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1 Sede Amministrativa: Università degli Studi di Padova Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale “Gino Patrassi” SCUOLA DI DOTTORATO DI RICERCA IN SCIENZE MEDICHE CLINICHE E SPERIMENTALI. INDIRIZZO: EPATOLOGIA CLINICA CICLO XXIII Tesi di Dottorato TERMOABLAZIONE PERCUTANEA ECOGUIDATA DI LESIONI NEOPLASTICHE EPATICHE PRIMITIVE E SECONDARIE CON UN NUOVO DISPOSITIVO A MICROONDE: RISULTATI CLINICI PRELIMINARI. Direttore della Scuola: Ch.mo Prof. Gaetano Thiene Coordinatore d’indirizzo: Ch.mo Prof. Angelo Gatta Supervisore: Ch.mo Prof. Liliana Chemello Dottorando: Dott. Mauro Mazzucco Gennaio 2011

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Sede Amministrativa: Università degli Studi di Pado va

Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale “Gi no Patrassi”

SCUOLA DI DOTTORATO DI RICERCA IN SCIENZE MEDICHE C LINICHE E

SPERIMENTALI. INDIRIZZO: EPATOLOGIA CLINICA

CICLO XXIII

Tesi di Dottorato

TERMOABLAZIONE PERCUTANEA ECOGUIDATA DI LESIONI NEO PLASTICHE

EPATICHE PRIMITIVE E SECONDARIE CON UN NUOVO DISPOSITIVO A

MICROONDE: RISULTATI CLINICI PRELIMINARI.

Direttore della Scuola: Ch.mo Prof. Gaetano Thiene

Coordinatore d’indirizzo: Ch.mo Prof. Angelo Gatta

Supervisore: Ch.mo Prof. Liliana Chemello

Dottorando: Dott. Mauro Mazzucco

Gennaio 2011

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RIASSUNTO

Termoablazione percutanea ecoguidata di lesioni neo plastiche epatiche

primitive e secondarie con un nuovo dispositivo a m icroonde: risultati clinici

preliminari.

OBIETTIVI DELLO STUDIO Le tecniche di termoablazione percutanea sono diventate sempre più popolari ed utilizzate negli ultimi anni come opzione sicura ed efficace per il trattamento delle neoplasie primitive e secondarie del fegato non resecabili.

L’ablazione con microonde (MWTA) è una nuova promettente metodica in grado di ottenere aree di necrosi più ampie e in tempi più rapidi rispetto all’ablazione con radiofrequenza (RFTA), superando le limitazioni tecniche di quest’ultima metodica. In questo lavoro vengono riportati i risultati preliminari della termoablazione con microonde dei tumori primitivi e secondari epatici ottenuti con una nuova antenna coassiale.

MATERIALI E METODI Sono state trattate 83 lesioni epatiche non resecabili (53 HCC, 5 colangiocarcinomi intraepatici, 25 metastasi da tumori gastroenterici) in 64 pazienti (età media 68.9 anni, range 41-87, maschi 39). Il diametro medio delle lesioni era di 26.6 mm (range 8-73 mm); 33 lesioni avevano diametro > 30 mm. E’ stato usato un nuovo generatore da 2450 MHz e potenza massima di 70 Watt (AMICA GEN; Hospital Service) connesso ad un’antenna coassiale da 16 o 14 gauge dotata di un dispositivo miniaturizzato inserito nell’ago, detto minichoke, in grado di ridurre l’energia riflessa e di aumentare le dimensioni e la sfericità delle aree di necrosi. L’inserzione dell’ago-antenna avveniva sotto guida ecografica in analgo-sedazione. Una TC con m.d.c. è stata eseguita dopo 30 giorni dalla termo ablazione e quindi ogni 3 mesi per la valutazione dell’efficacia terapeutica.

RISULTATI La necrosi completa, valutata con TAC con m.d.c., è stata ottenuta in 66 lesioni (89.2%) e necrosi parziale (>90% dell’area neoplastica) nel 5.4% dei casi dopo la prima procedura; necrosi parziale (>50%) si otteneva nel restante 5.4% dei casi. Dopo un secondo trattamento la percentuale di successo è risultata del 93.2% (69/74 lesioni controllate). Complicanze minori sono state: 3 versamenti pleurici reattivi risolti spontaneamente. In 1 paziente dopo inserzione intercostale difficoltosa dell’ago si è avuto un distacco parcellare della punta dell’ago. Complicanze maggiori: 2 casi di emoperitoneo di grado lieve risolti solo con terapia medica e 1 biloma che ha richiesto il drenaggio percutaneo.

CONCLUSIONI Nella nostra esperienza il nuovo sistema a microonde per l’ablazione dei tumori primitivi e secondari del fegato si è dimostrato efficace e sicuro capace di creare aree di necrosi ampie.

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ABSTRACT Percutaneous US guided thermoablation of primary an d metastatic hepatic tumor lesions with a new microwaves device: prelimi nary clinical results

BACKGROUND Thermal ablative techniques have gained increasing popularity in recent years as a safe and effective options for patients with unresectable solid malignancies. Microwaves ablation (MWTA) has emerged as a relatively new technique with the promise of larger and faster ablation area without some of limitations of radiofrequency thermal ablation (MWTA). Here we report our preliminary results on feasibility and effectiveness of thermal ablation of primary and metastatic tumor lesions with a new coaxial antenna for microwave.

MATERIALS AND METHODS We treated 83 hepatic unresectable lesions (53 HCC, 5 intrahepatic cholangiocarcinoma, 25 metastases from gastroenteric cancer) in 64 patients (mean age 69.8 years; range 41-87 years; 39 males). Mean diameter of the lesions was 26.6 mm (range 8-73 mm, sd 13 mm); thirty-three lesions had diameter greater than 30 mm. We used a microwave generator (AMICA-GEN; Hospital Service) connected to a 14 or 16 gauge coaxial antenna working at 2450 MHz and endowed with a miniaturized sleeve choke in order to reduce back heating effects and increase the sfericity of the area of necrosis. The needle was placed into target lesions under US guidance. The interventional procedure was carried out in general anesthesia without intubation. Contrast enhanced CT was carried out 30 days after thermal ablation, and then every three months to assess therapeutic efficacy.

RESULTS Complete necrosis as assessed at contrast enhanced CT scan was achieved in 66 lesions (89.2%) and partial necrosis (>90% of neoplastic area) in 5.4% of cases after a single session; partial necrosis (>50%) in 5.4% of lesions. After a second session success rate was 93.2% (69/74 controlled lesions). A self-limited pleural effusion occurred in three patients while one patient required repeated thoracentesis for relapsing effusions. In one patient the needle tip has broken during a difficult insertion through the intercostals space without any complications. In two patients the procedure was complicated by the occurrence of self-limited haemoperitoneum while in one patient a biloma required percutaneous drainage . During the follow-up (median 6 months) no deaths, or other complications occurred.

CONCLUSIONS: In our experience the new tested device for microwaves ablation of primary and metastatic tumor lesions has proven to be an effective and safe percutaneous ablative method capable of producing large area of necrosis.

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CAPITOLO 1

NEOPLASIE MALIGNE DEL FEGATO

1.1 Epidemiologia ed eziologia

Il fegato rappresenta una sede molto frequente di neoplasie, sia primitive che

secondarie. I tumori primitivi sono rappresentati prevalentemente

dall’epatocarcinoma, neoplasia maligna che origina dagli epatociti. Esso tende a

colpire il sesso maschile quattro volte più frequentemente rispetto al sesso femminile

e si colloca al quinto posto per incidenza e al quarto per mortalità tra tutti i tumori

maligni, con un picco nelle regioni dell’Asia e dell’Africa sub-sahariana, dove

raggiunge un’incidenza di 500 casi/100.000 abitanti/anno; risulta invece essere molto

meno frequente nei paesi occidentali, dove l’incidenza, seppur in aumento negli

ultimi decenni, è intorno ai 2,4 nuovi casi/100.000/anno.¹ Le ragioni di tale

discrepanza vanno ricercate nella patogenesi dell’epatocarcinoma: oltre l’85% dei

casi si verifica infatti nei Paesi con alti tassi di infezione cronica da virus dell’epatite

B, principale agente eziologico di tale neoplasia. In queste aree, lo stato di portatore

di HBV inizia nel periodo infantile con la trasmissione verticale del virus da parte di

madri infette, fatto che conferisce nell’età adulta un rischio di HCC aumentato di 200

volte. Nei paesi occidentali dove l’HBV non è prevalente, l’HCC si sviluppa in oltre il

90% dei casi su un fegato cirrotico, di solito nel contesto di altre malattie epatiche

croniche, in particolare in pazienti affetti da infezione cronica da HCV. Sulla base

della frequenza conosciuta di cirrosi HCV correlata nelle popolazioni del mondo

occidentale, si prevede che l’incidenza di nuovi casi di HCC aumenterà di oltre 250

volte nella prossima decade.

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Come accennato in precedenza, complessivamente la causa principale

dell’epatocarcinoma è rappresentata dall’infezione da parte di HBV; tale virus

possiede potere oncogeno diretto, è infatti in grado di integrare il proprio genoma nel

Dna dell’ospite, inducendo modificazioni nell’espressione di geni che, con il passare

degli anni, possono portare a proliferazione cellulare aberrante. Il genoma di HBV,

infatti, codifica per un elemento regolatore, la proteina X, che funge da attivatore

della trascrizione di molti geni; si suppone che nella cellula epatica infettata dal virus,

tale proteina possa alterare i normali meccanismi di controllo della crescita cellulare

attivando proto-oncogeni della cellula ospite e sopprimendo il controllo del ciclo

cellulare.² Meno chiaro è invece il meccanismo attraverso cui è implicato nella

cancerogenesi l’altro virus epatitico, HCV. Presumibilmente esso agisce

indirettamente, inducendo un’infiammazione cronica con conseguenti cicli di morte

cellulare e rigenerazione che predisporrebbero all’insorgenza e accumulo di

mutazioni potenzialmente maligne. In generale, qualsiasi agente o fattore che causi

un danno epatocellulare cronico di entità ridotta e stimoli la mitosi rende il Dna degli

epatociti più suscettibile ad alterazioni genetiche; pertanto, ogni tipo di epatopatia

cronica rappresenta un fattore di rischio e predispone all’insorgenza dell’HCC.

Qualunque ne sia la causa, la cirrosi, condizione caratterizzata da fibrosi e noduli

rigenerativi con completo sovvertimento strutturale del parenchima epatico, è da

considerarsi il principale substrato istopatologico dell’HCC; è stato calcolato che il

rischio che si sviluppi un carcinoma epatocellulare in un paziente cirrotico è circa del

3 % su base annuale. Oltre che ai virus epatitici, che rendono conto della stragrande

maggioranza dei casi di epatocarcinoma, la cirrosi e, conseguentemente l’HCC,

possono associarsi a numerose altre condizioni, quali l’emocromatosi, il deficit di α1-

antitripsina, la malattia di Wilson, la tirosinemia, la cirrosi biliare primitiva e ,

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soprattutto, l’abuso di alcool; altri possibili fattori eziologici sono rappresentati dalle

epatiti autoimmuni e le condizioni di insulino-resistenza, come il diabete mellito, la

steatoepatite non alcolica (NASH) e la patologia del fegato grasso non alcolico

(NAFLD). Altra associazione eziologica importante è stata individuata con alcuni

contaminanti alimentari, in particolare l’aflatossina β, che si ritrova nelle granaglie e

nelle arachidi “ammuffite”, soprattutto in alcune regioni dell’Africa e nella Cina

meridionale; questa micotossina sarebbe in grado di indurre una specifica mutazione

G-T nel codone 249 del gene oncosoppressore p53. Curiosamente, invece, il

consumo di caffè sembrerebbe in grado di ridurre il rischio di HCC.³

Fig 1 : fasi di sviluppo dell’HCC: A-fegato sano B-cirrosi C-HCC (immagine modificata da www.tumorifegato.it)

A B

C

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Esiste poi una variante particolare di carcinoma epatocellulare, definito

fibrolamellare. Esso tende a comparire in giovani adulti, mediamente tra i 20 e i 40

anni d’età, con la medesima frequenza nei due sessi, non associato ad HBV o

cirrosi; i fattori eziologici implicati nella genesi di tale variante non sono ancora stati

chiaramente identificati.

Dopo l’HCC, il tumore primitivo epatico più frequente è rappresentato dal

colangiocarcinoma, neoplasia che origina dall’epitelio delle vie biliari intra- o, più

comunemente, extra-epatiche. Anch’esso colpisce più frequentemente il sesso

maschile (60% dei casi) e mostra un’incidenza massima tra il quinto e il settimo

decennio di vita; da alcuni studi emerge che l’incidenza e la mortalità delle forme

intra-epatiche sono in crescita in tutto il mondo 4-5-6, mentre quelle dei tumori

extraepatici risultano in lieve diminuzione6.

Sono stati individuati diversi fattori di rischio per tale neoplasia, come le

malformazioni congenite dell’albero biliare, la colangite sclerosante, la colelitiasi,

alcune infezioni parassitarie, in particolare da parte di Clonorchis sinensis, la

papillomatosi biliare, l’esposizione professionale ad agenti cancerogeni (come nel

caso di lavoratori della gomma e addetti agli impianti di produzione delle automobili)

e, infine, fattori genetici. Un’infezione cronica delle vie biliari è il denominatore

comune di tali condizioni: pare che questo background infiammatorio agisca nel

promuovere la carcinogenesi in associazione con alcuni costituenti della bile, in

grado di attivare una molecola anti-apoptotica, definita proteina1 della leucemia

mieloide.7 Gli aspetti istomorfologici della cancerogenesi biliare sembrerebbero

indicare che la sequenza metaplasia-displasia-carcinoma, ben nota nello sviluppo del

tumore del colon-retto, potrebbe essere valida anche per il colangiocarcinoma.8

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Come detto in precedenza, l’HCC risulta particolarmente diffuso in Asia e nelle

regioni dell’Africa sub sahariana, mentre è piuttosto raro nelle aree occidentali, dove

la maggior parte delle neoplasie epatiche sono invece di tipo secondario, con

un’incidenza oltre venti volte superiore rispetto all’epatocarcinoma primitivo. Il fegato

rappresenta la più frequente sede di metastatizzazione per via ematica grazie alla

combinazione di diversi fattori, quali le sue dimensioni, il suo elevato tasso di

perfusione, la doppia vascolarizzazione fornita sia dalla vena porta che dall’arteria

epatica, e la presenza di fattori tissutali locali e particolari caratteristiche delle

membrane endoteliali che sono in grado di favorire l’impianto metastatico.

Potenzialmente tutte le neoplasie sono in grado di dare localizzazioni epatiche,

anche se le sedi primitive più comuni sono rappresentate dall’apparato

gastroenterico, il polmone, la mammella e il melanoma.

1.2 Caratteristiche cliniche

L’identificazione di un epatocarcinoma in stadio precoce su base puramente clinica è

spesso molto difficile, infatti, insorgendo su un fegato solitamente già alterato, la

sintomatologia tende a sovrapporsi a quella della sottostante cirrosi. Nella maggior

parte dei casi la presentazione clinica è silente; meno frequentemente vi può essere

dolore, solitamente in presenza di una massa addominale palpabile in ipocondrio

destro; a volte, in corrispondenza del fegato, si può avvertire un crepitio o un rumore

di sfregamento. In circa il 20% dei casi è presente un’ascite emorragica, mentre

l’ittero è piuttosto raro, a meno che non vi sia un importante deterioramento della

funzione epatica o un’ostruzione meccanica dei dotti biliari; quest’ultima si verifica più

tipicamente nel colangiocarcinoma dei dotti extraepatici, che si presenta dunque con

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i classici segni di colestasi: ittero, urine ipercromiche, feci ipo/acoliche, prurito,

malessere e perdita di peso. Una piccola percentuale di pazienti con epatocarcinoma

può manifestare una sindrome paraneoplastica: può essere presente eritrocitosi,

legata ad un’attività simil-eritropoietinica del tumore, o ipercalcemia da secrezione di

PTHrP (parathormone-related petide); altre possibili manifestazioni sono

rappresentate da ipercolesterolemia, ipoglicemia, polimiosite, porfiria acquisita,

criofibrinogenemia, disfibrinogenemia e diarrea associata al peptide vasoattivo.

L’evoluzione naturale dell’HCC consta nel progressivo allargamento della massa

primitiva fino a quando non altera la funzione epatica o metastatizza, in genere prima

ai polmoni e poi in altre sedi. In generale, la morte può avvenire per cachessia,

emorragia gastrointestinale o da varici esofagee, insufficienza epatica con coma

epatico o, raramente, rottura del tumore con emorragia fatale.

Ancora più ardua è l’individuazione delle neoplasie epatiche secondarie: esse

tendono infatti ad essere asintomatiche e vengono prevalentemente scoperte nel

corso della valutazione clinica di pazienti con sintomi riferibili al tumore primitivo. In

caso di interessamento epatico diffuso si potranno rilevare epatomegalia, alterazioni

della consistenza dell’organo e rumori di sfregamento, eventualmente associati a

segni di malattia epatica attiva quali dolore addominale e ascite; è piuttosto comune il

riscontro di sintomi sistemici quali astenia, anoressia, calo ponderale e febbre, che

però risultano essere estremamente aspecifici.

1.3 Diagnosi

La diagnosi di epatocarcinoma si basa sulla combinazione di dati clinici,

laboratoristici, strumentali e anatomopatologici.9 L’ accertamento diagnostico e la

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valutazione dell’estensione tumorale sono fondamentali per la gestione del paziente.

Le tecniche di diagnostica per immagini utilizzate nella identificazione delle neoplasie

epatiche sono l’ecografia, la TC, la RM e l’angiografia dell’arteria epatica. L’ecografia

viene frequentemente utilizzata per lo screening di popolazioni ad alto rischio e

dovrebbe essere eseguita come prima indagine nel sospetto di neoplasia. Tuttavia il

fegato cirrotico presenta noduli rigenerativi e noduli displastici che, ad una classica

ecografia, possono risultare indistinguibili da piccoli HCC. Molto importante ai fini di

una diagnosi differenziale diventa la valutazione dell’apporto vascolare alla lesione:

durante la progressione da displasia di basso grado a displasia di alto grado e infine

HCC precoce, si assiste allo sviluppo di nuove arterie che forniscono il principale

apporto di sangue alla lesione;10 questa neoangiogenesi determina peculiarità

nell’assunzione del mezzo di contrasto e permette quindi la diagnosi strumentale di

epatocarcinoma. Un protocollo standard per l’HCC dovrebbe includere una TC senza

mezzo di contrasto e una con mezzo di contrasto per lo studio delle fasi arteriosa,

portale-venosa e tardiva; è stato dimostrato che, in mani esperte, anche un’ecografia

con mezzo di contrasto può essere utilizzata per confermare la diagnosi di HCC; in

questo caso, il tumore evidenzierà un’ imponente impregnazione in fase arteriosa (in

15-30 s dopo la somministrazione del mezzo di contrasto), seguita da un rapido

wash-out, con aspetto iso- o ipoecogeno nelle fasi portale e ritardata. A differenza di

molte altre è possibile porre diagnosi di HCC in un fegato cirrotico mediante tecniche

non invasive (imaging e alfa-fetoproteina), anche se l’identificazione di masse di

piccole dimensioni, <2 cm, risulta estremamente complessa;11-12 ciò rappresenta un

problema rilevante data la diffusione dei programmi di follow up in pazienti

epatopatici. In caso di lesioni molto piccole, inferiori a 1 cm di diametro, gli esperti

suggeriscono la misurazione dell’ AFP e un controllo strumentale a intervalli di tre

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mesi; per lesioni tra 1 e 2 cm o con caratteristiche atipiche all’imaging, bisognerebbe

prendere in considerazione l’analisi anatomo-patologica della massa.13-14 (Fig.2)

La scelta di effettuare una biopsia deve essere sempre valutata con attenzione, in

quanto trattasi di una procedura gravata da possibili complicanze molto significative,

in particolare sanguinamenti e seeding, ossia la disseminazione di cellule

neoplastiche al di fuori della capsula epatica, nei tessuti sottocutanei o nella cavità

peritoneale, in seguito ad una procedura percutanea. E’ stato stimato che il rischio di

seeding in seguito a biopsia epatica vari tra 0 e 11%,15 risultando particolarmente

elevato in caso di biopsie percutanee di lesioni localizzate in sede sottocapsulare.

Fig. 2 Algoritmo diagnostico dopo riscontro ecografico di lesione focale durante la sorveglianza dei pazienti con cirrosi epatica (AASLD Bruix J. And Sherman M.)

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Sono stati dunque stabiliti dei criteri per identificare le situazioni nelle quali non vi è

necessità di biopsia: 1) pazienti non candidati ad alcun tipo di terapia a causa di

severe comorbidità; 2) pazienti con cirrosi scompensata già in lista d’attesa per un

trapianto; 3) pazienti candidati per una resezione epatica che possa essere eseguita

con un rischio di morbilità e mortalità accettabili.

Raramente, al fine di stabilire una diagnosi corretta, è necessario ricorrere alla

laparoscopia o alla minilaparotomia, con biopsia epatica a cielo aperto; questo

approccio diretto presenta l’ulteriore vantaggio di identificare quei rari pazienti con

tumore circoscritto resecabile che possono essere sottoposti ad un intervento di

epatectomia parziale.

L’alfa-fetoproteina è l’unico marker sierologico comunemente usato nella diagnosi,

ma ha una scarsa sensibilità che varia dal 39% al 65% e una specificità tra il 76% e il

97%;16 tale variabilità è legata ai differenti cut-offs utilizzati nei diversi studi. Per valori

superiori a 500 µg/l può essere considerata un efficace marker tumorale, tuttavia la

percentuale di pazienti con valori così elevati è piuttosto bassa; livelli inferiori si

possono riscontrare, oltre che nell’HCC, in caso di metastasi di grosse dimensioni da

neoplasie gastriche o del colon e in alcuni pazienti affetti da epatite acuta o cronica.

Gli esperti considerano dunque l’AFP di limitato valore nella sorveglianza dei pazienti

cirrotici, tuttavia una sua rapida e continua elevazione è un campanello d’allarme che

dovrebbe invitare all’esecuzione di un follow up più stringente.

Per quanto concerne i colangiocarcinomi, nella maggior parte dei casi la neoplasia

viene diagnosticata mediante colangiografia dopo il riscontro ecografico di alterazioni

del diametro dei dotti biliari intraepatici; qualsiasi restringimento focale di tali dotti

dovrebbe essere considerato maligno fino a prova contraria. La colangiografia

endoscopica permette di ottenere campioni di materiale per la citologia, che offre una

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sensibilità di circa il 60%, ed eventualmente di inserire uno stent per il drenaggio

biliare. Un’alternativa per la diagnosi è rappresentata dall’aspirazione con ago sottile

eco-guidata, che si è rivelata in grado di identificare colangiocarcinomi con

un’accuratezza diagnostica dell’89%, anche in presenza di un esame citologico

negativo. I tests di laboratorio mostrano solitamente un aumento degli indici di

colestasi, ossia fosfatasi alcalina, γGT e bilirubina; in caso di ostruzione prolungata

dei dotti biliari principali si possono rilevare aumenti del tempo di protrombina e

riduzione delle vitamine liposolubili. Tra i markers tumorali il più significativo è il CA

19-9: si è visto che un valore > 100 U/ml nei pazienti con colangite sclerosante ha

una sensibilità dell’89% e una specificità dell’86% per la diagnosi di

colangiocarcinoma. Tuttavia un’elevazione di tale marcatore non è sufficiente ai fini

diagnostici, soprattutto nei pazienti non affetti da colangite sclerosante, dove la sua

sensibilità scende al 53%.17-18 Altri markers non specifici sono rappresentati dal

CEA, elevato nel 30% dei casi, mentre il CA 125 è elevato nel 40%-50% dei pazienti.

La diagnosi delle neoplasie secondarie avviene solitamente nel corso della

stadiazione del tumore primitivo: si esegue di solito una TC addominale con

conseguente biopsia delle lesioni sospette per accertarne la natura maligna.

1.4 Staging

La stadiazione dell’HCC è cruciale per la pianificazione della terapia ottimale e

comprende la valutazione dell’estensione tumorale, della funzionalità epatica, della

pressione portale e il performance status generale del paziente.

Le principali indagini strumentali per rilevare l’estensione della massa consistono

nella RM con mezzo di contrasto o nella TC dinamica; nelle malattie avanzate

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dovrebbero inoltre essere eseguite una TC del torace e una scintigrafia ossea per la

ricerca di eventuali secondarismi. La funzionalità epatica viene valutata mediante

l’indice di Child-Pugh, che attribuisce un punteggio da 5 a 15 in base alla positività o

meno di alcuni parametri clinici e laboratoristici: bilirubinemia, tempo di protrombina,

albuminemia, ascite ed encefalopatia. I pazienti vengono quindi divisi in tre classi a

seconda del punteggio ottenuto, dalla classe A che corrisponde ad una buona

funzionalità epatica, fino alla C, che comprende invece soggetti epatopatici in fase

terminale.

Per la valutazione dell’ipertensione portale, suggerita dal riscontro di varici, si può

ricorrere alla misurazione del gradiente pressorio porto-cavale per via transgiugulare:

si parla di ipertensione quando tale valore risulta superiore a 12 mmHg.

Nel corso degli ultimi anni sono stati proposti sette differenti sistemi di stadiazione,

comprendenti in maniera variabile i parametri succitati, ma nessuno di essi è

unanimemente considerato il migliore. Tra le stadiazioni più utilizzate possiamo citare

la classica TNM e quella della Barcelona-Clinic-Liver-Cancer; quest’ultima risulta

particolarmente utile per la scelta dell’opzione terapeutica più idonea: essa identifica

infatti quei pazienti con HCC precoce che possono beneficiare di un trattamento

curativo (stadi 0 e A), quelli ad uno stadio intermedio o avanzato (stadi B e C) che

potrebbero trarre vantaggio da terapie palliative, e quelli che hanno invece una

scarsa aspettativa di vita (stadio D) (Fig. 3)

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Altra classificazione diffusa è quella di Okuda, che prende in considerazione quattro

criteri: dimensione del tumore (< o > 50% del fegato), ascite (presente o assente),

bilirubinemia (< o > 3 mg/dl) e albuminemia (< o >3 g/dl). Questi criteri permettono

di dividere i pazienti in tre stadi: I (nessun criterio presente), II (uno o due criteri

positivi) e III (tre o quattro criteri positivi). La storia naturale della malattia e la

sopravvivenza media dei pazienti con HCC, in assenza di trattamento, dipende dallo

stadio della malattia al momento della diagnosi: circa 8 mesi per soggetti in stadio di

Okuda I, 2 mesi per lo stadio II e meno di un mese se in stadio III. (Fig. 4)

Fig. 3 Barcelona Clinic Liver Cancer (BCLC) staging classification modificata da Bruix J. and Sherman M.)

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Anche nel caso del colangiocarcinoma, un’accurata stadiazione è fondamentale per

la scelta di una corretta strategia terapeutica.

Accanto alla classificazione TNM, sta acquistando sempre maggior valore il sistema

di stadiazione del Memorial Sloan-Kettering, (tab 1) che stratifica i pazienti in tre

gruppi, T1, T2 e T3, in base all’estensione tumorale nell’albero biliare e il

coinvolgimento vascolare; tale classificazione si è rivelata più efficace, rispetto alla

classica TNM, nel fornire informazioni sull’eventuale resecabilità della massa e sulla

sopravvivenza.

Clinical stage

Criteria

T1 Tumor involving biliary confluence +/− unilateral extension to secondary biliary radicles

T2 Tumor involving biliary confluence +/− unilateral extension to secondary biliary radicles AND ipsilateral portal vein involvement +/− ipsilateral hepatic lobar atrophy

T3

Tumor involving biliary confluence+bilateral extension to secondary biliary radicles; OR unilateral extension to secondary biliary radicles with contralateral portal vein involvement; OR unilateral extension to secondary biliary radicles with contralateral hepatic lobar atrophy; OR main portal vein involvement

Tab. 1 Clinical T-stage criteria per colangiocarcinoma ilare (Memorial Sloan-Kettering)

Figura 4 Curva di sopravvivenza in relazione alla stadiazione di Okuda

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17

1.5 Terapia

Le opzioni terapeutiche in caso di HCC sono strettamente dipendenti dallo stadio

tumorale dal grado di epatopatia e dalle condizioni del paziente (Fig.5).

I trattamenti potenzialmente radicali, con intento curativo, sono rappresentati dalla

chirurgia, dalle tecniche ablative locali e dal trapianto di fegato; le terapie palliative,

miranti a garantire una qualità di vita accettabile nei pazienti senza prospettive di

guarigione, consistono essenzialmente nella chemioembolizzazione arteriosa

(TACE), la radioterapia e la terapia sistemica.

RESEZIONE EPATICA : la resezione chirurgica rappresenta, insieme al trapianto,

l’opzione terapeutica di scelta nei pazienti con HCC, consentendo una sopravvivenza

a 5 anni che può arrivare fino al 70% in pazienti selezionati. Essa risulta

particolarmente efficace in quei soggetti che non presentano una fibrosi avanzata,

qualora sia possibile effettuare una resezione R0 (ossia con margini liberi da

malattia) senza il rischio di provocare un’insufficienza epatica postoperatoria a causa

di un tessuto epatico residuo troppo scarso. In caso di cirrosi, è opinione diffusa che

Figura 5 Algoritmo terapeutico nei pazienti con HCC (immagine modificata da Bruix et al, Clinical management of hepatocellular carcinoma, 2009)

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la resezione sia sicura ed efficace soltanto negli stadi BCLS 0 e A, in presenza di

una singola lesione, un buon performance status e senza un’ipertensione portale

significativa. Purtroppo, dunque, meno del 20% dei pazienti presenta alla diagnosi un

tumore resecabile.19

TRAPIANTO EPATICO : il trapianto offre la possibilità di curare sia il tumore che la

sottostante patologia epatica; esso risulta dunque l’opzione migliore per HCC singoli

in pazienti con Child C o in caso di HCC multicentrici. In base ai criteri di Milano

possono essere candidati al trapianto soggetti con non più di tre noduli di diametro

inferiore ai 3 cm o con un nodulo singolo fino a 5 cm di diametro;20 tuttavia tali criteri

sono in continua evoluzione e non devono essere seguiti con assoluta rigidità,

rendendo dunque necessaria un’accurata valutazione di ciascun paziente.²¹ Deve

essere sempre esclusa, inoltre, la presenza di invasione vascolare (trombosi della

vena porta) e/o l’estensione della malattia neoplastica al di fuori del fegato. Il

trapianto si associa ad una serie di possibili complicanze, legate soprattutto alla

indispensabile terapia immunosoppressiva: rischio di infezioni, insufficienza renale,

alterazioni metaboliche e neurologiche; inoltre, nei pazienti affetti da epatite virale,

l’infezione mostra un elevato tasso di ricorrenza, con una nuova insorgenza di cirrosi

spesso nell’arco di pochi anni. Altro problema fondamentale, comune a tutti i

trapianti, è rappresentato dalla scarsità di organi, con conseguenti liste d’attesa

spesso troppo lunghe e una percentuale di drop-out che può arrivare fino al 50%.

Qualora si prevedano tempi d’attesa lunghi, superiori a 6 mesi, possono essere

adottate altre strategie, quali terapie ablative o chemioembolizzazione, al fine di

minimizzare il rischio di progressione tumorale e fungere da “ponte” per il trapianto.

Inoltre, per sopperire almeno in parte alla carenza di donazioni, sono state introdotte

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alternative al trapianto di fegato intero da cadavere, quali la suddivisione dell’organo

da donatore cadavere in due parti (split liver) per due riceventi e la donazione di

parte del fegato da un donatore vivente.²²

TRATTAMENTI ABLATIVI LOCOREGIONALI : l’ablazione locale del tumore

rappresenta un trattamento ottimale per gli HCC inoperabili ed è considerata una

procedura minimamente invasiva in grado di determinare controllo della crescita

tumorale e citoriduzione della massa neoplastica, senza arrecare danno al

parenchima sano. L’ablazione locale è definita come l’applicazione diretta di energia

chimica o termica su un tumore, così da indurre una necrosi cellulare;²³ tale effetto

può essere ottenuto con varie modalità, che comprendono l’iniezione percutanea di

etanolo (PEI), l’ablazione mediante laser, la crioablazione, l’ablazione con

radiofrequenze (RFTA) o con microonde.

PEI: tale tecnica consiste nell’introduzione di pochi ml di etanolo al 95% nella

lesione, utilizzando un ago di piccole dimensioni, sotto guida

ecografica: la diffusione dell’etanolo causa un’immediata

denaturazione delle proteine citoplasmatiche, determinando

conseguentemente una necrosi coagulativa seguita da fibrosi.24

Complicanze precoci includono ascessi epatici, insufficienza

epatica, emoperitoneo, colangiti e bilomi. La possibilità di

ottenere una necrosi completa è strettamente correlata alle dimensioni del tumore:

nelle neoplasie di diametro < 3 cm la PEI può determinare una risposta completa nel

90-100% dei casi, tra i 3 e 5 cm la percentuale si abbassa al 70%, e scende sotto al

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50% per lesioni ancor più estese.25-26 Considerando anche i bassi costi e l’ incidenza

complessivamente scarsa di complicanze, la PEI può essere dunque considerata un

trattamento efficace per le neoplasie di piccole dimensioni, dato sottolineato anche

da studi prospettici secondo i quali tale tecnica, per lesioni ≤ 3 cm, avrebbe

un’efficacia e una sicurezza equiparabili a quelli della resezione, potendo inoltre

consentire un elevato tasso di sopravvivenza.27

ABLAZIONE MEDIANTE LASER: si tratta di un’altra tecnica minimamente invasiva

finalizzata alla distruzione di tumori all’interno di

organi solidi. Il raggio laser viene emesso dalla punta

di fibre sottili (0,2-0,6 mm). La coagulazione termica,

determinante carbonizzazione e vaporizzazione dei

tessuti, risulta dal riscaldamento che si produce

quando il fascio di energia viene assorbito, sia direttamente sia dopo esser stato

deviato dai tessuti. Tale tecnica sembra essere particolarmente efficace nel

trattamento degli HCC di diametro < 5 cm o in combinazione con la TACE nei

pazienti con tumori di dimensioni maggiori o multipli.28-29

CRIOABLAZIONE: il raffreddamento dei tessuti seguito da un rapido scongelamento

porta alla distruzione delle membrane cellulari e induce la morte

della cellula.30 Tale effetto può essere raggiunto con varie

modalità e mediante l’utilizzo di diverse sostanze quali l’azoto

liquido o il gas argon; in ogni caso la morte cellulare dipende

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dalla velocità di raffreddamento, dalla profondità dell’ipotermia, dalla velocità di

scongelamento e dal numero di cicli raffreddamento-scongelamento; la maggior

parte delle cellule tumorali muore a -40 °C. Attual mente il diametro ampio delle

criosonde e le localizzazioni difficilmente raggiungibili di alcuni tumori nel fegato ne

limitano l’applicazione, tuttavia l’associazione con altre tecniche, quali ad esempio la

TACE, sembrano fornire risultati promettenti.³¹

RFTA: l’ablazione mediante radiofrequenze è stata introdotta in Europa e negli Stati

Uniti a partire dagli anni ’90 ed è

attualmente utilizzata in tutto il mondo,

rappresentando la modalità di

ablazione locale più diffusa. Tale

metodica sfrutta le radiazioni elettromagnetiche per

determinare la termoablazione dei tumori epatici; una

corrente alternata ad elevata frequenza (da 100 a 500

kHz), tipicamente 460 kHz, passa dalla punta di un ago

elettrodo ai tessuti circostanti e causa delle vibrazioni

ioniche, in quanto gli ioni cercano di seguire il cambiamento di direzione della

corrente. Tali vibrazioni ioniche causano il riscaldamento resistivo dei tessuti che

circondano l’elettrodo (effetto Joule); in particolare, l’ago esplica attivamente la sua

azione a una profondità di 1-2 mm, mentre il successivo fenomeno di conduzione

termica consente il riscaldamento di aree molto più profonde. Quando la temperatura

dei tessuti è intorno ai 60 °C, si verificano alter azioni della struttura terziaria delle

proteine intracellulari, con denaturazione del collagene e danni a carico del doppio

strato lipidico; l’effetto di coagulazione termica inizia a 70°C, mentre l’essicazione dei

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tessuti si verifica intorno a 95-100°C, determinand o una necrosi coagulativa della

massa tumorale.³² Temperature superiori sono invece sconsigliate in quanto

inducono carbonizzazione dei tessuti, con conseguente aumento dell’impedenza e

riduzione dell’efficacia del trattamento.

Le radiofrequenze possono essere utilizzate secondo varie modalità: diverse

possono essere le vie d’accesso alla neoplasia (via percutanea, laparoscopica e

laparotomia) e diverse possono essere anche le tipologie e il numero di elettrodi

utilizzati durante la procedura; in particolare, la corrente può essere applicata

utilizzando una modalità “monopolare” o “bipolare”. Nella tipologia monopolare, un

singolo elettrodo interstiziale viene utilizzato per rilasciare corrente nel sito del

tumore, mentre degli elettrodi di superficie (piastre di messa a terra) completano il

circuito elettrico attraverso il corpo. Nella modalità bipolare, la corrente circola tra tue

elettrodi interstiziali, con il vantaggio dunque di determinare un riscaldamento più

efficace e più mirato nell’area compresa tra gli elettrodi, senza la necessità di

posizionare le piastre di scarico con il conseguente rischio di ustioni; d’altro canto,

però, la tecnica monopolare risulta più semplice e meno invasiva, in quanto non

richiede l’inserimento di un elettrodo aggiuntivo.³³

Qualunque sia la modalità utilizzata, l’ablazione mediante radiofrequenze presenta

degli svantaggi. Quando la lesione è posta in prossimità di grossi vasi sanguigni, il

calore prodotto viene in parte disperso dal flusso ematico, riducendo così l’efficacia

(heat-sink effect); l’occlusione dell’apporto sanguigno alla lesione può rivelarsi utile

per ovviare a tale inconveniente.34 Altro problema è rappresentato dalla

localizzazione della neoplasia in prossimità di strutture cosiddette ad alto rischio,

quali il diaframma, lo stomaco e la colecisti, che potrebbero essere danneggiate dalle

radiofrequenze. Studi recenti sembrano però dimostrare che la RFTA possa essere

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immediatamente eseguita dopo la creazione di una “distanza di sicurezza” di 0,5-1

cm dalla struttura vitale; tale distanza verrebbe ottenuta introducendo della soluzione

salina, con formazione di una sorta di ascite o versamento pleurico artificiale.35-36

Pare che la creazione di tali versamenti possa ridurre significativamente le

complicazioni post-RFTA, come la perforazione intestinale, il danno ai dotti biliari e al

diaframma e l’emotorace. Oltre al danno a organi adiacenti, dipendente strettamente

dalla posizione della lesione, questo tipo di trattamento può essere gravato da

complicanze di altro genere; dagli studi finora pubblicati risulta che l’incidenza di

complicanze maggiori (secondo la recente letteratura vengono definite “maggiori”

quelle complicanze che richiedono un intervento medico e/o un prolungamento

dell’ospedalizzazione) varia dallo 0% al 12,7%.38 Tra le più frequenti vanno

annoverate emorragie addominali, emotoraci, ematomi sottocapsulari, ascessi epatici

e turbe del ritmo cardiaco, soprattutto in pazienti con preesistenti aritmie. Lievemente

più frequenti sono le cosiddette complicanze minori, tra cui spiccano dolore

addominale accompagnato da febbre, versamenti pleurici, stenosi dei dotti biliari,

ustioni nel sito di posizionamento delle piastre di dispersione, seeding, ascite ed

emobilia.

Complessivamente l’RFTA, se in mani esperte, può comunque essere considerata

una terapia sicura con una bassa incidenza di complicanze e un rischio di morte

trascurabile.38

Anche i dati sull’efficacia di tale procedura sembrano essere positivi: un’analisi

retrospettiva di diversi studi effettuati dalla fine degli anni ’90 ad oggi in vari paesi del

mondo ha mostrato che i tassi di ablazione completa per lesioni ≤ 3 cm oscillano tra

l’80 e il 100%, per lesioni tra 3 e 5 cm si attestano al 50-80% e scendono al 25% per

noduli di diametro superiore.39 Si è tuttavia visto che è possibile migliorare questi

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risultati nelle masse di grandi dimensioni adottando strategie terapeutiche combinate,

ad esempio attraverso l’iniezione di etanolo immediatamente prima della procedura

di termoablazione40 o una chemioembolizzazione alcuni giorni prima.

Anche i dati sulla sopravvivenza complessiva sembrano sottolineare l’utilità di tale

trattamento, con tassi di sopravvivenza dell’80-100% a un anno, 63-98% a due anni,

e intorno al 41% a 5 anni (Fig. 6). Tali risultati non hanno dunque mostrato

significative differenze tra la RFTA e la resezione epatica, anche se quest’ultima

permette di ottenere una sopravvivenza libera da malattia nettamente superiore, in

quanto consente l’eradicazione della neoplasia bersaglio e dell’area circostante che

potrebbe contenere noduli satellite o micrometastasi. Complessivamente, dunque,

l’ablazione con radiofrequenze rappresenta un metodo efficace e una valida

alternativa alla chirurgia per il trattamento di neoplasie di dimensioni limitate, e grazie

all’associazione con altre terapie locoregionali e ad eventuali miglioramenti

tecnologici della strumentazione utilizzata, il generatore di corrente o gli elettrodi,

potrebbe accrescere ulteriormente la sua efficacia.

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MW: l’utilizzo delle microonde costituisce la principale novità nel campo delle terapie

ablative. L’argomento verrà approfondito nel capitolo 2.

TACE: rappresenta il trattamento più diffuso per neoplasie epatiche in stadio

intermedio non resecabili in soggetti con funzionalità

epatica conservata, ed è molto utilizzata anche per quei

pazienti inseriti in lista d’attesa per il trapianto, al fine di

impedire la progressione della malattia in vista

dell’intervento. La TACE rappresenta la combinazione di

una embolizzazione intrarteriosa (TAE) e una chemioterapia regionale;41 la metodica

tradizionale consiste nell’embolizzazione selettiva delle arterie che vascolarizzano il

tumore mediante un’emulsione di un agente chemioterapico, solitamente

doxorubicina, mitomicina o cisplatino, combinato con Lipiodol, un olio etilestere

iodinato estratto dai semi di papavero, il cui ruolo è quello di emulsionare i farmaci e

veicolarli nelle lesioni. Vengono successivamente introdotti degli agenti embolizzanti

allo scopo di ridurre l’afflusso arterioso, indurre ischemia tissutale e limitare il

passaggio degli agenti chemioterapici nella circolazione sistemica, così da

prolungare il contatto tra il farmaco e le cellule neoplastiche. Tali emulsioni tra

lipiodol e farmaci sono però molto instabili e i chemioterapici vengono pertanto

rilasciati troppo rapidamente nella circolazione sistemica. Per ottimizzare il rilascio

del farmaco al tumore, sono state sviluppate nuove particelle: microsfere in

polivinilalcool e microsfere superassorbenti. Esse possono essere caricate con

l’agente chemioterapico ed essere rilasciate direttamente nella massa neoplastica,

raggiungendo concentrazioni intratumorali più elevate e livelli plasmatici più bassi,

così da limitare anche la tossicità sistemica.42

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La TACE può associarsi ad un’ampia varietà di complicanze. Nel 60-80% dei pazienti

si verifica quella che viene definita “sindrome post-embolizzazione”, rappresentata da

dolore addominale transitorio e febbre, che normalmente si risolvono senza reliquati

nell’arco di pochi giorni. Altre complicanze si verificano in meno del 10% dei

trattamenti e comprendono ascessi epatici, colecistiti ischemiche, stenosi dei dotti

biliari, pancreatiti acute o ulcere gastroduodenali.

RADIOTERAPIA: le radiazioni rompono il DNA del tessuto bersaglio e inducono il

rilascio dall’acqua intracellulare di radicali liberi in grado

di ledere le membrane cellulari, le proteine e gli

organelli.43 Storicamente la radioterapia ha giocato un

ruolo di secondo piano nel trattamento dei pazienti con

tumori epatici non resecabili, soprattutto a causa della scarsa tolleranza dell’intero

fegato all’irradiazione. Tra le varie complicanze si sono infatti registrate la

riattivazione di epatiti virali e lo sviluppo di una tipica sindrome caratterizzata da

epatomegalia, ascite ed elevazione delle transaminasi; in aggiunta alla tossicità

epatica, bisogna sottolineare che anche gli organi adiacenti sono a rischio di danno,

in particolare stomaco, duodeno e reni.44 Sono stati pertanto introdotti dei

miglioramenti che permettano di indirizzare dosi più alte di radiazioni limitandone gli

effetti sfavorevoli: tecniche più avanzate di imaging per meglio definire il tumore,

studi tridimensionali del campo di irradiazione, radioterapia TC guidata per

localizzare esattamente la massa durante il trattamento e migliori conoscenze sulla

tolleranza del tessuto epatico alla radiazione.

La novità più recente in questo campo è tuttavia rappresentata dalla

radioembolizzazione, che consiste nell’applicazione diretta a livello del tumore di

particelle radioattive, solitamente microsfere di Yttrio-90, attraverso l’arteria epatica,

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anche in presenza di trombosi della vena porta. Tale tecnica ha mostrato risultati

promettenti nel trattamento di HCC multipli e si candida come valida alternativa alla

TACE come trattamento di prima linea delle neoplasie non resecabili,45 anche se

ulteriori studi multicentrici dovranno confermarne l’efficacia.

TERAPIE SISTEMICHE: l’utilizzo di farmaci citotossici classici, tipicamente

doxorubicina o cisplatino, permette di ottenere bassi tassi di risposta (<10%) senza

benefici comprovati sulla sopravvivenza; inoltre la chemioterapia è scarsamente

tollerata, a causa della sottostante cirrosi, della concomitante citopenia e della

farmacocinetica resa imprevedibile dall’alterata attività degli enzimi deputati al

metabolismo dei farmaci.

Alcuni fattori di crescita, i loro recettori e la cascata dei mediatori implicati nella

trasduzione del segnale svolgono un ruolo fondamentale nello sviluppo e nel

mantenimento di diversi tumori, incluso l’HCC, e sono dunque oggetto di interesse

per la realizzazione di nuove strategie terapeutiche (le cosiddette “targeted

therapies”). Tra i vari farmaci recentemente introdotti, uno dei più utilizzati è il

Sorafenib, un inibitore multichinasico, somministrabile per via orale, che blocca le vie

di trasduzione del segnale coinvolgenti PDGF, VEGF, c-kit e raf sia nelle cellule

tumorali che nelle cellule endoteliali circostanti. Recentemente, uno studio di fase III

contro placebo (Llovet et al. 2007)46 ha evidenziato una buona tollerabilità del

farmaco con un aumento della sopravvivenza statisticamente significativo (10,7 mesi

nei soggetti trattati con Sorafenib contro 7,9 dei pazienti del gruppo di controllo). Tra

gli effetti collaterali spiccano la cosiddetta hand-foot syndrome, caratterizzata da

lesioni di varia gravità a livello della cute di mani e piedi, diarrea ed astenia, mentre

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non si è dimostrata alcuna tossicità a livello epatico. Tale farmaco dovrebbe essere

riservato ai pazienti con HCC non operabile, buona funzionalità epatica (Child-Pugh

A), che non siano candidati ottimali per la TACE.

Attualmente numerosi altri farmaci sono in sperimentazione; molto probabilmente la

combinazione di agenti con diversi bersagli molecolari, come antagonisti dei recettori

dei fattori di crescita, inibitori del proteasoma o citostatici, potranno migliorare la

risposta clinica in pazienti affetti da HCC avanzato, con effetti collaterali tollerabili e

gestibili.

Le modalità di trattamento fin qui descritte per l’HCC possono in gran parte essere

utilizzate anche per i colangiocarcinomi. Anche in questo caso, la resezione e il

trapianto di fegato rappresentano le uniche opzioni curative; in seguito al trattamento

chirurgico sono state riportate sopravvivenze a 3 anni comprese tra il 40% e il 60%.47

Anche il trapianto, in passato considerato non indicato per il trattamento di tali

neoplasia, ha recentemente mostrato buoni risultati, con sopravvivenze significative

(fino all’80% a 5 anni, per tumori in stadio 1 e 2).48 Nei pazienti con malattia non

operabile, l’approccio iniziale mira a fornire una terapia di supporto e, se necessario,

a realizzare una qualche forma di drenaggio biliare; tali terapie palliative consentono

tuttavia di ottenere una sopravvivenza non superiore a 18 mesi. L’ablazione

mediante radiofrequenze e la TACE sono altre possibili opzioni anche se l’efficacia

risulta inferiore rispetto ai casi di epatocarcinoma.

Un altro tipo di approccio palliativo che sta mostrando buoni risultati è rappresentato

dalla terapia fotodinamica: una sostanza fotosensibilizzante viene somministrata per

via sistemica e si accumula nelle cellule tumorali; un raggio laser induce

fotoattivazione di tale sostanza e permette la distruzione della neoplasia. Tale

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trattamento facilita la decompressione delle vie biliari e sembra procurare benefici in

termini di sopravvivenza, miglioramento della colestasi, performance status e qualità

di vita.49

La chemioterapia sistemica ha finora dato risultati scadenti, mentre sembrano essere

promettenti, almeno per quanto riguarda i tests in vitro, nuovi farmaci a bersaglio

molecolare, in particolare gli inibitori del proteasoma.50 In ogni caso, si può affermare

che non esiste a tutt’oggi una strategia terapeutica realmente efficace e il

colangiocarcinoma continua a rappresentare una neoplasia devastante, con un

elevatissimo tasso di mortalità.

Per quanto concerne le metastasi epatiche, il trattamento di prima scelta è sempre

rappresentato dalla resezione, in grado di offrire sopravvivenze a lungo termine nel

25%-30% dei pazienti trattati. Sfortunatamente, anche in questo caso, l’intervento

chirurgico è un’opzione realizzabile in meno di un terzo dei casi; stanno pertanto

acquistando importanza sempre maggiore le tecniche di ablazione percutanea con

radiofrequenze, laser o microonde. Una possibilità, soprattutto nelle metastasi da

adenocarcinoma del colon-retto, è costituita dall’associazione di chemioterapia e

termoablazione, che permette di ottenere sopravvivenze a 1, 2, 3, 4 e 5 anni del

93%, 69%, 46%, 22% e 26% rispettivamente. Predittori della sopravvivenza

sembrano essere rappresentati da un valore di CEA inferiore a 200 ng/ml, diametro

delle lesioni ≤3 cm e un numero di lesioni ≤3.51

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CAPITOLO 2

ABLAZIONE CON MICROONDE

Sviluppata in Giappone nei primi anni ’80 allo scopo di favorire l’emostasi durante gli

interventi di resezione epatica, la coagulazione con microonde è stata

successivamente utilizzata per il trattamento delle neoplasie epatiche, e rappresenta

ora una valida alternativa alla RFTA, di cui mostra i medesimi benefici, ma minori

svantaggi.

2.1 Principi fisici

Nello spettro elettromagnetico, le microonde si collocano tra i raggi infrarossi e le

onde radio, con frequenze comprese tra 300 MHz e 2450 Ghz corrispondenti a

lunghezze d'onda tra 1 m e 1 mm (Fig 7). Le modalità d’interazione tra microonde e

materia e, particolarmente, il trasferimento di energia dalle prime alla seconda,

discendono dal meccanismo microscopico descritto appresso.

RF MW

Fig. 7 Scala grafica frequenza onde elettromagnetiche

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L’asimmetria nella distribuzione di cariche elettriche negative e positive al livello

atomico o molecolare (intrinseca o indotta da un campo esterno) porta alla

formazione di dipoli elettrici, i quali tendono a mantenere l’allineamento con un

eventuale campo elettrico applicato dall’esterno. Ne segue che, in presenza di un

campo alternato, tali dipoli ruotano di continuo, sperimentando una sorta di attrito che

determina la conversione di una parte dell’energia del campo applicato in calore: tale

fenomeno va sotto il nome di riscaldamento dielettrico; in particolare, una microonda

dotata di frequenza pari a 9,2 GHz è in grado di far variare la polarità di una molecola

fino a due bilioni di volte in un secondo ( Fig. 8 ) .

La quantità di calore generato è proporzionale al quadrato della grandezza del

campo applicato: Q= σ|E|², dove σ è la conduttività efficace (S/m), una misura

dell’assorbimento della microonda.

Questa forma di riscaldamento è particolarmente efficiente alle frequenze delle

microonde, in special modo in materiali ad elevato contenuto acquoso, proprio come

la gran parte dei tessuti biologici: le molecole d’acqua, infatti, sono di natura “polare”,

cioè tali da esibire un momento di dipolo elettrico non nullo anche in assenza di

campi esterni - a causa dell’intrinseca asimmetria nelle rispettive distribuzioni delle

Figura 8 Illustrazione schematica dell’interazione tra molecole d’acqua e microonde ( immagine modificata da Simon C. et al: Microwave ablation: Priciples and applications, 2005 )

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cariche protoniche positive e delle nubi elettroniche negative -; il campo alternato che

genera il riscaldamento dielettrico non deve, in tal caso, spendere energia per

formare i dipoli molecolari e il rendimento del riscaldamento a microonde (rapporto

tra energia fornita alla materia per irraggiamento e il conseguente incremento di

temperatura) cresce sensibilmente.

Ne discende che un applicatore a microonde inserito all’interno del corpo umano può

depositarvi energia radiante in modo localizzato e controllato, portando rapidamente

la temperatura del tessuto investito dalle radiazioni oltre i 60°C necessari alla necrosi

coagulativa pressoché istantanea delle cellule.

2.2 Strumentazione e tecniche d’utilizzo

Come la termoablazione con radiofrequenze, l’ablazione con microonde può essere

attuata mediante diversi approcci: percutaneo, laparoscopico o laparotomico;

generalmente la via percutanea rappresenta la modalità d’elezione, mentre le altre

sono riservate a quelle lesioni non raggiungibili per via percutanea o ai casi in cui il

paziente debba essere trattato chirurgicamente per altre patologie addominali nel

corso del medesimo intervento. L’approccio percutaneo viene generalmente attuato

in anestesia locale o sedazione, mentre gli interventi in laparoscopia e a cielo aperto

richiedono un’anestesia generale. Le ablazioni vengono solitamente effettuate in

modalità eco- o TC-guidata, per confermare il corretto posizionamento

dell’applicatore al centro del tumore; attualmente, grazie alla realizzazione di

strumenti MR-compatibili, si stanno rendendo possibili anche procedure guidate dalla

Risonanza Magnetica.53

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Qualunque sia l’approccio scelto, la strumentazione necessaria è costituita da tre

elementi fondamentali: un generatore di microonde, un sistema di distribuzione e un

applicatore, singolo o multiplo, che viene definito antenna. ( Figura 9 )

I generatori di microonde possono utilizzare due diverse fonti di energia: un

magnetron o un amplificatore dello stato solido. Un magnetron è in grado di generare

energia accelerando elettroni attraverso un campo elettromagnetico all’interno di una

cavità di risonanza; la geometria della cavità determina la frequenza della radiazione

prodotta. I magnetron si caratterizzano per una discreta efficienza, elevata potenza

prodotta ( >10 kW ), elevata affidabilità e bassi costi. I generatori solid-state hanno

un diverso meccanismo d’azione e generano potenza gradualmente; essi sono

solitamente meno efficienti, producono potenze inferiori ( < 150 W ) e hanno costi più

elevati, tuttavia, a differenza dei magnetron, sono di piccole dimensioni, maneggevoli

e più facilmente controllabili.54

L’energia prodotta dal generatore deve poi essere veicolata fino all’antenna.

Generalmente tale compito è affidato ad un cavo coassiale, costituito da tre strati

concentrici: un conduttore interno, un materiale isolante e un conduttore esterno.

Questo genere di cavo è sfruttato in vari settori grazie alla sua flessibilità, le sue

Figura 9 a) antenna b) generatore di microonde

a

b

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dimensioni compatte e le eccellenti caratteristiche di propagazione; nonostante i loro

numerosi punti di forza, tuttavia, i cavi coassiali hanno una capacità piuttosto limitata

di veicolare energia alle frequenze delle microonde; riducendo le dimensioni del

cavo, anche la capacità di trasportare potenza diminuisce drasticamente e ciò limita

la possibilità di utilizzare cavi sottili e flessibili.

Si può utilizzare una singola antenna oppure più di una, tutte connesse al medesimo

generatore; è stato provato che la simultanea attivazione di diversi applicatori è in

grado di produrre aree di necrosi più estese ed uniformi, evitando la necessità di

molteplici procedure per il trattamento di lesioni ampie. Diversamente dagli elettrodi

utilizzati nelle ablazioni con radiofrequenze, le antenne sono in grado di liberare

energia in virtù della loro stessa geometria e non necessitano pertanto di ulteriori

elettrodi o di piastre di scarico. Sono state proposte diverse morfologie, tuttavia la

maggior parte delle antenne attualmente in uso ha una struttura ad ago.

Indipendentemente dalla forma, ogni antenna deve soddisfare alcuni requisiti:

dovrebbe essere scarsamente invasiva, estremamente efficiente ed emettere

radiazioni profondamente nei tessuti, così da creare ampie zone di riscaldamento

attivo. Solitamente vengono valutati due parametri per descrivere la performance di

un’antenna:

1- Il tasso di assorbimento specifico, definito anche pattern di riscaldamento;

idealmente l’area riscaldata dovrebbe avere forma perfettamente sferica, ma

la maggior parte delle antenne genera configurazioni ellissoidali o a goccia. La

forma cambia a seconda della geometria dell’antenna e spesso aumentando

l’invasività è possibile migliorare il pattern di riscaldamento; questo aspetto

deve essere preso in considerazione soprattutto nelle procedure non

percutanee in cui è consentito agire con maggiore invasività.

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2- Il coefficiente di riflessione; minore è tale coefficiente, maggiore risulta la

capacità dell’antenna di trasferire energia ai tessuti.

Da un punto di vista clinico, la forma dell’antenna non rappresenta l’unico fattore che

determina l’area finale di ablazione. I cambiamenti delle proprietà dei tessuti che si

verificano durante la procedura tendono a modificare l’impedenza e dunque la

capacità delle onde elettromagnetiche di propagarsi nei tessuti stessi; per tale

motivo, la performance di un’antenna all’inizio di un’ablazione è spesso molto

differente da quella che si ha alla fine. Inoltre, bisogna ricordare che anche il

processo di conduzione termica dall’area di riscaldamento attivo, che è indipendente

dalla geometria dell’antenna, svolge un ruolo significativo nella determinazione della

zona finale di ablazione, soprattutto qualora la durata della procedura sia superiore a

6-7 minuti.

Una delle principali variabili nelle ablazioni con microonde è costituita dal diametro

dell’antenna: c’è una stretta relazione tra capacità di veicolare energia e invasività ed

è risaputo che aumentare la potenza sia il modo più semplice per accrescere le

dimensioni della zona ablata.55 Tuttavia quando la potenza aumenta, più calore si

sviluppa nel manico dell’antenna e nel cavo d’alimentazione, con la conseguenza di

ridurre la quantità di energia depositata nel tessuto e causare effetti collaterali, come

l’ustione delle zone sane attraversate dall’elettrodo nel corso del suo inserimento.

Per risolvere questo problema sono state pertanto ideate antenne internamente

raffreddate, in modo da prevenire l’eccessivo surriscaldamento delle strutture

d’alimentazione e aumentare la capacità di trasferire energia, permettendo così un

minor numero di sessioni e minimizzando la complicanze.

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Come accennato in precedenza, un’altra peculiarità del trattamento con microonde

consiste nella possibilità di utilizzare contemporaneamente più antenne, tutte

connesse al medesimo generatore; il simultaneo posizionamento di diverse antenne

ha un effetto sinergico, migliore dunque dell’utilizzo sequenziale di più elettrodi. Un

potenziale svantaggio dell’uso di più antenne risiede nel fatto che il volume ablato

tende ad avere una configurazione non sferica;56 studi effettuati su animali hanno

però dimostrato che il posizionamento degli applicatori a una distanza < 3 cm

consente di ottenere zone di ablazione più confluenti e tendenti alla sfericità, dunque

più efficaci.57

2.3 Applicazioni cliniche

L’ablazione mediante microonde è stata applicata al fegato, rene, ghiandole

surrenali, polmone e ossa. Le indicazioni cliniche sono le medesime riportate per

altre terapie ablative, in particolare il trattamento di pazienti non candidati alla

chirurgia; l’obiettivo terapeutico può essere curativo o palliativo: in quest’ultimo caso

l’utilizzo delle microonde mira a ridurre la sintomatologia, soprattutto il dolore o il

sanguinamento ricorrente.

I tumori epatici, di cui si è ampiamente parlato in precedenza, costituiscono il

principale campo di applicazione delle microonde.

Gli studi finora realizzati sembrano dimostrare che tale tecnica rappresenti una valida

opzione terapeutica, caratterizzandosi per elevata sicurezza, affidabilità, rapidità ed

efficacia. In particolare, uno studio effettuato nel 2007 su un campione di 288

pazienti da Kuang et al. ha riportato sopravvivenze a 1, 2, 3, 4 e 5 anni

rispettivamente del 93%, 82%, 72%, 63% e 51%,58 con ricorrenza della neoplasia

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nell’8% dei pazienti. Interessante è anche il confronto con l’altra principale opzione

terapeutica, ossia l’intervento chirurgico; uno studio di Yamanaka et al. ha messo a

confronto 27 pazienti trattati con termoablazione e 23 sottoposti a resezione,

dimostrando che il trattamento con microonde può consentire sopravvivenze a lungo

termine comparabili con quelle dei soggetti epatectomizzati, con un tasso di

complicanze significativamente inferiore.59

Il grado di differenziazione del tumore e l’indice di Child-Pugh si sono dimostrati

importanti fattori prognostici per i soggetti con HCC.60 In generale, tale trattamento

risulta ben tollerato dalla maggior parte dei pazienti epatopatici, ad eccezione di

quelli con una funzionalità epatica fortemente compromessa.

Le complicanze sono poco frequenti e solitamente di modesta entità; la loro

incidenza tende ad aumentare in caso di un elevato numero di tumori, diametro dei

noduli elevato e maggior numero di inserzioni dell’antenna. Ricercando in letteratura,

finora venti studi hanno esaminato le complicanze associate a questa procedura per

un totale di 995 pazienti; dolore e rialzo termico risultano un riscontro frequente ma

privo di importanza clinica. Altre complicanze frequenti sono rappresentate da

versamento pleurico, pneumotorace, ascesso epatico, emorragia, trombosi portale e

ustioni cutanee; soltanto due casi di morte sono stati riportati in seguito a procedure

di termoablazione con microonde, determinando un tasso di mortalità pari allo

0,002%.61

La valutazione dell’efficacia e della sicurezza di tale procedura sarà l’oggetto di

questa tesi.

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Un crescente interesse è rivolto anche all’utilizzo di questa tecnica nel trattamento

delle neoplasie polmonari. Esse costituiscono la principale causa di morte per cancro

nel mondo, con una sopravvivenza media inferiore ad un anno dalla diagnosi nei

pazienti non trattati. Attualmente la resezione chirurgica costituisce, come nel caso

delle neoplasie epatiche, il trattamento di scelta, ma solo il 15% circa dei pazienti con

tumore polmonare è candidato alla chirurgia. L’ablazione percutanea con microonde

si presenta dunque come una valida opzione terapeutica, caratterizzandosi per

un’elevata sicurezza, buona efficacia, scarsa invasività, bassi costi e ridotti tempi di

ospedalizzazione rispetto ad una pneumonectomia convenzionale; essa non

Fig. 11 a: TC: 2 lesioni ipercaptanti in fase arteriosa al I e IV segmento (HCC). B: aree avascolari di necrosi dopo trattamento MW a 30 gg (casistica personale)

a b

Fig 10 a: posizionamento antenna MW su lesione epatica (US + CEUS); b) US durante trattamento: effetto iperecogeno dopo 60 sec (casistica personale)

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rappresenta una terapia con soli fini palliativi, ma può essere utilizzata con intento

curativo nei casi di neoplasia limitata, in stadio IA. Nonostante si tratti di una

procedura moderatamente invasiva, un’attenta selezione dei pazienti risulta cruciale

per ottenere risultati soddisfacenti e prevenire complicanze.

Altri tumori che possono trarre beneficio da questo tipo di trattamento sono quelli

renali, sia primitivi che metastatici; considerate la morbilità e la mortalità associate

alla nefrectomia, sempre più spesso vengono cercate tecniche meno invasive per le

neoplasie più piccole e a decorso indolente. L’ablazione percutanea con microonde

offre l’indubbio vantaggio di consentire la distruzione di masse localizzate

preservando il parenchima renale non interessato da malattia.

Le stesse considerazioni possono essere fatte per i tumori surrenalici, che

costituiscono un eterogeneo gruppo di neoplasie con un’ampia variabilità prognostica

e terapeutica. Mentre gli adenomi benigni non funzionanti non richiedono solitamente

alcun tipo di terapia, le neoplasie maligne primitive o metastatiche necessitano di un

trattamento, generalmente chirurgico. L’ablazione con microonde potrebbe tuttavia

rappresentare una valida alternativa soprattutto per quei pazienti non candidati alla

chirurgia per difficoltà tecniche o per condizioni generali compromesse, con un minor

tasso di mortalità e morbilità.63

Anche se i lavori finora pubblicati riguardano soprattutto modelli animali o studi clinici

numericamente limitati, le termoablazioni sembrano garantire buoni risultati anche

nel trattamento dei tumori ossei, in particolare di tipo secondario. Le metastasi ossee

frequentemente si associano a complicanze quali dolore, fratture, difficoltà di

movimento e riduzione delle capacità funzionali e dunque della qualità di vita del

paziente.64 I trattamenti finora disponibili per i pazienti con secondarismi ossei sono

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prevalentemente palliativi; nonostante la radioterapia rimanga l’opzione di scelta per

questi soggetti, oltre il 30% dei pazienti trattati non trova sollievo dal dolore.65 Inoltre,

coloro che manifestano nuovamente dolore in una sede precedentemente irradiata

non sono candidati per un ulteriore radioterapia, a causa della limitata tolleranza dei

tessuti a questo tipo di trattamento. Pertanto, le tecniche di termo ablazione

percutanea stanno guadagnando consensi sempre maggiori come opzione

terapeutica in pazienti con metastasi ossee sintomatiche.

2.4 Radiofrequenze versus microonde

Come detto in precedenza, il trattamento mediante radiofrequenze è attualmente la

modalità di termoablazione più diffusa, tuttavia l’utilizzo delle microonde sta andando

incontro ad un successo sempre maggiore. Entrambe le modalità si sono rivelate

sicure, efficaci e semplici da utilizzare; tuttavia, l’ablazione con microonde

presentano alcuni vantaggi rispetto a quella attuata con radiofrequenza.

● Innanzitutto, le microonde garantiscono un’efficienza di riscaldamento

nettamente superiore, ovvero una maggiore velocità di ablazione a parità di

potenza immessa. Ciò discende dalla capacità delle microonde, cioè onde

elettromagnetiche che si propagano attraverso un mezzo materiale - o anche

attraverso il vuoto - alla velocità della luce, di agire direttamente e con ritardi di

propagazione del tutto trascurabili su tutto il volume tessutale raggiunto dalla

radiazione: l’effetto di riscaldamento dielettrico avviene, pertanto,

simultaneamente su tutto il volume irradiato; non può dirsi lo stesso delle

correnti RF, le quali scaldano direttamente per effetto Joule soltanto la zona

immediatamente circostante l’elettrodo attivo, per poi diffonderne l’effetto

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verso le regioni contigue in modo relativamente lento semplicemente in virtù

della conduzione termica intra-tessutale.

La conseguenza clinica immediata di tale maggiore velocità di riscaldamento

delle microonde è duplice: da un lato, a parità di volume di necrosi desiderato,

la durata del trattamento termoablativo si riduce drasticamente (meno della

metà rispetto alle RF); dall’altro, diventa possibile contrastare assai più

efficacemente l’effetto di drenaggio di calore (heat sinking) dovuto al transito

di fluidi corporei che, nel caso delle RF, rende incerto il conseguimento di una

necrosi coagulativa completa e omogenea in prossimità di grandi vasi

sanguigni o dotti biliari: ciò rischia di compromettere l’esito terapeutico del

trattamento e innalza la probabilità di recidive locali. L’uso delle microonde

appare, pertanto, più affidabile anche in distretti anatomici particolarmente

ostici per le RF. Considerando la ricca vascolarizzazione del fegato, è molto

frequente che una neoplasia possa trovarsi in prossimità di un grosso vaso,

con la conseguente perdita di efficacia del trattamento. Dal momento che

l’azione di raffreddamento esercitata dal flusso sanguigno è più pronunciata

nelle aree di riscaldamento conduttivo rispetto a quello attivo, le microonde

dovrebbero risentire meno di tale effetto.

● La propagazione delle microonde nei tessuti risulta assai meno soggetta a

vincoli e limitazioni di ordine fisico rispetto alle correnti RF, risultando in

ablazioni più omogenee, più ripetibili ed in performance coagulative più

uniformi su una ben più vasta varietà di tessuti (dai più grassi, ai più spugnosi

e irregolari, fino ai tessuti ossei e alle fibre muscolari). Ciò discende dalla

possibilità della radiazione a microonde di propagarsi anche attraverso il vuoto

oppure mezzi materiali isolanti, contrariamente alle RF che s’incanalano di

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preferenza lungo percorsi a bassa resistenza elettrica: ciò porta ad una

distribuzione disomogenea delle linee di corrente - e quindi a una minore

uniformità dell’associata figura di riscaldamento - a fronte di una marcata

variabilità locale nella resistività dei tessuti.

● Mentre un elettrodo RF necessita di una piastra di dispersione applicata al

paziente per il ritorno delle correnti, un applicatore a microonde è un’antenna

(cioè, intrinsecamente, un bipolo) che non richiede altri dispositivi a chiusura

del proprio circuito elettrico e che opera in modo massimamente localizzato

nell’intorno della propria porzione attiva (a completa tutela di organi situati a

distanza dalla zona candidata al trattamento ablativo, con minore stimolazione

a largo raggio delle terminazioni nervose del paziente e senza impatto su

pacemaker o altri dispositivi impiantati a rischio d’interferenza

elettromagnetica). Vale la pena notare che l’applicazione sul paziente delle

piastre di dispersione in uso coi sistemi RF, oltre a complicare la preparazione

al trattamento, non è esente da rischi (esiste una certa possibilità di ustioni

superficiali in caso di un’adesione imperfetta alla cute) ed introduce gradi di

libertà relativi al posizionamento di difficile controllabilità ma con impatto non

trascurabile sull’esito terapeutico (spostare le piastre, infatti, equivale a

deviare le correnti iniettate nel corpo del paziente).

● L’impiego simultaneo di più applicatori RF è praticamente impossibile, visto

che le correnti tenderebbero a chiudersi tra coppie di elettrodi vicini anziché

fluire da ciascun elettrodo verso le piastre di dispersione. Ciò non accade con

gli applicatori a microonde, che possono quindi essere utilizzati in

contemporanea, o per ablare volumi tessutali di notevoli dimensioni oppure

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per il trattamento di lesioni multifocali senza aggravio sulla durata complessiva

dell’intervento.

Diversi studi hanno messo a confronto queste due modalità di trattamento, ma finora

nessuno è riuscito ad evidenziare la significativa superiorità di una rispetto all’altra. In

particolare, uno studio retrospettivo realizzato da Ming-De Lu et al, valutando gli

effetti locali del trattamento, le complicanze e i tassi di sopravvivenza, ha mostrato

una sostanziale equivalenza delle due procedure.68 Diversamente, un altro studio

(Ohmoto et al.) ha evidenziato una maggiore efficacia del trattamento con

radiofrequenze, con tassi di ricorrenza locale significativamente più bassi e maggiori

tassi di sopravvivenza.69 Bisogna tuttavia precisare che gli studi succitati sono stati

condotti diversi anni orsono e non tengono dunque in considerazione i notevoli

progressi realizzati negli ultimi tempi nella tecnica di ablazione con microonde.

In conclusione, entrambe le tecniche si sono dimostrate efficaci e sicure nel

trattamento dei tumori epatici; la termoablazione con microonde costituisce una

modalità di trattamento promettente e presenta un’ ampia gamma di vantaggi teorici

che tuttavia dovranno ancora essere dimostrati con ulteriori studi randomizzati.

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CAPITOLO 3

SCOPO DELLA TESI

Obiettivo dello studio è stato valutare l’efficacia e la sicurezza del trattamento di

termoablazione mediante microonde di neoplasie epatiche primitive e secondarie.

In particolare, è stata valutata la risposta al trattamento ablativo in termini di

percentuale di necrosi, differenziando le lesioni in base all’istotipo e alle dimensioni,

e le complicanze associate al trattamento.

Ecografia basale: nodulo ipoecogeno al IV segm. (HCC in cirrosi epatica)

CEUS: netta ipervascolarizzazione in fase arteriosa (HCC)

Termoablazione con microonde: area iperecogena secondaria al gas prodotto durante il trattamento

CEUS: ampia area avascolare di necrosi dopo il trattamento

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CAPITOLO 4

MATERIALI E METODI

4.1 Pazienti

Questo studio è stato condotto presso l'U.O.S. Di Epatologia Diagnostica ed

Interventistica dell'U.O.C di Medicina di Este, ULSS17.

Tra maggio 2009 e settembre 2010, 64 pazienti con 83 lesioni sono stati arruolati e

sottoposti a procedura di termoablazione con microonde. Il gruppo di pazienti era

costituito da 39 maschi e 25 femmine, con un’età media di 70 anni ± 3 ( range 41-87

anni ). Di questi, 44 erano affetti da epatocarcinoma, 16 da tumori metastatici e 4 da

colangiocarcinoma. Tra i pazienti con HCC, 42 presentavano una sottostante

epatopatia ad eziologia nota ( 27 HCV+, 5 HBV+, 7 esotossica, 3 coinfezione

HBV+HCV ), i restanti hanno sviluppato la neoplasia su un substrato di cirrosi

criptogenetica. 37 pazienti erano stati precedentemente sottoposti ad altri trattamenti

( 17 a RFTA, 11 a TACE, 2 a PEI e 7 a resezione epatica ) (Tab.2).

Tutti i pazienti sono stati informati sulla natura del trattamento e hanno firmato un

consenso a tal riguardo.

Prima di essere sottoposti alla procedura, tutti i pazienti hanno eseguito una TC con

mezzo di contrasto, una RM o una CEUS per valutare la sede e le dimensioni delle

lesioni. Criteri di inclusione per il trattamento erano i seguenti: conta piastrinica >

50000/ mm², attività protrombinica > 50%, concentrazione della bilirubina totale < 3

mg/dl e indice di Child-Pugg ≤ B8. I pazienti con trombosi neoplastica della vena

porta o metastasi extraepatiche sono stati esclusi.

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Caratteristiche dei pazienti

Età media Sesso M/F Istotipo della neoplasia :

• HCC • Colangiocarcinoma • Metastasi da Ca colon • Metastasi da Ca mammario • Metastasi da Ca gastrico • Altro

Comorbidità:

• Ipertensione • Diabete mellito • Coagulopatie • Pregresso IMA • Pneumopatie • Aritmie

Trattamento pregresso:

• RFTA • TACE • PEI • Resezione epatica

70 anni (range 41-87)

39/25

44 4 11 3 1 1

25 12 5 4 3 3 17 11 2 7

Tab. 2 - Caratteristiche dei pazienti

Diametro delle lesioni: tra 8 e 73 mm ( media 26,63 mm ). La conferma istologica

delle lesioni è stata ottenuta in 32 pazienti attraverso una biopsia percutanea

eseguita con FNAB con ago Menghini modificato di 21 G.

CEUS (fase arteriosa) HCC 10 mm lobo sin

Ecografia basale. Metastasi 25 mm VII seg.

Ecografia basale. Colangiocarcinoma 20 mm V seg.

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Le lesioni erano variamente distribuite nei diversi segmenti epatici (Tab. 3)

Caratteristiche delle lesioni

Diametro medio Istotipo

• HCC • Colangiocarcinoma • Metastasi da ca colon • Metastasi da ca mammario • Metastasi da ca gastrico • Altro

Sede segmento

• I • II • II-III • III • IV • V • VI • VI-VII • VII • VIII • V-VIII • Lobo dx

26.63 mm (range 10-73)

53 5 12 7 5 1 1 2 2 4 9 15 7 4 24 15 1 1

Tab. 3 - Caratteristiche delle lesioni

4.2 Tecnica

La termoablazione è stata eseguita per via percutanea sotto guida ecografica.

L’apparecchio ecografico utilizzato: Hitachi Preirus con sonda

convex multi-frequency 3.5-5 Mhz cui veniva agganciato un

dispositivo guida per procedure operative.

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Il sistema di ablazione utilizzato è stato l’ HS AMICA Microwave coagulation system.

Il generatore è in grado di produrre fino a 80 W di potenza.

Ogni generatore era connesso ad un’

antenna mediante un cavo coassiale.

Le antenne erano caratterizzate da

dipolo asimmetrico e carico capacitivo

in punta, provviste di un trasformatore

di impedenza a quarto d’onda

miniaturizzato per l’intrappolamento delle onde riflesse (mini-choke). Per quanto

riguarda le dimensioni, si sono utilizzate antenne di

diversi diametri: 69 lesioni (83%) sono state trattate

con antenne di 14 G, 24 ( 17% ) con antenne di 16 G.

La scelta dell'antenna avveniva in base alle

dimensioni della neoplasia da trattare preferendo il

device di minor calibro per noduli < 2 cm.

Il numero di inserzioni dell’applicatore è stato variabile da 1 a 3, a seconda della

dimensioni delle tumore. Le lesioni sono state trattate in 53 casi mediante un

approccio intercostale, nei restanti 30 casi tramite un accesso sottocostale.

Il trattamento di 9 lesioni è stato completato in fase intraprocedurale con PEI.

La durata media del trattamento è stata di 14 minuti (range 2-50 minuti, DS 8,1

minuti).

Tutti i pazienti sono stati sottoposti ad anestesia; data la breve durata delle

procedure, è stata scelta una sedazione profonda, utilizzando Propofol associato a

Fentanil con respiro spontaneo in O2 in maschera. Il dosaggio di mantenimento è

stato somministrato in base ai valori di pressione arteriosa, pulsazioni, saturazione e

tracciato elettrocardiografico. Immediatamente dopo la procedura i pazienti hanno

ripreso conoscenza.

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4.3 Analisi statistica

Le analisi sono state espletate applicando metodi di statistica descrittiva. In

particolare, trattandosi di variabili discrete o discretizzabili i risultati sono stati

espressi in termini di distribuzioni di frequenza.

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CAPITOLO 5

RISULTATI

5.1 Risposta al trattamento

Delle 83 lesioni termoablate, 74 sono state sottoposte a rivalutazione dopo un

periodo di 40 ±10 giorni dal trattamento. La rivalutazione è stata effettuata in 58 casi

mediante una TC con mezzo di contrasto, in 9 casi mediante CEUS e nei rimanenti 7

casi con una Risonanza Magnetica.

Una necrosi completa è stata riscontrata in 66 lesioni (89.2%), parziale > 90% in 4

lesioni (5.4%), parziale > 50% in 4 (5.4%)

89,20%

5,40%5,40%

Risposta complessiva

Completa

Parziale >90%

Parziale >50%

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5.2 Risposta al trattamento in relazione all’istotipo della neoplasia:

Le 53 lesioni con primitività epatica trattate sono state tutte rivalutate. In 46 casi

(86.8%) è stata ottenuta una necrosi completa, in 5 casi una risposta parziale > 90%

(9,4%) e nei rimanenti 2 casi una risposta parziale > 50% (3,8%).

Per quanto riguarda le neoplasie di natura secondaria e i colangiocarcinomi, sono

state trattate 30 lesioni, di cui 21 rivalutate. Le risposte complete sono state 13

(62%), quelle parziali >90%: 5 (23,8%), quelle parziali > 50%: 2 (9,5%) e in 1 caso

(4,7%) la necrosi è stata < 50%.

86,80%

9,40% 3,80%

Risposta in base all'istotipo:

HCC

Completa

Parziale >

90%

Parziale

>50%

62%

23,80%

9,50% 4,70%

Risposta in base all'istotipo:

Metastasi e

colangiocarcinomi

Completa

Parziale > 90%

Parziale > 50%

Incompleta

0,00% 20,00% 40,00% 60,00% 80,00% 100,00%

Completa

Parziale >90%

Parziale >50%

Incompleta

Metastasi

HCC

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5.3 Risposta in relazione alle dimensioni:

Si sono suddivise le lesioni in tre categorie, in base al diametro maggiore misurato

alla diagnosi; secondo i riconosciuti criteri si definiscono tumori “piccoli” quelli con

diametro < 3 cm, “intermedi” tra 3 cm e 5 cm, “grandi” > 5 cm.

Sono state trattate 54 lesioni ≤ 3 cm, di cui 50 rivalutate. Le risposte sono state le

seguenti: necrosi completa in 45 lesioni (90%), parziale > 90% in 3 (6%), parziale >

50% in 2 (4%).

Delle 25 lesioni di diametro > 3 cm e ≤ 5 cm, 19 sono state rivalutate; 15 sono andate

incontro a necrosi completa ( 78.9% ), 3 a necrosi parziale > 90% ( 15.8% ) e 1 a

necrosi parziale > 50% ( 5.3% ).

Delle 4 lesioni > 5 cm, 1 ha risposto in modo completo (25%), due in modo parziale

con necrosi > 90% (50%) e 1 parziale > 50% (25%).

90,00%

6,00%4,00%

Risposta in base alle

dimensioni: ≤ 3 cm

Completa

Parziale > 90%

Parziale > 50%

80%

13,30%

6,70%

Risposta in base alle

dimensioni: >3cm e ≤5cm

Completa

Parziale

>90%

Parziale

>50%

25%

50%

25%

Risposta in base alle

dimensioni: >5cm

Completa

Parziale > 90%

Parziale > 50%

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Se nell’ambito delle varie categorie dimensionali si fa un’ulteriore distinzione in base

all’istotipo i risultati diventano i seguenti:

in caso di HCC ≤ 3 cm le risposte complete sono state 22 su 24 lesioni rivalutate

(91,6%), le risposte parziali > 90% sono state 2 (8,4%).

Nelle lesioni di diametro > 3 e ≤ 5 cm le risposte sono state le seguenti: 10 risposte

complete (83,4%), una risposta parziale > 90% (8,3%), una risposta parziale > 50%

(8,3%).

Le lesioni > 5 cm trattate erano 3, di cui una è andata incontro a necrosi completa,

una a necrosi parziale > 90% e un’altra parziale > 50%.

Per quanto riguarda le neoplasie secondarie, nelle lesioni ≤ 3 cm, su 15 lesioni

rivalutate si sono riscontrate 10 risposte complete (66,6%), 3 risposte parziali > 90%

(20%), una risposta > 50% (6,7%) e una risposta incompleta < 50% (6,7%).

Nelle 3 neoplasie di medie dimensioni si sono registrate 2 risposte complete (66,7%)

e una parziale > 90% (33,3%).

Soltanto una lesione di dimensioni > 5 cm è stata trattata, ottenendo una risposta

parziale > 90%.

5.4 Complicanze:

Complicanze si sono verificate nell’ambito del trattamento di 10 lesioni (12%) (tab4.).

In 4 casi (4,8% sul totale delle lesioni) si è trattato di complicanze maggiori, ossia

condizioni che hanno necessitato di particolari trattamenti con conseguente

prolungamento dell’ospedalizzazione; nei restanti 6 casi (8,4%) sono state

complicanze minori.

Un paziente ha sviluppato un ascesso epatico, che è stato trattato con successo con

una terapia antibiotica. In 2 casi si sono verificati dei versamenti emorragici in cavità

peritoneale, risoltisi senza necessità di intervento chirurgico. In 1 paziente si è

formato un biloma.

Più comuni sono state le complicanze minori: 4 versamenti pleurici, di cui soltanto

uno ha richiesto l’esecuzione di una toracentesi evacuativa, e 2 complicanze di tipo

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tecnico, che non hanno comportato alcun danno alla salute dei pazienti; in un caso si

è verificata la rottura del sistema idraulico dell’ antenna con conseguente interruzione

del trattamento prima del suo completamento, mentre in 1 caso la punta dell’antenna

si è distaccata al momento della sua estrazione, rimanendo nel tessuto sottocutaneo.

Questo paziente è stato immediatamente sottoposto a TC addominale per verificare

la posizione del corpo estraneo ma non ha dovuto subire alcun trattamento, essendo

l’antenna realizzata in materiale biocompatibile.

Complicanze

Maggiori: 4 • Ascesso epatico (1) • Emoperitoneo (2) • Biloma (1) Minori: 6 • Versamento pleurico dx (4) • Problemi tecnici (2) o Rottura sistema idraulico antenna o Rottura punta antenna

Tab. 4 – Complicanze osservate

Punta dell’antenna MW nel sottocutaneo (freccia) dopo rottura.

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CAPITOLO 6

DISCUSSIONE

L’ablazione con microonde sta diventando sempre più popolare nel trattamento delle

neoplasie epatiche e, come conferma questo studio, si sta dimostrando una

procedura sicura ed efficace.

Essa consente di ottenere buoni risultati soprattutto nelle neoplasie primitive del

fegato ma si è rivelata utile anche nel trattamento dei tumori metastatici.

In letteratura molti sono i dati che documentano l’efficacia della termoablazione in

particolare per HCC di piccole dimensioni.70-75; con i successivi miglioramenti dei

dispositivi e della tecnica, la termoablazione ha dimostrato anche una promettente

capacità nel trattamento di lesioni fino a 5 cm.

Per la sopravvivenza a lungo termine di pazienti trattati con RFA, Lencioni et al 76

riportato un tasso di sopravvivenza a 2 anni di 98% per 52 pazienti con HCC di

misura < 5 cm. Lin et al77 raggiunto un tasso di sopravvivenza a 3 anni del 74% per

50 pazienti con HCC di misura <4 cm. Recentemente, Chen et al78 trattati 71 pazienti

con HCC solitario < 5 cm con RFA, e ha ottenuto un tasso di sopravvivenza a 3 anni

del 71%.

Xiao-Yu Yin et al79 riportano tassi di sopravvivenza globale del 76%, 47%, Il 31% e

del 15%, per HCC tra 3 e 7 cm rispettivamente ad 1, 2 3, 5 anni. Gli stessi autori

all’analisi uni e multivariata hanno dimostrato che necrosi incomplete dopo

termoablablazione, ricorrenza dopo resezione epatica e livello basale di AFP > 200

ng/ml erano 3 fattori prognostici indipendenti sfavorevoli per la sopravvivenza a lungo

termine.

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Tra questi, la completezza dell’ablazione è risultato il più importante fattore

prognostico. Stesso dato viene riportato da Sala et al80: nei pazienti con HCC trattati

con PEI, RFA o TACE + PEI la completezza dell’ablazione è stata associata con una

migliore sopravvivenza a lungo termine.

Infine le dimensioni del tumore influiscono sull’esito del trattamento81,82: la

termoablazione di tumori di grandi dimensioni ha un’elevata possibilità di essere

incompleta e di conseguenza un’influenza negativa a lungo termine per un ridotto

intervallo disease free.

In tal senso, particolarmente interessante tra i risultati della nostra casistica è stata la

risposta alla termoablazione in relazione alle dimensioni della neoplasia:

diversamente da ciò che dimostravano i primi studi realizzati su tale metodica,

l’ablazione con microonde si è rivelata molto efficace anche in caso di lesioni > 3 cm,

con una risposta completa ottenuta in circa l’80% dei casi; nel caso di

epatocarcinomi di diametro compreso tra 3 e 5 cm, in particolare, si è superato l’83%

di necrosi complete.

Le lesioni di grandi dimensioni, > 5 cm, sono state poco numerose, pertanto non è

possibile stabilire l’effettiva efficacia del trattamento in questi casi, che, comunque,

non appare ottimale.

Anche la sicurezza sembra essere una caratteristica di questo tipo di trattamento: le

complicanze sono state infatti poco numerose e prevalentemente di scarsa rilevanza

clinica; tali risultati sono dunque in linea con quelli già presenti in letteratura.

E’ giusto sottolineare che questo studio presenta dei limiti, costituiti soprattutto dalla

brevità del follow up e dal numero piuttosto limitato dei pazienti trattati. In particolare,

il periodo medio di follow up, che è di circa nove mesi, non ci ha consentito di trarre

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conclusioni sull’utilità del trattamento in termini di sopravvivenza. Possiamo

affermare che in base alla nostra esperienza tale tipo di trattamento sembra offrire

buoni risultati in termini di efficacia e sicurezza; apparentemente ottima l’efficacia

anche nei noduli di medio-grandi dimensioni. Sarà necessario continuare il

monitoraggio dei pazienti in modo da poter prendere in considerazione altri parametri

fondamentali per stabilire l’effettiva efficacia di tale procedura, valutando l’overall

survival e la disease free survival (minor heat sink effect?).

In conclusione la termoablazione con microonde, pur non potendo essere

considerata la panacea per i tumori del fegato, deve essere tenuta in conto come

un’utile opzione terapeutica, soprattutto nelle situazioni in cui l’intervento chirurgico

non è realizzabile.

.

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