Seminario sull'Agamennone Breve riassunto degli incontri...

94
Seminario sull'Agamennone Breve riassunto degli incontri trascorsi (per chi vuole ripassare e per chi è stato assente) 1° incontro, 27 Novembre 2007 Edizione critica Leggeremo l'Agamennone in edizione critica, cioè in un testo che è stato costituito (determinato) non semplicemente ristampando un'edizione precedente, bensì consultando tutti i manoscritti antichi che ci hanno tramandato l'opera in questione. Le edizioni critiche sono preparate dai filologi. I manoscritti non sono altro che i libri antichi, precedenti all'invenzione della stampa: possono essere papiri, cioè rotoli di papiro appunto, che risalgono all'antichità classica (i più antichi del IV a.C., i più recenti del V d.C.), o codici, cioè fogli di pergamena o carta rilegati, di epoca medievale, del tutto simili ai nostri libri. La stragrande maggioranza degli autori antichi ci è giunta in codici: i papiri sono molti meno e sono frammentari, poiché ritrovati dagli archeologi nei loro scavi in Egitto, erosi dal tempo. Poiché copiando a mano è inevitabile commettere errori (soprattutto copiando difficili testi in greco antico, magari in epoche in cui il greco antico non era più parlato!), si capisce che, in tanti secoli e in tante copiature, i testi antichi si sono riempiti di errori, cioè si sono allontanati dall'originale. In filologia per errore si intende qualsiasi cambiamento del testo originale, anche qualora questo cambiamento sia perfetto dal punto di vista grammaticale, sintattico, ecc. Compito dell'editore critico è appunto quello di identificare il maggior numero possibile di questi errori nei manoscritti e di costituire un testo il più vicino possibile all'originale. Capita raramente che un'opera antica ci sia giunta in un unico manoscritto: in tal caso il lavoro necessario per l'edizione critica consiste nel leggere il più attentamente possibile tale manoscritto e valutare parola per parola se il testo ha ‘le carte in regola‘ per essere quello che l'autore in origine ha scritto: le parole e espressioni che paiono insostenibili vengono corrette in base al contesto, allo stile dell'autore, a espressioni simili in altri autori ecc. Quando invece i manoscritti sono più di uno l'editore deve confrontarli uno con l'altro, e in tutti i casi in cui la loro lezione (cioè il testo di un preciso passo) è diversa, deve valutare quale di esse corrisponde alla lezione originale; oppure,

Transcript of Seminario sull'Agamennone Breve riassunto degli incontri...

Seminario sull'Agamennone

Breve riassunto degli incontri trascorsi(per chi vuole ripassare e per chi stato assente)

1 incontro, 27 Novembre 2007

Edizione criticaLeggeremo l'Agamennone in edizione critica, cio in un testo che stato costituito (determinato) non semplicemente ristampando un'edizione precedente, bens consultando tutti i manoscritti antichi che ci hanno tramandato l'opera in questione. Le edizioni critiche sono preparate dai filologi.I manoscritti non sono altro che i libri antichi, precedenti all'invenzione della stampa: possono essere papiri, cio rotoli di papiro appunto, che risalgono all'antichit classica (i pi antichi del IV a.C., i pi recenti del V d.C.), o codici, cio fogli di pergamena o carta rilegati, di epoca medievale, del tutto simili ai nostri libri. La stragrande maggioranza degli autori antichi ci giunta in codici: i papiri sono molti meno e sono frammentari, poich ritrovati dagli archeologi nei loro scavi in Egitto, erosi dal tempo.Poich copiando a mano inevitabile commettere errori (soprattutto copiando difficili testi in greco antico, magari in epoche in cui il greco antico non era pi parlato!), si capisce che, in tanti secoli e in tante copiature, i testi antichi si sono riempiti di errori, cio si sono allontanati dall'originale. In filologia per errore si intende qualsiasi cambiamento del testo originale, anche qualora questo cambiamento sia perfetto dal punto di vista grammaticale, sintattico, ecc.Compito dell'editore critico appunto quello di identificare il maggior numero possibile di questi errori nei manoscritti e di costituire un testo il pi vicino possibile all'originale.Capita raramente che un'opera antica ci sia giunta in un unico manoscritto: in tal caso il lavoro necessario per l'edizione critica consiste nel leggere il pi attentamente possibile tale manoscritto e valutare parola per parola se il testo ha le carte in regola per essere quello che l'autore in origine ha scritto: le parole e espressioni che paiono insostenibili vengono corrette in base al contesto, allo stile dell'autore, a espressioni simili in altri autori ecc.Quando invece i manoscritti sono pi di uno l'editore deve confrontarli uno con l'altro, e in tutti i casi in cui la loro lezione (cio il testo di un preciso passo) diversa, deve valutare quale di esse corrisponde alla lezione originale; oppure,

se nessuna ha le carte in regola, proporre una correzione. Lavoro lunghissimo, difficile, pieno di soggettivit!Per brevit, ciascun manoscritto si indica con una lettera latina maiuscola (A, B, C). I rapporti di parentela tra i manoscritti (per esempio se A stato copiato da B, oppure se A e B sono stati entrambi copiati da C) si disegnano in uno stemma, una specie di albero genealogico (vedi quello dei manoscritti dell'Agamennone). Questo importante perch per esempio, se B risulta copiato da A, allora B quasi sempre si pu mettere da parte, perch ovviamente conterr tutti gli errori che ci sono in A e in pi altri errori commessi da chi ha copiato B da A.Se si capisce che due o pi manoscritti esistenti sono fratelli, nel senso che sono copie di uno stesso manoscritto, ma quest'ultimo non pi esistente, il genitore scomparso si indica con una lettera greca minuscola (, , ). Infine, se si pu provare che tutti i manoscritti esistenti derivano in ultima analisi da un unico antenato scomparso, quest'ultimo si indica con una lettera greca maiuscola.L'Agamennone tramandato in cinque manoscritti, e in pi abbiamo una piccola strisciolina di papiro che conserva alcune lettere dei primi versi della tragedia.

Tragedia grecaNon faremo un'introduzione alla tragedia greca, perch un argomento cos complesso che ritarderebbe troppo la lettura dell'Agamennone. Della tragedia come genere poetico parleremo via via che leggeremo le varie parti dell'Agamenonne. Intanto, per cominciare, limitiamoci a poche notizie basilari:1) La tragedia costituita, da cima a fondo, di versi, cio da cima a fondo poesia (i greci non avevano dubbi su cosa fosse o non fosse poesia: la poesia solo in versi, misurati dalla metrica).2) I versi sono di due tipi: recitati o cantati. I versi recitati non avevano melodia e accompagnamento musicale; i versi cantati avevano melodia e accompagnamento musicale (purtroppo le melodie non sono state trascritte insieme ai testi; ne possediamo solo brevissimi frammenti).2b) Comunque tutti i versi greci, sia recitati sia cantati, sono di tipo quantitativo, cio costituiti da un'alternanza regolare di sillabe lunghe e sillabe brevi.3) I versi recitati sono affidati agli attori, i versi cantati al coro. Il coro non solo canta, ma contemporaneamente danza ( = danzo). I componenti del coro si chiamano coreuti.4) Gli attori monologano e dialogano sulla scena; il coro danza e canta

nell'orchestra. La scena ha la forma rettangolare ancora oggi usata, l'orchestra ( = danzo) una spianata circolare situata in genere pi in basso della scena, con al centro l'altare di Dioniso, nume protettore della tragedia.5) Talvolta il poeta tragico affida versi cantati agli attori (situazioni di particolare pathos), oppure versi recitati al capo del coro, il corifeo, che in quel momento dialoga con gli attori.6) Il verso recitato della tragedia il trimetro giambico; i versi cantati sono svariati e complessi e in questo seminario non li affronteremo.7) Il trimetro giambico l'unione di tre metri giambici; un metro giambico , nella forma base, composto di quattro sillabe in questa sequenza:

x (leggi: 1 indifferente, 2 lunga, 3 breve, 4 lunga)

Pertanto lo schema del trimetro :x x x

Tuttavia l'ultima sillaba del verso pu anche essere breve: infatti, dato che la fine del verso impone comunque una pausa, piccola o grande che la si faccia, anche una sillaba breve, sommata alla pausa, corrisponderebbe comunque a una lunghezza. Pertanto lo schema del trimetro giambico diviene:

x x x7b) I trimetri giambici di Eschilo spesso corrispondono a questa forma base. Ma sono sempre possibili le sostituzioni: due sillabe brevi prendono il posto di una lunga: . Pertanto lo schema pu variare anche di molto, se in un verso c' pi di una sostituzione.7c) Nella lettura scolastica, si pone un accento su ogni seconda sillaba delle coppie: x e . Ne risulta un ritmo martellante e monotono (il famigerato tat tat tat tat ecc., degno parente del ttata ttata dell'esametro scolastico) che non ha nulla a che fare con il trimetro greco, dove ogni parola conservava il suo accento naturale (che era melodico, non intensivo) e al tempo stesso si percepiva il ritmo dettato dalla regolare alternanza di sillabe lunghe e brevi. Nel caso di sostituzioni, l'accento va sulla prima delle due brevi che sostituiscono la lunga.

EschiloIl poeta e la sua arte li conosceremo col tempo, leggendo la tragedia. Intanto vi ho riferito il giudizio del retore latino Quintiliano, che pur riconoscendo la sua grandezza lo definisce rudis e incompositus, che non sono complimenti e fanno pensare che, come noi, anche i latini trovassero difficolt nel comprenderlo. Va detto che Eschilo il primo e pi antico dei grandi tragici: Sofocle e soprattutto

Euripide hanno sviluppato uno lingua e uno stile pi moderni, pi raffinati, cos che l'arte di Eschilo parsa subito arcaica (nelle commedia Le Rane di Aristofane c' un bellissimo confronto tra Eschilo e Euripide). Del resto come dice Murray, un editore moderno, nella sua prefazione in latino, Eschilo come una Sirena che ha attirato tanti col fascino del suo canto, ma tanti ha fatto naufragare...

Il PrologoLe tragedie si compongono di parti ben distinte. La prima in genere il prologo, parte recitata affidata a un attore o pi attori, una sorta di introduzione. Dopo il prologo viene la parodo, il primo canto/danza del coro, chiamata cos dalla , ingresso laterale dal quale il coro entrava nell'orchestra. Procedendo nella lettura dell'Agamennone conosceremo una per una le varie parti della tragedia greca.Il prologo dell'Agamennone giustamente famoso e considerato un capolavoro. Parla una guardia (), pi esattamente una vedetta, che da un anno stata incaricata dalla regina Clitemestra, moglie di Agamennone, di passare insonne le notti sul tetto del palazzo degli Atridi, in Argo (s, in Omero Agamennone re di Micene, qui di Argo). Perch tale strano incarico, che cosa deve vedere la vedetta? in corso la guerra di Troia, Agamennone assente; Clitemestra lo ha tradito con Egisto e ne aspetta il ritorno intenzionata ad assassinarlo. Prima di partire, Agamennone aveva concordato con Clitemestra che, in caso di vittoria, avrebbe fatto pervenire la notizia ad Argo tramite una catena di fuochi, che sarebbero stati via via accesi sulle cime di determinati monti lungo il percorso tra Troia e Argo (stratagemma che ritroviamo nel film "Il Signore degli Anelli", come ha notato Corinna). Clitemestra, che non vuole essere presa alla sprovvista da un improvviso ritorno del marito, ha incaricato la vedetta di sorvegliare l'orizzonte per annunciare subito l'atteso segnale di fuoco.Queste informazioni non ci sono fornite da didascalie dell'autore, come nel teatro moderno, ma si ricavano dalla tragedia stessa.

Traduzione e commentoLa traduzione dell'Agamennone presuppone sempre la discussione e la scelta di molteplici possibilit interpretative. I problemi che il testo pone sono cos tanti, che a volte non se ne viene a capo e bisogna rassegnarsi a intuire il suo significato, senza poterlo rendere con esattezza. Ecco come abbiamo inteso i versi 1-7:

1 Agli dei chiedo l'allontanamento di queste fatiche,2 di questa guardia cio annuale in lunghezza, durante la quale giacendo3 sulla casa degli Atridi, tra le braccia, come un cane,4 conosco l'adunanza degli astri notturni,5 sia quelli che portano l'inverno sia l'estate ai mortali,6 splendenti signori, che spiccano nel cielo,7 astri, qualora tramontano e il loro sorgere.

Ed ecco le considerazioni che ci hanno condotto a tale traduzione:

1 : bene il significato primario della parola, "fatica", perch vegliare un anno su un tetto (inverno compreso!) realmente faticoso.

: gli articoli in tragedia non si usano (come in Omero), quindi nella traduzione siamo noi a dover stabilire dove e come porli, come in latino.2 : apposizione di . In (< , anno) (cf. -, lungo), "annuale in lunghezza", l'accusativo di limitazione sembra ridondante, inutile: invece abbiamo visto che esprime la psicologia del personaggio, che di questa lunghezza... non ne pu pi; allo stesso modo noi diciamo "ho faticato un anno intero" dove basterebbe dire "un anno", per enfatizzare la durata della nostra fatica.

: pronome relativo che riprende , con funzione di compl. di tempo continuato; come ha notato Elena, in prosa quest'uso permesso solo con vocaboli che di per s esprimono un lasso di tempo (giorno, mese ecc.).3 : il tetto, < (), copro (cf. la nostra tegola); il plurale in genere significa "casa".

: ha fatto impazzire gli studiosi. Due possibilit: o la forma sincopata di () = (), da , e significa "su, sopra" (ma in tal caso dovrebbe reggere un genitivo, cio ci vorrebbe ); oppure deriva da , gomito, braccio, e vuol dire "tra le braccia", come in un passo delle Eumenidi (stessa trilogia!) dove il significato sicuro perch l'espressione , "prendendo la statua tra le braccia", non lascia dubbi. Abbiamo scelto la seconda ipotesi.

: la lingua poetica particolare: qui non ha a che fare con la giustizia, ma funge da preposizione posposta (posta dopo la parola) e significa "come, al modo di".2-3 Dunque, con le scelte interpretative che abbiamo fatto, che scena e che senso si ricavano complessivamente? La vedetta dice che il suo modo abituale

di passare le notti "sdraiato" () "tra le braccia" () "come un cane" ( ): sicuramente intende dire "con la testa tra le braccia", ma supino (pancia in su, testa poggiata sui palmi delle mani) o prono (pancia in gi, testa appoggiata sui dorsi delle mani)? Irene ha capito subito che la vedetta stava prona, perch il suo compito era scrutare l'orizzonte in attesa del segnale di fuoco, non osservare la volta celeste. I versi seguenti sembrano smentire questa ipotesi, perch la vedetta dice di conoscere bene le costellazioni; ma poi parla specificamente del loro tramontare ( ) e sorgere (), cio proprio di quelle fasi in cui le stelle si trovano all'orizzonte!4 : perfetto fortissimo da = so; avr il consueto valore intensivo, "fino in fondo" (< dal valore locativo "gi"), "bene".

: vocabolo poetico < , uguale + .5 qui tutto scorre bene; , in genere tradotto "mortale" anche se non si sicuri dell'etimologia, comune nell'epica.6 : il cielo come volta celeste.7 : le croci indicano una parola o un passo che l'editore ritiene "disperato", ovvero per il quale nessun manoscritto offre una lezione credibile e nessun filologo ha proposto una correzione convincente. In questo caso le difficolt sono due: 1) metrica, poich la prosodia (quantit sillabica) di , cio la seconda sillaba lunga del trimetro sostituita da due brevi; ma gli studiosi hanno constatato che Eschilo sostituisce la seconda sillaba solo quando usa nomi propri, mentre qui il nome comune; 2) stilistica, perch la ripetizione di "astri" suona scadente e inutile. Nel prossimo incontro vedremo quali correzioni sono state proposte. Noi per adesso traduciamo la parola cos com', osservando che essa merita rispetto dato che la piccola strisciolina di papiro ci testimonia che non sicuramente un errore nato in epoca bizantina (il papiro del II d.C.).

: il significato chiaro, ma la sintassi no, perch non chiaro come questa frase si colleghi a quanto precede: probabilmente riprende , nel senso che le costellazioni "portano" le stagioni "qualora tramontano", cio una stagione inizia col tramonto (o col sorgere) di una costellazione.

: il significato, "sorgere", cade a fagiolo, dato che subito prima si parla di tramonto delle costellazioni; la sintassi invece non convince, perch l'accusativo non ha un verbo da cui dipenda. Difatti sono state proposte per il precedente diverse correzioni che diano un verbo a questo verso, oppure si pensato a cambiare il caso in dativo, , cos che significhi "con il loro sorgere" (portano le stagioni).

Seminario sull'Agamennone

Breve riassunto degli incontri trascorsi(per chi vuole ripassare e per chi stato assente)

2 incontro, 4 Dicembre 2007

Apparato critico: lezioni e congettureCome abbiamo detto nel primo incontro, l'edizione critica di un testo basata sull'analisi delle lezioni dei manoscritti (lezione: parola o espressione offerta da un manoscritto; lett. "ci che si legge in un manoscritto"). Propriamente si parla di lezioni trdite, lezioni cio presenti nella tradizione manoscritta del testo. L'editore spesso si trova di fronte a lezioni alternative, perch il processo di copiatura a mano produce inevitabilmente errori: in questo caso fa una scelta tra le lezioni presenti, in base a criteri come la correttezza linguistica (si presume che l'autore abbia scritto un greco perfetto), lo stile, l'adeguatezza al contesto ecc. Ma in alcuni luoghi (luogo: passo di un testo) capita che nessuna delle lezioni trdite gli appaia soddisfacente: in questo caso ricorre a congetture, cio a ipotesi, proprie o di altri studiosi, con le quali spera di ricostruire il testo originale. Dunque due sono gli elementi di un testo critico: lezioni trdite e congetture. L'insieme delle lezioni trdite e congetture scelte dall'editore costituisce il testo che leggiamo nell'edizione critica: dunque non semplicemente "Agamennone di Eschilo", ma "Agamennone di Eschilo nell'edizione di M. L. West".L'apparato critico, stampato a pi di pagina, uno strumento fondamentale di una edizione critica in quanto consente al lettore:1) di sapere se una data lezione presente nel testo trdita oppure congetturale, e inoltre di sapere nel primo caso in quale/i manoscritti si trova, nel secondo da quale studioso stata escogitata;2) di vagliare il lavoro dell'editore presentando sia le lezioni trdite alternative a quelle che egli ha scelto, sia le congetture che egli non ha accolto nel testo.

Tradizione indirettaInoltre le edizioni critiche pi elaborate, come quella dell'Agamennone che noi usiamo, ci forniscono un altro utile strumento: tra il testo e l'apparato critico troviamo l'esposizione della tradizione indiretta. La tradizione di un testo infatti pu essere diretta (i manoscritti che contengono l'opera in questione), ma

anche indiretta: in questo caso si tratta di citazioni dell'opera in questione, pi o meno brevi, contenute in altre opere. Per esempio, capita che un grammatico di epoca ellenistica, imperiale e ancor pi spesso bizantina citi una parola da un testo poetico antico e ne spieghi il significato, ormai oscuro ai tempi suoi. Si capisce che, soltanto grazie alla tradizione indiretta, non si potrebbe mai ricostruire un'intera opera: ma essa comunque importante, perch ci pu offrire una lezione alternativa oppure fornire una sorta di conferma a una delle lezioni presenti nella tradizione diretta. "Testimoni" un termine che accomuna sia i manoscritti della tradizione diretta, sia quelli della tradizione indiretta: entrambi infatti testimoniano una determinata lezione.

Esame dell'apparato criticoLo studio di un apparato critico un'attivit affascinante, che ci porta dentro al testo e ci stimola a ricostruire i ragionamenti che hanno indotto l'editore alle sue scelte e i vari studiosi alle loro congetture. Vediamo allora che cosa ci offre l'apparato critico per i primi sette versi dell'Agamennone, che abbiamo tradotto nel primo incontro.2 Uno studioso di nome Peters ha proposto la congettura : si tratta di un cambiamento minimo rispetto al testo trdito, ma che tuttavia non privo di peso. Infatti, introducendo tra e una congiunzione coordinativa copulativa ( = ), non risulta pi apposizione di ("allontanamento di queste fatiche, cio di questa guardia"), ma diviene una seconda specificazione di ("allontanamento di queste fatiche e di questa guardia"). Non solo West, ma nessun editore accoglie la congettura di Peters: giustamente, perch (come ha osservato Margherita), mentre logico che le fatiche consistano nella guardia, non si capirebbe invece a quali fatiche il farebbe riferimento, se esse fossero qualcosa di distinto dalla guardia.Sempre al secondo verso si vede che ci sono a un certo punto due lezioni trdite alternative: il codice (codice non pi esistente ma ricostruito da G, T e V: vedi lo stemma nella prefazione) ha quella che West ha scelto, , mentre i codici M e V e lo scolio (scolio: nota esplicativa scritta nel margine di un manoscritto) hanno . Qui la questione molto complicata e per ora non la affrontiamo.3 Nel primo incontro abbiamo discusso della difficile interpretazione di : "sopra" (sul tetto) o "tra le braccia" (con la testa tra le braccia)? Uno studioso di nome Franz ha proposto la congettura : la nota di West "contra testes" ci ricorda che tutti i testimoni, sia di tradizione diretta sia di tradizione indiretta, hanno per . Ora, il punto che mentre pu avere i due significati, "sopra" e "tra le braccia", invece significa

solo "sopra". Evidentemente Franz era cos sicuro che il significato richiesto dal passo fosse "sopra", da ipotizzare che Eschilo abbia scritto proprio quella parola. Tuttavia, si pu obiettare a Franz che un errore di copiatura da a si spiega male, perch una parola pi rara, pi difficile: gli errori in genere banalizzano il testo, sostituendo un termine raro o difficile con uno comune o facile, non il contrario. Chi di noi per esempio, copiando un testo in cui si legge "superiore", potrebbe scrivere per errore "superno"?4 Interessante la congettura di owiski. Che cosa cambia rispetto al dei manoscritti? Quasi nulla, soltanto che "notturna" diventa l'adunanza ( ) degli astri, non gli astri stessi ( ). Un cambiamento piccolissimo! E allora perch lo studioso ha pensato di proporlo? Irene ha ragionato cos: gli astri sono nel cielo non solo di notte, quando li vediamo, ma anche durante il giorno; quindi improprio definirli "notturni"; "notturna" semmai, come sostiene owiski, la loro adunanza. Bel ragionamento, ma forse troppo razionalistico: non dimentichiamo che noi leggiamo e analizziamo il testo dell'Agamennone con tutto il tempo che vogliamo (e lo facciamo da 2500 anni...), mentre il pubblico ascoltava la recitazione dei versi in diretta: sicuramente nessuno tra il pubblico avrebbe avuto nulla da obiettare all'espressione "astri notturni"! Inoltre il ragionamento di Irene presuppone negli antichi greci la nostra stessa consapevolezza del fatto che le stelle sono nel cielo anche di giorno: questo ben possibile, ma sarebbe comunque da verificare. A mio parere, invece, owiski ha inteso rendere pi poetica l'espressione: "adunanza notturna" fa pensare che gli astri la notte si riuniscano nel cielo per una propria volont, provenendo magari dalle loro case o dal luogo in cui dormono di giorno. Una concezione poetica e infantile (anzi, pascolianamente: infantile, quindi poetica) del cielo stellato. A questo proposito abbiamo ricordato le espressioni con cui si spiega ai bambini piccoli il tramonto del sole: "il sole va a fare la nanna". [Margherita ha obiettato che diciamo "il sole va a fare la nanna" perch lo dicono i Teletubbies... che orrore se avesse ragione!] In ogni caso, concluderei che l'espressione "astri notturni" va benissimo e che non possiamo metterci a rendere Eschilo pi preciso scientificamente o pi poetico: la scientificit probabilmente non gli interessava, e poetico lo era gi abbastanza!5 Il codice aveva invertito le ultime due parole, da a . C' una spiegazione di questo errore, inerente la metrica; se volete chiedetemela.6 Il codice V e un codice della tradizione indiretta (di un certo Achille autore

di un commento ad Arato, quest'ultimo il famoso poeta ellenistico che parla dei fenomeni celesti) hanno non , "nel cielo", ma , "in estate". Non sembra esserci alcuna ragione per pensare che Eschilo abbia limitato l'azione di , "spiccare", solo alle notti estive. Irene ha per osservato che, se da altri passi si capisse che la tragedia si svolge proprio durante l'estate, varrebbe la pena di riconsiderare questo passo. Vedremo...7 Ed eccoci al tremendo verso 7: cos tremendo che due studiosi, Pauw e Valckenaer, hanno proposto di... cancellarlo! Essi hanno cio pensato che non lo abbia scritto Eschilo ma qualcuno dopo di lui, il quale per un suo motivo lo avrebbe inserito tra gli attuali versi 6 e 8 (questi inserimenti si chiamano interpolazioni). Una cosa del genere non impossibile, tutt'altro: sono stati provati molti casi analoghi. Per esempio, si sostiene che nelle tragedie alcuni versi siano stati inseriti dagli stessi attori. Certo, innegabile che togliendo il verso 7 e facendo finire il periodo con ci risparmiamo diversi problemi. Per forse una soluzione troppo radicale. West tiene una via di mezzo: secondo lui il verso di Eschilo, ma la parola no: essa a West non torna proprio, risulta inaccettabile (vedi gli appunti del primo incontro); e poich nessuna delle congetture proposta lo soddisfa, egli stampa la parola tra croci, ad indicare un "luogo disperato" (ma si dovrebbe chiamare "disperante", per gli studiosi).Vediamo allora le congetture riportate nell'apparato critico: tutte e tre introducono al posto di un verbum videndi, o al participio ( e ) o all'indicativo coordinato a ci che precede ( ): il risultato "osservando(li) quando tramontano e il loro sorgere" oppure "e (li) osservo quando tramontano e il loro sorgere". Sintassi perfetta, no? Inoltre tutte e tre le congetture hanno il pregio di avere un suono piuttosto simile a quello di , il che rende pi plausibile l'errore: si parlava di astri (v. 4 ), il copista distrattamente avrebbe sostituito la parola "astri", che aveva in mente, a un verbo dal suono simile.Infine, come si visto nel primo incontro, un altro studioso ha proposto di non toccare ma intervenire su , cambiando il caso in dativo: , che significherebbe "al loro sorgere" e farebbe coppia con il precedente "quando tramontano".Che cosa concludere sul verso 7, alla fine? Niente: cio, ciascuno trarr le proprie conclusioni, questo il bello della filologia e di una edizione critica. Finch un bel giorno arriver qualcuno talmente geniale o talmente fortunato da escogitare una soluzione condivisa da tutti, o talmente persuasivo da convincere tutti (ma questo difficile: i filologi sono diffidentissimi!).

Traduzione e commentoAnche oggi, proviamo a tradurre il testo il pi letteralmente possibile, cos da non nascondere i problemi che esso presenta. Ah, per la lettura, tenete presente che ai versi 15 e 19 ci sono due sostituzioni:

15 M O ( con )19 S ) (T con )

[N.B.: i simboli di breve e di lunga non indicano la quantit della vocale o dittongo cui sono sovrapposti, ma della sillaba nel suo complesso; ricorda che le sillabe che terminano in consonante sono lunghe anche se contengono una vocale breve]

8 E ora sorveglio il segnale della fiaccola,9 il raggio di fuoco che porta da Troia la voce10 e la notizia della conquista: cos difatti domina11 un cuore di donna, dal maschio volere, che spera.12 E qualora vagante di notte e rugiadoso io abbia13 il mio giaciglio, che non viene visitato da sogni14 (difatti la paura mi sta accanto invece del sonno,15 cos da non chiudere tranquillamente le palpebre al sonno),16 e qualora io pensi di cantare o canticchiare,17 intagliando questo rimedio come controcanto del sonno,18 piango allora, lamentando la sventura di questa casa19 che non amministrata nel modo migliore come prima.20 Ma ora avvenga un felice allontanamento dalle fatiche,21 apparendo il tenebroso fuoco dalla buona novella.

Ed ecco le considerazioni che motivano la traduzione.

8 : l'azione propria del , naturalmente.: la "fiaccola", in quanto il grande rogo sulla cima di

un monte apparir, da lontano, simile a una fiaccola. Proprio una "staffetta delle fiaccole" sar pi in l definita la sequenza dei segnali di fuoco che portano l'annuncio della vittoria dal monte Ida ad Argo.9-10... : sono sinonimi, in quanto significano entrambi "voce";

entrambe parole usate in poesia, ma la prima anche da Erodoto. Generalmente i traduttori rendono una delle due con "notizia". - formato dalla radice di , "dico", parente dei latini fa-ma e for; collegato al verbo poetico .

: una rara parola poetica, nella quale per Corinna ha subito riconosciuto la radice del verbo -, "sono conquistato". Questo aggettivo ci consente di comprendere un'importante caratteristica dello stile tragico e di Eschilo in particolare, che quella di piegare le parole a un significato inusuale, nuovo. Infatti significa propriamente "conquistabile": in questo passo invece, concordato a , significa "relativo alla conquista". Troveremo tanti altri esempi del genere: a volte il cambiamento rispetto al significato proprio cos grande da apparire uno stravolgimento.10 : < , "forza". Nel contesto, "domina" significa "mi impone questo incarico".11 : < + di , "dalla maschia volont"; forma la figura retorica dell'ossimoro (accostamento di concetti opposti) col precedente .

: participio congiunto a . La vedetta non ci dice che cosa il cuore della donna "spera": l'ambiguit crea interesse e tensione nel pubblico, che pu intendere sia "speranza di riabbracciare il marito", sia "speranza di mettere in atto il suo piano omicida" (i miti erano conosciuti, per cui la gran parte del pubblico gi sapeva come la storia andava a finire).

: forma poetica e non contratta (= ) corrispondente al comune , cfr. latino cor, cordis.12 : forma poetica corrispondente a ; di conseguenza sicuramente congiuntivo.

: due magnifici aggettivi poetici. Il primo formato da , "notte", e da un aggettivo derivato dalla radice -, "vagare" (cfr. -, i pianeti, che sembrano vagare nel cielo in contrapposizione alle stelle fisse; o il pi umile plancton, formato da microrganismi animali o vegetali incapaci di movimento proprio che vagano portati dalle correnti). Il secondo deriva da , "dentro", e , la rugiada. Sono complementi predicativi dell'oggetto: la vedetta ha il giaciglio () vagante di notte e rugiadoso, cio essa cambia di frequente posizione durante la notte ed bagnata dalla rugiada. Non c' bisogno di pensare a una brandina da campeggio: pu essere non il letto, ma il luogo stesso in cui la vedetta si mette a giacere.Un controllo del vocabolario ci ha informato che solo la rugiada, non la brina (quest'ultima si dice , lett. "condensa", < di ,

"solidifico"). Irene ha allora osservato che forse ci troviamo in estate, e che questo pu farci ripensare alla variante del v. 6: vedremo...14 : paura di che, di venire punito dalla regina se dormisse invece di vegliare, o di non vedere il segnale di fuoco? Il tipo di paura in genere espresso da favorisce la prima interpretazione.15 ... : infinito consecutivo senza , usato in poesia e anche dallo storico Tucidide (che ha uno stile ostico la cui sintassi a volte ricorda la poesia).16 : la frase principale si fa ancora attendere. la forma originaria non contratta, e poi mantenuta in poesia, del comune , "canto".17 Un bellissimo verso tragico. Per capire l'immagine usata dal poeta, si sappia che i , "tagliatori di radici" (< grado forte di , cfr. -, "taglio"), praticavano l'incisione delle radici di piante per estrarne la linfa e usarla a scopi medicinali. significa appunto "incidere" e ha come compl. oggetto , "rimedio": propriamente noi diremmo che si incide la radice per ottenere un rimedio, ma Eschilo sintetizza poderosamente l'espressione in "incidendo un rimedio"! Il rimedio di cui la vedetta parla il canto e la malattia che esso deve sanare, anzi prevenire, il sonno. Il rimedio allora detto , da , "contro", + grado forte di , "cantare" (cfr. la Musa Melpomene, ispiratrice della tragedia): esso "canta contro il sonno", potente espressione, sia in quanto esso stesso canto sia in quanto compie una sorta di incantesimo (in-cant-esimo: ancora il canto!) contro il sonno.18 ... : due sinonimi, ma il secondo un verbo usato solo in poesia: ricchezza della lingua greca, che fin da Omero mette a disposizione dei poeti un lessico stratificato in pi registri espressivi.19 : participio congiunto a .20 : l'ottativo ha qui il suo valore modale originario (optativus < opto, "desidero"), che esprime un'azione augurata o desiderata.21 : sono le stesse fatiche della guardia di cui al v. 1: ma si noti che, dato che al verso precedente si parla di un palazzo non ben amministrato, --, l'augurio della vedetta sembra qui comprendere sia la propria liberazione sia quella del palazzo degli Atridi.22 : part. aoristo passivo forte di , dunque con valore intransitivo ( "fui mostrato" "apparvi"), in costrutto di genitivo assoluto con . Il fuoco detto , < , "tenebra": anche qui Eschilo piega la parola a un significato inusuale, in quanto "tenebroso" significa "nelle tenebre" della notte. Ma notate la bellezza

dell'espressione: si crea un ossimoro tra i concetti di fuoco e tenebra, luce e buio, e inoltre il termine , come il nostro "tenebra", carico di un significato negativo (viene usato anche per gli Inferi): dunque la buona novella del fuoco annunciatore della vittoria squarcer le tenebre della paura che avvolgono, in questa notte di ansia, la vedetta e il palazzo degli Atridi.

Seminario sull'Agamennone

Breve riassunto degli incontri trascorsi(per chi vuole ripassare e per chi stato assente)

3 incontro, 11 Dicembre 2007

Seconda parte del prologoL'augurio che la vedetta ha espresso nei versi precedenti trova immediato compimento: il fuoco tanto a lungo atteso finalmente si scorge. Col verso 22 inizia cos una seconda parte del prologo, nella quale il senso di stanchezza e di scoramento, che finora ha pervaso i versi, lascia spazio a un'esplosione di gioia e al desiderio di far festa. Ma gli ultimi versi che la vedetta pronuncia prima di lasciare la scena sono invece sinistri: c' qualcosa di grave che essa non pu dirci e che "la casa stessa, se prendesse voce, direbbe".Per la metrica, incontriamo tre sostituzioni ai versi 26, 28 e 30, tutte della prima sillaba del trimetro:

26 + ( )28 8 += ( )30 8 + ( )

[N.B.: i simboli di breve e di lunga non indicano la quantit della vocale o dittongo cui sono sovrapposti, ma della sillaba nel suo complesso; ricorda che le sillabe che terminano in consonante sono lunghe anche se contengono una vocale breve]

Nel verso 26, la presenza del nome proprio Agamennone condizione necessaria e sufficiente alla presenza di una sostituzione metrica: i nomi propri infatti non hanno sinonimi di differente valore prosodico che il poeta possa usare in loro vece (prosodia: sequenza di quantit sillabiche). Nei versi 28 e 30, invece, Eschilo avrebbe naturalmente potuto, scegliendo altre parole che significassero "grido" ed " conquistata", fare a meno delle sostituzioni. Forse il poeta ha voluto imprimere a questi versi, nei quali la vedetta esprime in modo concitato il proprio entusiasmo, un ritmo pi accelerato ( giudizio condiviso

che le sillabe brevi diano maggiore velocit al ritmo).

Traduzione e commentoLe traduzioni che diamo in questo seminario sono di servizio, ovvero vogliono essere uno strumento per comprendere il testo originale e collocare nel contesto le note del commento. Per questo sono molto letterali, fino a un punto che non sarebbe tollerabile in traduzioni che di servizio non fossero.

22 Salve, lampa, tu che di notte una diurna23 luce dichiari e l'istituzione di danze24 numerose in Argo in grazie di questo evento.25 Evviva, evviva!26 Alla moglie di Agamennone segnalo distintamente27 di elevare, sorta dal letto, quanto pi velocemente per la casa28 un grido di giubilo in onore di questa fiaccola,29 se la citt di Ilio30 conquistata, come la torcia spicca annunciando.

22 : i filologi riflettono anche sulle piccolezze, come questa interiezione che suole accompagnare il vocativo. Raccogliendo una lunga serie di passi tragici e comici in cui compare, essi hanno constatato che i vocativi preceduti da hanno un tono meno formale di quelli che di sono privi: il contrario cio di quanto accade in italiano, dove usiamo "o" quando vogliamo dare un tono pi enfatico o solenne al compl. di vocazione. Forse Eschilo ha consapevolmente usato per caratterizzare il personaggio del : egli si rivolge alla luce del fuoco con un tono familiare, come quello di chi finalmente veda una persona attesa da tanto tempo.

: imperativo di usato come espressione di saluto, equivalente al latino salve (due augri simili ma diversi: il verbo latino, derivato da salus, fa riferimento alla salute fisica; il verbo greco, derivato da , al benessere emotivo).

: i suffissi - / - servono a formare i cosiddetti nomina agentis, "nomi di chi compie un'azione", come il corrispondente latino -tor (laudator) e di conseguenza l'italiano -tore: se significa "splendo", - ci che splende, la luce.

: qui c' un bel problema interpretativo. Con l'interpunzione adottata da West e presente nella maggioranza dei codici, esso un genitivo di tempo determinato da collegare a : "dichiarando di notte". Tre

codici tuttavia hanno virgola non prima, ma dopo , che cos risulta essere un genitivo di specificazione di : "luce della notte". L'interpunzione presente nei manoscritti non deve influenzarci, perch essa non risale ad Eschilo: infatti al tempo di Eschilo i segni di interpunzione... non erano ancora stati inventati! Le parole si scrivevano una dopo l'altra senza interpunzione e senza lasciare spazi. La scelta dunque si potr fare solo soppesando l'alternativa dal punto di vista stilistico e poetico. Sono entrambe due belle immagini: ma la prima ("dichiarando di notte") ha qualcosa in pi, perch crea un forte ossimoro (ossimoro: accostamento di parole che esprimono azioni, stati, concetti opposti) tra ed (< ) . Eschilo ama la figura dell'ossimoro, che corrisponde alla cifra della sua arte arcaica, possente, ricca di forti contrasti; ne abbiamo gi visti due, uno al v. 11 ( ) e l'altro al v. 21 ( ).

: in che senso la luce del fuoco notturno detta "diurna"? Forse perch, metaforicamente, essa chiude la lunga notte della paura e dell'angoscia iniziata dieci anni prima con la partenza dell'armata per Troia. "La notte ch'i' passai con tanta pita" in Dante (Inferno I, 21) tutto il periodo di traviamento trascorso nella selva oscura.23 : cerca di notare l'uso degli aspetti verbali: all'aoristo (v. 21), col quale la vedetta immaginava l'improvviso accendersi del fuoco nel buio della notte, si contrappone qui il presente , che ci mostra il fuoco che nel buio splende e continua a splendere. Al seminario vi ho detto che deriva, tramite raddoppiamento ( < per legge di Grassmann) e suffisso () dalla stessa radice di ; difatti esso per lo pi viene usato col significato di un verbum dicendi. Vedo ora nei vocabolari che deriva invece da , "luce": dunque del tutto analogo al nostro "dichiarare", in cui l'uso costante come verbum dicendi ha fatto quasi perdere la coscienza della derivazione da clarus (in altre parole, quando diciamo "dichiaro" facciamo senza accorgercene una sinestesia). Dunque equivarrebbe a una figura etimologica, ovverosia una figura retorica che consiste nell'accostamento di due termini che derivano dalla medesima radice ("questa selva selvaggia, e aspra, e forte", Inferno I, 5).

: sia "la danza", come qui, sia "il coro", come quello che sta per entrare in scena tra pochi versi. Ma il coro della parodo dell'Agamennone sta per danzare, come vedremo, tutt'altra danza da quella, gioiosa, che la vedetta ora fantastica: dunque questo verso, che fa nascere nel pubblico un'aspettativa che sar delusa, contribuir all'effetto di sorpresa che avr la parodo ormai prossima. La (< + , "metto gi",

"stabilisco") lo stabilimento, l'istituzione di qualcosa: la traduzione con "inizio", spesso adottata, non rende bene questa parola greca.24 : in marcato enjambement rispetto a . In greco e in latino bene essere prudenti nell'individuazione degli enjambements: infatti in queste due lingue, dato che l'ordo verborum molto libero, la collocazione nel verso successivo di una parola strettamente legata a qualcosa di gi detto pu essere dovuta al naturale svolgersi del discorso, non a un disegno del poeta. Qui per l'espressione gi in s completa e non fa presagire la presenza di un aggettivo dopo la piccola pausa di fine verso, per cui trovare al verso seguente fa un certo effetto: e in questo certo effetto consiste appunto l'enjambement (in generale, ricorda che le figure retoriche devono fare un qualche effetto: altrimenti inutile dire che esse sono presenti in un testo!). Un esempio ancora pi sicuro di enjambement al v. 14, lontanissimo da .

: come (v. 3), funge da preposizione posposta e esprime il compl. di causa o di fine. La vox media , che pochi versi prima compariva col valore negativo di "sventura" (18), vale qui il positivo "ventura"; ma nulla ci vieta di usare la nostra vox media "evento".25 : esclamazioni extra metrum, che cio non concorrono a formare un trimetro giambico; del resto non formano neppure un singolo metro giambico, nonostante la prosodia () sembri corrispondervi, perch lo iato (iato: scontro tra due vocali), come quello tra i due , non ammesso all'interno di alcun verso greco.26-29 La sintassi non semplice: regge una infinitiva oggettiva di tipo volitivo ("segnalo di fare una certa cosa": in latino avremmo una completiva con ut) che ha come predicato, come oggetto e (Clitemestra) come soggetto logico; a quest'ultimo congiunto il participio (che pertanto in accusativo), mentre l'altro participio congiunto a . Dunque costruisci cos: () , . Dei due dativi, viene inteso come compl. di vantaggio, come retto da . L'uso che Eschilo fa del dativo mette sovente in difficolt gli interpreti, laddove questo caso appare quasi 'precipitato' nella frase senza che si possa sicuramente comprenderne il rapporto con le altre parole.26 : abbiamo confrontato questa lezione con la variante , futuro. Col presente , l'esclamazione costituisce essa stessa il , cio il segnale dato a Clitemestra affinch ella susciti un grido di giubilo: dico "evviva" e con questa esclamazione segnalo. Col futuro , invece,

risulta un'esclamazione di gioia che la vedetta rivolge a se stessa, rimandando a un secondo momento l'azione di avvisare Clitemestra: dico "evviva", poi segnaler. In effetti sembra un po' strano che la vedetta possa, semplicemente dicendo , comunicare un messaggio complesso alla regina; Irene ha per osservato che tra i due poteva esserci un accordo in tal senso, per cui da una parte la regina automaticamente interpreta il grido del nel modo giusto, dall'altra il sa gi che cosa la regina a sua volta far.29 : costrutto ovvio e immediatamente traducibile per noi italiani ("la citt di Ilio"), ma in realt non comune in greco, dove "la citt di Ilio" dovrebbe dirsi semmai (citt dei Troiani), come Atene si dice .30 : perfetto di : la vedetta si aspettava una (v. 10), la notizia della conquista, ed ecco il fuoco annuncia che la citt " conquistata" (meglio di " stata conquistata": il perfetto qui indica l'attuale condizione di Ilio). Per nel papiro si leggono tracce delle prime due lettere di questo verso, e queste tracce non corrispondono ad . West fa due ipotesi per spiegare questa discrepanza tra codici e papiro (vedi l'apparato): 1) forse nel papiro mancavano i versi 30 e 31, per cui le tracce di quelle due lettere non sono altro che ci che rimane di iniziale del verso 32 (spiegazione che non convince, vero?); 2) forse nel papiro c'era un verso in pi tra gli attuali 29 e 30. Ma perch, potreste dire, invece di fare strane ipotesi su versi in meno o in pi non si fa una congettura che proponga un verbo, alternativo a , che combaci con quelle tracce? Perch evidentemente non se ne trova neppure uno, figuratevi se non ci hanno provato!

: col participio predicativo; la traduzione di solito suggerita prevede di assegnare modo e tempo di al participio e di rendere con un avverbio: "annuncia distintamente".

31 E proprio io stesso in persona danzer il proemio:32 difatti metter a frutto i dadi ben caduti dei padroni,33 dato che questo segnale di fuoco ha per me gettato tre volte sei.34 Ma dunque possa accadere che io la carissima mano35 del signore delle case, ritornato, tenga con questa mano.36 Per il resto, taccio. Un gran bove mi sta sulla lingua.37 Ma la casa stessa, se prendesse voce,38 parlerebbe chiarissimamente. Poich, per parte mia,39 volentieri parlo a chi sa, per chi non sa volentieri dimentico.

31 : fortissima enfasi, per tre motivi: 1) in greco il pronome soggetto di regola non si esprime, quindi gi dire produce enfasi; 2) la particella enclitica rafforzativa; 3) = ipse. L'accento che la vedetta pone sul proprio ruolo nella danze di festeggiamento segna uno sviluppo del suo personaggio: finora ci aveva detto che aspettava il segnale di fuoco semplicemente come una liberazione (), ora dice qualcosa di pi positivo.32-33 Versi apparentemente enigmatici, che si spiegano col riferimento a un gioco da tavolo dell'antica Grecia, una sorta di dama nella quale ciascun giocatore poteva a ogni mossa spostare () le proprie pedine di un numero di caselle corrispondente al lancio di tre dadi esagonali, il punteggio massimo essendo pertanto , tre volte sei (il giocatore lancia, ; i dadi cadono, ). La guardia si esprime come se i dadi corrispondessero alla sorte degli Atridi ( ) e dunque essi fossero, adesso che Ilio presa, , caduti bene: difatti il segnale di fuoco che annuncia la presa della citt addirittura come un lancio di dadi fortunatissimo, un diciotto. Ma tutto ci visto dal in relazione a se stesso, lui che diviene il protagonista del gioco (): ora potr compiere la mossa decisiva e vincere la partita, potr cio smettere di vegliare la notte sul palazzo degli Atridi. Si pu aggiungere che in un certo senso la vedetta immagina se stessa sia nel ruolo del giocatore che compie la mossa (), sia in quello della pedina che compir il movimento decisivo sul tabellone (: danzer il proemio): ma questo forse troppo dantesco per trovarsi in Eschilo...34-35 ... : la ripetizione corrisponde alla figura retorica del poliptto, ovvero dell'uso di uno stesso termine in due o pi casi diversi nell'ambito della stessa frase (caso in greco < : i casi... cadono!). Non si pu essere sicuri che Eschilo l'abbia usata coscientemente: per probabile che la vedetta accompagnasse queste parole con un eloquente gesto della mano (, "questa", ha valore deittico, cio dimostrativo).

: part. aor. forte di .36 : asindeto. Generalmente in greco le frasi e i periodi sono collegati tra loro per , "legamento" ( + ), tramite cio congiunzioni e particelle; rara la mancanza del , cio l'asindeto. Qui esso sottolinea una breve pausa dopo , pausa che lascia per un attimo risuonare nel silenzio quel sinistro "taccio".

... : chiaramente un proverbio. , perfetto di , non vale come verbo di moto ma indica lo stato ed equivale praticamente a o ; difatti il compl. di stato in luogo,

non di moto a luogo. Ma naturalmente questo verbo si usa solo per cose o persone che stanno in un luogo per esserci arrivate.37-38 ... : periodo ipotetico della possibilit. Il nome di "periodo della possibilit", ricorda, non significa che la vedetta ritiene possibile che la casa parli (ovviamente questo impossibile), ma che essa ritiene possibile che, se essa parlasse, dica chiarissimamente ci che succede: in altre parole, l'apodosi che vista come possibile, non la protasi.38 : la congiunzione ha valore causale ed periodale, non frasale, introduce cio un periodo e non una frase subordinata. un uso possibile anche in italiano.

: in prosa il participio sostantivato di regola preceduto dall'articolo, in poesia pu farne facilmente a meno.

o: crasi di , dove la negazione non va con ("non dimentico") ma con ("per coloro che non sanno"); ("volentieri") va sia con sia con ; quest'ultimo verbo equivale a e vale "dimentico".

Considerazioni conclusiveBene, siamo arrivati alla fine del proemio. Ecco, tradotte dall'inglese, le pagine che ad esso dedica E. Frnkel, autore del migliore commento all'Agamennone.

"Ogni tragedia dell'Orestea comincia con una preghiera del personaggio che recita il prologo. Nelle Supplici questo personaggio il coro, durante il prologo di Oreste nelle Coefore anche Pilade sulla scena; nell'Agamennone invece si tratta di un vero soliloquio. caratteristico della concezione eschilea del monologo che il parlante non si rivolga al proprio cuore o alla propria mente (come in Omero e nella lirica), ma agli dei o a esseri divini.I prologhi dell'Agamennone e delle Eumenidi sono entrambi recitati da un servitore: sembra che Eschilo abbia in questo seguito il modello di Frinico (il primo grande poeta tragico di cui sappiamo qualcosa), nelle cui Fenice il prologo era affidato a un servo che stava rassettando la sala del Consiglio, cio a un semplice servitore impegnato nei suoi compiti quotidiani, come la vedetta dell'Agamennone.Qualunque modello possa avere influenzato la forma del prologo dell'Agamennone, nel contenuto esso appare come un'opera di grande originalit e in effetti come uno dei capolavori di discorso drammatico. Raramente il monologo si dimostrato una forma di espressione cos appropriata: la

solitudine stessa, una solitudine protratta e snervante, sembra aver trovato voce. Non una sola volta ci viene in mente, leggendolo, che il prologo in primo luogo un modo di preparare il pubblico introducendo o ricordando fatti e circostanze fondamentali per lo sviluppo della trama. vero che il alla fine del suo discorso scomparir per sempre: ma finch sulla scena egli sembra esser l in carne e ossa per una propria ragione, non semplicemente per farsi portavoce del poeta. Pur nel suo ristretto ambito d'azione, questo personaggio perfettamente delineato. La reazione di un uomo semplice e onesto a un compito monotono e faticoso; le sue sofferenze; le sue frustrazioni e speranze: tutto ci chiaramente dispiegato dinanzi a noi. Cos reali sono gli elementi che causano le sue sofferenze e sono oggetto delle sue riflessioni (dal giaciglio duro e bagnato sul tetto alle lucenti stelle sopra di lui, dai timori per le minacce che incombono sul suo signore al sentimento di immenso sollievo quando il fuoco annuncia la fine del suo impegnativo compito) e cos fortemente tutte le sue parole avvincono la nostra mente, che noi non possiamo fare a meno di immedesimarci nel . Non possiamo considerarlo un personaggio secondario che svolge una funzione di mera preparazione: per tutto il tempo che sulla scena, egli per noi un compagno, un compagno che soffre.Allo stesso tempo, il principale scopo di un prologo tragico, quello di delineare la cornice entro cui si svolger il dramma, costantemente perseguito, anche se con sobriet. Innanzitutto, espressa l'attesa per la presa di Troia (vv. 9-10). Poi gravi parole rendono appieno la grandezza del personaggio di Clitemestra (v. 11). Subito dopo, con una frase di grande emotivit si accenna al Male che si prepara nella casa di Agamennone (vv. 18-19), concetto che poi ripreso alla fine del prologo (vv. 36-39). Cos, fin dall'inizio, viene ribattuta quella cupa nota che presto diventer il leitmotiv dell'intero dramma: l'ossessione di un inevitabile fato di morte comincia a penetrare nella mente del pubblico. Infine, il prologo svela un importante aspetto dell'uomo che il vero fulcro di questa tragedia. Quali che siano le colpe di Agamennone in altri rispetti, egli per il suo popolo un signore benevolo, che essi non si limitano a rispettare ma amano. I sentimenti affettuosi e la profonda devozione espressi ai vv. 34-35 non devono essere trascurati. La vedetta sta aspettando il ritorno del re con un fervore e una nostalgia degne di un Eumeo. Cos, la prima menzione di Agamennone diretta a suscitare la simpatia del pubblico nei suoi confronti. Questo dettaglio, tra l'altro, mostra benissimo quanto Eschilo abbia guadagnato dalla sua scelta di non seguire Omero, che (Odissea 4, 524) parlava s di una vedetta col medesimo compito del nostro , ma assoldata da Egisto e dunque ostile ad Agamennone."

Seminario sull'Agamennone

Breve riassunto degli incontri trascorsi(per chi vuole ripassare e per chi stato assente)

4 incontro, 18 Dicembre 2007

N.B. I primi tre paragrafi di questa dispensa trattano la metrica e sono difficili. Se vuoi puoi anche saltarli e andare subito alla traduzione e al commento, dato che la comprensione del testo pu fare a meno della metrica; ma perderesti l'opportunit di capire uno degli aspetti pi peculiari della tragedia greca.

Metrica (1): approfondimento sul concetto di versoTutti i versi del prologo, che abbiamo appena finito di leggere, sono trimetri giambici. Il trimetro giambico il verso recitato per eccellenza della tragedia greca, anche se non l'unico, e in Eschilo non pone grandi difficolt di analisi dato lo scarso numero di sostituzioni (, due brevi per una lunga). Con l'ingresso nell'orchestra del coro, e dunque con l'inizio della parodo, necessario approfondire un po' alcuni concetti di metrica cos da comprendere il tipo di verso l usato, pi complesso del trimetro giambico: l'anapesto. Ti avverto che la metrica non una materia di immediata comprensione: ci vuole pazienza, non pretendere di capire tutto alla prima lettura.Per cominciare, riflettiamo sul concetto stesso di verso. Quando, parlando della metrica di un passo, diciamo che esso " in trimetri giambici", che cosa intendiamo? Innanzitutto che misurando (metrica < , "arte della misurazione": = "misura") le sillabe di quel passo otteniamo delle sequenze di sillabe brevi e lunghe che corrispondono alla ripetizione di uno schema fisso: lo schema, appunto, del trimetro giambico (vd. 1 incontro).Ci corretto; ma non esaurisce affatto la questione.Un "verso" infatti non semplicemente una sequenza prefissata di sillabe brevi e lunghe, ma possiede numerose altre caratteristiche. Fra tutte, fondamentale la seguente:

ogni verso presuppone al suo termine una pausa, la pausa di fine verso, che lo divide dalla sequenza metrica successiva

Dall'esistenza di questa pausa derivano due conseguenze:

1) Tra la fine di un verso e l'inizio del successivo ammesso lo iato. Lo iato la successione di due vocali appartenenti a parole diverse: fenomeno normale in italiano ma assolutamente sgradito ai greci, che spesso lo evitavano anche in prosa e in poesia lo escludevano con rarissime eccezioni. Il nome stesso di iato rimanda a quella vistosa apertura della bocca (lat. hio, "spalanco la bocca") che necessaria per pronunciare distintamente due vocali contigue che non siano dolcemente collegate da una consonante. Mentre all'interno di un verso non ci pu essere iato, grazie alla pausa di fine verso un verso pu finire in vocale anche quando quello successivo inizia per vocale.Per esempio, Agamennone vv. 6-7:

, ecc.

Oppure vv. 12-13: ecc.

2) La sillaba finale del verso pu essere breve anche se lo schema metrico richiede una sillaba lunga. Ci si spiega cos: la pausa di fine verso in un certo senso compensa la brevit della sillaba, lasciandola risuonare pi a lungo e dunque allungandola. Nel trimetro giambico, che in ultima posizione richiede una lunga (il metro giambico x), si trovano di frequente sillabe brevi.Per esempio, Agamennone 8:

( vale come lunga)Oppure v. 34:

( vale come lunga)Come ricorderai, nello schema del trimetro giambico si tiene conto di questo fenomeno usando per l'ultima sillaba il simbolo :

x x x

Metrica (2): i versi composti da colaSe hai capito quello che abbiamo detto, esaminiamo la prima parte della parodo dell'Agamennone:

40

45 , ,

ecc.

Come vedi, alcuni righi, la maggioranza, vengono stampati con un piccolo rientro, in modo che ogni tanto resti in evidenza un rigo privo di rientro. Si fa cos per far capire che tutte le parole da a comprese (e di nuovo da fino all'ultima parola dell'ultimo rigo rientrato, e cos via) formano un unico verso: ebbene s, un unico verso molto lungo, divisibile per in delle unit pi piccole e di lunghezza variabile che vengono chiamate i cola (sing. colon: = "membr"). Nella nostra edizione i cola corrispondono ai righi; quelli dei righi 40 e 45 sono pi lunghi.A questo punto puoi trarre da solo due conclusioni:

da a non ci pu essere neanche uno iato, neppure alla fine dei righi, perch siamo all'interno di un unico verso

invece (ultima parola del verso) potrebbe anche essere in iato col verso successivo e finire in sillaba breve sebbene lo schema richieda la lungaIn effetti con ci non capita; ma se proseguiamo nella parodo vedrai subito entrambi questi fenomeni:

46 , , ( vale come lunga!)

55 ecc.

67 .

70 . ecc. (iato tra e !)

Insomma, devi abituarti a considerare questi gruppi di righi come delle sequenze metriche unitarie, che si snodano colon dopo colon e si concludono solo dove sarebbe lecito uno iato o una breve al posto di una lunga. Del resto il

lavoro di analisi lo ha gi fatto per noi l'editore, il nostro West: il modo in cui il testo stampato non lascia dubbi sulla sua struttura metrica.Come ha notato Elena, evidentemente non era previsto prendere fiato alla fine dei singoli cola, almeno non pi di quanto si potesse fare in altri punti all'interno del verso.Ora, se hai capito anche questo, sei pronto per vedere come fatto l'anapesto.

Metrica (3): l'anapestoIl metro anapesto corrisponde alla duplicazione del seguente piede (piede: unit in cui analizzabile un metro, ma che da sola non viene usata):

ammessa sia la sostituzione delle due brevi con una lunga, che produce quello che pu sembrare uno spondeo (due lunghe):

[leggi: lunga al posto di due brevi + lunga]

sia, una volta che si sono sostituite le prime due brevi, la sostituzione della lunga originale, che produce quello che pu sembrare un dattilo:

[leggi: lunga al posto di due brevi + due brevi al posto di una lunga]

Ho detto "quello che pu sembrare spondeo o dattilo" perch solo la prosodia che corrisponde a quella di uno spondeo o di un dattilo: il ritmo diverso. Infatti nel vero dattilo e nel vero spondeo (assumendo come 'vero' lo spondeo derivato dal dattilo) l'accento sulla prima parte del piede, mentre nello pseudo-spondeo e pseudo-dattilo derivati dall'anapesto sulla seconda:

vero spondeo: pseudo spondeo: vero dattilo: pseudo dattilo:

Ci avviene perch nel piede anapestico di forma base l'accento va sulla sillaba lunga () e pertanto anche nelle sostituzioni si mantiene lo stesso ritmo.

Dato che, come abbiamo detto, il metro anapestico formato da due piedi, tenendo conto delle possibili sostituzioni questo il suo schema:

Si capisce che le realizzazioni possibili dell'anapesto sono svariate: esso permette pi variazioni del giambo. Eschilo non le sfrutta tutte, perch per esempio evita di sostituire solo la lunga (a quanto pare non gradiva quattro brevi di fila: ); Euripide, che nell'uso dei metri molto pi fantasioso, far di tutto.

Adesso riprendiamo il primo lungo verso della parodo, suddiviso nei cola dal rigo 40 al 46, e vediamo quali sostituzioni ci sono; come al solito non scrivo accenti e spiriti cos che vediate meglio lo schema metrico:

/ / j nessuna sost. j j / 3 datt, 4 spond / 8 3 spond, 4 spond / > 1 spond, 3 datt, 4 spond / @ 2 spond, 3 datt, 4 spond A > / >, , 1 datt, 2 spond, 3 spond ecc.

Ancora due cose da notare: 1) le barrette oblique segnalano le dieresi, cio delle suddivisioni interne dei cola tra un metro e l'altro; 2) l'ultimo colon ha una sillaba in meno, in quanto - solo la prima met di un piede anapestico. Questo fenomeno si chiama catalessi (catalessi: "mancanza", , di una sillaba "in fondo", , al verso). Eschilo in questa parodo usa sistematicamente la catalessi alla fine dei lunghi versi anapestici: perch? Perch la catalessi spezza il ritmo, lo ferma, e cos segnala la fine del verso. Abbiamo cos, dopo lo iato e la breve al posto di una lunga, un terzo fenomeno che ci consente di individuare la fine dei versi anapestici: la catalessi.

Con ci abbiamo affrontato tutte le difficolt legate alla comprensione della metrica. Adesso possiamo tranquillamente parlare di questo coro.

La parodo: sezione anapesticaCome sappiamo, il coro della tragedia composto da danzatori/cantanti che, appunto, compiono una danza cantando. Come risulta dal testo di questa tragedia e di quasi tutte le altre che ci sono rimaste, il canto era di tipo strofico, cio realizzato con la ripetizione di una stessa melodia prima nella strofe e poi nell'antistrofe (antistrofe: strofe di rimando, di risposta). Noi, che non possediamo pi le melodie, deduciamo ci dalla metrica: sembra ovvio infatti che a una coppia di sequenze metriche uguali, che riscontriamo nel testo di strofe e antistrofe, corrispondesse una medesima melodia. Dato che il coro, lo ripetiamo, danzava, sembra plausibile che anche i passi di danza dell'antistrofe

dovessero corrispondere a quelli della strofe; e in effetti l'etimologia stessa di strofe ("volta", < ) e di antistrofe ("controvolta") fa pensare a movimenti di danza che il coreuta prima compie in una direzione, poi nell'altra.Si susseguivano diverse coppie di strofe + antistrofe; la melodia poteva essere o sempre la stessa o diversa per ciascuna coppia. Ma attenzione: la sezione strofica della parodo dell'Agamennone inizia non al rigo 40, bens al rigo 104, come vedi nell'edizione West dall'indicazione marginale "str. 1": da l in poi dobbiamo immaginare i coreuti che, disposti armoniosamente nell'orchestra, compiono le loro evoluzioni di danza mentre cantano all'unisono. Ma allora che cosa sono i righi 40-103?Per capirlo bisogna porsi un'altra domanda: i coreuti come arrivano all'interno dell'orchestra? Voglio dire: entrano quatti quatti mentre la vedetta sta ancora parlando? entrano dopo che la vedetta uscita, e il pubblico deve aspettare che essi camminando in silenzio vadano a prendere posizione? Niente di tutto questo: anche l'ingresso del coro parte integrante della tragedia, che in mancanza di sipario si svolge tutta sotto gli occhi... e gli orecchi del pubblico. Dopo l'uscita di scena della vedetta, dagli ingressi laterali () il coro entra solennemente, marciando, preceduto da un suonatore di flauto (l'auleta, < = "flauto"): durante la marcia declama i vv. 40-103, cio i versi della sezione anapestica della parodo dell'Agamennone. Proprio "anapesti di marcia" il nome che si d a versi come questi dell'Agamennone, agli anapesti cio declamati da un coro durante l'ingresso.La parodo pertanto composta di due sezioni distinte: la sezione anapestica, nella quale il coro entra nell'orchestra e declamando gli anapesti va a disporsi per il successivo canto; la sezione strofica, nella quale danza e canta usando vari metri lirici.L'anapesto un verso dal ritmo marcato, con i cola ben scanditi dalle dieresi, dunque adatto a una marcia: anche l'etimologia del nome ("ribattuto", < ) richiama un passo di marcia. Inoltre un verso che si presta bene sia alla recitazione, sia al canto. Si ritiene che gli anapesti di marcia non fossero n un canto vero e proprio, n una recitazione vera e propria, ma (utilizzando un termine musicale dell'opera) un "recitativo"; quest'ultimo termine indica (cito da un dizionario) uno "stile di canto che tende a riprodurre, attraverso una recitazione intonata, la naturalezza e la flessibilit della lingua parlata". Il coro forse recitava questi versi intonandoli sulle note del flauto.La sezione anapestica fa cos da transizione, col suo recitativo, tra il recitato del prologo e il canto della sezione strofica: l'Agamennone inizia insomma con una imponente climax musicale.

Traduzione e commento

40 Questo il decimo anno da quando, grande avversario di Priamo, il sire Menelao e Agamennone, di un onore dal duplice trono e dal duplice scettro, che viene da Zeus, saldo giogo degli Atridi,

45 la flotta di mille navi degli Argivi da questa terra fecero salpare, militare sussidio,dal cuore gridando a gran voce "guerra!"

50 come avvoltoi che, pei dolori remoti dei figli, sommi sui loro giacigli volteggiano in giro,

remando coi remi delle ali, avendo perduto la fatica della veglia sul letto dei pulcini.

40 : "da quando"; in prosa si direbbe .: dativo di svantaggio retto da , come di regola con

aggettivi che indicano amicizia (es. ) e ostilit (), somiglianza (es. ) e differenza ( ). Nel codice la lezione una banalizzazione, cio l'introduzione di una forma pi facile.

: termine del lessico giudiziario, indica l'avversario in una causa. il primo di una lunga serie di termini attinti dal lessico giudiziario usati nell'Agamennone. attributo di ; il suo avversario Priamo, anche se ci si aspetterebbe Paride.

: il termine consueto in Omero per un re acheo.... : la predilezione di Eschilo per gli aggettivi

composti e in generale per i paroloni era cos spiccata che Aristofane la mise in ridicolo nelle sue Rane. In questa commedia il genio indiscusso della commedia antica immagina che Eschilo e Euripide si incontrino nell'Ade e, davanti al dio Dioniso in persona, nume tutelare della tragedia, si prendano a... versi in faccia per dimostrare la propria superiorit. E sentite che cosa dice Euripide del collega (vv. 924-26): "Poteva buttare l una dozzina di paroloni grossi come buoi, pieni di cipiglio e di pennacchi: certi mostruosi spaventapasseri, che il pubblico non conosceva neppure"! Ma non preoccupatevi, il nostro Eschilo si difende bene: "Per grandi concetti e pensieri occorre dar vita anche a parole grandi in proporzione" (v. 1058).

: il suffisso -, che esprime il moto da luogo, qui in maniera sintetica indica l'origine divina (ma qui si parla di Zeus, mi raccomando, non di "Dio"...) della regalit simboleggiata dal trono e dallo scettro. Il colon

caratterizzato da una vistosa allitterazione in dentale: . I poeti greci erano molto attenti ai suoni, tanto pi in contesti dove era presente la musica. Qui l'effetto dell'allitterazione di accentuare il ritmo martellante dell'anapesto di marcia.

... : entrambi i genitivi specificano, ognuno a suo modo, ci in cui consiste lo , il giogo, la coppia. La desinenza - dorica (contrazione di in invece che in ). La lingua usata nelle liriche dei cori tragici contiene regolarmente quella che viene definita una patina dorica, ottenuta perlopi adottando il vocalismo tipico di quel dialetto greco, di cui caratteristico il mantenimento di laddove in attico e ionico si passa a . Nel far ci i tragediografi attici rispettavano una tradizione: il canto corale infatti nasce molto prima della tragedia e nasce in ambito dorico: dorici, spartani in particolare, sono i primi grandi poeti della lirica corale. Il rispetto della tradizione una caratteristica di tutta la poesia greca: il genere poetico, non la nazionalit del poeta, che determina il metro e la lingua che vengono usati. Dato che qui siamo ancora nella sezione anapestica e recitativa, non in quella strofica e lirica, gli editori considerano una forma dorica isolata. A dir la verit, se dai un'occhiata all'apparato noterai che in altri due punti i codici presentano una desinenza dorica: e ; ma West preferisce normalizzarle e le sostituisce con la forma attica (non tutti gli editori lo fanno).45 : altro aggettivo composto. La cifra di mille non iperbolica, ma arrotondata rispetto al totale di 1186 ricavato dal catalogo delle navi in Iliade II. Eschilo veramente parla qui di Argivi, non di Achei, per cui le navi dovrebbero essere molte di meno, anche intendendo Argivi come Peloponnesiaci in generale.

: aoristo I asigmatico di , "sollevo", qui usato nel significato tecnico di "faccio salpare". Le barche, ricorda, non erano ormeggiate, ma tratte in secco, per cui per metterle in mare era necessario sollevarle; da qui l'uso del verbo si estende alle grandi navi, che naturalmente non venivano sollevate ma fatte scivolare; sbaglia il GI quando dice che si intende "sollevare l'ancora".

: l'apposizione sembra un po' fiacca, e in ogni caso pi debole di cui si riferisce. Frnkel spiega per che anche un termine del lessico giudiziario, indicante chi in una causa sostiene una delle due parti. Eschilo dice insomma che tutti gli Argivi sostengono Menelao nella causa che lo vede impegnato contro Priamo.

: il nome del dio della guerra, , viene usato come sinonimo di (figura retorica dell'antonomasia). Secondo Frnkel (accusativo) non semplicemente il compl. oggetto di (gridando un

grido di guerra), ma il contenuto stesso del grido (gridando "guerra!"); in questo caso risulta fastidioso l'aggettivo , che concordato ad , poich, mentre sembra logico che uno possa gridare "guerra!", non ci si immagina uno che gridi "grande guerra!". Personalmente accetterei la congettura , dove ha valore avverbiale ("grandemente, a gran voce") e va con ; tra l'altro Eschilo sta qui imitando un passo di Omero, davvero molto simile, nel quale c' l'espressione .50 : inizia una maestosa similitudine, imitata da Omero nel contenuto ma tutta espressa in stile eschileo. I due Atridi, addolorati per la sottrazione di Elena da casa da parte di Paride, alla partenza della flotta hanno elevato un grido di guerra; sono ora paragonati a una coppia di avvoltoi che, constatata la sottrazione dei piccoli dal nido, gridano mentre volteggiano su di esso battendo lentamente le grandi ali.

: un punto di ardua comprensione: in tutta la letteratura greca rimasta l'aggettivo compare solo qui! L'etimologia ( + , che il "sentiero battuto") fa intuire il significato proprio di "remoto", ma potrebbe anche valere il significato traslato di "straordinario, enorme". Nel primo caso avremmo la figura retorica dell'enallage, ovvero un aggettivo che grammaticalmente concordato a un nome ma logicamente riferito a un altro ("Il divino del pian silenzio verde", Carducci, Il bove v. 14): difatti "remoti" sono ovviamente i figli degli avvoltoi che sono stati sottratti dal nido, non i dolori degli avvoltoi per i loro figli. Nel secondo caso il passo risulta pi scorrevole, ma non si capirebbe perch Eschilo abbia usato questo raro aggettivo per esprimere un significato tanto comune come "enorme". La congettura non merita credito perch, come ha notato Elena, improbabile che un copista sostituisca una forma pi comune () con una molto rara ().

: qui West addirittura mette le croci, a indicare che secondo lui la parola un errore che nessuno riuscito a sanare in modo convincente. Altri editori la accettano: stiracchiando un po' la sintassi, "sommo" regge il genitivo nel senso di sul nido, per influsso della costruzione di da cui deriva.

: altro parolone, formato da due radici di significato analogo, ma col secondo elemento pi forte: il voltarsi, da , mentre addirittura un gorgo.

: bella metafora, perfettamente calzante al volo di rapaci con una grande apertura alare. Frnkel nota che Eschilo ribalta qui una metafora, abbastanza comune, con la quale le navi sono dette "volare". L'unione di

a un altro esempio di figura etimologica (vd. v. 23). : difficile tradurre queste parole. Il ,

"la fatica dei pulcini", la fatica che gli avvoltoi hanno fatto per accudire i pulcini (genitivo oggettivo); essa in quanto gli avvoltoi sorvegliano, , il letto, , dei pulcini. Gli avvoltoi la hanno "persa" () in quanto ne hanno perso il frutto, ovvero i pulcini stessi.

Seminario sull'Agamennone

Breve riassunto degli incontri trascorsi(per chi vuole ripassare e per chi stato assente)

5 incontro, 3 Gennaio 2008

Metrica (1): colometriaRiprendiamo il discorso sulla metrica dell'anapesto. Abbiamo detto che i singoli righi, a partire da ognuno di quelli stampati senza rientro fino all'ultimo tra quelli successivi stampati con rientro, sono cola, cio membri di un unico organismo, di un unico verso anapestico: per esempio, il primo verso anapestico della parodo va da del rigo 40 fino ad del rigo 46. L'immagine che ti suggerisco di ricordare poco ortodossa ma calzante quella di un serpente che si snoda scendendo di rigo in rigo, con la testa sulla prima parola del primo colon e la coda sull'ultima parola dell'ultimo colon: un unico organismo, ripeto, suddivisibile in segmenti. Solo alla fine del verso c' la pausa di fine verso, che permette la presenza dello iato e della sillaba breve al posto della lunga (permette: una possibilit, non una necessit); i cola invece stanno tra loro in sinafa, cio in "collegamento" (< , "attacco insieme").Questa immagine pu aiutarti a comprendere un altro aspetto del verso anapestico cantato: il fatto che la lunghezza dei singoli cola risponde spesso a un criterio soggettivo dell'editore. Difatti, se confrontiamo l'edizione di West con altre edizioni, vediamo che praticamente non ci sono due colometrie (colometria: misurazione dei cola, ovvero suddivisione del verso in cola) uguali. I cola anapestici possono essere composti da un solo metro (monometri), da due (dimetri), da tre metri (trimetri). Ebbene, West fa cominciare il primo verso della parodo con un trimetro ( / / ), mentre la maggioranza degli editori con un dimetro ( / ); e via via ci sono numerosi sfalsamenti tra le edizioni. Ci tutto sommato ha ben poca importanza, dato che tra un colon e l'altro non c' la pausa di fine verso ma la sinafia. Il nostro serpente, insomma, pu snodarsi in tanti modi diversi: la lunghezza complessiva resta la stessa, ma la lunghezza dei singoli membri pu cambiare.[Per i curiosi: il colon di quattro metri, tetrametro, usato nell'anapesto

recitato dove, dotato di pausa di fine verso e ripetuto , cio di fila, assume il rango di verso vero e proprio, analogo al trimetro giambico.]A questa variabilit della lunghezza dei cola dovuta la singolare numerazione dei righi: come vedi, la progressione delle cifre (40, 45, 50: la numerazione ogni cinque) non corrisponde alla progressione dei righi. Ci accade perch gli editori, anche se cambiano la colometria, non cambiano invece la tradizionale numerazione dei righi, al fine di mantenere tra un'edizione e l'altra la corrispondenza delle citazioni.Della colometria dei testi tragici si erano gi occupati i famosi grammatici alessandrini, cio quegli studiosi che nell'epoca ellenistica ebbero a disposizione la prodigiosa biblioteca del Museo di Alessandria e svilupparono come non mai l'arte della filologia. Nei codici a volte abbiamo delle tracce del loro lavoro.

Metrica (2): catalessiVale la pena anche di tornare anche sul concetto di catalessi. Come ricorderai, la fine del verso anapestico segnata dalla catalessi, cio dalla mancanza dell'ultima sillaba nell'ultimo metro: C E / E, / (). Il metro catalettico si presta a chiudere il verso in quanto la mancanza di una sillaba ferma il ritmo, interrompe il flusso regolare di anapesti, impone una pausa.Ora, sembra logico che alla pausa del ritmo debba corrispondere una pausa della sintassi: in corrispondenza della conclusione del periodo metrico, cio, dovrebbe concludersi anche il periodo sintattico; non a caso proprio period il termine usato dai filologi anglosassoni per definire un verso composti da cola. Questo un punto importante quando si parla di metrica, perch sarebbe del tutto sbagliato considerare la metrica un gioco di simboli di breve e di lunga senza nulla sotto: la metrica fatta di parole, di espressioni, di frasi, di periodi, non di simboli astratti; sono le parole, le espressioni, le frasi e i periodi che vengono recitati e cantati, non gli schemi metrici. Pertanto logico che ci si debba aspettare una corrispondenza, pi o meno stretta, tra sintassi e metro.Ebbene, se esaminiamo la parodo dell'Agamennone, vediamo che effettivamente una corrispondenza del genere c': su 10 catalessi, 8 coincidono con un segno di interpunzione forte. Ma ci sono anche due eccezioni: del rigo 46 e del rigo 66. Nel primo caso abbiamo comunque fine di frase, anche se non di periodo (la frase al participio prosegue il medesimo periodo), per cui l'eccezione non fa scalpore. Nel secondo invece subito ripreso da e dunque sembra che siamo di fronte a una clamorosa

mancanza di pausa sintattica; di essa i critici hanno cercato di capire il motivo. Il celebre Gottfried Hermann (un filologo dell'Ottocento che qualsiasi studente di lettere classiche impara presto a conoscere) sostenne che Eschilo abbia qui in realt dimostrato il suo talento: difatti, dato che con la catalessi il periodo sintattico solitamente si conclude, e dato che questo periodo sembra effettivamente concluso col compl. di termine , nel momento in cui inaspettatamente il discorso prosegue con la menzione dei Troiani riceve, dice Hermann, una "forza del tutto particolare". Non male come spiegazione! Ma se un giorno scoprissimo invece che non l'ha scritto Eschilo ma una interpolazione (interpolazione: parola inserita nel testo da qualcuno che non sia l'autore) di un lettore, a cui sembrava impossibile che Eschilo attribuisse le lotte e le sofferenze della guerra di Troia solo ai Danai?Comunque, le eccezioni alla corrispondenza tra periodo metrico e periodo sintattico negli anapesti di Eschilo sono pochissime: Frnkel cita solo altri tre passi, tutti delle Supplici, la tragedia pi antica tra le sette conservate.Un'ultima notizia: il dimetro anapestico catalettico si meritato per la sua importanza un nome particolare, quello di paremiaco, letteralmente "proverbiale": difatti era molto usato nei proverbi.

Traduzione e commentoRipeto che la traduzione letteralissima e di servizio.

55 Ma sommo udendo o un Apollo, o Pan, o Zeus il lamento con voce di uccello, dall'acuto grido, di questi meteci invia ai trasgressori l'Erinni che tardi punisce.

60 E cos i figli di Atreo colui che pi forte invia contro Alessandro, il protettore degli ospiti Zeus, per una donna dai molti uomini lotte numerose e fiaccanti le membra (piegandosi nella polvere il ginocchio

65 e consumandosi nei riti preliminari la lancia) volendo porre ai Danai,e ai Troiani ugualmente. Ma la cosa sta come ora sta: si sta compiendo verso il destino. N bruciando da sotto n libando da sopra n piangendo con sacrifici senza fuoco placher le ire inflessibili.

55 : riprende palesemente degli avvoltoi al rigo 51: gli avvoltoi hanno visto dall'alto il nido depredato, gli di odono da ancora pi in alto gli avvoltoi che si querelano. Morfologicamente un aggettivo derivato dalla preposizione , come in latino superus da super: il significato analogo a quello del superlativo supremus (da cui summus per sincope e assimilazione: supremus > *supmus > summus), dunque la traduzione non pu essere che "sommo".

: nota bene come scritto: i due puntini sullo iota sono il segno della dieresi, cio della separazione tra alfa e iota che non formano dittongo; pertanto lo spirito si scrive sull'alfa e l'accento si pronuncia sullo iota.

: l'aggettivo indefinito, che letteralmente strano ("o un Apollo"), qui vale nel senso di "un dio, o Apollo o Pan o Zeus". Ci si chiesti perch Eschilo menzioni proprio questi tre di come protettori degli avvoltoi offesi. Zeus naturalmente presente come dio garante della giustizia (tema caro a Eschilo e centrale nell'Agamennone, brava Elena) e in particolare -viene detto subito dopo- come protettore degli ospiti; Pan un dio silvestre, venerato soprattutto nella montuosa Arcadia, quindi a buon diritto vicino agli avvoltoi e al loro habitat; ma perch Apollo? Frnkel dice che non nota una particolare associazione di Apollo con i monti e riporta le ipotesi alternative di molti critici: Apollo come dio cacciatore, come dio del vaticinio, come protettore degli uccelli in genere, concludendo: "forse meglio ammettere che non sappiamo quale speciale motivo abbia avuto il poeta per menzionarlo". A me pare che un buon motivo potrebbe essere l'associazione tra Apollo e il Sole, il Sole che tutto vede e al quale non sfugge l'offesa subita dagli avvoltoi. A questo proposito posso citare un testo ellenistico di mitografia chiamato Catasterismi, ovvero "Metamorfosi in astri", che narra i miti nei quali un personaggio viene tramutato dagli dei in un astro o costellazione; ebbene, venendo a parlare di Orfeo, il mitico cantore, l'autore racconta (catasterismo n. 24) che, sceso nell'Ade per riportare in vita l'amata Euridice, "egli, vedendo le cose di laggi, non onor pi Dioniso, ma ritenne invece che il pi grande degli dei fosse il Sole, che egli chiam Apollo; e destandosi ogni notte intorno all'alba saliva sul monte Pangeo e aspettava l'alba, per essere il primo a vederlo; cosicch Dioniso, adiratosi con lui, gli mand contro le Menadi che lo fecero a pezzi, come dice il poeta tragico Eschilo." Inoltre Euripide nella sua tragedia Fetonte (ricordi il mito del figlio di Icaro, vero?) fa rivolgere il protagonista al Sole con queste parole (frammento 781 Nauck): "O Sole dal bel raggio, che hai fatto perire () me e costui: e che tra i mortali sei chiamato a ragione Apollo () da chi

conosce i silenti nomi degli dei".... : ormai sei abituato agli aggettivi composti di

Eschilo. Questi due hanno una formazione trasparente: (uccello) + (grido); (acuto) + (di nuovo grido): si noti che ha la stessa radice di , il lamento funebre, mentre soprattutto il grido di guerra: pertanto non si pu non riconoscere che i due aggettivi sono perfetti nel contesto. Nella traduzione, queste maestose parole purtroppo si trasformano in goffe perifrasi, come capita all'albatros baudelairiano: ogni tanto sarebbe utile, per intuire meglio lo stile eschileo, provare a tradurre con dei neologismi: "avisonante... acutovociante"?

: i meteci, come hai imparato studiando la storia greca, erano i cittadini stranieri che risiedevano ad Atene, posti sotto la protezione di un patrono. Qui Eschilo chiama "meteci" gli avvoltoi nel senso che, probabilmente, essi lo sono rispetto agli dei: questi ultimi sono di diritto cittadini del cielo, mentre gli avvoltoi vi risiedono da stranieri e dunque sono sotto la protezione degli dei stessi, i quali vendicheranno l'offesa subita dagli uccelli. Come vedi, stiamo piano piano dipanando uno dei fili pi caratteristici della tragedia attica, quello intrecciato del lessico e dei concetti delle istituzioni politiche e civili della polis: (40), (46), sono parole che un ateniese della met del V secolo conosceva bene.

: a Frnkel l'aggettivo dimostrativo parso insopportabile poich esso ha di norma valore deittico, cio serve a indicare () persona o cosa presente sulla scena, dove avvoltoi ovviamente non ce ne sono; ma un commentatore successivo, Denniston, ha osservato che l'aggettivo talvolta usato anche nel senso di "questo appena menzionato".

: parola eschilea e concetto tra i pi tragici. L'Erinni, la dea che vendica le azioni sacrileghe, viene incaricata da Zeus, garante della giustizia, di punire (, punizione) il colpevole: ma essa agisce col tempo (, dopo), giunge tardi e spesso inaspettata, e il colpevole che sembrava essersi giovato del suo crimine viene abbattuto dall'altezza cui era giunto. Qui l'aggettivo appare in realt poco pertinente, tanto al caso degli avvoltoi (chi e quando sar punito?) quanto a quello di Paride (la guerra di Troia dura dieci anni, vero, ma comincia subito dopo il ratto di Elena); difatti un altro il personaggio al quale -lo scopriremo- questa parola si attaglia di pi: Agamennone.

: participio aoristo III di , dativo plurale. Il latino transgredior, da cui il nostro trasgredire, ha la medesima formazione ( ~ trans, ~ gradior).

60 : stupisce l'articolo col comparativo e bisogna resistere alla tentazione di tradurre "il pi forte", che superlativo. (degli uomini) sono definiti da Omero gli dei: non articolo ma pronome, come in Omero.

: uno degli epiteti pi ricorrenti di Zeus. Anche se etimologicamente lo , parlando di ospitalit, l'ospitato ( = straniero), Zeus nume tutelare del rapporto di ospitalit, dunque tutela sia l'ospitato (qui Paride) che l'ospitante (qui Menelao).

... : ovviamente Elena.: questo accusativo, con i suoi due attributi e

, il compl. oggetto di , che si trova dopo i due genitivi assoluti; la lotta, il risultato (suffisso -) dell'azione di , lottare, per cui servono ovviamente le mani, , le pal...me delle mani per essere precisi; sono gli arti del corpo umano, sui quali le lotte, ripetute (), impongono un peso, .

(nell'edizione West un errore di stampa) : anche se in Omero frequente l'immagine dello "sciogliere le ginocchia" del nemico colpendolo a morte, qui sembra piuttosto il piegarsi (), l'appoggiarsi a terra sotto il peso () della fatica.65 ... : l'espressione ha messo in difficolt tutti gli interpreti, perch non si capisce a quali "riti preliminari" (questo significa , e perlopi in riferimento al matrimonio) ci si riferisca. Frnkel accetta l'ipotesi che per metafora si definiscano "riti preliminari" i combattimenti con la lancia () rispetto a quelli (che per qui non sono nominati) con la spada, che sarebbero lo scontro vero e proprio: Denniston la rigetta con forza e sostiene, ma senza convinzione, che Eschilo stia parlando dei riti preliminari al matrimonio tra Paride e Elena, riti che sarebbero dunque stati funestati dall'arrivo dell'esercito Acheo (nel mito per si dice che i due si siano sposati prima della guerra). Un'ipotesi nuova la posso avanzare anch'io: forse l'intera guerra di Troia che viene vista come "rito preliminare", preliminare alla distruzione di Troia: solo quest'ultima sar il vero e proprio "rito" celebrato dall'Erinni, col quale essa compir la vendetta. Tra l'altro, va detto che tutti gli interpreti che ho consultato sbagliano nella traduzione del verbo , che non vuole dire "spezzo" bens "consumo, distruggo": l'immagine non quella di una lancia che si spezza per un colpo secco ma quella di una consunzione progressiva, e si adatta bene all'ipotesi che ho avanzato. Tutte le parole di questo passo, del resto, indicano una continuit: , , , il participio presente .

: il participio futuro indica intenzione o scopo.... : l'espressione suona colloquiale e significa che il coro, rimasto ad

Argo, non sa come gli eventi siano progrediti a Troia; sicuro per che essi non possano che compirsi in direzione di quanto stabilito dal destino ( , , "ci che stato assegnato").

... ... : passo difficile, corrotto nei codici, oggetto di molte congetture da parte degli interpreti; se vuoi limitati alla traduzione che ti ho dato, se invece sei curioso sii anche paziente.Sono elencate al participio tre azioni che non potranno far s che (soggetto: il perseguitato dall'Erinni, si presume; non c' soggetto grammaticale) plachi l'ira degli dei. La prima l'accensione (, da sotto) del fuoco del sacrificio; la seconda la libagione, cio il versamento di vino o di olio sul () fuoco; la terza il pianto. West, come Frnkel e altri, pone tra croci poich ritiene che l'immagine del pianto sia qui del tutto fuori luogo: secondo loro il pianto di pentimento un gesto prettamente cristiano che non ha nulla a che fare con la mentalit greca. I filologi sono indotti alla condanna di anche dal fatto che nei codici il primo dei tre participi non (bruciando), ma l'erroneo (piangendo): secondo loro non sarebbe altro che una glossa, cio una nota di spiegazione, che in un manoscritto era stata scritta sotto o vicino a per chiarirne il significato e che poi stata interpolata (interpolazione: parola inserita nel testo).Ora, se i detrattori di hanno ragione, ci sono due strade: espungere (espunzione: eliminazione di una parola che si giudica interpolata) e basta, oppure espungere e congetturare un'altra parola al suo posto (supponendo che, chi ha interpolato , gli abbia fatto posto eliminando una parola della stessa lunghezza). West, che pone le croci, evidentemente ritiene che si debba battere la seconda strada; ma in apparato non riporta neppure una congettura. Mah, io non sarei cos sicuro che l'immagine del pianto non possa andare: nelle Supplici Eschilo dice (348) che "l'ira di Zeus protettore dei supplici rimane, non placabile per mezzo dei lamenti di chi ha patito". 70 : il significato chiaro: "sacrifici senza fuoco", mentre la sintassi non funziona, perch non si sa da chi far dipendere il genitivo. Io ho tradotto come se nel testo avessimo , dativo di mezzo, giusto per dare una traduzione.

: un esempio di alfa intensivo; la radice la medesima del verbo latino tendo, di e del nome , che significa comunemente "accento" ma letteralmente la "tensione" (l'accento greco melodico; l'accento-base

quello acuto; tendendo una corda si ottiene un suono pi acuto); dunque significa "ben teso". Ben pi frequente l'alfa privativo, come nel precedente . C' infine anche l'alfa copulativo, che si riconosce dallo spirito aspro e indica unione: , tutti insieme.

Noi, in quanto non in grado di pagare per l'antica carne, lasciati indietro dalla spedizione di allora,

75 restiamo, muovendo una forza pari a un bambino appoggiati agli scettri; infatti sia il giovane midollo, regnando dentro il petto, come un vecchio, e Ares non nella regione,

80 sia la vecchiaia estrema, gi seccandosi la foglia, cammina su tripodi strade e in nulla pi forte di un bambino vaga come un sogno che appare di giorno.

: parola rarissima che ha richiesto molte indagini. Pare che sia formata da alfa privativo e dalla radice di , pago; significherebbe "che non paga, che non pu pagare", nel senso di "non in grado di militare nell'esercito" a causa della , la "carne antica", cio la vecchiaia.

: l'avverbio in posizione attributiva specifica il sostantivo e non dobbiamo sottrarglielo per darlo al verbo: non "essendosi stati allora lasciati indietro dalla spedizione" ma "essendo stati lasciati indietro dalla spedizione di allora".75 : inizia una notevole similitudine tra vecchi e bambini. La forza () del vecchio pari a quella di un bambino (), come d'altra parte il midollo () dei bambini, cio la loro forza vitale, pari a quello di un vecchio (); e la vecchiaia estrema ( ) non pi forte di un bambino ( ).

: il verbo stato rifiutato dalla maggioranza degli interpreti a favore della congettura . Difatti ai pi sembra inappropriato che il giovane midollo ( ) "dmini" (, cf. ) nel petto, proprio quando si dice che esso debole come quello di un vecchio; con la congettura invece il midollo "balza su" nel petto, nel senso che mobile e fluido (ci sono passi di autori di medicina che dicono ci) ma non ha sostanza e forza.West forse il primo che ha efficacemente difeso il testo trdito (tramandato): egli osserva che secondo i Greci il midollo discendeva nel petto dal cervello e che pertanto poco probabile che Eschilo abbia detto che esso "balza su"; e inoltre mette in collegamento il verbo con l'immagine successiva,

quella di Ares che "non c' nella regione". Secondo