Segni del suo Nome

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ANNO XXX NUMERO 3 MARZO 2015 Segni del suo Nome Comunione e Liberazione incontra Papa Francesco a cura di Vitaliano Sena e E. Mazzarella Un torneo speciale a Cimitile di E. A. Petillo Storia di una start-up oplontina di A. Lanzieri Ogni vita vissuta in Cristo, che dice il suo nome, è segno dell’amore di Dio per l’uomo. Ne parliamo con il vescovo di Nola, mons. Beniamino Depalma, al quale abbiamo chiesto di raccontarci i suoi cinquant’anni di sacerdozio, e attraverso la figura di Rachele Sibilla, laica consacrata della nostra diocesi, scomparsa prematuramente dieci anni fa.

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Mensile della Chiesa di Nola XXX - n.3 - marzo 2015

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Segnidel suo Nome

Comunione e Liberazione incontra Papa Francescoa cura di Vitaliano Sena e E. Mazzarella

Un torneo speciale a Cimitiledi E. A. Petillo

Storia di una start-up oplontinadi A. Lanzieri

Ogni vita vissuta in Cristo, che dice il suo nome, è segno dell’amore di Dio per l’uomo.Ne parliamo con il vescovo di Nola, mons. Beniamino Depalma, al quale abbiamo chiesto di raccontarci i suoi cinquant’anni di sacerdozio, e attraverso la figura di Rachele Sibilla, laica consacrata della nostra diocesi, scomparsa prematuramente dieci anni fa.

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mensile della Chiesa di Nola

in Dialogo mensile della Chiesa di NolaRedazione: via San Felice n.29 - 80035 Nola (Na)Autorizzazione del tribunale di Napoli n. 3393 del 7 marzo 1985Direttore responsabile: Marco IasevoliCondirettore: Luigi MucerinoIn redazione:Alfonso Lanzieri [333 20 42 148 [email protected]], Mariangela Parisi [333 38 57 085 [email protected]], Mariano Messinese, Antonio Averaimo, Vincenzo FormisanoStampa: Giannini Presservice via San Felice, 27 - 80035 Nola (Na)Chiuso in redazione il 27 marzo 2015

IMPARIAMO A SCEGLIEREdi Marco Iaevoli

La Pasqua é un incredibile inno alla concretezza. É l’evento

cruciale in cui Dio non parla, non annuncia, non denuncia. É l’e-vento in cui Dio sceglie, fa, co-erentemente realizza ciò che ha detto, annunciato, denunciato.

É per questo motivo che nessu-no di noi può scansare l’implaca-bile prova della Pasqua. Nessuno di noi può evitare per tutta la vita il momento in cui mettere in pratica ciò che ha proferito a pa-role. La fede é, anche, una scel-ta di concretezza.

La fede si annacqua negli im-pegni che restano sulla carta o intrappolati in un tiepido pensie-ro primaverile. La fede ha biso-gno di un’azione incisiva, chiara, visibile. Non “visibile” secondo i canoni del marketing, ma visibile nel senso di provocante, interro-gante, profetica.

Non a lungo possiamo vivac-chiare da cristiani senza speri-mentare la felicità pienamente umana del perdono offerto e ri-cevuto. Non a lungo possiamo vi-

vacchiare da cristiani ignorando gli altri e restando concentrati sui nostri privatissimi interessi del momento.

Di ‘segni’ parla il nostro vesco-vo nel messaggio per la Pasqua, sono i segni veri ed efficaci di cui si avverte enorme nostalgia oggi. Uno su tutti: il segno del dialogo. Il superamento di quelle parole inutili e di quei silenzi ottusi che ci rendono incomunicabili con il vicino e con il lontano.

Il segno dell’amore per la cit-tà, a lungo derubricato a “fissa-zione” di pochi laici e sacerdoti e mai riconosciuto come dovere primario che la Chiesa ci ha con-

segnato con il Concilio Vaticano II. Il segno di un amore per la Chiesa che sa essere anche sacri-ficio, e non capricciosa pretesa di ricevere, ricevere in continuazio-ne senza mai avvertire il bisogno di restituire.

Non segni eroici ma ordinari. Per dare una forma alla nostra fede. Per testimoniare al mondo che “non é tutto uguale”, che Dio agisce ancora nella storia e nell’umanità.

Usciamo dalla tentazione di appagarci con le buone intenzio-ni, riprendiamoci la nostra vita imparando a scegliere, costi quel che costi. É Pasqua...

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03marzo 2015

La Terza Pagina

i discepoli e noi! Perché a Pasqua risulta ormai chiaro che Dio esau-disce le sue promesse, non le no-stre attese.

Diciamocelo chiaramente: quel Profeta di Nazareth non piaceva troppo, ai suoi e, forse, anche a noi. Affascinante e seducente quanto vuoi e quando faceva mi-racoli, mangiava con i peccatori e accarezzava bambini, diventa-va però insopportabile con quel-le sue idee così strane: amore, dono, perdono, morire per vivere come il chicco di grano, miseri-cordia più di sacrifici, Dio oltre il sabato e il tempio… Meglio sep-pellirlo, sia pure con delusione triste, e aspettare un altro Mes-sia, che corrispondesse meglio alle legittime - e sempre uguali - attese di Israele e nostre, sogni di potere, di successo e di vitto-ria. Fu così per i suoi discepoli. Pur nell’atroce dolore per la mor-te del Maestro, stavano provando a rassegnarsi e a ricominciare. Al-cuni erano già tornati in Galilea a riprendere barca e reti lasciate qualche anno prima. L’aveva pen-sata così, del resto, anche il Bat-tista, almeno fino a un certo pun-to….. Ed è così, confessiamolo almeno a Pasqua, anche per noi, con questa nostra vita che cerca il consenso più che la conversio-ne, l’apparenza più della realtà, l’interesse proprio più della con-divisione….

E invece proprio la tomba di quel Gesù - proprio Lui, quel Cro-cifisso dai gesti provocatori e dal-le parole bizzarre! - era stata tro-vata vuota in quel mattino della settimana di pasqua dell’anno 30! E così i discepoli, e noi con loro, confusi e spaventati, dovet-tero lentamente ma decisamente svegliarsi alla luce di questa no-vità: Gesù aveva ragione poiché il Crocifisso è risorto! Proprio Lui! Ha vinto la morte, sì, ma ha vinto con l’amore, con il perdono, con

La Pasqua non era e non è una vittoria da annunciare con squilli di tromba

UN SEGNO ChE SPIAzzAdi Francesco Iannone

l’umile forza della verità e della carità! Agnello tra lupi, non si è trasformato in lupo anche lui per affermarsi e vincere; Vittima di un sistema ingiusto e prepoten-te non si è alleato con i carnefici ma si è lasciato ammazzare pur di rimanere fedele a Dio, a Sé stesso e ai Suoi. E quando poteva vendicarsi di chi lo aveva tradito, rinnegato e ucciso, ha preferito riaprire la strada della fiducia e della vita, “preferendo la medi-cina della misericordia a quella della condanna”, come circa 2000 anni dopo la Chiesa ha riafferma-to con il Concilio Vaticano II e con i giorni belli di Papa Francesco. E non può che essere così, perché il Crocifisso è risorto: “Victimae paschali laudes immolent chri-stiani: Agnus redemit oves!”.

Perciò Pasqua è difficile: per-ché ha vinto la debolezza di Dio non la forza degli uomini! E io, tu, tutti dobbiamo accogliere l’annuncio pasquale che è lieto solo se anche per noi perdere per amore è meglio che vincere per forza, dare è meglio che prende-re, condividere è il vero guada-gnare perché il Crocifisso è risor-to e soltanto quelli che si lasciano crocifiggere con Lui risorgono!

Pasqua è festa difficile, per certi versi insopportabile.

Non è come il Natale. È facile, infatti, parlare di nascita: ne ve-diamo tante, ogni giorno (anche se in Europa sempre di meno…). La culla di un bambino nato po-vero rientra nell’immaginario collettivo. È possibile costruir-ci sopra una favola, una festa, i regali. Qualche vetrina, pur nel politicamente corretto di questi tempi, riesce a Natale a esporre ancora qualche presepe. Certa-mente, però, non troveremo nes-suno che esibisce un crocifisso.

Parlare di morte e, peggio, di risurrezione è più difficile. Anche la sapienza popolare ha percepi-to la “dissonanza” della Pasqua: puoi festeggiarla con chi vuoi, e forse se vuoi, non come il Natale da celebrare con i tuoi perché è dentro le tue corde. Meno male che, almeno nel nostro emisfero, ci viene incontro la primavera, con i suoi “fiori rosa, fiori di pe-sco”, all’ombra dei quali poter giocare con qualche uovo fresco o di cioccolato e qualche pulcino e quindi possiamo “fare Pasqua” senza pensarci troppo….

E invece a Pasqua c’’è da rom-persi il capo …. e anche le ossa (lo sanno bene i quattromila cristia-ni e più che ogni anno perdono la vita…). Sì, perché la Risurrezione di Cristo - lo intuirono subito i suoi - non era (e non è) semplice-mente e semplicisticamente una vittoria da annunciare con squilli di tromba dove il buono vince sui cattivi e insieme ai suoi amici vive felice e contento. La Pasqua non è l’Happy end della vita di Gesù. Se fosse stato (e fosse) questo, Gesù sarebbe corso ad apparire a chi lo aveva tradito, catturato, flagellato, condannato e ucciso e con un forte gesto vendicativo avrebbe rimesso le cose a posto!

La Risurrezione è una rivelazio-ne, che confonde e spiazza tutti,

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mensile della Chiesa di Nola

Carlo Carretto, in un capitolo di Il deserto nella città,

scrive: “dove il segno diventa richiamo costante, indicazione univoca di ciò che vuole indicare e annunciare è nell’annunciare e indicare un’altra Presenza da me”.

Parole che, leggendole, mi sono sembrate calzare a pennello allo stile di padre Beniamino, e l’intervista che mi ha concesso per il nostro giornale me lo ha conferrnato. Un’intervista alla quale il nostro vescovo non si è sottratto ma alla quale ha detto “sì” a patto che non divenisse un momento di celebrazione della sua persona: un rischio da evitare, anche in occasione del 50° della sua ordinazione presbiterale, «perché una delle tentazioni più forti per un presbitero, e soprattutto per un vescovo - ha raccontato - è quella del palcoscenico, quella di sentirsi uomo di potere dimenticando di essere invece un semplice credente che, in quanto tale, ha il solo compito di porsi a servizio degli altri compagni di cammino».

Compagni per i quali ringrazia il Signore nella preghiera scritta per fare memoria del 3 aprile 1965, quando pose le proprie mani in quelle del suo vescovo, consegnando la sua vita a Cristo e alla Chiesa: “grazie - scrive - per gli innumerevoli compagni di viaggio: sorelle e fratelli che mi poni accanto […] perché continui a orientare energie di mente e cuore lì dove ti nascondi e ti riveli abitando la fame, la solitudine, la sete, le impazienze, la mano tesa di quanti attendono riscatto e redenzione”. Una vita presbiterale, quella di padre Beniamino, vissuta infatti con lo sguardo sempre rivolto agli ultimi, come predicava il fondatore della congregazione nella quale, all’età di 18 anni, scelse di iniziare il suo cammino di consacrazione, San Vincenzo De Paoli: «ho desiderato essere

Il vescovo di Nola racconta i suoi cinquant’anni da presbitero

GIORNI DI StUPOREdi Mariangela Parisi

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05marzo 2015

Segni deL Suo nomeprete - ha sottolineato durante l’intervista - e vivere il ministero da membro della Congregazione dei Padri della Missione, servendo il Signore e la Chiesa secondo le indicazioni del nostro fondatore che amava ripetere “I poveri sono il nostro patrimonio. Davanti ai poveri bisogna correre come si corre davanti al fuoco”. La comunità vincenziana mi ha fatto scoprire l’urgenza per un prete e per la Chiesa di essere completamente a servizio dei poveri perché il servizio agli ultimi è il segno più evidente dell’ esserci, ora, del Regno di Dio».

E mentre racconta del suo carisma, gli occhi di padre Beniamino brillano, e quasi mi commuovo nello scoprire quanto, a pur 50 anni di distanza, ancora sia vivo in lui il ricordo “del primo amore” di quel segno a partire dal quale, grazie anche a tante icone di saggezza, di coraggio - ha scritto ancora nella sua preghiera - è riuscito a frantumare paure e illusioni e percorrere le strade del Signore: «non è facile restare fedeli alla propria scelta - ha detto - e lo è ancora meno se non si riesce a sfuggire alla mediocrità avendo lo sguardo sempre fisso su un alto Ideale» che è il volto di Gesù “amico indispensabile e Maestro” al quale - come si legge ancora nella preghiera - chiedere incessantemente “audace fede, speranza certa, umiltà profonda, abbandono inerme”. «Ai miei formatori - ha aggiunto - sono grato soprattutto per avermi aiutato, con la testimonianza di vita, a puntare sempre lo sguardo sull’essenziale. Il rapporto con il Signore è così divenuto, da emotivo e sentimentale, profondo e concreto, fondato sulla certezza della promessa di Dio, unico sostegno per la mia vita. Un sostegno che è certezza di un’amicizia. Per questo fondamentali sono gli spazi di adorazione e silenzio: è in questi momenti che il cuore si purifica e il cammino può riprendere con slancio; sono momenti però duri perché hanno la forma di colloqui d’amore e dunque colloqui nei quali si fa verità sulla propria vita».

Una vita fatta anche di inaspettate notizie, come quella

dell’ordinazione episcopale ricevuta il 27 novembre del 1990, dal cardinale Giordano: «nel pensare al mio futuro - ha raccontato - avevo immaginato tanto, ma non l’episcopato. Alla notizia mi sentii troppo fragile e incapace: pensavo alla poca esperienza avuta come parroco - tre anni presso la parrocchia di San Gioacchino a Napoli - e mi sentivo inadeguato per un compito così arduo. Però ero forte della certezza che seguendo il Signore non sarei stato solo e soprattutto avrei camminato su quella strada che realizza in piena umanità».

Umanità da incontrare e donare guardando a testimoni come Giovanni Paolo II e Paolo VI dai quali apprendere prima di tutto «che la sequela – sottolinea padre Beniamino quasi alla fine dell’intervista - è una vita fatta di scelte concrete attuate con il sudore della fronte, il lavoro delle braccia, e il rapporto quotidiano con la parola di Dio: per una vita di fede non servono segni particolari, miracoli, serve prendere sul serio la Sua Parola. Nel ringraziare il Signore per lo stupore che ancora dona ai miei

occhi nel ripensare ai giorni vissuti e nel vivere quelli che ancora mi dona, gli rivolgo anche la preghiera di conservare la fedeltà alla sua Parola per continuare a testimoniare con gioia la bellezza di una vita donata alla Chiesa».

Famiglia, giovani, impegno sociale, paternità verso presbiteri e laici sono le frontiere che nella preghiera più volte ricordata il vescovo di Nola definisce “irrinunciabili” e “sulle quali la sollecitudine dei pastori si fa vera” generando una Chiesa che, come Maria, sia capace di “vivere - scrive ancora Carlo Carretto - nello stesso momento e con lo stesso corpo le esigenze della verginità e della maternità” e si faccia portatrice di quella “Grazia a caro prezzo” di cui parla Dietrich Bonhoeffer e per la quale servono anche forti momenti di verità «quale è – conclude padre Beniamino - il Sinodo diocesano che stiamo vivendo, possibilità per un discernimento integrale che ci renda testimoni dello stupore che inevitabilmente provoca l’incontro con la concreta umanità del Vangelo».

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marzo 201506

mensile della Chiesa di Nola

Il ricordo di Rachele Sibilla a 10 anni dalla scomparsa

UNA VItA PER GLI ALtRI: tRA FEDE E CULtURAdi Alfonso Lanzieri

L’11 marzo scorso, presso la parrocchia San Felice in Pincis di

Cimitile, un incontro pubblico ha celebrato la memoria di Rachele Sibilla, professoressa ed ex presidente diocesana dell’Azione Cattolica di Nola, a dieci anni dalla sua morte. Rachele è una delle figure di impegno laicale più significative della storia recente della diocesi dei santi Felice e Paolino e dell’Azione Cattolica del post-concilio: il suo costante e appassionato impegno educativo – specie in favore delle giovani generazioni – ha lasciato uno stuolo di “figli”, “fratelli” e “sorelle” che, ritrovatisi a Cimitile, hanno voluto ricordare il profilo di questa donna di fede colta, dal tratto gentile e sorridente ma insieme capace di educare alla serietà e alla profondità della vita e delle sue pieghe. Il compito di tratteggiare i diversi aspetti della ricca personalità di Rachele è toccato a Franco Miano, già presidente nazionale di Azione Cattolica, e a mons. Domenico Sorrentino, vescovo di Assisi. Dinanzi al folto uditorio raccolto nell’aula liturgica, entrambi hanno richiamato la personalità di Rachele, sottolineando quanto la sua testimonianza abbia sostenuto la crescita di diverse generazioni di giovani che hanno poi saputo assumersi compiti di responsabilità sia ecclesiali che civili. Nel racconto della persona di Rachele, un’attenzione speciale merita il suo amore per la cultura, e con esso il suo costante e fecondo sforzo di far dialogare la fede e la ragione, la fede e la cultura. Di lei, infatti, si conservano scritti, saggi e poesie: i testi sono stati raccolti in un volumetto dal titolo “Dare ali alla vita. Scritti tra fede e cultura” di recente pubblicazione. In quelle pagine è possibile rinvenire tutta la vivacità e la profondità intellettuale di Rachele, il suo amore per il bello e il vero, la sua vasta erudizione. Le parole scritte per l’occasione da una delle sue amiche più care, possono aiutarci ancora meglio a conoscere Rachele.

“Umile, semplice, sorridente,

ma anche forte e coraggiosa, dotata di una grande positività che le permetteva di affrontare sia i momenti personali di difficoltà sia le vicende storiche e le sfide del suo tempo con competenza e passione.

Era una donna poliedrica. Curava in modo equilibrato la propria persona, amava la vita in ogni sua forma, coltivava la bellezza, la gioia, la creatività. Sapeva accogliere le diversità come fonte di ricchezza, e sapeva sinceramente gioire del bene compiuto dagli altri.

Era interessata alla vita pubblica del suo paese e alla valorizzazione delle Basiliche paleocristiane: voleva esaltarne il patrimonio artistico e culturale, voleva che fossero vissute come una possibilità di lavoro per i giovani, voleva custodirle nel tempo perché, come tutti i veri cimitilesi, era devotissima del suo patrono San Felice.

Era una persona autentica, vera, conoscitrice dell’umanità, esperta nell’arte dell’amicizia, che praticava sapendola contestualizzare nel suo tempo e nei suoi luoghi. Lievito di sapienza nell’oggi della sua storia,

ha accolto con fede e messo in atto il magistero della Chiesa. Mi piace ricordarla quando, a se stessa e in tutti gli ambiti nei quali operava, amava ripetere le parole di Paolo VI, il Papa dell’A.C.: «Il mondo non ha bisogno di maestri, ma di testimoni». E lei fu testimone nella sua vita di fatti concreti, di idee condivise e di progetti tanto sofferti nel concepimento quanto gioiosi nella realizzazione. (…) Rachele era una donna capace di amare. I suoi più grandi amori, oltre alla famiglia, erano la scuola e l’A.C., ambiti nei quali ha sempre testimoniato e diffuso la sua passione per la cultura e per la formazione in genere.

La cultura, intesa come curiosità per la conoscenza, ha animato tutta la sua vita e lei non si faceva vanto del suo sapere ricco e vario, ma anzi con umiltà, pazienza e devozione, ha sempre cercato di condividerlo con tutti. (…) Era la donna dei “sì”, sempre disponibile, non rifiutava mai il suo aiuto, soprattutto nelle cose che riguardavano le sue specifiche competenze; trascorreva le notti a scrivere pur di accontentare tutti.

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07marzo 2015

(…) La formazione, poi, fu il suo “pallino”. Esortava sempre i soci ad accogliere non solo le opportunità che l’associazione proponeva, ma a far tesoro di tutte le occasioni di crescita che venivano loro offerte anche dall’esterno, dall’ambiente in cui erano inseriti. Bisognava aprirsi al mondo.

Non sapeva guidare, ma era sempre presente dovunque le associazioni la richiedessero: partiva con il treno, il pullman, chiedeva passaggi ad amici e conoscenti, nessun ostacolo o difficoltà la fermava. Il suo era un andare con il cuore, anche alle periferie. (…) Di fronte alla sofferenza inattesa, la sua umanità fu messa a dura prova. Preferì per molto tempo che le facessero visita solo le amiche, alle quali poteva mostrare tutta la sua vulnerabilità. Poi, superata questa fase, grazie soprattutto alla determinazione della sorella Franca che la rimise letteralmente in piedi, la sua vita assunse di nuovo il colore dell’apertura all’umano e al trascendente. Ricominciò a scrivere, a ricevere visite, a dare il suo contributo mettendo, come sempre, a disposizione tutta la sua competenza e la sua passione.

Il dono della fede le diede poi il coraggio di andare oltre la fragilità del dolore, per cogliere il disegno di amore e di salvezza del Padre”.

Per diffondere la conoscenza di Rachele Sibilla, l’Azione Cattolica diocesana ha indetto un concorso letterario dal titolo “Le due ali” rivolto ai giovani under 30 del territorio diocesano. Vi proponiamo il testo vincitore del concorso. L’autore è Alessio Vitulano, 15 anni, studente del V Ginnasio dell’I-stituto vescovile paritario di Nola. Titolo: Due facce di una moneta

“In una biblioteca, cercando qualche lettura, mi è capitato tra le mani un vecchio libro, ho iniziato a leggerlo e al suo interno ho trovato una storia significativa davvero. Sfortunatamente di questa storia il destino e il tempo hanno la-sciato solo i protagonisti: due giovani appartenenti a due famiglie rivali s’innamorano perdutamente, incuranti dell’odio che scorre tra le due famiglie”. In un piccolo paese vivevano due famiglie da sempre in contrasto fra loro: la famiglia Fede e la famiglia Ragione. L’albero genealogi-co dei Fede, assidui frequentatori della chiesa cittadina, annove-rava membri che avevano preso i voti e altri che ricoprivano ruoli importanti in città; i Ragione, invece, erano ricchi proprietari ter-rieri spesso ostili ai Fede per interessi contrastanti. Un giorno la bella figlia di messer Fede passeggiava nel campo del padre, quando sulla sua strada apparvero due briganti. Vista la ghiotta preda, cercarono di derubarla. Destino volle che il figlio di messer Ragione passasse di lì. Vista la scena, si precipitò, sguainò la fredda lama e si batté come non mai. Sconfitti i briganti, la gio-vane Fede, fortemente grata e dolcemente imbarazzata, gli rivelò di osservarlo passeggiare ogni notte, e alla domanda di lui “Perché tu, dolce fanciulla, nel buio della notte, sotto lo sguardo silenzioso della luna, tua amica, mi osservi?” lo guardò dritto negli occhi e rispose dandogli un timido bacio. Ed ecco come il giovane Ragione fu conquistato dalla bella Fede. Un matrimonio era di certo cosa impensabile. L’indomani il giova-ne si precipitò a palazzo Fede per annunciare la loro unione, ma messer Fede lo cacciò, imprecando contro tutta la sua famiglia. Come coronare il loro sogno dinanzi a tanto odio? Fu così che, in una notte stellata e senza un soffio di vento, il figlio di messer Ragione s’infiltrò nel palazzo dell’amata, prendendola con sé. Scappare lontano! Superare ogni ostacolo! Proteggere la propria unione! Una sorpresa inaspettata, ahimè, li attendeva alle porte della città: le due famiglie sbarravano il passo. Il cuore batté all’impazzata nel petto. Come avevano saputo dell’intento? Le due compagini inveirono tra di loro come su un campo di bat-taglia ‘l’una contro l’altra armata’, ma a interromperle la voce di un eremita. Era un vecchio dalla barba lunga e bianca, dal volto disteso e luminoso, quasi a riflettere la luce di sorella Luna e delle stelle che in quella notte come mai brillavano intensamente. “Fi-glioli, mettete da parte le controversie! Abbattete questo muro! Questo amore è destinato a vivere. Questo amore è come il volo di un gabbiano che unisce cielo e terra. Beh…questi ne sono le ali! Bene sapete, un gabbiano senza ali non può certo volare”. Queste parole, quasi fossero lava incandescente a sciogliere quei da tempo gelati cuori, quasi fossero luce a rischiarare quelle menti da tempo annegate nell’oscurità, placarono miracolosamente la lite. Le nozze si celebrarono sette lune dopo quel giorno. Tutto il paese fu invitato. Del vecchio dalla lunga barba bianca, però, nessuna traccia. Sparì, mentre i giovani felici festeggiavano. Ecco che un pensier mi sovvenne: “Chi ha ragione? Fede o Ra-gione?”. La mente vaga… e all’improvviso… L’una non annulla di certo l’altra! E come una monetina senza entrambe le sue facce non ha valore, così l’esistenza umana vive e si nutre e di Fede e di Ragione

Segni deL Suo nome

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mensile della Chiesa di Nola

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09marzo 2015

In Cristo il fondamentoLa vita del fondatore di Comunione e Liberazione in una biografia scritta da uno dei suoi ragazzi

La carezza della Misericordia Lo scorso 7 marzo il Santo Padre ha incontrato il movimento fondato da don Giussani

Fedi in dialogoPresentazione del volume di Francesco Iannone su Concilio e religioni non cristiane

Le religioni, fonte di pace Dialogo interreligioso a taurano nel Convento di San Giovanni del Palco

Pensare la vivibilitàA Marigliano il primo di una serie di incontri sul bene comune promossi dal laicato cattolico

In Diocesi

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mensile della Chiesa di Nola

La vita del fondatore di Comunione e Liberazione in una biografia scritta da uno dei suoi ragazzi

IN CRIStO IL FONDAMENtOdi Eugenio Mazzarella*

Chi voglia avvicinare Giussani e il suo lascito ecclesiale, il

movimento da lui fondato Comu-nione e Liberazione, farà bene a leggere la monumentale Vita di don Giussani di Alberto Savorana. Una Vita che spiazza non poco chi l’avvicini senza pregiudizi af-fidandosi, con Savorana, alle fon-ti, ai documenti, ai testimoni, ma soprattutto a don Giussani stesso. Un Giussani che esorbita da molti dei cliché che l’hanno accompa-gnato a lungo. Il giovane docente che lascia il seminario per farsi «cappellano degli studenti», e l’avversario del ‘68, che si rifa-rà con gli interessi; il suscitato-re di impegno laicale e vocazioni e il delicatissimo amico di tanti; il Giussani che balza sulla sedia leggendo Pasolini “unico intellet-tuale cattolico italiano”; e quello che ricorda a un amico spagnolo, che per la sua vicinanza a Cl fini-rà in galera sotto Franco, e che propone di vivere “per Cristo e per i poveri”, che “Cristo viene prima”, se no “diventiamo solo marxisti”. E qui siamo al punto di Giussani, della vita di Giussani, con cui è egli stesso a farsi una biografia in mezza riga: “È la vita della mia vita, Cristo”. Il punto che gli consente di uscire motu proprio, con la forza propria dell’evidenza della sua vita, di quel che ha fatto e che ha detto, insegnato, trasmesso, dai cliché che hanno spesso accompagnato la lettura del suo impegno eccle-siale.

Un punto – il rapporto a Cristo come fondativo della vita della Chiesa e della stessa appartenen-za al Movimento – che è la lec-tio costante di Giussani ai suoi, anche a metterli in guardia dai rischi di una “mondanizzazione” dell’impegno sociale e politico. Rischi che gli sono fin dall’inizio presentissimi, e la Vita di Savo-rana ne dà più di un documento. Un punto, del carisma di Giussa-

ni, che Papa Francesco ha voluto mettere al centro del suo discorso all’affollatissima udienza in Piaz-za San Pietro concessa il 7 marzo scorso a Comunione e Liberazio-ne, la creatura di don Giussani, per il 60° anniversario della na-scita del Movimento e il decimo della sua morte. Additando in esso il centro vivente dell’opera di Giussani e del carisma di cui il Movimento è il frutto: Cristo al centro della Chiesa, e di chi vo-glia appartenervi nell’impegno ecclesiale; e della vita degli uo-mini. Cristo, la fede in Lui, nel calore di una trasmissione perso-nale. Perché in una trasmissione personale – è la fondamentale in-tuizione di Giussani – l’abbiamo ricevuta, nel fatto-principio che l’ha istituita, l’incontro con Cri-sto, cominciato duemila anni fa in Galilea. Una fede che si affida a un Dio che si fa carne, perti-

nente alle esigenze fondamentali dell’uomo, Cristo, fu la grande intuizione di Giussani, per rispon-dere nella Chiesa alla crisi delle istituzioni e dell’autorità nella società del ‘900.

Un’intuizione cui darà piena accoglienza e riconoscimento la Chiesa di Wojtila e di Ratzinger. E che ad ascoltare le parole del Papa davanti a una piazza stra-colma in San Pietro è patrimo-nio vivente anche della Chiesa in uscita a incontrare le periferie del mondo di Francesco, ad in-contrare gli uomini dove sono nei loro bisogni e nelle loro speran-ze. Lo spirito che mosse, lascian-do il seminario, Giussani a salire, a Milano, nel lontano ’54 le scale del liceo Berchet.

*Ordinario di Filosofia teoretica presso l’Università degli Studi di Na-poli “Federico II”

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11marzo 2015

in dioceSi

Oltre 80.000 persone, provenienti da 47 Paesi, erano

presenti in piazza San Pietro per l’udienza che Papa Francesco ha concesso a Comunione e liberazione a 10 anni dalla morte di don Giussani e a 60 anni dalla nascita del Movimento. Abbiamo desiderato questo incontro perchè “tutti noi siamo stati educati a riconoscere nella figura di Pietro il fondamento della nostra fede. Senza la sua figura, nella quale si manifesta in modo eminente la successione apostolica, la nostra fede sarebbe destinata soccombere tra le tante interpretazioni del fatto cristiano generate dall’uomo”(J. Carron)

Giunti di primo mattino da ogni parte del mondo dopo un momento di preghiera con la recita delle lodi e canti dalla tradizione religiosa di varie Nazioni(anche una Ave Maria in cinese), alle 11:30 è arrivato Papa Francesco. Don Carron, successore di don Giussani nel saluto ricorda il motivo di questo pellegrinaggio in un momento significativo della nostra storia: “Coscienti della nostra fragilità

Lo scorso 7 marzo il Santo Padre ha incontrato il movimento fondato da don Giussani

LA CAREzzA DELLA MISERICORDIAdi Vitaliano Sena*

e del nostro tradimento, siamo venuti in pellegrinaggio alla tomba di Pietro per domandare la freschezza del carisma, come Lei stesso ci ha suggerito nel discorso al Congresso dei movimenti. Noi vogliamo vivere ogni giorno di più rinnovando sempre il “primo amore”. Quel primo amore che ci ha fatto esclamare: «Quando ho incontrato Cristo mi sono scoperto uomo» (Gaio Mario Vittorino)”.

Parla il Papa e la tensione che si percepiva in piazza nell’attesa delle sue parole si scioglie. Ringrazia Carron per le parole di saluto e per la lettera che ha scritto alla Fraternità in preparazione dell’udienza. Poi ricorda don Giussani esprimendo la sua riconoscenza “per il bene che quest’uomo ha fatto a me, alla mia vita sacerdotale, attraverso la lettura dei suoi libri e dei suoi articoli”, e poi la seconda ragione di gratitudine: “ il suo pensiero è profondamente umano e giunge fino al più intimo dell’anelito dell’uomo.” Il suo discorso tocca tre punti:1) tutto nella vita comincia con un incontro; 2) non si può capire la

dinamica dell’incontro che suscita stupore senza la misericordia; 3 il carisma dopo 60 anni non ha perso freschezza e vitalità. Come un padre quindi ci ha dato delle indicazioni, da seguire, affinché il carisma sia sempre vivo. La prima indicazione è quella di “essere decentrati, “al centro c’è Cristo non il carisma; la seconda: bisogna rispettare la tradizione ma non pietrificarla, “significa tenere vivo il fuoco e non adorare le ceneri (Malher)”. La terza “dare braccia, mani mente, cuore, piedi ad una Chiesa “in uscita” respingendo l’autoreferenzialità”.

Gratitudine e gioia erano i sentimenti che alla fine tutti ci scambiavamo come impressione dell’incontro. Davvero abbiamo incontrato un Padre! Don Carron ha così commentato: “Oggi abbiamo sperimentato che cos’è la carezza della misericordia di Gesù. Il modo in cui il Papa ci ha abbracciati lo porteremo per sempre nei nostri occhi.”

*Responsabile diocesano della Fraternità di CL

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marzo 201512

mensile della Chiesa di Nola

Presentazione del volume di Francesco Iannone su Concilio e religioni non cristiane

FEDI IN DIALOGOdi Alfonso Lanzieri

Parole illuminanti. La volontà di dialogare non nasce solo dalla ne-cessità di riparare a un drammatico passato, bensì da una più piena in-telligenze della Chiesa sulla propria natura. La propria identità, dun-que, deve essere assunta nel dialo-go, se lo si vuole serio, con le sue luci e le inevitabili ombre: non esi-stono uomini o tradizioni religiose innocenti. La nobiltà di queste ul-time, infatti, risiede nella capacità e nel coraggio di sapersi ripensare – anche attraverso strappi faticosi e ammissioni dolorose – in continu-ità. «In questa prospettiva, allora, il dialogo può essere pensato non solo come opera di un soggetto neutro in una società secolarizzata, secondo il modello laico, ma come modalità irrinunciabile e costitutiva della mia esperienza di fede».

Padre Pizzaballa, dal canto suo, ha affermato che «questo libro non risponde alla domanda: qual è il ruolo delle altre religioni nel piano della salvezza? La direzione è diver-sa». Approcciarsi alle religioni non cristiane esclusivamente nella pro-spettiva di questa domanda, infatti, significa ridurre l’altro a ciò che lui è in funzione di me. Si può, al con-trario, avere un rapporto con l’altro assumendo fino in fondo la sua alte-rità? Questa è forse la maggior fatica cui un dialogo autentico ci sottopo-ne. «Accettare il rischio dell’altro – ha detto il Custode di Terrasanta – è una bella espressione contenuta nel testo: l’altro è effettivamente un rischio, l’incontro può anche fallire, talvolta drammaticamente, ma è il

Lo scorso 3 marzo, presso il Semi-nario di Nola, si è tenuto un in-

teressante incontro tra religioni: il custode di Terra Santa, Padre Pier-battista Pizzaballa, il Rabbino Vitto-rio Robiati Bendaud e l’Imam Yahya Pallavicini, moderati dal Don Pa-squale D’Onofrio, si sono confrontati sul tema del dialogo interreligioso nel contesto contemporaneo. L’oc-casione è stata la presentazione del libro di don Francesco Iannone “Una Chiesa per gli altri. Il Concilio Vati-cano II e le religioni non cristiane”.

L’originalità del libro di Iannone, ha esordito il rabbino Bendaud, sta nella profonda lettura che il testo propone non soltanto della dichiara-zione Nostra Aetate, ma anche alle altre costituzioni conciliari. Se la prima, infatti, resta imprescindibile riferimento per chi voglia occuparsi del tema del rapporto tra chiesa e religioni non cristiane, il confronto tra quella e gli altri pronunciamen-ti conciliari regala – ha sostenuto il rabbino – un inedito allargamento di orizzonti rispetto agli scritti fino ad ora dedicati al medesimo problema.

«Il punto di tutto comunque – ha poi affermato Bendaud – sta in que-sto: a partire dai testi conciliari il volume inquadra il tema del dialogo non come qualcosa che si aggiunge alla vita della chiesa ma come ele-mento costitutivo della vita della comunità cristiana. Differenza sotti-le ma fondamentale». Il paragrafo quattro di Nostra Aetate dedicato all’ebraismo, infatti, ha ricordato il giovane rabbino, inizia con le parole “scrutando il mistero della Chiesa”.

modo che ha la Chiesa per essere se stessa: l’altro è un vero e proprio luogo teologico . Identità, alterità e verità non si escludono a vicenda».

Anche l’Imam Pallavicini ha sotto-lineato l’originalità dell’approccio alla questione di Francesco Iannone: «il testo non è un insieme di docu-menti, è la messa in comunicazione di esperienze di uomini di chiesa, di persone particolarmente qualificate nell’elaborazione teologica di docu-menti che si susseguono e una com-parazione tra i vari pronunciamenti della Chiesa ha potuto elaborare sul tema nel corso dei decenni. Il libro, insomma, è già un dialogo al suo interno, tra i vari livelli di analisi contenuti». In scia con gli altri due relatori, l’Imam ha sottolineato poi come un dialogo sia possibile nella misura in cui non si proietta la pro-pria presunta conoscenza dell’altro sul suo profilo. A quel punto è tutto già perduto in partenza: non è più un dialogo ma un monologo. In più, il dialogo non può avere solo fini strumentali. «Se si dialoga solo per trovare soluzioni più efficaci in tema di sicurezza pubblica, ad esempio, può essere utile ed interessante certo ma, come direbbe il Profeta: l’azione di questo dialogo sarà pa-rametrata al livello dell’intenzione. Se dialoghiamo con l’altro sulla si-curezza riceveremo un contributo solo relativamente a questo tema. Se invece dialoghiamo relativamen-te alla verità allora ci rapporteremo alla profondità adeguata, capace di fondare davvero la nostra conviven-za».

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13marzo 2015

Dialogo interreligioso a Taurano nel Convento di San Giovanni del Palco

LE RELIGIONI, FONtE DI PACE di Francesco Pacia

L’Imam dott. Abdallah Massimo Cozzolino, responsabile della

Moschea Zayd ibnThabit di Napoli, della Confederazione islamica ita-liana, è stato il primo ad interve-nire all’incontro svoltosi lo scorso 15 marzo, nel Convento di San Gio-vanni del Palco di Taurano (Av), sul tema “Le religioni, fonte di pace”; ha esordito dichiarando l’onore e la gioia nel trovarsi allo stesso tavolo con dei “fratelli”.

Nelle sue parole è risuonato il for-te senso di impotenza che sgomen-ta quando si è davanti a violenza, guerra e morte perpetrate in nome della religione: ma proprio questi avvenimenti tragici – ha detto – pos-sono essere occasione per una ri-lettura della storia e del presente e - non nascondendo una vena po-lemica nei confronti dell’ignoranza e discriminazione anche lessicali nei confronti del mondo islamico - per un purificato ritorno alla verità stessa della fede, perché in fondo, come diceva J.L. Borges, “morire per una religione è più facile che viverla in pienezza”.

A tal proposito Cozzolino ha ci-tato una sura coranica nella quale il fedele è invitato a tornare alle origini del messaggio di Allah e in ciò all’autentica essenza della reli-gione, che è per natura ponte tra gli

uomini. Agganciandosi al discorso dell’i-

mam, mons. Francesco Iannone, direttore dell›ISSR di Nola, che di recente ha pubblicato Una Chiesa per gli altri. Il Concilio Vaticano II e le religioni non cristia-ne, ha invitato a legge-re l’attuale situazione mondiale “dall’alto”, cioè da persone reli-giose, che tornano al punto di partenza della loro fede, ovvero Dio: “Tutte le religioni - ha sottolineato - nascono dall’incon-tro col mistero di Dio. Si percepi-scono provenienti da Dio. L’uomo si è accorto che esiste un Altro grazie al quale si costruisce in maniera compiuta e si salva. Dall’incontro con l’Altro scaturisce l’incontro con l’altro e la religione diventa etica dell’incontro”. Solo l’incon-tro infatti fa della pace quello che realmente è ovvero “pienezza di giustizia e di vita” e non semplice assenza di guerra: in tal caso, pa-rafrasando Clausewitz, la pace non sarebbe che la continuazione della guerra con altri mezzi. E l’incontro può avvenire “non nonostante le differenze” ma proprio “grazie ad esse”.

A tal proposito, mons. Iannone ha ricordato la grande sfida lanciata dal Concilio Vaticano II, primo e per ora unico concilio convocato non per condannare o difendersi dall’al-tro ma per dialogare con l’altro, ovvero il mondo contemporaneo e con esso le religioni non cristiane.

Da ultimo è intervenuto il rabbi-no Umberto Avraham Piperno, capo della Comunità ebraica di Napoli, che, attingendo alla più che mille-naria tradizione ebraica, ha ricor-dato che la pace è conquista di uno studio quotidiano.

Accanto agli studenti di Abramo - ha detto - ci sono quelli della pace: la pace è uno studio, un’ascesi che coinvolge tutto l’uomo – pensiero, parole e azioni - e ha come meta la perfezione, ovvero Dio stesso: agli

ebrei, infatti, piace giocare con le parole e shalom (la parola ebraica per pace) è collegata a shallem, ov-vero perfezione. La Pace, inoltre,

nella tradizione bibli-ca è legata alla Giusti-zia, ma di entrambe è fondamento la Veri-tà, che, sempre in un gioco di parole, è as-sociata al numero 70, ovvero la pienezza, e al vino, perché come il vino la Verità fa fer-mentare tutte le po-tenzialità dell’uomo.

Dal seno di delizie della sapienze biblica si è poi passati all’agorà del dibattito con il pubblico.

Numerosi sono stati gli interventi. C’è stato chi ha chiesto puntua-

lizzazioni sul rapporto tra Islam e media, alla luce anche di una rie-ducazione linguistica e umanistica, per la quale è stata tirata in ballo dall’imam Cozzolino la riflessione della filosofa americana di religio-ne ebraica, Martha Nussbaum; altri, invece, hanno chiesto chi o cos’è la Verità secondo le tre fedi abrami-tiche ed è stato a riguardo illumi-nante la considerazione del rabbino Piperno, prima, e di mons. Iannone, poi, che la Verità è una ma i cammi-ni sono molti.

Altri hanno lanciato provocazioni sulla morte della religione nel mon-do della tecnica, ma “se è vero che un certo tipo di religione è morta – ha risposto don Franco – la religio-ne di fatto rimarrà finché nell’uomo ci saranno l’amore, il desiderio di Assoluto, la volontà di autosupe-rarsi”. L’incontro si è concluso con la testimonianza dell’Ing. Carmine Mercolino di Taurano, che ha rac-contato la sua esperienza di lavoro e servizio in una scuola di Ebron in Terra Santa: una volta a settimana bambini ebrei, cristiani e musulma-ni si incontravano per giocare insie-me; i loro occhi ridenti di felicità è stata per lui la prova del deside-rio dell’altro e dell’Altro, iscritta - oserei dire - nel lev (mente-cuore) dell’uomo.

in dioceSi

L’incontro, promosso dalla Pro Loco di Tau-rano in collaborazione con il Comune e la Co-munità di S. Giovanni del Palco, è stato mo-derato dal direttore del Mattino di Avelli-no, Generoso Picone.

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marzo 201514

mensile della Chiesa di Nola

A Marigliano il primo di una serie di incontri sul bene comune promossi dal laicato cattolico

PENSARE LA VIVIbILItàdi Agostino Devastato

A circa un anno di distanza dalla pubblicazione del documento

“Non c’è Politica senza Coraggio”, lo scorso 20 marzo, le associazioni ed i movimenti cattolici mariglianesi hanno promosso un incontro pubblico mettendo a tema uno dei punti in cui si articolava il documento: la vivibilità. Spronati a riprendere il cammino dalle parole rivolte da padre Beniamino alle comunità parrocchiali mariglianesi all’indomani della triste conclusione della vicenda amministrativa scaturita dalla tornata elettorale dello scorso maggio, le aggregazioni laicali scelgono di ripartire dalla coscienza e dalla sua educazione, senza perdere mai la speranza in un riscatto possibile per la propria città ma anzi, lavorando con pazienza in vista di esso.

L’incontro, dal titolo “Idee e progetti per una città vivibile”, rappresenta infatti il primo di una serie di appuntamenti dal taglio popolare e partecipativo che, a partire dal documento “Non c’è Politica senza Coraggio”, le aggregazioni proporranno nei prossimi mesi allo scopo di fornire

maggiori strumenti ai cittadini per avvicinarsi in maniera più informata e competente all’amministrazione della cosa pubblica.

La discussione è stata guidata dall’architetto Tulliano Carpino, responsabile dell’ufficio tecnico al comune di San Vitaliano e moderata dalla dott.ssa Mariangela Parisi, responsabile dell’ufficio per le comunicazioni sociali della diocesi di Nola. L’architetto Carpino ha inizialmente fornito una serie di dati statistici riguardanti le condizioni di vivibilità delle principali città italiane, evidenziando come Napoli e numerose altre città del sud si piazzino nella parte più bassa della classifica per qualità della vita. Retribuzione media, tasso di occupazione, qualità della pulizia urbana, tasso di aree verdi, tasso di inquinamento, qualità dei servizi di trasporto pubblico, sono alcuni esempi dei fattori che possono influenzare la vivibilità di una città. È quindi bastata qualche slide illustrativa delle pessime condizioni di pulizia e manutenzione delle strade, dell’inadeguatezza di alcuni servizi fondamentali

come il trasporto pubblico e dell’indiscriminato sviluppo dell’edilizia residenziale spesso accompagnato da abusi edilizi, per corroborare i dati negativi e far prendere atto a tutti i partecipanti al convegno delle desolanti condizioni di vivibilità della nostra città.

La domanda allora è sorta spontanea: in che modo migliorare tali condizioni per provare a risalire dalle ultime posizioni della classifica? La prima e ovvia soluzione è quella di una politica amministrativa più attenta al perseguimento del bene comune che possa migliorare le condizioni suddette. È stata però soprattutto evidenziata la necessità di alimentare in ciascun cittadino il giusto interessamento verso la res publica. La politica è comunque sempre un’espressione della società civile. E se quest’ultima è sempre più ripiegata su se stessa e disinteressata al bene comune non può che generare una cattiva politica. È fondamentale dunque il ruolo che può svolgere il terzo settore. Le associazioni, le cooperative sociali, le ONLUS possono sia formare coscienze più responsabili attraverso iniziative di incontro e condivisione sui temi di cittadinanza attiva, sia promuovere attività di volontariato che possono essere da stimolo anche per i cittadini più scettici e disinteressati. Ha colpito molto l’esempio diretto portato dall’architetto: con l’aiuto di alcuni vicini di casa, armati di scope e palette, hanno ripulito una piccola zona del loro quartiere. È stato sicuramente un modo per sollecitare negli altri abitanti e nei commercianti circostanti una maggiore attenzione e cura per un ambiente pubblico che appartiene a tutti.

E proprio per passare dalla “teoria all’azione”, a fine incontro è stata presentata la proposta di adottare alcune piccole zone della città da tenere pulite e curate, in modo da dare un esempio positivo alla cittadinanza e un’ utile sollecitazione alla possibile futura amministrazione.

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15marzo 2015

Fuoco ardente d’amoreMichela Notaro, testimone di fede per la comunità parrocchiale di Maria Ss. della Stella di Nola

Attori in erbaSingolare intervista all’attore Peppe Miale

tutti in campo per Solidarietà ”La partita del cuore” dell’Azione Cattolica di Cimitile e Camposano

Famiglie in mensa A Marigliano Quaresima di servizio per i genitori dei bambini del II anno di catechismo

In Parrocchia

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marzo 201516

mensile della Chiesa di Nola

Michela Notaro, testimone di fede per la comunità parrocchiale di Maria Ss. della Stella di Nola

FUOCO ARDENtE D’AMOREdi Martina tafuro

Una donna vissuta irradiata dalla luce di Cristo, questa è

stata Michela. Il testamento che noi abbiamo

ricevuto in dono è la vita di una donna qualunque, in una città qualunque, amata da Dio Padre che si è fatto dono nella sua e nella nostra vita.

Chi ha conosciuto “zi’ Micali-na” ha toccato con mano la te-nacia e la forza di Dio Amore, questa grande donna è la prova provata di quanto i nostri anni possano trovare un senso se tro-vassimo il coraggio di darci total-mente a Lui.

Ha vissuto i suoi anni con co-stanza, forza, determinazione caratteristiche pregnanti delle testimonianze che lei stessa ci ha lasciato nelle più piccole azioni quotidiane, si è rialzata dopo le cadute, ma non ha mai abbassato la testa facendosi vincere dallo sconforto.

Michela Notaro è nata il 28 feb-braio 1919. Dal padre ha ricevuto un’educazione religiosa piutto-sto rigida, ma solida e sicura. Ha vissuto l’amore coniugale inna-morandosi di un uomo vedovo, Domenico, già padre di un figlio Carmine.

Ha affrontato la vita nel matri-monio con coraggio, mostrando molta determinazione nel mitiga-re il carattere austero del mari-to. Domenico, attraverso la dol-cezza d’animo della sua Michela, ha conosciuto la comunità par-rocchiale di Maria SS. Della Stella e spinto dalla sua testimonianza di fede ha frequentato la parroc-chia.

Fino alla fine dei suoi giorni, ogni domenica, partecipava alla Celebrazione Eucaristica “co-stretto” dalla dolcezza della sua sposa, allora la parrocchia più vi-cina era quella del Duomo.

La figlia Lucia ricorda, con pro-

fondo affetto, che dal primo mo-mento la madre ha amato Carmi-ne come fosse suo figlio e non ha mai fatto nessuna differenza di trattamento tra lui e gli altri fra-telli, anzi piuttosto lo ha privile-giato perché “lui era stato meno fortunato” a tal punto che i due stravedevano l’una per l’altro. Ha insegnato ai figli e di riflesso a chiunque venisse in contatto con lei ad accettare tutto ciò che ve-niva dato loro come un dono di Dio.

“Nei momenti più brutti della mia vita sapevo di poter contare su di lei, ma soprattutto potevo contare sull’ aiuto del Signore. Questo mi ha permesso di accet-tare persino la morte di un figlio con la serenità che tutto era par-te di un Disegno che Dio aveva per me” - testimonia Lucia.

Si è recata ogni anno a Pompei fino all’ età di 91 per guardà a’ Maronna facc’ a facc’.

L’ultima volta aveva pianto di gioia perché sulla sedia a rotelle le avevano permesso di stare in prima fila: aveva potuto sentire la grandezza del Mistero, si era sentita piccolissima rispetto alla Grazia, ma non aveva avuto pau-ra, era con Lui.

Ha sentito forte il legame con la figura della Madonna tanto che aveva l’abitudine di asservire alla pratica dei Quindici Sabati che consiste nell’impegno di rivi-vere per quindici sabati consecu-tivi i quindici misteri del Rosario che sono la storia narrata della nostra salvezza, il Vangelo che si prega con la Madre di Dio.

“Prima di ricevere il corpo di nostro Signore mia mamma reci-tava sempre una preghiera a bas-sa voce e l’Atto di Dolore: la sua beatitudine ogni volta mi lascia-va senza fiato” – continua Lucia.

Ecco quella preghierina, a leg-gerla, ad ascoltarla, a pronun-

ciarla dà l’idea di essere un filo sottile che ci lega a Dio, quasi pare di sprofondare nell’ infinito con la semplicità di figli che si ab-bandonano al Padre:“Io me accost’ a’ st’aldarNun song degn’ e m’accustàIo tre passi voglio dàUn ppe ammor un pper dulor un ppe ringrazià nostro SignorMo s’arap’ a’ purtella aro sta Gesù mio belloAnima mia scopa la casa che deve entrare il Vero sposoPoi fai l’atto prezioso”

Michela è passata dalla vita alla morte con tranquillità, ha prega-to quella sera, ha ringraziato per la possibilità di aver potuto gode-re di un altro giorno di luce e poi la sua anima è volata da Dio ed ora sta pregando ancora, come ha fatto per 96 anni, per tutti noi.

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17marzo 2015

in Parrocchia

I ragazzi del Gruppo Samule della parrocchia Maria SS. della Stella, anche quest’anno si cimenteran-no in una rappresentazione tea-trale.In vista di quest’importante ap-puntamento, fissato per il pros-simo 19 aprile, hanno incontrato presso il teatro Umberto di Nola, l’attore Peppe Miale, della com-pagnia teatrale di Carlo Bucci-rosso che andava in scena con lo spettacolo “Una famiglia quasi perfetta”. I ragazzi si sono ci-mentati in un’intervista ad am-pio raggio, che riportiamo.

Ciao Peppe. Come e quando hai cominciato a recitare? E perché la scelta di diventare attore? Devo la scelta a mia nonna, lei era un’appassionata di teatro e mi ha trasmesso questa passione sin da piccolo attraverso le registrazio-ni delle commedie di Eduardo de Filippo. Ho cominciato a recitare un po’ come voi. Il papà di una mia amica faceva teatro amato-

Singolare intervista all’attore Peppe Miale

AttORI IN ERbAdi Renata Carriola

riale nell’ambito parrocchiale e mi propose di leggere una poesia “E cecate ‘e Caravaggio” di Sal-vatore di Giacomo. Come ti sei sentito la prima volta sul palco e che emozioni provi prima di andare in scena? La prima volta che sono salito sul palco ero im-paurito, come del resto ancora ogni volta prima di uno spetta-colo. L’emozione c’è sempre, ma anche una grande responsabili-tà, devi parlare agli altri e devi essere convincente. Recitare in pubblico aiuta a sconfiggere la ti-midezza? Si, io ero molto timido, quando parlavo diventavo rosso. Ti piace la vita da attore? Cer-to, altrimenti farei altro. Se non avessi fatto l’attore che lavoro ti sarebbe piaciuto fare? Il giornali-sta sportivo. Hai mai suonato uno strumento musicale? No, però è molto importante che un attore sappia suonare uno strumento, soprattutto uno a fiato che aiuta molto per la respirazione corretta e poi amplifica la capacità respi-

ratoria aiutando l’attore nell’im-postazione della voce. Quanto influisce l’aspetto fisico nella professione dell’attore? Moltis-simo, bisogna stare bene con il proprio corpo, è importante per avere fiato e resistenza, un bravo attore deve concentrarsi sull’ani-ma, sulla testa e sul corpo. Pre-ferisci recitare più a teatro o nel cinema ? Io faccio più teatro, ma mi piace anche fare cinema, un bravo attore deve saper fare tut-to, televisione, cinema, teatro. Preferisci essere attore o regista? Mi piace stare a teatro. Però pen-sare uno spettacolo, scriverlo, di-rigere delle persone,”cazziarle”, mi piace tantissimo. Riesci a con-ciliare la vita d’attore con quella privata? Si, sono molto fortunato, mia moglie fa lo stesso mio lavoro ed anche i miei amici, non devo spiegare niente perché sono cose che già sanno. La mia famiglia mi ha sempre appoggiato,e quello che sono oggi lo devo solo ai miei genitori.

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mensile della Chiesa di Nola

”La partita del cuore” dell’Azione Cattolica di Cimitile e Camposano

tUttI IN CAMPO PER SOLIDARIEtà di Ersilia Anna Petillo

Sabato 21 Marzo, alle ore 19:00, presso il campo di calcio Kick

off, a Nola, si è svolta la “partita del cuore”, un triangolare di calcio a cinque, che ha visto in campo i ragazzi delle associazione di azione cattolica delle parrocchie Sacra Famiglia e San Felice di Cimitile, e quella di San Gavino di Camposano e San Felice. Scopo dell’iniziativa è stata raccolta di alimenti da destinare alle famiglie in difficoltà, sempre più in aumento negli ultimi anni a causa della crisi economica e lavorativa, che sta mettendo a dura prova tutti, alcuni più di altri.

Tutto è partito da una domanda, fatta dai responsabili dell’ Ac della Sacra Famiglia durante l’incontro settimanale con il gruppo 11-14: « In questo periodo così importante, la Quaresima, come volete dedicarvi al prossimo, sull’esempio del sacrificio che Gesù ha compiuto per noi sulla croce?».

Molte sono state le proposte e tra queste, l’idea della partita del cuore. Il mix di Azione Cattolica,

condivisione, confronto, sport e solidarietà è riuscito a contagiare tutti, non solo le parti interessate, cioè i piccoli calciatori, ma tutti i settori dell’Ac delle varie parrocchie, dai bambini al gruppo adulti, per poi diffondersi alle comunità parrocchiali nel loro insieme. E il risultato è stato notevole. Sono bastati un campo da calcio, un po’ di colore, qualche fallo, tanti sorrisi ma tanto cuore e il contagio è stato bello. Molti gli alimenti raccolti, che sono stati divisi per le tre Ac partecipanti e che a loro volta, hanno trovato un ulteriore suddivisione, come nel caso della Parrocchia Sacra Famiglia, che è riuscita ad aiutare, dal ricavato della partita, sette famiglie.

I bambini in campo hanno così regalato due parole importanti: coraggio e speranza. Da sottolineare, infatti, la loro sensibilità verso coloro che in questo momento vivono situazioni di disagio: questo solo fatto fa scricchiolare in un sol colpo molte teorie pessimistiche talvolta snocciolate con

sicurezza dal mondo adulto su una presunta “indifferenza” o un diffuso “menefreghismo” dei più giovani verso le aree di bisogno presenti nei nostri territori; se c’è questa attenzione nei più giovani possiamo ben sperare in un buon futuro per le nostre comunità cittadine. A patto, naturalmente, che tale sensibilità venga coltivata da noi adulti. Da questa prospettiva, allora, il mondo adulto è spronato a fare di più, a fare di meglio ma insieme a loro.

Al termine del triangolare sono state donate alle tre squadre, tre piante di ulivo, con una pergamena celebrativa, di partecipazione alla partita del cuore, con lo scopo di curarle e piantarle nelle rispettive parrocchie, come ricordo dell’esperienza fatta insieme e di averla vissuta nel modo più positivo, proprio durante la Quaresima

Una serata che non ha visto nessuna sconfitta, ma solo vincitori con la speranza che diventi un appuntamento annuale e che si estenda sempre di più.

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19marzo 2015

Quaresima: quaranta giorni per preparare l’incontro con Gesù

Risorto. La comunità parrocchiale di Santa Maria delle Grazie in Marigliano ed il parroco don Pasquale Capasso stanno vivendo un’esperienza d’amore al servizio dei più bisognosi. Le catechiste che preparano i bambini di Prima Comunione hanno invitato i genitori ed i bambini del secondo anno di catechismo a dedicare un po’ del loro tempo ai più bisognosi. In parrocchia è attivo il servizio mensa dove ogni giorno, dal lunedì al sabato, i volontari della Caritas parrocchiale si adoperano per offrire un pasto caldo a tante persone bisognose. L’idea di fare esperienza di solidarietà e condivisione, offrendo un pranzo caldo anche nelle domeniche di Quaresima, è stata rafforzata dalla catechesi a cui le catechiste hanno partecipato per la propria formazione e proposte dall’ufficio diocesano.

Le parole di San Giacomo “La fede senza le opere è vana” e l’omelia del parroco durante la novena di San Sebastiano sull’opera di misericordia “dar da mangiare agli affamati “ hanno dato corpo al progetto: donare e donarsi agli altri non con il superfluo ma privandoci “del nostro”. Nelle domeniche di Quaresima i bambini avrebbero fatto esperienza diretta della condivisione fraterna. L’iniziativa è partita domenica otto marzo e si è ripetuta per le due domeniche successive. Le mamme si sono organizzate in due turni: il primo gruppo delle nove e trenta ha iniziato a pulire le sale e a cucinare; il secondo gruppo delle undici e trenta ha preparato i vassoi e servito a tavola. Man mano che si avvicinava l’ora del pranzo, i bambini, emozionati, aspettavano trepidanti l’arrivo degli ospiti i quali, di fronte ai bimbi che li accoglievano, sono

rimasti in un primo momento stupiti dalla novità poi il loro volto si è subito illuminato per la piacevole accoglienza. A turno hanno servito il pranzo augurando ad ogni commensale “buon appetito e buona domenica”, il tutto accompagnato da un sorriso. I bambini sono stati naturali nel servizio senza sentirsi imbarazzati nel trovarsi di fronte una persona meno fortunata e questo fa capire come abbiano ben compreso che Gesù è presente nel prossimo. I genitori sono rimasti talmente contenti dell’esperienza vissuta da offrire la loro disponibilità per altri momenti di servizio perché hanno riscoperto la bellezza del donare. Il tempo donato ha quindi permesso di mettere in pratica il comandamento di Gesù ”Ama il prossimo tuo come te stesso” con la consapevolezza che ogni cosa fatta ad uno solo dei nostri fratelli “più piccoli” è come se l’avessimo fatta a Gesù.

A Marigliano Quaresima di servizio per i genitori dei bambini del II anno di catechismo

FAMIGLIE IN MENSAdi Luigia Regina

in Parrocchia

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mensile della Chiesa di Nola

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21marzo 2015

Un principio particolarePer crescere nel dialogo è fondamentale una testimonianza che abbia la sua radice nella comunione

Poesia e preghiera, quale rapportoPresentato il testo della professoressa Raffaella Ammaturo

Storia di un successo possibileGiovani e lavoro: una start-up innovativa in provincia di Napoli

Scegliere nel tempo della velocitàIl più delle volte siamo chiamati decidere più che ad una astratta valutazione di ciò che è giusto

‘A Madonna v’accumpagna!La visita di Papa Francesco a Napoli

In Rubrica

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mensile della Chiesa di Nola

Per crescere nel dialogo è fondamentale una testimonianza radicata nella comunione

UN PRINCIPIO PARtICOLAREdi Paolo di Palo

I principi metodologici – per chi ha avuto la possibilità di leggere

l’articolo precedente pubblicato su questo giornale – sono necessari per un ulteriore passo in avanti e delineare un ultimo diverso profilo, in quanto operativo, ma importan-te per la crescita nella comunione, per articolare il dialogo, facendolo precedere, in modo parallelo, nei vari campi teorici e pratici, intel-lettuali e anche affettivi.

Un principio particolare è stato elaborato dalla Conferenza mon-diale della Commissione Fede e Costituzione del Consiglio ecume-nico delle Chiese, tenutosi a Lund (Svezia) nel 1952. Detto docu-mento afferma: «Crediamo che è volontà di Dio che noi siamo uniti e vediamo negli urgenti problemi e nelle disperate necessità di tutto il mondo moderno nuovi appelli e nuove opportunità per ascoltare la Parola unificante di Dio. Mentre facciamo raccomandazioni che speriamo realizzabili senza sollevare disaccordi di principio, riconosciamo che tutto il nostro lavoro comune è più o meno ostacolato dalle divisioni prodotte dai nostri disaccordi in materia di fede e costituzione. E tuttavia, nel movimento ecumenico che ha evidenziato i nostri disaccordi, ci siamo resi conto che esiste anche una ben definita area di unità e che lo Spirito Santo e la Parola di Dio ci hanno impegnati a unirci sempre più nel suo servizio. Facciamo queste raccomandazioni convinti che dovremmo fare insieme tutto ciò che può essere fatto insieme e fare separatamente solo ciò che deve essere fatto separatamente» (Lund 1952, Rapporto, n.1758).

L’intenzione del principio enun-ciato è molto forte, più di quanto possa emergere dalla sua stessa formulazione. È un invito pressan-te rivolto alle Chiese ad agire in-sieme, in quegli ambiti in cui sia possibile la testimonianza comune. È importante accettare di essere, nella vita quotidiana, testimoni dei valori del Regno – pace, giu-stizia, solidarietà – senza lasciarsi

vincere dalla lentezza, dalla indif-ferenza, dalla incertezza. Il prin-cipio ricorda che è fondamentale evitare una testimonianza che non abbia la sua radice nella comunio-ne, perché ciò scoraggia l’azione comune nel caso non sia stata rag-giunta una intesa e una conver-genza a livello dottrinale; questo produrrebbe un effetto deleterio perché la testimonianza potrebbe divenire ambigua ed incompleta.

Volendo, nella sua interezza, questo principio forte di comunio-ne ecumenica, potrebbe essere letto secondo la tradizione patri-stica della lex orandi – lex creden-di – lex agendi.

È un criterio, dunque, che tra-duce operativamente la comune testimonianza di fede esistente tra le diverse Chiese e invita ad esprime, nei fatti, i caratteri della koinōnía reale; inoltre, l’esperien-za, mostra che spesso alcuni osta-coli, che teoricamente sempre non possibili da superare, nell’agire comune possono facilmente essere superati, secondo il detto: «Solvi-tur ambulando», ossia procedendo insieme si trova la via della solu-zione.

Per questo esistono vari modi di tessere il dialogo. Il dialogo ecume-nico è in sé un tessuto di relazioni personali e anche istituzionali. Ci sono comunicazioni di esperienze e di anche principi teorici. Proprio per questo «è vivo» il Movimento ecumenico, perché emergono le priorità, le strategie, le metodolo-gie, le tecniche di relazione.

Tra le diverse tipologie di dia-logo, occorre evidenziare due in particolare: «il dialogo della vita» e il «dialogo teologico». Sono due modi che si intrecciano, anche se poi si distinguono relativamente al contesto, il quale consente di di-stinguere tra “locale” e “interna-zionale”.

Accanto a questa duplice realtà dialogale, ve ne è una terza, che è una dimensione di dialogo “inter-na” ovvero all’interno della pro-pria confessione cristiana, rispetto a quella interconfessionale.

Il «dialogo della vita» è intes-suto di partecipazione e di con-divisione della propria esperienza religiosa. I fratelli che dialogano, siano singoli che comunità, sono, spesso, molto distanti per comin-ciare un confronto a livello teo-logico o di principio, ma possono essere molto vicini nella percezio-ne dell’essenzialità della fede in quanto tale, nella condivisione del ruolo fondamentale di essa nella vita quotidiana e possono com-prendere – per via esperienziale, intuitiva, affettiva – la vita liturgi-ca e pastorale delle varie tradizio-ni religiose.

Il dialogo della vita, a livello individuale, si realizza spesso in contesti geo-culturali interconfes-sionali, e costituisce il motivo por-tante per essere ispirati e motivati per il dialogo teologico. Il dialogo della vita ci aiuta a “sondare” le possibilità, soprattutto nella fase iniziale, per un confronto sistema-tico, il cui fine è quello di crea-re un fondamento necessario ed esperienziale previo per inquadra-re un confronto teoretico.

Il dialogo teologico, invece, ci impegna ad affrontare le questio-ni che sono fondative della fede di ciascuna tradizione e la loro ar-ticolazione, il credo e la dottrina specifica di ciascuna confessione. È un dialogo speculativo a livello teoretico su questioni dottrinali, pur consapevoli che l’aggettivo “teologico” veicola un senso mol-to ampio, che comprende anche la riflessione e le iniziative etico e sociali nonché la prassi pastorale.

È il dialogo degli “esperti”, determinato nelle finalità e pro-grammato nel tempo, che mira alla chiarificazione delle varie po-sizioni teologiche, al fine di com-prendere ciò che è comune e le differenze, orientando il cammino verso l’impostazione di una tratta-zione nuova, condivisa delle que-stioni che, storicamente, hanno costituito motivi di divisioni e di scismi e che ancora oggi perman-gono come ostacoli gravi alla pie-na e visibile unità.

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23marzo 2015

in rubrica

Nel sorgere e nel diffondersi ogni libro porta con sé una storia.

Non sappiamo quali vie stia percorrendo il lavoro di Raffaella Ammaturo pubblicato qualche mese fa, a chi e con quali esiti esso si sia rivolto, ma un dato certo è tra le nostre mani, ossia il punto di partenza e la lunga gestazione di cui esso porta il segno.

Il libro “Fiabe poesie preghiere” è una sorta di approdo della sensibilità culturale molteplice e dell’attitudine comunicativa dell’autrice. Staccato dalla sua fonte personale, il testo non sarebbe ragioni di se; tre ante del testo che si richiamano tra di loro, non tre generi letterari che si ritrovano artificialmente insieme; un solo disegno estetico che unifica e concorre all’impianto di un messaggio aperto al vero e al bene.

Lo hanno ben colto le numerose persone che sono intervenute in due momenti di presentazione tenutisi, in successione, presso il tendone della fiera di San Gennaro Vesuviano e la Sala Consiliare di San Giuseppe Vesuviano.

Inedita presenza dei rispettivi sindaci delle due cittadine, a evidenziare che all’impegno socio-politico per il bene comune giova nutrirsi dei valori perenni dell’umanesimo. Di carattere colloquiale sono stati gli interventi competente da parte del prof. Gerardo Santella, del prof. F. Dura e di don Luigi Mucerino.

A fare da richiamo per l’esito

degli incontri non è stato tanto la pubblicazione in sé quanto la professoressa Ammaturo, inserita in un ampia rete di amici che spesso fanno l’esperienza conviviale della cultura e della ricerca. Si tratta di un libro speculare alla storia di Ammaturo, dotata di passione letteraria, di convinzioni e di interrogativi interiori alimentatisi per lungo tempo al pozzo della Pro Civitate Christiana, proverbiale per l’energia propositiva e l’atteggiamento pluralistico. Nel dedicare particolare attenzione alla parte del libro che contiene le preghiere, don Luigi ha illustrato la componibilità naturale tra poesia e preghiera. È un po’ troppo riferirsi a Dante e Manzoni, solo per fare qualche nome in modo fugace; possiamo oggi chiamare a testimoni le voci di Ungaretti, Luzi, Turoldo. In senso antropologico poesia e preghiera sono insieme libere attività dello spirito, manifestano il dinamismo creativo del singolo e la sua correlazione con il mondo che siamo e in cui viviamo. Risalta in modo immediato nell’ordine psicologico la loro affinità, perché hanno il comune segreto dell’immaginazione e del sentimento, dell’impulso interiore e dell’ansia di superamento. Notevole critico letterario Francesco Flora, qualche decennio fa poneva in evidenza i rari pregi poetici della Bibbia: arte e fede, che talora si specificano in poesia e preghiera, non si oppongono ma talora trapassano l’una

nell’altra in un processo vitale reversibile. Senza rimetterci alle tesi idealistiche di Schelling circa il particolare rapporto dell’arte con l’assoluto, è facile ammettere che sempre il credente, e spesso il poeta comunicano con l’assoluto. Le due espressioni estetiche, spiegherebbe Sant’Agostino, si riportano alla Bellezza, l’una con la fede e l’altra con la sensibilità sua propria. Comune alle due manifestazioni, poetica e orante, è lo spazio del silenzio, della comunicazione e nello stesso tempo dell’incomunicabilità. Al naturale compiacimento espressivo, al dialogo gratificante si congiunge la consapevolezza di essere impari, il senso dell’impossibilità come limite e come sorgente. Non è possibile negare il mistero, richiama in chiave laica il filosofo Norberto Bobbio; non diciamo del mistero cristiano in cui si immerge il credente. È facile allora mettere in rapporto poesia e preghiera. È molto più difficile precisare di quale poesia e soprattutto di quale fede si tratta. A nessuno sfugge che il mondo contemporaneo fa del pluralismo una pratica del tutto soggettiva, sganciata da ogni sponda oggettiva. La fede, e ancor più la religione, si disperdono in prospettive vaghe, impersonali, talora aggressive. Senza tema di concludere in modo retorico e sbrigativo annotiamo che Ammaturo ci attira felicemente verso i sentieri aperti di ispirazione cristiana.

Presentato il testo della professoressa Raffaella Ammaturo

POESIA E PREGhIERA, QUALE RAPPORtOdi Luigi Mucerino

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marzo 201524

mensile della Chiesa di Nola

Giovani e lavoro: una start-up innovativa in provincia di Napoli

StORIA DI UN SUCCESSO POSSIbILEdi Alfonso Lanzieri

Si chiama ‘Sophia high tech’. È una società che offre servizi

ingegneristici ad alto tasso tec-nologico. Nata da un anno e mez-zo circa, collabora con alcune delle più note aziende europee. È in crescita costante, assume per-sonale a tempo indeterminato. Il più vecchio - si fa per dire - dei dipendenti ha 33 anni.

No, non ci troviamo nella Si-licon Valley in California, né in Inghilterra o Olanda. Siamo in provincia di Napoli, e quella che raccontiamo è la storia di quat-tro giovani del sud che hanno in-seguito la loro passione. Il tutto inizia circa tre anni fa. Antonio Caraviello, di Torre Annunziata, è un giovanissimo ingegnere di 25 anni che dopo alcune esperienze lavorative ha trovato un contrat-to stabile in Germania, con un ot-timo stipendio.

Ora che ha una sicurezza la-vorativa sta anche pensando di sposare la sua fidanzata, di siste-marsi.

Lontano da casa, come moltis-simi della sua generazione. Fin qui sembra l’ennesimo episodio della triste saga “fuga di cervel-li” che in questi ultimi anni ha vi-sto il nostro paese come protago-nista. Poi succede qualcosa.

“Il lavoro era troppo routina-rio - racconta Antonio – e io ero un semplice cliccatore di mou-se. C’era poca inventiva, troppe scelte obbligate.

L’animo si annichiliva sempre di più. Volevo invece usare la creatività, quella tipica caratte-rista di noi partenopei. Non mi sentivo pienamente realizzato. Così chiamai alcuni miei amici che vivevano lo stesso disagio e in una chiacchierata su Skype è nata l’idea di creare ‘Sophia’. In verità, io e i miei soci il sogno di un’azienda tutta nostra ce lo portavamo dentro fin da quando eravamo studenti”

È stato difficile mollare tutto

e tornare in Italia?Certamente è stata una bella

scommessa, come qualcuno non mancò di sottolineare. Ma ho avuto sempre il pieno appoggio e una grande fiducia da parte della mia ragazza e della mia famiglia.

Cosa salvi della tua esperien-za all’estero?

Aver imparato bene l’inglese, ad esempio, mi dà ora una mar-cia in più nel mio lavoro. In più sono cresciuto tanto come uomo: quando sei solo all’estero, non conosci bene la lingua etc. anche una semplice influenza può di-ventare un problema serio.

E così impari a cavartela da solo.

Parlami un po’ della ‘Sophia high tech’. Quando nasce?

Sophia nasce nel luglio del 2013, la sede legale è a Poggio-marino ma quella operativa a Marcianise.

Di cosa vi occupate?La prima attività è il “testing”

di materiali compositi. Questi materiali possono offrire una se-rie di prestazioni di alto livello, riuscendo ad esempio a offrire al tempo stesso grande leggerezza e ottime caratteristiche mecca-niche.

Noi ci occupiamo di creare di-spositivi in grado di sperimentare e collaudare tali materiali. Que-sto tipo di servizio fa di Sophia una start-up fortemente innova-tiva: siamo i primi in Italia a for-nirlo. In secondo luogo, offriamo anche servizi di ingegneria: dal CAD al calcolo FEM, dalle simula-zioni al pc ai crash test.

Quanto siete cresciuti?All’inizio eravamo in quattro,

dottorandi in ingegneria dell’U-niversità di Napoli. Ora siamo in tredici più due tirocinanti, che speriamo possano un domani far parte dell’azienda. Tra i soci del-

la società ci sono anche due pro-fessori della Federico II.

All’inizio ogni impiegato aveva un contratto a progetto, adesso stiamo pian piano portando tutti verso il contratto a tempo inde-terminato.

Non ha senso, secondo noi, avere un dipendente precario. Meglio spendere qualcosa in più sul dipendente ma averlo a vita: la cosa più importante per noi è il capitale umano.

Qual è la vostra politica in ter-mini di assunzioni?

A noi interessa anzitutto forma-re le persone al nostro interno. Più che al curriculum, badiamo a gente che ha voglia di fare, che sa affrontare un rischio o un im-previsto; infatti abbiamo accolto nel nostro team anche giovani senza grande esperienza.

Noi investiamo tanto tempo – e quindi costo – sulla formazione delle persone, provando a tra-smettere loro un approccio dutti-le rispetto ai problemi.

Cosa consiglieresti ad un tuo coetaneo che vuole tentare la tua stessa strada?

Consiglierei di accerchiarsi di persone valide, che sappiano dare supporto nelle scelte, e anche di circondarsi di persone ottimiste, che sappiano ridere.

In più, è molto importante stringere partership con l’uni-versità: la vera conoscenza viene dalla ricerca, nulla si inventa più per caso. Il corredo tecnologico connesso ai prodotti è molto ele-vato e la differenza, in positivo, la fa uno studio a monte.

In terzo luogo: se potete, non fatevi prestare i soldi dalla ban-ca. Investite i vostri risparmi, come abbiamo fatto noi di Sophia: quanto più il rischio è proprio, tanto più ti sforzerai al massimo per far funzionare il progetto e ci saranno buone possibilità di riu-scita.

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25marzo 2015

in rubrica

Il più delle volte siamo chiamati decidere più che ad una astratta valutazione di ciò che è giusto

SCEGLIERE NEL tEMPO DELLA VELOCItàdi Pino Mario De Stefano

Itaca o il viaggio?Non vi affrettate, gentili let-

trici e lettori, a rispondere subito: Itaca e il viaggio! Perché ciò che sembra facilmente assemblabile in un “pacchetto” turistico non lo è, quasi mai, quando urgono le questioni importanti della vita.

Certe volte, come «recita-va» Kavafis, bisogna «sceglie-re» il viaggio, e accontentarsi di esso, godendone, sopportandone anche i timori, pur senza smette-re di «avere in mente Itaca».

Certe volte bisogna decider-si, adesso, per nuove “piccole” possibilità di diventare umani, senza attardarsi a pretendere tutto insieme.

Certe volte bisogna accettare anche di “fare” la verità un pezzo per volta, o, se si è saggi, di farsi “condurre” da essa, giorno per giorno, piuttosto che pretendere di “contenerla” nella propria bisaccia. Perché, è vero, la vita, ogni giorno, ci ammonisce, inascoltata, che “la veri-tànon è sempre disponibile a es-sere usata; occorrono le buone maniere dell’anima per maneg-giarla senza strapparla, o per gettarla addosso al prossimo sen-za protezione”, come, in modo suggestivo, scrive l’amica France-sca Frazzoli, nel suo romanzo “Le silenziose vie della Bellezza”.

In realtà, nella nostra esi-stenza, il più delle volte, sia-

mo chiamati a una “decisione”, più che ad una astratta e inter-minabile valutazione razionale di ciò che è giusto! E non è un caso se nelle grandi correnti spirituali dell’umanità l’appello alla deci-sione, “ora”, sembra talora pre-valere sull’analisi di ciò che va deciso.

Infatti, ci sono momenti nella vita in cui non è tanto importan-te fare “le cose giuste”, ma “fare qualcosa” che segni una direzio-ne e un senso. Anche perché, la gran parte di noi umani, quasi mai si trova di fronte all’alter-nativa giusto/ingiusto, ma piut-tosto davanti alla scelta urgente tra: più giusto/meno giusto.

E invece quante volte, nella nostra vita quotidiana, priva-ta o collettiva, ci sorprendiamo a lamentarci, “aspettando go-dot”, mentre sarebbe più uti-le cominciare a fare qualcosa, “qualsiasi cosa”? Quante volte, per esempio, ai cittadini che attendono dai loro rappresentanti decisioni concrete, adesso, molti “politici” si attardano a offrire solo l’attesa, sempre da rinviare, della «soluzione migliore»? O, ad-dirittura in ambito religioso, chi non si chiede come mai, di questi tempi, anche l›azione di un Papa intento a richiamare la sua Chiesa all›essenziale e all’urgenza delle scelte riformatrici, si scontri con-tinuamente con zelanti «custodi” di tradizioni, consuetudini e po-teri, occupati a fargli le pulci, proponendo, a gran voce, scelte ”più giuste”, non si sa bene per ”salvare” cosa?

In realtà a voler essere intellet-tualmente onesti, e questo senza scomodare Popper, bisognerebbe riconoscere che non sempre esi-ste ”la migliore soluzione” a un problema, anzi non sempre “la migliore soluzione” è quella da perseguire!

In primo luogo, perché «la mi-gliore soluzione», molto spesso, sa troppo di «soluzione definiti-va», «soluzione finale», assoluta e autoreferenziale, mentre sap-piamo che nella nostra vita, pri-vata e politica, abbiamo piutto-sto bisogno di poterci correggere, e correggere, confrontandole, le nostre soluzioni! Questo vale nel-la convivenza politica, ma anche nella vita privata, o di un gruppo, o di una comunità, o di una orga-nizzazione.

In secondo luogo, perché la maggior parte delle nostre deci-sioni, sono prese in contesti che non ci permettono lunghe anali-si delle alternative. Anzi spesso non esiste il tempo per nessuna valutazione, se non quella, qua-si automatica e per così dire «in tempo reale», frutto dell›istinto «umano», addestrato in millenni di tentativi ed errori, nel con-fronto con la vita!

E infine, perché ci sono mo-menti nella storia di una socie-tà, di uno stato, di una organiz-zazione, di una comunità, di un individuo, in cui non è prioritario fare “la” scelta «ottimale». Ma fare, adesso, “una scelta”. Una “ragionevole” scelta. Ci sono momenti, e quello attuale è uno di essi, in cui è più importante e necessario fare, ora, un passo “oltre”, cambiare qualcosa, di-mostrare a sé e ad altri che è pos-sibile cambiare qualcosa, piuttosto che cercare “il” cambiamento ottimale. Anzi, certe volte, para-dossalmente, (e la storia ci offre molti esempi a questo proposi-to) è preferibile una «cattiva» soluzione a nessuna soluzione.

In certi momenti, abbiamo so-prattutto bisogno di «sapere» che la Storia è ancora nelle nostre mani, e che non siamo in balia del «fato», di un «mostro» che ripro-duce se stesso senza alternative.

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marzo 201526

mensile della Chiesa di Nola

La visita di Papa Francesco a Napoli

‘A MADONNA V’ACCUMPAGNA!di Antonio Averaimo

Una visita densa di appunta-menti e di significati, quella di

Papa Francesco a Napoli. Con una vicinanza tutta particolare alle fasce più emarginate della socie-tà, come i giovani disoccupati, i detenuti, gli ammalati e i disabili. La giornata di Francesco in terra partenopea è iniziata poco prima delle 8 di mattina, a Pompei. Il Pontefice è atterrato in elicotte-ro nell’area meeting del santua-rio, ha percorso su una jeep sco-perta la piazza gremita di fedeli, poi si è recato nella basilica per rendere omaggio alla Vergine del Rosario. All’uscita della chiesa, ha rivolto poche parole alla fol-la: “Abbiamo pregato la Madonna perché ci benedica tutti”. Infine, ha saluto con un “grazie tante e a presto”, che lascia sperare in un imminente ritorno nella città mariana. Il secondo appuntamen-to della giornata napoletana del papa è stato Scampia, emblema dello strapotere della crimina-lità organizzata in Campania. In mezzo ad un tripudio di bandie-rine, il Santo Padre ha intrapreso il percorso in “papamobile” verso il palco eretto nel cuore del quar-tiere. L’arcivescovo di Napoli, il cardinale Crescenzio Sepe, che ha accolto il Pontefice argentino insieme con il governatore del-la Campania, Stefano Caldoro,

ed il sindaco di Napoli, Luigi De Magistris, lo ha così ringraziato: “Grazie per essere venuto. An-che i ciechi mi dicevano: voglia-mo vedere il Papa. Lei parla il linguaggio del cuore, quello che capiscono i napoletani. Lei toc-cherà con mano una realtà bel-la, meravigliosa ma ferita, un po’ dolente per la criminalità mala-vitosa e camorristica. Ma qui - ha assicurato il prelato - c’è l’impe-gno delle nostre parrocchie”. La risposta del Papa: “Ringrazio il vostro arcivescovo che mi ha ‘mi-nacciato’ se non fossi venuto a Napoli. La vita a Napoli non è mai stata facile, ma non è mai stata triste”. Sui problemi del mondo del lavoro: “Un segno negativo del nostro tempo è la mancan-za del lavoro per i giovani”, ha ammonito. “Che futuro ha - ha incalzato il Pontefice - un giova-ne senza lavoro e che strada di vita sceglie?”. Alle 10,40, l’arrivo in una piazza Plebiscito gremita all’inverosimile. Alle 11 e 10, ha preso inizio la messa. L’omelia ha toccato forti accenti sociali: “A voi giovani dico: non cedete alle lusinghe di redditi disonesti, rea-gite con fermezza alle organizza-zioni che sfruttano e corrompono i poveri e i deboli con il cinico commercio della droga e altri crimini. Non lasciatevi rubare la

speranza! È tempo di riscatto per Napoli!”. Un appello alle persone dedite al crimine: «Ai delinquen-ti e a tutti i loro complici umil-mente, come fratello, ripeto: convertitevi all’amore e a alla giustizia, lasciatevi trovare dalla misericordia di Dio. Siate consa-pevoli che Gesù vi sta cercando per amarvi di più”. Tappa crucia-le della visita a Napoli, quella al carcere di Poggioreale. Il Ponte-fice ha detto ai detenuti: “Nel-la vita non bisogna preoccuparsi delle cadute, l’importante è sa-persi rialzare. Neanche le sbarre di un carcere possono separare dall’amore di Dio”. Francesco ha pranzato con una rappresentan-za dei detenuti nella chiesa del penitenziario. Tra i suoi commen-sali, anche alcuni transessuali e malati di Aids. Nell’attesa tappa al Duomo, la tanto sperata lique-fazione del sangue di san Genna-ro è avvenuta solo a metà. Il Papa ci ha scherzato su: “Significa che il Santo ci sta chiedendo di im-pegnarci di più”. Ultimo appun-tamento sul Lungomare vestito a festa. Francesco ha parlato per circa mezz’ora, rispondendo alle domande dei fedeli. Infine, si è congedato con un “ ‘a Madon-na v’accumpagna!”, ripreso pari pari dall’ormai famoso saluto ai napoletani del cardinale Sepe.

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27marzo 2015

Domenica 19 aprile si celebra la 91a Giornata per l’Università Cattolica I giovani al centro dell’Italia che verrà

L’Università Cattolica del Sacro CuoreVoluto dai cattolici italiani, l’Ateneo è stato fondato a Milano nel 1921 da padre Agostino Gemelli. Ha 5 campus: Milano, Roma, Brescia, Piacenza e Cremona. La più grande università cattolica nel mondo conta ben 12 facoltà, circa 41mila studenti provenienti da tutta Italia e dall’estero, e più di 1.400 docenti. La ricerca scientifica – articolata su 46 istituti, 25 dipartimenti, 76 centri di ricerca, oltre a 5 centri di ateneo – ha lo scopo di studiare le questioni cruciali del vivere e del convivere: le nuove frontiere dell’economia e della bioetica, il recupero e la valorizzazione dei beni culturali, le trasformazioni nel campo del diritto, le dinamiche familiari, il fenomeno dei mass media, l’evoluzione dei sistemi po-litici, i traguardi della medicina, le applicazioni tecnologiche della matematica e della fisica e le più recenti scoperte nella ricerca ambientale. A ciò si aggiunge la realtà del Policlinico Gemelli, collegato alla Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Cattolica di Roma. «L’Università Cattolica - afferma il Rettore, prof. Franco Anelli, nell’Appello per la 91a Giornata - impegnata da quasi un secolo nel coltivare i talenti delle nuove generazioni, rinnova il suo sforzo nell’ac-cogliere ed educare gli studenti attraverso il costante aggiornamento dell’offerta formativa e della ricerca scientifica. In questa prospettiva vengono continuamente pensati ed attivati nuovi corsi di laurea e master, si intensificano le rela-zioni con il mondo delle imprese, delle professioni e della pubblica amministrazione e vengono rafforzate le relazioni internazionali […]. Seppure in un contesto economico sfavorevole, l’Università è riuscita nell’ultimo anno a supplire ai pesanti tagli delle risorse pubbliche per il diritto allo studio, sostenendo con borse di studio 864 giovani meritevoli».(a cura dell’Istituto Giuseppe Toniolo, Ente fondatore dell’Università Cattolica )

La Giornata per l’Università Cattolica, promossa ogni anno dall’Istituto Toniolo in tutte le parrocchie, ha permesso di raccogliere nel 2014 € 602.534,68, con cui abbiamo realizzato:- 127 borse di studio- 58 incontri e seminari nelle diocesi italiane- 32 studenti che usufruiscono di contributi di solidarietà- 240 beneficiari di corsi per operatori di consultori familiari a livello nazionale- 41 borse per scambi internazionali ed esperienze di volontariato nel sud del mondo- 485 borse per corsi di lingue e alta formazione per gli studenti dei collegi dell’Università- 3500 ragazzi di tutta Italia coinvolti in proposte didattiche e iniziative di orientamento- 5.073 giovani tra i 18 e i 29 anni coinvolti per l’indagine “Rapporto Giovani”

Con le offerte della Giornata Universitaria 2015, vorremmo anche essere presenti nelle situazioni di emergenze in-ternazionali con borse di studio per giovani cristiani del Medio Oriente e sostenere l’impegno diplomatico della Santa Sede nelle organizzazioni internazionali, attraverso borse di studio per tirocini formativi a Ginevra, Parigi, Vienna e in altre sedi.

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La vita canta la Pasqua“Cristo, mia speranza, è risorto!

Sì, ne siamo certi: Cristo davvero è risorto”

È un segno pasquale riconciliarsi con le persone che ci hanno ferito.È un segno pasquale chiedere perdono per gli errori fatti a danno degli altri.È un segno pasquale impegnarsi per riconoscere dignità ai deboli, agli oppressi, agli emarginati.È un segno pasquale rinunciare all’orgoglio per favorire la comunione. È un segno pasquale lavorare con one-stà, coscienza e professionalità.È un segno pasquale studiare con passione.È un segno pasquale offrire i propri talenti a servizio del bene comune. È un segno pasquale rispettare il Crea-to.È un segno pasquale la sobrietà nei consumi e nei gesti.È un segno pasquale mettere al centro della propria vita le relazioni con gli altri. È un segno pasquale essere veri uomini e vere donne tutti i santi giorni.

Carissimi amici, Pasqua non è un giorno cerchiato in rosso nel calendario. Non è, non può essere solo un rito, una funzione, una bella celebrazione, una liturgia ben organizzata che resta lì, senza alcun legame con la vita concreta. La Pasqua è lo stile di vita cui ci chiama la nostra fede. La Pasqua è l’impegno ordinario a sentir-ci dei risorti, e non dei morti viventi.Ci sono dei segni concreti che mostrano come la Pasqua abbia invaso la nostra vita. Non sono segni eclatanti. Non sono atti eroici né che finiranno sulle pagine dei giornali o sui libri di storia. Sono segni che, semplicemente, esprimono fino in fondo la nostra più profonda umanità.Quando al nostro ordinario mancano i gesti concreti, vuol dire che la Speranza non si è impossessata di noi. Senza scelte quotidiane positive e rivolte all’altro, ci consegniamo ad un grigiore che è quasi peggio delle tenebre. Perché la Luce può essere riconosciuta nel buio più profondo, mentre è difficile percepirla su scenari incolori. Abbiamo bisogno dei segni perché altrimenti la Croce resta solo un pezzo di legno cui aggrap-parsi più per superstizione che per fede. Abbiamo bisogno dei segni, altrimenti la dirompente forza di un Dio che ha vinto la morte resta imbrigliata dalla mediocrità delle nostre vite da “sei politico”.Cosa ci chiede Gesù per dare senso al suo sacrificio? Non incenso, se non accompagnato dal dono di se stessi. Non serve battersi il petto né intonare solenni litanìe, se queste non sono accompagnate da una profonda compassione per le persone che ci circondano. Gesù ci chiede di orientare la nostra vita alla ricerca del bene, del giusto, del vero, del bello. E di “sminuzzare” questa scelta di fondo nelle azioni più comuni della vita quotidiana. Che Pasqua siamo, se il nostro collega a lavoro non vede in noi un amico con il quale condividere le cose più importanti e difficili? Che Pasqua siamo, se dalle nostre labbra non partono parole di pace, rispet-to e reciproca comprensione? Che Pasqua siamo, se ciò che conta per noi è solo incassare il massimo bene per sé, mettendo in secondo piano gli affetti, gli amici, le relazioni con l’altro, con la comunità, con la città?Non vanifichiamo, non banalizziamo questo tempo di grazia riducendolo ad una suggestiva sceneggiatura religiosa. Assumiamo impegni semplici ma seri per umanizzare la nostra vita, le nostre relazioni, gli am-bienti in cui ci troviamo. Cerchiamo di non essere compiacenti verso noi stessi, non troviamo facili alibi nel contesto culturale, sociale ed economico. Mettiamoci in discussione. Confrontiamoci con i segni di libertà che Cristo Risorto reclama da noi per non lasciar inaridire i nostri cuori e i cuori di chi ci è a fianco.L’uomo ha bisogno di Dio, è quasi un istinto a lui connaturato. Ma il bisogno di Dio non basta per animare una vita credente. L’uomo ha dentro di sé anche una domanda di cui ha meno consapevolezza: vuole dare un senso, un senso di bene, alla propria vita. Il Risorto è il Volto di Dio che si rivela pienamente all’uomo e ne soddisfa la sete di infinito, ma allo stesso tempo è un impegnativo Progetto di vita che interpella i gesti quoti-diani.“Buona Pasqua”, dunque, vuol dire “illuminate il mondo con i vostri segni di bene”. È questo l’augurio che faccio a ciascuno di voi, alle vostre famiglie, alle comunità parrocchiali e civili: non abbiate paura di acco-gliere fino in fondo la novità della Resurrezione.

Pasqua di Resurrezione 2015 + Beniamino Depalma