Scuola miope

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numero 13 Il Serale 11 giugno 2012 Scuola miope Settimanale quotidiano Analisi di un’industria costruita per fallire

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L'istruzione è un'industria costruita per fallire

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numero 13

Il Serale 11 giugno 2012

Scuola miope

Settimanale quotidiano

Analisi di un’industria costruita per fallire

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Scuola a responsabilità limitata

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L’istruzione è un’azienda i cui prodottimigliori vanno all’estero sotto forma di

ricercatori e specialisti. Ma soprattutto èun’azienda e, in quanto tale, costringel’educazione a rispondere a regole che sonoinvece proprie del mercato. Se da una parte atutti sono chiari i disagi studenteschi, dall’altraparte della barricata le cattedre, a cominciareda quelle liceali, assomigliano a catene dimontaggio sollecitate nei tempi e nellaproduzione dalle amministrazioni.

Due anni dopo l’ingresso della riformaGelmini nell’Olimpo delle leggi più criticate disempre, i suoi effetti sono già entrati neimeccanismi d’insegnamento e hanno iniziato laloro opera di corrosione e sfiancamento di uncorpo docente abbandonato a se stesso. Cosìcome a se stessi sono lasciati gli istituti di scuolasuperiore, costretti a stare sul mercato comepossono. “Stare sul mercato” per una scuola èuna bestemmia e, se battere la concorrenza è ilprimo pensiero di un preside, ecco chel’attenzione si sposta dalla curadell’insegnamento ai modi per attirare piùstudenti possibili: marketing. Perciò i Pof(Piani di offerta formativa) si riempiono di falsiprogrammi, gli open day nelle facoltà fannopromesse che le carriere universitarie nonmanterranno e i dottorandi più bravi scappanovia. Nell’industria creata per perdere alla finerimangono i docenti: allenati a insegnare sottopressione, responsabili e spettatoridell’educazione in serie

L’educazione come ingranaggio aziendale: dal liceo allalaurea arrivano silenziosi gli effetti della riforma Gelmini e siabbattono sui docenti, inermi spettatori/attori

di Lorenzo Ligas

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Licei, aziende dell’abbandono

Dalla riforma Gelmini del2010, profondi cambia-

menti sono incorsi nella scuolaitaliana: il rinnovamento deiprogrammi, divenuti più consi-stenti e l’aumentato carico di la-voro dovuto ai tagli del personalehanno trasformato i licei italianida luoghi di apprendimento astrutture organizzate come unaazienda. Sono molti i docentiscontenti. Tra loro una professo-ressa di latino, greco, italiano,storia e geografia di uno dei piùimportanti licei classici di Torinodescrive come è cambiata lascuola italiana negli ultimi anni:«I presidi si comportano da verie propri manager, non è piùcome una volta: i dirigenti della

vecchia guardia erano sicura-mente più attenti all’aspetto di-dattico e a quello umano.Attualmente sono troppo con-centrati sulla mera gestione am-ministrativa e tecnica, ma spessonon svolgono appieno neanchequesto ruolo. Tendono difatti adelegare al corpo docenti, sonofigure evanescenti e poco dispo-nibili. Parlo ad esempio dell’isti-tuto in cui insegno:personalmente sento la man-canza di una vera e propria diret-tiva a livello didattico. La presideè inadeguata, spesso assente

Lavoro di notte non retribuito e non riconosciuto,preside assente e burocrazia pressante: intervista a unaprofessoressa di un liceo classico torinese

«I dirigenti sono troppo concentrati sullagestione amministrativa e tecnica, ma spesso

non svolgono appieno nemmeno questo ruolo»

di Silvia Fiorito

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anche quando c’è un provvedi-mento disciplinare da prendere esi è occupata quasi esclusiva-mente delle questioni di carat-tere burocratico e formale. Unpreside dovrebbe controllare che

i docenti svolgano il proprio la-voro, che la didattica sia effetti-vamente curata e non solamenteindicata nel Pof (Piano dell’of-ferta formativa, ndr)».

Il Pof è un documento elabo-rato e pubblicato da ogni scuola,nel quale vengono chiarite le fi-nalità educative, gli obiettivi ge-nerali relativi alle attivitàdidattiche e le risorse previsteper realizzarli. Tale piano vieneaggiornato di norma ogni anno efunge anche da sistema di moni-

toraggio del lavoro svolto da stu-denti e insegnanti. Il prospetto èvisibile sul sito degli istituti, inquanto svolge anche una fun-zione di pubblicità per la scuola.«Cercano, infatti, gli escamotagepiù vari per farsi pubblicità. Sulsito del liceo si trovano varieproposte e iniziative di forma-zione: liceo della matematica,corsi di recupero, ore di poten-ziamento, sovraccaricando ulte-riormente noi insegnanti».

Una mole di lavoro notevole evariegata che non viene equa-mente distribuita; il sistema sco-lastico non va incontro aidocenti e impone troppi limitinon permettendo loro di svol-gere adeguatamente il proprio la-voro. «La disomogeneità è ciòche più mi affligge - afferma laProfessoressa - cerco di stabilire

«I presidi si comportano da veri epropri manager. I dirigenti dellavecchia guardia erano più attentialla didattica»

«Un preside dovrebbe controllare che ladidattica venga svolta per davvero, non solo

indicata nel Pof »

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un ordine nel mio ambito e poisento dire che in altre classi nonvi è lo stesso sforzo da parte di al-cuni colleghi: ci sono insegnantiche sbraitano, dicono parolacce,non portano a termine i pro-

grammi, ma dichiarano ugual-mente di averlo svolto. Questecose mi fanno imbufalire: a costodella mia salute cerco di tenerealta la qualità del mio lavoro.Colleghi capaci e preparati in-vece perdono il posto, poiché ul-timi in graduatoria; vengonoinesorabilmente travolti dal si-stema: meno classi, ore accorpatee di conseguenza tagli al perso-nale. Tuttavia altri insegnatimantengono la loro cattedra,portando avanti il lavoro come

fossero delle monadi, non consi-derando che il progetto scola-stico debba essereinterdisciplinare, d’equipe e col-laborazione. A causa di rimaneg-giamenti continui, noi docentiabbiamo difficoltà a comunicaree a integrare con coerenza i pro-grammi delle varie materie. Inciò non siamo supportati. Per ov-viare a questi problemi sarebbenecessario il controllo dall’alto dicui parlavo prima».

Situazione difficile quella del-l’insegnante. A fronte di un la-voro complesso e oberante dalpunto di vista fisico e psichico,non vi è un adeguato riconosci-mento: «il carico orario, perquanto mi riguarda, non è va-riato dopo la riforma Gelmini, inquanto continuo a fare 18 ore.Diversamente, l’orario di alcuni

«Dopo la riforma Gelmini ci sonomeno classi e colleghi capaci epreparati che perdono il postoperché ultimi in graduatoria»

I continui rimaneggiamenti nel personalerendono difficile ai docenti integrare concoerenza i programmi delle varie materie

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miei colleghi, che in passato ave-vano cattedre da 15-16 ore, è au-mentato in manieraconsiderevole. Inoltre, manca amolti la percezione di quanto noidocenti lavoriamo a casa. Mi ca-

pita più volte di lavorare anchedi notte e ciò non viene maipreso in considerazione. Ciò èfrustrante, considerando che i sa-lari sono oramai magri, gravatidalle ritenute e dai vari tagli fatti;perché non veniamo retribuitiadeguatamente per la mole di la-voro svolta al di fuori dell’orarioscolastico?»Con i ritmi pressanti imposti

dalla riforma, l'insegnamento,idealmente organico e osmotico,diventa schematico con metodi

di valutazione rigidi e spessoinappropriati: «molti professorioptano per un periodo di proveconcentrate, in cui si fa del ter-rorismo psicologico che non ri-tengo costruttivo. L’omogeneità,la chiarezza e i tempi sono fon-damentali per la qualità dell’in-segnamento. Alcuni colleghi sistancano, si stressano, arrivano aridurre il numero delle prove divalutazione, ad effettuarle in ma-niera più tecnica per poterle cor-reggere più velocemente. Gliescamotage sono infiniti, ma lacultura non può essere ridotta alnozionismo: è necessario lasciarspazio all’espressione, alla com-prensione e alla curiosità. E tuttoquesto sarebbe piacevole poterlofare con molta più calma. Perfinoin questi ultimi giorni di scuola,ci sono classi che si apprestano

Ritmi pressanti post riforma: «Micapita di lavorare anche di notte enon viene preso in considerazione.E questo è frustrante»

«L’omogeneità, la chiarezza e i tempi sonofondamentali per la qualità dell’insegnamento»ma non sopravvivono ai ritmi pressanti imposti

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In cima all’agenda del ministroProfumo c’è risolvere il problema

dei docenti precari e allentare lamorsa al collo degli altri: il duplice

beneficio delle assunzioni

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freneticamente a ultimare com-piti, interrogazioni di recuperosenza una vera e propria organiz-zazione».

Viene anche soffocata la fanta-sia e l'iniziativa personale del do-cente, che per antonomasiadovrebbe entrare in classe e farlezione su ciò che ritiene piùutile per la formazione degli stu-

denti. «Ci accordiamo nelle co-siddette “riunioni didipartimento”, ove elaboriamo,sotto la coordinazione di unacollega nominata dal preside, laprogrammazione di lavoro cheva rispettata ogni anno. Non c’èdunque molto spazio per l’inizia-tiva personale. Durante l’annoogni docente deve svolgere ilprogramma “di minima” concor-dato dal dipartimento ed è moltopressante visto lo scarso tempo adisposizione, soprattutto per noi

insegnanti di lettere, alla lucedella recente riduzione delle oredi insegnamento dell'italiano afavore di materie scientifiche epiù pratiche come l’educazionefisica».

L’istituto chiuderà i battentiper la pausa estiva il 13 giugno ela Professoressa è riuscita a por-tare adeguatamente a termine ilprogramma dell’anno scolastico.D’altronde è un’idealista e desi-dera soltanto fare al meglio il suolavoro, nonostante i bastoni frale ruote di una riforma quanto-meno controversa

Soffocata la fantasia del docente: «Ci accordiamo nelle riunioni didipartimento, ma non c’è spazio perl’iniziativa personale»

La riduzione delle ore di italiano per gliinsegnanti di lettere crea non poche difficoltànello svolgimento del programma di minima

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Per un pugno di ore

Itagli ci sono stati. La riformaGelmini ha creato un campo

di battaglia che, uscito dallescuole, potrebbe tranquillamentespostarsi a Wall Street. La percentuale della spesa per

l’istruzione sul Pil, scesa al 4,2%nel 2010, dovrà secondo le pre-visioni del Def 2011 continuarea scendere giungendo al 3,7% del2015. Rispetto al 4,8% che l’Ocseci assegnava nel 2008 si tratta dipiù di un punto di percentuale,che fa circa 16 miliardi di euro.Ma i dati dell’Ocse nel nostroPaese diventano poesie, cioè in-terpretabili. Quindi meglio es-sere più specifici: 111 milioni dieuro tagliati per legge tra il 2011e il 2013 e 87mila posti in menonel corpo docente fino ad oggi.In tutti i Paesi dell’area euro, conl'eccezione di Italia e Grecia, glistipendi sono cresciuti sia per gliinsegnanti della primaria che perquelli della secondaria superiore.In dodici paesi l'aumento è statosuperiore al 20%; inoltre nonsolo i salari dei nostri professori

sono rimasti inchiodati al potered’acquisto del 2000, ma lo scattodi anzianità, che in alcuni Paesiavviene dopo 15-20 anni, da noisi attesta sui 30 anni di servizio,portando a un massimo, per i do-centi dei licei, di 1700 euro almese. Ma, come abbiamo già spie-

gato, il tema degli stipendi lasciail tempo che trova: il lavoro diun docente di scuola superiore èin gran parte un lavoro som-merso che sfugge al normale cal-colo orario e alle polemiche sullagiusta retribuzione. Il ministroProfumo in un incontro con isindacati ha confermato l’inten-zione di avviare una interlocu-zione con il ministerodell’Economia per incrementarel’organico di diritto con quote diposti dell’organico di fatto e hacondiviso la necessità di avviaretavoli tecnici sulle singole que-stioni. Invertire la rotta. Recu-perare il sistema scolastico dopodue anni di sfascio non vuoleperò dire solo porre un freno ai

Professori di ruolo o precari, inconcorrenza con gli altri o con sestessi: l’ora di lezione è l’unità dimisura della scuola in guerra

di Lorenzo Ligas

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tagli e provare a risolvere l’an-noso problema dei docenti pre-cari che gravitano attorno alleinvidiate cattedre di ruolo. Signi-fica rivedere la riforma del 2010interamente e prendere attodegli effetti collaterali e meno vi-sibili, quelli patiti anche dai pro-fessori fissi, e del generato climad’insofferenza. Un esempio: ladivisione suina elaborata per or-dinare i sei tipi di licei. La sepa-razione tra classico, scientifico,linguistico, musicale coreutico,artistico e scienze umane haavuto il pregio di arginare il viziodelle sperimentazioni (si ricor-dano a questo proposito gli espe-rimenti nati in seno al classicocome il liceo della comunica-zione o della musica), ma ha con-testualmente ignorato il motivoper cui quelle sperimentazioniesistevano: stare sul mercato.Concorrenza. Un marketingpure di un discreto successo, se siconsidera che gli istituti ibridiprima del 2010 avevano a faticaincrementato le iscrizioni.

Il riordino dei licei però è statosolo formale e le sperimentazioninon sono affatto sparite: sonoconfluite anzi nelle ore di ita-liano come se queste fossero cel-

lule staminali riutilizzabili peraltri scopi in qualsiasi momento.Così, per rendere più accatti-vante l’offerta formativa scrittadalle dirigenze scolastiche gli in-segnanti d’italiano hanno ini-ziato a riservare nei loroprogrammi laboratori - per ci-

tarne solo alcuni - di cinema,giornalismo, scrittura professio-nale, comunicazione scientifica,pubblicità, visite d’interesse di-dattico. Ma due sono i problemiche di qui s’aprono. Il primo:non sempre le scuole possonopermettersi uno specialista delsettore e lasciano che a occuparsidi quella “extra materia” siano glistessi docenti d’italiano. Ma cosasanno questi professori del lin-

Lo schema dei dati dati Ocse per il 2011 nelrapporto annuale “Education at glance”: dal

2008 la spesa è scesa dal 4,8% al 4,2%

Per recuperare due anni di sfasciodell’istruzione non basta tamponarei buchi, ma occorre capire i danniprofondi che la riforma ha portato

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linguaggio, per dire, pubblicita-rio? Cosa di quello giornalistico?Nulla. O il poco che riescono aimparare informandosi su libri ditesto comuni. Risulta così evi-dente che non solo l’offerta for-mativa è in qualche mododisattesa - per naturale e incol-pevole incompetenza di chi tienei laboratori -, ma che la stessa vaa gravare sulle spalle di chi do-vrebbe solo occuparsi d’altro. Equi si viene al secondo problema:se è vero che la riduzione orariaimposta dalla riforma Gelmininei licei non ha riguardato le ored’italiano, è anche vero il contra-rio, dal momento che i laboratorisopraccitati tolgono tempo all’at-tuazione dei programmi ministe-riali. Alcuni professori perciò sitrovano così stretti in una tena-glia che è in fin dei conti “solo”una coperta corta: appesantiti diprogrammi extra, non hannotempo di gestire quelli regolari. Il caso dei docenti d’italiano è

solo una delle spie che mostrano

come il corpo docente si trovi as-servito alle aziendali logiche dimercato; in un regime come que-sto infatti gli stessi docenti fannoproprio un tipo di concorrenzache trova spazio nelle falleemerse via via con l’entrata in vi-gore della legge. Riducendo a sei i tipi di licei,

la riforma Gelmini infatti nonpensò a dividere anche le classidi concorso, classificazioni deidocenti secondo la loro prepara-zione, con un regolamentochiaro che assegnasse loro preci-samente le materie d’insegna-mento adeguate. Ne è derivatauna confusione e un conflittosull’attribuzione delle ore, che avolte possono essere anche solosei a settimana, come hannoscritto lo scorso marzo alcuni do-centi di classe A051 (materie let-terarie e latino nei licei enell’istituto magistrale): «È avve-nuto che, fino a oggi, le materieletterarie, ad esclusione del la-tino, sono state attribuite, neinuovi licei, sia alla classe di con-corso A050 (materie letterarienegli istituti superiori) sia allaA051, secondo innumerevoli epersonalissime interpretazioniche coinvolgono, tra gli altri, i

Ore di italiano come cellulestaminali: l’offerta formativa siregge su corsi integrativi fattisvolgere a docenti oberati di lavoro

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dirigenti scolastici e gli Ufficiscolastici provinciali. Il mini-stero dell’Istruzione non ha an-cora provveduto, nonostante gliimpegni proclamati, ad unariforma delle classi di concorso,che ponga le sue basi in un rego-lamento chiaro, e che scaturiscada una seria riflessione didattico-pedagogica, tenendo conto dellespecifiche competenze richiesteai docenti nella scuola “rifor-mata”». Proteste tanto logiche quanto

conseguenti: chi ha l’abilitazioneper l’insegnamento del latinovuole essere in corsia preferen-ziale rispetto a chi non ce l’ha,almeno per quanto riguarda leore nei licei: «Contestiamo l’as-segnazione (attuale e futura) allaclasse di concorso A050 (materieletterarie negli Istituti superioridi II grado) dei nuovi percorsi li-ceali, in particolare di quelli chenon prevedono il latino, e segna-tamente: l'opzione Scienze Ap-plicate del Liceo Scientifico, ilLiceo Musicale-Coreutico, l'op-zione Economico-Sociale delliceo delle Scienze Umane [...] icui piani di studio in tutti gli in-dirizzi sono stati profondamenterimodulati e richiedono per-tanto, a nostro parere, cono-scenze e competenze che posso-no essere assicurate soltanto dadocenti di italiano e di latino». Il 15 maggio scorso il governo

ha provato a porre rimedio, pre-

sentando alle organizzazioni sin-dacali un decreto nel quale, però,ancora una volta la parola d’or-dine è stata “riduzione”. Ridu-zione delle classi di concorso econseguente accorpamento pro-prio delle due classi in conflittola A051 e la A050, riunite nellagrande famiglia della A-13. Ilmodo di risolvere la questione,tappare i buchi, ha quindi ilnome di un’autostrada che peròcorre nel senso opposto alla lo-gica: esistono differenze tra i do-centi, ma si fa finta che non cisiano. In questo modo, inoltre, siintroduce un paradosso, quella difar partecipare al concorso peruna materia, il latino, che po-trebbe non essere insegnato daivincitori ai quali sono assegnatecattedre negli istituti tecnici eprofessionali o nel liceo scienti-fico. E si cristallizza anche la ri-gidità di un sistema in cui idocenti sono tutti contro tutti, avolte contro la riforma, altrecontro se stessi, ma sempre e co-munque costretti a darsi battagliaper un pugno di ore.

Falle nel sistema e docenti gli unicontro gli altri: le classi di concorsoprotestano per aggiudicarsi le oresecondo un regolamento preciso

Il 15 maggio scorso il governo ha presentato aisindacati un decreto in cui le classi di concorso

vengono ridotte e accorpate

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Giornate di disorientamento

Gli open day, così piacechiamarli ai presidi delle

facoltà italiane, sono i giorni incui ciascun ateneo dovrebbe pre-sentare ai ragazzi che intendanointraprendere una carriera uni-versitaria, le modalità di imma-tricolazione, di iscrizione,l'offerta formativa e gli sbocchiprofessionali che le diverse fa-coltà propongono. Dagli open day, in alcune uni-

versità italiane nascono anche le“open week”: settimane di provain cui i ragazzi possono toccarecon mano la vera vita universita-ria. Eppure, la maggior parte deineodiplomati brancola nel buio,come dimostra Andrea Lanza-rotto (in foto), uno studente diinformatica a Venezia, che all'e-poca della scelta aveva espressosul suo blog tutti i dubbi e le in-certezze sulle università e il lorofunzionamento, difficoltà allequali «l’università italiana do-vrebbe rispondere con adeguatainformazione, ma che invecenon vengono risolte perché il si-

stema di orientamento è general-mente inefficace, mediocre e to-talmente fallito. È un sistemaconcepito per dare risposte mache non ne dà, è pensato per aiu-tare le possibili “nuove leve” manon le aiuta, insomma non fanulla».«Ogni ora in più che spendevo

su internet a cercare di capirciqualcosa – continua Andrea -era sempre più chiaro che l’o-rientamento universitario nonrisponde alle “tue” domande, maa quelle che vuole “lui”. Ognisingola pagina è fatta per diresolo ciò che interessa dire a chigestisce l’università, oppure alministero e in generale alloStato. A loro serve per farsibelli».Infatti, la maggior parte delle

volte, l'orientamento universita-rio vero, quello non mirato sola-mente ad accaparrarsi nuovematricole, lo fanno gli studentistessi aiutandosi uno con l'altro,attraverso il vecchio ma sempreefficace passaparola e, da qualche

Dopo la maturità, il caos: gli openday negli atenei italiani giocanosulla confusione e diventano unostrumento pubblicitario

di Anita Franzon

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tempo, anche sui social network,dove si trovano vere e propriecritiche al sistema, giudizi sucorsi e professori, consigli spas-sionati, libri di seconda mano eindicazioni su come orientarsi inquesto labirinto con nessunosbocco professionale.I portoni si spalancano però

sempre più per fare entrare nontanto gli studenti, quanto i geni-tori preoccupati per i figli matu-randi che, invece diintraprendere la via della matu-rità per proprio conto, semprepiù spesso si fanno accompa-gnare da mamma o papà come alprimo giorno di scuola alle ele-mentari. La tendenza arriva cosìda Milano, dove le più impor-tanti università pubbliche e pri-vate hanno deciso di rivolgersidirettamente ai genitori: sonoproprio loro, in fin dei conti chedovranno pagare la retta. In que-sto modo l'anno della maturità sitrasforma nell'anno della confu-sione, dove spesso sono gli adultia scegliere per i figli, troppo im-pauriti e ingenui per affrontareuna scelta che, d'altronde, non èstata affrontata adeguatamente alliceo negli anni precedenti. Leuniversità, dunque, non si pro-

pongono più come istituzione,ma si mettono a vendere un pro-dotto - i loro corsi sempre piùnumerosi e allettanti - seguendosenza farsi troppi scrupoli il mo-vimento del mercato delle im-matricolazioni.Questo dimostra che l'univer-

sità è un'azienda, ma in perdita:anche se negli ultimi anni le im-matricolazioni sembrano in cre-scita o quantomeno stabili, ilfatto che il sistema universitarionon funzioni come dovrebbe èconfermato dall'abbandono edall'elevatissimo numero dicambi di facoltà dopo il primoanno. L’abbandono è infatti unodei problemi più gravi dell’uni-versità italiana. Secondo le stime

Le università non si pongono comeistituzione, ma come concessionarie di un

prodotto da vendere

Università e genitori: parte daMilano la tendenza di rivolgere gliopen day direttamente a chi pagheràla retta e non agli studenti

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Istat, almeno il 20 % delle matri-cole abbandona gli studi fra ilprimo e il secondo anno. Comescrive il periodico di informa-zione universitaria “Controcam-pus.it”, se lo Stato fornisse deibuoni programmi di orienta-mento per i ragazzi, la scelta sa-rebbe maggiormente accurata enon si rischierebbe questa emor-ragia di matricole. La maggiorparte degli atenei effettuanogiornate di orientamento, maspesso non vi è coordinazione frauniversità e licei.

Siamo a giugno, gli esami dimaturità stanno per cominciaree i molti maturandi non sannoancora cosa scegliere all'univer-sità, allora ecco che gli atenei in-gaggiano veri e propri ufficistampa facendo a gara a chi pro-pone il corso di laurea con ilnome più allettante e gli esamipiù facili.

Date un'occhiata a qualchesito, non si punta più sulla famadei professori che vi insegnano,nemmeno sulla qualità delle auleo dei servizi, ma sulla quantità ela vasta scelta dei corsi di laurea,ce n'è un po' per tutti. Sono ad-dirittura nati, per i più indecisi, icorsi interfacoltà che vengonoattivati e disattivati nel giro diuno o due anni per la mancanzadi iscritti o per i pochi fondi. Diquesto nessuno ne parla: sonocorsi fantasma che vengono pro-mossi come se fossero i più all'a-vanguardia di tutti e poispariscono nel nulla lasciando apiedi studenti e professori, co-stretti a cambiare corso o a essereaccorpati a qualche altra classe.

Quantità e facilità sono gli in-gredienti che dovrebbero at-trarre i clienti, ovvero glistudenti, un'operazione che haun unico scopo: quello di rica-vare più soldi. Intanto, però, gliatenei si moltiplicano, così dacreare ancora più confusione trai ragazzi.

Si ragiona a crediti e non aesami, a punti e non a voti. Tuttospinge lo studente a pensare distar frequentando un'azienda enon un'istituzione culturale.

Non si punta più sulla fama osull’eccellenza dei professori che lìinsegnano, ma sulla quantità e lavasta scelta dei corsi

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Notizia degli ultimi giorni mache si ripete ogni anno, è inveceil bassissimo livello medio delleuniversità italiane: per trovare laprima facoltà nella classifica re-datta da Times Higher Educationsi deve scendere fino al 174°posto, posizione aggiudicata dal-l'università di Bologna, mentre lapiù grande università italiana, LaSapienza, è solo al 250° posto; po-sizione quest’ultima invariatadall’anno scorso. Insomma, nes-sun ateneo italiano, nemmenoquelli generalmente considerati ipiù prestigiosi, risulta tra leprime cento migliori universitàdel mondo. Scivolano verso ilfondo molte altre università ita-liane, come quella di Torino chesi trova oltre il trecentesimoposto.

Lo stesso ateneo torinese si èperò aggiudicato una prima posi-zione: ha vinto infatti il premiodel più “social-oriented” conoltre 20mila fan sulla sua paginadi facebook.

Rimanendo nel capoluogo pie-montese, si può notare come lastrategia “accaparramatricole”dell'ateneo di Torino sia quella digiocare sugli indecisi, organiz-zando nel mese di luglio, quindi

poche settimane prima dell'iscri-zione, il salone dell'orienta-mento, con stand informatividove è possibile reperire le infor-mazioni sui corsi di laurea trien-nali e specialistici, master e corsidi perfezionamento e organizza-zione e servizi didattici offertidalla facoltà.

Insomma, per chi ha problemidi disorientamento univeritariola risposta è nel fare la scelta piùfacile all'ultimo istante, come di-mostra uno spot di qualche annifa ormai, che recitava propriocosì: “Liscia o gassata? Universitàdi Macerata”. Insomma, frequen-tare l'università è facile comebere un bicchier d'acqua.

“Educati dentro e belli fuori”continuava la pubblicità, o sa-rebbe meglio dire: “belli dentroed educati fuori?”

Forse è la fuga verso l'esterol'orientamento giusto.

«Liscia o gassata? Università diMacerata!». Si gioca sugli indecisi esi sfruttano le prime settimane diluglio, poco prima dell’iscrizione

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Fuga di cervelli: quanto costa?

Il termine “fuga di cervelli”,per quanto inflazionato e di-

storto, resta più che adatto a de-scrivere il fenomeno, ormaitristemente famoso in tutto lostivale, dei giovani altamentespecializzati che, armati di fa-gotto stile Calimero, decidono dilasciare la patria tricolore. Taletermine sociologico, rievoca di-rettamente quello economico di“fuga dei capitali”, il processomediante il quale le risorse ven-gono esportate in altri Paesi perfarne un impiego più redditizio.Mettere in relazione i due ter-mini permette un’analisi più ap-profondita di questo fenomenoproblematico, apparentementeinarrestabile e in continua cre-

scita. Quindi, se non si vuole va-lutare la questione in termini ro-mantici, con l’immagine delgiovane laureato che, sporgen-dosi dal finestrino del treno, sa-luta i genitori che l’hannoaccompagnato alla stazione, contanto di fazzoletto bianco e inmano il panino casalingo amore-volmente confezionato dallamadre in lacrime, almeno lo pos-siamo prendere in considera-zione nei suoi più cinici e freddieffetti economici. L’università italiana, per varie

cause riconducibili alle ultimeriforme, ai tagli di investimenti,e in parte anche alla famigerataautonomia didattica degli atenei,che ne avrebbero dovuto miglio-

I neolaureati italiani che preferiscono l’estero portano viacon loro quattro miliardi di euro. Tanto ci costa tenere inpiedi l’attuale sistema universitario di Marta Cioncoloni

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rare la qualità, si è trasformata,per usare un altro termine triste-mente inflazionato ma calzante,in un vero e proprio “esamificio”,più impegnato a mantenere inpiedi le traballanti cattedre degli

emeriti professori che a creare ediffondere cultura. Il percorso diuno studente universitario tipo siè trasformato in una corsa controil tempo per ottenere la perga-mena in prima possibile, attra-verso piani di studi che spesso loobbligano ad affrontare materiedi dubbia utilità per la qualificache promette il titolone del corsodi laurea scelto. Una specie disfida contro un sistema universi-tario che cerca di riempire allameglio gli anni di studi del 3 + 2,

per continuare ad esistere a pre-scinedre e a scapito della qualitàe della cultura. E allora questa cultura i nostri

giovani compaesani se la vanno acercare fuori, dove oltre a tro-varla sembrerebbe che riescanoad avere anche le condizioni percrearla loro stessi. Per scorag-giare chi continua a fingere cheil problema non esiste, o cerca di“prenderla con filosofia”, comeha tentato di fare nel 2011 l’al-lora ministro della Salute Ferruc-cio Fazio affermando “nessunafuga dei cervelli dall’Italia, solola normale mobilità della ri-cerca”, si può dare un’occhiata aidati emersi dall’ultimo Rapportosugli Italiani nel Mondo, curatodalla Fondazione Migrantes epresentato proprio nei giorniscorsi a Roma.

Il percorso di uno studenteuniversitario si è trasformato in unacorsa contro il tempo per ottenere lapergamena il prima possibile

«Nessuna fuga dei cervelli, solo la normalemobilità della ricerca», disse Fazio nel 2011, ma

“prenderla con filosofia” non serve

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Gli italiani residenti all’estero sa-rebbero più di 4milioni e200mila e nel corso del 2011oltre il 45% degli espatri ha inte-ressato i giovani, molti dei qualiricercatori e neolaureati. Tanto

per rendere una dimensione geo-grafica del fenomeno, il 90%degli emigrati si divide tra Ame-rica, con più di un milione emezzo di italiani, tra i quali circa660mila in Argentina e 220milanegli Stati Uniti, e Europa. Ilpaese europeo più ambito è laGermania, con circa 515milaiscritti al consolato. Segue laSvizzera con i suoi sottostimati223mila italiani, 125mila vivonoin Francia, a seguire in Belgio enel regno Unito. Sicuramente

non saranno tutti “cervelloni” e,come evidenzia un articolouscito ad aprile su Il Fatto, “fug-gono anche le galline”, ma unrapporto dell’Istituto di Ricerchesulla Popolazione e le PoliticheSociali del Cnr ci dice che circa25mila professionisti italiani oc-cupano posizioni di alto livellonegli Usa e ben tremilacinque-cento di questi ricoprono posi-zioni di ricerca e docenza nelleuniversità americane. C’è anche chi, sposando sem-

pre la tesi della normale mobi-lità, afferma che a fronte diun’emigrazione c’è un compensoin termini di immigrazione versol’Italia, ma i dati ci confermanoche il saldo risulta comunquesfavorevole per lo stivale, vistoche un’immigrazione scarsa-mente qualificata è chiamata acompensare un’emigrazione al-tamente qualificata. In Italia so-lamente cinquecentomiladipendenti sono impegnati nel

Il Paese europeo più ambito è laGermania con circa 515mila iscrittial consolato. Segue la Svizzera con223mila e la Francia con 125mila

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settore della ricerca e dello svi-luppo privato, sei volte meno delGiappone, circa tre volte emezzo meno di Germania e Spa-gna.In termini di sporchi e con-

creti soldoni, nel 2011 è stato sti-mato dall’Istituto per laCompetitività, su commissionedella Fondazione Lilly, che den-tro al fagottino dei nostri cervelliche ci salutano sono compresiquattro miliardi di euro, ovveroquello che risulta dal valore eco-nomico di 301 brevetti depositatisolo dai 20 principali scienziatiitaliani che hanno cambiato resi-denza. A partire da questi daticoncreti, la ricerca dell’Icom silancia anche in una stima ipote-

tica delle future perdite nel casoin cui un giovane con potenzia-lità da top scientist lasciasse oggil’Italia. Per chi mastica un po’ dieconomia questi dati saranno fa-cilmente comprensibili, ma, in-somma, in tempi di crisi comequesto possono essere capiti datutti. Facendo due conti quindi,nel caso in cui la produzione ditale ricercatore mantenesse iltrend dei campioni presi per lostudio, cioè una produzionemedia di ventuno brevetti inquarantacinque anni di carriera«il sistema della ricerca nostranosi lascerebbe scappare un valoremedio, al netto dei costi, di63milioni di euro. Simulando iflussi di cassa, tale valore cresce-rebbe mediamente sino a 148mi-lioni di euro per ricercatore chel’Italia si è fatta scappare».

L’Istituto per la competività hastimato che nel 2011 che i 301brevetti italiani “in fuga” valgonocirca 4 miliardi di euro

L’Icom ha fatto anche una previsione sui datiraccolti: dai 63 milioni di euro per ricercatore

l’Italia arriva a perdere fino a 148 milioni

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L’universitàitaliana è

un’industriacostruita per

perdere e nessunovuole tornarci

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Alla luce di questi dati, l’indu-stria universitaria del futuro ita-liano si conferma, come più voltesottolineato da quelle che sonostate troppo spesso consideratesolo polemiche di un movimentostudentesco fatto di “sfigati” chenon riescono a laurearsi primadei 28 anni, un’industria a per-dere, che non è ancora riuscita apromuovere un’analisi concretacapace di tappare le falle dellapropria struttura. Un esempio èla legge 238/2010, studiata perincoraggiare un ritorno alla baseattraverso l’esca degli sgravi fi-scali. Iniziativa che lascia un po’il tempo che trova, visto che unavolta fatto il passo fuori dal con-fine la maggior parte dei giovaniafferma di non avere alcuna in-tenzione di tornare indietro.Questo perché non si tratta sem-plicemente di stipendi più alti(Almalaurea ha stimato che unneolaureato italiano all’esteroguadagna in media 1568 euro,mentre il collega rimasto a casa

1054), ma di condizioni lavora-tive nettamente migliori e menofrustranti. Ad esempio negli StatiUniti i ricercatori affermano diavere più familiarità con il si-stema accademico, dal quale ri-cevono maggiori gratificazioni eun ambiente “sereno e stimo-lante, dove le capacità e l’intelli-genza vengono riconosciuti eincentivati”. In Italia, invece,vige ancora un sistema accade-mico eccessivamente gerarchicoe senza mezzi, incorporato instrutture ormai cadenti alle qualisono riservate le briciole degliinvestimenti statali. Alla fine dei conti, continua a

restare valida la legge di mercatosquisitamente italiana per laquale un oggetto costruito in pa-tria acquista valore solo nel mo-mento in cui arriva all’estero e loStato, in tutto questo, sembra vo-lere continuare a fare la parte delbambino capriccioso che desi-dera indietro il giocattolo che halui stesso regalato.

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