 85 K. Marx, Il Capitale, Roma, 1980, p. 45
Nè Bergson né Dilthey muovono, - nell’analisi che Benjamin
compie nel saggio su Baudelaire - , dalla vita dell’uomo in
società, ma si richiamano alla poesia, o meglio ancora alla
natura e al la fine, di preferenza, al l’epoca mitica; quindi
Benjamin sostiene che ciò che Dilthey nella sua ricerca di
un’esperienza autentica non coglie è che l’esperienza stessa
nella modernità “si è trasformata nella sua struttura”86. Nella
sua ricerca dell’esperienza egli , come Bergson, “respinge ogni
determinazione storica dell’esperienza . Con ciò egli evita
anzitutto ed essenzialmente di doversi avvicinare a
quell’esperienza da cui è sorta la sua stessa fi losofia, o contro
la quale, piuttosto, essa è stata mobili tata: che è quella osti le,
accecante, dell’epoca della grande industria”.87
E già qui si presenta l’enunciazione programmatica del percorso
di Benjamin che sempre si svolgerà in relazione ed opposizione
costrutt iva con i l progresso e la tecnica della società moderna e
che vaglierà la crisi e l’eclissi della nozione tradizionale di
esperienza nell’approfondimento di quelle l inee essenziali che
sono interne al mondo capitalist ico.
In questo senso Walter Benjamin ha scrit to che i l successo del
termine Erlebnis , che è i l termine introdotto da Dilthey per
designare l’esperienza , corrisponde al venire meno delle
condizioni storiche che rendevano possibile e ovvio pensare
al l’esperienza come Erfahrung- che è i l termine usato da Hegel
per designare la medesima.
Lo sl i t tamento tra i due termini che designano l’esperienza ,
trova la sua ragione nel processo storico cui è sottoposto
l’individuo borghese e che è da intendersi come crisi della
soggett ività e come rovina dell’esperienza intesa in senso
tradizionale. A partire da un certo momento, infatt i , le forme di
vita avevano perso la loro intimità e la loro semplicità e ciò
86 W. Benjamin, Di alcuni motivi in Baudelaire, in Angelus Novus, op. cit., p.88 87 W. Benjamin, ibidem, p. 88-89; i corsivi sono nostri
trova riscontro in una borghesia che ha perduto tutt i i suoi gesti
e la consapevolezza di questi . Un’epoca che ha perduto i suoi
gesti è, per ciò stesso, da essi ossessionata, per gli uomini cui
ogni naturalezza è stata sottratta, ogni gesto diventa una ricerca
infinita. E quanto più i gesti perdono la loro disinvoltura sotto
l’azione di potenze invisibil i ; tanto più la vita diventa
indecifrabile, f ino al punto in cui, quando i gesti più semplici e
quotidiani divennero estranei come la geticolazione di
marionette, al lora l’umanità - cui la propria stessa esistenza
corporea era oramai divenuta sacra nella misura in cui si era
fatta impenetrabile - fu pronta per i l massacro.
E’ in questa fase che la borghesia, che pochi decenni prima era
ancora saldamente in possesso dei suoi simboli , cade vit t ima
dell’interiori tà e si consegna alla psicologia. Nietzsche è i l
punto in cui, nella cultura europea, questa tensione polare da
una parte verso lo scancellamento e la perdita del gesto, e
dal’altra, verso la sua trasfigurazione in un fato raggiunge i l
suo culmine. Poichè solo come un gesto in cui potenza e atto,
naturalezza e materia, contingenza e necessità diventano
inscindibil i , è intellegibile i l pensiero dell’eterno ri torno, in cui
tutto rimane uguale ma nella perdita di identi tà88. Così parlò
Zarathustra di Nietzsche rappresenta i l balletto di una umanità
che ha perduto i suoi gesti , e per la quale l ’esperienza
t radizionale è sosti tuita da quella che ha solo la parvenza di
un’esperienza ; ed ecco che “dalla fine del secolo scorso, la 88 Si noti come la Commedia dell’arte conosceva dei canovacci, istruzioni destinate agli attori, perchè ponessero in essere delle situazioni in cui un gesto umano sottratto alle potenze del mito e del destino poteva finalmente avvenire. Non si comprende nulla della maschera comica se la si intende semplicemente come un personaggio depotenziato e indeterminato. Le maschere sono non personaggi ma gesti figurati in un tipo, costellazioni di gesti. Nella situazione in atto, la distruzione dell’identità della parte va di pari passo con la distruzione dell’identità dell’attore. Fra testo ed esecuzione si insinua la maschera come misto indistinguibile di potenza ed atto, e ciò che avviene sulla scena non è l’attuazione di una potenza, ma la liberazione di una potenza ulteriore, e il gesto è il punto di incrocio di potenza ed atto, di generale e particolare, di testo ed esecuzione. E’ un pezzo di vita sottratto al contesto della biografia individuale e un pezzo di arte sottratto alla neutralità estetica: prassi
fi losofia ha compiuto una serie di tentativi per impossessarsi
della “vera” esperienza , in contrasto con quella che si deposita
nella vita regolata e denaturata delle masse civil izzate”89,
guidate da meccanismi oscuri e anonimi che espongono la
società al r ischio del conformismo che sempre più è in procinto
di sopraffarla. Sempre più finiscono col prevalere in esse ist inti
gregari , che sosti tuiscono e pervertono la continuità della
tradizione, ne fondano una nuova forma di apparenza: “Uno
strano paradosso: la gente, quando agisce, pensa solo al più
gretto interesse personale, ma al tempo stesso è più che mai
condizionata nel suo comportamento dagli ist inti della massa. E
ora più che mai gli ist inti della massa sono divenuti insensati
ed estranei al la vita” 90; così nei grandiosi dipinti di Ensor è
magistralmente rappresentata questa teoria di personaggi, i
borghesucci mascherati carnevalescamente, che si rotolano per
le strade delle grandi ci t tà, in una immagine di orrenda e
caotica renaissance che è in realtà i l sintomo più macroscopico
del totale impoverirsi dell’esperienza ; l ’estraneità al la vita
dell’ist into della massa ha piegato lo stesso patrimonio dei
modi di dire della borghesia ad un l ivello estremo di volgarità e
stupidità, la crisi , la rovina, la perdita non si sono concretizzate
nell’accettazione di un contraccolpo epocale, sicchè lo smarri to
aggrapparsi ai miti di sicurezza e possesso dei decenni passati
impedisce all’uomo medio di cogliere i notevolissimi e del tutto
nuovi elementi di stabil i tà che stanno alla base della si tuazione
del suo tempo. “Soltanto un calcolo che accetta di trovare nel
declino la sola ratio dell’attuale congiuntura potrebbe,
abbandonando la snervante meraviglia per quanto
quotidianamente si r ipete, accogliere i fenomeni di decadimento
pura. Non è valore d’uso e nemmeno di scambio, è il rovesciamento della merce, che lascia precipitare nella situazione i cristalli di questa comune sostanza sociale. 89 W. Benjamin, ibidem, p. 88 90 W. Benjamin, Viaggio attraverso l’inflazione tedesca, in Strada a senso unico, Torino, 1983, pp. 15, 16
come il puro e semplice dato stabile, e solo un segno di
salvezza come qualcosa di straordinario, ai l imiti del portentoso
e dell’incredibile”.91
Se la soggett ivi tà realizzata e l’esperienza autentica hanno
significato sempre un legame saturo di r icordo biografico e di
memoria collett iva e i l succedersi delle generazioni era involto
e legato nella tradizione, ora si assiste ad una rovina dell’idea
di esperienza t radizionale intesa come dote che sedimenta nel
corso della vita, e i cui portatori erano per eccellenza i vecchi.
Una volta erano gli anziani che trasmettevano ai giovani la
fiaccola dell’esperienza ; al lorchè l’esperienza della vita era
così ristret ta da potere essere tesaurizzata con l’età, i vecchi, i
sapienti per eccellenza, potevano weberianamente morire sazi
della vita: “nei nostri l ibri di let tura c’era la favola del vecchio
che, sul let to di morte, dà ad intendere ai figli che nella sua
vigna è nascosto un tesoro.. .scavarono, ma del tesoro nessuna
traccia. Quando però giunge l’inverno, la vigna rende come
nessuna altra nell’intera regione. I f igli si rendono allora conto
che i l padre aveva lasciato loro un’esperienza : non nell’oro sta
la fortuna, ma nell’operosità. Si sapeva anche con precisione
cosa fosse esperienza : sempre le persone più anziane l’avevano
comunicata ai più giovani. Concisamente, con l’autorità della
vecchiaia, nei proverbi; prolissamente, con la sua loquacità, nei
racconti . . .ma dove è andato a finire tutto questo? Dove oggi i
moribondi pronunciano parole ancora così durevoli , da
tramandarsi , come un anello, di generazione in generazione?
. . .Chi vorrà mai anche solo tentare di cavarsela con la gioventù,
r imandando alla propria esperienza”.92 Oramai la discontinuità
storica, la rapidità delle trasformazioni, i l fossato che si
produce tra le generazioni è troppo profondo perchè
l’esperienza possa rimanere un fatto di tradizione sedimentata
91 W. Benjamin, ibidem, pp. 14, 15 92 W. Benjamin, Esperienza e povertà, op. cit., p. 203
nella memoria collet t iva. L’Erfahrung infatt i , cioè l’esperienza
t radizionalmente intesa, è possibile solo quando esiste
un’esperienza accumulabile, che si sedimenta con il tempo, che
lenisce i l viaggio della vita - l’aggettivo tedesco erfahren,
esperto, indica l’uomo che ha viaggiato e che perciò ha
acquistato una conoscenza diretta delle cose della vita ed è
diventato capace -; la nozione di erfahren implica sia un certo
movimento che i l suo “resultato”, un processo che si dilata nel
tempo, un processo in cui la memoria è att iva come facoltà di
connettere i diversi vissuti in un plesso dotato di senso.
L’esperienza (Erfahrung) non si confonde in Benjamin con
l’esperienza vissuta (Erlebnis) [Benjamin per intendere
l’esperienza usa i l termine tradizionale Erfahrung] ; mentre la
prima è un tratto culturale radicato nella tradizione e dunque in
un fatto collett ivo, la seconda si colloca ad un l ivello
psicologico immediato, che non ha affatto lo stesso significato.
L’esperienza nel senso di processo di sedimentazione in cui la
memoria è att iva nella riconnessione dei vissuti in una struttura
dotata di senso, è richiamata in un passo delle Confessioni di
un oppiomane in cui De Quincey scrive che “in un istante, in un
batter di palpebra, ogni atto, ogni svolgimento della sua vita
passata rivisse, presentandosi non come una successione, ma
come parte di una coesistenza. Quella luce cadde sull’intero
cammino della sua vita, giù giù fino alle ombre dell’infanzia,
come la luce forse, che avvolse l’apostolo predestinato sulla via
di Damasco. Pure quella luce lo accecò per un certo tempo;
mentre la sua le trasfuse una sovrumana facoltà visiva e la sua
coscienza divenne in un unico istante onnipresente ad ogni
l ineamento di quella infinita rassegna”.93
L’Erlebnis di contro non è i l vissuto nel senso della profondità
del senso e delle risonanze di un evento nel soggetto: al
93 T. de Quincey, Confessioni di un oppiomane, Milano, 1979, p. 118
contrario è i l vivere un evento esclusivamente al l ivello
dell’attenzione consapevole.
In questo senso i l concetto di Erfahrung è più selett ivo di
quello di Erlebnis : l ’esperienza come Erfahrung ha bisogno di
tempo, di una durata, non è l’esperienza puntuale, ciò che
vividamente si impone alla coscienza, ma piuttosto i l
sedimentare di contenuti nella memoria e i l loro ri tornare come
autocoscienza. L’Erlebnis è esperienza nel senso di un dato
della coscienza: in essa i l mondo non è affrontato, ma risolto in
una evidenza puntuale; attraverso i l suo concetto ciò che si
coglie è l’ interiorizzazione del mondo all’interno di una
coscienza, non il processo di trasformazione del mondo e di se
stessi nella prassi , accolto nella nozione di Erfahrung ;
l ’Erfahrung è esercizio, acquisizione, capacità di elaborazione
e da circa cento anni si assiste, per Benjamin, ad una perdita di
coscienza storica e ad una caduta dell’esperienza come è qui
intesa.
Il testo in cui i l motivo del venire meno dell’esperienza è più
esplici to è i l saggio Di alcuni motivi in Baudelaire , dove si
parla dell’esperienza -Erfahrung- come di “un fatto di
tradizione, nella vita privata come in quella collett iva. Essa non
consiste tanto di singoli eventi esattamente fissati nel r icordo,
quanto di dati accumulati , spesso inconsapevolmente, che
confluiscono nella memoria”.94 “La memoire involontaire è
connessa all’Esperienza (Erfahrung) non all’esperire immediato
(Erlebnis) (Freud!)”. 95 L’esperienza intesa come Erfahrung è
dunque una sintesi: è un passato sintetizzato e reso disponibile
per i l presente, come una tradizione. Ma questa sintesi non è i l
prodotto esclusivo del singolo individuo: “dove c’è esperienza
nel senso proprio del termine, determinati contenuti del passato
94 W. Benjamin, Di alcuni motivi in Baudelaire, in op. cit., p. 88 95 W. Benjamin, Manoscritti Preparatori, Ms 1093r, 11, 15 32-34 I 1183
individuale entrano in congiunzione, nella memoria, con quell i
del passato collett ivo”.96
Ma è proprio la possibil i tà di connettere i vissuti in un insieme
continuo e significativo per i l soggetto, che è posta in crisi per
prima dal procedere della modernità.
Se ciò che scompare, come mostra Benjamin, è l’Erfahrung ,
quella che scompare è l’esperienza nel senso in cui si può dire
di un uomo che ha esperienza . Ciò è vero perchè avere
esperienza significa innanzitutto “sapere come andranno a
finire le cose”; ma nella continuità e velocità delle
modificazioni che investono l’ambiente sociale in cui gli
uomini trascorrono la propria vita l’esperienza che è patrimonio
degli anziani è costantemente messa fuori gioco dal mutare
delle condizioni: nessuno può più legit t imamente sapere come
vanno a finire le cose, perchè le cose in questione non sono più
le stesse. Se l’ambiente sociale, poli t ico ed ecomomico muta
incessantemente, sono lo stesso consolidamento e la stessa
legit t imità di un sapere tradizionale ad andare in frantumi. Nei
contesti dove i l mutamento è più rapido, questo processo non
mette in discussione solo i l legame tra le generazioni e la
possibil i tà della trasmissione di una esperienza , ma la stessa
possibil i tà di sedimentare un sapere valido una volta per tutte
nel corso di una vita. E’ i l valore stesso dell’esperienza che
decade: “le azioni dell’esperienza sono cadute, e si direbbe che
continuino a cadere senza fondo”.97
La riduzione del singolo ad una sorta di afasia98, nella misura in
cui comporta una separazione dei vissuti dalla possibil i tà di un
accesso cosciente al le loro tracce mnestiche mediato dal ricorso
a rappresentazioni culturali condivise depositate in una
96 W. Benjamin, Di alcuni motivi in Baudelaire, op. cit., p. 88 97 W. Benjamin, Esperienza e povertà, in op. cit., p. 98 A questo proposito una trattazione che partendo da un punto di vista differente giunge tuttavia a posizioni molto simili a quelle benjaminiane è rappresentata dallo scritto di Roman Jacobson intitolata Il farsi e il disfarsi del linguaggio, Torino, 1971
memoria collett iva, è i l tema conduttore sviluppato nelle prime
pagine del saggio sul Narratore, dove si evidenzia molto bene i l
tema della degradazione o della perdita dell’esperienza prodotta
dall’età moderna - idea questa che appare molto presto negli
scri t t i di Benjamin; già in Sul programma della f i losofia futura
(1917) si parla già del “carattere mediocre e piatto
dell’esperienza” proprio dell’epoca dei lumi e, più in generale
dei tempi moderni, carattere mediocre posto in connessione con
la decadenza dell’arte del narrare e con la perdita della l ibertà
della conversazione, associata alla modificazione delle
condizioni di vita da un registro t ipicamente rurale ad uno
metropolitano. Se prima, tra persone che conversavano, era
ovvio interessarsi dell’interlocutore, ora questo interesse è
sosti tuito dalle domande sul prezzo delle sue scarpe o del suo
ombrello; inevitabilmente si insinua in ogni discorso i l tema
delle condizioni di vita, dei soldi. E in primo piano non stanno
tanto i crucci, i disagi del singolo, dove forse gli interlocutori
potrebbero aiutarsi a vicenda, quanto la disamina dell’insieme.
“E’ come se si fosse prigionieri in un teatro e si dovesse
seguire, volenti o nolenti , lo spettacolo che viene rappresentato,
volenti o nolenti se ne dovesse fare l’oggetto di pensieri e
parole”.99 Il rapporto di partecipazione tradizionalmente inteso
tra narratore e ascoltatore è ben chiari to ne Il viaggiatore
incantato di Nikolaj Ljeskòv: “Ah, signori , quando si r icordano
queste cose dell’infanzia, e si impadroniscono dell’anima,
allora vien persino male al fegato, a pensare dove si è andati a
finire. . . Il narratore tacque e chinò il capo. Nessuno lo disturbò;
tutt i , sembrava, erano penetrati dal rispetto per i l dolore
ridestato da quegli ult imi ricordi. . .”100
L’elemento che Benjamin sottolinea con part icolare forza nel
saggio sul Narratore è l’ incapacità dell’uomo moderno,
99 W. Benjamin, Viaggio all’interno..., op. cit., p. 18 100 Nikolàj Ljeskòv, Il Viaggiatore incantato, Milano, 1965, pp. 112-113
espropriato della esperienza e del suo stesso contenuto, di fare
e trasmettere esperienza ; infatt i “l’arte epica di narrare volge al
tramonto perchè i l lato epico della verità viene meno.”101
Mentre infatt i nella cultura tradizionale i l quotidiano costi tuiva
la materia prima dell’esperienza che ogni generazione
trasmetteva alla successiva - giacchè l’esperienza ha i l suo
necessario correlato non nella conoscenza ma nella autorità,
cioè nella parola e nel racconto - nel mondo moderno ogni
autorità ha i l suo fondamento nell’inesperibile; la dimensione
dell’uomo moderno che è quella che Heidegger chiamava
improprietà, Uneigentlichkeit102, non convive più semplicemente
con l’essere-proprio, Eigentl ich , dell’uomo, ma resasi
autonoma, si è sosti tuita interamente ad esso rendendolo
impossibile; ciò significa che i l capitalismo non era rivolto solo
all’espropriazione dell’att ività produttiva, ma anche e
soprattutto all’al ienazione del l inguaggio stesso, della stessa
natura l inguistica o comunicativa dell’uomo, di quel Logos in
cui un frammento di Eracli to identifica i l “comune”.
I proverbi e le massime tradizionali lasciano i l posto allo
slogan, che è la nuova forma di comunicazione nel suo carattere
sensazionalist ico e al la réclame che è i l segno di come
l’ambiente oggett ivo degli uomini assume sempre più
apertamente la fisionomia della merce.
La produzione letteraria di Nikolàj Ljeskòv, cui appunto è
dedicato i l saggio sul Narratore, si svolge all’insegna della
comunicabil i tà dell’esperienza , della trasmissione di saggezza
vissuta attraverso lo strumento orale della narrazione,poichè “il
patrimonio dell’epica è ciò che si lascia tramandare
oralmente”.103 In tutt i i suoi racconti c’è sempre un narratore
che, per avere diret tamente vissuto la storia o per averla a sua
101 W. Benjamin, Il narratore, in Angelus Novus, op. cit., p. 251 102 Martin Heidegger, Essere e Tempo, paragrafi 25-38 103 W. Benjamin, Il Narratore, op. cit., p. 251
volta ricevuta in dono da altri , la tramanda all’interlocutore, la
ripone nella sua memoria perchè essa possa divenire fonte cui
at t ingere le preziose esperienze vissute da altri uomini. La
narrazione è una forma in qualche modo artigianale di
comunicazione che non mira a trasmettere i l puro in sé
dell’accaduto, come un’informazione o un rapporto; ma cala i l
fat to nella vita del relatore e torna ad att ingerlo da essa; in
questo senso la narrazione è una lavorazione di cui può dare
forse la migliore idea i l proverbio, se lo si considera come
“ideogramma di un racconto”. Si potrebbe dire che “i proverbi
sono rovine che stanno al posto di antiche storie, e in cui, come
l’edera intorno a un resto di muro, una morale si avvolge
intorno ad un gesto”.104 Nel Viaggiatore incantato del narratore
Ivan Severjanyc si dice: “eppure, nonstante questo aspetto
bonario, occorreva un certo spiri to d’osservazione per avvertire
in lui un uomo che aveva visto molte cose e aveva, come si
dice, un passato”105 ; e di lui si può certamente dire che ha
vissuto giacchè la sua biografia è fat ta di “passare di prova in
prova” come è giusto che sia dell’esperienza . 106 Qui si ri trova
nella figura di Ivan l’uomo che sa orientarsi sulla terra senza
impegnarsi troppo a fondo in essa; questo è un tratto
caratterist ico della narrazione, “che implica, apertamente o
meno, un vantaggio. Tale uti le può consistere una volta in una
morale, un’altra in una istruzione di carattere pratico, una terza
in un proverbio o in una norma di vita: in ogni caso i l narratore
è persona di consiglio per chi lo ascolta”.107
Così sempre ogni singolo racconto è inserito in un contesto
temporale, che può essere ricondotto al corso della storia
naturale o al piano divino, in modo tale che comunque al
racconto giunga la legit t imazione della realtà vissuta. Che i l 104 W. Benjamin, ibidem, p. 257 105 N. Ljeskòv, op. cit., p. 35 106 N. Ljeskòv, ibidem, p. 59
corso del mondo sia determinato dalla provvidenza o puramente
naturale, comunque è fuori dalle categorie storiche, nella
misura in cui i l narratore rimane fedele alla “poesia ingenua”,
ad una età del mondo che non esiste più, e i l suo occhio non si
stacca dal quadrante davanti a cui , secondo i casi , la morte è i l
primo della fi la o l’ult ima ad arrivare. I racconti di Leskov
infatt i si concludono o traggono linfa dalla morte del
personaggio cardine o di una comparsa che avvia la narrazione:
l’autori tà dell’esperienza t rova la sua ragione nella morte, che
come naturale compimento della vita e quindi della biografia
umana, suggella ogni singolo momento di questa e la consegna
in eredità ai posteri; in tal modo la storia che si vuole narrare
contiene in sé perfettamente conclusa l’esperienza e la saggezza
che questa trasporta. La nit idezza dell’intento della narrazione
si traduce sempre in un tratto particolare della prosa, scarna,
asciutta, ma al contempo chiarificatrice e luminosa come un
lampo nel cielo buio; la sua essenziali tà racchiude in sé
implicitamente la purezza del segno, la forza di evidenza e di
maestosità che i l già vissuto consente di donare alla prosa.
D’altronde l’avarizia di particolari è un tratto della narrazione,
che vuole lasciare aperte per chi ascolta infinite possibil i tà
interpretative, senza ridurle al la certezza lapidaria
dell’informazione giornalistica, nemica acerrima, ancora più del
romanzo, della narrazione. Se la narrazione ama il
meraviglioso, “la notizia che viene da lontano, che sia la
distanza spaziale di paesi stranieri o quella temporale della
tradizione”108, nasce spesso dalla tradizione popolare o dai
viaggi, e quindi apre spazio e possibil i tà al l’immaginazione, la
notizia giornalist ica inquadra perfettamente l’avvenimento, e
giungendo anche dall’altra parte del mondo, toglie all’evento
l’aura di mistero e di esotismo che spesso invece avvolge la
107 W. Benjamin, Il narratore, op. cit., p. 250 108 W. Benjamin, ibidem, p. 253
narrazione. E infatt i è già la “metà dell’arte del narrare lasciare
l ibera la storia, nell’atto di r iprodurla, da ogni sorta di
spiegazioni. In ciò Ljeskòv è un maestro [ . . . ] Il nesso
psicologico degli eventi non è imposto al lettore, che rimane
l ibero di interpretare la cosa come preferisce; e con ciò i l
narrato acquista un’ampiezza di vibrazioni che manca
all’informazione”109; tutto questo perchè nel narratore si sono
conservati “in forma diversa, e per così dire secolarizzara”110 i
caratteri del cronista, -che è “il narratore della storia”- i l quale,
ponendo alla base della narrazione storica i l piano
imperscrutabile della salvezza divina, evita in anticipo di
dovere dare una spiegazione dimostrabile, compito dello
storico. Al posto della spiegazione dimostrabile subentra
l’interpretazione, “che si occupa non dell’esatta concatenazione
di determinati eventi , ma del modo in cui si inseriscono nel
grande e imperscrutabile corso del mondo”.111
E una storia rimarrà impressa nella memoria dell’ascoltatore
tanto più quanto minore sarà l’analisi psicologica, poichè non
c’è nulla che assicuri più efficacemente le storie al la memoria
di quella “casta concisione” che le sottrae al l’analisi
psicologica. E quanto più chi le narra rinuncia al chiaroscuro
psicologico, tanto maggiore sarà i l loro diri t to ad un posto nella
memoria di chi le ascolta e tanto più completamente si
assimilano alla sua esperienza sicchè l’ascoltatore volentieri
tornerà egli stesso a narrarle. Questo processo di assimilazione,
che si svolge nel profondo, richiede uno stato di distensione che
diventa sempre più raro. Se i l “sonno è i l culmine della
distensione fisica, la noia è quello della distensione spiri tuale.
La noia è l’uccello incantato che cova l’uovo dell’esperienza . . .
I suoi nidi, le att ività intimamente collegate alla noia, sono già
109 W. Benjamin, ibidem 110 W. Benjamin, ibidem, p. 260 111 W. Benjamin, ibidem
scomparsi nelle cit tà, e decadono anche nelle campagne. Così si
perde la facoltà di ascoltare, e svanisce la comunità degli
ascoltatori . . . L’arte di narrare storie si perde, poichè non si
tesse e non si f i la più ascoltandole. . .Quanto più dimentico di sé
è l’ascoltatore, tanto più a fondo si imprime in lui ciò che
ascolta.”112
La “casta concisione” comporta che le descrizioni
paesaggistiche non siano troppo cariche, “là nella steppa dove
lo sparto è folto, è pur sempre più allegro: almeno qua e là per i
valloni spicca la salvia con le sue foglie cangianti , e i l t imo e
l’assenzio rompono quel biancore; e invece l ì sempre quello
scinti l l io. . .Nella steppa, quando l’erba s’incendia in qualche
punto, ogni cosa si agita: si levano a volo ottarde e beccacce e
chiurli della steppa . . .”113, e che neanche le descrizioni fisiche
siano particolarmente ridondanti . Ancora nel Viaggiatore
incantato , Ivan viene presentato come “un uomo immenso, con
una faccia bruna e aperta e con capelli f i t t i e lanosi color
bronzo: tale era lo strano riflesso dei suoi capelli brizzolati [ . . . ]
Ma era nel vero senso della parola un cavaliere antico, un
t ipico, bonario cavaliere dell’epopea russa, che ricordava il
vecchio Il i ja Muromez [eroe di antichi canti popolari russi] nel
quadro bell issimo di Vereshiaghin o nel poema di Alessandro
Tolstoj”.114 Non solo nel tratto rapido è contenuto spessore,
sapidità, risalto immediato della figura che pare sbalzata sulla
pagina, ma c’è anche i l r ichiamo, peraltro continuo in Ljeskòv,
alla Russia popolare dei canti e delle fiabe, alla Russia arcaica
della tradizione, elementi che in Benjamin ricoprono una
posizione non certamente marginale, giacchè è nell’arcaico che
si trovano i semi del futuro “ancorchè privi di sapore”; la
l ingua stessa di Ljeskòv spesso si appoggia alla cultura
112 W. Benjamin, ibidem, p. 255 113 N. Ljeskòv, op. cit., p. 110 114 N. Ljeskòv, ibidem, p. 35
semplice del popolo (skaz) per creare immagini di forte risalto e
potenza espressiva.
La dutti l i l tà del l inguaggio di Ljeskòv, la sua energia
descrit t iva sono tali che i singoli particolari spesso assumono
un’evidenza iperreale come nel racconto Il mancino -storia del
fabbro di Tula incaricato dall’imperatore Nicola I di rendere
ancora più strabiliante una piccola pulce d’acciaio brunito
inglese, dotata nel suo interno di un meccanismo a molla, che,
caricato con sette giri di chiave, la faceva ballare - quando si
presenta la fi lastrocca di oggetti in cui è contenuta la pulce: i l
diamante, la tabacchiera d’oro, lo scrignetto di madreperla, i l
panno verde, o i l pugno di Platov, cosacco al servizio del re,
“così terribile nocchiuto e tutto ricoperto di cicatrici , at taccato
al resto Dio sa come”. 115
In questo racconto è contenuta l’idea della narrazione come un
mestiere art igianale fatto di strati sovrapposti ed elaborati come
gli oggetti art igianali , forgiati con pazienza eterna; così sono i
minuti ferri messi al la pulce inglese, la meraviglia aggiunta al la
meraviglia, e per i quali i l fabbro di Tula aveva costruito e
ribattuto i chiodini tanto piccoli da dovere essere osservati con
il microscopio, e che susciteranno lo stupore dell’imperatore: “i
maestri di Tula avevano compiuto un’opera strabil iante. . .Platov
strappò via la fodera verde, aprì lo scrignetto, t irò fuori
dall’ovatta la tabacchiera d’oro e dalla tabacchiera d’oro la
nocciola di diamante e vide: la pulce inglese giaceva là, [nella
nocciola di diamante]e c’era anche la chiave nella nocciola per
i l meccanismo nel pancino.. . girarono la pulce [sulla pancia] e
l’ imperatore com’ebbe guardato nel vetro del microscopio
subito divenne raggiante e disse: lo sapevo che i miei russi non
mi avrebbero tradito. Guardate, per favore: questi briganti [gli
art igiani] hanno messo i ferri alla pulce inglese!”.116 L’arte del
115 N. Ljeskòv, Il mancino, Livorno, 1990, p. 39 116 N. Ljeskòv, ibidem, pp. 37-47
fabbro e l’arte della narrazione nascono da quella sfera
artigianale tracciata in modo estremamente profondo nelle
parole di Valéry, r iportate da Benjamin nel saggio sul narratore.
Valéry parla delle cose perfette della natura, “perle immacolate,
vini pieni e maturi , creazioni veramente compiute” che chiama
“l’opera preziosa di una lunga serie di cause l’una simile
all’altra”. L’uomo un tempo imitava questo paziente operare
della natura producendo miniature, avori profondamente
intagliat i , pietre dure levigate e scolpite, smalti e pit ture
ottenute dalla sovrapposizione di una serie di strati sott i l i e
trasparenti; ma tutte queste produzioni di una fatica industriosa
e tenace sono praticamente scomparse, ed “è finito i l tempo in
cui i l tempo non contava più. L’uomo odierno non coltiva più
ciò che non si può semplificare ed abbreviare”117, e quindi
neanche la narrazione che nasce dalla sovrapposizione di strati
sott i l i e trasparenti ha più ragione d’essere, quella narrazione in
cui le figure come quella del fabbro di Tula sono fatte mito
personificato dalla fantasia del popolo e in cui si r icostruisce
con assoluta fedeltà lo spiri to di un’epoca, tramandabile, come
in un racconto epico, alle generazioni a venire.
“E’ come se i l venir meno negli spiri t i dell’idea di eternità
coincidesse con la crescente avversione per i lavori lunghi e
pazienti”118; i l venire meno dell’idea dell’eternità corrisponde
ad un occultamento della morte, e quindi anche ad una
decadenza della narrazione che dalla morte trae la sua
autorevolezza.
I luoghi meravigliosi in cui Ljeskòv ci conduce con la sua
narrazione sono quelli della Russia dei poveri , dei servi della
gleba, religiosi e pii di una pietas naturale che nulla ha di
mistico, e che conquistano la loro santità con l’esperienza
pratica e quotidiana delle cose della vita; i personaggi sono
117 W. Benjamin, Il Narratore, in op. cit., pp. 256, 257 118 W. Benjamin, ibidem, p. 257
portatori di una saggezza popolare e di tradizioni che si
oppongono alla scienza -“su questo -disse- non c’è che dire, noi
alle scienze non ci siamo accostati , ma siamo lealmente fedeli
al la patria nostra”119- di una scienza popolare per un’arte
popolare - “la nostra scienza è semplice: i l Salterio e i l Libro
dei sogni, ma di ari tmetica non ne sappiamo niente”120 - , di un
sentimento forte verso la Russia, le sue tradizoni e la sua
religione: “. . . la nostra fede russa è la più giusta e come
credettero i nostri averi , così anche devono credere i nipoti”.121
Così i l fabbro di Tula del racconto Il Mancino incarna questo
spiri to pratico ed insieme fortemente religioso, arguto e saggio,
che morirà come un santo eroe per la sua patria esalando, come
ult ime parole, istruzioni precise sulla puli tura delle canne dei
fucil i al punto che “se a tempo debito le parole del mancino
fossero state riportate al l’imperatore la guerra in Crimea
avrebbe avuto tutto un altro andamento”122. E Platov, incarna
invece la Russia della vodka e del tabacco, dei cosacchi del
placido Don, fortemente attaccatt i alla loro terra; uomo pratico,
come pratici ed osservatori sono tutt i questi personaggi, che
registrano fedelmente gli avvenimenti perchè diventino
materiale ed esperienza per al tri .
La pietà di Ljeskòv per le sue creature - che è devota
partecipazione alla vicenda secolare del suo popolo - è in
opposizione alla supremazia della nobiltà, alla lentezza della
burocrazia, alla corruzione del clero. Così Ivan del Viaggiatore
incantato è un servo figlio di servi -e qui si definisce la rigidità
sociale della Russia- ma al tempo stesso un giusto, un pio, un
ortodosso fedele -notiamo che Ljeskòv sosteneva la chiesa
ortodossa, e la sua at tenzione per l’elemento fiabesco e
popolare contribuiscono a rafforzare questo aspetto; in 119 N. Ljeskòv, Il Mancino, in op. cit., p. 56 120 N. Ljeskòv, ibidem, p. 55 121 N. Ljeskòv, ibidem, p. 57
particolare nel Viaggiatore incantato Ljeskòv fa sostenere a
Ivan la dottrina origeniana dell’apocatastasi rifiutata dalla
chiesa romana, secondo cui l’accesso al Paradiso è consentito a
tutte le anime: “Non accetto quello che dite, che non si perdona
nell’altro mondo ai suicidi. E che nessuno preghi per loro, son
pure storie”. 123
L’artista del toupet e Il Viaggiatore incantato r icostruiscono la
vicenda di un uomo che con le sue azioni quotidiane si è
conquistato i l diri t to ad essere annoverato tra i giusti .
Emblematica è la presentazione dell’artista del toupet -servo di
un nobile signore di Orel , incaricato di pett inare i l conte e di
acconciare e truccare gli at tori della sua compagnia teatrale-
“vit t ima della massa irrispettosa della l ibera creatività”124,
affermazione programmatica e paradigmatica della funzione
della narrazione. L’artista, essere quasi superiore, “uomo con
delle idee”, trucca i servi della gleba, gli at tori del Conte,
trasforma in splendore ciò che è abbrutti to dalla diseguaglianza
tra gli uomini; come giustamente nota Benjamin “l’idea della
prosa coincide con l’idea messianica della storia universale
(Ljeskòv)”. 125
Sono i vinti che si trasformeranno in vincitori per rif luidificare
nella memoria collet t iva l’esperienza che hanno sedimentato e
che continuano incessantemente a sedimentare, di contro ai
nobil i incapaci persino di tenere a posto i propri capell i . Nello
stupore dell’arte nobile si cela l’altrettanto grande nobiltà di un
giovane sensibile e coraggioso che a diri t to entrerà nell’olimpo
dei giusti in cui i l narratore stesso si identifica, giacchè egli ,
come un saggio, ha consiglio, poichè gli è dato riferirsi ad una
intera vita che comprende, in sé, non solo la propria esperienza ,
ma non poca di quella degli altr i . 122 N. Ljeskòv, ibidem, p. 72 123 N. Ljeskòv, Il Viaggiatore incantato, op. cit., p. 36 124 N. Ljeskòv, L’artista del toupet, Palermo, 1992, p. 14
Tutti i personaggi “buoni” trasportano con sé una caratterist ica
importante, quella dell’esperienza pratica, della memoria, - e
la memoria (Gedachtnis) è la facoltà epica per eccellenza, è ciò
che consente al l’ascoltatore disinteressato di conservare ciò che
è narrato. Ciò che fonda la catena della tradizione, che
tramanda l’accaduto è i l r icordo (Erinnerung), che è l’elemento
musale dell’epica in senso lato- della saggezza di vita vissuta,
importante per potere trasmettere ad altri la propria esperienza
pratica o quella sedimentata nel corso della vita collet t iva;
l’uomo del popolo trascina con sé la saggezza del popolo
semplice: “. . .non tradire mai la gente semplice:perchè la gente
semplice, bisogna averne riguardo, la gente semplice patisce
sempre”126; r imane qui quella sorta di utopia messianica che
Benjamin ha voluto scorgervi.
Per tornare alla questione della perdita dell’esperienza in
relazione ai processi caratterist ici della modernità, la
modificazione delle condizioni di vita dell’uomo della
metropoli , l ’impossibil i tà di sedimentare i vissuti in una
memoria collett iva, comportano, come tratto essenziale delle
culture delle società moderne la consapevolezza della relatività
di tutt i i costumi, di tutt i i valori , di ogni spiegazione del
mondo, a meno di non interpretarli nella loro reale storia, e cioè
quella del materialismo storico. Non si trat ta solo del fat to che
i l progresso sposta continuamente i confini di ciò che è noto e
di ciò che è ignoto, facendo mutare le condizioni di esistenza,
le regole sociali ,e le spiegazioni dei fenomeni. Si trat ta del
fatto che è parte integrante della condizione moderna la nozione
che i l mondo può essere compreso in una plurali tà di modi, non
solo per la consapevolezza dell’esistenza di molte tradizioni,
ma per la stessa moltiplicazione dei l inguaggi e delle teorie
disponibil i .
125 W. Benjamin, Manoscritti Preparatori, Ms 484, 19-20, I 1234 126 N. Ljeskòv, L’artista del toupet, op. cit., p. 49
“L’uomo senza qualità” è essenzialmente l’uomo delle
possibil i tà: per lui nulla è saldo, cioè nulla può essere descrit to
o spiegato in un solo modo. La scoperta dell’uomo senza qualità
è che i l vero sé è una i l lusione ott ica; piuttosto i l sé è un
interminabile oggetto di r if lessione. Al di fuori di una relazione
con i l mondo e con gli al tr i , esso sfugge ad ogni
determinazione.
La nozione di modernità nasce in riferimento alla nozione di
una accelerazione del tempo senza precedenti , tale per cui i l
valore di ogni tradizione si r iduce proporzionalmente allo
scacco di ogni aspettativa fondata sul passato. In questo senso
Benjamin, at traverso Baudelaire, è sensibile innanzitutto al
carattere della modernità per cui questa promuove atteggiamenti
affini al lo spiri to dell’allegoria. La propensione allegorica di
Baudelaire è probabilmente i l trat to della sua poesia che per
primo ha affascinato Benjamin (a questo proposito è assai
significativa ed esplicativa la sezione dedicata a Baudelaire nel
volume su Parigi , capitale del XIX secolo). Se l’atteggiamento
melanconico di chi è sensibile al l’al legoria coglie in ogni figura
ciò che è già rovina nel nuovo, ciò che è eterno nell’effimero -
“l’allegoria è più tenacemente radicata là dove la caducità e
l’eternità si scontrano direttamente” 127- si mostra come
allegoria permanente: che cos’è la modernità? Essa è ciò che vi
è di poetico nello storico e di eterno nel transitorio, cioè, nel
senso stretto della parola, i l s ignificar al tro (allon agoreuein) .
Il principio motore di questa accelerazione si può cogliere nella
logica del modo di produzione capitalist ico e nella conseguente
divisione del lavoro, nonchè inscindibilmente da tale logica nel
corrispett ivo piano culturale. Questo intreccio è ciò che esprime
un tratto fondativo di quest’epoca: “la spaesatezza come destino
mondiale”.128
127 Walter Benjamin, Il Dramma barocco tedesco, op. cit., p. 239 128 Martin Heidegger, Lettera sull’umanismo, in Segnavia, Milano, 1994, p. 292
Come ha scrit to Koselleck “il tempo accelerato, ossia la nostra
storia, abbrevia gli spazi dell’esperienza , l i priva della loro
stabil i tà, e in tal modo mette continuamente in gioco nuovi
elementi ignoti ; così , a causa della complessità di questi fat tori
sconosciuti , persino i l presente si sottrae alla nostra
esperienza”.129
In uno dei suoi saggi Benjamin coglieva l’emblema della fine
dell’esperienza t radizionale, fra gli al tri , nella prima guerra
mondiale. Infatt i “non si era visto, alla fine della guerra, che la
gente tornava dal fronte ammutolita, non più ricca, ma più
povera di esperienza comunicabile? [ . . . ] E ciò non stupisce.
Perchè mai esperienze furono più radicalmente smentite di
quelle strategiche dalla guerra di posizione, di quelle
economiche dall’inflazione, di quelle fisiche dalla guerra dei
materiali , di quelle morali dai detentori del potere. Una
generazione che era ancora andata a scuola con i tram a cavall i
si trovava, sotto i l cielo aperto, in un paesaggio in cui nulla era
rimasto immutato fuorchè le nuvole, e sotto di esse, in un
campo di correnti ed esplosioni micidiali , i l minuto e fragile
corpo dell’uomo”. 130
Se gli uomini tornavano dal fronte ammutoli t i è perchè quello
che restava degli anni sul fronte era vissuto certamente, ma un
vissuto che non poteva essere detto perchè, nel l inguaggio della
cultura disponibile, mancavano le parole per comprenderne i l
senso dell’orrore. Non c’era nessuna memoria collett iva cui i
vissuti potessero congiungersi . Questa condizione fu avverti ta
in modo singolarmente intenso da chi partecipò alla prima
guerra mondiale; ma non è t ipica solo di quella generazione: è
t ipica di tutt i coloro che si trovano a vivere in un mondo in
mutamento perpetuo, dove i contenuti della cultura disponibile
sono costantemente resi obsoleti dal mutamento delle
129 Reinhart Kosellek, Futuro passato, Genova, 1986, p. 125 130 Walter Benjamin, Il Narratore, in Angelus Novus, op. cit., p. 248
condizioni di vita, sicchè i contenuti del passato depositati
nella memoria del collet t ivo come categorie, espressioni, frasi
fatte, istruzioni di comportamento e valori , at tese, giudizi
confermati da una tradizione, nel corso del confli t to si separano
radicalmente dal vissuto dei singoli , costrett i a confrontarsi con
un ambiente nel quale nulla è rimasto immutato.
Per comprendere che cosa significhi propriamente l’idea di una
fine dell’esperienza in Benjamin è importante considerare come
per la sedimentazione dei vissuti nell’esperienza (Erfahrung)
sia decisivo l’accesso di questi ol tre la sfera della coscienza.
Nel saggio su Baudelaire, Benjamin si rifà esplici tamente alle
formulazioni freudiane contenute in Al di là del principio di
piacere , “che stabil isce una correlazione fra la memoria (nel
senso della mémoire involontaire) e la coscienza [ . . .] La
formulazione fondamentale di Freud alla base di tutt i gli
sviluppi successivi sulla teoria della memoria è formulata
nell’ipotesi che «la coscienza sorga al posto di un’impronta
mnemonica. Essa sarebbe quindi contrassegnata dal fatto che i l
processo della st imolazione non lascia in essa, come in tutt i gli
al tr i sistemi psichici , una modificazione duratura dei suoi
elementi , ma sboll isce, per così dire nel fenomeno della presa
di coscienza». La formula basilare di questa ipotesi è «che presa
di coscienza e persistenza di una traccia mnemonica sono
reciprocamente incompatibil i per lo stesso sistema». Residui
mnemonici si presentano invece «spesso con la massima forza e
tenacia quando il processo che l i ha lasciati non è mai
pervenuto alla coscienza». Tradotto nella terminologia
proustiana: parte integrante della mémorie involontaire può
diventare solo ciò che non è stato vissuto espressamente e
consapevolmente, ciò che non è stato insomma un’esperienza
vissuta (Erlebnis) . Tesaurizzare impronte durevoli come
fondamento della memoria di processi st imolatori , è r iservato,
secondo Freud, ad altri sistemi, che bisogna pensare diversi
dalla coscienza. Secondo Freud, la coscienza come tale non
accoglierebbe tracce mnemoniche. Essa avrebbe invece un’altra
e importante funzione: quella di servire da protezione contro gli
st imoli [ . . . ] La ricezione degli chocs è agevolata da
un’allenamento nel controllo degli st imoli [ . . . ] Che lo choc sia
captato e parato così dalla coscienza, darebbe, al l’evento che lo
provoca, i l carattere dell’esperienza vissuta in senso stretto, e
steri l izzerebbe questo evento per l’esperienza poetica,
incorporandolo direttamente nell’inventario del r icordo
consapevole [ . . .] Quanto maggiore è la parte dello choc nelle
singole impressioni; quanto più la coscienza deve essere
continuamente all’erta nell’interesse della difesa dagli st imoli;
quanto maggiore è i l successo con cui essa opera; e tanto meno
esse penetrano nell’esperienza (Erfahrung); tanto più
corrispondono al concetto di esperienza vissuta (Erlebnis) . La
funzione peculiare della difesa dagli chocs si può forse
scorgere, in definit iva, nel compito di assegnare all’ evento, a
spese dell’integrità del suo contenuto, un esatto posto
temporale nella coscienza. Sarebbe questo i l risultato ult imo e
maggiore della riflessione”.131
Queste osservazioni di Benjamin sul rapporto tra choc ed
Erlebnis , se devono a Freud la loro qualificazione analit ica -e
Freud vede nella capacità dell’organismo di proteggersi contro
gli st imoli , uno dei fondamenti stessi del suo processo di
civil izzazione - , discendono direttamente, in termini di analisi
sociale, dal rapporto simmeliano tra Nervenleben , vita nervosa,
e Vertsand , dominio dell’intellet to.132 Se la guerra mondiale
costi tuisce i l momento eclatante dei processi che portano alla
sosti tuzione del sedimentare dell’esperienza con una collezione
di chocs, tuttavia Benjamin è altret tanto attento di Simmel a
131 Walter Benjamin, Di alcuni motivi in Baudelaire, in Angelus Novus, op. cit., pp. 94-97 Il riferimento a Sigmund Freud è in Opere, Torino, 1989, Vol. 9, p. 193 seguenti 132 Georg Simmel, La metropoli e la vita dello spirito, Roma, 1995, pp. 33-59
cogliere i dettagli dell’ambiente oggett ivo della metropoli
moderna, di quell’intera vita quotidiana degli uomini che tende
a configurarsi come successione ininterrotta di urt i , di
coll isioni, di eventi la cui successione è reversibile e non
necessaria come i colpi dei dadi sui tavoli da gioco, dove
l’esperienza non ha modo di sedimentare.
Il rapporto tra choc ed Erlebnis , così come è chiari to da
Benjamin, è del tutto coerente con quel fondamentale fenomeno
del rivelarsi della razionali tà - intesa come ipertrofia della
coscienza nel senso di aumentata capacità organizzativa
dell’intellet to - associata al l’intensificazione della vita nervosa
e che va letto nella prospettiva delle mutate condizioni sociali
in cui i l ci t tadino si trova a vivere, in una metropoli in
frenetica evoluzione. La si tuazione quotidiana del ci t tadino di
una metropoli moderna è caratterizzata precisamente dal fat to
che i l singolo si trova a fronteggiare una molteplicità di chocs
di varia natura, che l’intelletto, o la coscienza secondo la
terminologia freudiana adottata da Benjamin, steri l izza dai loro
effett i potenzialmente traumatici , impedendo loro l’accesso alla
sfera della memoria profonda e confinandoli in quella periferica
dell’Erlebnis ; infatt i l ’esperienza dell’uomo moderno,
t ipicamente compresa come l’esperienza nella metropoli , è un
esperienza frammentata e che l’esperienza si frammenti deriva,
innanzitutto, dal frantumarsi dei mondi stabil i relativamente
chiusi e culturalmente omogenei che costi tuivano le comunità
tradizionali
“Ci si dimentica sempre con quale rapidità nel corso di questi
ult imi secoli siano cambiate tante cose. Negli anni Trenta del
secolo scorso i l vecchio Goethe non conosceva ancora le rotaie
delle ferrovie a vapore. Da allora sono passati meno di cento
anni, e tutta la terra è ricoperta di rotaie. [ . . . ] Ci dicono che
l’impiego domestico dell’elettr icità sia troppo costoso. Si
dimentica tuttavia che i progressi della tecnica diventano ogni
giorno più rapidi; è vero che la tecnica si sviluppa soprattutto
nelle officine e nei laboratori scientifici e preferisce non far
parlare troppo di sé. Ciò non significa però che i l fervore del
progresso tenda a diminuire”. 133
Così Benjamin nel saggio Viaggio attraverso l’inflazione
tedesca acutamente focalizza lo spaesamento dell’uomo
nell’uti l izzo degli oggett i quotidiani i l cui incognito
meccanismo di funzionamento sgancia l’uomo dalla
consapevolezza dell’uso; egli osserva come con l’invenzione
dei fiammiferi verso la fine del secolo scorso, comincia una
serie di innovazioni tecniche che hanno in comune il fatto di
sosti tuire una serie complessa di operazioni con un gesto
brusco, come ad esempio è accaduto con il telefono, dove al
posto del moto continuo con cui bisognava girare la manovella
dei primi apparecchi, subentra lo stacco del ricevitore. “Fra i
gesti innumerevoli di azionare, gettare, premere, eccetera, è
stato part icolarmente grave di conseguenze lo “scatto” del
fotografo. Bastava premere un dito per fissare un evento per un
periodo il l imitato di tempo. L’apparecchio comunicava
all’istante, per così dire, uno choc postumo”.134 A esperienze
tat t i l i di questo genere si affiancavano esperienze ott iche, come
quella che suscita parte degli annunci di un giornale, ma anche
i l t raffico delle grandi ci t tà, oltre al l’esperienza della folla
della metropoli che pone ciascuno a contatto con le persone più
diverse in relazioni che per i l loro stesso numero si fanno in
gran parte anonime, ed entro ogni relazione i vissuti r iguardano
cerchie diverse di relazioni e sfere discrete di att ività, che non
possono essere comprese alla luce di nessuna memoria
collet t iva unica.
Il tema del rapporto fra i l singolo e la folla nel traffico della
strada è esplici tato nel saggio su Baudelaire attraverso la
133 Paul Scheerbart, Architettura di vetro, Milano, 1982, pp. 67, 71 134 Walter Benjamin, Di alcuni motivi in Baudelaire, in Angelus Novus, op. cit., p. 107
citazione della prima parte di un racconto di Poe, L’uomo della
fol la , racconto che si snoda lungo le strade della metropoli ,
nella luce tetra e confusa dell’i l luminazione a gas. Benjamin si
sofferma sul modo in cui Poe descrive come la folla si muova,
con gesti bruschi, scatt i , urt i . Più oltre Benjamin dirà che
“muoversi attraverso i l traffico comporta per i l singolo una
serie di chocs e coll isioni. Negli incroci pericolosi , è percorso
da contrazioni in rapida successione, come dai colpi di una
batteria”.135
L’uomo della folla si muove a scatt i secondo gesti stereotipati ,
e in realtà somiglia ad un automa; i l suo comportamento è
dettato dalla necessità di reagire velocemente, di muoversi in
fretta, di controllare e di parare gli chocs a cui è fatto oggetto.
Già Nietzsche in un passo conosciuto e citato da Benjamin
scriveva che “il tempo del moderno è i l prestissimo; le
impressioni si cancellano. Subentra una specie di adattamento a
questo eccessivo accumularsi delle impressioni: l’uomo
disimpara ad agire, si l imita ormai a reagire agli eccitamenti
dell’esterno” .136
Con una formulazione più contemporanea ma non per questo
meno verit iera potremmo dire che “il campo della storia era i l
memorabile, la totali tà degli avvenimenti le cui conseguenze si
sarebbero manifestate a lungo. Inseparabilmente, la conoscenza
avrebbe dovuto durare, e aiutare a comprendere almeno in parte
ciò che sarebbe successo di nuovo: ‘un possesso per l’eternità’,
dice Tucidide. In tal modo la storia era la misura di
un’autentica novità; e chi vende la novità ha tutto l’interesse a
fare sparire i l modo di misurarla. Quando l’importante si fa
riconoscere socialmente come ciò che è istantaneo e lo sarà
ancora nell’istante successivo, altro e identico, e che sarà
sempre sosti tuito da un’altra importanza istantanea, possiamo
135 Walter Benjamin, ibidem 136 F. Nietzsche, Opere, Milano, 1964, vol. VII, 2, 114-115
anche dire che i l metodo usato garantisce una sorta di eternità
di questa non-importanza, che parla così forte”.137
Nella metropoli moderna le istantanee esperienze vissute dagli
individui non possono essere comprese alla luce di una memoria
collet t iva unica per la rapidità delle trasformazioni e
l’anonimato dei contatt i umani, ma a ben vedere è la stessa
costi tuzione di una tradizione all’interno del soggetto che si fa
problematica. I vissuti si collocano gli uni a fianco degli altr i
in modo discontinuo giustapposti , come avventure separate le
une dalle al tre, parate al l imite della coscienza e impedite
all’accesso degli strati profondi di quel regno dal quale possono
riemergere attraverso i l tempo come contenuti di una mémoire
involontaire. La trasformazione della vita in una successione di
sequenze spaesanti è i l contrario di ciò che è inteso nell’idea di
esperienza come per-corso: in quest’idea ciò che conta non è
tanto ogni avventura in sé ma il suo inserimento in una
peregrinazione dove ogni tappa è compresa e sviluppata in
quella successiva, e dove i l collegarsi delle singole stazioni
rappresenta l’estrinsecarsi del sé. La discontinuità dei vissuti si
fa radicale e non è elaborata: questi si compongono e si
scompongono nella rinuncia ad ogni ordine, puzzle di
esperienze vissute (Erlebnis) che non danno luogo a nessuna
esperienza (Erfahrung): l’uomo metropolitano, nella sua
ricchezza mai vista prima di esperienze (Erlebnisse) è così i l
più povero di esperienza (Erfahrung) . La fine dell’esperienza
viene in questo senso a discendere da una sorta di chiusura
della memoria profonda all’accesso dei materiali del vissuto
quotidiano, una divaricazione tra inconscio e intelletto in cui è
lo stesso carattere eccessivo dei contenuti dei vissuti che fa si
137 Guy Debord, Commentari alla società dello spettacolo, Milano, 1990, p. 22. Nella traduzione italiana dello scritto di Debord la citazione da Tucidide appare come: “un’acquisizione per sempre”. Tuttavia per rimanere più fedeli alla formulazione originaria di Tucidide, si è seguita la traduzione italiana di Guido Donini de Le Storie, Torino, 1991, dove l’espressione ktema te es aiei [I, 22, 4] è resa come “un possesso per l’eternità”.
che essi siano inincorporabil i nell’esperienza . “Parati” per così
dire, al di fuori della possibil i tà di accedere alla memoria, essi
restano come chocs, a cui la cura dell’elaborazione è negata,
sosti tuita da una sorta di cancellazione
Il processo di organizzazione degli st imoli , di sublimazione
dello choc, cui è costretto l’uomo della metropoli in questa
successione istantanea di eventi , è diret tamente integrato in
quello più generale della spiri tualizzazione di cui parlava lo
stesso Simmel. Ma mentre in Simmel la giustificazione
ideologica arretrata della metropoli permetteva un’analisi delle
ideologie della metropoli tutta centrata sui valori tradizionali
dell’umanesimo storicist ico, Benjamin coglie i l processo di
organizzazione degli st imoli nel costi tuirsi stesso dell’ideologia
contemporanea, secondo quella che in Marx costi tuisce la
cri t ica della teoria del progresso, dove i l progresso è definito
dallo sviluppo delle forze produttive degli individui, ovvero i l
proletariato e “con questo la questione del cri terio viene
soltanto riportata al punto di partenza”. 138 La condizione
dell’uomo metropolitano, l’uomo moderno, è caratterizzata dal
fatto che nel gesto quotidiano l’ambiguo ha preso i l posto
dell’autentico, ogni cosa ha perso la sua naturale fisionomia in
un inarrestabile processo di mescolamento; se i l rapporto del
cit tadino con la folla è fonte di piacere nella misura in cui per
Benjamin l’ebrezza del numero è legata al la scoperta del sempre
uguale in grandi masse che caratterizza le immagini della
modernità - in esse i l soggetto borghese tende a svanire nel
depotenziamento che è connesso alla scoperta della sua infinita
ripetibil i tà - nello stesso momento è fonte di un sentimento di
minaccia, così come l’ebbra compenetrazione di “strada e
abitazione”, di “paesaggio e stanza” produce una familiari tà
“universalist ica” che conferisce all’incomprensibil i tà delle
138 Walter Benjamin, Manoscritti Preparatori, Ms 475, I 1238s
metropoli un’apparenza concil iante, ma che in realtà svanisce
dinanzi al minaccioso della grande cit tà, costi tuito dalla sua
inintell igibil i tà e ai suoi luoghi selvaggi. La cit tà, da oasi di
pace civile, è stata sopraffatta dall’insicurezza che precipita
l’uomo in “quella si tuazione intricata e in sommo grado paurosa
in cui egli è costret to ad accogliere in sè, tra i guasti della
pianura deserta, i part i del’architettura cit tadina”.139 Al posto
delle i l lusioni concil ianti si sosti tuisce la spaesatezza di un
individuo presentato nella moltiplicazione del “sempre uguale”
che testimonia l’angoscia dell’abitante della metropoli di non
riuscire, nonostante tutta la sua eccentrica singolarità, a
spezzare i l cerchio magico del t ipo, e con questo i l segno
dell’introiettamento nei comportamenti umani dei processi di
razionalizzazione che investivano la società; nella meccanicità
automatica del movimento e nell’uniformità dell’aspetto è
concentrata la perdita dell’individuali tà.
Così per Benjamin tutta l’esperienza l ir ica contemporanea può
essere analizzata come un grande simbolo del generale processo
di razionalizzazione dell’esistenza; tale esperienza l i r ica
tenterebbe infatt i di r icondurre l’esplodere del Nervenleben al la
misura dell’angoscia, della memoria, dell’esperienza vissuta in
genere: infatt i lo sviluppo unilaterale delle capacità
intellet tuali , cioè l’ipertrofia della coscienza, è i l corrispett ivo
di un mondo fondato sulla razionalità, sulla tecnica e sul
denaro; così come la razionali tà tecnica riduce i fenomeni a
enti tà misurabil i , i l denaro, “equivalente universale” di tutte le
merci, rende ogni cosa comparabile nella riduzione al suo
prezzo. Tecnica, denaro e intellet to si combinano nella
trasformazione del mondo in insieme di enti tà manipolabili ; ciò
favorisce i l progresso, ma a costo di una crescente astrazione 139 Walter Benjamin, Viaggio attraverso l’inflazione tedesca, in Strada a senso unico, op. cit., p. 20; a questa straordinaria analisi di Benjamin fanno riscontro la descrizione della
dalla concreta quali tà delle cose, dal loro valore d’uso e dal
loro valore simbolico e affett ivo sinchè le differenze si
cancellano.
La stessa poesia di Baudelaire trova i l proprio luogo sullo
sfondo di questa crisi dell’esperienza , ed anzi lo choc si colloca
nella poesia di quest’ult imo in un posizione di assoluto
privilegio, ma nel senso di una demitizzazione dello choc
stesso. Se infatt i fare esperienza di una cosa significa toglierle
la sua novità, neutralizzare i l suo potenziale di choc, la merce e
i l maquillage, cioè l’inesperibile per eccellenza, esercitano su
Baudelaire un fascino irresistibile. In Baudelaire un uomo
espropriato dell’esperienza si offre senza alcuno schermo alla
ricezione degli chocs; e la poesia trasforma questa
espropriazione in una ragione di sopravvivenza, facendo
dell’inesperibile la sua condizione normale. Il nuovo, in questo
nuovo senso, è ciò di cui non si può fare esperienza , e
Baudelaire aspira a fare di questa ricerca dell’inesperibile i l
luogo comune che un tempo poteva essere creato solo at traverso
una secolare accumulazione di esperienza , che ora viene meno
nella misura in cui l’ universo percett ivo dell’uomo viene
investi to da una seriali tà di chocs e di segnali non assimilabil i
dall’esperienza t radizionale, la discontinuità diviene modo di
essere e di vedere, di porsi in rapporto con l’altro, e tutto
questo significa che l’uomo perde in definit iva i suoi gesti .
E quando l’epoca si accorse di quello che stava perdendo, allora
cominciò i l precipitoso tentativo di recuperare in extremis i
gesti perduti : i l romanzo di Proust , la grande poesia dello
Jugendsti l da Pascoli a Rilke, e in particolare modo il cinema
muto -e i l mutismo ne è i l t rat to essenziale nella misura in cui
fa riferimento alla gestuali tà pura, è come il mutismo della
fi losofia, esposizione dell’essere nel l inguaggio dell’uomo -
quotidianità, dello spaesamento e della miseria sociale presenti in Sein und Zeit e nei romanzi di J. Roth, ed è a questi contributi che dovremmo proficuamente ancora rivolgerci.
tracciano il cerchio magico in cui l’umanità cercò per l’ult ima
volta di evocare ciò che le stava sfuggendo di mano per sempre.
Il cinema esprime quindi le modali tà percett ive della modernità
e l’esperienza sensoriale dell’uomo della folla è la progenitrice
immediata della rappresentazione cinematografica. La
discontinuità diviene modo di essere, di vedere, di porsi in
relazione con l’altro, e quindi l’esperienza si configura in
termini generali come un montaggio disparato, al di fuori
dell’esperienza t radizionale.
Perfino la tecnica della recitazione sembra riflet tere nel cinema
la scomposizione in frammenti dell’esperienza ; mentre l’at tore
teatrale poteva ancora identificarsi col suo personaggio e
offrirlo al pubblico con l’aura dell’irripetibile, “la prestazione
[dell’attore cinematografico] non è mai unitaria, è bensì
composta di numerose singole prestazioni e a scomporre la
recitazione dell’interprete in una serie di episodi montabil i
sono le necessità elementari dell’apparecchiatura”.140
Alla recitazione cinematografica appartiene un effetto naturale
di straniamento, che invece nel teatro può derivare solo da
un’intenzione estetica consapevole, come quella dei drammi di
Brecht, che si risolve nella radicale afasia dei personaggi senza
memoria e senza mondo; l’esperienza s i trasforma in un oggetto
perduto.
3. Critica del progresso e delle dottrine del progresso
Come abbiamo notato più sopra, l’analisi di Benjamin delle
condizioni di vita dell’uomo nella metropoli moderna si si tua
nell’ott ica della cri t ica del progresso capitalist ico aperta da
Marx. Si tratta di una riflessione fondamentale sulla modernità,
che ha le radici nei primi scri t t i di Benjamin e la cui portata è
140 Walter Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, Torino, 1991, p. 33
molto più vasta e significativa di un semplice commento
sull’at tuali tà poli t ica.
E’ nel contesto generale di questa fi losofia della storia fondata
sulla cri t ica più radicale e più profonda delle i l lusioni
progressiste, che occorre integrare, per portarle ad un grado di
consapevolezza cri t ico maggiore, le osservazioni di Benjamin
sul declino dell’esperienza .
Ciò che Benjamin rifiuta appassionatamente e ostinatamente è i l
mito mortalmente pericoloso che lo sviluppo tecnico porterà
automaticamente un miglioramento della condizione sociale e
della l ibertà degli uomini, e che i socialist i e la
socialdemocrazia non debbano far altro che seguire i l
movimento irresist ibile dello sviluppo materiale per ist i tuire
una società emancipata: egli è intimamente convinto che senza
una interruzione rivoluzionaria del progresso tecnico così come
si produce nel capital ismo l’esistenza stessa dell’umanità è in
pericolo. Inoltre è sempre più propenso a credere che i l
progresso capitalist ico industriale abbia determinato un grado
notevole di regresso sociale e che abbia trasformato la vita
umana moderna esattamente nel contrario del paradiso
compiuto, cioè in un inferno: “il concetto di progresso va
fondato nell’idea della catastrofe. Che tutto continui così è la
catastrofe. Essa non è ciò che di volta in volta incombe, ma ciò
che di volta in volta è dato: coosì Strindberg:l’inferno non è
nulla che ci attenda, ma la nostra vita qui”.141
In Strada a senso unico Benjamin chiarisce in modo
inequivocabile i l modo in cui ha inteso la tecnica: i l “grande
sforzo per la conquista del cosmo si è compiuto per la prima
volta in maniera planetaria, ossia nello spiri to della tecnica”, 142
e si è compiuto nella prima guerra mondiale, ove masse umane,
gas, energie elettriche sono state gettate in campo, correnti ad
141 Walter Benjamin, Parigi..., op. cit., p. 614, N 9a, 1 142 Walter Benjamin, Strada a senso unico, op. cit., p. 68
alta frequenza hanno attraversato le campagne, nuovi astri sono
sorti nel cielo, spazio aereo e abissi marini hanno risuonato di
motori , e da ogni parte “si sono scavate nella madre terra fosse
sacrificali”. Ma poichè l’avidità dei profi t t i della classe
dominante ha pensato di soddisfare nella tecnica la propria
volontà, “la tecnica ha tradito l’umanità ed ha trasformato i l
banchetto nuziale in un mare di sangue. Il dominio sulla natura,
così insegnano gli imperialist i , è i l senso di tutta la tecnica [ . . . ]
E così la tecnica non sarebbe dominio sulla natura: ma dominio
del rapporto tra natura e umanità”.143
Il concetto benjaminiano della tecnica non è crit ico ma utopico.
Ad essere cri t icato è i l t radimento dell’utopia perpetrato nella
realizzazione dell’idea della tecnica. Per questa ragione
Benjamin non si è rivolto alle possibil i tà della tecnica ma al
tempo in cui la tecnica in quanto tale rappresentava solo una
possibil i tà, al tempo in cui sua vera idea (cioè i l dominio non
sulla natura, ma sul rapporto uomo-natura) era ancora posto
nell’orizzonte del futuro.
La cri t ica delle dottrine del progresso è affrontata
contemporaneamente a quella sull’afasia - precedentemente
svolta - nel saggio Il narratore dove Ljeskòv è salutato,
at traverso una citazione di Tolstoj , come il primo scri t tore “che
abbia denunciato gli inconvenienti del progresso economico”144,
e come uno degli ult imi narratori che siano rimasti fedeli all’età
aurea in cui gli uomini vivevano in armonia con la natura e con
essa com-pativano. Straziante è in tale senso l’immagine in cui
Ljeskòv descrive i cavalli che “scalciavano e sgroppavano, e
guardavano sempre i l cielo come uccelli . Persino faceva
compassione a guardarli , certuni proprio si vedeva che se ne
sarebbero volati via, ma non avevano le ali”.145
143 Walter Benjamin, ibidem 144 Walter Benjamin, Il narratore, op. cit., pp. 256-261 145 N. Ljeskòv, Il viaggiatore incantato, op. cit., pp. 50-51
“L’età - dice Ljeskòv - in cui l’uomo poteva credersi in armonia
con la natura, è finita. Schiller chiamava questa età del mondo
l’epoca della “poesia ingenua” cui i l narratore rimane fedele”.146
L’affinità di Ljeskòv con lo spiri to della favola è profonda e
densa di significati , giacchè i l vero narratore è i l narratore di
f iabe, che sempre sanno indicare la via laddove il consiglio
sembra più arduo, e che “ci informa delle prime disposizioni
prese dall’umanità per scuotere l’incubo che i l mito le faceva
gravare sul petto”.147 Il meglio - ha insegnato la favola
anticamente al l’umanità, e insegna ancora oggi ai bambini-, è
affrontare le potenze del mondo mitico con astuzia e
impertinenza.
E’ nell’universo dell’esperienza collet t iva, pre-capital ist ica,
degli ambienti popolari e art igianali che nascono la narrazione e
i l racconto di fate (che Benjamin oppone al mito), i l cui
“incantesimo liberatore non introduce la natura in forma mitica,
ma accenna alla sua complicità con l’uomo liberato”.148 Il
“disincanto del mondo”, analizzato da Max Weber in rapporto
con l’era capital ist ica, significa per Benjamin i l declino
dell’Erfahrung collet t iva e la rottura dell’incantesimo
liberatore, a vantaggio di un nuovo scatenamento dell’incubo
mitico distruttore della complicità tra uomo e natura, a cui
Benjamin reagisce auspicando al più presto la bonifica dei
terri tori e l’estirpamento, “con l’ascia affi lata della ragione” 149,
della foll ia e del mito che adesca dal fondo della foresta.
La crit ica su progresso nutre - nell’articolo su Fuchs del 1937 150 - la polemica di Benjamin contro i l posit ivismo e contro la
socialdemocrazia posit ivista: le domande che l’umanità pone
alla natura sono infatt i condizionate anche dallo stadio
146 Walter Benjamin, Di alcuni motivi in Baudelaire, op. cit., p. 261 147 Walter Benjamin, ibidem, p. 267 148 Walter Benjamin, ibidem 149 Walter Benjamin, Parigi..., p. 592, N 1,4 150 Walter Benjamin, L’opera d’arte...., op. cit., pp. 79-125
raggiunto dalla sua produzione. E’ questo i l punto su cui
fal l isce i l posit ivismo, contro i l quale Benjamin fa parlare
Dimier che si pronuncia “contro i l concetto dei progressi del
genere umano: nella natura fisica l’evoluzione non è indefinita;
ha un termine. La ghianda diventa quercia, e nulla più. . .La
specie, lungi dal sopravvivere all’ individuo, comincia col
morire con lui , . . .così , non essendo il soggetto di nessuna
continuità, essa non può essere i l soggetto di nessun sviluppo di
cui l’ individuo non ha la minima idea. . .Alla chimera
dell’evoluzione portata nella storia dello spiri to. . .da
Comte.. .manca non solo ogni fondamento, ma anche ogni
apparenza, se si prendono degli esempi dalla natura fisica. . .E’
dunque gratuito spacciare l’evoluzione per una legge rivelata
dalla storia; essa non vi è nemmeno abbozzata. Questa lenta
formazione della morale e della ragione, che ci danno a credere,
non risulta da nessuna testimonianza.. .Nulla dunque è così
simile quanto l’umanità di tutt i i tempi”151; nello sviluppo della
tecnica “il posit ivismo potè cioè riconoscere solo i progressi
della scienza naturale, non i regressi della società”, non
rendendosi conto che a condizionare questo sviluppo concorre
in modo decisivo i l capitalismo. E allo stesso modo, anche a
quei teorici socialdemocratici che erano posit ivist i , sfuggì “che
questo sviluppo rendeva sempre più precario l’atto, che peraltro
si dimostrava sempre più urgente, con cui i l proletariato
avrebbe dovuto impadronirsi della tecnica stessa, - essi ,
aggiunge ancora Benjamin - non riconobbero i l lato distrutt ivo
di questo sviluppo, perchè si erano estraniati dal lato distrutt ivo
della dialett ica”152, che appare là dove il pensiero si arresta in
una “costellazione satura di tensioni”, e che è “la cesura del
movimento del pensiero”. Il suo non è un luogo qualsiasi ma va
cercata là “dove la tensione tra gli opposti dialett ici è al
151 Water Benjamin, Manoscritti Preparatori, Ms 1079 14-31, I 1230 152 Walter Benjamin, ibidem, Ms II 474s
massimo”. Per questo “l’immagine dialett ica è lo stesso oggetto
storico costruito nell’esposizione materialist ica della storia.
Essendo identica all’oggetto storico, essa giustifica la sua
estrapolazione dal continuum del decorso storico”.153
Benjamin oppone all’ evoluzionismo socialdemocratico e alle
sue piatte i l lusioni ott imiste, che ignorano i pericoli della
tecnica moderna soprattutto in relazione con la guerra, la
“prospett iva della incipiente barbarie”, che era balenata a
Engels in La condizione della classe operaia in Inghilterra, e a
Marx nella prognosi sullo sviluppo capitalist ico.154 E infatt i i l
substrato sociale di questa esperienza infernale rappresentato
dalla marcia inarrestabile della universalizzazione dei rapporti
capital ist ici è fissato nella descrizione della grande cit tà del
giovane Engels, in cui “la brutale indifferenza, i l crudele
isolamento di ogni singolo nei suoi interessi privati , r isulta
tanto più odioso ed offensivo, quanto più questi singoli sono
compressi nel minimo spazio”.155 Se l’espansione capital ist ica
appare come “il l ibro aperto delle forze dell’essere umano”156,
allora lo è solo nella forma del capovolgimento. L’enorme
crescita delle forze produttive umane avviene in conseguenza
del fatto che riduce i l singolo alla astrazione dei rapporti
sociali di produzione. Gli individui diventano maschere di
carattere della loro appartenenza di classe, i cui modi di
comportamento si approssimano a quell i dell’automa, e la
metropoli stessa assume il volto minaccioso di una mitica
coazione a ripetere.157
153 Walter Benjamin, Parigi..., p. 618, N 10a, 3 154 Walter Benjamin, L’opera d’arte..., op. cit., pp. 89-100 155 Walter Benjamin, Di alcuni motivi in Baudelaire, op. cit., p. 101 156 Karl Marx, Manoscritti Parigini, Torino, 1968, p. 55 157 Questa diagnosi, oltre che nei manoscritti parigini, è esplicitamente affrontata anche nell’ Ideologia tedesca
E’ proprio a part ire dal marxismo e da scri t t i di autori come
Turgot e Jochmann che Benjamin formulerà ciò che nel
Passagenwerk chiama la teoria cri t ica della storia, i l cui punto
di vista mette l’accento al tret tanto sulla regressione che su un
progresso qualsiasi nella storia; come abbiamo precedentemente
fatto notare vi è un concetto di presente che, secondo Benjamin,
costi tuisce l’oggetto intenzionale di una profezia, e qui sta i l
senso esoterico del detto che “lo storico è un profeta rivolto
al l’indietro”.158 Come Turgot aveva definito tale presente
polit ico, anche in Jochmann lo sguardo di veggente si accende
davanti al passato che si allontana rapidamente, i l veggente
volta le spalle al futuro; ma è proprio “questo rapporto di
veggente con il futuro [che] è un elemento obbligato
dell’atteggiamento dello storico che sia determinato, come ha
stabil i to Marx, dalla si tuazione sociale della società”.159
L’originali tà del metodo di Benjamin r ispetto a quello di Marx,
secondo lo stesso Benjamin, sta nel fatto che mentre per Marx
(o, meglio dell’interpretazione material ist ica della storia che F.
Engels at tribuisce a Marx nella nota let tera a J . Bloch 160) si
tratta di esporre connessioni causali tra sfera dell’economia e
sfera della cultura, i l compito di Benjamin consiste
nell’esposizione di connessioni di carattere espressivo:
“materialista è solo quel punto di vista che sopprime
radicalmente la separazione di struttura e sovrastruttura perchè
si pone come oggetto unico la prassi nella sua coesione
originale cioè come ‘monade’ - (monade, nella definizione di
Leibniz, è una sostanza semplice, ‘cioè senza part i’)161 - ; si
tratta, in altre parole, del tentativo di afferrare un processo 158 Walter Benjamin, Manoscritti preparatori, op. cit., Ms 472 10-19, I 1235 159 Walter Benjamin, ibidem, Ms 485, I 1245s 160 K. Maex, F. Engels, Scritti sull’arte, Bari, 1967, p. 63 161 Per un preciso chiarimento di questo aspetto anche in rapporto alla querelle tra Adorno e Benjamin, cfr. le due lettere - la prima di Adorno a Benjamin del 10 novembre 1938 e la risposta di Benjamin ad Adorno del 9 dicembre 1938, in Walter Benjamin, Lettere, op. cit.,
economico come un protofenomeno ben visibile, dal quale
procedono tutte le manifestazioni vitale dei Passages ( e in
questa misura del XIX secolo)”.162 Ancora in Parigi Capitale
del XIX secolo Benjamin si sofferma sul metodo di analisi
uti l izzato nello studio dei Passages , che sono esplorati dalla
loro origine fino al loro declino; l’origine dei mutamenti dei
Passages è colta nei fatt i economici e “questi fatt i , considerati
dal punto di vista della causali tà, cioè come cause, non
sarebbero affatto un protofenomeno - lo diventano solo in
quanto, nel proprio stesso svolgersi - meglio sarebbe detto nel
loro dipanarsi - fanno sorgere dal loro seno la serie delle
concrete forme storiche dei passages, come la fogli dispiega da
sé l’ intero regno dell’empirico mondo vegetale”. 163
L’obiett ivo metodico dell’analisi benjaminiana è la
dimostrazione di un materialismo storico che annichil isca in sé
l’idea del progresso, e “proprio qui i l materialismo storico ha
tutte le ragioni per dist inguersi nettamente rispetto alle forme
tradizionali del pensiero borghese”.164 Benjamin riconosce
infatt i che i l concetto di progresso ha potuto avere una funzione
crit ica all’inizio ma che dal XIX secolo, quando la borghesia ha
conquistato posizioni di potere, questa funzione è scomparsa;
da qui la necessità di sottoporlo ad una crit ica immanente
attraverso i l materialismo storico, “i l cui concetto principale
non è i l progresso ma l’attualizzazione (Jetzt-Zeit)”. 165
E’ per la loro comune osti l i tà al progresso che Benjamin
accosta, nel Passagenwerk Baudelaire e Blanqui. Nel suo saggio
sull’esposizione universale del 1855, Baudelaire denuncia
rabbiosamente l’idea del progresso come un “fanale perfido”,
una “idea grottesca che è fiori ta sul terreno marcio della fatuità pp. 371, 376 - commentate criticamente in G. Agamben, Infanzia e storia, op. cit., pp. 117-127 162 Walter Benjamin, Parigi..., op.cit., p. 595, N 1a, 6 163 Walter Benjamin, ibidem, p. 599, N 2a, 4 164 Walter Benjamin, ibidem, p. 596, N 2,2
moderna” e grazie alla quale i popoli “si addormentano sul
cuscino della fatali tà nel sonno rimbambito della
decrepitudine”. Se Baudelaire ha potuto dominare Parigi nella
sua poesia è, secondo Benjamin, grazie alla sua distanza crit ica
nei confronti del soggetto che risultava dalla sua osti l i tà
frenetica nei confronti del progresso; i l suo spleen (tedio) è in
realtà i l sentimento che corrisponde alla catastrofe permanente.
Benjamin condivide in gran parte i sentimenti dell’autore di Les
f leurs du mal . In una nota su Baudelaire, redatta probabilmente
verso i l 1938, egli dà una dimensione anticapitalist ica a questa
crit ica: “questa svalutazione dell’ambiente umano ad opera
dell’economia di mercato ha avuto un impatto profondo sulla
sua esperienza storica [ . . .] niente è più spregevole che fare
entrare in gioco l’idea di progresso contro questa esperienza
[ . . . ] . La storia ha mostrato successivamente quanto avesse avuto
ragione nel non dare fiducia al progresso tecnico”.166
Nel Passagenwerk Benjamin collega l’inizio del processo di
deperimento dell’esperienza con l’avvento della manifattura e
della produzione di merci. Ma evidentemente è con lo sviluppo
dell’industria moderna che questo impoverimento raggiunge i l
punto più basso. Benjamin esamina qui e nelle tesi del 1940
l’esperienza inospitale e accecante dell’epoca della grande
industria, basandosi direttamente sulle analisi del Marx del
Capitale . In virtù dell’addestramento disciplinare operato dalla
macchina, i lavoratori sono obbligati a coordinare i loro
movimenti a quello uniformemente costante di un automa.
L’operaio subisce una profonda espropriazione e i l suo lavoro è
impermeabile al l’esperienza ; la perdita dell’esperienza in
Benjamin è così stret tamente legata al la trasformazione in
automa: i gesti r ipeti t ivi , privi di senso e meccanici dei
lavoratori al le prese con la macchina, si r i trovano nei gesti da
165 Walter Benjamin, ibidem 166 Walter Benjamin, G. S., vol I, 3, pp. 150, 151 seguenti
automi dei passanti nella folla descrit t i da Poe e Hoffmann. Gli
uni e gli al tr i non conoscono più l’Erfahrung ma solo
l’Erlebnis , e in particolare lo chochErlebnis , l ’esperienza
vissuta dello choc, che provoca in essi un comportamento
reatt ivo, da automi che hanno completamente l iquidato la loro
memoria.
In questo senso la fine dell’esperienza corrisponde
all’esaurimento della figura del mestiere art igiano e
all’espansione prima in Inghil terra - studiata da Engels - , poi in
successione, nel continente europeo della grande manifattura e
dunque del processo di valorizzazione capitalist ico.
Nel racconto di Ljeskòv Il mancino - conosciuto da Benjamin -
vi è l’esaltazione di quel mestiere art igiano che, con i l sorgere
delle prime fabbriche, l’uomo moderno non coltiva più, giacchè
ciò che non si può semplificare ed abbreviare in un’idea non
interessa più. Significativa è a questo proposito la conclusione
del racconto, o meglio della cronaca: “Ormai tutto ciò è roba
‘d’altri tempi’ e ‘antica leggenda’, per quanto non della notte
dei tempi, ma queste leggende non necessariamente vanno
obliate, non ostante la forma favolosa e i l carattere epico
dell’eroe eponimo. Il vero nome del mancino - che è l’artigiano-
come quello dei geni più alt i , è perduto per sempre per la
posterità; di maestri come il favoloso mancino, ora, credo, a
Tula non ce ne siano più: le macchine hanno appianato i
disl ivell i dei talenti e delle note naturali e i l genio non lotta più
contro la dil igenza e l’applicazione. Propiziando la crescita del
guadagno le macchine non favoriscono l’arditezza dell’artista
che talora superava di gran larga misura i l sempre uguale in
quantità industriale prodotto dalla macchina. Certo gli operai
sanno apprezzare i vantaggi che vengono loro dall’applicazione
pratica della meccanica, ma ricordano orgogliosamente i tempi
andati e l i amano. Questo è i l loro epos, r icco per di più di
“umanità”.167
L’autentico art ista rimane ad osservare ciò che era fat to
manualmente dall’uomo e in cui si era cristal l izzata la saggezza
artigianale di intere generazioni, la pratica di un popolo che
oramai con il progresso e l’avvento della tecnica che travolge
gli individui e la natura, svuotandoli di ogni concreta qualità,
viene stri tolata e occultata dalla falsa pretesa di progresso di
cui si ammanta la borghesia e dei suoi falsi profeti . Alla figura
del mestiere art igiano si sosti tuisce l’apprendimento
dell’esecuzione di brevi mansioni ripetute e sempre uguali ,
cioè la divisione del lavoro e i l r i tmo della produzione a catena.
Non per nulla “Marx mostra come, nel mestiere, la connessione
dei momenti lavorativi è continua. Questa connessione, resa
autonoma e oggettivata, si r ipresenta all’operaio di fabbrica nel
nastro automatico. Il pezzo da lavorare entra nel raggio
d’azione dell’operaio indipendentemente dalla sua volontà; e
altrettanto l ibermente gli si sottrae [ . . . ] Nel rapporto con la
macchina gli operai apprendono a coordinare i loro propri
movimenti a quello uniformemente costante dell’automa”.168
La figura dell’automa, incontrata nei passi sulla folla, ri torna
qui dunque come aspetto essenziale del lavoro produttivo nelle
condizioni dell’industria automatizzata. Citando Marx,
Benjamin scrive “ogni lavoro alla macchina esige . . . un precoce
t irocinio del’operaio”.169 Questo t irocinio va però dist into
dall’esercizio. L’esercizio, solo decisivo nel mestiere, aveva
ancora una funzione nella manifattura. Sulla base della
manifattura “ogni particolare ramo della produzione trova
nell’esperienza la forma tecnica ad esso conforme, e la
167 N. Ljeskòv, Il mancino, op. cit., p. 75 168 Walter Benjamin, Di alcuni motivi in Baudelaire, op. cit., pp. 110-111 169 Walter Benjamin, ibidem, p. 111
perfeziona lentamente”.170 Ma la stessa manifattura produce,
d’altra parte, “in ogni mestiere che essa investe, una classe di
operai cosiddetti non specializzati , che l’azienda di mestiere
escludeva rigorosamente [ . . . ] L’operaio non specializzato è
quello più profondamente degradato dal t irocinio della
macchina. Il suo lavoro è impermeabile al l’esperienza .
L’esercizio non vi ha più alcun diri t to. Ciò che i l lunapark
realizza nelle sue gabbie volanti e in al tri divert imenti del
genere non è che un saggio del t irocinio a cui l’operaio non
specializzato è sottoposto nella fabbrica”.171
Il moderno tirocinio dell’operaio specializzato non è
l’esercizio. E’ un allenamento al meccanismo stimolo-risposta.
Non è più in gioco la continuità e neppure la sedimentazione
del sapere, ovvero non è più una questione di esperienza .
L’immagine dello choc viene rapportata alle funzioni produttive
stesse del sistema: la ripetizione, l’esperienza del sempre
uguale che sta al la base dell’immagine della folla, dello
chocErlebnis che essa produce, Benjamin la ri trova nel lavoro
dell’operaio, nel processo del lavoro industriale. Nel regno
della merce l’umanità recita la parte del dannato perchè i l
nuovo ripeti t ivo e fi t t iz io della produzione mercantile è tanto
poco capace di fornirgli una soluzione l iberatrice, quanto una
moda nuova di r innovare la società. La modernità agli occhi di
Benjamin è inferno, da una parte in quanto catastrofe in
permanenza, - come recita i l passo di Strindberg sopra citato -
dall’altra in quanto ripetizione disperante delle pene eterne e
sempre nuove. E’ questo i l destino dell’operaio, prigioniero
della catena di montaggio, che Benjamin, citando Engels,
paragona a Sisifo, personaggio della mitologia greca
condannato all’eterno ri torno della stessa punizione. Donde
anche l’analogia tra l’iscrizione all’ingresso delle fabbriche
170 Walter Benjamin, ibidem 171 Walter benjamin, ibidem pp. 111- 112
menzionata da Marx e quella che orna le porte dell’inferno
dantesco: “Per me si va nella ci t tà dolente, per me si va ne
l’etterno dolore, per me si va tra la perduta gente”.172
La formalizzazione dei rapporti sociali al l’ interno della folla,
l’equivalenza generale della merce che essi esprimono, si
r i trovano nell’intervento dell’operaio sulla macchina. La folla
riconduce così al momento della produzione, al lavoro:
l’immagine dello choc rivela i l proprio statuto di classe.
Questo momento ci riporta al tema dello scatto meccanico come
continuità dall’ambiente brutale del lavoro, fatto di rotture
continue e di giustapposizioni i l logiche, come avviene nella
catena di montaggio della grande fabbrica, al suo
corrispondente nell’ambiente domestico e più in generale della
vita quotidiana dell’uomo; in campo art ist ico i l cinema è
secondo Benjamin la sola arte capace di esprimere
adeguatamente l’esperienza della tecnica e i suoi effett i sulla
percezione frammentata; in un passo di Parigi Capitale del XIX
secolo, Benjamin definisce i l cinema come “l’estrinsecazione di
tutte le forme di visualizzazione dei tempi e dei ri tmi
prefigurati delle macchine moderne”. 173
E’ nella prospett iva della tecnica intesa nel senso di tendere
all’armonia della natura e dell’umanità, che i l cinema educa i l
sensorium umano alle nuove forme di vita latenti nella tecnica.
Grazie alla rappresentazione cinematografica in cui è implicita
l’onnipresenza in ogni fase dell’apparato tecnologico, l’uomo
moderno integra la tecnica nella propria quotidianità invece di
subirla e tra le funzioni sociali del cinema, la più importante è
quella di ist i tuire l’equil ibrio tra l’uomo e l’apparato tecnico.
Attraverso i l continuo addestramento percett ivo, parando le
imagini delle schermo che gli si offrono con la stessa
subitaneità degli choc e degli scatt i meccanici , l’uomo si
172 Dante, Divina Commedia, Inferno, Canto III, 1-3 173 Walter Benjamin, Parigi..., p. 516, K 3,3
dispone a conoscere e a padroneggiare le macchine moderne;
questa valutazione di Benjamin nasce dalla considerazione che
generalmente “il pubblico è si un esaminatore, ma un
esaminatore distratto; nella ricezione cinematografica ogni
oggetto, ogni gesto, appare in un baleno, presto dissolto: mentre
è, è già nell’att imo della sua morte”.174 Labil i tà, incessante
novità, r icezione distratta colpiscono anche ogni oggetto che si
r ivesta della forma di merce, creando e ricreando sempre di
nuovo una epifania fantasmagorica.
Procedendo in questa direzione, va tenuto presente che la fine
dell’esperienza corrisponde infatt i al la generalizzazione della
figura della merce. La fine dell’esperienza coincide, in questo
senso, con i l predominio crescente del carattere astratto delle
merci prodotte nel capitalismo, al predominio del valore di
scambio sul valore d’uso e non il suo contrario. Lo svelamento
del segreto della merce è stato la chiave che ha aperto al
pensiero i l regno incantato del Capitale, (è probabile che Marx
si sia ricordato dell’impressione provata nel palazzo di cristallo
durante l’esposizione universale di Londra del 1851, quando
scriveva la sezione del Capitale che porta i l t i tolo i l carattere di
feticcio della merce e i l suo segreto) che questo ha sempre
cercato di occultare esponendolo in piena vista. Senza
l’identificazione di questo centro immateriale, in cui i l prodotto
del lavoro, sdoppiatosi in un valore d’uso e in un valore di
scambio, si t rasforma in una fantasmagoria che insieme cade e
non cade sotto i sensi , tutte le successive indagini del Capitale
non sarebbero probabilmente state possibile. “Le esposizioni
mondiali trasfigurano il valore di scambio delle merci, creano
una fantasmagoria in cui l’uomo entra per lasciarsi distrarre”.175
Non a caso i grandi magazzini segnano definit ivamente i l
destino dei passages, che consistevano in un insieme di diversi
174 Walter Benjamin, L’opera d’arte..., op. cit., p. 46 175 Walter Benjamin, Parigi. La capitale del XIX secolo, in Angelus Novus, op. cit., p. 152
negozi singoli e di locali . Il grande magazzino è l’ult ima
avventura del flâneur, e in questa possibil i tà di esistenza
decaduta diventa visibile lo stretto legame tra
l’ immedesimazione e la merce. “Quando tutte le corde saltano,
quando sul desolato orizzonte non compare nessuna vela o
nessuna cresta d’onda dell’esperire immediato, allora al
soggetto isolato, invaso dal taedium vitae, resta ancora
un’ult ima cosa. E’ l’immedesimazione”.176 Lo schema
dell’immedesimazione comprende l’esperire immediato
(Erlebnis) proprio della merce e quello proprio del cliente.
L’esperire immediato proprio della merce è l’immedesimazione
nel cl iente. L’immedesimazione nel cl iente è
l’immedesimazione nel denaro. “La virtuosa di questa
immedesimazione è la prosti tuta. L’esperire immediato proprio
del cl iente è l’immedesimazione nella merce.
L’immedesimazione nella merce è l’immediatezza nel prezzo
(nel valore di scambio)”.177
Ed è proprio negli anni Venti che i l processo di mercificazione
comincia ad investire la figura umana; osservatori non certo
benevoli del fenomeno non poterono fare a meno di cogliere in
esso un aspetto posit ivo: la mercificazione del corpo umano,
mentre lo piegava alle ferre leggi della massificazione e del
valore di scambio, sciogliendolo così dalla doppia catena del
destino biologico e della biografia individuale, lo rendeva per
la prima volta perfettamnte comunicabile e integralmente
i l luminato. Così nacquero le osservazioni di Krakauer sulle
girls e quelle di Benjamin sulla decadenza dell’aura . Nei
ballett i delle girls , nelle immagini della pubblicità, nelle sfi late
delle mannequins, si compiva i l secolare processo di
emancipazione della figura umana dai suoi fondamenti
teologici , che già si era imposto su scala industriale, all’ inizio
176 Walter Benjamin, Manoscritti Preparatori, Ms 1053 cv 4, I 1179 177 Walter Benjamin, ibidem, Ms 1952 cv 1, I 1178
del XIX secolo, quando l’invenzione della l i tografia e della
fotografia aveva incoraggiato la diffusione a buon mercato delle
immagini pornografiche. Qui la merce mostrava la sua segreta
solidarietà con le antinomie teologiche che Marx già aveva
intravisto. La mercificazione disancora i l corpo dal modello
teologico della Genesi , “a immagine e somiglianza”, e salva la
somiglianza, l’idea. Per questo la figura umana e i l r i trat to
declinano dall’arte: afferrare una unicità è compito del ri trat to,
ma per cogliere una qualunquità occorre l’obiett ivo fotografico.
Non i l corpo è stato tecnicizzato, ma la sua immagine; così i l
corpo glorioso della pubblicità è diventato la maschera dietro la
quale “il fragile, minuto corpo dell’uomo” continua la sua
esistenza precaria.
Così i l capitalismo vuole confinare nello spettacolo le
appropriazioni delle trasformazioni storiche della natura umana;
e lo fa tanto con il corpo umano quanto con l’informazione.
Sul piano della trasmissione della cultura, l’affermarsi
dell’informazione al posto di al tre modali tà di comunicazione, e
in particolare della capacità di narrare, corrisponde a quel
processo di astratt izzazione in cui, per parafrasare Marx, i l
“rapporto tra persone è mediato da cose” (i l Capitale) e va
perciò perduta la capacità dei singoli di rapportarsi
direttamente senza frapporre tra essi degli oggett i che ne
sublimano il rapporto. La diffusione della stampa ha per
Benjamin un ruolo centrale in questo processo, infatt i “se la
stampa si proponesse di far si che i l lettore possa appropriarsi
delle sue informazioni come di una parte della sua esperienza ,
mancherebbe interamente i l suo scopo. Ma il suo intento è
proprio l’opposto, ed essa lo raggiunge. E’ quello di escludere
rigorosamente gli eventi dall’ambito in cui potrebbero colpire
l’esperienza del let tore. I principi dell’informazione
giornalist ica (novità, brevità, intell igibil i tà, e, soprattutto,
mancanza di ogni connessione tra le singole notizie)
contribuiscono a questo effetto non meno dell’impaginazione e
della forma l inguist ica” 178, cosa questa che nella sua globali tà
dilaziona sempre più la capacità dell’uomo di comprendere i l
mondo circostante e dunque farne esperienza .
Lo stesso tema viene affrontato anche nel saggio Il narratore ;
qui l’ informazione come nuova forma di comunicazione si
oppone, ancora di più che i l romanzo, alla narrazione; essa si
afferma grazie alla stampa che è uno dei principali strumenti
della borghesia nel capital ismo avanzato. Ciò che trova
massimamante ascolto tra i l pubblico non è più la notizia che
viene da lontano, ma l’informazione che trova un aggancio
immediato e che può essere immediatamente controllata. Inoltre
la stampa, ogni mattino, informa delle novità di tutto i l pianeta,
e così vengono a mancare quelle storie singolari e
significative, e che spesso att ingono al meraviglioso, che sono
il nerbo della narrazione; mentre la narrazione lascia aperte
infinite possibil i tà interpretative, la notizia, l’informazione,
proprio perchè immediatamente verificabile, contiene già in sè
implicita la spiegazione dell’evento.
Benjamin riprende qui temi di Karl Kraus che a loro volta
trovano una straordinarria affinità con le affermazioni di
Debord sul carattere sostanziale dei messaggi dei media: “E’ la
stampa un messaggero? No, l’evento. Un discorso? No, la vita.
Essa avanza una pretesa che i veri eventi siano le notizie sugli
eventi , ma provoca anche questa sinistra identità, onde sorge
sempre l’apparenza che i fat t i debbano essere prima riferi t i e
poi compiuti .”179
Benjamin si r iferisce ovviamente al contesto sociale e polit ico
degli anni trenta quando questo t ipo di tendenza si stava appena
delineando in tutt i gli stati europei, e che trova un preciso
riscontro anche in altr i e acuti osservatori di questo periodo.
178 Walter Benjamin, Di alcuni motivi in Baudelaire, op. cit., p. 92, 93 179 Walter Benjamin, Avanguardia e Rivoluzione. Saggi sulla letteratura, Torino, 1974, p.109
Dopo sessant’anni di approfondita accelerazione di questo
processo (nel campo giornalist ico, ovviamente, ma nel
mediatico in generale), possiamo affermare che sul piano delle
tecniche, quando l’immagine costruita e scelta da qualcun altro
è diventata i l rapporto principale dell’individuo col mondo, che
egli prima guardava da sé da ogni luogo in cui si poteva andare,
evidentemente non si ignora che l’immagine reggerà tutto;
questo perchè all’interno di una stessa immagine si può
giustapporre senza contraddizioni qualunque cosa. Il f lusso
delle immagini travolge tutto, e analogamente è qualcun altro a
dirigere a suo piacimento questa sintesi semplificata del mondo
sensibile; a scegliere dove andrà la corrente e anche il r i tmo di
ciò che dovrà manifestarsi in essa, come eterna sorpresa
arbitraria, senza volere lasciare tempo alla riflessione, e
prescindendo completamente da ciò che lo spettatore ne può
capire o pensare.
L’esperienza dei moderni tende dunque a costi tuirsi come
esperienza dell’espropriazione, e la realtà è sempre più la
comunicazione su di un fatto, piuttosto che non il fatto in se
stesso. Uno sviluppo di questo tema sta nell’osservazione
secondo cui i l soggetto del mondo moderno tenderebbe a ridursi
in buona misura ad uno spettatore del mondo e “in questa
esperienza concreta della sottomissione permanente sta la
radice psicologica dell’adesione così generale a ciò che è
presente; adesione che arriva a riconoscergli ipso facto un
valore sufficiente. Ovviamente i l discorso spettacolare tace,
oltre a ciò che è propriamente segreto, tutto ciò che non gli
conviene. Isola sempre da ciò che mostra la cornice, i l passato,
le intenzioni, le conseguenze. Quindi è totalmente i l logico.
Dato che nessuno può più contraddirlo, lo spettacolo ha diri t to
di contraddirsi da sè, di rett ificare i l suo passato”.180
180 Guy Debord, op. cit., p. 32
Così Benjamin in Strada a senso unico i l lumina magistralmente
e con poche battute questa situazione, dicendo che “non senza
motivo si suole parlare di nuda miseria. Il lato più deleterio
della sua esibizione -che è cominciata a divenire abitudine sotto
la legge del bisogno e tuttavia rende visibile un millesimo
soltanto della miseria nascosta - non è la compassione, o non la
meno spaventosa coscienza di personale immunità che si fa
strada nello spettatore, ma la vergogna di costui. Impossibile
vivere in una cit tà tedesca dove la fame costringe i più
miserabile a campare delle banconote con cui i passanti cercano
di coprire una nudità che l i ferisce [ . . .] Qui non c’è nulla da
sperare finchè ogni più atroce, ogni più nero destino, discusso
ogni giorno, anzi ogni ora dalla stampa, analizzato in tutte le
sue finte cause e finte conseguenze, non aiuta nessuno a
scoprire le forze oscure che si sono assoggettate la sua vita”.181
Ogni occhiata del giornale ci rivela che l’esperienza cade
sempre più in basso, che non solo l’immagine del mondo
esterno, ma anche quella del mondo morale ha subito da un
giorno all’altro trasformazioni che non avremmo mai ri tenute
possibil i .
Sul piano dei modi di pensiero delle popolazioni contemporanee
la prima causa della decadenza dipende chiaramente dal fat to
che qualunque discorso mostrato nello spettacolo non lascia
nessuno spazio alla risposta; e, la logica, si era formata
socialmente soltanto nel dialogo.
181 Walter Benjamin, Strada a senso unico, op. cit., pp. 16-17
PARTE SECONDA
1. Il materialismo come metodo esoterico della teologia
autentica: i l problema della redenzione
Da quanto finora visto la diagnosi di Benjamin sembra univoca:
l’esperienza , come possibil i tà dei soggett i di lasciar
sedimentare vissuti nella profondità della memoria, di accedere
ad un sapere fondato sull’esercizio, e di r iappropriarsi
consapevolmente del senso del proprio cammino
commisurandolo alla luce di una memoria collett iva, è in via di
sparizione, o forse è già sparita. Tuttavia Benjamin parla della
grande opera di Proust, Alla ricerca del tempo perduto , (di cui
egli era anche traduttore insieme a Franz Hessel) come di
un’impresa intesa “a restaurare al presente la figura del
narratore”. Ma restaurare la figura del narratore, come i l saggio
su Ljeskòv indica senza ambiguità, corrisponde esattamente a
restaurare la possibil i tà di comunicare esperienza , possibil i tà
data dalla facoltà preliminare di accedere ai materiali depositati
nella sfera della mémoire involontaire. Se la possibil i tà che
almeno una parte dei vissuti aggirino la soglia difensiva della
coscienza desta, e sprofondino nella sfera della mémoire
involontaire fosse davvero radicalmente estinte, per
l’esperienza non ci sarebbe secondo Benjamin scampo. Poichè
per lui “l’oggetto della conoscenza in quanto oggetto
determinato nell’intenzione concettuale, non è la verità. La
verità è un essere a-intenzionale formato di idee. Il
comportamento che le si addice è perciò non una intenzione del
conoscere, bensì un risolversi e uno scomparire in essa. La
veri tà è la morte dell’intenzione”.182
182 Walter Benjamin, Il Dramma barocco tedesco, op. cit., pp. 12-13
La sua opera infatt i è costellata di esempi ed indicazioni che
confermano la possibil i tà di una esperienza nel cuore della
modernità, se per esperienza , intendiamo l’ “att imo mistico in
cui i l simbolo accoglie i l senso nel suo interno nascosto e, se
così si può dire, boscoso”.183
Tale possibil i tà corrisponde a si tuazioni nelle quali “noi
riusciamo a penetrare i l mistero [ . . . ] nella misura in cui lo
troviamo nella vita quotidiana, grazie ad un’ottica dialett ica che
riconosce i l quotidiano come impenetrabile”, l’ impenetrabile
come quotidiano”.184 Queste si tuazioni costi tuiscono delle
“i l luminazioni profane”, sorte di sorgenti a getto intermittente,
e vi sono “il luminazioni profane”, come “leggere, pensare,
attendere, passeggiare”. Esse lo sono non meno “del consumo di
oppio, del sogno, dell’ebbrezza. Per tacere di quella più
terribile droga (noi stessi) che prendiamo in soli tudine”.185
L’esperienza dell’oppio a cui probabilmente Benjamin si
riferisce è magistralmente allusa in un breve passo tratto dalle
Confessioni di un oppiomane in cui De Quincey rivela che “il
vero motivo di stupore non è la simultaneità con cui gli
avvenimenti passati della vita, sebbene in realtà successivi, si
presentano nel loro pauroso schieramento di r ivelazione. Non fu
questo che un fenomeno secondario; i l più arcano è
rappresentato dalla resurrezione stessa e dalla possibil i tà di
resurrezione di ciò che tanto a lungo aveva dormito nella
polvere. Un drappo, fi t to come l’oblio, era stato gettato dalla
vita sopra ogni traccia di queste esperienze; pure, d’un trat to, al
segnale di un razzo lanciato dal cervello, i l drappo si solleva e
rivela tutte le profondità della scena. Questo era i l mistero
maggiore e ormai di questo mistero non si può dubitare, poichè
183 Benjamin, ibidem, p. 169 184 Benjamin, Avanguardia e Rivoluzione, op. cit., p. 23 185 Benjamin, ibidem
esso è rinnovato, e migliaia di volte rinnovato, dall’oppio per
coloro che ne sono le vit t ime.”186
L’esperienza individuale, anche nel tempo della povertà, si
costi tuisce dunque per Benjamin quando essa riesce a destarsi a
contatto con queste sorgenti a getto intermittente. Ciò è ripreso
negli splendidi test i di Infanzia berlinese . Qui, parlando della
sua frequentazione da bambino del corti le di casa attraverso gli
sguardi lanciati dal balcone in cui era deposto, Benjamin parla
delle cariat idi che sostenevano i l balcone soprastante che “
potevano abbandonare per un momento i l loro posto per cantare
[ . . .] una canzone che niente, è vero, conteneva di ciò che più
tardi mi aspettava, ma tuttavia recava la parola magica in virtù
della quale sempre poi l’atmosfera dei corti l i esercitò su di me
una sorta di malia”.187
Lo sguardo dell’adulto non cerca di identificarsi
nostalgicamente con lo sguardo del bambino, si volge piuttosto
a quei momenti in cui al bambino si annunciò per la prima volta
i l futuro. Nell’Infanzia Berlinese si parla di quello choc “con
cui una parola ci impietrisce, al pari di un tanfo dimenticato
nella nostra stanza. Come questo risveglia in noi quella
lontananza che era qui, ci sono egualmente parole o silenzi che
ci schiudono quella stessa invisibile lontanaza: i l futuro che in
noi non l’ha dimenticata”.188
Al contrario di Proust Benjamin non fugge i l futuro, ma invece
lo evoca in quell’esperienza infanti le nei cui turbamenti esso ha
lungamente covato per poi essere sepolto nel presente. “Il
tempo perduto di Benjamin non è i l passato, ma il futuro”.189
Proust ascolta i suoni che provengono dal passato, Benjamin
quell i che anticipano un futuro che intanto è divenuto esso
stesso passato. A differenza di Proust, che va alla ricerca del 186 T. de Quincey, op. cit., p. 118 187 Walter Benjamin, Infanzia berlinese, Torino, 1980, 1982, p. 110 188 Walter Benjamin, ibidem
tempo perduto, del passato, per sottrarsi , nel r i trovamento di
questo tempo, nella coincidenza di passato e presente, al potere
del tempo stesso, Benjamin non vuole l iberarsi della
temporalità, non vuole contemplare le cose nella loro essenza
astorica, ma mira ad una esperienza e ad una conoscenza
storica; è però respinto nel passato, in un passato, tuttavia, che
non è concluso, ma è aperto e promette un futuro.
Benjamin era consapevole della distanza che lo separava da
Proust e nello stesso senso in cui la malia del déjà vu
costi tuisce la base dell’opera proustiana, i l suo opposto
costi tuisce quello dell’Infanzia Berlinese , e cioè l’evocazione
degli att imi segnati da uno choc, che è poi i l lavoro della
memoria benjaminiana; questo concetto è ben esposto in un
passo di Strada a senso unico in cui si dice che “il r icordo,
simile a raggi ultraviolett i , indica ad ognuno nel l ibro della vita
una posti l la che invisibile, come profezia, interpreta i l testo”.190
In questo diverso modo di esperire i l tempo è fondata anche la
differenza formale delle opere di Proust e di Benjamin; mentre
i l poeta del déjà vu è al la ricerca di quegli at t imi in cui le
esperienze dell’infanzia tornino ad i l luminarsi e deve quindi
raccontare tutta una vita, Benjamin può invece prescindere dalle
esperienze successive e dedicarsi a quegli at t imi dell’infanzia
in cui è celato un segno premonitore del futuro. Col passato, se
veramente lo si vuole salvare, si deve avere un rapporto l ibero e
momentaneamente compartecipato come hanno i bambini con i l
proprio gioco. Oggi, - e questo può essere molto uti le anche per
gli adulti - si può sperare di “superare i l radicale errore che
consiste nel supporre che i l contenuto rappresentativo del suo
giocattolo determini i l gioco del bambino, poichè in realtà 189 Peter Szondi, in nota a Walter Benjamin, Immagini di città, Torino, p. 103 190 Walter Benjamin, Strada a senso unico, op. cit., p. 42; questa frase ritornerà in senso storico-filosofico nella sua ultima produzione, scritta da Benjamin poco prima della morte; ad esempio nei Manoscritti Preparatori (ms 1099, I 1232), si legge: “il materialista storico, che
capita piuttosto i l contrario. . .Poichè quanto più i giocattoli
sono attraenti nel senso attuale, tanto più sono lontani
dall’arnese per i l gioco; quanto più l’imitazione vi si manifesta
incondizionatamente, tanto più portano lontano dal gioco”.191
Sappiamo infatt i che Benjamin per tutta la vita è stato
affascinato dall’infanzia, collezionando libri e giocattoli , e di
lui e della sua intera vita si può forse dire che non c’è niente
che egli fece “più volentieri che unire fraternamente nelle sue
costruzioni, le materie più eterogenee”192, come egli stesso ebbe
a dire del mondo del bambino.
Non è casuale che tra i suoi oggett i preferi t i vi fossero quei
globi di vetro in cui è racchiuso un paesaggio sotto la neve che,
quando viene scosso, torna ad animarsi; ciò che questi globi
preservano dagli avvenimenti esterni può essere stato per
l’allegorista Benjamin la rappresentazione non del passato, ma
del futuro. Il vero presente storico , in questo senso, non è che
i l passato di immagini impressionate che si sviluppano
simultaneamente e si mantengono provvisoriamente immobili
sulla soglia del tempo -questo concetto Benjamin lo mutua da
quello di at t imo della II Inattuale di Nietzsche che recita “chi
non sa mettersi a sedere sulla soglia dell’att imo, non saprà mai
cosa sia la fel ici tà”.193 A questo concetto di un presente “che
non è passaggio, ma in cui i l tempo sta in bil ico ed è giunto ad
arrestarsi”194, i l materialista rivoluzionario non può rinunciare,
poichè esso definisce quel presente nel quale di volta in volta si
scrive storia. Il presente di Benjamin è proprio questo presente-
att imo, la Jetzt-Zeit che è la percezione istantanea di questo
rivelarsi simultaneo del passato, del suo concentrarsi in una
grandiosa abbreviazione. La canzone dell’Infanzia Berlinese - indaga la struttura della storia, pratica a suo modo una specie di analisi dello spettro. Come il fisico constata un raggio ultravioletto, così egli constata una forza messianica nella storia”. 191 Walter Benjamin, Storia culturale del giocattolo, in Critiche e recensioni, op. cit., p. 66 192 Walter Benjamin, ibidem p. 65 193 F. Nietzsche, Opere, cit., vol. III, t. 1, p. 24
cui abbiamo fatto cenno più sopra - non contiene nulla di ciò
che i l futuro riserba, ma segna in modo indelebile i modi in cui
questo stesso futuro verrà percepito. In questo senso,
l’esperienza , la cui possibil i tà non è qui messa in discussione,
consiste in una messa in congiunzione del presente e del
passato tale per cui i l presente vede riflesso se stesso nelle
immagini remote come il futuro del proprio passato cioè come
un futuro anteriore poichè “non è che i l passato getti la sua luce
sul presente o i l presente la sua luce sul passato, ma immagine
è ciò in cui quel che è stato si unisce fulmineamente con l’ora
( jetzt) in una costellazione. In altre parole immagine è la
dialett ica nell’immobili tà [Stil lstande] . Poichè, mentre la
relazione del presente con il passato è puramente temporale,
continua, la relazione tra ciò che è stato e l’ora ( jetzt) è
dialett ica: non è un decorso ma un’immagine discontinua, a
salt i . Solo le immagini dialett iche sono autentiche immagini; e
i l luogo, in cui le si incontra, è i l l inguaggio”.195
La ricerca del tempo perduto e di ciò che ne ha preso i l posto
non è meno legata alla l ingua del tentativo di appropriarsi di
ciò che si viene trovando. Nomi e immagini sono i due poli di
questo campo di forze. “L’immagine è soltanto una firma, i l
monogramma dell’essere, non l’essere stesso dentro i l suo
involucro. Eppure, la scrit tura non comporta in sé, nulla di
ancillare, e durante la lettura non cade via come una scoria.
Essa fa parte di ciò che viene detto in quanto ne è la figura”.196
Il l inguaggio anticipa sempre l’uomo parlante, scavalcandolo
all’infinito verso i l passato, e, insieme, verso i l futuro; la storia
è la “cifra dell’ombra” che vela l’accesso dell’uomo al piano
dei nomi. La trasparenza, l’ infondatezza del l inguaggio, fonda,
insieme, la teologia e la storia: f inchè l’uomo non potrà trovare
194 Walter Benjamin, Manoscritti Preparatori, Ms 444, I 1250 195 Walter Benjamin, Parigi..., op. cit., p. 588, N 2a, 3 196 Walter Benjamin, Il Dramma barocco tedesco, op. cit., p. 228
fondo nel l inguaggio, ci sarà tramandamento dei nomi; e finchè
ci sarà tramandamento dei nomi, ci saranno storia e destino.
Questo campo di tensione in cui la realtà oscil la tra “nome e
immagine” ha bisogno di distanza, di lontanaza temporale o
spaziale. Per chi viaggia nel proprio passato nome e realtà
nuovamente si disgiungono. Sia che i l nome sia sopravvissuto
alla realtà e ora la sosti tuisca come sua ombra nel ricordo, sia
che in quelle esperienze del “finora mai provato” sia stato
presente i l nome prima ancora che ne fosse esperi ta la realtà, o
sia stata presente l’esperienza che ancora non aveva avuto
nome, così da restare misteriosa come quella “glossa segreta
che accompagna come profezia i l l ibro della vita”.197
Il viaggio nella lontananza non agisce diversamente dal viaggio
nel passato, perchè è sempre un viaggio nella lontanaza che
riconduce al tempo in cui i l consueto non era ancora tale, alle
esperienze quindi del “finora mai provato”; questo ri torno alle
sensazioni primigenie si fa possibile per Benjamin, nel corso
della sua vita, nel paese straniero, giacchè in patria -quella
patria che lo allontanerà obbligandolo alla condizione di esule-
era perduto. Quale diversità rispetto al tono sconsolato con cui
Scheerbart presenta i l viaggio dell’uomo moderno! “Al giorno
d’oggi si viaggia per puro nervosismo. Si continua a cercare
qualcosa di diverso. E benchè si sappia che tutt i gli alberghi e
tutt i i giardini pubblici e tutt i i vil laggi di al ta montagna e tutte
le locali tà balneari si rassomiglino maledettamente tra loro, lo
stesso ci si mette in viaggio. Si viaggia, benchè si sappia che
anche altrove non si troverà niente di meglio”.198
Anche i l singolare desiderio di Benajmin di potersi perdere in
una cit tà è comprensibile perchè dopo che abbiamo imparato ad
orientarci in un luogo, quella prima immagine che ce ne
eravamo fatt i non potrà mai più essere riproposta. In grazia di
197 Walter Benjamin, Strada a senso unico, op. cit., p. 42 198 Paul Scheerbart, Architettrua di vetro, in op. cit., p. 118
questa immagine, che non deve andare perduta perchè racchiude
in sé i l futuro, la capacità di sbagliare direzione diventa un
desiderio “così anche la strada sulla quale Benjamin ora, a
Parigi , va alla ricerca di Parigi , è la medesima che deve
percorrere i l nativo per descrivere la propria cit tà: un viaggio
nel passato”.199
Quindi piuttosto che riscoperta nel passato delle tracce del
proprio destino, l’esperienza è la capacità di resti tuire al mondo
delle cose la voce nella quale ascoltare la canzone cui la nostra
esistenza è stata sensibile.
Tempo prima, -nella ‘Premessa gnoseologica’ al Dramma
barocco tedesco- , Benjamin aveva potuto esprimere i l concetto
fondamentale della Jetzt-Zeit in questi termini: “L’origine sta
nel f lusso del divenire come un vortice e trascina dentro i l
proprio ri tmo il materiale di provenienza. In ogni fenomeno di
origine si determina la figura, nella quale sempre di nuovo
un’idea si confronta col mondo storico, f inchè esso agisce
compiuto nella totali tà della sua storia”.200 Per comprendere
appieno il significato di questa proposizione, non resta che
chiarire la sfumatura semantica che assume in Benjamin i l
termine “origine”. Egli , in un frammento dei PassagenWerk
scrive: “durante lo studio dell’esposizione simmeliana del
concetto di veri tà in Goethe mi apparve con molta chiarezza che
i l mio concetto di origine nel dramma barocco è una rigorosa e
cogente trasposizione di questo fondamentale concetto di
Urphänomen trasposto dal contesto pagano della natura a quello
ebraico della storia”.201 Se da una parte l’Urphänomen di
Goethe, in quanto evento propriamente naturale, è l’espressione
in sè spaziale-naturale dell’idea nel fenomeno, dall’altro
l’Ursprung (origine) di Benjamin, in quanto evento
199 Peter. Szondi, in nota a Immagini di città, op. cit., p. 115 200 Walter Benjamin, Il Dramma barocco tedesco, op. cit., p. 24 201 Walter Benjamin, Parigi..., op. cit., p. 598, N 2a, 4
propriamente storico, è espressione in sé temporale-storico
dell’eterno del tempo. E’ di capitale importanza, dunque,
concepire l’origine nell’impianto benjaminiano, “non come una
categoria logica , ma come categoria storica”.202 Perciò
l’origine non sta nella sfera dei fatt i ma si r iferisce alla loro
pre- e post- storia che nel fatto medesimo appaiono grazie alla
sua esposizione dialett ica; infatt i “ogni fatto storico esposto
dialet t icamente si polarizza e diventa una campo di forze in cui
si svolge i l confronto tra la sua pre- e post- storia”.203 E’ i l
presente che determina nell’oggetto del passato, per afferrarne
i l nocciolo, i l punto in cui si scindono la sua pre- e post- storia.
Questo passaggio trova la propria originaria matrice in un
paragrafo di Leibniz di cui noi sappiamo Benjamin avesse
conoscenza e che recita “poichè questo corpo [ la monade], per
la connessione di tutta la materia nel pieno, esprime tutto
l’universo, anche l’anima, in quanto rappresenta quel corpo che
le appartiene in modo particolare, rappresenta tutto
l’universo”.204
Sulla scorta dell’indicazione leibniziana, Benjamin può
affermare in un altro frammento dei Passagen Werk che è “la
struttura monadologica dell’oggetto della storia a richiedere che
esso sia sbalzato fuori dal continuum del corso storico. Esso
viene alla luce solo nell’oggetto estrapolato in questo modo e lo
fa nella figura del confli t to storico che forma l’interno (e, per
così dire, le viscere) dell’oggetto storico e nella quale entrano
in scala ridotta tutte le forze e gli interessi”.205 E’ la struttura
stessa della monade intesa come cristal lo del fat to storico che
implicitamente comporta che essa, nella polarizzazione
dialett ica che mette in gioco passato e futuro attualizzati nel
presente, sia densa di storia “fino a scoppiare”; e proprio questo 202 Walter Benjamin, Il Dramma barocco tedesco, op. cit., p. 24 203 Walter Benjamin, Parigi..., op. cit., p. 610, N 7a, 1 204 G. W. Leibniz, La monadologia, Firenze, 1985, § 65, pp. 173-174
carattere di compiutezza della struttura monadica - che connette
realmente l’universale con l’individualità del punto di vista
nell’orizzonte di simultaneità delle immagini della Jetzt-Zeit - ,
sorregge l’idea che alla base della storiografia materialist ica
st ia un principio costrutt ivo dialett ico vale a dire che “il
materialista affronta un oggetto storico unicamente dove esso si
presenta come monade”.206 Ciò sta a significare che in
un’indagine materialist ica la continuità epica, che colloca ogni
singolo fatto in una posizione temporale e spaziale
rigorosamente definita e non modificabile, andrà in frantumi a
vantaggio di una coerenza costrutt iva possibile solo in presenza
di una armatura teorica, come quella del Capitale di Marx, che
consenta di catturare nella rete della fi losofia gli aspett i più
attuali del passato; ed è qui che la costruzione di un fatto
storico si distingue nettamente, in un procedere di t ipo
materialist ico, da ciò che abitualmente viene definita la sua
ricostruzione. La ricostruzione implica i l solo piano
dell’immedesimazione, cioè del fare rivivere ciò che è stato nel
presente; la costruzione invece presuppone la distruzione, i l
momento cri t ico, cioè i l forzare e i l frantumare la continuità
della storia che non viene più pensata come un tessuto costruito
sul “mero nesso di causa ed effetto, ma è tutto di genere
dialett ico, ed è possibile che per secoli sono andati perduti certi
fi l i che i l corso attuale della storia riprende di colpo e quasi
inavverti tamente”.207 Il materialista storico non aspira ad una
esposizione omogenea né continua della storia; infatt i poichè la
sovrastruttura retroagisce sulla struttura, “risulta che una storia
omogenea, ad esempio, dell’economia, esiste tanto poco, quanto
una storia della letteratura o della giurisprudenza”208; e così al
205 Walter Benjamin, Parigi...op. cit, p. 616, N 10, 3 206 Walter Benjamin, Tesi di filosofia della storia, in Angelus Novus, op. cit., p. 85, tesi XVII 207 Walter Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, op. cit., p. 93 208 Walter Benjamin, Parigi..., op. cit., p. 610, N 7a 2
presente dello storico le differenti epoche del passato
interessano in modo differente, sicchè una continuità
dell’esposizione della storia è impossibile.
La monade, per i l principio costrutt ivo che la fonda, r imanda
non solo a Leibniz, ma anche al Marx dell’Introduzione al ‘57
in cui egli scrive che “la società borghese è la più complessa e
sviluppata organizzazione storica della produzione. Le
categorie che esprimono i suoi rapporti e che fanno
comprendere la sua struttura, permettono quindi di penetrare al
tempo stesso nella struttura e nei rapporti di produzione di tutte
le forme di società passate, sulle cui rovine e con i cui elementi
essa si è costruita, e di cui si t rascinano in essa ancora residui
parzialmente non superati [ . . . ] Il capitale è la potenza
economica della società borghese che domina tutto. Esso deve
costi tuire i l punto di partenza come il punto di arrivo [ . . . ]
Sarebbe dunque inopportuno ed erroneo disporre le categorie
economiche nell’ordine in cui esse si trovano l’una con l’altra
nella moderna società borghese, e che è esattamente l’inversa di
quella che si presenta come loro relazione naturale o
corrisponde alla successione dello sviluppo storico”. 209
L’indagine di questa fi l iera di nessi è, infatt i , compito e
fondamento di quella nuova scienza della storia che non ha più
“come oggetto un groviglio di puri dati di fatto, bensì quel
gruppo definito di f i l i che rappresenta la trama di un passato
nell’ordito del presente”210 e che in questo modo viene a dare
l’idea della ci tabil i tà del suo oggetto che quindi si presenta
come un att imo dell’umanità in cui i l tempo deve essere
arrestato.
Ecco qui magicamente forgiata sulla dutt i le lamina
dell’esperienza la concezione material ist ica della storia; qui i l
209 K. Marx, Lineamenti fondamentali di critica dell’economia politica, Firenze, 1968 , pp. 32-35 210 Walter Benjamin, Eduard Fuchs, il collezionista e lo storico, in op. cit., p. 93
concetto di presente comprende l’art icolarsi di vari tempi del
passato nell’ordito del proprio tempo. Ma in Benjamin c’è
qualcosa di più rispetto a Marx, c’è un innesto , del tutto
originale, della teologia sulla concezione materialist ica della
storia ; come ebbe a dire Gershom Scholem “Intendo il
marxismo , nel senso di Benjamin, come i l metodo esoterico
della teologia autentica”.211 Secondo un frammento del
Passagenwerk nella rimembranza [Eingedenken] “noi facciamo
una esperienza che ci impedisce di concepire la storia in modo
radicalmente ateologico”212 poichè la rimembranza è la
quintessenza della concezione teologica della storia tra gli
ebrei; per questo Benjamin può dire che “ i l mio pensiero sta
al la teologia come la carta assorbente all’inchiostro. Ne è
completamente imbevuto. Se dipendesse, tuttavia, dalla carta
assorbente, non resterebbe nulla di ciò che è scrit to”.213 Il
nuovo concetto benjaminiano di storia è fondato sulla dialett ica
di passato e futuro, di messianismo e memoria; l’abbandono del
presente non avviene attraverso un sorpasso puro e semplice del
passato e della puntuali tà dell’istante vissuto, i l presente non si
determina attraverso la funzione di un punto che scorre lungo
una rotta infinita, ma attraverso la sincronia, la simultaneità
delle immagini. Non è più solamente i l passato che si at tualizza
nel presente, ma le tre dimensioni temporali , passato, presente e
futuro sono stereoscopicamente compresenti nella
at tualizzazione della Jetzt-Zeit , che in quanto tale, si configura
come un momento di arresto. Nel volgersi indietro profetico del
veggente è contenuta l’immagine dialett ica come fulmine
sferico che corre lungo l’intero orizzonte del passato; lo storico
è un profeta rivolto all’indietro che scorge i l proprio tempo nel
medium dei destini trascorsi . Ma è proprio i l presente nel quale
211 Gershom Scholem, Storia di un’amicizia, Milano, 1992, p. 262 212 Walter Benjamin, Parigi..., p. 611, N 8, 1 213 Walter Benjamin, ibidem, N 7a, 7
si scrive storia ad esere oggetto di una profezia, “che non
annuncia qualcosa che verrà, fa soltanto sapere che cosa ha
suonato la campana [was die Glocke geschlagen hat]”214; questo
presente non è un passaggio, ma in esso i l tempo sta in bil ico e
si arresta. La storia infatt i è “oggetto di costruzione i l cui luogo
non è i l tempo omogeneo e vuoto, ma quello pieno di ‘ tempo-
ora’[Jetzt-Zeit]”215 in cui coalescono e si confrontano in una
posizione in condizione di arresto, passato presente e futuro, e
in cui le cose sono riprist inate nel loro giusto luogo; l’arresto
dell’accadere è come l’asta della bilancia, che oscilla, ma molto
debolmente, ed è nel miracolo di questa immobili tà esi tante,
che non è movimento repentino e neanche fissità assoluta, che è
“contenuto i l t remito leggero, impercett iblie, con cui [ l’istante]
attesta di vivere”.216 E’ qui, nell’idea dell’arresto come
momento dialett ico tra passato e futuro nella condizione di
immobili tà dell’at t imo presente, che sta la valenza messianica
del materialismo di Benjamin, poichè l’avvento del Messia
coincide con un fermarsi dell’accadere sulla soglia del tempo;
in quel momento si modifica non lo statuto ma il senso e i l
l imite delle cose. Questo profondo sentire messianico-
rivoluzionario trova una folgorante cristal l izzazione
nell’affermazione secondo cui “nel momento della redenzione,
si fanno accesibil i ambiti del divino mai apertisi prima, sicchè
lo stadio della redenzione sarà infinitamente più ricco e più
perfetto di ogni stato originario”.217 Questa let tura dell’accadere
messianico Benjamin la mutua dalla parabola, udita da
Scholem, che lo stesso Benjamin aveva raccontato una sera a
Ernst Bloch e che questi t rascrisse in Tracce . 218 Essa profetizza
che “per instaurare i l regno della pace non è necessario
214 Walter Benjamin,Manoscritti Preparatori , Ms 444, I 1250 215 Walter Benjamin, ibidem, Ms 443, I 1249s 216 Henry Focillon, Vie des Formes, Paris, 1934, p. 18 217 Gershom Scholem, Concetti fondamentali dell’ebraismo, Genova, 1995, p. 146 218 Ernst Bloch, Tracce, Milano, 1989, p. 216
distruggere tutto e dare inizio a un mondo completamente
nuovo, basta spostare solo un pochino questa tazza o
quell’arbusto o quella pietra, e così tutte le cose. Ma questo
pochino è così diffici le da realizzare e la sua misura così
difficile da trovare che, per quanto riguarda i l mondo, gli
uomini non ce la fanno ed è necessario che arrivi i l Messia.”219
La sua missione è realizzare i l compito che l’angelo della
storia, le cui ali sono prese nella tempesta del progresso non
può realizzare, e cioè “destare i morti e ricomporre l’infranto” -
formula che rinvia secondo Scholem al concetto cabalist ico di
Tikkun , termine polisemico che significa insieme redenzione,
resti tuzione, riparazione, riforma, ristabil imento dell’armonia
perduta.
Sulle tendenze razionalist iche dell’ebraismo - per cui nei giorni
del Messia i l mondo non cesserà di seguire i l suo corso
naturale, anzi tutto nel mondo procederà secondo il suo
andamento abituale, e i l Messia non si legit t imerà con miracoli
o segni cosmici, ma per i l successo storico della sua azione - si
innesta in Benjamin i l contenuto utopico della redenzione
messianica mutuato dalla kabbalah, che consente di intendere
tale redenzione in modo non restaurativo nella misura in cui,
pur rimanendo nella storia, l’unità riprist inata non è più
solamente quella iniziale, ma nella redenzione “dall’intimo del
219 Nella redazione di Benjamin essa suona: “Fra gli chassidim si racconta una storia sul mondo a venire, che dice: là tutto sarà proprio come è qui. Come ora è la nostra stanza, coì sarà nel mondo a venire; dove ora dorme il nostro bambino, là dormirà anche nell’altro mondo. E quello che indossiamo in questo mondo, lo porteremo addosso anche là. Tutto sarà com’è ora, solo un po' diverso”. Se la tesi secondo cui l’Assoluto è identico a questo mondo non è una novità -nella sua forma estrema essa è stata enunciata dai logici indiani nell’assioma: ‘fra il Nirvana e il mondo non c’è la più piccola differenza’, è nuovo al contrario il piccolo spostamento che la storia introduce nel mondo messianico, e che ha luogo non nelle cose, ma alla loro periferia, nell’agio fra ogni cosa e se stessa. Per dirla con San Tommaso, l’aureola è un supplemento che si aggiunge alla perfezione -qualcosa come un tremare di ciò che è perfetto; questo impercettibile tremito del finito, che ne indetermina i limiti e lo rende capace di confondersi, di farsi qualunque, è il piccolo spostamento che ogni cosa dovrà compiere nel mondo messianico. La sua beatitudine è quella di una potenza che viene dopo l’atto, di una materia che non resta sotto la forma, ma la circonda e l’aureola
mondo risplenderanno bagliori f ino a quel punto non ancora
emanati dalla loro sorgente”.220
Questa visione messianica dell’interrompersi della storia
nell’at t imo presente della Jetzt-Zeit viene da Benjamin spiegata
sulla scorta della considerazione che “al pensiero non
appartiene solo i l movimento delle idee ma anche i l loro
arresto, e quando il pensiero si arresta di colpo in una
costellazione carica di tensioni, le impartisce un urto per cui
esso si cristal l izza in una monade”.221 Il material ista storico
coglie la costel lazione in cui la propria epoca è venuta a
incontrarsi con una ben determinata epoca precedente, e fonda
così un “concetto di presente come tempo-ora in cui sono
inframmezzate schegge del tempo messianico”.222 In quest’ora
( jetzt) la verità è carica di tempo fino a frantumarsi, e questo
frantumarsi è la “morte dell’intentio”223, che coincide con la
nascita dell’autentico tempo storico, i l tempo della veri tà e
laddove i l passato è carico di questo esplosivo, del tempo-ora
[Jetzt-Zeit] , “l’indagine material ista accosta la sua miccia al
‘continuum della storia’. Con questo procedimento essa ha in
mente di far saltare fuori dal continuum quell’epoca
determinata, quella vita determinata, quell’opera determinata, e
in questo modo il frutto nutriente della comprensione storica
contiene nel suo interno i l tempo”.224
E’ i l commento alla realtà, che per Benjamin è una
interpretazione nei part icolari , quei piccoli part icolari che
contribuiscono a formare la struttura, che sono carichi di storia
e che purtuttavia in genere giacciono dimenticati nel r ipostiglio
della memoria degli sconfit t i , è questo commento alla realtà che
220 Gershom Scholem, I concetti fondamentali dell’ebraismo, op. cit., ibidem 221 Walter Benjamin, Tesi di filosofia della storia, in op. cit., p. 85, tesi XVII 222 Walter Benjamin, Manoscritti preparatori, Ms 1104, I 1251s 223 Walter Benjamin, Il Dramma barocco tedesco, op. cit., p. 13 224 Walter Benjamin, Manoscritti Preparatori, Ms 443, I 1249s
richiede un metodo di analisi molto particolare, quello
“esoterico della teologia autentica”.
Il passato, in questo senso, porta con sè un indice segreto che lo
rimanda alla redenzione ed è nella fel ici tà che massimamente
vibra quest’idea, giacchè “possiamo respirare la fel ici tà solo
nell’aria che abbiamo respirato, tra le persone che hanno
vissuto con noi”225; la nostra vita è “un muscolo” che ha
sufficiente forza per contrarre l’intero tempo storico in maniera
tale che “ogni concetto del presente partecipa del concetto di
giorno del giudizio. Il detto apocrifo di un vangelo: giudicherò
ognuno là dove lo troverò - getta una luce assai particolare sul
giorno del giudizio finale. Ricorda una annotazione di Kafka: i l
giorno finale è uno stato d’emergenza [Standrecht]226. Ma vi
aggiunge qualcosa: i l giorno del giudizio, secondo questo detto,
non si dist inguerebbe dagli altr i giorni. Questo detto evangelico
fornisce ad ogni modo il canone per i l concetto presente che lo
storico fa proprio. Ogni att imo è l’att imo del giudizio su cert i
att imi che l’hanno preceduto”227 e “se ogni epoca è in rapporto
diretto con Dio, lo è in quanto tempo messianico di una qualche
epoca precedente”.228 Il nuovo compito che Benjamin delinea è
225 Walter Benjamin, Parigi..., op. cit., p. 622, 623, N 13a, 1 226 C’è qui il richiamo anche se rovesciato alla concezione schmittiana della sovranità; se per Carl Schmitt, teorico del diritto conservatore, il sovrano decide sullo stato d’eccezione, ha il potere legittimo di sospendere la validità della legge, e quindi è paradossalmente dentro e fuori dalla stessa, qui la tesi è coniugata con l’idea del tempo messianico, per cui lo stato messianico è quello che produce lo stato d’emergenza, che trasporta in atto ciò che in Schmitt esisteva solo potenzialmente. E’ nel Dramma Barocco Tedesco che Benjamin mutua da Carl Schmitt il concetto di sovranità come fondato, in ultima analisi, sui poteri dittatoriali dello Stato di eccezione “poichè esso [il barocco ] ha di fronte, antitetica all’ideale storico della restaurazione, l’idea della catastrofe. E in base a questa antiteticità viene coniata la teoria dello stato d’eccezione [...] Compito del tiranno è la restaurazione dell’ordine nello stato d’eccezione: una dittatura, la cui utopia sarà sempre di porre, al posto dell’instabile divenire storico, la ferrea costituzione delle leggi di natura”. Sia la critica reazionaria che quella anarchica rifiutano i miti liberali e percepiscono lo stato d’eccezione come il nocciolo dell’ordine politico. 227 Walter Benjamin, Manoscritti Preparatori, Ms 483 8-23, I, 1245 228 Ms 1816 -1819 cv 8, I 1174 ; già Karl Barth, nella sua Lettera ai Romani, osserva che “il messianico non è un altro tempo della storia, vive in esso come giudizio, è un giudizio continuo incessante di ogni istante della storia”. Probabilmente Benjamin conosceva Barth indirettamente attraverso la recensione positiva che fece al numero del 1936 della rivista di Henry Corbin, in cui era contenuto un articolo dello stesso sulla teologia dialettica. Mentre
quello di portare in atto l’istante messianico che produce lo
stato d’eccezione [Aufnahme zu Stand] effet t ivo; l’at t imo
dell’arresto messianico è un istante di giudizio e ciò significa
che non c’è una storia divina particolare, ma che tutta la storia
della religione si svolge nel mondo, e in quella che si chiama
storia della salvezza ogni at t imo è i l giudizio finale per ciò che
è accaduto in qualche att imo precedente, e quindi i l messianico
è giudizio continuo, e perciò senza regola, senza posizione di
una norma.229 Il giudizio finale, das jungste Gericht, novissima
dies, anticipa sempre la legge, le è sempre più giovane, stando
al di qua o al di là di essa.
2. Redenzione e Rivoluzione
In definit iva potremmo dire che un’idea della storia che si fosse
l iberata dello schema della progressione in un tempo omogeneo
e vuoto, r iporterebbe finalmente in campo le energie distrutt ive
del materialismo storico, che per tanto tempo sono state
paralizzate, e renderebbe possibile i l vacil lare delle tre
posizioni più importanti dello storicismo, e cioè l’ idea della
storia universale [ intesa in senso “reazionario”]- che è possibile
in quanto tale, nella sua pienezza di storia messianica in cui
ogni att imo è ricollocato nel suo giusto luogo e i l passato è
quindi citabile in ciascuno dei suoi momenti , solo laddove
esista una l ingua universale, intesa in senso teologico come nel
Medioevo o logico come in Leibniz -, l ’immagine epica della
storia - cioè la sua narrabil i tà come continuità causale di eventi
- e l’idea dell’immedesimazione nel vincitore - che torna
sempre a vantaggio dei dominatori del momento. L’inventario
però in Benjamin il giudizio messianico si riferisce al passato, nella teologia dialettica la krisis è al presente 229 Qui la posizione di Benjamin è in contrasto con le tesi schmittiane secondo le quali la sovranità come stato d’eccezione è una legge che sta dentro e fuori se stessa; mentre la regola si limita a vivere dello stato di eccezione, qui lo stato di eccezione diventa la regola
del bott ino che i vincitori mettono in mostra davanti agli
sconfit t i è la cultura, patrimonio di valori considerato
indipendente non dal processo di produzione in cui nacquero i
valori , ma da quello in cui essi perdurano, e che servono così
al l’apoteosi del dominatore e al l’asservimento dei vinti , che
come una preda, sono trascinati nel tr ionfo, sommersi dalla
polvere. Ma proprio perchè i piccoli particolari della storia, i
r i tagli , le pezze, vengono accantonati in nome del vincitore,
proprio perchè nella cultura determinati at t imi della storia
vengono cancellati , proprio per questi motivi i l materialismo
storico non può considerare la storia altrimenti che come una
costellazione del pericolo, e solo l’elaborazione di questo
nuovo concetto crit ico del presente , in cui nulla di ciò che si è
verif icato vada perduto , può fondare e dare al soggetto storico
la possibil i tà di art icolare storicamente i l passato e di andare
verso un futuro, che non sia solo uno sguardo più grande sul
cumulo di rovine che cresce davanti agli occhi dell’angelo
spinto dalla tempesta del progresso230, e di scardinare quell’idea
di storia universale legata al progresso e alla cultura; in tal
modo si r imetterà in discussione ogni vit toria che sia toccata,
nel tempo, ai dominatori . La legit t imazione dello storico quindi
dipende dalla sua netta consapevolezza della crisi in cui, di
volta in volta, è entrato i l soggetto della storia. Questo soggetto
non è qualcosa di trascendentale, “ma il soggetto della
storiografia è, in l inea di diri t to, quella parte dell’umanità la
cui solidarietà abbraccia tutt i gli oppressi”231 e “la tradizione
degli oppressi fa della classe operaia la classe redentrice. Solo
per la classe operaia si dà la conoscenza storica, e per lei
unicamente, nell’att imo storico. Con questa definizione si
conferma la l iquidazione del momento epico nell’esposizione
della storia. Alla memoria involontaria - e ciò la distingue dalla
230 Questa immagine è contenuta nelle Tesi di Filosofia della Storia, in op. cit., tesi IX, p. 80 231 Walter Benjamin, Manoscritti Preparatori, Ms 484, 10-13, I 1234
memoria volontaria - non si offre mai un decorso di eventi , ma
solo un’immagine”.232
Il presente concepito come Jetzt-Zeit , “l’immagine del passato
che balena nell’adesso ( jetzt) della sua riconoscibil i tà è,
secondo le sue determinazioni ulteriori , un’immagine del
ricordo (Erinnerung) [ . . . ] La storia in senso rigoroso è
un’immagine che viene dalla memoria involontaria
[unwillkürliches Eingedenken] , un’immagine che si presenta
improvvisamente al soggetto della storia nell’att imo del
pericolo”.233 Ma la rimembranza da sola in quanto tale è
impotente a trasformare i l mondo: uno dei grandi merit i di
Baudelaire agli occhi di Benjamin è proprio i l r iconoscimento
disperato di questa impotenza. Analizzando il verso di
Baudelaire “le printemps adorable a perdu son odeur!”,
Benjamin scrive che “il crollo e la sparizione dell’esperienza a
cui ha - in un tempo lontano - partecipato è ammesso nella
parola perdu. [ . . . ] E’ ciò che rende questo verso di Baudelaire
infinitamente sconsolato. Per chi non può fare più alcuna
esperienza , non c’è conforto”.234
Benjamin individua i l superamento di questa impotenza nella
“rivoluzione proletaria che può e deve operare l’interruzione
messianica del corso del mondo”.235 Vi è qui un privilegio
assoluto accordato al l’approccio di Marx236 poichè egli ,
“nell’esperire l’alienazione, penetra in una dimensione
essenziale della storia, [perciò] la concezione marxista della
storia è superiore ad ogni al tra storiografia”.237 Questa istanza
metodologica e polit ica può, nell’istante della sua praticabili tà,
nutrendosi della forza della rimembranza, restaurare
232 Walter Benjamin, ibidem, Ms 474, I 1242s 233 Walter Benjamin, ibidem 234 citato in M. Löwy, op. cit., p. 130 235 W. Benjamin, Tesi di filosofia della Storia, in op. cit., p. 82, tesi 12 236 A tale riguardo Benjamin si pronuncia direttamente nella prima Tesi sul concetto di Storia che verrà più oltre introdotta 237 Martin Heidegger, Lettera sull’umanismo, in op. cit., p. 292
l ’esperienza perduta , abolire l’inferno della merce, spezzare i l
cerchio malefico del sempre identico, l iberare l’umanità
dall’angoscia mitica e gli individui dalla condizione di automi.
Se dalla reificazione non si può più dedurre immediatamente la
disposizione rivoluzionaria del proletariato, è compito del
material ista storico intraprendere una valorizzazione dialett ica
delle immagini oniriche collett ive e provocare l’att imo
integrale del risveglio dall’apparenza fantasmagorica della
merce, in quanto i l compito più proprio dell’esperienza
dialett ica è dissolvere l’apparenza del sempre uguale, anche
solo quella della ripetizione della storia
Questa visione dell’interruzione redentrice della continuità
della storia è incarnata agli occhi di Benjamin da Blanqui “il
cui nome ha fatto tremare col suo t imbro metall ico i l secolo
precedente”238; i l presupposto fondamentale della sua att ività
non è mai stata la fiducia i l lusoria nel progresso ma la
decisione di mettere fine all’ingiustizia presente. Blanqui in
connessione con Nietzsche permette a Benjamin di
rappresentare la necessità della rottura del tempo omogeneo e
vuoto del progresso in cui ogni att imo cancella i l precedente e
insieme lo ripete nella coazione a movimenti sempre uguali239,
ma al contempo, anche, di superare i l imiti della teoria dell’
eterno ri torno, in quanto essa stessa interna a ciò che si
proponeva di vincere poichè “il destino, i l vero ordine
dell’eterno ri torno, soltanto impropriamente, parassitariamente
può essere definito temporale, le sue manifestazioni cercano
piuttosto i l tempo spazio”240; l’eterno ri torno “trasforma
238 W. Benjamin, Tesi di filosofia della storia, in op. cit, p. 82, Tesi 12 239 Citando alcuni passi del Capitale sul lavoro meccanico dell’operaio, già Lukàcs commenta “il tempo perde così il suo carattere qualitativo, mutevole, fluido: esso si irrigidisce in un continuum esattamente delimitato, quantitativamente misurabile, riempito da cose quantitativamente misurabili (le operazioni reificate del lavoratore, oggettivate meccanicamente ed esattamente separate dalla sua personalità umana complessiva): in uno spazio”; Gyorgy Lukàcs, Storia e coscienza di classe, Milano, 1988, p. 116 seguenti 240 W. Benjamin, Il Dramma barocco tedesco, op. cit., p. 133. In questo senso è interessante ricordare come nella Gaia Scienza alla domanda del demone: “Vuoi tu che questo istante
l ’accadere storico in art icolo di massa” e “suscita per incanto
l’idea speculativa (o la fantasmagoria) della fel ici tà”241.
Nel balenare del passato nel presente nell’ora della sua
riconoscibil i tà, nella frantumazione della vuota omogeneità
della dimensione temporale l ineare, e nel superamento dell’idea
dell’eterno ri torno invece la classe oppressa può liberarsi dalla
trappola del continuum , scrivere storia per proprio conto,
poichè sussiste un nesso strett issimo tra l’azione storica di una
classe e i l concetto che questa classe ha non solo della storia
futura, ma anche della storia passata; ciò è solo apparentemente
in contraddizione con la constatazione che la coscienza di una
discontinuità storica è la peculiarità delle classi r ivoluzionarie
nell’att imo della loro azione. Nell’idea del discontinuum s ta i l
fondamento della vera tradizione, e la storia “ha i l compito non
solo di impossessarsi della tradizione degli oppressi , ma anche
di ist i tuirla” 242 poichè le rivoluzioni s imboleggiano lo
scardinamento del continuum col dare inizio ad un nuovo
computo degli anni, cioè ad un nuovo calendario. Così come in
“Israele, i l passaggio primordiale verso la comprensione della
propria esistenza storica e verso la concezione dell’unità
teologica del tempo, si attua in un primo momento nella
trasformazione del calendario cananeo in cui le fest ività
divennero commemorazione di avvenimenti storici . Questo
operare nel tempo di Dio non trascorre nel passato, ma vive
nelle generazioni successive come memoria ri tornante
dell’identi tà collet t iva”.243 Il giorno in cui ha inizio un
calendario funge da sintesi accelerata della storia ed è “in
fondo, sempre questo giorno che ri torna sotto forma dei giorni
festivi , che sono giorni della memoria. I calendari , infatt i , non torni infinite volte?”, viene pronunciata la risposta “Si, lo voglio”. Decisivo è qui lo spostamento messianico che cambia integralmente il mondo lasciandolo quasi intatto, giacchè tutto rimane uguale ma ha perduto la sua identità. 241 Walter Benjamin, Parco Centrale, in Angelus Novus, op. cit., pp. 132, 140 242 Walter Benjamin, Manoscritti preparatori, Ms 488 2-3, I 1246
misurano i l tempo come gli orologi”244, e in questo senso per la
tradizione delle classi oppresse e per la classe rivoluzionaria
nel momento dell’azione, i l tempo non è omogeneo e vuoto
come quello degli orologi dei campanili contro i quali i
r ivoltosi sparano, ma eterogeneo, qualitativamente
differenziato, discontinuo; non è vuoto ma riempito con i l
tempo attuale o i l presente (Jetzt-Zeit) che fa esplodere la
continuità della storia. In opposizione alla realtà alienata del
mondo del sempre-uguale la felicità è data dalla memoria
involontaria, non la si può trovare nell’art if iciali tà dell’erleben
o nella forma della proprietà inalienabile senza distruggerla; è
nelle immagini del desiderio - che hanno il carattere
ambivalente di passato remoto indist into legato ad un futuro
indistinto e sono precisabili solo quando passato e futuro
entrano in congiunzione nell’ora dello jetzt - che sta l’idea
della fel ici tà.
Nel quadro di questa concezione quali tat iva-att iva del tempo è
possibile aprire i l campo storico alla novità utopica irriducibile
all’accumulazione meccanica, r ipeti t iva, quantitativa. “La
fiducia nell’accumulazione quantitativa sta alla base tanto
dell’ottusa fede nel progresso quanto della fiducia nella “base
di massa”.245
E’ nelle Tesi di f i losofia della storia che Benjamin formula nel
modo più denso di significati la sua visione della rivoluzione
come interruzione redentrice della continuità della storia;
questa concezione messianica-rivoluzionaria calata nella storia,
in nuce246 in tutto i l cammino intellet tuale di Benjamin,
243 M. Noth, Storia d’Isralele, Brescia, 1975, p. 11 244 Walter Benjamin, Manoscritti Preparatori, Ms 1055v, I 1250 245 Walter Benjamin, Manoscritti Preparatori, Ms 1105, 3-5, I 1232 246 Uno dei primi scritti in cui queste vedute rivoluzionarie che anticipano la dialettica tra messianismo, rivoluzione e teologia, si manifestarono con tutta la loro carica esplosiva è il saggio Per la critica della violenza, direttamente ispirato dalle riflessioni sulla violenza di Sorel. In questo testo Benjamin esprime il proprio disprezzo assoluto per le istituzioni statali come la polizia, “massima degenerazione possibile della violenza”, o il parlamento; egli approva senza riserve la critica antiparlamentare radicale e ampiamente giustificata dei
rappresenta però i l suo ult imo sforzo in un momento storico
caratterizzato dalla vit toria nazional-socialista, dal fal l imento
della socialdemocrazia tedesca e francese, nonchè dal
mostruoso patto tra Stalin e Hitler; l’insegnamento che
Benjamin vuole trasmettere è che bisogna giungere ad un
concetto di storia in base al quale la si tuazione eccezionale in
cui viviamo costi tuisca la regola, sicchè allora “avremo di
fronte, come nostro compito storico, la creazione della
si tuazione eccezionale; e ciò migliorerà di molto la nostra
posizione nella lotta contro i l fascismo. La superiori tà che
questo ha nei confronti della sinistra trova, non da ult imo, la
sua espressione nel fatto che essa gli muove contro in nome
della norma storica, di una sorta di condizione media della
storia”.247 La rivoluzione degli oppressi è associata alla figura
del Messia che non viene solo come redentore, ma anche come
vincitore sull’anticristo248, i l cui volto attuale secondo
Benjamin è appunto quello del terzo Reich.
Questo messianismo storico s i si tua agli antipodi di ogni
storicismo progressista, i l Messia interrompe la storia, non
viene alla fine di una evoluzione.249 Tale modali tà messianico-
rivoluzionaria di accostarsi al passato consente quindi di
affrontare quest’ult imo non in modo storiografico, ma in modo
poli t ico, con categorie poli t iche; infatt i i l concetto di Jetzt-Zeit
ist i tuisce una connessione tra storiografia e polit ica, identica a
quella teologica tra memoria e redenzione; se è questo presente,
la Jetzt-Zeit , che si deposita in immagini che si possono
chiamare dialett iche, e che rappresentano “un’idea che salva”
dell’umanità, i l legame tra l’Erfahrung , la teologia e i l bolscevichi e degli anarcosindacalisti, tuttavia Benjamin si separa da Sorel collocandosi sul piano della teologia messianica: la violenza rivoluzionaria, in quanto violenza pura e immediata, è una manifestazione della violenza divina, distruttrice del diritto e che si oppone così alla violenza mitica fondatrice del diritto come alla violenza conservatrice del diritto 247 Walter Benjamin, Manoscritti Preparatori, Ms 488 6-18, I 1246 248 Questo richiamo è contenuto nelle Tesi di Filosofia della Storia, in op. cit., p. 78, Tesi VI
materialismo storico è l’Eingedenken [rimembranza, memoria] ,
dist into dall’ Andenken , legato al semplice vissuto (Erlebnis) .
Questa connessione tra esperienza , memoria e teologia s i
esplica chiaramente in riferimento all’uomo ridotto ad automa
che ha perduto tutta l’esperienza (Erfahrung) e tutta la
memoria; in una conferenza del 1930, Benjamin aveva già
manifestato i l proprio interesse per i l dualismo risolutamente
religioso tra la vita e l’automa che si trova nei racconti
fantastici di Hoffmann, Poe, Kubin e Panizza. Questa
osservazione si riferisce tra l’al tro ad un testo di Poe inti tolato
Il giocatore di scacchi di Maelzel , testo che ha ispirato la Tesi
prima di f i losofia della storia, dove Benjamin mette in scena un
fantoccio automa in veste da turco, con in bocca una pipa e che
doveva vincere ogni parti ta a condizione che un nano gobbo
guidasse la mano del buratt ino.250 La conclusione fi losofica del
giocatore di scacchi di Maelzel è la seguente: “è assolutamente
certo che le operazioni dell’automa sono regolate dallo spiri to e
non da altro”. Ciò che Poe chiama spiri to, nel testo di Benjamin
diviene la Teologia , cioè lo spiri to messianico senza i l quale la
rivoluzione non può trionfare nè i l materialismo storico vincere
la parti ta, in opposizione alle concezioni materialiste volgari
(meccaniciste) della socialdemocrazia e del comunismo
staliniano, che concepiscono lo sviluppo delle forze produttive,
del progresso economico come miglioramento automatico,
irresist ibile, i l l imitato, e dello sviluppo tecnico come corrente
che basta seguire per andare avanti e che conduce
automaticamente alla crisi finale del capital ismo e alla vit toria
del proletariato251, che “non trovò nessuna corrispondenza
storica con la propria coscienza di un nuovo inizio poichè per
249 Vi è analogia tra la concezione messianica della storia di Benjamin nelle tesi e certe idee avanzate da Rosenzweig in La stella della Redenzione, Genova, 1986 250 E’ la Tesi I di filosofia della storia, in Walter Benjamin, Tesi di Filosofia della Storia, in op. cit., p. 75 251 Walter Benjamin, Tesi di Filosofia della Storia, op. cit., p. 81, Tesi XI
lei non ebbe luogo nessun ricordo. La socialdemocrazia assegnò
alla classe operaia i l ruolo di redentrice delle generazioni
future e recise così i l nerbo della sua forza”.252 Questo fu
l’errore fatale nella concezione socialdemocratica della storia,
che la classe operaria doveva apparire come redentrice nei
confronti delle generazioni future, mentre essa deve dare prova
della sua forza redentrice rispetto alle generazioni che la hanno
preceduta. Così “la classe disapprese a questa scuola [quella
della socialdemocrazia] sia l’odio che i l sacrificio. Poichè
entrambi traggono alimento più dalla vera immagine degli avi
asservit i che dall’immagine ideale della posteri tà l iberata. La
frase: “nessuna gloria ai vincitori , nessuna pietà ai vinti”, è
così efficace perchè esprime più una solidarietà con i fratell i
morti che una solidarietà con i posteri”.253
Se l’ideale assoluto della socialdemocrazia era l’ist i tuzione di
una società senza classi , nella tesi XVIIa inedita scoperta,
pochi anni orsono, Benjamin tratteggia nit idamente l’autentica
concezione di Marx di tale società in opposizione a quella
volgare sostenuta dai socialdemocratici .
Infatt i Benjamin afferma che “nell’idea della società senza
classi Marx ha secolarizzato l’idea del tempo messianico. E
così andava bene. I disastri ebbero inizio quando la
socialdemocrazia elevò tale idea a ideale. Nella dottrina
neokantiana l’ideale veniva definito come un compito infinito.
E questa dottrina era la fi losofia scolastica del part i to
socialdemocratico - da Schmidt a Stadler fino a Natorp e
Vorländer. Una volta definita la società senza classi come un
compito infinito, i l tempo omogeneo e vuoto si trasformò in una
anticamera nella quale si poteva attendere l’avvento della
si tuazione rivoluzionaria. In realtà non vi è un att imo che non
rechi in sé la propria chanche rivoluzionaria. Il pensatore
252 Walter Benjamin, Manoscritti preparatori, ms 466r, I 1236s 253 Walter Benjamin, ibidem
rivoluzionario ne trae conferma dal potere delle chiavi che tale
at t imo possiede nei confronti di una determinata stanza, fino ad
ora chiusa, del passato. L’ingresso in questa stanza coincide
esattamente con l’azione poli t ica, ed è in questo che tale
azione, per quanto distrutt iva, si viene a riconoscere come
un’azione messianica. La società senza classi non è la meta
finale del progresso nella storia, ma ne è piuttosto
l’interruzione tante volte fal l i ta e finalmente attuata”.254
L’eco della tesi della convergenza di messianismo e polit ica -
che nella Jetzt-Zeit at tualizza ciò che la socialdemocrazia
riponeva nella “società senza classi come un compito infinito” e
che i l dogma religioso erigeva nel pensiero teocratico del
“Regno di Dio”- si r i trova in nuce nel Frammento teologico-
polit ico databile probabilmente ai primi mesi del 1919255, in cui
si afferma che “l’ordine del profano deve essere orientato
sull’idea di fel ici tà” e “la relazione di quest’ordine con i l
messianico è uno dei punti dottrinali essenziali della fi losofia
della storia. . .poichè nella felicità ogni essere terrestre aspira al
suo tramonto, ma solo nella felicità esso è destinato a trovarlo.
[ . . . ] Alla resti tutio in integrum spiri tuale, che conduce
all’immortali tà, ne corrisponde una mondana, che porta
all’eternità di un tramonto e i l r i tmo di questa mondanità che
eternamente trapassa, e trapassa nella sua totali tà, non solo
spaziale, ma anche temporale, i l r i tmo della natura messianica è
la fel ici tà. Poichè la natura è messianica, per la sua eterna e
totale caducità. Tendere a questa [ . . . ] è i l compito della polit ica
mondiale [ . . . ]”.256
Analizzando le idee che “elett ivamente” si con-fondono nel
pensiero di Benjamin, Scholem osserva che l’idea messianica 254 Walter Benjamin, Manoscritti Preparatori, Ms 1098, I 1231 255 Per la questione della sua datazione si rimanda al commento al Frammento Teologico-Politico contenuto nell’edizione italiana in Il concetto di critica nel romanticismo tedesco, Torino, 1982, p. 172
che continua a svolgere nell’ult ima parte dell’opera di
Benjamin un ruolo prioritario, r iveste in lui un carattere
profondamente apocalit t ico e distruttore, dove i l principio di
distruzione appare come un aspetto della redenzione, che si
manifesta nell’immanenza e si realizza attraverso la storia del
lavoro umano. Scholem riferisce questa problematica
soprattutto al saggio Il carattere distrutt ivo , ma i Manoscrit t i
Preparatori per le Tesi di Filosofia di Storia sono l’espressione
più sorprendente di questo concetto messianico rivoluzionario
di distruzione che intreccia la lotta di classe con la redenzione,
Marx con Necaev, i l material ismo storico e Dostoevskij , che
Benjamin considerava come uno dei grandi anarchici del secolo
diciannovesimo: “Forza dell’odio in Marx. Desiderio di lotta
della classe operaia. Connettere la distruzione rivoluzionaria
con l’idea della redenzione. (Necaev, I demoni)”.257
Nella parentela stabil i ta tra passato remoto e futuro messianico,
e in cui la classe oppressa gioca i l ruolo di attualizzatrice nel
presente storico attraverso appunto i l carattere rivoluzionario e
quindi distrutt ivo, è speculare i l rapporto che si stabil isce tra
arcaico e novissimum . L’arcaico, i l dimenticato, è imprigionato
in noi, è sempre presente immutato, irrigidito, nel singolo o
nella collett ività e uno choc, o la rottura di una tradizione lo
fanno risorgere, lo riportano alla luce. In tale immagine
concettuale dell’arcaico confluiscono, sia le teorie di Bachofen
- l’opera di Bachofen, sottolinea Benjamin, è stata ispirata da
fonti romantiche, ed essa ha att irato l’at tenzione di pensatori
marxist i e anarchici a causa della sua evocazione di una società
comunista al l’alba della storia - e di Klages sulla preistoria e
sul ctonismo, sia la concezione di Freud sull’apparato psichico
nel quale i l tempo si presenta come campo di forza di istanze
256Walter Benjamin, Frammento Teologico-Politico, in Il concetto di critica nel Romanticismo tedesco, Torino, 1982, pp. 171, 172 257 Walter Benjamin, Manoscritti Preparatori, Ms 449 1-3, I 1241
contrastanti ( l’una che non conosce i l tempo, l’altra che lo
esperisce) che ha come risultante un tempo quale coesistenza di
coesistenza e successione .
La rivoluzione assume il carattere non già di continuazione del
progresso, ma di interruzione del progresso e di attualizzazione
dell’Erfahrung pre-istorica (Bachofen è interessante per
Benjamin proprio perchè att inge da quell’humus preistorico in
cui le classi sono un concetto assente); r iconciliando di nuovo
l’uomo con la natura, la rivoluzione mondiale renderà
nuovamente possibile l’esperienza della società senza classi
della preistoria, forma secolarizzata dell’era messianica, del
paradiso perduto e ri trovato, quello da cui ci allontana la
tempesta del progresso.
Movendo dalla condizione sociale tardo-borghese, irrigidita e
prigioniera del principio di individuazione, Benjamin cerca la
strada delle perdute, originarie categorie del sociale.
Se l’esistenza della società senza classi non può essere pensata
entro lo stesso ordine temporale della lotta per essa, purtuttavia
i l concetto di presente nel senso che è d’obbligo per lo storico è
necessariamente definito da questi due ordini temporali ; senza
un esame condotto a partire dalla società senza classi , del
passato si dà solo un “centone storico”; per questo i l futuro
redento è legato alla restaurazione di un paradiso perduto, sul
modello delle società arcaiche dell’Urgeshichte che sono così
quelle dell’armonia tra l’uomo e la natura, infranta dal
progresso e da ristabil ire nella società emancipata del futuro.
Depositate nell’inconscio collett ivo, le esperienze di questa
società “producono, compenetrandosi col nuovo, l’utopia”. 258
Per Benjamin non si tratta dunque di restaurare la comunità
primitiva, ma di ri trovare, at traverso la rimembranza collet t iva,
l’esperienza perduta dell’antico eguali tarismo antiautori tario e
258 Walter Benjamin, Angelus novus, op. cit., p. 147
antipatriarcale, e di farne una forza spiri tuale nella lotta
rivoluzionaria per l’ist i tuzione della società senza classi
dell’avvenire in contrapposizione al mondo capitalist ico
moderno, dominato dalla merce, luogo per eccellenza della
ripetizione, del sempre identico travesti to da novità, del mito
angosciante e infernale dell’eterno ri torno (che è quello della
ripeti t ività infinita).
La rivoluzione è dunque al tempo stesso utopia dell’avvenire e
redenzione messianica, poichè “la concezione autentica del
tempo storico riposa interamente sull’immagine della
redenzione”.259 Rivolta apparentemente verso i l passato, la
ricerca benjaminiana dell’esperienza perduta si orienta alla fine
verso l’avvenire messianico rivoluzionario.
Ursprung ist das Ziel [nota Karl Kraus], l’origine è i l f ine -
esergo alla XIV delle Tesi di fi losofia della storia, quella che
definisce la rivoluzione come “un balzo di t igre nel passato” - è
l’espressione di questa struttura significativa. Anche in Parigi
Capitale del XIX secolo Benjamin si riferisce ai sogni del
futuro come sempre accoppiati con elementi provenienti dalla
storia arcaica , cioè da una società senza classi . La società
senza classi non è lo scopo finale del progresso storico, ma la
sua interruzione così spesso mancata e finalmente at tuata, di
contro al la società senza classi della socialdemocrazia che
diventa ciò che fonda e guida tutto i l divenire storico, senza
mai essere essa stessa raggiunta in una esperienza .
Questa dimensione legata al recupero della società pre-istorica,
che non ha come orizzonte i l mito, ma che integra ludicamente
i l passato nel presente ed ha un’idea creativa della
riconcil iazione futura, è rappresentata per Benjamin da Fourier.
Egli , in Parigi capitale del XIX secolo, è paragonato a Paul
Scheerbart come esempio paradigmatico della congiunzione tra
259 Walter Benjamin, Parigi..., op. cit., p. 632, N 13a, 1
i l vecchio e i l nuovo in una utopia che dà nuova vita ai simboli
primitivi del desiderio; in uno scrit to a lui dedicato come
recensione del romanzo Lesabendio260, composto nel 1919,
Benjamin afferma che “il suo l ibro è colmo ovunque
dell’intell igenza, della concezione e dell’idea”.261 In una let tera
a Werner Kraft Benjamin scriveva: “Su questo nostro pianeta
sono andate in rovina, nel sangue e nell’orrore, già moltissime
civil tà. Come è naturale, bisogna augurargli di sperimentare una
civil tà che abbia lasciato alle proprie spalle sia i l sangue che
l’orrore. E anzi , sono propenso a ri tenere, come Scheerbart , che
i l nostro pianeta non faccia altro che attendere una tale
civil tà”.262 La figura di Scheerbart , pressochè sconosciuta alla
maggioranza dei suoi contemporanei, e che Benjamin venne a
conoscere grazie al dono che Scholem gli fece del romanzo
Lesabendio , r iveste nelle considerazioni poli t iche di Benjamin
una notevole importanza; disgraziatamente i l saggio Il vero
polit ico [Der wahre Polit iker] che Benjamin scrisse avendo
Scheerbart e la sua produzione a modello è andato perduto, ne
rimangono solo tracce che però denunciano in modo
significativo i l compito del poli t ico come era inteso da
Benjamin, se è vero che le due parti che dovevano costi tuire i l
lavoro si inti tolavano “Distruzione della violenza” e “Teologia
senza scopo”; e cioè un’ azione pratica tesa a resti tuire
all’uomo la proprietà dei suoi gesti e delle sue esperienze, e in
questo sta la ricerca di quella felici tà immanente che è lo stesso
“ritmo della natura messianica”.263
260 Paul Scheerbart, Lesabendio, Pordenone 1991 261Walter Benjamin, Paul Scheerbart: Lesabendio, in Il Concetto di critica nel Romanticismo tedesco, op. cit., p. 128 262 Walter Benjamin, Lettere, op. cit., 263 Walter Benjamin, Frammento Teologico-Politico, in op. cit., p. 172
Il procedimento di Benjamin, invero, caratterist ico del
romanticismo rivoluzionario, consiste nel tessere rapporti
dialett ici tra i l passato precapitalista e l’avvenire
postcapital ista, l ’armonia arcaica e l’armonia utopica, l’antica
esperienza perduta e la futura esperienza l iberata, movimenti
che non si r isolvono in una oscil lazione tra due poli ma in un
arresto che dialet t icamente l i com-prende entrambi.264 Come
Benjamin, anche Scheerbart era un personaggio eccentrico e
marginale, e proprio da questa sua privilegiata condizione di
marginalità gli fu possibile sferrare un attacco duro e al tempo
stesso lucido alla società del suo tempo, che voleva però essere
anche un pronunciarsi senza riserve per essa; egli r ifugge
dall’immagine umana tradizionale “solenne, nobile, fregiata di
tutte le offerte sacrificali del passato, per rivolgersi al nudo
uomo del nostro tempo, che stri l lando come un neonato, se ne
giace nelle sudicie fasce di quest’epoca”265 e per i l quale aspira
al l’arcaico nella sua forma di comunitarismo e assenza di
classe.
Così egli nella sua Architettura di vetro , scrive che “non siamo
alla fine, bensì al l’inizio di un’era della civil tà. Dalla tecnica e
dalla chimica possiamo attenderci ben altri miracoli veramente
straordinari . Non dimentichiamolo mai. Questa sicurezza
dovrebbe infonderci un coraggio sempre nuovo; essere legati
al l’antico è in cert i casi un’ott ima cosa; almeno si preservano le
cose antiche. Anche noi siamo legati all’antico -non vogliamo,
infatt i , che siano abbattute le piramidi dell’antico Egitto.
264 Il legame tra romanticismo e messianismo è documentato non solo dall’interesse di Benjamin per gli scritti mistici e cabalistici di pensatori romantici come Franz von Baader e Franz Joseph Molitor, ma soprattutto dalla sua tesi di laurea Il concetto di critica nel romanticismo tedesco (1919); in essa si trova quel passo che è capitale per comprendere la sua filosofia messianica della storia in gestazione: egli oppone l’infinito temporale qualitativo del messianismo romantico, per cui la vita dell’umanità è un processo di realizzazione e non semplicemente di divenire, all’infinito temporale vuoto caratteristico dell’ideologia moderna del progresso 265 Walter Benjamin, Esperienza e povertà, in op. cit., p. 205
Aspiriamo però anche al nuovo - con tutte le nostre forze - e
possano queste forze crescere sempre più”.266
La felicità di Scheerbart tuttavia non è sulla terra miserevole,
tra quegli uomini che hanno un unico pensiero, “il buon pasto
serale che essi si attendono di vedersi servire dai domestici
nelle cattedrali e nei palazzi”267, e che “si lanciano in grande
orde, a migliaia, l’uno contro l’altro e [che] si arrecano con
armi da fuoco ed aguzzi pezzi di ferro le più orrende ferite per
le quali i più muoiono”.268 La sua felici tà è al trove, e cioè in un
universo che non risult i soggetto al perbenismo fil isteo, alle
leggi del mili tarismo, dei duri bisogni materiali , dell’Eros in
quanto avvilente fardello che vincola a sopravvivere a questa
storia. Il suo ideale è quello di realizzarsi come art ista -
architet to del vetro e let terato-, per at tuare una vita capace di
realizzare pienamente gli individui, contro la pura curiosità
della scienza e del progresso, e contro la costruzione
uti l i tarist ica che ha represso la costruzione art ist ica. In questo
la sua attenzione per i l vetro gioca un ruolo fondamentale, se
nella Architettura di vetro dedicherà un’intera sezione allo
studio del valore di tale materiale nel campo della fisica e
dell’astronomia, scienza nobile e non certo piegata
all’uti l i tarismo spiccio e a cui egli volgerà sempre la propria
attenzione nel mentre distoglie lo sguardo dalle bassezze della
Terra.269
266 Paul Scheerbart, Architettura di vetro, op. cit., pp. 139, 149 267 Paul Scheerbart, La nuova vita; apocalisse architettonica, in Scheerbartiana, Milano,, 1982, p. 158 268 Paul Scheerbart, Lesabendio, op. cit., p. 13; nel romanzo scritto nel 1913 Scheerbart preconizza il conflitto mondiale che sarebbe scoppiato di lì ad un anno 269 La sezione cui facciamo riferimento è la numero 95, nella quale si parla della scoperta di Doppler che consiste nello spostamento verso l’infrarosso e l’ultravioletto delle righe di Fraunhofer associato all’avvicinarsi e all’allontanarsi della luce; questo effetto è riscontrabile grazie al vetro ed è documentabile attraverso il fissaggio forografico degli spettri luminosi. Scheerbart considera fondamentale questa scoperta giacchè grazie ad essa fu possibile valutare la velocità dello spostamento di stelle scarsamente luminose. L’altro effetto cui Scheerbart fa cenno è l’effetto Zeeman, che si ottiene per effetto di un campo magnetico su di una fiamma, e che mostra le righe di Fraunhofer triplicate. Questa triplicazione dell’immagine permette di dedurre l’esistenza di campi magnetici di cui si è dimostrata la presenza nei
E’ in Lesabendio - s toria dell’astro Pallas e dei suoi abitanti , i
pallasiani, che, da sempre dedit i al l’abbell imento art ist ico del
loro pianeta, improvvisamente scoprono la parte nascosta del
loro astro, e cominciano così la costruzione di una alt issima
torre che connetta i l corpo del pianeta alla sua testa - che, a
detta di Benjamin, Scheerbart ci tramsmette una delle sue
immagini più seducenti , immagine calata nel mondo astrale e
fantastico creato appunto da un uomo scett ico e disil luso nei
confronti di un’epoca sorretta dalla facile fiducia nel progresso,
sempre accompagnato dal pervertimento delle conoscenza
scientifiche e dallo sfruttamento indiscriminato delle risorse
naturali e umane: tale immagine è quella di una umanità postasi
in accordo con la propria tecnica e pronta a servirsene
umanamente. Ciò sarebbe possibile a due condizioni e cioè che
gli uomini rigett ino l’idea grossolana di essere chiamati a
sfruttare le forze della natura, e che si convincano, invece, che
la tecnica, l iberando gli uomini, sarebbe in grado di l iberare
fraternamente la creazione interna.
La storia, che prende il nome dal proprio eroe, Lesabendio, è
quella dei pallasiani, esseri che vivono organizzati in comunità,
asessuati e che nascono da gusci di noce che si trovano nelle
profondità dell’astro. Quando nascono si autonominano, ovvero
prendono nome dalle prime parole che balbettano e che sono il
residuo della loro permanenza prenatale in un mondo pacificato
e universale, dove anche la l ingua è data nella sua unicità; non
è infatt i casuale che essi siano poi in grado di conversare con
esseri appartenenti ad altri pianeti . E qui sta anche, secondo
Benjamin, l’essenza della prosa, che è di perire, di essere
vortici solari e che spiegano la costituzione delle macchie solari. Per inciso si noti che le righe di Fraunhofer sono righe scure che si presentano nello spettro del sole e delle stelle, e tutte le volte che i raggi luminosi emessi da una sorgente passano attraverso mezzi gassosi o altri mezzi capaci di assorbire particolari lunghezze d’onda. Le righe di Fraunhofer sono dovute alla mancanza di tali lunghezze d’onde nello spettro finale e che è dovuto all’assorbimento che la parte più esterna, gassosa, del Sole e delle stelle esercita sullo spettro emesso dal nucleo centrale incandescente
compresa, dissolta, distrutta senza ri torno, interamente
sosti tuita dall’immagine o dall’impulso. Nel momento in cui la
parola abbia raggiunto la perfetta trasparenza a se stessa,
poichè dice e intende oramai solamente se stessa, la parola
resituita all’idea non conosce passato né ripetizione, è quella
l ingua che, avendo bruciato in sé ogni presupposto e ogni nome,
non ha più nulla da dire, ma semplicemente parla. “La
molteplici tà delle storie è analoga alla molteplici tà delle l ingue.
La storia universale nel suo senso odierno può essere sempre e
solo una specie di esperanto. L’idea di storia universale è
un’idea messianica, la sua l ingua è la prosa integrale che ha
fatto saltare i vincoli della scri t tura ed è compresa da tutt i gli
uomini, così come dai fortunati della l ingua degli uccell i”.270
Nella l ingua si riflet te anche la questione della tecnica e l’idea
di un suo uti l izzo posit ivo; è lo stesso Benjamin che nel saggio
Esperienza e Povertà fa riferimento al fat to che le “amabili
creature” dell’astro Pallas si interessino del problema di che
cosa apportino loro i telescopi, gli aereoplani, i missil i , cioè le
invenzioni dell’uomo. La loro disposizione nei confronti della
tecnica è diversa da quella che l’uomo ha e ciò si dimostra
anche nel l inguaggio dei pallasiani, totalmente nuovo, e che è
caratterizzato dalla disposizione per l’arbitrario elemento
costrutt ivo in contrapposizione all’organico. Nel l inguaggio non
c’è nessun rinnovamento tecnico ma la mobili tazione dello
stesso al servizio delle lotte o del lavoro; in ogni caso “al
servizio della trasformazione della realtà, non della sua
descrizione”.271
Infatt i nel romanzo la tecnica è ciò che combatte tutto quel che
è vecchio, che aiuta la creatura nella definizione di una
condizione di vita sempre più raffinata ed intellettuale; le 270 Walter Benjamin, Manoscritti Preparatori, Ms 470 15-28, I 1238; nella tradizione popolare i Sonntagskinder, i bambini nati di domenica, avrebbero il dono di sapere comunicare con gli uccelli.
macchine sgravano l’uomo dalla fatica e “alla fine tutt i si
davano da fare unicamente per inventare macchine sempre
migliori . Un’att ività intellet tuale a poco a poco sosti tuì
dappertutto quella manuale”.272
La tecnica è inglobata nei pallasiani - in Lesabendio sono gli
abitanti dell’astro Pallas - affinchè essi non debbano gravare
sulla natura; così i loro occhi si t rasformano all’occasione in
microscopi o in telescopi ed “ogni pallasiano aveva moltissime
mani, mani tozze e mani più agil i e fini . Fra queste ult ime
c’erano anche quelle provviste di dita capaci di scrivere proprio
come una penna sti lografica”.273
La tecnica non deve schiacciare né l’uomo né la natura, e
nemmeno l’arte tant’è che l’occupazione dei pallasiani consiste
nell’abbell imento del pianeta attraverso la costruzione di
architet ture luminose e cristal l ine - e qui già si delinea
quell’interesse per l’architettura di vetro che farà di Scheerbart
l’antesignano dell’espressionismo architettonico di un Bruno
Taut o degli stessi Le Corbusier, Giedion e Gropius, e che
troverà la sua codificazione ne L’architet tura di vetro del 1914.
Tutto questo finchè Lesabendio, uno degli abitanti dell’astro,
spinto dalla curiosità, non scopre che lassù, oltre la ragnatela di
nubi che di notte scende a velare l’astro, Pallas, i l pianeta a
forma di botte cava, continua ad esistere in un cono mai prima
scoperto. L’astro Pallas è in realtà un astro binario; e comincia
così la tensione dell’essere verso i l superiore, verso l’altra
parte di sé, tensione che si attua nella costruzione di una
immensa torre che deve congiungere le due parti dell’astro.
Ecco che appare la duali tà dell’uomo, e la tecnica ingloba in sé
quell’arte che era stata l’unica occupazione degli abitanti
dell’astro, e viene asservita allo slancio dell’uomo verso i l
271 Walter Benjamin, Esperienza e povertà, in op. cit., p. 206 272 Paul Scheerbart, Lesabendio, op. cit., p. 194 273 Paul Scheerbart, ibidem, p. 44
superno, al tentativo di afferrare l’altra parte che giace
immobile in ciascuno di noi.
Già la presentazione di due degli art ist i pallasiani, Labu e
Manesi , è l’esplici tazione della molteplici tà dei punti di vista
ridotta a regolarità-irregolarità, oggettivo-soggettivo. Ma ferma
restando la molteplicità, ognuno cerca l’altro da sé al punto che
la morte in senso dolorosamente umano non esiste; esiste per
converso l’introiettamento di un essere in un altro,
l’assorbimento della divesità nella al teri tà, nella
ricomposizione del sistema binario; così infine Peka e Manesi, i
due artist i che di tecnica non vogliono sapere nulla, si
dissolvono nell’architetto-artista, Lesabendio, in colui che ha
travasato l’arte nella tecnica per servire lo scopo più nobile
della creatura, cercare l’al tro da sé che è contemporaneamente
un in sé. La resistenza all’estet ico che vince in questa dialet t ica
non è al f ine di affermare un’intrinseca bellezza dello sti le
ingegnerist ico, né ha di mira una sintesi immanente di arte e
tecnica; l’estetico è sospeso dalle necessità costrutt ive e la
tecnicità si r isolve senza residui in esse. L’assorbimento di
Peka e Manesi in Lesabendio significa che i l principio
dell’ornamento, l’espressivo, vive solo se accolto in un interno
che conosce unicamente un’estrema concentrazione, la
concentrazione su un unico progetto: quello di r icongiungere
attraverso la torre i l corpo dell’astro Pallas con la sua testa, un
progetto che compiendosi trapassa in un altro e cioè i l sobrio
costrutt ivo che, senza residui, si r isolve nel simbolico.
C’è qui, vorremmo dire, un’utopia non nel senso moderno ma
messianico, come l’altro lato delle cose, l’al tra possibil i tà di
esistenza, caratterist ica così come in Scheerbart anche del
pensiero di Benjamin; in un luogo utopico dove “ogni cosa non
è annientabile, dove tutto ha la sua forma compiuta”274 , là dove
274 Paul Scheerbart, ibidem, p. 67
tutto è perfetto si introduce una possibil i tà, un altr imenti dove
tutto è finito per sempre, e che è i l piccolo spostamento che
riguarda non lo statuto delle cose, ma il suo senso e i suoi
l imiti e “questa legge suona così: la vera interpretazione coglie
la superficie più esteriore delle cose, la loro sensoriali tà più
pura, l’ interpretazione è superamento del senso”.275
Il “superamento” dell’opposizione di soggetto e oggetto,
l’anullamento del l imite, è peraltro già evidente nelle prime
battute del romanzo in questione; a proposito dell’astronomo
terrestre che ha scoperto l’astro Pallas si dice: “eppure è
incredibilmente strano che i l nome dell’astronomo terrestre con
cui è chiamato i l nostro astro, suoni eguale e identico al nome
che noi gli abbiamo dato”.276 C’è qui una tensione, uno sforzo
verso la condizione originaria, la storia universale di una
umanità redenta. E Lesabendio ne è la chiave; egli , l ’art ista
tecnico alfine si dissolve nell’astro di testa, decide di non
sopravvivere alla sua creazione, cioè alla torre che doveva
consentire l’unione tra le due parti dell’astro. L’autodistruzione
dell’art ista-architet to diviene la metafora di una umanità che si
pone in sintonia con la sua tecnica e che accetta di scomparire
in vista di un progetto che trascende costantemente sia la
soggett ività umana che la tecnica.
In tal senso Benjamin ebbe a dire che Lesabendio è i l vero
polit ico perchè decide di non sopravvivere alla propria
creazione dal momento che “l’idea del sacrificio non può
affermarsi senza quella della redenzione”.277 Nel sacrificio c’è
sempre la fiducia nel futuro e bisogna “sprigionare le forze
distrutt ive che stanno nell’idea di redenzione”.278 Con la
dissoluzione di Lesabendio nell’astro di testa i pallasiani
conoscono il dolore e la beati tudine della dissoluzione in ciò 275 Walter Benjamin, Paul Scheerbart: Lesabendio, in op. cit., p. 128 276 Paul Scheerbart, Lesabendio, op. cit., p. 15 277 Walter Benjamin, Manoscritti preparatori, Ms 482 16-21, I 1244s
che è più grande, e in questo i l carattere distrutt ivo tanto amato
da Benjamin come strumento di recupero dell’esperienza , quel
fondo di umorismo che ha in sé la potenza deflagrante del
nuovo che stri tola la vacuità del vecchio -i l dolore mai prima
vissuto dai pallasiani si tramuta proprio per questo in una
pantomima comica, almeno per chi conosca tale sensazione per
averla vissuta. Nel recupero dell’esperienza i caratteri
distrutt ivi - in cui l’oblio più completo del passato è condizione
di possibil i tà del futuro -procedono più radicalmente, secondo
Benjamin, dell’Erinnerung che ricongiunge passato e presente,
poichè i caratteri distrutt ivi non fanno altro che portare a
compimento un processo già avanzato di distruzione, di cui
però, in genere, si r if iuta di prendere coscienza
Il carattere distrutt ivo “non vede niente di durevole. Ma proprio
per questo vede dappertutto delle vie [ . . . ] Poichè dappertutto
vede delle vie, egli stesso sta sempre ad un incrocio. Nessun
att imo può sapere cosa i l prossimo reca con sé. L’esistente lui
lo manda in rovina non per amore delle rovine, ma per la via
che vi passa at tarverso”.279
“Per me - Scheerbart fa dire ad uno dei personaggi del romanzo
- è come se fossimo sempre in una strada sbagliata. In realtà
non abbiamo mai la sensazione che quello che facciamo sia
giusto. C’è sempre un’altra via che conduce alla meta in una
zona apparentemente migliore”.280
L’utopia si costruisce quando tutt i convergono su di un’idea più
grande, si concentrano appunto su quell’unico progetto, ma “far
ciò non comporta ancora lasciare cadere i l nostro particolare
pensiero, e così bisogna guardare alle cose che ci stanno vicine
e contemporaneamente mirare a ciò che sta in al to”. 281
278 Walter Benjamin, ibidem, ms 488 4-5, I, 1246 279 Walter Benjamin, Il carattere distruttivo, in Critica e storia, op. cit., p. 202 280 Paul Scheerbart, Lesabendio, op. cit., p. 199 281 Paul Scheerbart, ibidem, p. 184
E solo quando l’Idea vince, quando la redenzione si attua e
Lesabendio si dissolve nell’astro di testa, che le due parti del
pianeta si avvicinano e si compenetrano, che le due facce della
stessa medaglia si r icompongono in una sola e allora non è più
possibile guardare al part icolare, ma solo al l’universale sicchè
“di quanto mi sta più vicino - scandì lentamente Lesabendio nel
pensiero- purtroppo non posso conoscere nulla. Tuttavia non
voglio sapere perchè non posso. Osservo quanto è lontano:
questo è per me sufficiente”.282 Fino a giugere al momento in
cui uno degli art ist i del pianeta dice che è “una fortuna che noi
abbiamo finalmente scoperto ciò che è nascosto dietro alla nube
di ragnatele”.283 Quel ciò che interrroga i l nome, al di là non ci
sono più domande; giunti al l imite del che i l pensiero non ha
più oggetto, sperimenta l’assenza di un ult imo oggetto. Proprio
l’assenza di un ult imo oggetto della conoscenza ci salva dalla
tristezza senza rimedio delle cose.
Qui i l superamento intellet tuale del momento tecnico è giunto
al culmine, poichè l’oggett ività e riottosità del processo tecnico
è diventata i l simbolo di una idea reale. “Il lavoro della tecnica
è l’espressione più evidente di quell’interpretazione casta e
severa degli eventi che è legata al la loro superficie più esteriore
e pura”.284 Gli intrecci dell’amore, i problemi della scienza e
dell’arte la stessa prospettiva etica sono interamente esclusi ,
per potere sviluppare, tramite i fenomeni più puri e
inequivocabili della tecnica, l’ immagine utopica di un mondo
spiri tuale astrale. “Di ciò che è più grande - dell’adempimento
dell’utopia - non si può parlare, ma solo testimoniare”.285 E alla
fine della Torre, scarna, di pali d’acciaio non rimane che l’Idea,
i l s imbolo. Solo i grattacieli in costruzione “mostrano ardite
idee costrutt ive, e l’effetto di questi scheletri d’acciaio che si 282 Paul Scheerbart, ibidem, p. 244 283 Paul Scheerbart, ibidem 284 Walter Benjamin, Paul Scheerbart: Lesabendio, op. cit., p. 129
stagliano contro i l cielo è sconvolgente. Con il r ivestimento
delle facciate tale effet to scompare completamente, l’idea
costrutt iva che sta al la base della creazione art ist ica è
annientata e soffocata per lo più da un caos di forme prive di
senso e banali . Nel migliore dei casi , oggi, risultano
esclusivamente le dimensioni grandiose, eppure queste
costruzioni avrebbero potuto essere qualcosa di più di una
semplice manifestazione delle nostre possibil i tà tecniche”.286
Se in Lesabendio l’arte si t ravasa nella tecnica per servire un
nobile ideale, i l decorativo si travasa nel tecnico che combatte
ogni vecchio interno semplificandolo e riducendolo al massimo,
tuttavia proprio qui Scheerbart definisce l’ Architettonico puro
come “il principio cristall ino, l’arte della ri tmica dello spazio e
della superficie. L’architettura non ha mai questa forma
scheletrica; essa vuole sempre la compattezza.”287
L’architettura venti lata da Scheerbart è quella utopica del vetro;
l’utopia scheerbartiana è legata alla solari tà, al la luce che
trionfa su tutto e che sa vincere la notte stessa; l’architet tura di
vetro, “eliminando la chiusura degli spazi in cui viviamo,
permetterà alla luce del sole di penetrare nelle stanze [ . . . ] i l
nuovo ambiente che in tal modo ci creeremo dovrà portarci una
nuova civil tà”.288
Così i nuovi architett i - nei confronti dei quali Scheerbart si
si tua come anticipatore- e cioè Giedion, Mendelshon, Taut, Le
Corbusier, trasformano la dimora dell’uomo anzitutto in uno
spazio di transito attraversato da tutte le pensabili forze e onde
di luce e di aria.289
285 Walter Benjamin, ibidem, p. 130 286 Mies van der Rohe, citato in L. Hilbersheimer, Architettura a Berlino negli anni Venti, Milano, 1981, p. 93 287 Paul Scheerbart, Lesabendio, op. cit., p. 147 288 Paul Scheerbart, Architettura di vetro, op. cit., p. 15 289L’uso del vetro in Scheerbart non ha alcuna valenza funzionale, viene meno ad un compito in quanto puro ornamento. E’ ciò che trasforma la luce nel colore, è il filtro della luce; l’attenzione per il colore è il segno dello sganciamento dalla funzione, è attenzione al momento non rappresentativo dell’immagine. Forma e materia cristallina non rivestono in
All’architet tura di vetro Scheerbart ascrive la capacità di
sfidare i l tempo e la consunta cultura della civile Europa dei
mattoni, al di fuori anche dei meccanismi di produzione e
nell’emancipazione dal lavoro e dalle costrizioni della
soffocante quotidianità borghese; egli sostiene infatt i che
“bisogna vincere la forza dell’abitudine. [ . . . ] Tutto ciò che è
nuovo deve combattere una dura battaglia contro tradizioni
profondamente radicate; non c’è altra via se si vuole che i l
nuovo riesca ad imporsi”290; e tale architet tura simboleggia
l’al legoria di un stato di ri trovata purezza collet t iva e di una
cosmica, universale l iberazione. Ciò costi tuisce per molti versi
i l prodotto di una cultura antebell ica impregnata di residui
tardoromantici , una cultura fiduciosa nelle possibil tà pressochè
sconfinate dell’art ista e della tecnica.
L’ Architettura di vetro ricopre una posizione di privilegio nel
saggio di Benjamin Esperienza e povertà, dove l’impoverimento
dell’esperienza a cui si assisteva nella società dell’epoca viene
colto come un posit ivo atto di barbarie, come una povertà che
può rappresentare i l punto di inizio di una nuova costruzione; a
questa povertà da intendersi in un senso nuovo auspicata da
Benjamin allude i l vetro in quanto nemico di ogni aura e di
ogni privilegio, in quanto materiale peculiare di spazi in cui è
diffici le lasciare tracce, tale quindi da strappare gli uomini al
vecchio ideale borghese dell’interiéur; in questo modo tale
materiale sarebbe in grado di consumare la fine della scissione
reificante tra soggetto e oggetto t ipica del pensiero borghese e
di preparare la strada ad un rapporto che si prefigura come
trasparente, perchè “la particolarità delle forme di produzione
della tecnica è che i l loro progresso e la loro riuscita sono
Scheerbart un puro significato simbolico, ma prevalentemente ornamentale, e qui, nella sovranità dell’immaginazione, sta la differenza con l’Ich-Kristall che è la noetica trasparenza che informa l’essenza grafica della pittura kleeiana 290 Paul Scheerbart, Architettura di vetro, p. 25
proporzionali alla trasparenza del contenuto sociale (di qui
l’architettura di vetro)”.291
Questo atteggiamento posit ivo che si coglie in Esperienza e
Povertà nei confronti di un materiale privo di aura , non deve
stupire nè fare immaginare una oscil lazione tra due posizioni -
accettazione entusistica del nuovo e ripiegamento sul vecchio -
che in realtà in Benjamin non esiste nella misura in cui queste
due posizioni interagiscono dialett icamente tra di loro.
L’atteggiamento di Benjamin si può spiegare se si pensa che è
nel saggio L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibil i tà
tecnica che i l tema della crisi dell’esperienza è collegato
at traverso i l motivo della decadenza dell’aura292 al l’analisi di
fenomeni che riguardano modificazioni nei processi tecnici di
produzione e riproduzione degli oggetti art ist ici .
Come Benjamin scriveva in una celebre lettera ad Adorno, nel
rapporto che l’esperienza t radizionale stabil isce con le cose, “vi
è un momento umano che non viene creato dal lavoro”.293
Questo momento corrisponde alla capacità di percepire un’aura
delle cose, coincidente a sua volta con il sedimento di senso che
l’uso e la memoria vi lasciano sedimentare.
Ciò che è in questione in Benjamin nella constatazione del
venire meno dell’aura delle cose non è però l’obiett ivazione
dell’aura e dell’apparenza artist ica nell’universo tecnico, ma il
291 Walter Benjamin, Parigi..., op. cit., N 4,6 p. 602 292 E’ bene osservare che, una volta tanto, “Benjamin non aveva pescato il concetto di aura solo in testi mistico- esoterici, ma anche in uno scrittore francese, oggi ingiustamente dimenticato, di cui egli apprezzava invece l’insolita intelligenza, pur diffidando, naturalmente, delle sue goffe idee politiche: Léon Daudet. Il suo libro La melancholia [ora disponibile in lingua italiana, Palermo, 1989] contiene una meditazione sull’aura che meriterebbe una non provvisoria riesumazione. In particolare la definizione che Daudet vi dà di Baudelaire come ‘poète de l‘aura’ è quasi certamente la fonte di uno dei motivi centrali de grande studio banjaminiano su Baudelaire. Anche le considerazioni di Benjamin sull’odore sono anticipate dall’intuizione di Daudet che l’ ‘olfatto è quello dei nostri sensi che è più vicino all’aura e il più adatto a darcene un’idea o una rappresentazione. Le allucinazioni dell’odorato sono le più rare e le più profonde di tutte’. Inoltre il passo dell’Opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica in cui si parla delle vecchie fotografie come mezzi di captazione dell’aura, ha un precedente nelle considerazioni di Daudet sulla fotografia e sul cinema come ‘trasmettitori di aura’”. G. Agamben, Stanze, Torino, 1977, p. 53 293 Walter Benjamin, Lettere, op. cit., p.399-400
disvelamento di come la tecnica riveli , sia pure in forma
stravolta e mistificata, l’essenza medesima dell’arte, un’essenza
che nel mondo della tradizione non poteva non rimanere
nascosta.
Per spiegare questa affermazione bisogna pensare che Benjamin
non distolse mai lo sguardo dall’infanzia e che proprio grazie a
questa sua predilezione egli fissò con ammirevole tempestività i
tratt i salienti della riproducibil i tà tecnica dell’opera d’arte. Se
è vero che Benjamin capì subito le nuove condizioni di
produzione della cultura, questo accadde perchè non si precluse
un accesso all’esperienza del bambino, traendo anzi da essa
insegnamenti sulle tendenze fondamentali del suo tempo.Egli , a
proposito del gioco, afferma che “null’altro, è la levatrice di
ogni abitudine. Mangiare, dormire, vestire, lavare, sono
abitudini che devono essere iniettate nel piccolo corpo
guizzante in forma ludica, secondo il r i tmo di brevi versi .
L’abitudine nasce come gioco, e in essa, anche nelle sue forme
più rigide, sopravvive fino alla fine un piccolo residuo di gioco
[ . . . ] Nel gioco, infatt i , l’oscuro impulso alla ripetizione agisce
con una violenza che è appena minore di quella con cui opera
l’ist into sessuale nell’amore[ . . .] In effett i , ogni esperienza più
profonda, vuole insaiabilmente, f ino alla fine di tutte le cose, la
r ipetizione e i l r i torno, i l r iprist ino di una situazione originaria
da cui ha preso le mosse [ . . .] Non è già un ‘fare come se’, ma
‘un fare sempre di nuovo’, la trasformazione dell’ esperienza
più sconvolgente in un’abitudine, ciò che costi tuisce l’essenza
del gioco”.294 Nei Passagenwerk egli stesso afferma
inequivocabilmente che “solo l’osservatore superficiale può
negare che tra i l mondo della tecnica e l’universo simbolico
della mitologia giochino delle corrispondenze.. .Ogni infanzia,
nel suo interesse per i fenomeni tecnici , nella sua curiosità per
294 Walter Benjamin, Giocattolo e gioco in Ombre Corte,Torino, 1993, pp. 90, 91. Le sottolineature sono nostre
ogni sorta di invenzioni e di macchinari , lega le conquiste della
tecnica agli antichi universi simbolici . Non c’è niente nel
campo della natura che per definizione si sottragga a questo
legame. Solo esso non si forma nell’aura della novità, ma in
quella dell’abitudine. Nel ricordo, nell’infanzia e nel sogno”.295
Solo colui che si era soffermato a lungo sul gioco infanti le,
caratterizzato dalla inesauribile i terazione degli stessi gesti ,
poteva intendere l’esatta serial i tà degli oggett i su grande scala,
che contraddistingue non solo l’industria culturale, ma ogni
anfratto dell’esperienza . In questa serial i tà si intravede, infatt i ,
la medesima esigenza di protezione e di orientamento che guida
quella i terazione. Ma la ripetizione del gioco del bambino, che
serve a superare i l terrore di certe esperienze originarie,
nell’adulto si rovescia; se la ripetizione nell’adulto è i l
tentativo di proteggersi dallo choc della novità, tuttavia la sua
esperienza resta ripeti t iva, non consegue l’abituali tà.
L’esperienza apotropaica del bambino nell’adulto non cede i l
posto al r iparo più sofist icato della consuetudine comunitaria,
alla ripetizione ludica la riproducibil i tà tecnica oppone la
coazione a ripetere della merce e del lavoro salariato; e proprio
quando la povertà ammantata di esperienza è divenuta la regola,
forse solo nel perpetuo ri torno dell’uguale si può scorgere
l’unica occasione concessa per cominciare qualcosa che sia
veramente nuovo, proprio come i bambini che considerano ogni
singola i terazione del medesimo gioco irreversibile, come una
unicità priva di aura , come la possibil i tà di cavare dalla
povertà di esperienze qualche cosa. Per questo Benjamin
abbraccia con sollievo tutto ciò che è nuovo pur nascendo dal
sempre uguale, perchè nella breccia che provoca nella falsa
tradizione ist i tuita dalla borghesia coglie i l r iconoscimento
della caducità del nuovo, che è l’apparenza che si obiett iva
295 Walter Benjamin, Parigi..., op. cit., p. 597, N 2a, 1
nell’ effimero, e che costi tuisce l’essenza stessa della veri tà; in
questo senso ai processi di tecnicizzazione e di
colletivizzazione si tenta di dare un volto rivoluzionario e i l
dissolversi dell’esperienza viene qui colto come un atto
posit ivo poichè se “questa povertà di esperienze non è solo
povertà nelle esperienze private ma nelle esperienze
dell’umanità in generale”296, questo significa una specie di
nuova barbarie, intesa come “un nuovo posit ivo concetto di
barbarie. A cosa mai è indotto i l barbaro dalla povertà di
esperienze? E’ indotto a cominciare da capo; a iniziare dal
Nuovo; a farcela con il Poco, a costruire a partire dal Poco e
inoltre a non guardare né a destra nè a sinistra”.297 Benjamin
apprezza con particolare fervore quegli uomini implacabili che
hanno o hanno avuto i l coraggio di fare piazza pulita del
vecchio e di sgombrare i l tavolo per potere disegnare qualche
cosa di nuovo; non a caso sia in Scheerbart che in Klee
Benjamin ammirava un tratto part icolare della loro arte,
l’espressionismo del segno, che in Klee si traduce nel dominio
dell’immagine attuato non attraverso i l colore ma per i l tramite
della forma lineare, e quindi del segno, e che in Scheerbart si
sostanzia nella prosa, quella prosa che Benjamin da sempre
ammirò, e che staglia sullo sfondo bianco della pagina la frase,
che così , nella sua scarna purezza, nella sua povertà densa di
signif icato , intende un mondo fantastico e difficilmente
dimenticabile: “Violetto era i l cielo. E verdi erano le stel le. E
anche i l sole era verde”.298 E d’altra parte i disegni di Kubin che
accompagnano Lesabendio, e che Scheerbart non sembrava
troppo apprezzare giacchè a suo dire comunicavano ai pallasiani
un’ansia e una tensione interna che non erano nelle sue
intenzioni, ebbene quegli stessi disegni rimandano agli uomini
296 Walter Benjamin, Esperienza e povertà, in op. cit., p. 204 297 Walter Benjamin, ibidem, pp. 204-205 298 Paul Scheerbart, Lesabendio, op. cit., p. 9
di Klee, a quegli uomini che sono fatt i di l inee pure, che sono
in certo modo l’archetipo di ogni rappresentazione. Klee si era
ispirato al modello ingegneristico e in questo, secondo
Benjamin, starebbe i l carattere distrutt ivo eccezionalmente
nuovo della sua arte, giacchè le figure nell’espressione dei loro
l ineamenti , “obbediscono all’interno piuttosto che
all’interiorità -come una buona macchina, soprattutto nella
carrozzeria, obbedisce principalmente alle necessità del
motore”299 Sia Klee che Scheerbart agli occhi di Benjamin
avevano una totale mancanza di i l lusioni nei confronti della
loro epoca, e tuttavia senza riserve si pronunciarono per essa,
per i l nuovo che da essa sorgeva, per ricostruire da quel poco
che avevano tra le mani una nuova possibil i tà per l’ esperienza .
Dal punto di vista storico in Esperienza e povertà è presente lo
sforzo di pensare su una posizione assai disincantata la
possibil i tà del r ivolgimento rivoluzionario -dopo i l patto
tedesco sovietico del 1939, Benjamin romperà definit ivamente
con la mostruosa variante staliniana del comunismo, condannata
nelle tesi del 1940 con un’allusione trasparente ai “polit ici in
cui avevano sperato gli avversari del fascismo [che] giacciono a
terra e ribadiscono la disfatta col tradimento della loro
causa”.300
Benjamin tenta di redigere un resoconto delle perdite storiche
del capital ismo per mezzo delle trasformazioni del collet t ivo
pensato come spazio corporeo, tant’è che la trasparenza che
Benjamin apprezza quale principio sovrano dell’architettura
vagheggiata da Scheerbart sembra invitare a ri trovare l’ist into
alla trasparenza negli stessi rapporti sociali e umani e questo
perchè “tutt i i rapporti umani di una qualche consistenza sono
investi t i da una chiarità penetrante, quasi insopportabile, a cui
difficilmente riescono a reggere. Perchè stando da un lato i l
299 Walter Benjamin, Esperienza e povertà, op. cit., p. 205 300 Walter Benjamin, Tesi di Filosofia della storia, op. cit., p. 80
denaro in modo rovinoso al centro di tutt i gli interessi
dell’esistenza, ed essendo dall’altro proprio questa la barriera
contro cui naufragano pressochè tutt i i rapporti umani, ecco che
scompaiono più e più, nell’ambito naturale come in quello
morale, f iducia spontanea, pace e salute”.301
Sicchè nell’utopia di Scheerbart Benjamin ha non soltanto visto
un insulto al più convenzionale umanesimo borghese, ma ha
anche visto saltare i l rapporto di sopraffazione dell’uomo
sull’uomo che scaturisce da quello dell’uomo sulla natura, e che
sembra avere raggiunto i l punto più alto del suo sviluppo in un
momento in cui “la crisi economica è alle porte, dietro di esse
un’ombra, la guerra che avanza. Star saldi è divenuto oggi
affare dei pochi potenti , che, lo sa Iddio, non sono più umani
dei molti ; nella maggior parte dei casi più barbari , ma non alla
buona , maniera. . . Talvolta i l singolo può cedere un po' di
umanità a quella massa, che un giorno gliela renderà con
interessi e interessi raddoppiati”.302
Nel Passagenwerk e nella Tesi XI sul concetto di Storia
Benjamin lega stret tamente l’abolizione dello sfruttamento
dell’uomo sull’uomo alla fine dello sfruttamento della natura da
parte dell’uomo; nel Passagenwerk egli sottolinea chiaramente
che la metamorfosi del lavoro in gioco proposta da Fourier
secondo la quale “il lavoro, lungi dallo sfruttare la natura, è in
grado di sgravarla dalle creature che dormono latenti nel suo
grembo”303 presuppone forze produttive altamente sviluppate
che solo oggi, per la prima volta, sono a disposizione
dell’umanità grazie al l ivello tecnico-scientifico cui essa è
giunta; questa possibil i tà di totale sgravamento dal lavoro e del
lavoro è già adombrata da Marx in uno straordinario e quasi
profetico passo inti tolato “Frammento sulle macchine”, in cui
301 Walter Benjamin, Viaggio attraverso l’inflazione tedesca, in op. cit., p. 16 302 Walter Benjamin, Esperienza e povertà, op. cit., p. 208 303 Walter Benjamin, Tesi di filosofia della storia, in op. cit., p. 82, Tesi 11
egli vede realizzata la società comunista nel momento in cui
tutte le forze della natura e della scienza sono incarnate nel
“sistema di macchine”; così l’uomo, è da un lato finalmente
l iberato dalla disumanità del lavoro, e dall’altro dall’avidità
vampiresca del padrone, ricongiungendo finalmente, oggeto
rinato, natura e tecnica.304 Questa tecnica deve tendere
all’armonia della natura e dell’umanità, di contro alla tecnica
“negativa” che nasce dall’impotenza originaria dell’uomo di
fronte al la natura e dal tentativo di at tenuarne la minaccia; tale
tecnica “negativa” conserva un legame di continuità con la
magia arcaica, che già prefigura la ragione strumentale e i l suo
sforzo di dominare l’estraneità del cosmo e che mira al reale
asservimento della natura all’uomo.
E’ proprio lo sviluppo tecnico che rende più visibile i l passato
arcaico perchè esso non è più sorretto dalla tradizione. Il volto
arcaico dell’epoca si svela oggi -come nel barocco all’inizio
dell’età moderna - più velocemente e “con i l rapido ri tmo della
tecnica, a cui corrisponde una caduta altrettanto rapida della
tradizione, viene più presto di prima alla luce la partecipazione
dell’inconscio collett ivo, i l volto arcaico di un’epoca, anzi già
quello della prossima epoca”.305
Benjamin ha in mente una situazione storica precisa, che è
quella dell’Unione Sovietica dove al futuro si giunge attraverso
i l r iscatto del passato irredento e una frenetica opera di
modernizzazione, di accelerazione del tempo storico, che
conduce ad un veloce abbandono del presente, e in tal senso
“l’opera di Lenin ha talmente accelerato i l corso degli
avvenimenti della sua epoca che la sua presenza diventa presto
passato, la sua immagine rapidamente remota”.306 Nell’Unione
Sovietica non è soltanto la tecnica o l’esperienza t raumatica 304 K. Marx, Lineamenti fondamentali di critica dell’economia politica, in op. cit., Firenze, 1968, p. 387-411 305 Walter Benjamin, Materiali Preparatori, Ms 467, 1-6, I 1235s
della Guerra Mondiale a provocare i l distacco dalla tradizione e
i l r isaltare dell’arcaico, ma un fattore poli t ico, la Rivoluzione ,
che ha luogo in un Paese che ha negato nei fatt i le teorie del
progresso e dello sviluppo lineare e quindi i l r isalto
dell’arcaico è connesso con un momento rivoluzionario in cui i l
volto del passato viene alla luce e si at tualizza nella rottura del
corso della storia.
E’ quando il passato arcaico è privo del suo legame con il
futuro, non è riscattato dalla spinta al futuro, ma è legato
soltanto alla categoria ideologica del progresso, che allora
provoca orrore, è perturbante.
Estremamente significativo a tale proposito è i l racconto di
Ljeskòv Una lady Machbeth del distretto di Mtesnk307, storia di
due amanti , Caterina e Sergio, bruciati dal desiderio oltre che
dalla frenesia per i l denaro e che per questo si macchieranno di
molteplici deli t t i che l i precipiteranno nella spirale della
brutali tà umana; i l r i torno all’arcaico dei sentimenti qui non
prelude all’idea di un miglioramento nel presente, di un
progresso costrutt ivo e di una raffinamento esistenziale, anzi
vuole essere recupero della condizione primitiva dell’uomo
stravolta nel disprezzo sarcastico per i l denaro vile; c’è nei
personggi l’immagine dell’efferatezza, dell’arcaicità quasi
disumana dei sentimenti che si traduce in una condizione
analoga a quella “dell’uomo primitivo [che] dà sfogo alla sua
natura bestiale, si abbrutt isce, ride di sè, del prossimo, di ogni
sentimento buono”.308
Sull’uomo ridotto ad una condizione di primitiva barbarie si
erge soverchia la natura, con la sua vita rigogliosa e spontanea,
che ancora scandisce con i l suo ri tmo naturale l’esistenza
umana: “. . .at traverso i rami del melo che stavano davanti a lei ,
306 Walter Benjamin, Immagini di città, op. cit., p. 52 307 N. Ljeskòv, Una lady Machbeth del distretto di Mtsenk, Firenze, 1987 308 N. Ljeskòv, ibidem, p. 88
carichi di f iori ,[poteva vedere] i l cielo azzurro, sereno nel
quale splendeva chiara la luna piena. I raggi della luna
fi l travano attraverso le foglie e i fiori del melo dai cui rami
bianchi contorti cadde una pioggia di f iori bianchi, freschi.
Cessò quella pioggia. Passò quella notte primaverile. La luna si
nascose dietro i l tet to inclinato degli al t i magazzini . Guardò la
terra di sbieco, facendosi sempre più opaca”.309
Ed è alla fine del racconto che si compie in modo esemplare
questo scambio tra natura ed uomo, naturali tà ed abbrutt imento
dell’uomo, rivincita della natura sull’uomo e sulla condizione
umana: “Il temporale infuriava. Dalle nuvole grigie, che
invadevano i l cielo, cominciò a fioccare la neve.
Liquefacendosi appena toccava terra, rendeva ancora più
impraticabile la strada fangosa. Apparve una striscia scura,
plumbea, di cui non si dist ingueva la fine: era i l Volga. Sul
Volga soffiava un vento impetuoso, agitando le onde nere,
immense, che si sollevavano lentamente”310, ed in quel Volga
alla fine Caterina si getta per esserne definit ivamente
inghiott i ta, e per ri trovare infine l’ist into primitivo supremo,
quello della morte.
Se appunto l’arcaico sganciato dalla sua attualizzazione
riconduce l’uomo in una situazione primitiva e perturbante, è
con Baudelaire, nella Parigi Capitale del XIX secolo , che i l
contrasto stridente nella complementarietà di progresso e
coazione a ripetere, di innovazione e di arcaico, di apparente
modernità e di apparente barbarie si fa conclamato. L’arcaicità,
l’ immobilismo, l’orrore di una classe sono complementari allo
sviluppo parossistico del progresso; in questo senso “Baudelaire
309 N. Ljeskòv, ibidem, pp. 36, 37, 42 310 N. Ljeskòv, ibidem, p. 90
t iene in mano, nello Spleen e nella Vita anteriore , gl i elementi
dissociati della vera esperienza storica”.311
Ma, paradossalmente, è proprio nel perturbante,
nell’implicazione e nello scambio di immemorabile e di
familiare, di lontano e di desiderato, che si rivela per contrasto
la felici tà; la fede nel progresso, un compito infinito della
morale, e l’ idea dell’eterno ri torno sono complementari . Sono
le irresolubili antinomie di fronte alle quali va sviluppato i l
tempo storico. Questo è i l punto decisivo della storia
dell’immagine in Benjamin, i l suo carattere al tempo stesso
dialett ico e involontario. La forza rammemorante dell’anima
può insediarsi solo nella mancanza e nella perdita introdotte
dall’accelerazione storica del tempo che attacca al passato
l‘insegna dell’irrevocabil i tà.
L’ immagine dialett ica è i l tentativo di replica a questa
paradossali tà con altra di ordine superiore: poichè la possibil i tà
del ricordo si apre sorprendentemente là dove la storia procede
alla cancellazione del passato, “la fel ici tà nasce dalla perdita /
eterno resta solo ciò che è perduto” - sono parole del Brand di
Ibsen, ci tate da Benjamin in una let tera giovanile a Carla
Seligson, del 5 giugno 1913.
Solo i l recupero, i l r iscatto, la redenzione, permette la fel ici tà,
occorre ri trovare i l futuro nel passato, trasformare la distanza
in vicinanza (o, come nell’aura , un’apparizione unica di una
lontanaza, per quanto possa essere vicina). Per questo la felicità
non può albergare nel progresso l ineare del tempo, che
sopprime ed oblia le tappe precedenti , che è senza memoria
involontaria, e nemmeno nell’eterno ri torno, sebbene questo sia
un tentativo di saldare insieme i due principi antinomici della
felici tà: quello dell’eternità e quello dell’ “ancora una volta”312;
311 Walter Benjamin, Materiale Preparatorio a Charles Baudelaire, in Gesammelte Schriften, band I, 3, p. 1169 312 Walter Benjamin, Parco Centrale, in op. cit., p. 140
la felicità sta nella memoria involontaria, giacchè si desidera
ciò che si è perduto e che non conosciamo se non oscuramente,
ma verso cui non potremmo, seppure involontariamente,
orientarci , se in qualche modo non lo avessimo esperito, è come
dire che “le immagini della mémoire involontaire non vengono
solamente senza essere state chiamate, in esse si trat ta piuttosto
di immagini che non avevamo mai visto prima di r icordarle”.313
Non ostante la impossibil i tà di concil iazione in Baudelaire di
elementi ctonici e di elementi moderni, -qui i l moderno si
trasforma in spleen e la vita anteriore, l’aspetto ctonio, genera
orrore -, in lui Benjamin coglieva quella passione distrutt iva,
germogliata proprio da questa frattura tra le due dimensioni del
passato e del presente, passione distrutt iva che egli percepisce
come “il cl ima di un’autentica umanità”.314 E’ i l momento
distrutt ivo che demolisce la storia universale, el imina i l
momento epico, abolisce l’immedesimazione nel vincitore di
coloro che dominano.
Di fronte all’ universo dannato, votato al sempre identico
dell’industria, del macchinismo, della merce, della moda, dello
chocerlebnis che riduce gli uomini alla condizione di automi
privi di memoria e di Erfahrung , l ’ermeneutica benjaminiana
scopre nella poesia di Baudelaire una forma sott i le di resistenza
a questo progresso devastatore: l’evocazione liberatrice
dell’esperienza perduta e dell’età dell’oro.
Nelle società primitive o precapitaliste, “dove c’è esperienza
nel senso proprio del termine, determinati contenuti del passato
individuale entrano in congiunzione, nella memoria, con quell i
del passato collett ivo. I cult i con i loro cerimoniali , con le loro
feste [ . . . ] , realizzavano di continuo la fusione tra questi due
material i della memoria”.315
313 Walter Benjamin, Materiali Preparatori, Ms 754, II 1064 314 Walter Benjamin, ibidem, Ms 480 4-14, I 1234s 315 Walter Benjamin, Di alcuni motivi in Baudelaire, in op. cit., p. 93
E’ proprio questo aspetto dell’Erfahrung che si trova al centro
delle corrispondenze di Baudelaire e gli permettono di opporsi
radicalmente al la catastrofe moderna; l’importante è che le
“correspondances fissano un concetto di esperienza che ri t iene
in sé elementi cultuali . Solo facendo propri questi elementi ,
Baudelaire poteva valutare appieno il significato della
catastrofe di cui egli , come moderno, si trovava ad essere
test imone”.316 L’essenza della metafora non sta nel riconoscere
analogie esistenti , ma nell’inventare analogie non esistenti .
“Ciò che la metafora crea è al di là di questa al ternativa. Certo,
non riproduce il reale, ma neppure vuole inventare le analogie,
bensì scoprirle. Chè essa ha origine dalla convinzione che i l
mondo si regga su corrispondenze, che si tratta di evocare”.317
E’ in questo contesto che riappare la figura dell’angelo edenico
del passato, nella misura in cui “le correspondances sono le
date del r icordo. Non sono date storiche, ma date della
preistoria. Ciò che rende grandi e significativi i giorni di festa,
è l’ incontro con una vita anteriore.[ . . . ] Il passato mormora nelle
corrispondenze; e l’esperienza canonica di esse ha luogo
anch’essa in una vita anteriore”.318 Lo sguardo del Metaforico si
r ivela essere quello del Teologo. “Benjamin è un discepolo
degli emblematicist i del barocco, di cui egli ha trat tato
nell’opera Origini del dramma tedesco . Come in loro, anche in
Benjamin ciò che sembra pura maestria e che una volta si
apprendeva dai l ibri , è invece esegesi della creazione”.319
L’idea delle corrispondenze è l’utopia attraverso la quale un
paradiso perduto appare proiettato nell’avvenire. In questo
senso in Benjamin si trat ta di rafforzare forme di razionali tà
che non hanno radici prossime, che non hanno tradizione,
mediante l’energia propulsiva dell’ebbrezza e 316 Walter Benjamin, ibidem, p. 117 317 Peter Szondi, in Walter Benjamin in Immagini di città, op. cit., p. 113 318 Walter Benjamin, Di alcuni motivi in Baudelaire, op. cit., p.118
dell’i l luminazione, per fare scattare i l futuro. Distruzione e
redenzione procedono insieme. Nei luoghi in cui la tradizione si
interrompe, in cui la via trionfale dei vincitori appare sbarrata,
l’ebbreza aiuta a tracciare altre strade, a distruggere non per
amore di distruzione ma per i l nuovo che da essa sorge. Se la
temporalizzazione storica è quel movimento con il quale la
rat io calcolante procede, come scriveva Simmel nella Filosofia
del denaro, all’abolizione insieme con la tradizione anche della
facoltà del ricordo come dote peculiare dell’anima, al tempo
stesso essa è ciò che, proprio rompendo il vuoto continuum
della tradizione, facendo tabula rasa del passato, apre quello
spazio della discontinuità nella quale solo è possibile i l
recupero di al tre immagini del passato, fuori da quelle
consegnate dalla tradizione medesima.
Per questo Benjmin riserva attenzione ai surrealist i - perchè per
loro i caratteri distrutt ivi dell’arte sono importanti , nella
misura in cui rappresentano un “conquistare le forze
dell’ebbrezza per la rivoluzione”320, e i l surrealismo è “la morte
del secolo scorso nella commedia”321 , a pit tori come Klee o ad
artist i quali Scheerbart , come già si è detto. In ogni vera opera
d’arte c’è un momento in cui spira su chi vi penetra un’aria
fresca, e in questo senso l’arte può servire alla autentica
definizione del progresso, che non è di casa nella continuità del
corso del tempo, ma nelle sue interferenze, “là dove il
veramente nuovo si rende percepibile con la sobrietà del
319 Peter Szondi, in Immagini di città, op. cit., p. 113 320 Walter Benjamin, Avanguardia e Rivoluzione, op. cit., p. 23. Benjamin considera i surrealisti come gli eredi più eminenti della tradizione libertaria - in linea col comunismo nell’opposizione all’ottimismo dilettantesco e beato della socialdemocrazia e ai quali egli dedica un saggio. Nell’ottica del tentativo del recupero dell’esperienza, i surrealisti avevano concepito un’arte fondata sul frammento, lo choc, la sorpresa: il cinema porta a compimento le loro intuizioni (Bildraum, spazio immaginativo). Se le inquadrature colpiscono lo spettatore con la stessa rapidità di uno choc, l’intera esperienza della visione assume un carattere traumatico, la coscienza occuperà in essa un posto trascurabile. L’io viene ridotto in stato di impotenza, e ciò permette che i singoli elementi della percezione vengano ad aggregarsi e comporsi con modalità simili 321 Walter Benjamin, Parigi..., op. cit., p. 605, N 52, 2
mattino”322; qui ancora c’è la ripresa dei temi trat tat i in
riferimento alla caduta dell’aura: la novità della produzione
artist ica è i l disvelamento di quella realtà non più celata sotto i l
velo dell’apparenza conservatrice.
Se l’esperienza nel senso tradizionale è qualcosa che, nel suo
manifestarsi non meno che nella modalità del suo depositarsi
nella memoria, reca tracce di un lavoro collett ivo -
nell’esperienza di cui i vecchi erano depositari , era la voce di
una generazione, o meglio ancora del senso comune di un intero
gruppo sociale, che trovava espressione - , i l recupero
dell’esperienza si manifesta come cesura nei confronti
dell’abitudine e della ripetizione steri le di parti prefigurate, si
manifesta come annientamento repentino del vecchio e
insorgere, in suo luogo, di un nuovo che dal vecchio di
dist ingue solo perchè si è modificato non lo statuto ma il l imite
delle cose. La storia della cultura come tale deve venire a
cadere per essere integrata nella storia delle lotte della classe
oppressa e sconfit ta, piegata e sottomessa alla cultura creata dai
vincitori . E infatt i tutto ciò che del patrimonio culturale i l
materialista storico può abbracciare con il suo sguardo, tutto
ciò che gli è stato tramandato come scienza - tut to ciò ha
inevitabilmente un’origine che egli non può considerare senza
orrore, perchè deve la propria esistenza non solo alla fatica di
coloro che l’hanno creato, ma anche alla schiavitù senza nome
dei loro contemporanei. Non è mai un documento di cultura
senza essere un documento di barbarie. “Là dove lo storicismo
celebra geni ed eroi , i l material ista storico mantiene le
distanze, dovesse anche ricorrere alle molle per i l fuoco”323, e
come, in sé, la tradizione “non è immune dalla barbarie, non lo
322 Walter Benjamin, ibidem, p. 615, N 9a 7 323 Walter Benjamin, Manoscritti Preparatori, Ms 1073v, I 1248s
è nemmeno il processo della tradizione per cui è passato
dall’uno all’altro”.324
Il carattere distrutt ivo si si tua allora come una reazione al
pericolo che minaccia tanto i l contenuto della tradizione quanto
i l suo destinatario, i l vinto; così mentre i l f lusso di coscienza al
quale l’io e l’Erlebnis sono sempre presenti è l’analogo della
tradizione intesa come un continuum, al quale la coscienza
storica deve sempre aderire nel far valere l’immagine del
passato, la tradizione si costi tuisce invece per Benjamin come
un discontinuum in cui ci si aggrappa a quegli scogli , a quegli
spuntoni che offrono un appiglio a chi voglia spingersi oltre, e
che la tradizione intesa come continuità cancella nell’onore
tributato a quegli elementi del passato che sono già entrati a
fare parte del suo influsso postumo. Mentre l’ idea del
continuum l ivella al suolo ogni cosa, “l’idea del discontinuum è
i l fondamento della vera tradizione. La coscienza di una
discontinuità storica è la peculiarità delle classi r ivoluzionarie
nell’att imo della loro azione”.325
“Siamo diventati poveri . Abbiamo ceduto un pezzo dopo l’altro
dell’eredità umana, spesso abbiamo dovuto depositarlo al Monte
di Pietà, ad un centesimo del valore, per riceverne in anticipo la
monetina dell’attuale”.326 Lo storicista ha creduto di accumulare
la ricchezza della storia e dell’esperienza , ma poi ci si accorge
che anch’egli ha riscosso solo la monetina dell’attuale. Il
materialista storico rinuncia al passato e all’eredità in senso
passivo e patrimoniale per scegliere la povertà dell’esperienza
odierna come punto di inizio; in questo senso altrettanto forte
quanto l’impulso distrutt ivo è l’ impulso della salvazione della
“storiografia autentica”, che salva i l passato non tanto
dall’oblio o dal dispregio in cui esso è tenuto, quanto da un
324 Walter Benjamin., ibidem, Ms 447/1094, I 1240s 325 Walter Benjamin, ibidem, Ms 469, I 1236 326 Walter Benjamin, Esperienza e povertà, in op. cit., p. 208
determinato modo della sua tradizione; e che è i l modo in cui
esso è st imato come un’eredità, e che è più disatroso di quanto
potrebbe esserlo la sua scomparsa, perchè in tal modo la storia
della cultura accresce i l peso dei tesori che gravano sulle spalle
dell’umanità, ma non le dà la forza di scuoterseli di dosso e
quindi di prenderli in mano-; per questo sono significativi in
Benjamin i momenti e gli autori in cui si manifesta, at traverso
l’oblio o i l r iemergere della preistoria, la rottura della
tradizione; in cui l’apparenza della continuità vien scardinata
dall’interno, a partire dalla memoria involontaria; in cui saltano
i parametri del tempo cumulativo, dell’eredità culturale che si
accresce solo.
Da qui l’ importanza, oltre che di Baudelaire, di Klee, di
Scheerbart anche di Kafka, “la [cui] opera è una malatt ia della
tradizione”.327 Dove si rendono visibil i le malatt ie della
tradizione, la malta del tempo storico si sgretola e accanto al le
fondamenta arcaiche si intravede la possibil i tà di un nuovo
inizio; tutto ciò equivale ad una rinuncia alle Erlebnisse per
una felicità povera. Solo in questo modo c’è speranza di fare
fruttare i l magro tesoro dell’esperienza at tuale e “la memoria
[Eingedenken][è] come i l fi lo di paglia, la più piccola garanzia
alla quale si aggrappa chi sta per annegare”.328 E’ i l concetto di
tempo storico che sta in opposizione all’idea di un continuum
temporale, i l tempo storico è lo spazio della salvazione dei
fenomeni come salvazione innanzitutto del passato; è nel tempo
storico che i l r icordo si art icola e questo ricordo, a sua volta,
non è che un’immagine involontaria. L’articolazione del tempo
storico nel movimento rammemorante dell’anima si determina
in Benjamin come un tentativo consapevole di arrestare la fuga
emorragica del tempo fuori dallo spazio della memoria, che è i l
suo contrassegno nella modernità crist iano-borghese.
327 Walter Benjamin, Lettere, op. cit., p. 347 328 Walter Benjamin, Manoscritti Preparatori, Ms 477 54-5, I 1243
Quell’accelerazione della storia che si determina in età
i l luminist ica nella rottura con la tradizione ed i l configurarsi
della possibil i tà di un’unica storia universale che, in quanto
unità di evento e rappresentazione, raccolga in direzione del
futuro, come progresso, tutte le finora sparse energie spiri tuali
dell’umanità è i l rovescio dell’idea di tempo storico, quale
Benjamin la ha concepita nelle tesi .
La vera immagine del passato infatt i guizza via, balena una
volta per sempre nel momento della sua riconoscibil i tà; se tale
immagine è autentica, essa lo deve alla sua “fugacità”, e qui è
contenuta la sua unica possibil i tà. “Proprio perchè è caduca e
un soffio basta a spazzarla via, molto dipende da questa verità.
A prendere i l suo posto, infatt i , è pronta l’apparenza che va più
d’accordo con l’eternità”.329
Per ricosti tuire la tradizione all’interno del discontinuum
Benjamin si richiama proprio al concetto di realtà
dell’apparenza, ossia al presentarsi di un fenomeno in forma
inevitabilmente distorta o rovesciata, f ino a quando non viene
capovolta, almeno teoricamente, la si tuazione che la produce.
Quando si attua i l capovolgimento, allora i l suo apparire
rovesciato può essere giustificato e spiegato all’interno della
struttura d’acciaio della teoria perchè “può darsi che la
continuità della tradizione sia un’apparenza. Ma allora proprio
la permaneza di questa apparenza di permanenza fonda in essa
la continuità”.330
Ma proprio perchè i l capovolgimento non si è ancora attuato, le
figure nelle quali l’esperienza s i costi tuisce, per Benjamin,
anche nel cuore della modernità, appartengono soltanto al regno
dell’involontario. La continuità infatt i non può apparire finchè
“il nemico non avrà smesso di vincere” e sinchè i vinti di
sempre non sono in grado di capovolgere lo stato di cose
329 Walter Benjamin, ibidem, Ms 440, I 1247 330 Walter Benjamin, ibidem, Ms 469, I 1236
esistenti , di r i trovare la memoria involontaria della propria
storia, di opporre la propria tradizione continuamente
interrotta, soffocata e ctonica a quella trionfante e consolidata
degli avversari ; è l’Erinnerung , i l r icordo, che connette i vinti
all’ indietro, lungo la catena delle generazioni, alla storia della
redenzione, del riscatto collett ivo in un messianismo
secolarizzato, in una sorta di r isveglio; nel suo nucleo più
profondo l’idea benjaminiana di esperienza è connessa alla
figura del r isveglio; nella congiunzione di presente e passato
operata dall’esperienza i l passato si desta, e i contenuti dei
desideri r imossi - la voce dei vinti , nella storia dei popoli come
in quella delle pulsioni- l iberano la loro carica di progettuali tà
per i l futuro; “dai posteri non pretendiamo ringraziamenti per le
nostre vit torie, ma la memoria delle nostre sconfit te. Questa è
consolazione: consolazione che si dà solo per quelli che non
hanno più speranza di consolazione”.331 [Brecht, Ai posteri]
Ricordo e risveglio sono strettamente affini , giacchè i l r isveglio
è la svolta copernicana e la dialet t ica della reminiscenza; la
svolta copernicana “nella visione storica è la seguente: si
considerava i l passato come un punto fisso e si assegnava al
presente lo sforzo di avvicinare a tentoni la conoscenza a
questo punto fermo. Ora questo rapporto deve capovolgersi e i l
passato deve diventare i l rovesciamento dialett ico, l’irruzione
improvvisa della coscienza risvegliata”.332 Il r isveglio è un
articolato e composito rivolgimento del sogno nel mondo della
veglia. Il nuovo metodo della scienza storica insegna a
penetrare con la rapidità e l’intensità del sogno nello spiri to del
passato, per esperire i l presente come mondo della veglia, a cui,
in ult ima analisi si riferisce ogni sogno; solo attraverso la
dialet t ica è possibile i l recupero degli elementi onirici al
r isveglio, esemplare per i l pensatore e vincolante per lo storico.
331 Walter Benjamin, ibidem, Ms 446, 12-16, I 1240 332 Walter Benjamin, Parigi.., op. cit., p. 508, K 1,2
In questo modo la polit ica consegue i l primato sulla storia , i
fatt i divengono qualcosa “che ci ha colpito proprio in
quell’istante, fissarl i è compito del ricordo [Erinnerung]”.333
“Il risveglio è forse la sintesi della tesi della coscienza onirica
e dell’anti tesi della coscienza desta? Il momento del risveglio
sarebbe allora identico all’ ora (jetzt) della conoscibil i tà in cui
le cose indossano la loro vera -surrealist ica- facciata.
Similmente in Proust è importante come tutta la vita sia in
gioco nel punto di rottura -dialett ico in grado supremo- della
vita, i l r isveglio. Proust comincia con un’esposizione dello
spazio di chi si desta”.334
Il cinema -almeno in alcune sue varianti- può a ben diri t to
rientrare in questa ott ica del risveglio e del recupero
dell’esperienza .
Per capire in che modo pensiamo allo stupefacente lavoro di
Aby Warburg i l quale, negli stessi anni in cui compare i l
cinema muto, avvia quelle indagini che avevano come centro i l
gesto come cristal lo di memoria storica, i l suo irriggidirsi in un
destino e i l tentativo degli art ist i e dei fi losofi per affrancarlo
da esso attraverso una polarizzazione dinamica. Warburg lasciò
incompiuto i l suo atlante Mnemosyne , che rappresenta non un
immobile repertorio di immagini fotografiche, ma una
rappresentazione in movimento virtuale dei gesti dell’umanità
occidentale. Le singole immagini vanno considerate piuttosto
come fotogrammi di un fi lm che come realtà autonome, nello
stesso senso in cui Benjamin ebbe una volta a paragonare
l’immagine dialett ica a quei quadernett i precursori del
movimento che, se sfogliati rapidamente, producono
l’impressione del movimento, e nei quali “da bambini potevamo
ammirare le art i di un pugile, di un nuotatore o di un giocatore
333 Walter Benjamin, ibidem 334 Walter Benjamin, Parigi..., op. cit., p. 600-601, N 3a, 3
di tennis”335; in essi le immagini scorrono come nella mémoire
involontaire, come quella “vita intera, che, come sovente
sentiamo dire, sfi la davanti agli occhi dei morenti , [e che] si
compone precisamente di queste piccole immagini”.336 E non è
certamente casuale che la sezione di Strada a senso unico in cui
è contenuto i l saggio Viaggio attraverso l’inflazione tedesca ,
s ia inti tolata Kaiserpanorama , dove il Kaiserpanorama è una
sorta di antenato del cinema; in esso le immagini si
susseguivano dentro stereoscopi a cui gli spettatori avevano
accesso singolarmente. Il recupero dell’esperienza mediato
dalla memoire involontaire diventa un fatto singolo, del singolo
soggetto atomizzato nella frenesia angosciante della ci t tà, colto
in una parabola ideale della sua esistenza che lo immortala
spettatore della nuda miseria, stupido e vile nella vuotezza dei
modi di dire, cieco dinnanzi ad una situazione che si
configurava come una si tuazione di stabile miseria, e che,
solamente nel recupero quasi cinematografico dei frammenti
della propria esperienza e dei propri gesti può ricosti tuire
l’esperienza . Tale recupero può e deve divenire un fatto
collett ivo, ma è necessaria una totale convergenza verso un
progetto grande e che rompa definit ivamente l’ordine produttivo
che la stessa borghesia ha messo in opera.
Come ha mostrato Deleuze337, le immagini cinematografiche non
sono pose eterne, come le forme del mondo classico, ma ogni
immagine è da una parte la reificazione e lo scancellamento di
un gesto, dall’altra ne conserva intatta la dynamis (come ad
esempio una qualunque fotografia sportiva). La prima
corrisponde al r icordo di cui si impossessa la memoria
involontaria, la seconda all’immagine che balena nell’affiorare
della memoria involontaria. Il cinema riconosce le immagini
335 Walter Benjamin, Manoscritti Preparatori, Ms 754, II 1064 336 Walter Benjamin, ibidem 337 Gilles Deleuze, L’immagine- movimento, Milano, 1984, p. 213
alla patria del gesto; secondo la bella definizione implicita in
Traum und Nacht di Beckett , esso è i l sogno di un gesto.
Introdurre in questo sogno l’elemento del risveglio è i l compito
del regista. “Nell’immagine dialett ica bisogna fare posto al
sogno di una cosa -nonostante la l iquidazione del mito
nell’immagine dialett ica (analogia tra sogno e fiaba)”.338 Questo
perchè in ogni immagine è sempre all’opera una sorta di l igatio,
un potere paralizzante che occorre disincantare, ed è come se da
tutta la storia dell’arte si levasse una muta invocazione verso la
l iberazione dell’immagine nel gesto. E’ quanto in Grecia era
espresso dalle leggende sulle statue che spezzano i legami che
le trattengono e cominciano a muoversi; ma è anche
l’intenzione che la fi losofia affida all’idea , che non è affatto,
secondo l’interpretazione comune, un’archetipo immobile, ma
piuttosto una costellazione in cui i fenomeni si compongono nel
gesto. Di qui non solo la prossimità tra gesto e fi losofia, ma
anche tra fi losofia e cinema.
Il primo effetto del cinema è di creare un att imo d’arresto, nel
f lusso incessante, isolando un particolare e sbalzandolo in
primo piano “con la dinamite dei decimi di secondo ho fatto
saltare questo mondo simile ad un carcere; così noi siamo ormai
in grado di intraprendere tranquillamente avventurosi viaggi in
mezzo alle sue sparse rovine. Col primo piano si dilata lo
spazio, con la ripresa al rallentatore si dilata i l movimento”. 339
In questo modo il cinema può incorporare integralmente lo
sguardo del flaneur baudelairiano, che non si rassegna
all’esperienza passiva dell’uomo della folla ma tenta di
r iscattarne l’insensatezza, pur condividendone l’ambiguità. Con
la sua stessa tecnica, esso tenta di montare un’unità di
significato nel f lusso incessante e discontinuo delle
338 Walter Benjamin, Manoscritti Preparatori, Ms 1816-1819, cv 12, I 1174 339 Walter Benjamin, L’opera d’arte..., op. cit., p. 41
inquadrature. La tecnica del montaggio letterario si r if lette
posit ivamente, per Benjamin, nel montaggio cinematografico.
Esempio i l luminante è i l f i lm surrealista Un chien andalou di
Buñuel in cui le immagini sono frutto di associazioni mentali ,
di impulsi dell’ inconscio; la discontinuità della
rappresentazione sottolinea l’assurdità del reale, l’ inquadratura
iniziale del taglio dell’occhio evidenzia la rottura e la rivolta
del regista nei confronti della fruizione tradizionale.
Il cinema si fa così sintomo espressivo e insieme antidoto
possibile alla distrazione dispersa, in cui avviene l’esperienza
moderna; infatt i “se siamo più o meno abituati al gesto di
afferrare l’accendisigari o i l cucchiaio, non sappiamo pressochè
nulla di ciò che effett ivamente avviene tra la mano e i l metallo
[ . . . ] qui interviene la cinepresa con i suoi mezzi ausil iari”.340 Le
tecniche del primo piano, del rallentamento, dell’accelerazione,
rivelano un inconscio ott ico che dilata e divide anche i l più
semplice dei gesti rendendolo presente allo spiri to, gesto che è
la vera cellula originante del cinema crit ico-espressivo, e che lo
strappa alla ricezione distratta del cinema spettacolare. Infatt i
quelle stesse tecniche che permettono l’apparire delle immagini
di sogno, possono favorire la disidentificazione e i l r isveglio da
esse e infine la loro interpretazione nell’at t imo
dell’integrazione alla psiche desta.
In questo senso i l cinema può avere un significato polit ico; così
come il socialismo non sarebbe mai venuto al mondo se si fosse
solo voluto destare l’entusiasmo dei lavoratori per un ordine
delle cose genericamente migliore; che Marx “abbia voluto
offrirgliene uno in cui le loro stesse condizioni di vita
sarebbero migliori , mostrandogli come esso sia anche l’ordine
più giusto, è questo che fa la forza e l’autorità del
movimento”.341 Per l’arte vale esattamente la stessa cosa, poichè
340 Walter Benjamin, ibidem, p. 42 341 Walter Benjamin, Parigi.., op. cit., p. 517, K 3a, 1
in nessuna epoca, per quanto utopica possa essere, si potrà mai
conquistare le masse ad un’arte superiore, ma sempre solo ad
un’arte che sia loro più vicina, e “una cosa del genere non può
riuscire per quasi nessuna delle forme propagandate
dall’avanguardia borghese”.342
Il modello insuperato di tale dialett ica del risveglio in cui
l’immagine assume valore poli t ico è i l cinema di Ejzenstein, in
cui la massa che vede se stessa, avrebbe dovuto compiere un
salto qualitativo nella propria coscienza di sé e dunque passare
dal punto di vista dell’oggetto manipolabile a quello del
soggetto del proprio destino.
E’ qui che “l’immagine dialett ica va definita coma la memoria
involontaria dell’umanità redenta”343; “nel momento in cui i l
passato si contrae nell’att imo, nell’immagine dialett ica, esso
entra a far parte della memoria [Erinnerung] involontaria
dell’umanità redenta”344 e solo “all’umanità redenta spetta -
secondo Benjamin- tutto i l suo passato”. 345
Forse i l modo migliore di concludere è con un maestro di
saggezza popolare molto apprezzato da Benjamin a cui lasciamo
l’ult ima parola: “Nulla è più istrutt ivo che osservare come nella
vita umana tutto è strettamente collegato, [ . . . ] osservare come
perfino una cosa sbagliata o proibita può essere riabili tata
quando ci sia di mezzo l’uomo giusto o la donna giusta,
insomma osservare come nel grande incessante mutamento delle
cose ogni singolo evento scompaia, frammischiandosi, sicchè
non si può più recuperarlo, e tuttavia rimane accaduto e non va
mai perso, sia cosa buona o sia cosa catt iva”.346
342 Walter Benjamin, ibidem 343 Walter Benjamin, Manoscritti Preparatori, Ms 491 7-18, I 1233 344 Walter Benjamin, ibidem, Ms 491 7-18, I 1233 345 Walter Benjamin, Tesi di Filosofia della Storia, op. cit., p. 76, Tesi 3 346 Johann Peter Hebel, Storie di calendario,Venezia, 1996, pp. 310-311
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