SCOPERTA DELL'ANTICORPO Teorie immunologiche e...

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Teorie immunologiche e darwinismo Lo studio delle basi fisiologiche dell'immunità ha mostrato che l' acquisizione di nuove risposte adattative è il prodotto di processi selettivi Pani Ehrlich (1852-1915) condivise con Meénikov il premio Nobel nel 1908 per le ricerche sull'immunità. Qui sopra è mo- strato nel suo studio, tra libri e reagenti. Ehrlich iniziò a occu- parsi di immunologia lavorando presso l'Istituto di malattie infettive diretto da Robert Koch. Il'ja Meénikov (1845-1916) fu il primo a concepire l'immunità come una risposta attiva dell'organismo a una stimolazione (nociva) esterna, e a cercare di caratterizzarne la fisiologia se- condo le idee biologiche prevalenti negli anni settanta e ottanta del secolo scorso sulla natura degli adattamenti funzionali. siano il risultato di dinamiche selettive a livello di popolazioni di cellule so- matiche e che il principio funzionale al- la base dell'immunità potesse essere e- sportato ad altri ambiti della fisiologia dell'adattamento. Il concetto che l'acquisizione dell'im- munità sia una manifestazione della pla- sticità funzionale dell'organismo, ovve- ro una modificazione adattativa attiva- mente raggiunta dall'individuo attraver- so cambiamenti permanenti nella sua costituzione fisiologica, era già implici- to nella teoria della fagocitosi formulata da Ifja Meénikov (o Metchnikoff, se- condo la grafia francese) più di un seco- lo fa. In base a tale teoria, l'immunità acquisita era dovuta a un'aumentata «suscettibilità» delle cellule fagocitiche, ovvero alla loro capacità di inglobare e distruggere microbi e sostanze estranee. Lo zoopatologo russo e i diversi medici che discutevano la sua teoria presenta- vano i fenomeni dell'acquisizione natu- rale e artificiale dell'immunità come processi di apprendimento. Nell'opera fondamentale di Meènikov, L 'immunité dans les maladies infectieuses, si poteva leggere che le modificazioni adattative nella suscettibilità delle cellule immuni- tarie alle sostanze estranee apparivano governate dalla legge psicofisica di We- ber-Fechner. L'approccio di Meènikov al problema dell'immunità assumeva, come concetto generale, che le proprietà fisiologiche dell'individuo fossero il risultato di inte- razioni dinamiche e competitive tra cel- lule di origini filogenetiche differenti. Questa idea era stata avanzata, tra gli altri, dall'embriologo tedesco Wilhelm Roux nel 1881, in una monografia inti- tolata Der Kampf der Teile im Organi- smus (La lotta delle parti all'interno dell'organismo). Nel cercare un princi- pio alla base delle regolazioni automati- che che assicurano, nelle diverse fasi dello sviluppo morfofunzionale di un organo, un equilibrio in continuo cam- biamento, Roux ritenne di poterlo indi- viduare nella «lotta tra le parti dell'or- ganismo». In questo modo il principio darwiniano della lotta per l'esistenza ve- niva trasferito ai livelli molecolare e cellulare della fisiologia individuale, i- potizzando una competizione tra i costi- tuenti dell'organismo per l'assimilazio- ne delle sostanze nutritive e le eccitazio- ni funzionali. L'ipotesi della lotta tra le cellule dell'organismo fu applicata an- che per descrivere i processi di crescita e formazione delle connessioni nervose durante lo sviluppo e, con il progresso degli studi neuroanatomici, sarebbe di- ventata un assunto fondamentale per tutti i modelli che cercavano di definire una base neurologica e morfogenetica per i processi di apprendimento. LA SCOPERTA DELL'ANTICORPO L'approccio cellulare e olistico alla funzione immunitaria propugnato da Meènikov fu progressivamente abban- donato dopo la scoperta dell'anticor- po da parte di Emil von Behring e Shi- basaburo Kitasato nel 1890. Gli im- munologi cominciavano a domandarsi quale meccanismo fisiologico fosse alla base della capacità dell'organismo di rispondere all'incontro con una sostan- za estranea (antigene) producendo un fattore in grado di interagire in modo altamente specifico con quell'antigene e di proteggere l'organismo non solo contro gli effetti dannosi immediati, ma anche futuri. Nel 1897 il medico sperimentale te- desco Paul Ehrlich pubblicava uno stu- dio quantitativo sulla neutralizzazione delle tossine difteriche da parte degli anticorpi, in cui ipotizzava che alla ba- se della specificità delle risposte immu- nitarie vi fosse un riconoscimento ste- reocomplementare - governato da lega- mi chimici di tipo covalente - tra anti- corpo e antigene. Anche per Ehrlich l'acquisizione dell'immunità poteva es- sere paragonata a un processo di ap- prendimento che avveniva a livello di fisiologia cellulare, sulla base del prin- cipio della meccanica teleologica di Edward Pfltiger. Pfltiger, uno dei più importanti fisiologi tedeschi della se- conda metà dell'Ottocento, aveva ela- borato una spiegazione delle funzioni fisiologiche delle cellule viventi incen- trata sul concetto di protoplasma. Per Pfltiger tali funzioni erano dovute al- l'attività di specifici gruppi atomici, at- taccati al nucleo chimico della cellula sotto forma di catene laterali dotate di funzioni metaboliche distinte. Egli ave- va inoltre introdotto l'importante con- cetto secondo cui le necessità fisiologi- che di una cellula o di un organo deter- minano una compensazione funzionale in grado di soddisfarle. La teoria delle catene laterali riprendeva un principio della patologia tardo-ottocentesca, defi- nito dal tedesco Cari Weigert, cugino di Ehrlich, come una legge della sovra- compensazione, per cui il danno pro- dotto a un tessuto ne turba l'equilibrio causando una produzione in eccesso del tessuto stesso. Ehrlich applicò questi concetti al problema della formazione dell'anti- corpo, ipotizzando che gli anticorpi non fossero altro che catene laterali preesi- stenti sul protoplasma delle cellule e aventi la funzione di legare le sostanze nutritizie necessarie alla cellula. Le ca- tene laterali potevano però legarsi an- che alle sostanze tossiche che casual- mente avessero la stessa struttura mole- colare dei nutrienti, e ciò determinava La teoria delle catene laterali, così co- me veniva rappresentata graficamente da Paul Ehrlich nella sua Croonian Lecture del 1900. I disegni di Ehrlich rappresentavano una novità importan- te dal punto di vista della comunica- zione scientifica in campo biomedico, in quanto cercavano di immaginare un'organizzazione fisiologica della cel- lula che non poteva essere verificata a livello di osservazione microscopica. Di fatto uno degli argomenti portati con- tro la teoria giudicava frutto della fan- tasia e meri artifici retorici i disegni con cui Ehrlich esemplificava i conte- nuti della teoria delle catene laterali. un danno funzionale alla cellula. Que- st'ultima reagiva al danno producendo, per la legge di Weigert, un eccesso di catene laterali dello stesso tipo, che ve- nivano immesse nel circolo sanguigno come anticorpi. In quanto assumeva la preesistenza dell'anticorpo e la sua sovrapproduzio- ne differenziale come conseguenza del riconoscimento anticorpo-antigene, la teoria delle catene laterali sarebbe sta- ta considerata dagli immunologi - che alla fine degli anni cinquanta intro- dussero il modo di pensare darwiniano / I più significativo contributo teorico dell'immunologia alle scienze bio- logiche consiste probabilmente nel- la dimostrazione che le risposte adattati- ve acquisite nel corso della vita dell'in- dividuo possono essere il risultato di processi selettivi analoghi a quello che Darwin ipotizzò per spiegare i cambia- menti adattativi nell'evoluzione delle specie biologiche. L'efficacia esplicati- va dell'approccio darwiniano all'immu- nità ha stimolato i ricercatori a proporre, fin dagli anni sessanta, analoghi modelli selettivi per spiegare il funzionamento del sistema nervoso. Tra i modelli dar- winiani del cervello che discendono di- rettamente dal selezionismo immunolo- gico il più noto è certamente quello del darwinismo neurale di Gerald Edelman, il medico statunitense che, prima di de- di Gilberto Corbellini dicarsi alla neurobiologia e all'embrio- logia molecolare, si guadagnò sul cam- po il premio Nobel 1972 per i suoi studi biochimici sulla struttura dell'anticorpo. Ma vediamo come si è evoluto il concetto di selezionismo immunologico in rapporto al pensiero biologico fun- zionale del Novecento. L'APPROCCIO CELLULARE ALLA FUNZIONE IMMUNITARIA Sin dal manifestarsi, a metà degli an- ni settanta, di un interesse per l'evolu- zione delle conoscenze irnmunologiche, le origini e gli sviluppi della concezione selezionistica della funzione immunita- ria sono stati al centro dell'attenzione sia degli storici, che ne hanno ricostrui- to l'emergere attraverso l'analisi dei te- sti pubblicati, sia degli immunologi, che ne hanno parlato soprattutto in termini autobiografici (si veda l'articolo La teo- ria della selezione clonale di Gordon L. Ada e Gustav Nossal in «Le Scienze» n. 230, ottobre 1987). Ulteriori ricerche si sono basate sulla consultazione di fonti archivistiche sia per cercare di comprendere le diverse fasi che hanno portato all'emergere della spiegazione selezionistica della funzione immunita- ria, sia per collocare criticamente tale spiegazione nel più ampio contesto te- matico della riflessione fisiologica sulla natura degli adattamenti acquisiti. Que- ste ricerche hanno consentito, negli ulti- mi anni, di mettere meglio a fuoco gli stimoli concettuali e i dati sperimen- tali che hanno fatto ipotizzare che le manifestazioni adattative dell'immunità LE SCIENZE n. 348, agosto 1997 53 52 LE SCIENZE n. 348, agosto 1997

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Teorie immunologichee darwinismo

Lo studio delle basi fisiologiche dell'immunitàha mostrato che l' acquisizione di nuove risposte adattative

è il prodotto di processi selettivi

Pani Ehrlich (1852-1915) condivise con Meénikov il premioNobel nel 1908 per le ricerche sull'immunità. Qui sopra è mo-strato nel suo studio, tra libri e reagenti. Ehrlich iniziò a occu-parsi di immunologia lavorando presso l'Istituto di malattieinfettive diretto da Robert Koch.

Il'ja Meénikov (1845-1916) fu il primo a concepire l'immunitàcome una risposta attiva dell'organismo a una stimolazione(nociva) esterna, e a cercare di caratterizzarne la fisiologia se-condo le idee biologiche prevalenti negli anni settanta e ottantadel secolo scorso sulla natura degli adattamenti funzionali.

siano il risultato di dinamiche selettivea livello di popolazioni di cellule so-matiche e che il principio funzionale al-la base dell'immunità potesse essere e-sportato ad altri ambiti della fisiologiadell'adattamento.

Il concetto che l'acquisizione dell'im-munità sia una manifestazione della pla-sticità funzionale dell'organismo, ovve-ro una modificazione adattativa attiva-mente raggiunta dall'individuo attraver-so cambiamenti permanenti nella suacostituzione fisiologica, era già implici-to nella teoria della fagocitosi formulatada Ifja Meénikov (o Metchnikoff, se-condo la grafia francese) più di un seco-lo fa. In base a tale teoria, l'immunitàacquisita era dovuta a un'aumentata«suscettibilità» delle cellule fagocitiche,ovvero alla loro capacità di inglobare edistruggere microbi e sostanze estranee.Lo zoopatologo russo e i diversi mediciche discutevano la sua teoria presenta-vano i fenomeni dell'acquisizione natu-rale e artificiale dell'immunità comeprocessi di apprendimento. Nell'operafondamentale di Meènikov, L 'immunitédans les maladies infectieuses, si potevaleggere che le modificazioni adattativenella suscettibilità delle cellule immuni-tarie alle sostanze estranee apparivanogovernate dalla legge psicofisica di We-ber-Fechner.

L'approccio di Meènikov al problemadell'immunità assumeva, come concettogenerale, che le proprietà fisiologichedell'individuo fossero il risultato di inte-razioni dinamiche e competitive tra cel-lule di origini filogenetiche differenti.Questa idea era stata avanzata, tra glialtri, dall'embriologo tedesco WilhelmRoux nel 1881, in una monografia inti-tolata Der Kampf der Teile im Organi-smus (La lotta delle parti all'internodell'organismo). Nel cercare un princi-pio alla base delle regolazioni automati-che che assicurano, nelle diverse fasidello sviluppo morfofunzionale di unorgano, un equilibrio in continuo cam-biamento, Roux ritenne di poterlo indi-viduare nella «lotta tra le parti dell'or-ganismo». In questo modo il principiodarwiniano della lotta per l'esistenza ve-niva trasferito ai livelli molecolare ecellulare della fisiologia individuale, i-potizzando una competizione tra i costi-tuenti dell'organismo per l'assimilazio-ne delle sostanze nutritive e le eccitazio-ni funzionali. L'ipotesi della lotta tra lecellule dell'organismo fu applicata an-che per descrivere i processi di crescitae formazione delle connessioni nervosedurante lo sviluppo e, con il progressodegli studi neuroanatomici, sarebbe di-ventata un assunto fondamentale pertutti i modelli che cercavano di definireuna base neurologica e morfogeneticaper i processi di apprendimento.

LA SCOPERTA DELL'ANTICORPO

L'approccio cellulare e olistico allafunzione immunitaria propugnato daMeènikov fu progressivamente abban-donato dopo la scoperta dell'anticor-po da parte di Emil von Behring e Shi-basaburo Kitasato nel 1890. Gli im-munologi cominciavano a domandarsiquale meccanismo fisiologico fosse allabase della capacità dell'organismo dirispondere all'incontro con una sostan-za estranea (antigene) producendo unfattore in grado di interagire in modoaltamente specifico con quell'antigenee di proteggere l'organismo non solocontro gli effetti dannosi immediati, maanche futuri.

Nel 1897 il medico sperimentale te-desco Paul Ehrlich pubblicava uno stu-dio quantitativo sulla neutralizzazionedelle tossine difteriche da parte deglianticorpi, in cui ipotizzava che alla ba-se della specificità delle risposte immu-nitarie vi fosse un riconoscimento ste-reocomplementare - governato da lega-mi chimici di tipo covalente - tra anti-corpo e antigene. Anche per Ehrlichl'acquisizione dell'immunità poteva es-sere paragonata a un processo di ap-prendimento che avveniva a livello difisiologia cellulare, sulla base del prin-cipio della meccanica teleologica diEdward Pfltiger. Pfltiger, uno dei piùimportanti fisiologi tedeschi della se-conda metà dell'Ottocento, aveva ela-borato una spiegazione delle funzionifisiologiche delle cellule viventi incen-trata sul concetto di protoplasma. PerPfltiger tali funzioni erano dovute al-l'attività di specifici gruppi atomici, at-taccati al nucleo chimico della cellulasotto forma di catene laterali dotate difunzioni metaboliche distinte. Egli ave-va inoltre introdotto l'importante con-cetto secondo cui le necessità fisiologi-che di una cellula o di un organo deter-minano una compensazione funzionalein grado di soddisfarle. La teoria dellecatene laterali riprendeva un principiodella patologia tardo-ottocentesca, defi-nito dal tedesco Cari Weigert, cuginodi Ehrlich, come una legge della sovra-compensazione, per cui il danno pro-dotto a un tessuto ne turba l'equilibriocausando una produzione in eccessodel tessuto stesso.

Ehrlich applicò questi concetti alproblema della formazione dell'anti-corpo, ipotizzando che gli anticorpi nonfossero altro che catene laterali preesi-stenti sul protoplasma delle cellule eaventi la funzione di legare le sostanzenutritizie necessarie alla cellula. Le ca-tene laterali potevano però legarsi an-che alle sostanze tossiche che casual-mente avessero la stessa struttura mole-colare dei nutrienti, e ciò determinava

La teoria delle catene laterali, così co-me veniva rappresentata graficamenteda Paul Ehrlich nella sua CroonianLecture del 1900. I disegni di Ehrlichrappresentavano una novità importan-te dal punto di vista della comunica-zione scientifica in campo biomedico,in quanto cercavano di immaginareun'organizzazione fisiologica della cel-lula che non poteva essere verificata alivello di osservazione microscopica. Difatto uno degli argomenti portati con-tro la teoria giudicava frutto della fan-tasia e meri artifici retorici i disegnicon cui Ehrlich esemplificava i conte-nuti della teoria delle catene laterali.

un danno funzionale alla cellula. Que-st'ultima reagiva al danno producendo,per la legge di Weigert, un eccesso dicatene laterali dello stesso tipo, che ve-nivano immesse nel circolo sanguignocome anticorpi.

In quanto assumeva la preesistenzadell'anticorpo e la sua sovrapproduzio-ne differenziale come conseguenza delriconoscimento anticorpo-antigene, lateoria delle catene laterali sarebbe sta-ta considerata dagli immunologi - chealla fine degli anni cinquanta intro-dussero il modo di pensare darwiniano

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I più significativo contributo teoricodell'immunologia alle scienze bio- logiche consiste probabilmente nel-la dimostrazione che le risposte adattati-ve acquisite nel corso della vita dell'in-dividuo possono essere il risultato diprocessi selettivi analoghi a quello cheDarwin ipotizzò per spiegare i cambia-menti adattativi nell'evoluzione dellespecie biologiche. L'efficacia esplicati-va dell'approccio darwiniano all'immu-nità ha stimolato i ricercatori a proporre,fin dagli anni sessanta, analoghi modelliselettivi per spiegare il funzionamentodel sistema nervoso. Tra i modelli dar-winiani del cervello che discendono di-rettamente dal selezionismo immunolo-gico il più noto è certamente quello deldarwinismo neurale di Gerald Edelman,il medico statunitense che, prima di de-

di Gilberto Corbellini

dicarsi alla neurobiologia e all'embrio-logia molecolare, si guadagnò sul cam-po il premio Nobel 1972 per i suoi studibiochimici sulla struttura dell'anticorpo.

Ma vediamo come si è evoluto ilconcetto di selezionismo immunologicoin rapporto al pensiero biologico fun-zionale del Novecento.

L'APPROCCIO CELLULAREALLA FUNZIONE IMMUNITARIA

Sin dal manifestarsi, a metà degli an-ni settanta, di un interesse per l'evolu-zione delle conoscenze irnmunologiche,le origini e gli sviluppi della concezioneselezionistica della funzione immunita-ria sono stati al centro dell'attenzionesia degli storici, che ne hanno ricostrui-to l'emergere attraverso l'analisi dei te-

sti pubblicati, sia degli immunologi, chene hanno parlato soprattutto in terminiautobiografici (si veda l'articolo La teo-ria della selezione clonale di Gordon L.Ada e Gustav Nossal in «Le Scienze»n. 230, ottobre 1987). Ulteriori ricerchesi sono basate sulla consultazione difonti archivistiche sia per cercare dicomprendere le diverse fasi che hannoportato all'emergere della spiegazioneselezionistica della funzione immunita-ria, sia per collocare criticamente talespiegazione nel più ampio contesto te-matico della riflessione fisiologica sullanatura degli adattamenti acquisiti. Que-ste ricerche hanno consentito, negli ulti-mi anni, di mettere meglio a fuoco glistimoli concettuali e i dati sperimen-tali che hanno fatto ipotizzare che lemanifestazioni adattative dell'immunità

LE SCIENZE n. 348, agosto 1997 5352 LE SCIENZE n. 348, agosto 1997

Frank Macfarlane Burnet (1899-1985) fu insignitodel premio Nobel nel 1960 - assieme a Peter B. Me-dawar - per gli studi sulla tolleranza immunitaria.

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Nella teoria dello stampo antigenico proposta da Linus Pauling nel 1940 le moleco-le di anticorpo si formano a partire da una globulina normale, che in presenza del-l'antigene si ripiega in modo da formare una configurazione del sito di riconosci-mento complementare a un determinante dell'antigene.

in immunologia - una teoria selettivaante litteram dell'immunità acquisita;un'interpretazione che fu accolta abba-stanza acriticamente da molti storicidell'immunologia.

È vero che, in realtà, già nel 1911compariva sul «British Medical Jour-nal» un articolo a firma di C. J. Bond,un chirurgo di Leicester, con il titoloObservations on the Nature of the Im-mune Reaction, nel quale si considera-va la risposta delle cellule dell'organi-smo agli attacchi della malattia comeuno dei più emblematici esempi diadattamento cellulare o «acquisizionedovuta all'uso (use acquirement)».

Bond riteneva che il problema degliadattamenti funzionali acquisiti fosseanalogo a quello che aveva portato La-marck e Darwin a suggerire due diver-se soluzioni al problema dell'originedelle specie e degli adattamenti eredi-tari; in questo caso, però, la questioneinteressava l'organismo individuale.La conclusione a cui egli arrivava erache un adattamento acquisito attraver-so l'uso rappresentava una forma diadattamento ai cambiamenti ambientalirealizzato «attraverso variazione e se-lezione tra unità intercellulari».

Secondo Bond la teoria delle catenelaterali di Ehrlich era l'esempio piùmanifesto di «un processo di variazione

tra parti fisiologicamentedifferenziate che costitui-scono la cellula stessa, as-sieme a una selezione dellevariazioni più vantaggio-se». Nell'articolo in que-stione si poteva anche tro-vare un'applicazione delmodello selezionistico in-tercellulare alle manifesta-zioni neurali degli adatta-menti acquisiti.

Tuttavia la teoria dellecatene laterali di Ehrlichnon era propriamente unateoria selettiva, in quantopresupponeva l'esistenza diuna specificità «assoluta»tra anticorpo e antigene: inaltri termini, non ammette-va che un dato anticorpopotesse riconoscere con di-versi gradi di affinità diffe-renti strutture antigeniche.

Come sarebbe risultatochiaro negli anni sessanta,il presupposto fondamenta-le di qualsiasi modello se-lettivo non è solo l'assun-zione di un'eterogeneità alivello di funzione (ovverol'esistenza di diverse strut-ture dotate di funzioni dif-ferenti tra cui viene sele-zionata quella che risulta

adatta) ma anche, e forse soprattutto,l'esistenza di una variabilità tra le strut-ture di riconoscimento che si esplicasotto forma di maggiore o minore capa-cità di legarsi a un dato antigene. Èproprio quest'ultima condizione a spie-gare in termini selettivi il miglioramen-to dell'affinità dell'anticorpo per l'anti-gene, ovvero il cambiamento adattativoa livello della risposta immunitaria.

BURNET E LA TOLLERANZAIMMUNITARIA

Era un concetto diffuso tra fisiologi,studiosi dell'ereditarietà, del compor-tamento e, ovviamente, dell'immunità,che la fenomenologia dell'immunità a-dattativa costituisse una delle manife-stazioni più caratteristiche, insiemecon la fenomenologia psichica (e/onervosa), della plasticità funzionaledell'organismo. Per esempio, il massi-mo esponente del vitalismo moderno,l'embriologo Hans Driesch, affermavaagli inizi del Novecento che, oltre al-l'ambito embriologico, era dagli studisull'immunità che emergeva più chia-ramente il fatto che l'organismo nonpoteva essere paragonato a una mac-china, dal momento che non era possi-bile immaginare un meccanismo «i cuicostituenti chimici siano tali da corri-

spondere adattativamente a quasi ogniesigenza».

L'idea che vi fosse un qualche tipodi analogia tra la plasticità immunitariae quella nervosa verme presa molto sulserio dal ventiseienne patologo austra-liano Frank Macfarlane Burnet, che nel1925 tentò di applicare la teoria dellamneme, o memoria organica, di Ri-chard Semon al problema della forma-zione dell'anticorpo. Semon era unozoologo tedesco che, a partire dalla fi-ne dell'Ottocento, aveva elaborato unateoria secondo la quale le tracce mne-stiche (mnemi) acquisite a livello di si-stema nervoso attraverso l'esperienzaindividuale sarebbero ereditabili.

La teoria di Semon venne natural-mente criticata e confutata dai biologievoluzionisti, ma influenzò comunquegli studi psicologici e neurologici sullamemoria diffondendo il concetto che,alla base dei fenomeni di memoria eapprendimento, vi fossero modificazio-ni neurologiche dovute all'esperienza.In alcuni manoscritti inediti, consultatida chi scrive presso gli archivi dell'U-niversità di Melbourne, Burnet - chesarebbe diventato l'emblema dell'ap-proccio darwiniano all'immunità - af-fermava che lo stimolo antigenico erain grado di indurre una reazione in al-cune proteine irritabili, e che attraversola ripetizione dello stimolo si produce-va un cambiamento permanente a livel-lo delle cellule (un engramma) che con-sentiva di richiamare la stessa reazionenell'occasione di un nuovo incontrocon lo stesso stimolo.

Burnet abbandonò per circa un de-cennio le sue aspirazioni di risolvereelegantemente il problema della forma-zione dell'anticorpo per dedicarsi allaricerca sulla nascente virologia. Rima-ne.un tema storiografico in parte anco-ra da esplorare l'itinerario attraversocui Burnet da lamarckiano diventòdarwiniano rispetto alla fisiologia del-l'immunità. In termini generali si puòaffermare che l'evoluzione degli inte-ressi scientifici di Burnet fu caratteriz-zata da un elemento tematico costante:le interazioni adattative tra organismiviventi e ambiente. Egli studiò il feno-meno della lisogenia, i virus, le dina-miche ecologiche ed epidemiologichedelle malattie infettive e l'immunità,sempre con l'idea di catturare i princìpiche governano a livello microbiologicoe fisiologico le interazioni biologicheadattative.

Nel periodo in cui Burnet si affaccia-va ai problemi dell'immunologia eracomunque già prevalente l'idea che lafenomenologia dell'immunità fosse ri-conducibile a interazioni chimiche e fi-sico-chimiche tra le molecole dell'anti-gene e dell'anticorpo.

Agli inizi del Novecento, la teoriadelle catene laterali di Ehrlich venne ri-tenuta insostenibile: era difficile am-

mettere che le cellule fossero fisiologi-camente dotate di recettori in grado diriconoscere addirittura composti chimi-ci sintetizzati in laboratorio, contro cuia partire dal 1905 si osservò che erapossibile indurre la formazione di anti-corpi. Inoltre, proprio Ehrlich avevagettato le basi metodologiche per stu-diare a livello strettamente chimico echimico-fisico l'interazione tra antige-ne e anticorpo. L'approccio immuno-chimico consentì di stabilire che l'anti-gene ha natura proteica e che alla basedell'interazione antigene-anticorpo vi èdavvero un riconoscimento stereocom-plementare. Diversamente da quanto ri-teneva Ehrlich, però, i legami responsa-bili di tali interazioni si dimostrarono ditipo non covalente (legami idrogeno eforze intermolecolari deboli). Gli stu-di immunochimici dimostrarono inoltrel'eterogeneità degli anticorpi presentiin un siero immune: gli anticorpi pro-dotti in risposta a un determinato anti-gene apparivano dotati di diversi gradidi affinità per l'antigene.

Nel tentativo di spiegare come potes-se avvenire la costruzione di struttu-re proteiche in grado di riconoscerein modo stereocomplementare qualsiasigruppo atomico appartenente a una so-stanza estranea (determinante antigeni-co), furono elaborati alcuni modelli cheassumevano un trasferimento della for-ma dall'antigene all'anticorpo. Il chi-mico statunitense Linus Pauling sug-gerì nel 1940 il cosiddetto modello del-lo stampo antigenico, considerato dagliimmunochimici la soluzione definitivadel problema della formazione dell'an-ticorpo. Il modello di Pauling, illustratonella figura qui a lato, si inseriva nelcontesto dei tentativi di spiegare, in ter-mini di chimica delle proteine, la speci-ficità dei processi biologici, incluso ilprocesso di replicazione dei geni chetrasmettono i caratteri ereditari. Nel-l'ambito del modello di Pauling l'etero-geneità degli anticorpi era consideratail risultato dell'imperfezione del mec-canismo di stampo.

Nel corso degli anni quaranta fu sco-perto il fenomeno della tolleranza im-munitaria: fra il 1941 e il 1949 Burnetosservò che i polli appena nati non era-no in grado di formare anticorpi controil virus influenzale inoculato allo statoembrionale, mentre nel 1945 Ray D.Owen riportava che i gemelli bovininon identici che abbiano condiviso lacircolazione sanguigna a causa dellafusione delle placente erano chimerenelle cui vene circolavano cellule san-guigne di entrambi i gruppi sanguigni,e ciò spiegava la tolleranza naturale

verso le reciproche cellule ematiche.Di fronte all'evidente modificabilitàdella competenza immunitaria indivi-duale, attraverso le esperienze delle fa-si più precoci della vita, Burnet comin-ciò a pensare che il problema dell'im-munità non andava affrontato doman-dandosi come l'organismo sia in gra-do di riconoscere e neutralizzare gli an-tigeni estranei, ma piuttosto chiedendo-si come riesca a evitare di reagire con-tro i propri costituenti, ovvero comeriesca a imparare a discriminare fra selfe non self.

Nel 1949 Burnet pubblicava assiemea Frank Fenner una nuova edizione del-la monografia The Production of Anti-bodies - la prima risaliva al 1940 - incui si poneva l'obiettivo di riconsidera-re il problema dell'immunità in termi-ni biologici. In tal senso la produzionedegli anticorpi veniva considerata un«cambiamento nella risposta fisiologicaindotto da uno stimolo chimico», e lavariabilità della risposta immunitaria,cioè le «differenze tra le molecole di

anticorpo prodotte in risposta allo stes-so antigene», veniva assunta come unacaratteristica di «estrema importanza»per comprendere la natura della produ-zione dell'anticorpo.

Burnet introduceva inoltre il concet-to che la produzione dell'anticorpo èuna funzione cellulare, e adottava qualemodello fisiologico per spiegare questamanifestazione adattativa a livello so-matico la formazione di enzimi adatta-tivi da parte degli organismi unicellula-ri che crescono in coltura. Durante glianni quaranta questo fenomeno venivaspiegato ipotizzando un'azione del sub-strato sul meccanismo di produzionedegli enzimi adattativi. Per spiegare latolleranza immunitaria Burnet introdu-ceva il concetto di automarcatore (self--marker), per cui la produzione di anti-corpi veniva innescata solo da proteinediverse dagli automarcatori, ma non-dimeno sufficientemente simili a que-sti per reagire con le «unità di ricono-scimento» - strutture complementari al-le proteine che fungono da marcatori,

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David W. Talmage mostrava nel 1959 che l'eterogeneità della risposta immunita-ria, cioè la presenza nel siero immune di anticorpi dotati di affinità variabile perl'antigene, implicava non solo una degenerazione del meccanismo di riconoscimen-to, ma soprattutto che la specificità della risposta immunitaria era il risultato di uninsieme di interazioni parzialmente complementari tra diversi anticorpi e l'antige-ne. Come si vede dalla figura, ripresa da Talmage, i tre anticorpi A, B e C conten-gono insieme più informazioni sulle caratteristiche strutturali dell'antigene rispet-to a ciascun anticorpo preso singolarmente. A Gerald M. Edelman, premio Nobel nel 1972, si deve la descrizione delle pro-

prietà biochimiche fondamentali dell'anticorpo, che spiegano l'origine della varia-bilità. A metà degli anni settanta Edelman ha abbandonato l'immunologia per de-dicarsi allo studio dell'organizzazione funzionale del sistema nervoso e delle basimolecolari della morfogenesi.

costruite dall'organismo durante lo svi-luppo embrionale - e modificarne le ca-ratteristiche strutturali trasformandolein anticorpi autoriproducentisi.

L' ULTIMO BASTIONEDEL LAIVIARCKISMO

Nel 1943 Max Delbriick e SalvadorLuna dimostravano l'esistenza di muta-zioni spontanee nei batteri, il che porta-va a ripensare in termini darwiniani,cioè come selezione a partire da varia-zioni ereditarie preesistenti, la capacitàdei batteri di adattarsi ai cambiamentidel terreno di coltura con la produzionedi un enzima adattativo, in grado dimetabolizzare il nuovo substrato. Crol-lava definitivamente quello che lo stes-so Luna definì «l'ultimo bastione dellamarckismo» e tra i microbiologi sidiffondeva finalmente uno stile di pen-siero darwiniano che avrebbe incenti-vato non solo lo sviluppo della geneticabatterica, ma anche quello della rifor-mulazione in termini molecolari deimeccanismi di trasmissione ed espres-sione dei tratti ereditari.

Stimolato dai fondamentali sviluppiche nel campo della genetica battericaseguirono a questa scoperta, l'immuno-logo danese Niels Kay Jerne elaborònel 1955 un ragionamento analogo ri-guardo alle basi fisiologiche della ri-sposta immunitaria. Invece di attribuireall'antigene la responsabilità di deter-

minare la configurazione dell'anticorpospecifico, Jerne ipotizzò la preesistenzadi anticorpi con differenti specificità,interpretando l'incontro con l'antigenecome una selezione, operata all'internodi uno spettro di strutture anticorpalieterogenee prodotte dall'organismo, acui seguiva la riproduzione degli anti-corpi più adatti nel riconoscere l'anti-gene. Lo storico danese Thomas Ri-derqvist ha dimostrato che Jerne inter-pretò l'evidenza empirica di un'attivitàimmunitaria del siero normale ipotiz-zando la produzione spontanea di anti-corpi naturali. Questa interpretazioneera stata suggerita dalla conoscenzadella statistica biometrica dell'evolu-zionista darwiniano Ronald A. Fisher edalle dottrine darwiniane microbiologi-che del Gruppo del fago di Max Del-briick e Salvador Luria.

La «teoria della formazione degli an-ticorpi basata sulla selezione naturale»di Jerne conteneva diversi errori, e frail 1957 e il 1959 veniva tradotta daFrank Macfarlane Burnet in un model-lo biologicamente plausibile: la teoriadella selezione clonale. In esso il bersa-glio della selezione, invece degli anti-corpi circolanti, sono le stesse celluleche producono gli anticorpi. L'incontrocon l'antigene avviene attraverso il ri-conoscimento effettuato dalla strutturaanticorpale che si trova fissata sulla su-perficie della cellula, e a replicarsi è lacellula, che dà luogo a una progenie

di cellule identiche (clone) attivamenteimpegnate a produrre anticorpi dellastessa specificità.

Burnet non era stato comunque ilprimo a cercare un fondamento cellula-re all'ipotesi di Jerne. Infatti nel 1957,qualche mese prima di Burnet, l'im-munologo statunitense David Talmageaveva pubblicato una rassegna dal tito-lo Allergy and Immunity, in cui valo-rizzava la novità concettuale rappre-sentata dalla teoria di Jerne. Per Tal-mage essa era coerente con le nuovescoperte della biologia molecolare cir-ca il fatto che nel materiale geneticodella cellula sono contenute le infor-mazioni per la sintesi proteica. Due an-ni dopo lo stesso Talmage dimostravache la specificità immunologica - inte-sa come selettività dell'interazione an-tigene-anticorpo - non andava tanto ri-ferita alla complementarità sterica tradue tipi di determinanti coinvolti nel-l'interazione chimico-fisica, quanto al-l'insieme degli anticorpi che in un datoantisiero erano in grado di riconoscerecon diversi gradi di affinità il determi-nante antigenico. In pratica Talmagesottolineava il fatto che la «specificità»di un anticorpo per un dato antigenenon è assoluta, e che lo stesso antigenepuò essere riconosciuto in modo più omeno efficace da anticorpi struttural-mente diversi (o, simmetricamente, chelo stesso anticorpo può riconoscere piùdi un antigene).

LA SPECIFICITÀDEL SISTEMA IMMUNITARIO

A Talmage e a Burnet si deve ancheil concetto che la spiegazione selettivadell'immunità acquisita ha caratteristi-che del tutto differenti dai modelli chedominavano il pensiero biologico fun-zionale. In un articolo intitolato Immu-nological Specificity e pubblicato nel1959, Talmage distingueva tra modifi-cazioni fisiologiche adattative naturali,che non sono inducibili da stimoli am-bientali, e modificazioni adattative ac-quisite, in cui la produzione di una par-ticolare sostanza dipende da uno sti-molo ambientale.

La concentrazione dell'albumina,per esempio, è fissata attraverso mec-canismi omeostatici e non è indotta dasostanze ambientali. L'albumina è i-noltre dotata di bassa specificità e discarsa eterogeneità e la sua tolleranzada parte dell'organismo è determinatagià a livello genetico. Nel caso dellegammaglobuline o anticorpi, in cui simanifesta un'elevata specificità e unastraordinaria eterogeneità strutturale, èvantaggioso per l'economia dell'orga-nismo che queste sostanze non sianopresenti in concentrazioni elevate, ma

siano prodotte in risposta a uno stimo-lo esterno.

Anche per Burnet la teoria della sele-zione clonale rappresentava un'assolutanovità nel panorama del pensiero fisio-logico. Burnet aveva una certa familia-rità con la teoria dei sistemi e con ilpensiero olistico che non accettavano lastrategia delle dottrine fisiologiche e ci-bernetiche secondo cui tutte le risposteadattative dell'organismo erano ricon-ducibili a meccanismi omeostatici o diretroazione. Ludwig von Bertalanffy, ilfondatore della teoria dei sistemi, affer-mava per esempio che i processi a re-troazione descrivevano un'organizza-zione meccanica e prefissata delle fun-zioni organiche, cioè una disposizionelineare piuttosto che circolare delle ca-tene causali.

Burnet, dal canto suo, riteneva che laconcezione darwiniana della natura vi-vente dimostrasse che si poteva ottene-re la comparsa di uno scopo in un siste-ma che non era stato costruito intenzio-nalmente. In altre parole, un meccani-smo casuale poteva trovare il suo scopoattraverso un processo di apprendimen-to, come risultava del tutto evidente nelcaso del sistema immunitario. In un ar-ticolo pubblicato nel 1964 e intitolatoThe Darwinian Approach to ImmunityBurnet affermava che il pensiero bio-logico tradizionale aveva difficoltà acomprendere quale fosse il significatodell'attribuire a una popolazione di cel-lule somatiche dell'organismo (i linfo-citi) «quasi lo stesso potenziale evoluti-vo», ovviamente in tempi e spazi moltopiù ridotti, di una popolazione di orga-nismi che si deve adattare alle modifi-cazioni ambientali.

Secondo Burnet, il biologo in gene-rale concepisce l'organismo singolo«indipendentemente» dalla storia evo-lutiva della specie cui appartiene, comeun «meccanismo funzionale definito»,le cui «potenzialità di modificazionesono di natura definita piuttosto che ditipo casuale-selettivo». Per l'immuno-logo australiano questo concetto del-l'organismo era ormai inammissibile, enon solo in relazione ai problemi del-l'immunità, «ma anche per lo sviluppodella funzione nervosa, soprattutto aisuoi livelli superiori».

SI COMPLETA IL MODELLODELLA SELEZIONE CLONALE

La teoria della selezione clonale co-me era stata concepita da Burnet eracomunque incompleta, in quanto nonerano definite le basi molecolari e bio-chimiche della variabilità degli anticor-pi né erano chiari i fattori responsabi-li dell'attivazione differenziale dellecellule selezionate. Nel 1959 venivano

stabiliti gli indirizzi teorici e sperimen-tali in grado di completare il modellodella selezione clonale. Il genetista Jo-shua Lederberg proponeva come spie-gazione dell'origine genetica degli anti-corpi una teoria basata sulla mutazionesomatica a livello dei segmenti poli-peptidici dell'anticorpo, mentre DavidTalmage ipotizzava che tutto il reperto-rio fosse completamente contenuto nelgenoma.

L'applicazione delle nuove tecnolo-gie biologiche consentì a Susumo To-negawa di dimostrare nel 1974 l'origi-ne somatica della diversità degli anti-corpi, quale risultato della ricombina-zione di un numero limitato di geni e diprocessi di mutazione che consentonola produzione di un repertorio stermi-nato di anticorpi dotati di differentispecificità.

Da parte sua, il biochimico america-no Gerald M. Edelman scopriva, sem-pre nel 1959, la struttura multicatena-ria dell'anticorpo e cominciava a stabi-lire la sequenza amminoacidica e lastruttura tridimensionale della moleco-la, una ricerca che gli consentiva dipresentare nel 1969 la prima descrizio-ne completa della struttura dell'anti-corpo. Combinando dati biochimici,genetici ed evolutivi riguardanti la

struttura e le funzionalità dell'anticor-po, Edelman elaborò un'articolata rap-presentazione dell'organizzazione fun-zionale del sistema di riconoscimentoimmunitario: in altri termini, studiandole proprietà strutturali dell'anticorpoperfezionò e completò l'architetturadarwiniana della teoria della selezioneclonale.

Per Edelman la degenerazione del si-stema e la soglia di innesco delle rispo-ste cellulari erano i due fattori chiaveper definire le basi sia qualitative siaquantitative del meccanismo di selezio-ne clonale. Il biochimico statunitense siconcentrò comunque soprattutto sullevalenze generali del modello fisiologi-co che emergeva dagli studi molecolarie cellulari.

Il fatto che la specificità di un anti-corpo per un dato antigene non sia as-soluta, e che lo stesso antigene possaessere riconosciuto in modo più o me-no efficace da anticorpi strutturalmen-te diversi (o viceversa che lo stesso an-ticorpo possa riconoscere più di un an-tigene) era per Edelman una condizio-ne indispensabile per il funzionamentoselettivo di un sistema adattativo. Que-sta significava infatti che l'antigeneesterno non predefinisce le modalitàcon cui il sistema immunitario lo neo-

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nosce. Tali modalità vengono costruitesomaticamente attraverso la produzio-ne di un repertorio di potenziali rico-noscitori, in competizione fra loro percatturare lo «stimolo».

La specificità del riconoscimentodiventa pertanto il risultato della sele-zione, che opera a diversi livelli diproduzione dei repertori di diversitàfra gli anticorpi, e non può essereidentificata con il meccanismo chimi-co del riconoscimento, come avevatentato di fare l'approccio immunochi-mico. «La specificità della funzione dilegame per l'antigene - scriveva Edel-man nel 1970 - è una proprietà dell'in-tero sistema e non di singole molecoledi anticorpo.»

Risale a quegli anni il modello difunzionamento selettivo del sistemaimmunitario messo a punto da Edel-man. In esso venivano definiti i fat-tori essenziali di un sistema selettivosomatico:a) meccanismi in grado di generarespontaneamente un repertorio di strut-ture di riconoscimento fra loro diverse(cioè la generazione somatica della di-versità anticorpale);b) meccanismi per favorire l'incontrofra queste strutture e gli aspetti del-l'ambiente che il sistema è in grado diriconoscere (cioè i vari sistemi di cat-tura e presentazione dell'antigene);e) meccanismi che consentano di am-plificare qualche attività fisiologicadel sistema come conseguenza di que-sto incontro (cioè la proliferazioneclonale differenziale come conseguen-za dell'incontro con l'antigene e delleinterazioni comunicative fra le celluledel sistema immunitario, accompagna-ta da cambiamenti di stato della super-ficie cellulare).

Non è tra gli scopi di questo artico-lo seguire le ricadute euristiche del se-lezionismo immunologico. Non pos-siamo però non ricordare che nel corsodegli anni settanta il selezionismo im-munologico si arricchiva delle primeipotesi sui meccanismi funzionali checonsentono all'organismo di impararea discriminare tra self e non self. Sitratta ovviamente di un'altra storia,che richiederebbe ancora altrettantospazio per essere raccontata ma, difronte ad alcune recenti critiche «filo-sofiche» dei modelli selettivi dell'im-munità, non si può non ricordare che ipiù importanti manuali e le più recentie autorevoli rassegne continuano adaccogliere una spiegazione delle basifisiologiche delle risposte immunitariespecifiche o adattative basata su eventiselettivi che interessano due diversimomenti dello sviluppo delle celluleimmunocompetenti.

Durante la maturazione dei linfociti

T all'interno del timo - processo cheviene significativamente chiamato «e-ducazione timica», in quanto rappre-senta un vero e proprio apprendimentoa discriminare tra costituenti propri(selj) e non propri (not selj) a livel-lo dell'identità biologica dell'organi-smo - emergono, attraverso due stadiselettivi (positivo e negativo), i linfo-citi T che coordinano le risposte im-munitarie specifiche (T helper o CD4)e i linfociti T in grado di attaccare di-rettamente le cellule riconosciute co-me estranee (T citotossici o CD8).

Questi processi di selezione, che av-vengono all'interno del timo, sonocontrollati attraverso le interazioni trai recettori dei linfociti e alcuni motivimolecolari (antigenici) presenti sullecellule timiche con cui i linfociti inmaturazione interagiscono; il fattoreda cui dipende il destino del linfocita,cioè sopravvivenza o morte, sembraessere fondamentalmente l'affinità dilegame fra recettori e ligandi. Le mo-dalità attraverso cui le popolazioni dilinfociti maturi, siano essi T o B, van-no incontro alle modificazioni dinami-che che portano alle risposte immuni-tarie specifiche, cellulari e anticorpali,dipendono ancora da eventi selettivi:ma stavolta le strutture molecolari chestimolano una modificazione adattati-va del sistema sono esterne e le rispo-ste sono governate dal principio dellaselezione clonale.

GILBERTO CORBELLINI, laureatoin filosofia, è dottore di ricerca in Sa-nità pubblica. Lavora presso l'Istitutodi parassitologia dell'Università «LaSapienza» di Roma e sta pubblicandocon gli editori Laterza il volume Legrammatiche del vivente. Storia dellabiologia molecolare.

CORBELLINI GILBERTO (a cura), L 'e-voluzione del pensiero immunologico,Bollati Boringhieri, Torino, 1990.

SODERQVIST T., Darwinian Overto-nes: Niels Kay Jerne and the Origin ofthe Selection Theory of Antibody For-mation in «Journal of the History ofBiology», 27, pp. 481-529, 1994.

CORBELLINI GILBERTO, Il sistema im-munitario in Storia del pensiero scien-tifico e filosofico, a cura di Enrico Bel-lone e Corrado Mangione, Garzanti,Milano, 1996.

CORBELLINI GILBERTO, Il sigillo el'impronta. I modelli funzionali dellaplasticità neurale da Freud a Edelmanin Le due facce della mente, a cura diPietro Bria e Sergio De Risio, Soc. Ed.Universo, Roma, 1997.

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