Se volessi essere disturbato - Edizioni del Faro · Tutto è follia, il pavimento bagnato, il legno...

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Marco Ricchini

Time PuppetsAtto Secondo: Automi temporali

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Marco Ricchini, Time Puppets. Atto Secondo: Automi temporaliCopyright© 2018 Edizioni del Faro

Gruppo Editoriale Tangram SrlVia dei Casai, 6 – 38123 Trento

www.edizionidelfaro.it – [email protected]

Prima edizione: novembre 2018 – Printed in EUISBN 978‑88‑6537‑681‑2

Composizione e disegni copertina: Raffaella VernazzaComposizione e disegni interni: Carlo Coronella

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Perché affannarsi, perché correre.La flebile fiamma della candela

tremola nella penombra della stanza del martirio.Domani niente sarà uguale a oggie ieri sarà solo l’eco del rimpianto

di ciò che non è stato.

(Confessioni di un giullare di corte)

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Time PuppetsAtto Secondo: Automi temporali

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Capitolo 1

La MascheraVenezia

16 febbraio 1810 Ore 00:12

Primo frammento di un diario ritrovato

L’odore di acqua marina trasuda attraverso le pa‑reti che mi circondano.

Cosa mi succede?Il giaciglio mi avvolge e sembra proteggermi da tutti

i pericoli. Ho paura di aprire gli occhi. Ho avvertito un sussulto.

Qualcosa di inusuale è accaduto.È solo un sogno! Eco di un ricordo mai vissuto.Ora è finito! Si sentono solo grida, suoni ovattati e can‑

zoni lontane. La gente si muove, corre e il rumore dei pas‑si provenienti dalla strada rimbomba nella mia mente of‑fuscata.

Una donna grida festosa.Ma la distrazione vaga nel tempo, che ora sarà di gra‑

zia?Dove mi trovo?

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| 10 Capitolo 1 |

Dubbi e certezze si accavallano. Giaccio immobile men‑tre tutto il mondo corre rapidamente. La gente nelle piaz‑ze si diverte, musicanti inducono il pubblico a lanciarsi in sfrenati balli. E io non riesco a muovermi, la testa mi scoppia e l’umido alone delle lenzuola mi trattiene come se fossi catturato da una ragnatela collosa.

Perché tutto è confuso e indistintamente irreale?È meglio fare qualcosa, aprire gli occhi sarebbe un buon

rimedio. Sollevando le palpebre mi sforzo di guardare nel buio per cercare di capire meglio. La penombra della not‑te è rotta solo dal confuso passaggio di luminarie che fur‑tivamente si muovono all’esterno. Le ombre riflesse di quei continui camminamenti, filtrando da una piccola fi‑nestra socchiusa posta a circa due metri di altezza, si in‑seguono frenetiche sulle pareti.

La sensazione di generale ilarità che giunge da fuori è solo la trasposizione dello stravagante mondo che mi at‑tornia di cui però non ne riesco a far parte. Sono solo, con me non c’è nessuno e nessuno si ricorda di me. Sono so‑lo di fronte alle domande che a raffica mi attraversano il cervello: “Esisto davvero? Chi è stato lì, chi mi ha portato in salvo? Chi mi ha aiutato ore prima? Cosa ho fatto pri‑ma di quella notte?”

Mentre tutto si sta agitando, mi compare un pensiero nitido: “Da questo tempo non avrò risposte”.

Le voci provenienti dall’esterno vanno ad aumentare; la folla accalcata nella piazza sovrastante incitata da com‑medianti improvvisati sembra divertirsi a dismisura. Con le lanterne tutti collaborano involontariamente a schiari‑

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| La Maschera 11 |

re l’oscurità del luogo. Tutto prende una forma e gli og‑getti si modellano, si delineano prendendo vita dal gioco d’ombre creato casualmente.

Mi guardo attorno e in quella nuova penombra rischia‑rata vedo cose senza senso, gettate alla rinfusa sul pavi‑mento come se fossero cadute dopo un raptus d’ira sel‑vaggia: penne d’oca, calamai vuoti, fogli sporchi e, abban‑donata per terra, una candida maschera bianca.

È irrazionale quello che vedo! Sto ancora sognando, l’e‑co di un mondo inesistente del quale non ne comprendo le regole. Tutta la mia vita è sparsa per terra, assomiglia a un campo di grano dopo la mietitura. Le poche spighe rima‑ste mosse dal vento ondeggiano come frammenti sospesi tra la vita e la morte, tra il ricordo e l’oblio.

C’è solo l’empio ardore di non poter rimanere in questa situazione. La mollezza del materasso e le coperte mi im‑pediscono qualunque movimento sensato. Sollevandomi tornerei certamente a vivere di nuovo, ma poi tutto rica‑drebbe, di riflesso, nel vuoto grigiore.

Mi chiedo il perché di quella maschera che, immobi‑le, mi osserva furtiva. Sembra fuori posto lì, sbattuta per terra a causa dell’insana follia di un corpo privo della vo‑lontà di vivere che l’ha persa.

Con la mano cerco un appiglio per spostarmi e affer‑rarla!

Lentamente mi avvicino e cercando il contatto, la sfioro.È ruvida e mentre la tengo tra le dita scopro che il suo

esterno candore è differente dalla scura patina creata dall’usura del lato opposto.

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| 12 Capitolo 1 |

L’interno è bagnato, madido di sudore.L’odore del mio corpo è ovunque e anche la maschera ne

è pervasa. Sono certo di averla indossata poco tempo pri‑ma, sebbene non ne capisca il motivo.

Mentre con le dita cerco di svelare i segreti di quell’og‑getto e con esso di dipanare i ricordi della notte, mi accor‑go di essere ancora vestito. Indosso un vestito strano, un abito da scena, un lacero costume teatrale per presentar‑si al pubblico in una ribalta quotidiana di una commedia surreale che tutti i giorni si replica all’insaputa del mon‑do.

Non ricordo nulla, né il copione, né le battute e neppu‑re gli attori; ma so per certo di avere un ruolo nella farsa anche se marginale.

La mente si è fermata e i ricordi sono stati cancellati.Il mondo e l’esistenza che ho condotto fino a oggi si so‑

no arrestati e in quello scantinato sto vivendo l’assurda consapevolezza di essere travolto da eventi impossibili.

Mi aggrappo a quella maschera come l’ultimo nodo del‑la corda che sorregge il secchio dell’acqua nel pozzo e cer‑co di attingere alle rimembranze di una perduta consape‑volezza.

Timidamente tento di accendere una candela ma subi‑to dopo perdo i sensi.

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Capitolo 2

IncubiVenezia

16 febbraio 1810 Ore 05:46 circa

Secondo frammento di un diario ritrovato

Non riesco a stare sveglio, non riesco a stare atten‑to. Tutto è confuso, tutto è opaco.

La fiamma della candela tremola nel buio.La luce da questa emanata e le luci che filtrano da fuo‑

ri illuminano casualmente la maschera e la tingono ora di colori rosso fuoco, ora di tenui gialli.

Sembra impossibile che possa prendere vita, idealmen‑te è simile alla legna che brucia nel camino. Quell’ogget‑to mi porta a ricordare la vita e le tonalità calde di un’esta‑te lontana a venire.

La fonte di luce ora però si spegne inesorabilmente. In questo nuovo buio penso a quali sensazioni mi hanno re‑so così schiavo e perché il mio corpo sembra tristemente vuoto. Il tenue chiarore dell’alba si insinua tra le grate del‑la finestrella, lentamente vince l’oscurità di una notte in‑terminabile e si riflette sull’oggetto che tengo vicino. Non

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| 14 Capitolo 2 |

riesco a separarmi da quel simulacro che per il suo can‑dore è l’opposto del mio essere. La sua luce bianca è ora in contrasto evidente con la mia nera esistenza.

Mi sembra incomprensibile quello che mi sta accadendo.Devo capire il senso di tutto ciò.Mi concentro sul candore di quel volto senza anima e,

in quel momento, emerge il ricordo di un’immagine che emana tristezza, un viso senza allegria, senza sembianze.

Sto rivivendo il ricordo dell’incubo che mi ha improvvi‑samente scosso: chiunque si cela dietro tutto ciò è in gra‑ve pericolo.

L’ossessione di morte si impossessa del mio corpo.Tutto è follia, il pavimento bagnato, il legno tumefat‑

to dall’acqua salmastra è intriso dell’odore di una immon‑da vecchiaia e quell’inspiegabile volto inespressivo cerca ri‑sposte.

Mentre avvicino la maschera al mio viso come se reci‑tassi una scena mi appare chiaro un monito ad agire e, co‑me in trance, ripeto a me stesso: “Lei sta per arrivare; vor‑rà recitare con me, ma alla fine resterò solo per sempre”.

Il mio volto si confonde per un attimo, ma netta è la cer‑tezza: “Alla fine sono solo io che m’illudo di vivere qualco‑sa che non può esistere”.

Lo sgomento mi assale e in un attimo diventa sempre più oppressivo. Non devo dimenticare nessun elemento, devo concentrarmi su ogni minima traccia e su ogni ri‑cordo particolare.

Di nuovo compare quell’idea: “Lei sta per arrivare e io non conosco nemmeno la sua immagine”.

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| Incubi 15 |

Dentro la mia mente vi è quest’unico pensiero isolato, una sola consapevolezza: “Lei sta per arrivare: morirà se non la salvo!”

Non hanno senso quelle parole, forse sono solo l’eco delle allucinazioni avute prima. Le sensazioni sembrano essere collegate tra loro, ma in un modo del tutto incom‑prensibile. Vivere in quella camera disordinata è come vi‑vere nel nulla; il disagio di essere impotenti di fronte a quel vuoto abissale è peggio di una condanna a morte.

Non sapere, non conoscere niente è la sconfitta dell’in‑telletto.

L’ignoranza per millenni è stata la manifestazione di tutte le domande rimaste senza risposte.

Cos’è il tempo?Cos’è la vita?Intorno a me solo creature astratte inneggianti alla

morte.Non capisco cosa mi accade, forse sto ancora sognando!

Come in un lampo precipito in un universo surreale fatto di nere barriere fumose. Drappi neri precipitano dalle pa‑reti di un corridoio senza fine e, srotolandosi, creano mi‑gliaia di ricordi disgiunti.

Vite che si intrecciano per godere di fugaci attimi, co‑struiti sull’architettura di un’eterna precarietà. Tutti i corpi mutano la loro consistenza.

Le figure assomigliano inizialmente a bimbi spensierati che per un attimo vivono felici e poi, di colpo, trasmuta‑no le loro sembianze verso l’infelicità di adulti pronti al‑la battaglia finale.

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| 16 Capitolo 2 |

Come busti di marmo, gli eroi senza tempo, posti sulla balaustra di un palazzo, crollano rovinosamente uno per uno sul pavimento, frantumandosi.

Vedo intorno a me sconosciute figure mutilate dal cam‑mino del mondo e dalle guerre.

Io resto lì immobile come fossi un cadavere perfetta‑mente sano.

Per un attimo rivivo i ricordi discordanti della mia tri‑ste infanzia; intanto la bocca emette una voce spettrale che pronuncia parole di pietra per avvisarmi che lei sareb‑be partita di lì a poco per venire da me.

Non potevo più rimanere lì, in quel museo di statue di‑strutte.

Dovevo fare qualcosa.La sensazione che l’ingorda esistenza stia divorando

tutto mi pervade e le bianche schegge restano sul pavi‑mento come fossero opprimente immondizia in cui in‑ciampare.

Piangere è l’unica cosa giusta da fare.Cosa serve lottare se lo sgomento finale lacera il pet‑

to?È giusto andare via da quella scena?È giusto correre verso un sicuro insuccesso per cercare

l’effimera illusione della voluttà e della brama di una vit‑toria negata?

Sto fuggendo ma non so in quale direzione.In quella visione spettrale mi muovo a caso percependo

le distanze grazie allo scorrere del tempo.Cerco e inseguo qualcuno in una corsa frenetica!

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| Incubi 17 |

In lontananza vedo una figura seduta, immobile sulla ri‑va davanti a un mare cupo, distante un tempo indefinito.

Lontano si intravedono bianche vele; la figura improvvi‑samente si tuffa in quel oceano allegorico dell’esistenza e fugge per sempre verso l’orizzonte.

Il vento la allontana da me sempre più; non trovo la for‑za per raggiungerla e finisco per soccombere.

Devo raccogliere le poche forze rimaste per raggiunger‑la e salvarla, fallire sarebbe come morire in eterno.

Mi mancano le forze per reagire ma riesco a tuffarmi e inizio a nuotare nel vuoto.

Mi sveglio di scatto, tenendo ancora quell’oggetto serra‑to al viso. Questa maschera è la sola cosa che mi resta ed è anche l’unico oggetto che assomiglia al mio futuro.

Il bianco volto si tinge lentamente della luce del giorno e io sprofondo nel buio del nulla che cela inviolati i mil‑le segreti posti dietro la maschera. Mi sono ridotto ma‑le, sto cedendo all’eco della morte che chiama il viandan‑te inesperto a sé.

Alla fine qualche ricordo è presente, devo trovare degli indizi per salvarla. La sua sopravvivenza darebbe un sen‑so a tutto quanto.

Devo convincermi che nulla è reale. Lei non esiste: è so‑lo una proiezione del mio cervello. Lei non è di questo mondo.

Lei è solo un pupazzo, un manichino.Non capisco perché la mia mente si attorciglia a spirale

attorno a quest’unica immagine.Un volto senza sembianze, un viso privo di emozioni.

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| 18 Capitolo 2 |

Voglio dormire ma temo che incubi peggiori riaffiorino inevitabilmente nel mio pensiero.

Voglio vivere, ma temo la dura realtà: i due versi oppo‑sti della stessa medaglia.

Mi sento come un automa, una marionetta mossa da ar‑gentei fili invisibili intrecciati e agganciati a complicati in‑granaggi.

Nessuno può capire cosa sta accadendo.Lei è come me: entrambi siamo burattini su di un palco‑

scenico nudo. Andiamo in scena.Lei indossa quella maschera per recitare una storia mai

scritta da nessuno. Cerchiamo di essere diversi ogni not‑te, ogni sera ma alla fine chi ci comanda è governato da ben altre forze. Conosciamo mille battute tutte prive di senso se non calate in una realtà. Viviamo ogni giorno una commedia senza trama dove la regia occulta è posta fuori dalla logica.

In un baleno tutte quelle parole si compongono nitida‑mente nel mio cervello per essere scolpite nel nulla: “No‑nostante tutto lei arriverà! Il suo arrivo passerà inosserva‑to: non vi è nessuno ad aspettarla”.

Solo io sono a conoscenza del suo arrivo.L’unico uomo sulla terra che possa fare qualcosa per sal‑

varla e sperare di accoglierla dignitosamente.Sono certo che nessuno comprende il mio profondo do‑

lore, l’impotenza di non poter fare nulla.Non conosco neanche un particolare, nessun indizio

che può tornarmi utile per risolvere la missione.Questa è la condanna che devo scontare.

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| Incubi 19 |

Non può essere vero! Sto impazzendo…

***

Perso in quei pensieri quell’abitante di Venezia si faceva soggiogare dall’impotenza mentale rimanendo inerte per molto tempo e non si accorgeva più di ciò che gli accade‑va intorno.

Era finito in una sorta di limbo e le sue facoltà mentali erano messe duramente alla prova.

Doveva accadere qualcosa che spostasse l’attenzione verso nuovi pensieri.

Di lì a poco qualcuno bussò alla porta.L’uomo gridò: «Andate via! Non c’è nessuno qua dentro

che vuol vedere qualcuno di fuori.»La risposta ovattata fu altrettanto chiara: «Aprite o sa‑

rò costretto a venir dentro con forza.»

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Capitolo 3

Cambio di scenaVenezia

16 febbraio 1810 Ore 09:00 circa

La porta della stanza si aprì di scatto e un uomo con irruente veemenza entrò.

Si diresse verso la finestra socchiusa e, alzan‑do le braccia, allontanò gli “scurini” e spalancò le ante le‑gnose.

La luce del giorno penetrò con forza nell’oscura dimora colorando di tinte pastello le pareti tappezzate da laceri e macchiati fogli di carta da parati.

L’uomo si diresse verso il letto e strattonò la figura cela‑ta dalle coperte. Con un forte tono di voce pronunciò po‑che parole che ruppero l’apparente silenzio.

«Alzatevi! Non vi vergognate?»E aggiunse: «Un artista come voi.»L’uomo si girò dall’altra parte noncurante della fermez‑

za di quell’intimidazione.L’altro continuò: «Siete davvero uno stupido, Siffredo!»Ma quell’esclamazione produsse solo una serie di sten‑

tati colpi di tosse provenienti dal giaciglio.

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| Cambio di scena 21 |

L’uomo continuò imperterrito: «Mi fate pena, un artista come voi, un cantante, un uomo del vostro calibro ridotto così! Sono due anni che vivete in questa sorta di prigione che vi siete costruito attorno.»

«Uscite da qui! – gridò a stento l’uomo disteso – Anda‑tevene dalla porta da cui siete entrato.»

E lui: «Non me ne andrò fino a che non mi avrete par‑lato, spiegato e al fine chiarito la vostra posizione negli eventi nefasti di questi giorni.»

Vi fu di contro una risposta secca: «Sprecate fiato, con voi non parlerò! Questo è tutto!»

L’uomo si aggirava nella stanza, inciampando volonta‑riamente negli oggetti sparsi e, prendendoli a calci e spo‑standoli in ogni angolo.

Osservando lo stato di abbandono dell’arredo, si soffer‑mò sul comò dove, accanto a una giacca sporca, vi era un piatto con i resti spolpati di un pollo, tutti ricoperti da vermi e altre tracce di cibo raffermo.

Ironicamente disse: «Vedo che non badate a spese e vi nutrite come un imperatore.»

Rise e continuò a passare in rassegna dapprima le due sedie che stavano davanti allo scrittoio e poi il mobile stesso.

Spostò i panni e da sotto alcune lenzuola maleodoranti, spuntò una marsina di color avorio che, sebbene non pro‑priamente pulita, era indossabile.

Per fortuna non aveva ancora preso le sembianze del‑le suppellettili, tanto che bastò un semplice scrollone per renderla meno polverosa.

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| 22 Capitolo 3 |

Irritato dalla presenza di quel curioso figurante l’uomo sdraiato imprecò: «Andatevene per carità di Dio! Voi non capite! Voi siete solo buono a dipingere, ma non ragiona‑te affatto.»

Con la solita ironica voce l’uomo in piedi lo incalzò: «Ve‑do che gradite la mia compagnia oltremodo e che bramate la mia presenza. Ma vi rassicuro che non è ancora giunta l’ora di togliere il disturbo.»

La risposta fu unicamente un corpo che si rigirò due o tre volte sul letto dando prima le spalle al forestiero per poi girarsi definitivamente verso il centro della stanza.

Siffredo, rimanendo disteso, cercò di tenere quanto più possibile gli occhi chiusi.

Nonostante la precauzione, per un attimo gli sguardi dei due si incrociarono.

«State buttando al vento l’ennesima occasione! Voi pen‑sate che lui sia eterno, ma la verità è che prima o poi do‑vrà lasciare il posto di primo attore e solo voi lo potrete sostituire.»

Irritato dal subdolo suono delle lodevoli parole affermò: «Finitela! Vi rendete ridicolo ai miei occhi che sebbene siano chiusi in uno scantinato riescono a vedere cose di cui voi neanche immaginate l’esistenza.»

E lui con ravvivato ardore: «Vedete che riesco a toccare il profondo del vostro cuore malato. Siete un uomo troppo sensibile per finire così male. Tengo a voi per svariati mo‑tivi. Prova ne è che voglio portarvi oggi stesso a teatro.»

Con voce rassegnata Siffredo aggiunse: «Non mi incan‑tate! Questa vostra importuna sortita non mi distrarrà

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| Cambio di scena 23 |

dai miei propositi. Non capite cosa sta accadendo a Vene‑zia. L’intera città e i suoi abitanti sono in grave pericolo. Tutto il mondo è in pericolo.»

Con un celato rimprovero l’uomo in piedi lo incalzò.«Ma che dite? Il matrimonio imperiale che verrà cele‑

brato nei prossimi mesi ci renderà liberi. Le guerre so‑no finite. Basta tirannia. L’imperatore sta cercando degli stratagemmi per starsene quieto e risolvere tutto politica‑mente senza ulteriore spargimento di sangue innocente. Sarà un matrimonio politico in cambio di una pace du‑revole.»

Uno sguardo sconsolato fece seguito alle parole: «Vede‑te che siete ottuso: l’imperatore non c’entra nella distru‑zione! Lui è destinato a perire comunque! Non è lui la causa di tutto. Lui è solo una pedina, un insignificante pezzo di gioco in cui alberga l’umana inquietudine. Egli vive un esilio continuo pur essendo a casa. Quello che di‑co accadrà ugualmente; giunge da una realtà ben differen‑te da questa!»

Scosse la testa.«Temo che quello che dite sia solo l’effetto di una sbron‑

za colossale: che avete ingurgitato in questi giorni di fe‑sta? Extrait d’absinthe forse? Dovete astenervi dal mani‑festare opinioni troppo categoriche e prive di fondamen‑ti.»

Siffredo si alzò dal letto di scatto, irritato dal tono som‑messo, mostrò il suo abbigliamento: la giacca di broccato, il panciotto parzialmente sbottonato e il pantalone al gi‑nocchio trattenuto da cordicelle chiare.

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| 24 Capitolo 3 |

I due si guardarono e il più anziano fissandolo aggiun‑se: «Siete davvero un bel giovanotto, non certo un ubria‑cone!»

I lunghi anni di militanza nel teatro lo avevano allena‑to a svolgere svariati compiti e una buona e perfetta mu‑scolatura erano la garanzia di successo e ammirazione nel giovane pubblico femminile.

Sorridendo lo rassicurò: «Giovanni, per carità divina, cercate di comprendere: voi dovete agire con me. I demoni si aggirano in questo mondo e agiscono nella penombra. Ogni notte sono sempre più forti, nessuno li vede, nessu‑no li combatte.»

L’uomo, guardandolo con sopportazione, sussurrò: «Straparlate. Ma cosa c’era nel vino di ieri sera? Gli agen‑ti inglesi, le spie francesi vi potrebbero sentire e allora fi‑nirete in guai molto più seri. Definire demoni dei gendar‑mi mascherati mi sembra un’accusa assai grave. Fatemi il piacere: tacete!»

Siffredo avvicinandosi a Giovanni lo prese per le spalle.«Vedete che siete cieco: non è nulla di simile a quello che

voi immaginate. Sforzatevi di comprendere, leggete i se‑gni che si tracciano sulla nuda pietra.»

L’uomo applaudì con gioia dicendo: «Bravo! Che scena madre! Siete proprio un grande attore.»

Estrasse un foglio dalla tasca del panciotto e aggiunse: «Leggo benissimo i segni. Quelli che sono scritti su que‑sta lettera di cambio che vi mostro sono gli unici in grado di darvi sollievo.»

Era raggiante e non lo fece più parlare.

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| Cambio di scena 25 |

«Soldi amico mio, solo soldi. Mi hanno commissionato una nuova scenografia per un’opera lirica inedita da met‑tere in scena in Autunno.»

Sebbene contrariato, Siffredo non lo interruppe, anzi lo guardò con ammirazione per come era riuscito a cambia‑re discorso.

«L’opera di un giovane talento. Il titolo è un po’ strano. La cambiale per un matrimonio o qualcosa di simile.»

Siffredo, sopraffatto dalla curiosità per quella rivelazio‑ne, domandò: «Che opera è? Non ne sono a conoscenza, non l’ho mai sentita neanche nel repertorio classico.»

L’altro schernendolo: «D’altro canto come potete cono‑scerla se state morendo in questo esilio maleodorante do‑ve vi siete rintanato?»

E poi indicando il bianco oggetto abbandonato sul let‑to: «Tornate a vivere, andate in giro Siffredo, correte die‑tro a qualche bella mascherina!»

Ma lui, scuotendo la testa: «Voi non pensate altro che al sesso e quando smetterete di dipingere finirete sottomes‑so ai vostri stessi demoni.»

Con voce rassicurante aggiunse: «Da che pulpito arriva la predica! Quando dipingo mi elevo; le mie scenografie saranno immortali. Di me si parlerà per centinaia d’anni e sarò fonte di studio per intere generazioni.»

Siffredo si guardò allo specchio.«Il vostro è solo un affanno. State cercando una gloria

che giustifichi unicamente il prezzo del vostro incomodo.»Il pittore sbirciò Siffredo per un attimo attraverso il ri‑

flesso speculare e, notando una lieve indecisione, intimò:

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| 26 Capitolo 3 |

«Non potete più stare qui! Se davvero il mondo è in peri‑colo dovete agire! È giunto il momento che dimostriate il vostro valore, tornate sulla scena e mettetevi nuovamen‑te a recitare.»

Nello sguardo del giovane, per la prima volta, comparve una smorfia di convincimento.

«Avete ragione! Questa volta avete detto una cosa giu‑sta!»

«Dormire, lagnarvi e ubriacarvi non salverà nessuno di certo. Dovete uscire e se davvero qualcuno trama contro Venezia, voi lo sconfiggerete – continuò in modo canzo‑natorio – Dovete cercare indizi, prove e se questi anima‑li esistono davvero. Come li chiamate? Se i diavoli, demo‑ni o esseri immondi dovessero farsi vedere allora dovete essere pronto a chiamare qualcuno che li esorcizzi e li ri‑mandi nell’oltretomba. Solo così libererete per sempre la vostra esistenza dalla loro presenza.»

Siffredo si avvicinò lentamente a lui.«Vedo che la vostra eloquenza e ancor più la vostra intel‑

ligenza stanno migliorando. Ma Giovanni, voi non com‑prendete le mie parole. Non sono spiriti venuti dal mondo dei morti. Non è chiamando un prete o un esorcista che si risolverà la battaglia. Questi sono esseri come noi. Nes‑suno li vede, non si riconoscono facilmente.»

«Non si vedono perché non ci sono!» replicò il pittore deciso.

Siffredo, girandosi, lo guardò fisso negli occhi.«Siete troppo fermo sulle vostre posizioni. Quegli es‑

seri esistono e ogni giorno mutano aspetto. La gente rie‑

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| Cambio di scena 27 |

sce ad abituarsi a loro perché nemmeno li percepisce. So‑no tutt’intorno.»

Giovanni lo prese sotto braccio e gli porse la giacca.«Vedete che bere troppo vi fa male. Non dovete più esa‑

gerare. Ora vestitevi e varcate con me quella soglia. Pas‑seggeremo insieme per Venezia e così mi mostrerete qual‑cuna di queste orrende creature. Sempre che non ci ucci‑dano prima.»

Page 25: Se volessi essere disturbato - Edizioni del Faro · Tutto è follia, il pavimento bagnato, il legno tumefat‑ to dall’acqua salmastra è intriso dell’odore di una immon‑ da