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Riservato alle strutture Dipartimento Comunicazione & Immagine Responsabile - Lodovico Antonini RASSEGNA STAMPA Anno XVI - 23/09/2015 A cura di Bruno Pastorelli – [email protected] Federazione Autonoma Bancari Italiani via Tevere, 46 00198 Roma - Dipartimento Comunicazione & Immagine entra entra entra entra Seguici su: REGISTRATI NELL'AREA RISERVATA AGLI ISCRITTI E AVRAI A DISPOSIZIONE UNA SORTA DI SINDACALISTA ELETTRONICO PERSONALE Registrati Se non vuoi più ricevere la Rassegna, è sufficiente rispondere a questa E-mail scrivendo nell’oggetto: CANCELLARE Così disse Sommario . IL SOLE 24 ORE mercoledì 23 settembre 2015 La banca: «Piena collaborazione con i Pm» L’ad Iorio al lavoro sul nuovo piano e l’Ipo . CORRIERE DEL VENETO (tutte le edizioni) mercoledì 23 settembre 2015 Il giorno più lungo in banca Zonin: «Tutto si chiarirà» Iorio vara il piano industriale . CORRIERE DELL'UMBRIA/VITERBO/SIENA/MAREMMA/ mercoledì 23 settembre 2015 Credito Da oggi ad Assisi il secondo Forum nazionale della Fisac Cgil I lavori si chiuderanno venerdì con la segretaria generale Susanna Camusso La "tre giorni" del sindacato punta a ricostruire l'unità e superare tutte le divisioni . IL GAZZETTINO (tutte le edizioni) mercoledì 23 settembre 2015 I politici ora chiedono chiarezza I sindacati: «Vertici dissennati» - Berti attacca i «pirati in giacca e cravatta». Ciambetti: «Trasparenza indispensabile . IL TIRRENO mercoledì 23 settembre 2015 Il sindacato: «Zonin non poteva non sapere - Gli errori dei manager non restino impuniti» . IL GIORNALE DI VICENZA mercoledì 23 settembre 2015 SINDACATI. Le sigle: «Tutelare il personale» - «Situazione gravissima Ora il piano industriale» La Cgil vuole un incontro . IL SOLE 24 ORE mercoledì 23 settembre 2015 Chiarezza subito, sostenere il Nordest . IL SOLE 24 ORE mercoledì 23 settembre 2015 PopVicenza, i Pm aprono l’inchiesta sui crediti - L’istituto: «Piena collaborazione con la magistratura» .

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UNA SORTA DI SINDACALISTA ELETTRONICO PERSONALE Registrati

Se non vuoi più ricevere la Rassegna, è sufficiente rispondere a questa E-mail scrivendo nell’oggetto: CANCELLARE

Così disse

Sommario

. IL SOLE 24 ORE mercoledì 23 settembre 2015 La banca: «Piena collaborazione con i Pm» L’ad Iorio al lavoro sul nuovo piano e l’Ipo . CORRIERE DEL VENETO (tutte le edizioni) mercoledì 23 settembre 2015 Il giorno più lungo in banca Zonin: «Tutto si chiarirà» Iorio vara il piano industriale . CORRIERE DELL'UMBRIA/VITERBO/SIENA/MAREMMA/ mercoledì 23 settembre 2015 Credito Da oggi ad Assisi il secondo Forum nazionale della Fisac Cgil I lavori si chiuderanno venerdì con la

segretaria generale Susanna Camusso La "tre giorni" del sindacato punta a ricostruire l'unità e superare tutte

le divisioni . IL GAZZETTINO (tutte le edizioni) mercoledì 23 settembre 2015 I politici ora chiedono chiarezza I sindacati: «Vertici dissennati» - Berti attacca i «pirati in giacca e cravatta».

Ciambetti: «Trasparenza indispensabile . IL TIRRENO mercoledì 23 settembre 2015 Il sindacato: «Zonin non poteva non sapere - Gli errori dei manager non restino impuniti» . IL GIORNALE DI VICENZA mercoledì 23 settembre 2015 SINDACATI. Le sigle: «Tutelare il personale» - «Situazione gravissima Ora il piano industriale» La Cgil vuole

un incontro . IL SOLE 24 ORE mercoledì 23 settembre 2015 Chiarezza subito, sostenere il Nordest . IL SOLE 24 ORE mercoledì 23 settembre 2015 PopVicenza, i Pm aprono l’inchiesta sui crediti - L’istituto: «Piena collaborazione con la magistratura» .

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IL SOLE 24 ORE mercoledì 23 settembre 2015 Quelle valutazioni fuori mercato . IL SOLE 24 ORE mercoledì 23 settembre 2015 Quelle valutazioni fuori mercato . IL SOLE 24 ORE mercoledì 23 settembre 2015 Per i soci della popolare un conto da 1,3 miliardi . IL SOLE 24 ORE mercoledì 23 settembre 2015 Vuoi credito? Compra azioni Ecco il «j’accuse» dei clienti . IL SOLE 24 ORE mercoledì 23 settembre 2015 Mediobanca, il consiglio approva la nuova governance . IL SOLE 24 ORE mercoledì 23 settembre 2015 La sconfitta delle banche sul Credito sportivo . Prelios, presentate le liste per il nuovo Cda Parte il riassetto manageriale di Prelios. E anche per il riassetto societario gli azionisti starebbero, secondo le

indiscrezioni, facendo passi avanti. . IL SOLE 24 ORE mercoledì 23 settembre 2015 Controlli, liti tributarie e rate-bis con Equitalia: il fisco cambia ancora - Sì finale del Governo agli ultimi 5

decreti della delega Restano al palo le riforme del catasto e dei giochi . IL SOLE 24 ORE mercoledì 23 settembre 2015 Pensione anticipata, soglia a 63 anni - Nella legge di Stabilità prime norme mirate ad alcune categorie o il

prestito previdenziale . IL SOLE 24 ORE mercoledì 23 settembre 2015 Cig più «cara» per chi la usa - Spazio al contributo addizionale unificato e crescente nel tempo . IL SOLE 24 ORE mercoledì 23 settembre 2015 Strumenti di lavoro assegnabili senza accordo preventivo . IL SOLE 24 ORE mercoledì 23 settembre 2015 Banche, Draghi boccia Schaeuble - La Bce vuole stoppare il tentativo di Berlino di sfuggire all'armonizzazione

dell'Unione bancaria su risk management, governance e piani di risoluzione. Francoforte agirà comunque in

modo indipendente . IL SOLE 24 ORE mercoledì 23 settembre 2015 La bad bank slitta al prossimo anno . IL SOLE 24 ORE mercoledì 23 settembre 2015

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Blitz Gdf, indagati Zonin e Sorato - Nel registro i nomi di altre sei persone. Nel mirino dei pm la valutazione

dei titoli e le modalità degli acquisti. L'inchiesta partita dagli esposti degli azionisti. La banca: piena

collaborazione . IL SOLE 24 ORE mercoledì 23 settembre 2015 Dall'ispezione del 2001 alle svalutazioni del 2015: gli esposti dei soci . IL SOLE 24 ORE mercoledì 23 settembre 2015 Poste Vita, nuovo team per l'ipo - Con Gaffo e Bruno completato il riassetto della squadra di vertice della

compagnia assicurativa, che rappresenta un asset fondamentale del gruppo che entro l'anno debutterà a

Piazza Affari . IL SOLE 24 ORE mercoledì 23 settembre 2015 Mediobanca, ok alla governance - Scontato l'ok dei soci alle nuove regole, che saranno in vigore dal 2017. Il

cda scende a 9-15 componenti mentre i manager nel board passano da cinque a tre. Si va verso rinnovo del

patto, che sarà più leggero . IL SOLE 24 ORE mercoledì 23 settembre 2015 Le chance dei ricorsi contro la riforma delle banche popolari . IL SOLE 24 ORE mercoledì 23 settembre 2015 L'Italia adesso scopre degli alleati contro il rigorismo della Vigilanza Unica europea . IL SOLE 24 ORE mercoledì 23 settembre 2015 Sempre più centrale il collegio dei sindaci . IL SOLE 24 ORE mercoledì 23 settembre 2015 Bad bank? Ci sono anche altre soluzioni . IL GIORNALE DI VICENZA mercoledì 23 settembre 2015 Dagli stress test alla spa con il fiatone - Il cambio della Vigilanza, crisi e le nuove asticelle da superare hanno

imposto più aumenti di capitale - Ma l'ultimo miliardo è stato " stralciato " dai conti . IL GIORNALE DI VICENZA mercoledì 23 settembre 2015 Montebelluna, sette mesi fa quell'inchiesta " gemellal" il 17 febbraio 2015: brusco risveglio a Montebelluna. . LA VOCE info 23-9-2015 Il futuro della banca: tecnologia e rapporto col cliente .c. .

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Articoli

IL SOLE 24 ORE mercoledì 23 settembre 2015

La banca: «Piena collaborazione con i Pm» L’ad Iorio al lavoro sul nuovo piano e l’Ipo

Vicenza. «Piena collaborazione da parte della dirigenza e del personale della Banca Popolare di Vicenza ai Nuclei di Polizia Giudiziaria della Guardia di Finanza che hanno svolto perquisizioni presso la sede centrale della Banca a Vicenza e negli uffici direzionali di Milano, Roma e Palermo». Si è affrettato a comunicare la massima disponibilità l’istituto berico, ieri mattina, pochi minuti dopo che si è diffusa la notizia delle perquisizioni delle Fiamme Gialle negli uffici direzionali dislocati in tutta Italia. «Si tratta di indagini preliminari – recita la nota diffusa, gettando acqua sul fuoco -, ritenute indispensabili per accertare eventuali responsabilità soggettive». Nessun’altra dichiarazione. E la giornata si è svolta secondo programma, con la riunione del comitato esecutivo della banca presieduto dall’amministratore delegato Francesco Iorio. «Ho massima fiducia nella magistratura, di più non posso dire. Sono qui per la riunione del comitato esecutivo», ha stigmatizzato Iorio, impegnato nel lavoro sul piano industriale, che sarà presentato il prossimo 29 settembre. Del resto, non ci si può fermare e non possono essere vanificati gli sforzi compiuti negli ultimi mesi dall’ex manager di Ubi, approdato a Vicenza lo scorso giugno, per rimettere in sesto i conti e ridare alla Popolare una credibilità a livello nazionale e internazionale. A maggior ragione all’indomani della sottoscrizione strappata a UniCredit dell’accordo di garanzia per realizzare l’indispensabile aumento di capitale da 1,5 miliardi. Ma il contraccolpo delle indagini durerà a lungo a giudicare dalle reazioni. «I disastri che alcuni top-manager e i vertici della Banca hanno perpetrato negli ultimi anni a danno del tessuto sociale di molte regioni e di interi territori non possono rimanere impuniti», ha affermato il coordinamento dei sindacati Fabi, First Cisl, Fisac Cgil. «La mia preoccupazione - ha detto il sindaco di Vicenza Achille Variati - è rivolta in particolare alla tutela dei soci della banca, con particolare attenzione per chi ha investito i risparmi di una vita, e alla tenuta di una grande banca del territorio che ha un ruolo fondamentale per lo sviluppo delle nostre aziende». E infatti il rischio della debacle di una banca come la Popolare di Vicenza è anche il rischio di un default del territorio, visto il numero di piccoli e medi risparmiatori, tra cui numerosissime aziende, che detengono azioni BpVi. E vista la mole di esposti che diversi azionisti, tramite legali e associazioni di consumatori, hanno fatto contro la banca. Già lo scorso 11 aprile in occasione della assemblea dei soci, il malumore per la svalutazione delle azioni era ampiamente diffuso. «Finalmente, dopo la nostra denuncia, qualcosa si sta muovendo - ha detto Jacopo Berti, capogruppo in consiglio regionale del Movimento 5 Stelle -. A circa 200mila azionisti la banca ha bruciato 2 miliardi e 600 milioni di euro di risparmi». Ieri, a seguito delle numerose segnalazioni giunte agli sportelli sulle modalità di vendita delle azioni, hanno annunciato un esposto alla Consob anche l’Unione nazionale consumatori e il Movimento consumatori, mentre il Codacons depositerà formale richiesta di costituzione di parte offesa nell’inchiesta. Nelle prossime settimane si saprà se l’ipotesi di reato di aggiotaggio verrà confermata. Per ora una cosa è certa: l’era Zonin sembra essere definitivamente tramontata. © RIPRODUZIONE RISERVATA Katy Mandurino

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CORRIERE DEL VENETO (tutte le edizioni) mercoledì 23 settembre 2015

Il giorno più lungo in banca Zonin: «Tutto si chiarirà» Iorio vara il piano industriale

VICENZA. Il giorno più lungo di Banca popolare di Vicenza. Con il blitz della Finanza nella sede centrale di via Battaglione Framarin che piove come una bomba sul risanamento impostato dall'amministratore delegato, Francesco Iorio. La popolare, nel passaggio più difficile, è ancora di più nelle sue mani. Il manager venuto da Ubi pronuncia poche parole di circostanza, nel pomeriggio, al rientro in banca, per il comitato esecutivo: «Massima fiducia nella magistratura, di più non posso dire». È l'unica riunione, ieri, in banca: niente cda straordinari, nemmeno nei prossimi giorni, almeno per ora, fino a quello già in calendario di martedì prossimo. L'ordine di scuderia è andare avanti con il lavoro. Ma è chiaro che la bordata è fortissima, il pericolo vero è che

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cambi il clima intorno alla popolare e al difficile percorso di risanamento impostato a tamburo battente da Iorio. Giusto il giorno prima il cda aveva approvato l'accordo di pre- con Unicredit sull'aumento di capitale fino a 1,5 miliardi, per tutto l'ammontare la costituzione del consorzio di collocamento, oltre che con Unicredit, anche Bnp Paribas, Deutsche Bank, Jp Morgan e Mediobanca. Tappa decisiva e tutt'altro che scontata, messa insieme in poco tempo, che «blinda» l'aumento di capitale e la quotazione in Borsa entro l'aprile 2016. Il passo successivo, ora, sono gli ultimi dettagli della revisione del piano industriale, che Iorio porterà nel cda di martedì prossimo. Ma ora c'è un blitz di cui tener conto. Proprio legato ai guai, partire dagli aumenti di capitale «truccati» da finanziamenti per acquistare azioni scoperto dall'ispezione della Bce, a cui la ricapitalizzazione tenta di mettere una toppa. La mattina scorre via con i dipendenti fuori dalla porta in attesa di poter entrare e la banca che comunica la «piena collaborazione» di dirigenti e personale con la Finanza. La banca non arriva il presidente Gianni Zonin, bloccato dalle perquisizioni a casa, in centro a Vicenza. Il presidente, apprende, si era già dimesso la scorsa settimana dal comitato esecutivo dell'Associazione bancaria italiana. Ma resta al suo posto alla popolare, che guida dal 1996. Il suo avvocato, Enrico Ambrosetti, lo definisce amareggiato: è anche convinto che tutto verrà chiarito. Nulla è stato na- a Banca d'Italia E, sull'ipotesi di accordi per finanziamenti destinati all'acquisto di azioni, anche se dovessero trovare conferma, è evidente che si tratta di iniziative illegali e, come tali, di certo non passavano attraverso il cda». La linea, sostanza, che già Zonin aveva tenuto nella convention con i direttori di filiale il 5 settembre, quando aveva attribuito la responsabilità all'ex direttore generale Samuele Sorato e alla sua squadra. E forse non a caso i legali di Sorato vedono nell'inchiesta quasi un'opportunità «L'iscrizione sul registro degli indagati è un atto dovuto dopo un esposto compiuto, a quanto risulta, da azionisti - dice l'avvocato Fabio Pinelli anche l'acquisizione di documenti - tra l'altro si parla di documenti della banca - è un'attività ordinaria. Io e il mio assistito siamo sereni: che la magistratura faccia il suo lavoro. La posizione è quella che abbiamo illustrato già qualche giorno fa. Se saranno mosse contestazioni, immagino all'organo collegiale, si potranno fare valutazioni». Intanto in banca sfila via in un'ora anche il comitato esecutivo del pomeriggio, dove manca anche il vice di Zonin, Marino Breganze, impegnato dall'apertura dell'Accademia olimpica. E dai sindacati arrivano segnali di preoccupazione per l'escalation giudiziaria: disastri che alcuni top manager e i vertici della banca hanno perpetrato negli ultimi anni a danno del tessuto sociale di interi territori non possono rimanere impuniti - vanno giù duro in una nota i sindacati Fabi, Cgil, Cisl, Uil e Unisin di Bpvi. Il timore è che i dipendenti siano gli unici a pagare per un cda a dir poco distratto e un management che pare avere agito in modo dissennato». Poi un'apertura di credito nei confronti di Iorio: «La garanzia annunciata con l'aumento di capitale è una concreta rassicurazione sulla solidità patrimonial e del nostro istituto, ma rimaniamo in attesa di conoscere il nuovo piano industriale per valutare le conseguenze occupazionali». E per la Uil «La direzione deve mettere in campo ogni sforzo per garantire l'autonomia dell'istituto e la salvaguardia dei posti di lavoro». Federico Nicoletti © RIPRODUZIONE RISERVATA

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CORRIERE DELL'UMBRIA/VITERBO/SIENA/MAREMMA/ mercoledì 23 settembre 2015

Credito Da oggi ad Assisi il secondo Forum nazionale della Fisac Cgil I lavori si chiuderanno

venerdì con la segretaria generale Susanna Camusso La "tre giorni" del sindacato punta a

ricostruire l'unità e superare tutte le divisioni

La Fisac, il sindacato del credito della Cgil, sceglie Assisi per celebrare il suo secondo Forum nazionale. L'evento che prende il via oggi e termina venerdì, presso l'Hotel Domus Pacis della città umbra, vedrà a raccolta i rappresentanti del mondo sindacale e bancario, manager, esponenti della politica e delle istituzioni, esperti di economia e imprenditori. Contrattazione, Europa, Mezzogiorno e sindacato questi i temi al centro della tre giorni, cui lavori saranno aperti dal segretario generale della Fisac Cgil, Agostino Megale. Oggi, in particolare, nelle due tavole rotonde della giornata si parlerà di linee guida per la contrattazione di secondo livello, candidata ad assumere un ruolo sempre più di rilievo nei prossimi anni, delle imminenti aggregazioni tra popolari e dell'autoriforma del credito cooperativo. intervenire nel dibattito i segretari generali delle organizzazioni sindacali del credito, a cominciare da Lando Maria Sileoni, leader della Fabi, il sindacato di categoria più rappresentativo. Dall'altra parte della "barricata" ci saranno i responsabili delle risorse umane e

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delle relazioni industriali dei principali gruppi bancari, tra cui Alfio Filosomi, responsabile affari istituzionali e politiche del lavoro d'Intesa Sanpaolo; Mario Napoli, responsabile risorse umane del Gruppo Ubi e Paolo Cornetta, responsabile Human Resources Gruppo Unicredit. Domani, invece, riflettori puntati sul settore assicurativo, alle prese con uno dei più difficili rinnovi contrattuali della sua storia, e sull'emergenza occupazionale del Sud Italia, con particolare riferimento al settore di banche assicurazioni. Ben tre le tavole rotonde programmate, l'ultima delle quali sarà incentrata sull'unione bancaria europea e vedrà l'intervento di Giorgio Mieli, responsabile ufficio relazioni sindacali di Abi. Mentre nella giornata conclusiva del Forum, venerdì, si discuterà soprattutto del ruolo della rappresentanza sindacale, anche in vista della nuova riforma allo studio del governo. Particolarmente attesi gli interventi dei rappresentanti delle banche e di Susanna Camusso, segretario generale della Cgil, alla quale toccherà chiudere i lavori. "Questo Forum - commenta Agostino Megale, segretario generale della Fisac Cgil - è un'esperienza nuova che mette a confronto i 'negoziatori' di banche, assicurazioni e sindacato per ribadire, anche alla luce di un contratto nazionale, quello del credito, conquistato con il 96% di consensi, la necessità che vengano chiusi immediatamente anche i contratti delle Bcc e di Ania per il comparto assicurativo". Una posizione che segue anche quanto emerso dalla recente conferenza d'organizzazione della Cgil: apertura del cantiere dell'unità Cgil Cisl e Uil vede la Fisac impegnata a lanciare un progetto per l'unità dei sindacati di categoria, allargato alla Fabi e ai soggetti sindacali che superano il 5% di rappresentanza". "Sul fronte della contrattazione - aggiunge poi il numero uno della categoria dei lavoratori del credito della Cgil - l'aver messo al centro temi come innovazione, sperimentazione, inclusione dei soggetti più deboli, è la via per rilanciare il mestiere del sindacato contro i continui attacchi, anche da parte del premier. Il Forum avrà infatti il compito di ragionare su una idea di sindacato confederale come soggetto politico autonomo e contrattuale, allargato a precari e partite Iva, per sconfiggere l'idea di chi lo vorrebbe più docile, addomesticato e aziendale. Per questo è indispensabile ricostruire l'unità e superare le divisioni".

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IL GAZZETTINO (tutte le edizioni) mercoledì 23 settembre 2015

I politici ora chiedono chiarezza I sindacati: «Vertici dissennati» - Berti attacca i «pirati in

giacca e cravatta». Ciambetti: «Trasparenza indispensabile

Alda Vanzan VENEZIA - Preoccupazione per i risparmiatori, fiducia nell'operato della magistratura, auspicio che venga fatta al più presto chiarezza. Sono le reazioni trasversali della politica veneta in merito all'inchiesta sulla Banca Popolare di Vicenza, anche se qualcuno ha esultato alla notizia delle perquisizioni della Guardia di finanza. Il tema ha tenuto banco ieri a Palazzo Ferro Fini, dov'era in corso la seduta del consiglio regionale, il primo a esporsi è stato il capogruppo del M5s Jacopo Berti. Che, peraltro, avendo la nonna azionista della Popolare vicentina, è pronto - come fece Beppe Grillo anni fa con Telecom - a farsi delegare e a partecipare all'assemblea dei soci. «A circa 200mila azionisti della banca, comuni cittadini, hanno letteralmente bruciato i risparmi di una vita: 2 miliardi e 600 milioni di euro di risparmi polverizzati da questi pirati in giacca e cravatta», ha detto

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Berti ricordando che il Movimento 5 Stelle è stato la prima forza politica a denunciare questa situazione, scendendo in piazza a fianco degli azionisti in una manifestazione tenutasi il 12 settembre scorso, dopo aver denunciato lo scandalo in Parlamento con un'interrogazione Per il presidente del consiglio regionale del Veneto, Roberto Ciambetti, vicentino, esponente di spicco della Lega, i controlli a tutela dei risparmiatori sono necessari. «Nel libero mercato - ha detto Ciambetti - la trasparenza e la correttezza sono indispensabili, per cui ogni azione tesa a difendere i risparmiatori e il sistema creditizio non solo è bene accetta ma deve essere considerata necessaria, che si tratti della Popolare Vicentina o della Banca dell'Etruria o di qualunque altro istituto di credito. C'è da augurarsi, anzi, che questi controlli vengano estesi ad altre realtà. Per la Banca popolare di Vicenza, realtà che ha sostenuto l'economia più di altri istituti di credito in questi anni, mi auguro che questa vicenda possa risolversi nella migliore maniera e ciò sia per i risparmiatori, per i dipendenti e le nostre imprese». A chiedere che venga fatta chiarezza sono stati anche i consiglieri regionali vicentini del Pd, la capogruppo Alessandra Moretti e Stefano Fracasso: «Esprimiamo piena fiducia nell'operato della magistratura e la forte preoccupazione per i tanti azionisti e clienti del nostro territorio, in buona parte piccoli, per rispetto dei quali è necessario venga fatta la massima chiarezza. In questo momento di massima delicatezza riteniamo sia di prioritaria importanza tutelare i patrimoni e gli impegni. Spetta al Cda comunicare all'opinione pubblica e al territorio le azioni di salvaguardia di questa istituzione finanziaria di assoluto rilievo per lo sviluppo e l'economia del vicentino e non solo». E i sindacati hanno chiesto giustizia. disastri che alcuni top- e i vertici della Banca hanno perpetrato negli ultimi anni a danno del tessuto sociale di molte regioni e di interi territori non possono rimanere impuniti», hanno scritto in una nota Fabi, First/ Fisac/ e Unisin confidando che la magistratura «accerti in tempi rapidi tutte le eventuali responsabilità». nostro timore - hanno aggiunto - è che in tutta questa vicenda i dipendenti siano gli unici a pagare per gli errori di un Cda a dir poco "distratto" e di un management che pare avere agito in modo "dissennato"». La garanzia dell'aumento di capitale è parsa rassicurante, ma i sindacati hanno ribadito di aspettare il nuovo piano industriale «per valutare le ricadute dal punto di vista occupazionale».

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IL TIRRENO mercoledì 23 settembre 2015

Il sindacato: «Zonin non poteva non sapere - Gli errori dei manager non restino impuniti»

«Sembra che l'unico a non sapere che cosa succedeva dentro la Popolare fosse il presidente Zonin: sarebbe preoccupante, ma sembra più un tentativo maldestro di scaricare le responsabilità su altri». E' il commento di un sindacalista a proposito delle scaramucce tra Zonin e l'ex dg Sorato alla vigilia delle perquisizioni. Ieri i sindacati (Fabi, First Cisl, Fisac Cgil e Unisin) ci sono andati pesanti. un'ulteriore notizia che si aggiunge a tutte quelle che riguardano le vicende giudiziarie della nostra banca - hanno scritto -Queste organizzazioni sindacali continuano a ribadire che i disastri che alcuni top- e i vertici della banca hanno perpetrato negli ultimi anni a danno del tessuto sociale di molte regioni e di interi territori non possono rimanere impuniti. Da tempo abbiamo denunciato con volantini, comunicati, lettere alla Direzione e agli organi di Sorveglianza, prassi gestionali e commerciali non conformi alle norme. Il nostro timore è che in tutta questa vicenda i dipendenti siano gli unici a pagare per gli errori di un CdA a dir poco "distratto" e di un management che pare avere agito in modo "dissennato"». Il vecchio piano industriale di dimagrimento della Popolare prevede a Prato la chiusura degli sportelli di via Zarini, di San Paolo e di Casale il 25 settembre e di quello della Briglia (Vaiano) il 23 ottobre. Tra i 75 sportelli che chiuderanno nel 2016 è quasi certi che ce ne saranno altri a Prato.

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IL GIORNALE DI VICENZA mercoledì 23 settembre 2015

SINDACATI. Le sigle: «Tutelare il personale» - «Situazione gravissima Ora il piano

industriale» La Cgil vuole un incontro

Sta accadendo da mesi e in queste ultime ore non può che preoccupare - dice Marina Bergamin segretaria generale della Cgil di Vicenza - Il dottor Iorio dica qual è il suo progetto. Quello che è certo è che non possono essere i dipendenti e gli ignari soci a pagare per scelte che non hanno fatto, né saputo. Come organizzazioni sindacali confederali dovremo chiedere un incontro con la dirigenza. Ed è questa la proposta che faremo a Cisl

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e Uil vicentine». Hanno fatto sentire la propria voce anche i sindacati bancari (Fabi - First - Fisac - Unis «Da tempo abbiamo denunciato prassi gestionali e commerciali non conformi alle norme. Nostro timore è che in tutta questa vicenda i dipendenti siano gli unici a pagare per gli errori di un CdA a dir poco " distratto " e di un management che pare avere agito in modo " dissennato». «Rimaniamo in attesa di conoscere il nuovo Piano industriale per poter valutare le ricadute dal punto di vista occupazionale». Punta sui dipendenti anche Uilca «Quanto avvenuto stamattina (ieri, ndr), è emblematico della situazione estremamente complessa in cui si trova la Popolare di Vicenza». «Tutto ciò accresce lo stato di preoccupazione dei lavoratori della banca. Riteniamo quindi fondamentale conoscere quanto prima il piano industriale. Auspichiamo che non preveda solo un mero taglio del costo del lavoro, ma che si concentri su logiche di investimento, un progetto che coinvolga il personale».

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IL SOLE 24 ORE mercoledì 23 settembre 2015

Chiarezza subito, sostenere il Nordest

Perseguire i colpevoli. Con la proverbiale durezza del mondo contadino veneto. Conservare la banca. Nel segno di una comunità che, dagli anni Cinquanta ad oggi, ha costituito e ha sviluppato un modello economico e civico unico e originale. Continua pagina 35 di Paolo Bricco Continua da pagina 1 Bene fa la magistratura ad evidenziare ogni forma di scorrettezza nelle procedure di governance della Popolare di Vicenza. E bene ha fatto la Banca Centrale Europea a sottolineare le contraddizioni di un meccanismo di autoconservazione dei vertici in cui il credito sarebbe stato adoperato, attraverso la leva degli aumenti di capitale, per preservare gli assetti di potere. Chi oggi è colpito dalle inchieste giudiziarie ed è sottoposto allo scrutinio tecnocratico di Francoforte avrà modo di spiegare e di chiarire la propria posizione. Sì alla cura giudiziaria e regolatoria di un organismo delicato e complesso come quello di una banca popolare (no, non è una parolaccia, nonostante non esista nei vocabolari del mainstream anglosassone) che rappresenta il sistema cardiocircolatorio di una delle economie locali più importanti e simboliche del Paese. No alla trasformazione della cura in una terapia che porti il paziente direttamente al cimitero. Salite sull'automobile. Andate a Vicenza e a Bassano, a Schio e a Thiene, a Valdagno e ad Arzignano. Troverete una delle testimonianze più autentiche e vitali, fragili e contraddittorie di che cosa è stato e di che cosa è il nostro Paese. Fin dalla prima industrializzazione post unitaria. Con il Boom degli anni Cinquanta. E, poi, negli anni Ottanta e Novanta con il Nordest, scritto tutto attaccato, parola nuova del lessico industriale e sociale italiano, allora luogo sconosciuto ai più che ha incubato e generato tanta ricchezza quanta complessità. Troverete la meccanica e la meccanica strumentale, il tessile e il cuoio, l'oreficeria e la concia. Un tessuto articolato e spontaneo, composito e frizzante la cui fisiologia più intima e profonda ha avuto, in questi decenni, nel credito delle banche di territorio un alimento essenziale. La Popolare di Vicenza non è soltanto la Popolare di Vicenza. La Popolare di Vicenza è, a suo modo, un modello storico. Che, emendato da errori sostanziali e da gerontocrazie, da omissioni e da irregolarità formali, non va cancellato con un tratto di gomma pane dalla cartina del paesaggio economico e sociale, culturale e civile di un Paese particolare come l’Italia. © RIPRODUZIONE RISERVATA Paolo Bricco

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IL SOLE 24 ORE mercoledì 23 settembre 2015

PopVicenza, i Pm aprono l’inchiesta sui crediti - L’istituto: «Piena collaborazione con la

magistratura»

Un’altra inchiesta scuote il mondo bancario. Nel mirino è finita la Banca Popolare di Vicenza, e?i reati individuati sono, al momento, l’aggiotaggio e l’ostacolo alla vigilanza, contestati prima di tutto al presidente Giovanni Zonin e all’ex dg Samuele Sorato. Ieri gli uomini del Nucleo valutario della Guardia di finanza hanno effettuato una serie di perquisizioni e sequestri negli uffici bancari di Vicenza, Milano, Roma e nella sede di Palermo di Banca nuova. Risultano indagate 6 persone: oltre al presidente Zonin e all’ex ad e direttore generale Samuele Sorato, anche Giuseppe Zigliotto e Giovanna Maria Dossena, membri del cda, Andrea Piazzetta, ex

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vicedirettore generale della divisione finanza e Emanuele Giustini, ex vicedirettore generale responsabile della divisione mercati. La storia della Popolare di Vicenza è fatta, secondo il procuratore Luigi Salvadori, di crediti deteriorati nascosti e mai inseriti nella voce delle sofferenze;?i noltre, fatto ancora più grave, i manager indagati avrebbero concesso finanziamenti a persone che poi acquisivano le azioni della stessa banca. La banca ha espresso «piena collaborazione da parte della dirigenza e del personale» all’azione della Gdf, il consigliere delegato Francesco Iorio, ha manifestato «massima fiducia nella magistratura». Servizi pagina 35 ROMA Un’altra inchiesta scuote il mondo bancario. Nel mirino è finita la Banca popolare di Vicenza, una di quelle banche legate al territorio ma che poi, secondo gli inquirenti, hanno usato i privilegi societari garantiti dalla legge per aggirare le regole patrimoniali e assicurare posizioni apicali al management. La storia si ripete dunque - ed è simile ad altre vicende già viste, tra cui in particolare quella di Veneto banca. I reati individuati sono, al momento, l’aggiotaggio e l’ostacolo alla vigilanza, contestati prima di tutto al presidente Giovanni Zonin e all’ex dg Samuele Sorato. Ieri gli uomini del Nucleo valutario della Guardia di finanza hanno effettuato una serie di perquisizioni e sequestri negli uffici bancari di Vicenza, Milano, Roma e nella sede di Palermo di Banca nuova, dove lavora l’ex vicedirettore generale della banca vicentina, Paolo Marin. Risultano indagate 6 persone: oltre al presidente Zonin e all’ex ad e direttore generale Samuele Sorato, anche Giuseppe Zigliotto e Giovanna Maria Dossena, membri del cda, Andrea Piazzetta, ex vicedirettore generale della divisione finanza e Emanuele Giustini, ex vicedirettore generale responsabile della divisione mercati. Per loro le perquisizioni sono state effettuate anche nelle case private. Le persone perquisite in tutto sono 21. La storia della Popolare di Vicenza è fatta, secondo il procuratore Luigi Salvadori, di crediti deteriorati nascosti e mai inseriti nella voce delle sofferenze, al fine di mantenere forzatamente alto il valore delle azioni e quindi continuare a distribuire dividendi e mantenere saldamente al loro posto il management, assicurando loro premi e bonus legati al profitto. I crediti deteriorati sfiorano il miliardo, se andiamo indietro fino al 2012-2014. Inoltre, fatto ancora più grave, i manager indagati avrebbero concesso finanziamenti a persone che poi acquisivano le azioni della stessa banca (e che peraltro potrebbero aver svolto funzioni di “portage”, coprendo i reali acquirenti). Il che vuol dire, in sostanza, che i soldi dei correntisti sarebbero serviti a finanziare coloro che detenevano il controllo e il possesso della banca. Si parla anche di acquisti eseguiti nel Lussemburgo, con fondi finanziati per acquistare quote di Banca finance, di proprietà della capogruppo. Il pm parla dunque di «ripetuta concessione ed erogazione a favore di terzi soggetti, in difetto dei presupposti e in violazione della procedura deliberativa sul mercato secondario di azioni Bpv per un controvalore non inferiore a 223 milioni». O anche «...finalizzate alla sottoscrizione di azioni in occasione dell’aumento di capitale degli anni 2013 e 2014, per un controvalore non inferiore a 136 e 146 milioni». Il tutto per rimanere al di sopra delle soglie patrimoniali imposte dalla Vigilanza. L’aggiotaggio viene contestato perché, pur non essendo una società quotata, la banca vicentina ha dato una falsa rappresentazione del bilancio; l’ostacolo alla vigilanza perché?non sono stati forniti i documenti reali alle due istituzioni addette ai controlli, Consob e Banca d’Italia. Gli indagati «esponevano fatti non rispondenti al vero sulla situazione patrimoniale», si legge. Anche se, evidentemente, le azioni di verifica di questi due organi non sarebbero stati così efficaci, se per anni la situazione della Banca popolare di Vicenza è proseguita senza contestazioni: anche questo emergerebbe dalle prime carte dell’inchiesta. I problemi sono emersi con i controlli della Bce partiti nel 2012, oltre che dalle denunce dell’Adusbef. La Bce ha chiesto che venisse fatto un accantonamento per un miliardo, pari appunto ai crediti deteriorati - cosa che è stata fatta con l’ultima semestrale, a seguito della quale è stato deliberato un aumento di capitale che ha fortemente abbassato il valore del titolo. Quindi, di fronte ad un valore così deteriorato, i piccoli azionisti rappresentati dall’Adusbef hanno cominciato a muoversi, anche perché?stava emergendo un comportamento fortemente lesivo dei loro interessi: la banca concedeva finanziamenti solo se il richiedente comprava anche azioni della banca, oppure tentava di impedire la vendita delle azioni con la minaccia di bloccare i finanziamenti. Ecco che quindi i nodi vengono al pettine: la procura e il Nucleo valutario cominciano ad indagare. I reati contestati per ora sono aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza, ma non si esclude che si possa andare oltre - ad esempio al falso in bilancio e all’acquisizione di azioni in conflitto di interesse. Ora si indagherà probabilmente anche su chi ha ricevuto i crediti inesigibili.

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Intanto giorni fa il presidente Zonin si è già dimesso dai vertici dell’Abi, di cui faceva parte come membro del comitato esecutivo. © RIPRODUZIONE RISERVATA Sara Monaci

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Quelle valutazioni fuori mercato

Un’inchiesta annunciata, o quanto meno attesa, quella della procura della Repubblica berica nei confronti dei vertici della Banca popolare di Vicenza. Le perquisizioni nelle sedi venete, milanesi, romane e palermitane della BpVi rappresentano l’epilogo di almeno un biennio di sovraesposizione della banca alle occhiute attenzioni delle autorità di vigilanza italiane, europee e dei media che hanno raccolto e continuano a raccogliere, sotto forma di lettere, il disagio di moltissimi risparmiatori azionisti e piccoli imprenditori locali. Dopo i vertici di Veneto Banca, l’ex Banca popolare di Montebelluna, dunque, anche quelli della Vicenza, vengono indagati per il medesimo (ipotizzato) reato: aggiotaggio (o manipolazione informativa) e ostacolo alle funzioni di vigilanza. Minimo comune denominatore tra le due banche la non quotazione in Borsa e un meccanismo di valutazione dei titoli che, alla prova dei fatti, ha dato dimostrazione di scarsa congruità . Tanto che all’indomani delle verifiche della Bce dell’ottobre 2014, il comprehensive assessment, entrambe le banche sono state costrette a svalutazioni choc che hanno severamente penalizzato i rispettivi soci . Stefano Elli pagina 35

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IL SOLE 24 ORE mercoledì 23 settembre 2015

Quelle valutazioni fuori mercato

Un’inchiesta annunciata, o quanto meno attesa, quella della procura della Repubblica berica nei confronti dei vertici della Banca popolare di Vicenza. Le perquisizioni nelle sedi venete, milanesi, romane e palermitane della BpVi rappresentano l’epilogo di almeno un biennio di sovraesposizione della banca alle occhiute attenzioni delle autorità di vigilanza italiane, europee e dei media che hanno raccolto e continuano a raccogliere, sotto forma di lettere, il disagio di moltissimi risparmiatori azionisti e piccoli imprenditori locali. Dopo i vertici di Veneto Banca, l’ex Banca popolare di Montebelluna, dunque, anche quelli della Vicenza, vengono indagati per il medesimo (ipotizzato) reato: aggiotaggio (o manipolazione informativa) e ostacolo alle funzioni di vigilanza. Minimo comune denominatore tra le due banche la non quotazione in Borsa e un meccanismo di valutazione dei titoli che, alla prova dei fatti, ha dato dimostrazione di scarsa congruità . Tanto che all’indomani delle verifiche della Bce dell’ottobre 2014, il comprehensive assessment, entrambe le banche sono state costrette a svalutazioni choc che hanno severamente penalizzato i rispettivi soci . Stefano Elli pagina 35 Non si può certo definire un fulmine a ciel sereno quello che ieri mattina si è abbattuto al civico 18 di via Battaglione Framarin, sede centrale della Banca popolare di Vicenza. Quelle venti macchine del Nucleo valutario della capitale e della tributaria della Gdf della città berica erano attese da tempo. Una perquisizione disposta dalla procura vicentina anche nelle sedi romane, milanesi e palermitane della BpVi e nelle abitazioni del suo presidente Gianni Zonin(in carica da 19 anni) del suo ex amministratore delegato Samuele Sorato e di altri amministratori (alcuni dei quali non risultano indagati). Le accuse ipotizzate sono le stesse che hanno visto lo stesso Nucleo valutario, guidato dal generale Giuseppe Bottillo, intervenire a VenetoBanca, cugina della Bpvi, per i medesimi reati: aggiotaggio e ostacolo alle funzioni di vigilanza. Non è un caso che le due banche non quotate stiano subendo un trattamento analogo. Per le rispettive dimensioni (non meno di 30 miliardi di asset in gestione) entrambe rientrano appieno nei parametri di «significatività» del Mvu, il meccanismo di vigilanza unico della Bce che sottopone gli istituti europei alla sorveglianza di Eurotower e non più agli organi di controllo dei singoli paesi. E forse non è un caso anche che i problemi per le due banche si siano appalesati in tutta la loro serietà proprio all’indomani dell’ottobre del 2014, quando la Bce sottopose le banche italiane (inclusi i due istituti veneti) a stress test (i comprehensive assessment) che in una prima fase furono passati dalle due aziende con esiti stiracchiati ancorché favorevoli, ma che da quel momento all’aprile successivo portarono a una svalutazione

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dei rispettivi titoli da 62,5 a 48 euro (per la Vicenza) e da 39,5 a 30,5 (per Venetobanca). Oltre a una serie di operazioni straordinarie tra cui accantonamenti su crediti deteriorati ben superiori alle attese, a maxi aumenti di capitale in successione e annunci di quotazioni in Borsa. Sull’effettivo valore del titolo BpVi, del resto, una dialettica talora anche aspra, era in corso da almeno otto anni. È datato 2007 il primo intervento dell’Adusbef, associazione degli utenti servizi bancari e assicurativi, che contestava, esponendoli e denunciandoli alla magistratura, i valori di quei due titoli considerati siderali, dissonanti e divaricati, rispetto agli andamenti dei comparables del settore bancario in tutta Europa. Un valore elevatissimo che metteva sovente in imbarazzo le due banche quando si trattava di far fronte alle richieste di liquidazione dei titoli che giungevano dai suoi azionisti. Non si contano le lettere giunte a Plus24 che segnalavano ritardi, dilazioni e perdite di tempo nell’ottemperare alle richieste di rimborso. Un segno che il meccanismo del fondo riacquisto azioni proprie dava segnali di ossidamento. E che, insieme alla necessità di reperire nuove risorse, ha forse spinto il passato management della BpVi a cercare altre vie d’uscita, come quella (avventurosa) delle operazioni triangolari con la società di gestione di fondi lussemburghesi Optimum a.m. e Athena (vedere articolo a pagina 34) che detenevano in portafoglio strumenti della Futura fund di Malta in operazioni di sponda tutt’ora sotto osservazione delle autorità di vigilanza. Insomma un lento declino, quello della popolare vicentina, che prima ancora che nelle indagini della Gdf trova riscontro nei numeri e di cui l’inchiesta della magistratura berica non rappresenta che un capitolo. D’altra parte a Vicenza c’è chi confida che l’operato degli investigatori possa fare definitiva chiarezza anche su altri momenti (non necessariamente di rilievo penale) sin qui inesplorati della gestione di Zonin. Dalla politica commerciale di erogazione dei fidi subordinati alla sottoscrizione di titoli offerti in aumenti di capitale (pratica poco ortodossa, ma per il vero assai frequentata a cominciare dalla gestione di Gianpiero Fiorani della Banca popolare di Lodi e dalla stessa Veneto Banca), alla cooptazione in banca di personalità di spicco della pubblica amministrazione, come l’ex ragioniere generale dello Stato Andrea Monorchio (vicepresidente della Banca), a quella di consulenti di prestigio presi dalla Banca d’Italia (come l’ex capo della segreteria particolare di Mario Draghi, Gianandrea Falchi). A quella di Antonio Fojadelli (consigliere della controllata Nordest Sgr), ex pubblico ministero che ebbe modo, a partire dal 2003, di indagare su alcuni affari che vedevano al centro la banca e lo stesso Zonin. Il pm chiese l’archiviazione di Zonin salvo incassare la richiesta di imputazione coatta dell’allora gip Cecilia Carreri. Tutto finì poi con il pieno proscioglimento degli indagati. Oppure l’acquisto da parte della BpVi di Palazzo Repeta, ex sede della Banca d’Italia di piazza San Lorenzo a Vicenza, che da anni era sul mercato senza trovare acquirenti. © RIPRODUZIONE RISERVATA Stefano Elli

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IL SOLE 24 ORE mercoledì 23 settembre 2015

Per i soci della popolare un conto da 1,3 miliardi

Ammonta a 1,3 miliardi il valore distrutto per i 120mila soci dal taglio del prezzo delle azioni a 48 euro deciso dal Cda della Vicenza pochi mesi fa. Quelle azioni sono di fatto congelate e la banca, per non ridurre ulteriormente il patrimonio non le riacquisterà. È il cerino rimasto in mano ai clienti-soci “spinti” da anni con forza a comprare titoli della banca a prezzi del tutto irrealistici. La Vicenza infatti, anche dopo la svalutazione, continua a valere in via teorica oltre 1,2 volte il suo capitale netto, quando le migliori banche quotate italiane valgono meno dell’intero patrimonio. Più era alto il valore, più la banca si capitalizzava meglio. Peccato che come ha rivelato l’ispezione Bce, l’istituto celasse profonde anomalie nei bilanci con crediti malati che non venivano svalutati. La pulizia ha messo in luce perdite per 1,8 miliardi in 18 mesi. Per una banca in convalescenza, il rischio della futura quotazione è che il prezzo debba essere tagliato ancora. Servizio pagina 34 Fabio Pavesi L’inchiesta della Procura non è che l’epilogo della parabola amara della Popolare vicentina, passata in poco tempo da punta di lancia del Nord Est a banca pericolante che necessita ora di un’ennesima iniezione di capitale da 1,5 miliardi per uscire dalle secche. Secche in cui l’ha precipitata la gestione disinvolta, piena di punti interrogativi, del duo Zonin-Sorato. Si è dovuta attendere l’ispezione della Bce per avere un po’ di verità sulla reale salute della banca, troppo spesso in passato oscurata ed edulcorata ad arte. Lo dicono i numeri dell’ultimo bilancio passato al setaccio dagli uomini di Francoforte e sotto lo sguardo attento del nuovo ad Francesco Iorio. Quei numeri dicono di una profonda pulizia doverosa e sempre rimandata. La Popolare di

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Vicenza ha chiuso il semestre con una perdita di 1,05 miliardi, un buco che cumulato con la prima parziale pulizia del 2014 porta il rosso a 1,8 miliardi in soli 18 mesi. Di fatto la banca ha visto bruciare ben più di quei 1,2 miliardi di capitali chiesti ai soci nel recente passato. Quella perdita monstre del giugno scorso dice di una ricognizione dura della Bce sui crediti malati che Zonin e il suoi si ostinavano a non svalutare per non rivelare che il Re era nudo. Le perdite sui crediti sono state di ben 700 milioni ben più dei 546 milioni di ricavi della banca. Ma non c’erano solo prestiti in sofferenza da rettificare e tenuti artificiosamente in bilancio come esigibili. La banca ha svalutato avviamenti per 268 milioni e ha svalutato ben 103 milioni su 350 milioni su tre fondi esteri (Optimum e Athena) acquistati in passati e su cui gli inquirenti sospettano partite di giro. Io banca compro quote dei tuoi fondi e tu sottoscrivi mie azioni. Si pensa che la Bce sia stata troppo dura con Vicenza? Nonostante l’imponente pulizia da 700 milioni su sofferenze e incagli l’istituto vanta tuttora crediti malati netti che sono ben il 17% del totale impieghi una cifra quasi doppia rispetto alla media del sistema bancario italiano. Come si vede tanta salute e solidità proclamata a piè sospinto da Zonin anche nel recente passato era un’illusione ottica. E su questo miraggio i vertici della banca hanno spinto molto. Tenendo arbitrariamente alto il valore del titolo. Non solo. Ma spingendo come ha rivelato in dettaglio l’ispezione Bce migliaia di soci a sottoscrivere a piene mani i titoli della banca, arrivando a finanziare per la cifra record di 975 milioni (un quarto del patrimonio) il loro acquisto. La beffa è arrivata immancabile. Quel valore di 62,5 euro cui è stato sottoscritto anche l’ultimo aumento di capitale non poteva reggere a fronte delle pulizie inevitabili del bilancio che hanno cumulato come si è visto poi 1,8 miliardi di perdite in 18 mesi. Pochi mesi fa ecco il taglio unilaterale. Il Cda porta il valore a 48 euro e il fondo di riacquisto viene bloccato. Non si possono rivendere i titoli. Basti pensare che anche con il taglio del 23% patito dai soci il valore teorico della banca resta sopra il livello di 1,2 volte il patrimonio. Le migliori banche quotate italiane, quelle che fanno utili e hanno patrimonio più che adeguato, quotano 0,8-0,9 volte il loro capitale. Improbabile che la Vicenza messa a nudo sulle sue criticità contabili possa valere anche in futuro più di così. Già con il taglio a 48 euro, i 120 mila soci clienti hanno visto andare in fumo 1,3 miliardi di soldi investiti nella banca del territorio. Una tosatura di massa con in più l’aggravante di avere in mano titoli congelati. E il rischio futuro è che la quotazione in Borsa (di per sè cosa buona e giusta che allinea in trasparenza i prezzi) veda un altro taglio del valore nell’ordine di un 20-30%. Difficile che con una situazione ancora in via di guarigione si possa strappare multipli come quelli attuali. E così il falò per i possessori di azioni della Vicenza rischia di vedere distrutti oltre 2,5 miliari di denaro. Quel denaro consegnato a caro prezzo nelle mani sbagliate. Il prezzo di una fiducia mal riposta. Al di là dei profili penali che l’inchiesta eventualmente appurerà. © RIPRODUZIONE RISERVATA Fabio Pavesi

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IL SOLE 24 ORE mercoledì 23 settembre 2015

Vuoi credito? Compra azioni Ecco il «j’accuse» dei clienti

«Se la banca fa qualcosa per te, tu fai qualcosa per la banca». Lo slogan era più o meno questo. Accattivante, motivante. È anche con questo spirito che gli sportellisti della Popolare di Vicenza hanno convinto molti clienti a ottenere finanziamenti per comprare azioni della banca. Prestiti per comprare azioni: «Il Sole 24 Ore» ha raccolto molte testimonianze. È capitato a un negoziante di Udine, racconta il suo commercialista Fabio Carbone: «Era lo scorso febbraio quando il proprietario di un piccolo negozio è andato in una filiale della banca per chiedere un finanziamento da 15mila euro. Allo sportello gli hanno proposto di sottoscrivere un prestito più elevato, pari a 20mila euro, in modo da comprare azioni della stessa Popolare di Vicenza con i 5mila euro ottenuti in più». È capitato anche a un private banker e a molti altri. Ammontano a 975 milioni di euro - stima la Bce - i crediti erogati per comprare azioni. Servizio pagina 34 Morya Longo Fabio Carbone, commercialista di Udine, può vantarsi di avere salvato un cliente dalla “sirena” delle azioni della Banca popolare di Vicenza. «Era lo scorso febbraio quando il proprietario di un piccolo negozio è andato in una filiale della banca per chiedere un finanziamento da 15mila euro - racconta al Sole 24 Ore -. Allo sportello gli hanno proposto di sottoscrivere un finanziamento più elevato, pari a 20mila euro, in modo da comprare azioni della stessa Popolare di Vicenza con i 5mila euro ottenuti in più». Il negoziante, prima di fare questo passo, si è rivolto al suo commercialista, il quale gli ha consigliato di evitare. Oggi può dire di aver scampato il

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pericolo: le azioni della Popolare di Vicenza, da allora, hanno infatti subito una pesante svalutazione. Le perdite, per lui, sarebbero state ingenti. Ma per un negoziante salvato, ci sono imprenditori, risparmiatori e persone qualunque cadute nella trappola. La prassi di erogare finanziamenti per permettere ai clienti di comprare le azioni della stessa banca era infatti molto in voga nella Regione: la seguivano sia Veneto Banca, sia la Popolare di Vicenza. La Bce ha calcolato che i crediti erogati solo da quest’ultima con lo scopo di far acquistare ai clienti le proprie azioni ammontano a 974,9 milioni di euro. Cifra enorme, dietro la quale si celano migliaia di storie. Piccoli o grandi drammi di persone che ora, dopo ripetute svalutazioni, si trovano in mano perdite pesanti. E, soprattutto, inaspettate. «Il Sole 24 Ore», in attesa che dalle inchieste della magistratura escano tutti i dettagli ed eventuali responsabili, è in grado di raccontarne alcune. Al commercialista di Udine fa eco un consulente finanziario che, per tutelare la riservatezza, preferisce restare anonimo. Anche lui racconta una storia che riguarda un suo cliente: «Si tratta di un piccolo imprenditore, già socio della popolare di Vicenza da anni. A fine 2013 la banca gli ha erogato un finanziamento da un milione di euro a tassi molto, molto, contenuti, con il solo scopo di comprare azioni della stessa banca. Dagli estratti conto si vede con chiarezza la contestualità delle due cose». Un milione di euro di credito, un milione di euro di azioni comprate. Con la benedizione di uno slogan che gli sportellisti amavano ripetere: «Se la banca fa qualcosa per te, tu fai qualcosa per la banca». C’è invece chi, come il responsabile private banking di una istituzione internazionale, racconta - pur sempre dietro anonimato - di finanziamenti proposti al tasso dell’1% per comprare azioni oppure obbligazioni della banca. «Il direttore della filiale della Popolare di Vicenza mi ha fatto questa proposta recentemente», confessa. Aggiungendo poi di non avere accettato. Parlò a viso scoperto con il «Sole 24 Ore», già nell’ottobre del 2014, anche l’imprenditore di Schio Paolo Trentin. Che già allora denunciò il modus operandi della Popolare di Vicenza: «A noi sono venuti ripetutamente a offrire azioni dell’istituto in cambio di finanziamenti. Io mi sono rifiutato e dopo pochi mesi mi sono stati ridotti gli affidamenti». Le storie sono tante. Anche alle associazioni dei consumatori ne stanno arrivando molte. Nessuno sa come finiranno le indagini della Procura di Vicenza, sfociate ieri in molteplici perquisizioni. Eventuali reati andranno dimostrati nelle aule di Tribunale. E gli eventuali colpevoli trovati in quella sede. Ma, a prescindere dal risvolto penale, resta un fatto: tutto questo è un gigantesco cortocircuito. Una pericolosa catena di Sant’Antonio: se la banca finanzia i clienti per sottoscrivere le sue stesse azioni, il capitale diventa qualcosa di simile al credito. Dunque non è più capitale. Il giochino, in maniera artificiosa, aumentava sia gli impieghi sia il patrimonio. C’è poi anche un risvolto umano della vicenda: molti clienti si sono sentiti sotto ricatto, quasi obbligati a sottoscrivere azioni pur di avere la loro fetta di finanziamento. E ora si trovano a contare le perdite. Dulcis in fundo, dopo tutto questo c’è stata anche la beffa: per mesi le azioni della Popolare di Vicenza sono state impossibili da vendere. Sono rimaste bloccate. E già nell’assemblea dei soci di maggio, che si è trovata a ratificare la loro svalutazione, montava la protesta dei piccoli risparmiatori. Come quella della signora Oliviero: «Dall’aprile 2014 - si legge nel verbale dell’assise - non ho avuto accesso alle mie azioni e ora le trovo svalutate». O come quella del signor De Matteis: «È dall’ottobre del 2013 che cerco di vendere le mie azioni». O come quella del signor Bertollo, che sperando di poter vendere le azioni ha impegnato il ricavato in un immobile per la figlia. A maggio si chiedeva: «E ora cosa succede?». Oggi la stessa domanda se la pongono in tanti. [email protected]© RIPRODUZIONE RISERVATA Morya Longo

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IL SOLE 24 ORE mercoledì 23 settembre 2015

Mediobanca, il consiglio approva la nuova governance

Mediobanca chiude il cantiere governance e completa il percorso di trasformazione avviato con il piano industriale 2014-2016. Ieri il consiglio di amministrazione ha messo il sigillo alle modifiche al governo societario che, come ha commentato il consigliere Tarak Ben Ammar, lasciano «tutti soddisfatti». Gli aggiustamenti si inquadrano nella naturale evoluzione del business plan che ha portato Piazzetta Cuccia a valorizzare il portafoglio partecipazioni e a concentrarsi sul business bancario. Continua pagina 37 Laura Galvagni

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Continua da pagina 33 Rifocalizzazione che ha portato i ricavi della banca, nel bilancio chiuso a giugno scorso, per la prima volta sopra i 2 miliardi di euro. Ed è proprio all’interno di questa dinamica, dunque, che va letta la riforma della governance che prevede tra le altre cose la riduzione del numero dei consiglieri. Al momento, da statuto, il board può essere composto da 23 membri, oggi il cda conta 18 rappresentanti ma in futuro potranno essere da un minimo di 9 fino a un massimo di 15. In ragione di ciò, calerà anche il numero dei manager presenti in consiglio che passeranno da cinque a tre. In quest’ottica, va ricordato che le modifiche, che passeranno al vaglio dell’assemblea dei soci di fine ottobre, diventeranno effettive a ottobre 2017, quando sarà rinnovato il board. Stabilire ora chi dei manager resterà nel cda potrebbe quindi risultare complesso anche se appare probabile, salvo imprevisti stravolgimenti della prima linea, che rimarranno il ceo Alberto Nagel, il presidente Renato Pagliaro e il direttore generale Francesco Saverio Vinci. Diversamente, l’altra modifica prevista e che recepisce la direttiva europea CRD 4, dispone che il presidente non abbia un ruolo esecutivo. Ecco perché, è probabile che già a valle dell’assise dei soci il presidente Pagliaro lasci il comitato esecutivo la cui presidenza verrà assunta da Nagel. Ultimo tassello della riforma è che i rappresentati della lista minoranza nel board saliranno da uno a due. D’altra parte, anche la presenza degli investitori istituzionali è aumentata sensibilmente nell’ultimo anno, basti pensare che rappresentano il 40% del capitale contro il 25% di dodici mesi fa. In contemporanea, si va definendo anche la nuova forma del patto di sindacato, già reso più snello dalla riforma che ha eliminato i gruppi. Il termine per le eventuali disdette è fissato al 30 settembre e ci si attende solo qualche limatura che spinga il capitale rappresentato attorno al 30% dall’attuale 31,8% (la soglia minima per la decadenza è fissata al 25%). Unicredit (8,66%) e Mediolanum (3,38%) hanno già confermato l’intenzione di restare e pure Alberto Pecci (0,47%) ha assicurato che rimarrà. Tra i principali candidati all’uscita, invece, c’è la Italmobiliare dei Pesenti, che aveva già svincolato parte della quota e che ora potrebbe liberare anche il restante 1,57%. © RIPRODUZIONE RISERVATA Laura Galvagni

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IL SOLE 24 ORE mercoledì 23 settembre 2015

La sconfitta delle banche sul Credito sportivo

I soci privati del Credito Sportivo, alcune tra le principali banche italiane quali UniCredit, Intesa Sanpaolo, Mps, Bnl, e le Assicurazioni Generali, hanno perso la battaglia davanti al Consiglio di Stato. I giudici della quarta sezione in una sentenza appena depositata e consultata da Radiocor scrivono che da parte dei soci privati c’è stato un «ingiustificato arricchimento» a seguito della distribuzione degli utili dal 2005 al 2010 che ha fruttato loro 80 milioni di dividendi. La distribuzione degli utili era basata su un nuovo statuto, varato nel 2005, che aveva però stravolto la natura pubblicistica della banca. Il Consiglio di Stato, quindi, promuove, dopo il Tar qualche mese fa, la linea adottata nel 2013 dai Commissari straordinari della banca pubblica, Paolo D’Alessio e Marcello Clarich (poi dimessosi dall’incarico), che annullarono le delibere sulla distribuzione degli utili dopo un provvedimento ministeriale che cancello' nel 2013 lo statuto del 2005. Il Credito Sportivo e' commissariato dal gennaio 2012, un record per le banche italiane. (R.Fi.)

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IL SOLE 24 ORE mercoledì 23 settembre 2015

Prelios, presentate le liste per il nuovo Cda

Parte il riassetto manageriale di Prelios. E anche per il riassetto societario gli azionisti

starebbero, secondo le indiscrezioni, facendo passi avanti.

In vista dell’assemblea del prossimo 16 ottobre chiamata a rinnovare il board è infatti stata presentata una lista unica di candidati da parte di Intesa Sanpaolo, Pirelli e UniCredit, azionisti della società immobiliare milanese tramite il veicolo Fenice. Ne fanno parte il presidente Giorgio Luca Bruno, uomo di fiducia di Marco Tronchetti Provera, e l’amministratore delegato Sergio Iasi. Gli altri nomi sono Davide Mereghetti, cioè il banker di Unicredit che ha seguito tutte le ultime operazioni della galassia Pirelli, Giovanni Angelo Carlo Gilli (banchiere di Intesa

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RASSEGNA STAMPA Anno XVI - 23/09/2015

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Sanpaolo e uomo di fiducia dell’Ad Carlo Messina), Valeria Leone, Arturo Sanguinetti, Giovanni Jody Vender, Andrea Mangoni (direttore generale di Fincantieri), Anna Maria Artoni, Mirja Cartia d’Asero e Rosa Cipriotti. Nel frattempo, stanno proseguendo a grandi passi anche le altre tappe per il riassetto del gruppo immobiliare. Tra ottobre e novembre è prevista infatti la finalizzazione dello scorporo dell’attività degli investimenti da quelle legate ai servizi. Dopo mesi di negoziazioni con le banche finanziatrici l’operazione, seguita dall’advisor Lazard, sarà dunque conclusa sotto ogni aspetto. Il progetto prevede la creazione del nuovo veicolo “Centauro” a cui conferire il ramo d’azienda oltre al trasferimento di una porzione del debito complessivo per un ammontare pari a circa 174 milioni di euro. Intanto sul fronte della ricerca di nuovi investitori industriali, processo che dovrebbe avere come orizzonte temporale tra la fine dell’anno e l’inizio del prossimo, l’advisor Cmc (guidato da Carlo Calabria ed Enrico Chiapparoli), nominato dagli azionisti, starebbe sondando l’interesse di diversi soggetti industriali a valutare un investimento in Prelios. Gli incontri e le discussioni starebbero ormai andando avanti da alcune settimane e l’attenzione si sarebbe ormai focalizzata su 4 soggetti: i fondi Apollo, Fortress, Elliot e il Quantum Fund di George Soros, quest’ultimo interessato da tempo a investire nell’immobiliare italiano. Le discussioni sarebbero però in una fase molto iniziale. Così, a distanza di qualche anno, Prelios, salvata a un passo dal baratro qualche anno fa grazie all’impegno degli azionisti, delle banche e del management, in particolare dell’Ad Iasi e del vice-presidente esecutivo Massimo Caputi (dimissionario con il resto del cda), sembra pronta a un altro riassetto, che dovrebbe portare all’ingresso di un investitore di tipo industriale (estero) con le spalle abbastanza larghe da rilanciare definitivamente l’azienda. © RIPRODUZIONE RISERVATA Carlo Festa

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IL SOLE 24 ORE mercoledì 23 settembre 2015

Controlli, liti tributarie e rate-bis con Equitalia: il fisco cambia ancora - Sì finale del Governo

agli ultimi 5 decreti della delega Restano al palo le riforme del catasto e dei giochi

ROMA. Nuova chance di rateazione con Equitalia per chi è decaduto negli ultimi due anni. Niente posizioni organizzative speciali (Pos) nelle agenzie fiscali. Sono le due novità dell’ultim’ora dei decreti attuativi della riforma fiscale. Dopo quattro anni e tre Governi, taglia il traguardo la delega. Con il via libera definitivo dato ieri da Palazzo Chigi agli ultimi cinque decreti, si conclude il percorso di attuazione. Alla fine sono stati 11 i provvedimenti varati, a cominciare da quello sul 730 precompilato e le semplificazioni. Anche se fanno comunque rumore le mancate attuazioni, a partire dal nuovo catasto. Nell’ultima tornata, comunque, spiccano soprattutto le misure in materia di riscossione, sanzioni, interpello e contenzioso. Sanzioni Sanzioni ridotte sulle violazioni meno gravi e stretta sulle frodi. Mentre sul fronte amministrativo rafforzato il principio della proporzionalità della penalità rispetto alla violazione. Sono le due direttrici su cui si è mossa l’attuazione della delega e che sul fronte penale rivede le soglie di punibilità per gli omessi versamenti di Iva e ritenute e la dichiarazione infedele. Sul primo fronte non sarà più reato il mancato “pagamento” dell’Iva fino a 250mila euro (la soglia attuale è 50mila) e delle ritenute fino a 150mila (l’attuale soglia è sempre 50mila). Sul secondo versante, la soglia di punibilità sale da 50mila euro a 150mila euro di imposta evasa e il reato scatta anche quando l’imponibile evaso supera i 3 milioni di euro (prima il limite era di 2 milioni) o comunque il 10% del totale dei ricavi. Il reato sarà punito con il carcere fino a 3 anni. Le nuove misure penali entreranno in vigore da subito, ossia dopo 15 giorni dalla pubblicazione in «Gazzetta Ufficiale», mentre le sanzioni amministrative riviste e corrette saranno operative solo dal 2017. Nel complesso viene concessa al contribuente la chance di pagare di meno se correggerà errori o rimedierà a omissioni nel più breve tempo possibile. Interpelli La revisione generale degli interpelli mira soprattutto a garantire maggiore omogeneità, anche ai fini della tutela giurisdizionale al contribuente, ad assicurare una maggiore tempestività nella redazione dei pareri e a procedere all’eliminazione delle forme di interpello obbligatorio nei casi in cui non producano benefìci ma solo aggravi e adempimenti per i contribuenti e per l’amministrazione. Il decreto prevede quindi quattro tipologie di interpello che sono: ordinario, probatorio,antiabuso e disapplicativo.

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RASSEGNA STAMPA Anno XVI - 23/09/2015

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Contenzioso Tra le novità principali l’estensione della mediazione a tutti gli enti impositori, comuni inclusi, per le liti fino a 20mila euro di valore. Inoltre le controversie di valore indeterminabile non sono reclamabili, ad eccezione di alcune controversie in materia catastale. Viene rilanciata anche la conciliazione giudiziale, che diventa a due vie (fuori e all’interno dell’udienza) e sarà possibile anche in secondo grado. Le sentenze di condanna in favore del contribuente da giugno 2016 sono immediatamente esecutive e il pagamento può essere subordinato dal giudice alla prestazione di garanzia oltre i 10mila euro. Riscossione Tra le novità apportate nelle ultimo passaggio in Consiglio dei ministri nel decreto sulla riscossione, è stata introdotta la possibilità di accedere a un’ulteriore rateizzazione con Equitalia ai soggetti che non sono stati in grado di completare il pagamento di piani precedenti di dilazione. Le somme non ancora versate, oggetto di piani da cui i contribuenti siano decaduti nei 24 mesi prima dell’entrata in vigore del decreto, possono essere oggetto di un nuovo piano fino a un massimo di 72 rate mensili. La richiesta dovrà essere presentata entro 30 giorni dall’entrata in vigore del decreto delegato. Dal piano di rateazione si decade saltando due rate. Il decreto riscrive le regole sull’aggio, ossia sul compenso che Equitalia e gli altri concessionari della riscossione incassano per l’attività di recupero crediti. Con l’ultimo passaggio in Parlamento viene rimodulata la riduzione dell’aggio prevedendo che se il debitore riceve la cartella di pagamento e paga le somme iscritte a ruolo entro 60 giorni dalla data di ricezione, paga l’1% in caso di riscossione spontanea (contributi di iscrizione agli ordini eccetera). Che diventa il 3% in tutti gli altri casi di riscossione, oltre alle spese di notifica della cartella. Oltre i sessanta giorni dalla notifica della cartella, l’onere a suo carico cresce al 6% (fino al 31 dicembre prossimo resterà l’attuale 8%) delle somme iscritte a ruolo e degli interessi di mora (maturati in favore dell’ente creditore) riscossi. Agenzie fiscali Non è entrata la norma per la creazione dei «semi-dirigenti», ossia le posizioni organizzative speciali (pos), come richiesto dalle commissioni di Camera e Senato. Nel complesso il decreto prevede il riordino della struttura della agenzie fiscali in funzione del contenimento delle spese di funzionamento e il conseguente riassetto dei servizi di assistenza, consulenza e controllo. Evasione e bonus Un rapporto programmatico per ridurre o riformare le spese fiscali ingiustificate, superate dalla nuova situazione sociale ed economica, ovvero le spese fiscali che risultino avere le medesime finalità di programmi di spesa esistenti. Il Governo dovrà predisporre un programma annuale di riordino delle spese fiscali da attuare con la manovra di finanza pubblica. In particolare l’Esecutivo dovrà verificare le agevolazioni fiscali ogni cinque anni dalla loro introduzione prevedendo la cancellazione, la possibile modifica o la conferma. Anche sull’evasione bisognerà presentare con i documenti di finanza pubblica un monitoraggio annuale per quantificare i recuperi da destinare al fondo «taglia-tasse». I grandi assenti Fin qui i decreti approvati. La riforma del catasto e quella dei giochi, invece, sono i “grandi assenti” della delega fiscale. All’appello manca anche la tassazione del reddito dell’imprenditore (Iri) e la riscrittura dei regimi fiscali semplificati. Annunciata come la vera riforma del sistema fiscale per riportare equità nella tassazione sul mattone, il Governo ha rinunciato al nuovo catasto (atteso da 40 anni, senza contare che l’ultima revisione degli estimi catastale risale al lontano 1989). Si è scelto di non rischiare un caro-tasse sulla casa in assenza della local tax: imposta destinata a restare anch’essa un’incompiuta dato che il premier punta a tagliare Imu e Tasi sull’abitazione principale. Resta il paradosso che tra gli 11 decreti legislativi approvati ci sia quello sulle commissioni censuarie. © RIPRODUZIONE RISERVATA Marco Mobili e Giovanni Parente

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RASSEGNA STAMPA Anno XVI - 23/09/2015

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IL SOLE 24 ORE mercoledì 23 settembre 2015

Pensione anticipata, soglia a 63 anni - Nella legge di Stabilità prime norme mirate ad alcune

categorie o il prestito previdenziale

ROMA. Possibilità di pensionamento anticipato a 63 anni, e almeno 35 o 30 anni di contributi, con penalizzazioni del 3-4% fino a un massimo del 10-12% per il periodo mancante al raggiungimento della soglia di vecchiaia dei 66 anni da garantire a tre specifiche categorie di lavoratori: “esodandi” al di fuori delle “salvaguardie” già scattate, disoccupati over 62 sprovvisti di ammortizzatori sociali e donne, magari dando la priorità a quelle con figli. Sono queste le coordinate di riferimento su cui si starebbero muovendo i tecnici del Governo per confezionare un’ipotesi mirata di flessibilità in uscita per le pensioni, modellata su una sorta di restyling della cosiddetta “opzione donna”, da inserire nelle legge di stabilità insieme a un meccanismo altrettanto mirato di flessibilità contributiva. Che avrebbe la finalità di consentire al datore di lavoro di versare contributi al lavoratore anche una volta cessato il rapporto. Il tutto anche con l’obiettivo di favorire le staffette generazionali. Ma al momento non è affatto scontato che tutto il dispositivo della flessibilità entri nella prossima manovra. Il Governo sta infatti valutando con attenzione la possibilità di convogliare nella stabilità solo le misure su “esodandi” e donne, o in alternativa semplicemente quelle sul cosiddetto prestito previdenziale (costo quasi zero), e ricorrere a un disegno di legge collegato per far scattare con tempi più lunghi e margini più ampi per le coperture un intervento organico in chiave di flessibilità pensionistica. Ad affermare che è prematuro dire che la flessibilità in uscita sarà nella “stabilità” è stato il sottosegretario alla Presidenza, Claudio De Vincenti, intervenendo a Sky Tg Economia. «È un tema al quale stiamo lavorando e ragionando» ha detto De Vincenti sottolineando che il Governo vuole «evitare che il costo abbia un impatto sulla finanza pubblica» e che per qualsiasi intervento sulla flessibilità «deve esserci corrispondenza tra la flessibilità e contributi versati». Per tutta la giornata di ieri i tecnici hanno continuato a lavorare alle varie opzioni sul tappeto. Il principale nodo da sciogliere resta quello delle scarse risorse disponibili: allo stato attuale oscillerebbero tra gli 800 milioni e il miliardo, non di più. Anche per questo motivo si sta valutando con attenzione l’ipotesi di ricorrere a un disegno di legge collegato. Una soluzione, quest’ultima, suggerita anche dal presidente della commissione Lavoro del Senato, Maurizio Sacconi (Ap). «Valuti il Governo se regolare attraverso una legge delega collegata alla legge di stabilità un primo ma significativo inserimento di regole flessibili nel vigente sistema previdenziale, il più rigido del mondo», afferma Sacconi. Che, anche per quel che riguarda i versamenti dei contributi e non solo le prestazioni», propone il modello tedesco. A insistere sull’immediato decollo delle flessibilità in uscita per tutti i lavoratori con penalizzazioni massime del 2% l’anno (per un totale dell’8% per quattro anni di anticipo), «perché non produce costi e nel medio-lungo periodo genera risparmi», è invece il presidente della commissione Lavoro della Camera, Cesare Damiano (Pd). Ma dalla stessa maggioranza arriva uno stop immediato con il sottosegretario all’Economia, e leader di Scelta civica, Enrico Zanetti: «Smontare la riforma Fornero introducendo una flessibilità generalizzata in uscita sarebbe un atto suicida». Zanetti è comunque favorevole a interventi specifici per «chi è senza lavoro e senza pensione», a partire dai disoccupati over 63. Nello stesso Pd c’è chi come Carlo Dell’Aringa considera prioritario intervenire per abbassare lo “scalino” delle donne e far scattare il “prestito previdenziale”. A schierarsi contro il ricorso a penalizzazioni per le uscite anticipate sono Cgil, Cisl e Uil che chiedono all’Esecutivo una risposta immediata sulla flessibilità. Intanto il Governo sta lavorando anche per affinare il pacchetto di interventi per contrastare la povertà. L’ipotesi che sta prendendo corpo è quella di rendere operativo su tutto il territorio nazionale lo strumento dello Sia, il Sostegno per l’inclusione attiva fin qui sperimentato in 12 città del Mezzogiorno. L’intervento potrebbe avere però una nuova configurazione rispetto a quella attuale andando a sostenere maggiormente i nuclei sotto la fascia di povertà (è già previsto il collegamento con l’Isee) in cui sono presenti figli minori. © RIPRODUZIONE RISERVATA Marco Rogari

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RASSEGNA STAMPA Anno XVI - 23/09/2015

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IL SOLE 24 ORE mercoledì 23 settembre 2015

Cig più «cara» per chi la usa - Spazio al contributo addizionale unificato e crescente nel tempo

Con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, prevista per oggi, del r decreto legislativo cambiano alcune regole per gli ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro. La contribuzione ordinaria per la Cigo subirà una revisione al ribasso: per contro, però, si pagherà anche per l’apprendistato professionalizzante. Per questi, l’aliquota dovuta è sempre quella degli operai. Per la Cigs, nessuna variazione nelle misure della contribuzione, salvo l’applicazione dell’aliquota anche agli apprendisti professionalizzanti occupati presso aziende destinatarie della sola integrazione salariale straordinaria e non anche della Cigo (per esempio imprese commerciali con oltre 50 addetti). Cambia il contributo addizionale che viene unificato ed è maggiore per chi usa di più lo strumento, inoltre il contributo non si versa più sull’integrazione salariale anticipata e conguagliata ma sulla retribuzione persa dal lavoratore. Si ritiene che, nel rispetto del regime transitorio, la contribuzione aggiuntiva (nella nuova formula) si applichi alla Cig richiesta a decorrere dal giorno successivo alla pubblicazione del decreto (quindi dovrebbe essere da domani). Modificati i termini di presentazione delle domande: quelle di Cigo vanno presentate entro 15 giorni dall’inizio della sospensione o riduzione dell’attività lavorativa; quelle riferite alla Cigs vanno, invece, trasmesse entro 7 giorni dalla data di conclusione della procedura di consultazione sindacale o dalla data di stipula dell’accordo collettivo aziendale relativo al ricorso all’intervento. Cambiano anche la durata della cassa e l’anzianità utile per richiederla. Sul primo punto, per ciascuna unità produttiva, la somma dei trattamenti ordinari e straordinari di integrazione salariale autorizzati non può superare la durata massima complessiva di 24 mesi in un quinquennio mobile. I periodi di Cigs connessi a contratti di solidarietà, entro il limite di 24 mesi, contano per la metà. Riguardo all’anzianità (90 giorni alla data di presentazione della domanda), conta quella di effettivo lavoro; il riferimento è quindi alle giornate di reale presenza, a prescindere dalla loro durata delle stesse, salvo che il trattamento di cassa richiesto riguardi eventi oggettivamente non evitabili nel settore industriale. Novità per i contratti di solidarietà accompagnanti da Cigs, che perdono la loro autonomia normativa per diventare una causale di intervento di integrazione salariale straordinario. I relativi trattamenti, inoltre, se da un lato potranno attestarsi sull’80% della retribuzione, dall’altra saranno soggetti ai massimali di legge. Anche le aziende subiranno conseguenze in quanto saranno tenute al versamento del contributo addizionale finora non dovuto. Invece i Cds di tipo b (quelli senza cassa), andranno a breve in soffitta (30 giugno 2016), per essere sostituiti dal nuovo assegno di solidarietà. © RIPRODUZIONE RISERVATA Antonino Cannioto e Giuseppe Maccarone

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IL SOLE 24 ORE mercoledì 23 settembre 2015

Strumenti di lavoro assegnabili senza accordo preventivo

La nuova disciplina dei controlli a distanza dei lavoratori - introdotta dal Jobs act e ormai prossima all’entrata in vigore - porta gli operatori a chiedersi cosa cambia nelle prassi gestionali e applicative seguite in azienda. La risposta è articolata, perché la riforma impatta in maniera diversa nelle varie situazioni che possono presentarsi. Nessun cambiamento riguarda l’installazione degli strumenti dotati di una capacità, anche solo potenziale, al controllo a distanza dei lavoratori. In questi casi sarà possibile - come già in passato - procedere all’installazione degli apparecchi, ma solo tramite la stipula di un accordo collettivo con le rappresentanze aziendali (oppure con i sindacati nazionali, per le imprese dislocate in province o regioni differenti). In mancanza di accordo sindacale, l’impresa potrà chiedere l’autorizzazione alla direzione territoriale del Lavoro (oppure al ministero, per le aziende multilocalizzate). In entrambi i casi l’autorizzazione serve per verificare le finalità di utilizzo degli strumenti che consentono il controllo indiretto, che possono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale.

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Diversa - e più innovativa - la disciplina degli strumenti utilizzati dal lavoratore per «rendere la prestazione lavorativa» (così recita testualmente il nuovo articolo 4 della legge 300/1970). Per questi dispositivi la legge non prevede alcuna autorizzazione, a prescindere dal fatto che consentano un controllo indiretto della prestazione. Pertanto, se l’azienda consegna uno smartphone dotato di localizzatore satellitare, e se tale apparecchio serve al dipendente per svolgere l’attività (perché, ad esempio, ne ha bisogno per ricevere indicazioni stradali), risulta superflua l’autorizzazione sindacale o amministrativa. Questa interpretazione non è unanime: secondo alcuni l’autorizzazione sarebbe sempre necessaria qualora gli strumenti, pur essendo utilizzati per la prestazione lavorativa, abbiano la possibilità di effettuare controlli indiretti. Tale lettura annullerebbe del tutto la portata innovativa della norma, che invece sembra eliminare con chiarezza la procedura di autorizzazione per gli strumenti di lavoro, a prescindere dal controllo indiretto che possono comportare. La nuova norma, inoltre, stabilisce che le informazioni raccolte con gli strumenti di controllo a distanza sono utilizzabili anche a fini disciplinari, a condizione che sia stata data, in via preventiva, l’informativa al lavoratore (disciplinata dal codice privacy) circa le modalità con cui gli strumenti stessi funzionano e circa i controlli che questi consentono di eseguire. Pertanto, una società che installa sui pc dei dipendenti un software che consente il controllo a distanza, seguendo le procedure di legge per la sua installazione - quindi, chiedendo l'autorizzazione, ove necessaria, e dando l'informativa preventiva - potrà utilizzare le informazioni raccolte successivamente con tale software per eventuali procedure disciplinari. La raccolta delle informazioni, tuttavia, non potrà essere indiscriminata, ma dovrà seguire i criteri già definiti (e rimasti immutati) dal Garante in tema di controlli: dovranno, quindi, essere rispettati i canoni della pertinenza, correttezza, non eccedenza del trattamento e divieto di profilazione, per evitare forme sorveglianza massiva e totale del lavoratore. © RIPRODUZIONE RISERVATA Giampiero Falasca

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IL SOLE 24 ORE mercoledì 23 settembre 2015

Banche, Draghi boccia Schaeuble - La Bce vuole stoppare il tentativo di Berlino di sfuggire

all'armonizzazione dell'Unione bancaria su risk management, governance e piani di

risoluzione. Francoforte agirà comunque in modo indipendente

di Francesco Ninfole La Bce ha bocciato la legge tedesca sulla risoluzione delle crisi bancarie poiché comprometterebbe l'uniformità delle regole tra Paesi all'interno dell'Unione bancaria. «Gli Stati membri devono evitare di porre ostacoli sia a prassi di supervisione uniformi sia all'esercizio della discrezionalità di vigilanza da parte della Bce nell'ambito del Ssm», ha scritto l'Eurotower in un parere firmato da Mario Draghi. Il presidente della banca centrale ha poi avvertito: «In considerazione del principio di supremazia del diritto dell'Unione e dello status della Bce come istituzione indipendente, la Bce non sarà vincolata da alcun regolamento governativo o da misure analoghe che possano pregiudicare la sua indipendenza o il buon funzionamento del Ssm, per il quale la Bce è responsabile». Con questa posizione ufficiale la Bce vuole frenare sul nascere il tentativo della Germania (ma altri Paesi potrebbero seguire l'esempio) di creare una zona grigia nella quale la supervisione europea sulle banche sia minata da poteri e norme nazionali. Nella bozza di legge in fase di approvazione il governo tedesco ha delegato al ministero delle Finanze guidato da Wolfgang Schaeuble la facoltà di definire regole in materia di governance, risk management e piani di recupero degli istituti di credito. Queste norme sostituirebbero le esistenti linee guida amministrative dell'autorità di supervisione finanziaria federale tedesca, ma violerebbero lo status della Bce, che dal 4 novembre è responsabile della vigilanza sulle banche europee. In alcuni ambiti la banca centrale sarebbe privata di poteri rilevanti, per esempio nella capacità di sanzionare gli istituti. Sarebbe limitata anche l'armonizzazione regolamentare dell'Eba (che ieri ha pubblicato un documento sulle definizioni di default). La Bce ha riconosciuto che le direttive europee lasciano alcuni spazi di adeguamento per gli Stati, ma questi «devono essere in linea con gli obiettivi dell'Unione bancaria», con «piena

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considerazione dell'unità e integrità del mercato interno nell'ottica di prevenire arbitraggi regolamentari». Al contrario, le leggi nazionali, come quella proposta dal governo tedesco, avrebbero costi per il Meccanismo di supervisione unico e anche per le banche, che dovrebbero applicare differenti discipline in diversi Paesi. Di conseguenza normative nazionali «avrebbero un impatto sul campo di gioco livellato» che la Bce vuole assicurare alle banche: «La definizione di condizioni uniformi di concorrenza potrebbe essere ostacolata in modo significativo». Già Julie Dickson, membro del board di vigilanza della Bce, aveva criticato la bozza di legge tedesca (si veda MF-Milano Finanza del 2 settembre). Ora le perplessità Bce sono diventate un'opinione ufficiale, che non potrà essere ignorata da Berlino. In caso contrario la Germania manderebbe un pessimo segnale per il futuro dell'Unione bancaria. Dopo tanti altolà giuridici dalla Germania, ora la Bce (che è al lavoro per rimuovere le discrezionalità nazionali nelle regole bancarie) ha posto di fatto un veto al governo tedesco. Non è la prima volta che le opinioni di Draghi e Schaeuble divergono in modo netto: è già avvenuto per la crisi greca e, prima ancora, proprio nella fase preparatoria dell'Unione bancaria. Il tentativo della Germania di sfuggire all'armonizzazione delle norme bancarie potrebbe essere il prossimo terreno di scontro. (riproduzione riservata)

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IL SOLE 24 ORE mercoledì 23 settembre 2015

La bad bank slitta al prossimo anno

di Antonio Satta Nessuno lo dice ufficialmente ma il braccio di ferro con l'Europa per ottenere il via libera a una garanzia di Stato sulla vendita dei crediti deteriorati da parte delle banche sembra essere arrivato a un punto morto. Il nodo che sembra impossibile sciogliere è l'individuazione del prezzo di mercato al quale concedere la garanzia (una questione, quella della cessione a valori di mercato, sulla quale Bruxelles non vuole fare sconti). Anche in Spagna, infatti, una delle condizioni per il disco verde alla bad bank è stata la cessione dei crediti a valore di mercato, ma lì si trattava quasi esclusivamente di sofferenze da mutui immobiliari; in Italia, invece, lo stock di non performing loan in pancia alle banche è molto più eterogeneo, coinvolgendo non solo i mutui delle famiglie o i prestiti ai costruttori, ma anche il credito al consumo, le linee di credito delle imprese e così via, trovare un valore medio è quindi molto più complicato. Al di là di questi aspetti tecnici, però, la questione di fondo è che un prezzo di mercato fissato a livelli troppo alti può ostacolare lo sviluppo del mercato dei npl. Non è un caso che fin dal maggio scorso, quando forse pensava che l'intesa con Bruxelles fosse più vicina, il ministro dell'Economia, Piercarlo Padoan, spiegava: «Si tratta di creare un mercato che oggi non c'è, di capire quale sarebbe il prezzo di mercato di questi crediti e a quel punto chiamare le parti interessate, banche venditrici e investitori interessati all'acquisto, e chiedere loro se a quel prezzo avrebbero intenzione di scambiarli». E dopo questa sintesi aggiungeva: «Stiamo parlando di 15 centesimi di valore facciale di un credito che valeva 100. È un prezzo che rappresenta la media delle cifre di cui si parla». A quanto pare, però, su quella media si discute ancora, ecco perché, sebbene il capitolo non sia stato del tutto archiviato, il confronto si sta concentrando soprattutto su come dovrebbe essere costituito il veicolo della bad bank all'italiana. La discussione riguarda soprattutto il ruolo che potrebbe avere Cassa Depositi e Prestiti nella proprietà del veicolo stesso. Bruxelles non vede affatto di buon occhio che Cdp possa essere il promotore del veicolo stesso, ma non chiude le porta ad un suo possibile ingresso nel capitale, a patto che a fare la parte del leone siano altre banche private. La trattativa, quindi, va avanti con cautela e si discute anche di come dovrebbero essere costituiti gli Abs da cedere alla bad bank e tutto fa pensare che la partenza effettiva del nuovo strumento possa essere rimandata al prossimo anno. Il ministro Padoan, che ieri è stato nella capitale belga, per incontrare il vicepresidente della Commissione Ue, Valdis Dombrowski, sulla questione non si pronuncia, limitandosi a dire in un tweet che l'incontro è stato «positivo» e che è stato incentrato soprattutto «sull'avanzamento delle riforme in Italia e sulla nostra politica economica», prima di recarsi all'Europarlamento per un'audizione sulla lotta all'evasione fiscale nell'Unione. Fonti ministeriali aggiungono però che il confronto prosegue in uno spirito costruttivo. (riproduzione riservata)

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Blitz Gdf, indagati Zonin e Sorato - Nel registro i nomi di altre sei persone. Nel mirino dei pm

la valutazione dei titoli e le modalità degli acquisti. L'inchiesta partita dagli esposti degli

azionisti. La banca: piena collaborazione

di Luca Gualtieri Un'altra banca popolare finisce nel mirino della magistratura. Ieri i finanzieri del Nucleo speciale di polizia valutaria hanno bussato alla Banca Popolare di Vicenza per acquisire un'abbondante quantità di documenti. L'operazione è stata disposta dalla Procura del capoluogo berico che, in un'inchiesta coordinata dal pm Luigi Salvadori, ipotizza i reati di aggiotaggio e ostacolo alle funzioni di vigilanza per alcuni esponenti di vertice dell'istituto. Per reati commessi fino al dicembre 2014 sono stati iscritti al registro degli indagati il presidente Giovanni Zonin (difeso dall'avvocato vicentino Enrico Ambrosetti) e l'ex direttore generale Samuele Sorato (assistito dall'avvocato padovano Fabio Pinelli) che ha lasciato l'incarico nel maggio scorso, mentre non si conosce ancora l'identità degli altri sei indagati. L'inchiesta intende fare chiarezza sull'attività della banca alla luce delle decine di esposti presentati nelle ultime settimane dai soci (altro articolo), come confermato ieri dal procuratore capo di Vicenza, Antonino Cappelleri: «Stiamo lavorando per individuare quanto da contestare, sulla base delle decine e decine di esposti di risparmiatori che si sentono truffati». Secondo quanto si apprende, in questa fase iniziale l'inchiesta si starebbe concentrando sulla valutazione delle azioni di Bpvi e sulle pratiche di acquisto da parte dei soci. In primo luogo la magistratura intende accertare se le valutazioni espresse negli ultimi anni dal consiglio di amministrazione della banca e approvate dall'assemblea siano state realistiche, soprattutto alla luce della drastica svalutazione decisa a maggio di quest'anno. Altro aspetto sotto la lente dei pm è la modalità di acquisto dei pacchetti azionari da parte dei clienti. Già in primavera la Bce ha costretto la banca a scomputare dal patrimonio primario il capitale innalzato finanziando i clienti, pari a 975 milioni. Anche se generalmente le popolari possono aggirare l'articolo 2358 del codice civile (divieto di accordare prestiti o fornire garanzie per l'acquisto delle proprie azioni), la magistratura vorrà far luce sulle modalità di finanziamento e sulla profilatura dei clienti. Per parte sua la banca ha dichiarato «piena collaborazione da parte della dirigenza e del personale» ai Nuclei di Polizia Giudiziaria della Guardia di Finanza che hanno svolto perquisizioni. Nel pomeriggio i vertici dell'istituto sono stati impegnati in una riunione del comitato esecutivo presieduta dal consigliere delegato e direttore generale Francesco Iorio. Nel frattempo si apprende che nei giorni scorsi Zonin si sarebbe dimesso dal comitato esecutivo dell'Abi. (riproduzione riservata)

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Dall'ispezione del 2001 alle svalutazioni del 2015: gli esposti dei soci

di Luca Gualtieri La questione del prezzo delle azioni non è nuova a Vicenza, se è vero che la stessa Banca d'Italia la metteva nero su bianco già in un documento ufficiale datato luglio 2001: «Le modalità di determinazione annuale da parte del consiglio del prezzo di emissione e di rimborso delle azioni sociali (...) non sono ispirate a criteri di oggettività, ma esprimono il risultato di un compromesso di valutazioni dei singoli consiglieri, discoste dai conteggi della direzione amministrativa, che già inglobano nel valore prospettato, in aggiunta al patrimonio netto, componenti addizionali in parte stimate». Il documento in questione è un verbale ispettivo stilato dalla Vigilanza nell'estate del 2011 dopo una scrupolosa ispezione condotta dai professionisti Nicola Stabile, Ciro Carrino, Vincenzo Lacroce, Giancarlo Serafini, Lucio Menestrina e Giacomo de Luce. Alla pagina 27 del testo si parla inoltre di una sorta di politica del consenso costruita attorno alla crescita del valore delle azioni, strategia che avrebbe «conseguito lo scopo desiderato, tenuto conto dell'elevato numero di richieste di sottoscrizione in sospeso». Qualche pagina dopo si fa invece riferimento alle dinamiche all'interno del board: «Fatta eccezione per l'avvocato Gianfranco Rigon, vicepresidente fino al 1999, che interviene con frequenza nel dibattito e che ha votato contro alcune scelte compiute negli ultimi anni, non emerge nelle verbalizzazioni

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l'esistenza di una reale dialettica all'interno del consesso, caratterizzato altresì da uno scarso ricambio». Il verbale è citato in uno degli esposti presentati negli ultimi mesi dai soci scontenti della Bpvi (molti dei quali sono stati assistiti dall'avvocato Renato Bertelle), che sono all'origine dell'inchiesta della Procura di Vicenza. Come il pm Luigi Salvadori, titolare del fascicolo, anche le denunce degli azionisti fanno riferimento all'ipotesi di reato di aggiotaggio in riferimento alla sovrastima del prezzo delle azioni della banca. Il verbale di Bankitalia sarebbe infatti la dimostrazione che «l'inesatta valutazione delle azioni risaliva al 2001», spiega una denuncia, e che di fatto «permase sino al maggio del 2015», quando l'assemblea della banca votò una svalutazione dei titoli da 62,5 a 48 euro che portò il rapporto capitalizzazione-patrimonio a 1,2. Alcuni esposti ipotizzano anche il reato di false comunicazioni sociali (non previsto dalla Procura) in relazione alla valorizzazione degli avviamenti, alla classificazione in bonis di crediti deteriorati e alle rilevanti rettifiche imposte dalla Bce «finalizzate a far approvare bilanci migliorativi», spiega una denuncia. Oltre alla sovrastima delle azioni c'è poi l'altro versante dell'inchiesta, quello cioè relativo all'acquisto dei titoli tramite finanziamenti della banca. Qui la battaglia legale andrà probabilmente condotta in punta di diritto perché la questione non è semplice, come è emerso anche nella recente inchiesta su Veneto Banca. I legali degli indagati potrebbero chiamare in causa lo statuto sociale della Popolare di Vicenza, che all'articolo 20, comma 3 recita: «Le azioni sono in ogni caso, per patto sociale, soggette, fino dalla loro emissione, a vincolo e privilegio in favore della società a garanzia di ogni credito, diretto o indiretto, anche se illiquido, che la società abbia a vantare a qualsivoglia titolo nei confronti del socio». In sostanza, l'accoppiata credito-azioni potrebbe essere presentata non come un illecito scambio di favori, ma come una garanzia prevista dallo spirito mutualistico dello statuto. Va detto che questa clausola non è un unicum di Vicenza, ma compare con alcune varianti negli statuti di numerose popolari, quotate e non: dalla Bper (articolo 19, comma 4) al Credito Valtellinese (articolo 17, comma 3), dal Banco Popolare (articolo 18, comma 4) a Veneto Banca (articolo 19, comma 3). (riproduzione riservata)

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Poste Vita, nuovo team per l'ipo - Con Gaffo e Bruno completato il riassetto della squadra di

vertice della compagnia assicurativa, che rappresenta un asset fondamentale del gruppo che

entro l'anno debutterà a Piazza Affari

di Anna Messia Prima linea completata. In vista dell'imminente quotazione di Poste Italiane, attesa per fine anno, la compagnia del gruppo, Poste Vita, in questi giorni ha sistemato la squadra di manager che rispondono direttamente all'amministratore delegato, Maria Bianca Farina. Poltrone importanti per la società che rappresenta un asset fondamentale per il gruppo guidato da Francesco Caio e che nel primo semestre ha continuato a registrare risultati in crescita, con premi in salita del 10,9% a 11,2 miliardi e un utile operativo che a giugno ha raggiunto i 236 milioni (+7,3%). Scegliere i manager giusti per Poste Vita ha quindi ricadute importanti per l'intero gruppo e la compagnia guidata da Farina non ha risparmiato energie nel muovere le pedine. Già prima dell'estate era stato chiamato dall'Ania Roberto Manzato, cui è stata affidata la responsabilità sia del business Vita sia di quello Danni. Nei giorni scorsi sono entrati nella compagnia altri due importanti manager. Entrambi arrivano tra l'altro dal gruppo tedesco Allianz , ma mentre uno proviene dalla controllata italiana l'altro arriva direttamente da Monaco. Secondo quanto risulta a MF-Milano Finanza il nuovo chief investment officer di Poste Italiane, in particolare, sarà Michele Gaffo, che ha lasciato lo stesso incarico in Allianz Italia dove a inizio settembre è stato prontamente sostituito, con una designazione interna, da Carsten Quitter. Un manager, quest'ultimo, che dal novembre 2011 ha ricoperto l'incarico di chief investment officer e senior vice president di Allianz Life Insurance in Nord America e prima ancora era stato chief investment manager e capo del risk management in Allianz Suisse, in Svizzera. Sempre da Allianz arriva il nuovo responsabile operation di Poste Vita, che risponderà direttamente a Maria Farina. Si tratta di Giovanni Paolo Bruno, che in Germania era a capo della linea Abs di Allianz Group. Si è completa così la prima linea, mentre qualche assestamento potrebbe arrivare nelle prossime settimane per quanto riguarda altre funzioni sottostanti, anche con possibili designazioni interne. Come è avvenuto per

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esempio a luglio con la nomina di Daniela Manuello a responsabile marketing e innovazione, chiamata da Poste Mobile, l'operatore di telefonia del gruppo. La nuova squadra dovrà affrontare sfide decisive nei prossimi mesi. Dall'arrivo della nuove regole sul capitale Solvency II, che partiranno a gennaio, ai cambiamenti e che obbligano le imprese assicurative a efficientamenti nella gestione del rischio, ai cambiamenti che sta vivendo il mercato delle polizze Vita, alle prese con tassi d'interesse che offrono rendimenti non sufficienti a far fronte agli impegni presi con gli assicurati nelle polizze con rendimenti minimi garantiti. Poste Vita, in pochi anni di attività, ha raggiunto la leadership di mercato e la sua scelta è stata puntare in particolare sui prodotti tradizionali con gestione separata, che nel primo semestre hanno registrato una raccolta di 9,3 miliardi (8,2 miliardi a giugno 201), mentre il peso delle unit e delle index, che altre compagnie hanno invece riscoperto, per loro è stato marginale. (riproduzione riservata)

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Mediobanca, ok alla governance - Scontato l'ok dei soci alle nuove regole, che saranno in

vigore dal 2017. Il cda scende a 9-15 componenti mentre i manager nel board passano da

cinque a tre. Si va verso rinnovo del patto, che sarà più leggero

di Andrea Di Biase È pronta la nuova governance di Mediobanca , che passerà ora al vaglio dei soci nell'assemblea del 28 ottobre: il consiglio di amministrazione sarà più snello, con meno manager e più rappresentanti delle minoranze. Il testo del nuovo statuto, la cui approvazione in assemblea è scontata, è stato licenziato ieri dal cda di Piazzetta Cuccia, che ha convocato i soci e dato via libera alla documentazione per l'assemblea. Il patto di sindacato va poi verso un rinnovo biennale con una quota che, secondo le attese, dovrebbe essere limata dall'attuale 31,8% al 30 circa (il limite oltre il quale il patto si scioglierebbe è il 25%). «Siamo soddisfatti del lavoro fatto, Mediobanca è fantastica; guardate i risultati e l'andamento delle azioni in un anno», ha commentato il consigliere Tarak Ben Ammar al termine della riunione del cda, durata poco più di tre ore. Non ci sono state «posizioni contrarie» in consiglio e il nuovo statuto da sottoporre all'assemblea, ha spiegato un consigliere, è stato approvato all'unanimità. Lo statuto, una volta votato dall'assemblea, entrerà in vigore nel 2017, al momento del rinnovo del consiglio di amministrazione. I cambiamenti introdotti rispondono alle indicazioni fornite lo scorso anno da Bankitalia, in recepimento della normativa europea Crd4. Nel dettaglio, il numero dei consiglieri scenderà da 18 (lo statuto oggi in vigore prevede un numero variabile compreso tra 15 e 23) a un range di 9-15. Di questi, i manager interni seduti nel bord saranno solo tre anziché gli attuali cinque. Cambierà anche il peso del presidente, che in ossequio alla normativa sulle banche non farà parte del comitato esecutivo. Alle minoranze spetteranno infine due rappresentanti (oggi ne hanno uno solo), considerato anche che ormai il 40% del capitale di Mediobanca è in mano a investitori istituzionali esteri, i quali pesano dunque più dello stesso patto di sindacato. Resteranno invariate, come previsto dalla legge, le quote rosa. Quanto al patto di sindacato, il suo rinnovo, hanno riferito fonti finanziarie al termine della riunione del cda, non è in discussione. Il termine per le eventuali disdette è fissato al 30 settembre e ci si attende solo una limatura con l'accordo che, secondo quanto riferito, dovrebbe scendere dal 31,8% a circa il 30%. Al momento non sono state comunicate disdette e il patto è convocato per il 1° ottobre. Unicredit (8,66%) e Mediolanum (3,38%) hanno già confermato l'intenzione di restare. Tra i piccoli, si è pronunciato per la conferma Alberto Pecci (0,47%), mentre tra i principali candidati all'uscita c'è l'Italmobiliare della famiglia Pesenti, che aveva già svincolato parte della quota e che, secondo indiscrezioni di stampa, potrebbe ora liberare anche il restante 1,57%. Per il resto il cda dell'istituto guidato da Alberto Nagel ha dato via libera definitivo ai conti dell'esercizio al 30 giugno 2015, chiusi con un utile netto di 590 milioni a fonte di ricavi per 2,05 miliardi. Ai soci sarà proposto un dividendo di 0,25 euro per azione, in aumento del 67%. Nello scorso esercizio l'utile netto di gruppo è cresciuto del 26,9% a 589,8 milioni grazie al positivo andamento dell'attività bancaria (utile netto a 249,2 milioni rispetto a 18,7 milioni) che ha compensato il minor contributo del principal investing (ossia le partecipazioni strategiche, gran parte delle quali ormai cedute o in corso di dismissione, compresa la quota eccedente il 10% delle Generali ), che

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hanno impattato sui conti per 335,4 milioni contro 449,3 milioni dello scorso esercizio. (riproduzione riservata)

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Le chance dei ricorsi contro la riforma delle banche popolari

Contrarian Sarebbero quattro i ricorsi finora presentati contro la cosiddetta riforma delle banche popolari: uno riguarda il conflitto di attribuzioni sollevato dalla Regione Lombardia alla Corte costituzionale sulla base della motivazione secondo cui la disciplina statuale avrebbe negato la potestà legislativa concorrente della Regione in questa materia, riconosciuta dall'art. 117 della Carta. Gli altri tre sono ricorsi al Tar del Lazio da parte di privati e associazioni evidentemente nei confronti degli atti applicativi della riforma, con lo scopo verosimile di sollevare, poi, la questione di costituzionalità della normativa. Per quel che se ne sa, un ricorso riguarderebbe anche i limiti al diritto di recesso che sono stati fissati dalla Banca d'Italia sotto la guida di Ignazio Visco. Alcuni aspetti lasciano perplessi perché, per esempio, solo in parte la riforma concerne enti creditizi di carattere locale: dunque il conflitto di attribuzioni potrebbe essere fatto valere solo per questa parte, ferme restando, tuttavia, le altre eccezioni di costituzionalità (non come conflitto di competenze) che possono essere invocate con riferimento alla ricorrenza o no del carattere di necessità e urgenza che deve essere alla base dei decreti legge (un decreto è stato l'atto che varò la revisione in questione, poi convertito in legge), o con riguardo alla conformità alle norme costituzionali sulla tutela della cooperazione ovvero sulla libertà di iniziativa economica. La eventuale limitazione dei ricorsi a casi specifici, come per il recesso, dal canto suo, rischia di conseguire un giudizio limitato solo a tale aspetto, precludendosi altri più interessanti e più produttivi profili. Comunque, come si era previsto, una rivisitazione che presta il fianco, dal punto di vista giuridico-istituzionale, a diverse critiche, adesso è arrivata al vaglio del giudice amministrativo e di quello delle leggi. Questi differenti procedimenti si intersecano con la programmazione dell'iter, da parte delle Popolari che vi sono tenute, della trasformazione in spa. La prima a provvedervi, come abbiamo ricordato in altre occasioni, è Ubi banca , che ha convocato la propria assemblea per la modifica dello statuto il 10 ottobre. Tre giorni prima potrebbe essere tenuta l'udienza, davanti al Tar del Lazio, per discutere uno dei ricorsi presentati. Il problema che si pone, già accennato nelle scorse settimane, ma adesso accentuato dalla pluralità dei ricorsi, potrebbe riguardare l'inopportunità dell'accelerazione della trasformazione, pendenti le decisioni giurisdizionali. Che cosa accadrebbe, infatti, se queste ultime dovessero essere adottate a trasformazioni avvenute e fossero negative, nel senso di bocciare in parte o in toto la legge di riforma? Tutto il lavoro compiuto sarebbe rimesso in discussione, ovviamente. In ogni caso, già dall'udienza del Tar, dal modo in cui il Tribunale risponderà alla richiesta di sospensiva contenuta nel ricorso si potranno ricavare elementi utili per il prosieguo dell'iter di trasformazione. Torna, comunque, qui la critica sulla rivisitazione voluta dal decreto con diversi aspetti criticabili nel metodo e nel merito. Diversamente impostata, la revisione avrebbe potuto prestare meno il fianco a diffuse censure. Un azzardo, innanzitutto nella scelta del veicolo legislativo, che adesso appare ancora più rilevante. Vedremo gli sviluppi. Quelli che si sono verificati finora vanno visti come in una sorta di accadde domani, puntualmente previsti, tuttavia senza trovare ascolto.

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L'Italia adesso scopre degli alleati contro il rigorismo della Vigilanza Unica europea

di Angelo De Mattia Prescindiamo dall'attribuzione, datane dalle cronache, a Fabio Panetta, vicedirettore generale di Banca d'Italia e autorevole membro del supervisory board della Vigilanza unica coesistente con la Bce, della nota sui rischi di un significativo aumento, da parte della Vigilanza stessa, delle richieste alle banche di dotazioni aggiuntive di capitale, che potrebbero sfociare in un ingiustificato irrigidimento degli obiettivi con danni per la ripresa e con la divaricazione tra le azioni di questa funzione di controllo e la politica monetaria dell'Istituto di Francoforte. Prima però è opportuno interrogarsi sulle ragioni della messa in circolazione di una nota, che sarebbe stata

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scritta da Panetta e che avrebbe dovuto rimanere riservata, avvenuta in Germania. Sta cambiando il clima anche negli altri Paesi (e dunque pure tra i sostenitori iniziali di un pervicace interventismo sul capitale delle banche) nei confronti di un rigorismo dannoso che le strutture amministrative della Vigilanza stanno interpretando con una costanza degna di miglior causa? È insomma in atto un processo di ravvedimento? È sperabile che così finalmente sia. Bene ha fatto comunque la Banca d'Italia a non rilasciare commenti sulla vicenda, tuttavia che una simile posizione sia propria di Via Nazionale è dimostrato dal fatto che essa è stata a suo tempo espressa dallo stesso governatore Ignazio Visco e poi dallo stesso Panetta in un'audizione in Senato. Se ora una linea del genere si stesse facendo strada nella Vigilanza unica, non ci sarebbe che da compiacersene e confidare nella possibilità di verificarne le ricadute per facta concludentia. È da mesi che su queste colonne segnaliamo le gravi conseguenze di un'esasperata visione accrescitiva del capitale bancario, che continua ad apparire come la leva predominante dell'Organo di controllo di Francoforte. I pochi che apprezzano la linea della Vigilanza scambiano rigorismo per rigore. Sull'ultimo numero settimanale di Milano Finanza Paolo Panerai ha messo in evidenza proprio le nette divergenze tra Vigilanza unica e manovra della moneta con le ricadute sull'operatività degli istituti e sulla loro principale funzione, cioè l'erogazione del credito a imprese e famiglie. Si sa che alcune teste d'uovo di tanto in tanto sostengono la sussistenza di potenziali conflitti di interesse tra le funzioni di banca centrale e quelle proprie della Vigilanza. La crisi globale prima e quella europea poi hanno dimostrato l'infondatezza di queste tesi mettendo in evidenza l'essenzialità di una cooperazione tra i due tipi di attribuzioni. La riconduzione, realizzata in passato, alla Banca d'Inghilterra di compiti di controllo, dopo il fallimento dell'Fsa, istituito con lo scopo di separare la politica monetaria dalle attribuzioni di Vigilanza, dimostra l'insostenibilità della linea non della distinzione dei compiti, bensì della separatezza totale, sotto il profilo istituzionale, funzionale e operativo, e dell'impossibilità di coordinare iniziative comuni. Quando si ripercorreva la storia della Vigilanza bancaria in Italia, si sottolineava come essa pour cause fosse stata alla fine pienamente conferita alla Banca d'Italia, quale appunto banca centrale. Insomma, se adesso si fa strada un certo realismo che supera alcune visioni talebane concentrate sul capitale, allora occorre cogliere l'occasione perché si promuova una manutenzione straordinaria del funzionamento della Vigilanza unica. Non si può continuare con impostazioni che evocano il caso di un risultato tecnicamente perfetto di un intervento chirurgico, ma con il solo neo della morte del paziente. Né queste tematiche in Italia debbono essere affrontate, anche in ambienti governativi, con una sorta di timore reverenziale. Se si fa la lista delle posizioni inaccettabili, tra Commissione Ue e Vigilanza, si vede che le questioni aperte non sono poche: dalla bad bank alla tematica degli aiuti di Stato, dall'istituzione di un'assicurazione europea dei depositi e dall'adeguatezza del fondo di risoluzione ai criteri e alle strategie della Vigilanza, fino all'ipotesi di introdurre una ponderazione di rischio sull'investimento in titoli pubblici. Non sarebbe saggio barattare un certo appeasement in questo campo con contropartite nel versante della flessibilità nei criteri del Fiscal compact. Se risulta esatta la sensazione che anche altri partner europei cominciano ad avere dubbi sull'adeguatezza dell'azione della Vigilanza, allora il governo deve agire nei confronti della Commissione Ue. L'accentramento della Vigilanza è stato deciso con una procedura dal debole fondamento, se riguardata alla luce del Trattato Ue, e troppo precipitosamente. Si eviti allora di accentuare gli errori con un governo della funzione che lascia moltissimo a desiderare, pur sperando che si affermino posizioni autorevoli come quella attribuita a Panetta. (riproduzione riservata)

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Sempre più centrale il collegio dei sindaci

di Marino Longoni Il sindaco o il collegio sindacale diventano sempre più i punti di riferimento dei controlli sulla gestione delle aziende. È questo l'effetto principale della pubblicazione delle norme di comportamento messe a punto dal Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e che entreranno in vigore il 30 settembre. Il documento vede la luce in un momento delicato. Perché, nonostante il 99% delle società per azioni italiane abbia optato per il collegio sindacale e solo 250 spa su 44 mila abbiano scelto l'alternativa costituita dal Comitato per il controllo sulla gestione, nelle scorse settimane si è combattuta più aspramente del solito la battaglia sotterranea volta a eliminare o ridurre molto il numero dei collegi sindacali nelle società di maggiori dimensioni, per sostituirla

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con il comitato per il controllo. L'interesse di una parte del mondo imprenditoriale è evidente: avere mani libere nella gestione aziendale e ridurre le interferenze di un organo che, essendo assoggettato a pesanti responsabilità, non è di solito disponibile a far passare comportamenti antigiuridici. Infatti, mentre il collegio sindacale è nominato dall'assemblea dei soci, il comitato è nominato all'interno dello stesso consiglio di amministrazione; il primo richiede ai suoi membri una professionalità elevata, il secondo no; i sindaci sono revocabili dall'assemblea solo per giusta causa, i secondi sulla base di un'assoluta discrezionalità dei soci. Non è un caso se una ricerca svolta dal consiglio nazionale dei dottori commercialisti ha evidenziato che tra le società dotate di collegio sindacale la probabilità di fallimento è inferiore rispetto a quelle che ne sono prive. Ma torniamo ai principi di comportamento recentemente approvati. Si tratta in realtà dell'aggiornamento e dell'integrazione delle norme approvati nel 2011 per le società non quotate. Ma il lavoro fatto dal gruppo di studio del Consiglio nazionale è stato massiccio, basti pensare che le 80 pagine di quattro anni fa sono lievitate fino a 130. Tra le nuove norme ci sono quelle previste per i controlli nelle società con socio unico, studiate appositamente per questa particolare forma societaria. Nuove anche le disposizioni che disciplinano il passaggio di consegne tra la vecchia e la nuova gestione con la chiamata in causa dei nuovi sindaci in merito alla verifica della pregressa amministrazione quando questa si palesi gravemente. Infine, le norme che tengono conto delle modifiche intervenute con le recenti riforme in materia fallimentare. Uno dei principi ispiratori sembra essere quello di orientare le verifiche sulle situazioni di rischio concreto per soci e terzi piuttosto che sulle irregolarità formali. Questo era un approccio già presente nei principi del 2011 ma ora è stato ancora più evidenziato. Interessante anche la distinzione tra la responsabilità dei sindaci e, quando presenti, dei revisori. Quando questi ultimi sono presenti, per esempio, il bilancio non è di competenza dei sindaci ma loro. Particolare attenzione viene infine riservata nelle crisi d'impresa: 11 norme di comportamento definiscono il dovere dei sindaci in queste situazioni delicate, con l'obiettivo generale di ridurre il danno ai soci o a terzi. (riproduzione riservata)

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IL SOLE 24 ORE mercoledì 23 settembre 2015

Bad bank? Ci sono anche altre soluzioni

di Stefania Peveraro C'erano 140 investitori riuniti a Venezia sabato 19 settembre al Npl meeting organizzato da Banca Ifis . Insieme assommavano un potenziale di investimento di 100 miliardi di euro. Più di quanto servirebbe per rilevare dalle banche tutte le sofferenze. Lo ha calcolato Andrea Clamer, responsabile della divisione npl della banca veneta, ospite a Npl, la trasmissione settimanale di Class Cnbc dedicata al settore, in onda ogni martedì alle 21,05 sul canale 507 di Sky. Negli ultimi anni l'attività di compravendite è stata un crescendo. Gli ultimi dati, presentati da Antonella Pagano, partner di PwC Advisory Italy, in occasione del suo intervento al convegno, mostrano che a partire dal 2012 e sino a fine giugno le banche italiane o le branch italiane di banche estere hanno ceduto crediti in sofferenza per un totale di 25,3 miliardi di euro distribuiti in 47 operazioni. Ma certo, come sappiamo, l'ammontare lordo di sofferenze a fine giugno era di 194 miliardi, e aveva già superato 197 miliardi a fine luglio. Il punto poi è che la maggior parte degli npl italiani è rappresentata da crediti unsecured (cioè non garantiti) verso imprese, il che ne rende piuttosto complessa la valutazione al momento dell'acquisto e la gestione successiva. Per contro, in Spagna la situazione era opposta, nel senso che la maggior parte degli npl era nell'immobiliare, il che ne rendeva più semplice la valutazione. Certo in Italia se anche così fosse ci sarebbe sempre il problema dei tempi di recupero dei crediti legati agli immobili dati a garanzia, visto che le procedure giudiziarie sinora sono state molto lunghe, scoraggiando l'acquisto da parte dei fondi internazionali o inducendoli a chiedere forti sconti. Tutto questo in teoria dovrebbe cambiare grazie all'impatto della nuova normativa introdotta lo scorso agosto. Ma questo è ancora da dimostrare. Secondo Richard Portes, professore di Economia alla London Business School, intervenuto al convegno di Banca Ifis , le soluzioni al problema degli npl italiani sarebbero tre. La prima soluzione sarebbe quella di costituire la famosa bad bank, ma abbiamo visto che c'è il problema degli aiuti di Stato da superare. La seconda ipotesi sarebbe quella di non pensarci più e aspettare che le pmi tornino in salute grazie alla ripresa economica. Ma, ha detto subito Portes, non ci sarà molta crescita se non ci saranno investimenti da parte delle imprese e gli investimenti non potranno esserci se

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RASSEGNA STAMPA Anno XVI - 23/09/2015

A cura di Bruno Pastorelli – [email protected]

Federazione Autonoma Bancari Italiani via Tevere, 46 00198 Roma - Dipartimento Comunicazione & Immagine

le banche non potranno finanziarli perché continueranno ad avere i loro libri carichi di crediti deteriorati. La terza soluzione, secondo Portes la più realistica, è legata a una nuova fase di consolidamento del settore bancario, con l'uscita dal mercato degli istituti «zombie», tagli di costi e aumenti di capitale, per arrivare al punto in cui le banche sopravvissute potranno vendere i loro npl. In tema di soluzioni per le banche italiane, anche il presidente della bad bank spagnola Sareb, Jaime Echegoyen, intervistato dal direttore di ClassCnbc Andrea Cabrini al convegno ha detto: «Ci vuole qualcuno che riporti efficienza e centralizzazione. Quando l'economia spagnola era disastrata, le sofferenze immobiliari sono state messe da parte, così il credito ha potuto ripartire. Quindi bisogna dividere i problemi in varie parti e risolverle una per una». E in Italia a maggior ragione. Qui i crediti immobiliari rappresentano solo una quota minoritaria del complesso dei crediti deteriorati. «La maggior parte è rappresentata da crediti nei confronti di pmi, che vanno gestiti in maniera ben diversa da quelli immobiliari», ha detto Andrea Mignanelli, ad di Cerved Credit Management Group, anche lui ospite alla trasmissione Npl, sottolineando il fatto che in questi casi vince chi, come Cerved , è in grado di accedere a un'enorme mole di dati organizzati sullo stato di salute delle aziende. (riproduzione riservata)

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IL GIORNALE DI VICENZA mercoledì 23 settembre 2015

Dagli stress test alla spa con il fiatone - Il cambio della Vigilanza, crisi e le nuove asticelle da

superare hanno imposto più aumenti di capitale - Ma l'ultimo miliardo è stato " stralciato "

dai conti

Roberta Bassan Dalla corsa per superare lo stress test e oltrepassare le asticelle imposte dalla Banca Centrale Europea, alla mazzata della riforma delle Popolari voluta dal premier Renzi con un decreto legge che obbliga alla trasformazione in spa. Il presidente della Popolare di Vicenza Gianni Zonin nell'ultimo anno lo ha ripetuto più volte: «Stiamo compiendo ogni sforzo per portare i motori della banca alla velocità necessaria nel nuovo mercato, nel nuovo mondo». Una corsa avviata due anni fa e vissuta con il fiatone. L'ESORDIO Corsa a cui i vertici della banca arrivano pieni di energia capaci di seminare a piene mani. È il 26 aprile 2014: Zonin riscalda gli animi dei soci e, mentre mette una pietra sopra alla fusione con Montebelluna («Non faremo mai un'opa ostile») annuncia che Bp ha presentato manifestazioni d'interesse per tre istituti, Etruria, Marostica e Carife: «Se siamo bravi - dice - ci prendiamo tre nuove banche». È la prima as in cui in realtà ci sarebbe da tenere alte le antenne con il primo bilancio, approvato come sempre all'unanimità che viene compilato col fucile della Bce puntato alla schiena: per la prima volta dopo come minimo trent'anni Bp chiude il 2013 con una perdita di 28,2 milioni (da un utile di 1,6 milioni del 2012), 435 milioni di accantonamenti, nessuna cedola, il valore dell'azione confermato a 62,50 euro. L'EUROPA Francoforte tallona. Bp è gruppo importante: ottava realtà bancaria italiana per numero di sportelli (700) e totale attivo (41 miliardi). Delizia e croce. Deve per forza adeguarsi a " metri " di valutazione diversi anche perché a vigilarla non sarà più la Banca d'Italia ma appunto la Bce. Per stare dentro ai canoni bisogna avere in pancia un patrimonio importante, di quelli che qualsiasi cosa accada, anche le situazioni più impensate paragonate allo tsunami in natura, la banca possa reggere. Bp annuncia un aumento di capitale che sfiora il miliardo: metà maggio 2014 parte un aumento in opzione agli azionisti e ai possessori di obbligazioni convertibili per una cifra massima che sfiora i 608 mila euro e un aumento di 300 milioni per nuovi soci. Un miliardo, appunto, che si aggiunge agli oltre 600 milioni messi a segno l'anno prima che avevano portato il famigerato Core Tier 1, l'indice che misura la solidità patrimoniale, superare il 9 %, rispettando i dettami europei. Ora con le nuove munizioni si prospetta di arrivare al 12,5 %. Troppa grazia. Tanto che Zonin e l'allora dg Sorato continuano a cavalcare il mantra della crescita straordinaria oltre che a ribadire il sostegno all'economia che la crisi e il cumulo di crediti deteriorati mettono a rischio. STRESS TEST. È il 26 ottobre 2014 quando i rintocchi di un mezzogiorno, in una domenica di fuoco, decretano le pagelle dei 130 istituti bancari europei messi sotto il torchio della Bce con gli stress test. Bp ottiene la " promozione " per un soffio grazie alle sue iniziative di patrimonializzazione, da ultimo la conversione di un prestito obbligazionale del 2013 per 253 milioni varato dal Cda il giorno precedente la diffusione delle pagelle. Bp supera l'asticella per 30 milioni. Da quel momento però tutto diventa tormentato. Il bilancio 2014 si chiude con una perdita di 758 milioni, a cui si aggiunge una svalutazione delle azioni del 23 %, a 48 euro. RIFORMA.

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Ad una situazione già complessa si aggiunge un nuovo elemento: è il 24 marzo 2015 quando il Senato approva in via definitiva il decreto legge sulle banche con la riforma delle popolari. Gli istituti con attivi sopra gli 8 miliardi, come appunto Bp sono obbligati a trasformarsi in società per azioni. Una testa un voto sarà dimenticato. «Un nuovo mondo» ri Zonin. Che vede via via rotolare una serie di certezze. Compresa la restrizione del fondo acquisto azioni: la banca non può più comprare le azioni di chi vuole vendere. Il resto è attualità: gli ispettori della Bce stralciano dal patrimonio 940 milioni con l'accusa di essere stati ottenuti attraverso l'utilizzo di finanziamenti correlati, l'ad Sorato esce di scena, inizia l'era di Francesco Iorio. La semestrale 2015 segna un miliardo di perdita. Il nuovo ad traccia la strada: subito Spa, quotazione in Borsa e contestuale aumento di capitale fino ad 1,5 miliardi per riprendere l'asticella perduta. I soci non ci stanno ? L'altro ieri Iorio ha firmato un accordo con il gruppo Unicredit, coordinatore di un pool di banche, pronto a comprare le azioni. Un nuovo mondo, davvero. ? © RIPRODUZIONE RISERVATA

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IL GIORNALE DI VICENZA mercoledì 23 settembre 2015

Montebelluna, sette mesi fa quell'inchiesta " gemellal" il 17 febbraio 2015: brusco risveglio a

Montebelluna.

Un centinaio di agenti della Gdf in borghese entrano alle 7.45 nella sede legale e nel Centro servizi di Veneto Banca. Perquisiti gli uffici, al setaccio computer e documenti. Dopo l'inchiesta su Ubi e il commissariamento della Popolare dell'Etruria nel mirino finisce anche Veneto Banca. Vincenzo Consoli, all'epoca dg ed ex ad e l'ex presidente Flavio Trinca indagati dalla procura di Roma per ostacolo alla vigilanza e aggiotaggio. Le Fiamme Gialle si presentano anche da altri 16 illustri soci e clienti della Popolare di Montebelluna, nessuno dei quali risulta indagato. Come Gianfranco Zoppas, Giuseppe Stefanel. Ivana Martino, storica socia della torinese Bim - acquisita da Veneto Banca - e moglie dell'ex ad Pietro d'Aguì L'inchiesta giudiziaria nasce da una relazione depositata in Procura da Bankitalia che, dopo una lunga ispezione nel 2013, aveva evidenziato la tendenza a concedere finanziamenti in assenza delle garanzie previste, con conseguente «scadimento della qualità del portafoglio prestiti». Un meccanismo, quello dei prestiti ai soci in cambio di azioni della banca, funzionale alla «levitazione» del patrimonio di vigilanza, rettificato per 3 milioni dopo i rilievi di Bankitalia. Quell'indagine aveva anche condotto via Nazionale a suggerire il cambio dell'intero Cda, avvenuto nell'aprile 2014 con la di pre dell'intero board, al netto di Vincenzo Consoli: l'ad viene «retrocesso» a dg con contratto biennale (2014 Consoli peraltro ha lasciato la banca lo scorso luglio. L'inchiesta aperta dalla Procura di Treviso su Veneto Banca si allarga ai componenti del Cda dell'epoca ai probiviri e al collegio sindacale. pm vogliono chiarire la posizione di chi ha partecipato all'approvazione del bilancio considerato " gonfiato Indagati il dg dell'epoca Vincenzo Consoli e l'ex presidente Flavio Trinca Inchiesta allargata al Cda

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LA VOCE info 23-9-2015

Il futuro della banca: tecnologia e rapporto col cliente

Carlo Milani 22.09.15

Il contesto in cui le banche operano è in continua evoluzione. La velocità di reazione ai cambiamenti è

fondamentale se non si vuole soccombere alla perdurante caduta di redditività e alla concorrenza degli attori

non bancari. Rapporti con la clientela e quello che si può imparare dai negozi Apple.

Cambiamenti post crisi

Con la crisi finanziaria molti dei punti cardine dell’industria bancaria hanno iniziato a modificarsi

velocemente.

Se prima della crisi il modello della banca universale, quella che fornisce servizi finanziari di svariato tipo, era

visto come l’approccio vincente, soprattutto se accompagnato con una forte crescita dimensionale, oggi questo

non è più vero.

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I recenti casi di Hsbc, Deutsche Bank e Credit Suisse, in cui il ricambio dei vertici prelude anche a drastici

cambiamenti nelle scelte di business, sono solo alcuni esempi. La sfida che le banche si trovano ad affrontare

è sostenere la redditività in calo. Rispetto al periodo pre-crisi tutte le industrie bancarie dei principali paesi

dell’area euro stentano a recuperare profittabilità (grafico 1 – si veda anche Mediobanca). In Germania e

Francia, dopo la brusca frenata all’apice della crisi (2008-2009), i profitti bancari hanno iniziato a riprendersi,

ma comunque sono mediamente pari al 50 per cento di quelli pre-crisi. Ancor peggiore è la situazione di Italia

e Spagna: entrambe hanno resistito meglio nel 2008-2009, soprattutto grazie al minor attivismo nella finanza

speculativa. Nella fase più recente, però, stante l’aggravarsi della recessione economica, le banche italiane e

quelle spagnole hanno avuto risultati economici molto negativi, appesantiti soprattutto dalle rettifiche di

valore sui crediti di bassa qualità. Più in generale, la redditività bancaria è compressa dal basso profilo dei tassi

d’interesse, con quelli di policy, manovrati dalla Banca centrale europea, praticamente pari a zero.

Le pressioni competitive esterne la concorrenza digitale

La crescente concorrenza di operatori extra-bancari sta poi facendo venir meno alcune importanti fonti di

ricavo. Paypal, società impegnata nei sistemi di pagamento elettronici, è diventata una realtà, basti pensare

che il suo valore di mercato, dal recente collocamento su Wall Street, è pari a 43 miliardi di dollari, più del

controvalore di Unicredit. Anche altri big del mondo digitale, quali Google, Alibaba e Facebook, sono sempre

più impegnati nell’offerta di servizi finanziari; così come gli altri attori tecnologici, che operano soprattutto nel

mobile, come Apple e Samsung. Ma non finisce qui, bisogna aggiungere le società che operano nelle

telecomunicazioni, quali Vodafone e Orange, e quelle della grande distribuzione, come Carrefour e Walmart.

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Infine, l’interesse per le attività bancarie continua a essere particolarmente sentito da parte di assicurazioni e

imprese impegnate nel comparto postale.

Il mondo bancario appare dunque accerchiato e se non vuole soccombere definitivamente nei prossimi anni,

diventando obsoleto come lo sono diventati i telegrafi dopo la diffusione dei telefoni, deve correre ai ripari.

Cosa può fare il sistema bancario?

In primo luogo, una maggiore attenzione dovrebbe essere dedicata agli investimenti in tecnologia

dell’informazione, e in particolare nel campo dei big data (Marsella e Milani e Cipollone e Milani). Dai dati di Abi

Lab emerge invece che i big data sono all’ultimo posto tra i primi quindici investimenti in tecnologie

dell’informazione e della comunicazione effettuati dalle banche italiane. Inoltre The European House –

Ambrosetti ha posto in evidenza come a partire dallo scoppio della crisi gli investimenti in Ict degli istituti di

credito siano diminuiti a un tasso medio annuo del 3,5 per cento. Se non si percepirà l’urgenza di aumentare

la dotazione in Ict, piuttosto che diminuirla, e allo stesso tempo investire nelle risorse umane in grado di usare

e interpretare questi strumenti, l’esito della battaglia contro giganti del calibro di Google e Facebook è

abbastanza scontato.

Altro passo che le banche dovrebbero compiere è quello di interagire di più e meglio con famiglie e imprese,

impiegando più risorse umane sui social media (Marsella e Milani) e perfezionando la formazione degli addetti

presenti nelle filiali.

Una cosa che i giganti del web insegnano è che la relazione umana è ancora importante e lo sarà probabilmente

anche in futuro. Gli Apple store costituiscono dei moderni santuari, meta di pellegrinaggio da parte di masse

di consumatori che potrebbero facilmente acquistare i prodotti made in Cupertino tramite il canale online, ma

che preferiscono invece toccare con mano le loro “divinità” hi-tech. Cosa analoga sta facendo Amazon aprendo

i suoi store fisici. L’industria bancaria dovrebbe utilizzare meglio la sua presenza sul territorio, valorizzandola

e rivedendola con l’obiettivo di offrire sempre più servizi che diano un importante valore aggiunto alla clientela

e che si basino su un rapporto di fiducia (ad esempio con la consulenza finanziaria, legale o fiscale). Così

facendo gli sportelli potrebbero rivelarsi un importante punto di forza dell’industria bancaria, invece che essere

considerati solo come un costo.

Ugo Ojetti

Il genio senza ingegno è una barca senza remi.

.c.

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