Scoasse - Dossier su rifiuti e illegalità in Veneto

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SCOASSE dossier su rifiuti e illegalità in Veneto Senza giustizia, che cosa sarebbero in realtà i regni, se non bande di ladroni? E che cosa sono le bande di ladroni, se non piccoli regni? Anche una banda di ladroni è, infatti, un’associazione di uomini nella quale c’è un capo che comanda, nella quale è riconosciuto un patto sociale e la divisione del bottino è regolata secondo convenzioni in precedenza accordate Sant’Agostino (De civitate Dei, IV) 1

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la prima radiografia delle inchieste, delle rotte e delle dinamiche della criminalità ambientale nel campo dei rifiuti nella nostra regione. Dossier a cura di Osservatorio ambiente e legalità di Legambiente Veneto

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SCOASSE

dossier su rifiuti e illegalità in Veneto

Senza giustizia, che cosa sarebbero in realtà i regni, se non bande di ladroni?

E che cosa sono le bande di ladroni, se non piccoli regni?Anche una banda di ladroni è, infatti, un’associazione di uomini

nella quale c’è un capo che comanda, nella quale è riconosciuto un patto socialee la divisione del bottino è regolata secondo convenzioni in precedenza accordate

Sant’Agostino (De civitate Dei, IV)

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Dossier a cura di Osservatorio Ambiente e Legalità di Legambiente Veneto

Venezia, gennaio 2015

Che cos'è l'Osservatorio «ambiente e legalità»

Il Comune di Venezia, con delibera n°644/2011 ha deciso di sostenere la progettazione dell'«Osservatorio Ecomafie – Ambiente e legalità nella Città di Venezia» proposto da Legambiente Veneto.

L'Osservatorio si configura come struttura di servizio e di raccordo tra diversi soggetti che si occupano di difesa dell'ambiente e dei beni comuni. Non intendiamo sovrapporci ai compiti di regolazione, controllo e repressione in capo ai soggetti istituzionali, ma vogliamo affiancare il loro lavoro, diventando piuttosto luogo di incontro fra i diversi soggetti per moltiplicare sinergie e testimoniare, ed ampliare, la responsabilità della società civile verso queste problematiche.

Gli obiettivi dell'Osservatorio sono:

- attivare tra la popolazione una cittadinanza consapevole;

- promuovere un'azione di ricerca tesa ad approfondire i caratteri della fenomenologia c.d. delle ecomafie con speciale riguardo agli aspetti che possano interessare Venezia e l’area metropolitana, a cominciare dalle politiche in materia di traffico di rifiuti;

- promuovere quadri conoscitivi meditati in grado di dare conto della complessità dei fattori in gioco basandosi sia sulle evidenze empiriche che sui modelli sociologici e criminologici più accreditati;

- valorizzare le competenze e le risorse dei diversi soggetti impegnati nel territorio a difesa dei beni comuni;

- promuovere una più attenta cultura dei beni comuni quale condizione indispensabile per uno sviluppo giusto e pulito.

L'attività dell'Osservatorio è supportata in modo esclusivamente volontario e con le risorse messe in campo da Legambiente Veneto dopo il commissariamento del Comune di Venezia e la conseguente interruzione del finanziamento delle attività dell'Osservatorio nell’estate 2014.

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Sommario

1)Criminalità e politiche

2)I trucchi del mestiere

3)Veleni delle traversine

4)Il ruolo delle organizzazioni criminali

5)Lampi dal buio

6)Storie di partnership calabresi

7)Le rotte

8)Chi difende le ragioni dell'ambiente? Una storia inquietante

9)La corruzione che depreda l'ambiente

10)Il percolato di Pescantina

11)La commissione Via: il pesce puzza dalla testa

12)Truffe e veleni

13)Rischi di criminalità per la materia seconda

14)La crisi e i rifiuti

15)La pesante eredità

16)Intrecci tra filiere produttive

17)L’ente locale e il ciclo degli Rsu

18)Le politiche della legalità

19)Monitoraggio e controllo

20)Le forze di contrasto

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1. CRIMINALITÀ E POLITICHE

Le connessioni tra politiche ambientali ed illegalità nel campo dei rifiuti sono evidenti: la discarica come destinazione di smaltimento, una lunga filiera del trattamento con l'esistenza di più intermediari1, una connessione opaca tra pubblica amministrazione e gestione, rappresentano tutti dispositivi gestionali che favoriscono il protagonismo della criminalità ambientale. Per questo quando parliamo di criminalità ambientale è importante tenere presente il ruolo delle istituzioni pubbliche nella gestione e regolazione del territorio.Tanto più che le pratiche criminali nel settore dei rifiuti fruttano molto denaro. Secondo lo studio condotto dall’istituto di ricerca Transcrime su «Gli investimenti delle mafie», pubblicato nel gennaio del 2013, il mercato illegale dei rifiuti speciali vede il Veneto al primo posto in Italia con un fatturato di 149 milioni di euro. Tanto denaro produce concentrazioni di potere che possono influire, attraverso pratiche corruttive, sul funzionamento delle istituzioni pubbliche.

Quando si parla di riciclo nel campo dei rifiuti purtroppo non si parla solo di corretta gestione della materia, ma anche di riciclaggio di denaro. Il settore dei rifiuti infatti sembra attrarre – insieme a molti operatori che fanno onestamente il loro lavoro, è bene ricordarlo - chi intende riciclare denaro come informano i rapporti dell’Unità di informazione finanziaria (Uif) della Banca d’Italia. I dati delle segnalazioni di operazioni sospette evidenziano infatti come i tentativi di riciclaggio del denaro sono rilevanti in alcuni settori, tra i quali lo smaltimento dei rifiuti, in particolare rottami metallici e rifiuti pericolosi. Tale attività è di particolare interesse per le organizzazioni criminali in quanto offre la possibilità di profitti molto consistenti (a fronte di guadagni unitari bassi, i volumi di fatturato sono molto ampi). A confermare questa tendenza il recente provvedimento della magistratura romana di bloccare quote di società padovane riconducibili a Riccardo Mancini, uno dei protagonisti dell'inchiesta su “Mafia Capitale”. Secondo la procura romana Mancini, attraverso il figlio Giovani Maria, detiene il 40 per cento della Terni scarl, società con sede a Limena (Pd) specializzata nel trattamento dei rifiuti e il 10 per cento della Bellolampo scarl, società consortile anche questa con sede a Limena e costituita per la “progettazione esecutiva e l'esecuzione dei lavori di realizzazione di un impianto di trattamento meccanico e biologico della frazione residuale e della frazione organica dei rifiuti urbani da realizzare in contrada Bellolampo nel comune di Palermo”.

Un'altra storia che confermerebbe l'interesse della criminalità per l'investimento nel settore dei rifiuti riguarda l'inchiesta denominata «Ferrari come back» dell’aprile 2011. Gli inquirenti hanno sequestrato un capannone dell'azienda, specializzata nel settore tritarifiuti, di Franco Caccaro [successivamente arrestato], affermato imprenditore di Santa Giustina in Colle (Pd), il quale avrebbe beneficiato di ingenti somme di denaro, almeno tre milioni di euro, che egli ha giustificato come crediti personali. Secondo la ricostruzione dei magistrati, esplicitata nel decreto di sequestro, il denaro proverrebbe dall’avvocato Cipriano Chianese, raggiunto già nel 1993 e nel 2007 da provvedimenti di custodia cautelare nell’ambito di indagini sugli intrecci tra operatori del settore rifiuti e clan dei Casalesi. L'imprenditore padovano era alla guida di una azienda di successo con sedi di rappresentanza in quattro continenti e solide alleanze e conoscenze sul territorio, anche nel mondo politico. Se le ipotesi investigative riguardo alla vicenda Caccaro fossero confermate ci troveremmo di fronte a un caso da manuale di compenetrazione tra reti criminali e reti imprenditoriali. Com’è noto, la classe imprenditoriale, in particolare nel Veneto, gode di particolare prestigio sociale e ha a disposizione canali di comunicazione diretta

1 In Veneto esistono importanti flussi di importazione ed esportazione dei rifiuti speciali. Per quanto concerne l’importazione si tratta per lo più di scarti metallici e vetro che alimenta i poli produttivi del settore siderurgico e le vetrerie. Per quanto concerne i flussi di esportazione vi sono alcuni flussi come il legno che afferisce ad industrie del settore del pannello truciolare ubicate nelle regioni limitrofe e alcuni flussi di rifiuti, in particolare quelli pericolosi, che non trovano sbocco a livello regionale e sono avviati in particolare all’estero (dati Ispra) ); non trascurabili neanche le quantità di rifiuti speciali derivanti dal trattamento dei RSU (scarti e CDR – Combustibile Derivato dai Rifiuti e CSS)

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con il ceto politico e le istituzioni. Per le organizzazioni criminali intrecciare relazioni e scambi con gli imprenditori può costituire una fondamentale via di accesso fondamentale negli ingranaggi del sistema.

In questi anni abbiamo assistito all'evolversi di una nuova fisionomia dell'illecito come viene testimoniato da diversi investigatori: «grazie al fatto che i controlli hanno cominciato a essere più frequenti, le varie organizzazioni si sono specializzate. La documentazione è sempre perfetta e così le analisi che accompagnano i rifiuti. Negli anni novanta ci si trovava di fronte a dei veri e propri smaltimenti abusivi tout court, partivano per andare al sud con carte raffazzonate e lo stato d'illegalità era evidente. Oggi quelli che gestiscono il traffico hanno tutto un sistema di uffici, di laboratori e di gestione amministrativa dei rifiuti che fa sì che un rifiuto, anche se irregolare, sulla carta risulti regolare».

2. I “TRUCCHI” DEL MESTIERE

• i rifiuti pericolosi vengono smaltiti mescolandoli a terre o a residui di lavorazione dell’attività di cava, nel mescolare questi rifiuti, anzitutto spariscono ed è molto più difficile riconoscerli, è diluita la tossicità.

• il giro bolla: il rifiuto entra in un grande stabilimento attrezzato per la sua inertizzazione e spesso ne esce tale e quale a come è entrato, ma con un’altra bolla e con un’altra classificazione.

• si trasportano verso impianti qualche volta di facciata materiali molto complessi, laddove si fanno piccole trasformazioni, magari figurano come impianti di recupero e fanno l’1 per cento di molte tonnellate e tutto il resto usufruisce della legislazione agevolata per quanto riguarda i sovvalli derivanti dalle attività di recupero, ma in realtà è tutto smaltimento”.

Un salto di qualità che si accompagna alla crescente fragilizzazione degli enti locali: l'espandersi dell'illegalità ha ovvie relazioni con la crisi della politica locale. Questa debolezza comporta una fragilità dell'ente locale nel relazionarsi autorevolmente con gli interessi privati, perché interessi privati sanno della debolezza del comune ed hanno perciò un potere contrattuale molto forte. «Esternalizzando porzioni crescenti delle utilities e delegando importanti funzioni pubbliche ai privati coinvolti in aziende a «capitale misto», gli enti locali rischiano sempre più di mostrare il fianco alla criminalità organizzata di tipo ecomafioso»2. Se in altri territori si parla esplicitamente di «regolazione ecomafiosa» in cui «le mafie possono ritenersi attori tra altri, vincolati – o abilitati – da meccanismi di coordinamento tra portatori di interesse e gruppi sociali della società locale» 3 qui la fisionomia gruppi d'affari che sta emergendo dalle recenti inchieste fanno pensare ad una crescente normalizzazione, grazie alla sistematicità e pervasività della corruzione, del ruolo dell'attore criminale - di derivazione mafiosa o meno – nella cogestione delle politiche.

Quanto si guadagna (illecitamente) dai rifiuti?

Gli organi inquirenti hanno fatto due calcoli sui guadagni che la ditta Mestrinaro avrebbe goduto per la sua gestione dei rifiuti nel caso della terza corsia Venezia – Trieste. La società Adriatica Strade ha conferito a Mestrinaro 10.718 tonnellate di rifiuti pagando 29 euro a tonnellata, mentre l'azienda di Zero Branco ha venduto il misto a Save Engineering e a Engineering 2K rispettivamente a 10 euro a tonnellata e a 28 euro al

2 V. Martone, A. De Feo, Crisi ambientale e modelli di regolazione: l’ambiente come questione di policy, in Culture della sostenibilità 13/2014

3 Ivi5

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metro cubo. «È necessario stimare che in capo a Mestrinaro derivino introiti dell'ordine di 39 euro a tonnellata. Da tale ammontare devono essere detratti i costi per il trasporto, messa in opera e trattamento illecitamente eseguito presso l'impianto - si legge nel provvedimento cautelare - è evidente che ingenti profitti derivino in capo a Mestrinaro ove si consideri che lo smaltimento presso una discarica di rifiuti non pericolosi costa ordinariamente 45 euro a tonnellata»4.

3. VELENI DELLE TRAVERSINE

Nicoletta Stefanutti, Giudice del Tribunale di Dolo, ha condannato nel settembre 2011 Loris Candian, imprenditore di Noventa Padovana, legale rappresentante della CAL s.r.l. di Fossò – ditta di smaltimento e recupero scarti di lavorazione – a due anni di reclusione e a 15 mila euro di risarcimento danni alla Provincia di Venezia per irregolarità nella gestione di rifiuti. Secondo le indagini, nell’impianto della CAL s.r.l. assorbita dal gruppo «Ecolando srl» di Sant’Angelo di Piove di Sacco, tra il 2006 e il 2008, i rifiuti venivano miscelati indistintamente senza effettuare una raccolta per categorie omogenee e senza effettuare analisi sulla pericolosità del materiale proveniente da produttori diversi. In seguito a queste operazioni di miscelazione dei rifiuti mutavano le classi di pericolo delle partite e anche la destinazione, che dalla filiera dello smaltimento passava a quella del recupero, in modo del tutto arbitrario. Loris Candian era già stato arrestato a seguito di una inchiesta coordinata sempre dal sostituto procuratore Giorgio Gava che portava alla luce come, tra il 2001 e il 2006, circa 4 milioni e mezzo di chili di legno impregnato di creosoto (una sostanza derivante dal petrolio altamente cancerogeno) fossero stati riciclati come palizzate per giardini o, mescolati con altri tipi di legname, triturati e usati per pannelli truciolari e poi venduti ai mobilifici invece di essere smaltiti secondo procedure controllate o finire in discariche attrezzate. Il legno era quello delle traversine della linea ferroviaria Venezia-Padova, dei lavori per l’alta velocità, e di altre linee ferroviarie. Considerate come rifiuti pericolosi, dovevano essere smaltite dalla Rossato s.r.l. che da anni aveva l’appalto per farlo ma invece venivano riutilizzate senza essere trattate adeguatamente.

4. IL RUOLO DELLE ORGANIZZAZIONI CRIMINALI

In Veneto quando parliamo di criminalità ambientale non parliamo necessariamente di criminalità organizzata, ma di un «giro» relativamente noto di trafficanti ed imprenditori da anni sulla scena, che hanno potuto anche, occasionalmente valersi dei «servizi» o della partnership della criminalità organizzata, ma, da quanto si evince per ora, hanno potuto operare con una certa autonomia5.4 Mauro Favaro, Terza corsia, affari d'oro col bitume tossico: a Roncade record di veleni, il Gazzettino 14

aprile 20135 G. Belloni, Camorra e criminalità ambientale in Veneto, in in Meridiana 73-74/20126

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E' difficile individuare la specificità della presenza della criminalità organizzata, il ruolo, anche negli ultimi decenni, delle organizzazioni criminali nel traffico di rifiuti è da rivisitare mettendo piuttosto in luce il protagonismo di reti criminali diversificate e di chi i rifiuti li produce e quindi delle imprese. Interessante in questa chiave leggere le dichiarazioni del magistrato della direzione nazionale antimafia Roberto Pennisi: “nel fenomeno dell'ecomafia la camorra è stata solo un utile strumento, non è stata il motore; il motore è stata una sorta di élite del traffico dei rifiuti, che si concentrava e si concentra in alcuni personaggi definibili come broker dei rifiuti, che mettevano in contatto i grossi produttori di rifiuti (che altri non sono che le grosse imprese nazionali) con degli intermediari che avevano a loro volta i contatti con le organizzazioni camorristiche, le quali, controllando il territorio, erano in condizione di mettere a disposizione delle discariche a cielo aperto”6.

Forse non è azzardato sostenere che l'evoluzione della gestione illegale dei rifiuti rispecchia quella delle reti criminali: un ruolo sempre più opaco e inafferrabile. Le aziende non risultano intestate a personaggi riferibili all'ambito delle mafie; soltanto attraverso minuziose indagini a ritroso all'interno di trust finanziari e di complicate scatole cinesi societarie è possibile individuare collegamenti con la criminalità . E nemmeno il modus operandi li distingue più di tanto: le regole del mercato sono sufficienti per garantire il successo di imprese senza particolari problemi di liquidità e con grandi capacità di tessitura di reti7.

Fatte queste dovute considerazioni dobbiamo comunque ribadire quanto abbiamo già avuto modo di denunciare8: il quadro che sta emergendo dalle ultime inchieste, in particolare a Verona e nel Veneto orientale, cambia in modo radicale il modo di leggere l’operatività delle mafie in Veneto, non solo un azione “silente” impegnata al riciclo di capitali in attività economiche e finanziarie o il servizio – operazioni finanziarie, truffe, evasione fiscale, bancarotte fraudolente, smaltimento di rifiuti, somministrazione di manodopera – prestato alle imprese venete – spesso con l’aiuto di una rete di professionisti locali -, ma un insediamento stabile e continuativo capace di attivare contatti e complicità con settori del mondo politico e imprenditoriale.

D'altronde la presenza delle mafie nell'economia sarebbe in aumento secondo quanto riportato nel rapporto Unioncamere del 2013: «I dati ci dicono che negli ultimi vent’anni la penetrazione delle organizzazioni criminali nel tessuto produttivo delle regioni italiane del Nord è in costante crescita e parte dai settori econom ici che non richiedono particolari conoscenze tecnologiche, come il commercio al dettaglio (per mettere in circolazione i prodotti della contraffazione), i trasporti (per sfruttare le sinergie con le attività illecite spostando assieme stupefacenti e ortofrutta), l’edilizia (soprattutto nelle fasi di movimento terra e fornitura materiali), i servizi di ristorazione» (Unioncamere 2013 p.12). Per questo occorre andare aldilà dei protocolli – che quando vengono firmati devono essere resi operativi! – ed individuare, e cambiare radicalmente, le politiche che oggi costruiscono il contesto più favorevole per l’insediamento delle mafie.

Vittorio Rossi, presidente della Corte d’appello di Venezia, nel corso dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, il 26 gennaio del 2013, ha rilevato come emerga in Veneto il fenomeno dell’associazione a delinquere di stampo mafioso. Dai tre episodi contestati nel 2011 si è passati ai nove del 2012. L’aumento deriva, secondo i magistrati, da una “innegabile espansione del fenomeno a livello locale”, che segue l’andamento nazionale, soprattutto negli appalti pubblici e nell’attività di smaltimento dei rifiuti.

In particolare nel settore dei rifiuti le reti criminali avrebbero compiuto un salto di qualità: dallo smaltimento al reinvestimento del denaro sporco anche in questo settore. È la tesi sostenuta dal magistrato veneziano Roberto Terzo: «i gruppi camorristici hanno guadagnato somme imponenti dallo smaltimento dei rifiuti delle

6 Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminali, anche straniere, Audizione del sostituto procuratore nazionale antimafia, Roberto Pennisi, 17 aprile 2012

7 M. C. Ribera, Ecomafia e traffico illecito organizzato di rifiuti, in Rapporto ecomafia 2008. I numeri e le storie della criminalità ambientale, Legambiente – Osservatorio Ambiente e legalità, Edizioni Ambiente, Milano 2008, pp. 63-69

8 vedi il dossier confezionato dall'Osservatorio sull'insediamento della 'ndrangheta a Verona, Osservatorio ambiente e legalità, 'Ndrangheta, corruzione, cemento. Il Veneto che deve cambiare, dossier 2014 in www.osservatorioambientelegalitaveneto.it

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aziende venete - secondo testimonianze di collaboratori di giustizia fino a un milione di euro alla settimana -, ora quelle somme vengono reinvestite, anche nel Veneto»9. Ma, lo ripetiamo, non occorre tirare in ballo la criminalità organizzata per raffigurare la criminalità ambientale nel Veneto: «gli affari sui rifiuti no n sono appannaggio delle mafie, ma spesso di cricche di potere che a loro volta, in qualche caso, utilizzano le organizzazioni criminali10.

Due fatti particolarmente inquietanti sono da rilevare all'interno di questo quadro.

Il primo riguarda il pestaggio – oltre alle ripetute minacce e all'incendio dell'auto - subito da un funzionario dell'Arpav che stava supportando un'indagine di polizia giudiziaria riguardante un traffico illecito di rifiuti e il secondo riguarda una serie di incendi, in particolare di cassonetti della carta, avvenuti tra il 2012 e il 2014 a Feltre. Oltre ai cassonetti, oltre trenta, è stata dato fuoco alla sede dei magazzini comunali nel maggio del 2012. Gli incendi sono avvenuti contestualmente al cambio del destinatario dell'appalto della gestione della raccolta della carta, prima in capo alla Aimeri Ambiente srl.

5. LAMPI DAL BUIO

L'Osservatorio ha avviato una piccola indagine sulla situazione degli incendi e abbiamo notato scorrendo la stampa locale del Veneto un susseguirsi di questi eventi in particolare negli stabilimenti di trattamento e stoccaggio dei rifiuti.

Approfondendo il fenomeno abbiamo analizzato alcuni dati legati al fenomeno garzie alla collaborazione dei comandi provinciali dei vigili del fuoco. Abbiamo integrato i dati dei vigili del fuoco sugli «incendi di edifici a destinazione commerciale ed industriale di stoccaggio e trattamento rifiuti» negli anni tra il 2007 e il 2011 e quelli dell'Arpav - riguardanti la stessa tipologia di rifiuti - per il 2012. Malgrado le differenti fonti i numeri saltano comunque all'occhio: nel veronese, ad esempio, nel 2007 abbiamo 5 incendi, nel 2008 1, nel 2009 3, nel 2010 2, nel 2011 1 e nel 2012 ben 7. Un trend simile ha riguardato il veneziano. Pensiamo il fenomeno debba essere monitorato: la preoccupazione è che appena vengono messi in discussione interessi o posizioni consolidate, il sistema di illegalità, connivenza, corruzione, reagisce mostrando il suo volto violento.

A questo proposito da segnalare i due incendi - avvenuto nel febbraio e nel marzo di quest'anno - che hanno riguardato l’azienda Bigaran di servizi ambientali di San Biagio di Callalta (Tv). Nel primo, avvenuto nella notte tra 18 e 19 febbraio, era andato a fuoco del materiale organico depositato all’interno del capannone. Nel secondo, una settimana dopo, sono andati a fuoco cinque automezzi parcheggiati all'interno del piazzale, in una zona nascosta dagli sguardi da una siepe altissima.

9 Intervista a Carlo Mastelloni, procuratore aggiunto, e Roberto Terzo, sostituto procuratore, della Direzione distrettuale antimafia di Venezia, 8 marzo 2012 in G. Belloni, Camorra e criminalità ambientale in Veneto, in in Meridiana 73-74/2012

10 G. Corona, R. Sciarrone (a cura di), I crimini contro il territorio. Conversazione con Raffaele Cantone, Meridiana 73-74/2012

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6. STORIE DI PARTNERSHIP CALABRESI11

Lo scorso 22 luglio la procura antimafia di Reggio Calabria ha disposto l’arresto di 24 persone tra cui Sandro Rossato, imprenditore padovano nel settore dei rifiuti, ed esponenti della ‘ndrangheta legati alle cosche Libri e Condello. Gli arresti seguono un’inchiesta avviata già nel 2001 sulle infiltrazioni mafiose nella gestione delle discariche e del ciclo dei rifiuti in Calabria che, nel marzo 2006, aveva portato all’arresto dello stesso Rossato e di altre numerose persone appartenenti alla ‘ndrangheta. Il Rossato nel corso degli anni ha costituito una vasta rete di società operanti nel settore della raccolta, del trattamento e dello smaltimento dei rifiuti in Veneto e in Calabria, attraverso rapporti con imprese private e pubbliche che, alla luce dei procedimenti giudiziari in corso, devono essere analizzati con attenzione per prevenire le infiltrazioni criminali, e assicurare la concorrenza e la trasparenza nell’affidamento e nella gestione dei servizi di igiene ambientale. Rossato dal 1988 è stato socio e amministratore con altri familiari della Rossato Fortunato srl, con sede a Pianiga. La famiglia Rossato ha partecipato come socio di minoranza alla costituzione della Società Estense Servizi Ambientali (SESA spa), controllata (51%) dal comune di Este e Rossato è stato vicepresidente di Sesa dal 1995 al 2004 quando la famiglia Rossato è stata sostituita nella proprietà da società controllate dall’attuale consigliere di Sesa Angelo Mandato e da alcuni suoi familiari. Tra il 2002 e il 2004 Rossato e Mandato, direttamente e tramite la controllata Eco tecno plans srl, sono stati soci della Rossato Fortunato srl e hanno collaborato attivamente, partecipando alla costituzione della Rossato sud srl e del Consorzio stabile airone sud. Nel 2001 la famiglia Rossato ha costituito la Rossato group, una spa di servizi alle imprese per la gestione del ciclo dei rifiuti con sede a Padova. Il 20 maggio 2004 la società è stata assorbita da lla Finam group spa, società finanziaria controllata dalla famiglia Mandato, con sede a Mirano che detiene la quota di minoranza di Sesa. Rossato Fortunato srl possiede RAMM srl, con sede a Pianiga, amministratore unico Sandro Rossato e avente per oggetto i servizi per la gestione del ciclo dei rifiuti. Il ramo d’azienda di Ramm relativo alla gestione dell’impianto di cogenerazione da biogas nella discarica di via Pontifuri a Campodarsego è stato venduto nel febbraio 2014 a Etra spa, società pubblica di servizi composta da 77 comuni delle province di Padova e Vicenza. Nel gennaio 2013 nel deposito di rifiuti della Rossato Fortunato a Pianiga (Ve) si è sviluppato un incendio. Rossato Fortunato srl ha iniziato a costituire società in Calabria nel 2000. Rossato sud srl, con oggetto sociale la raccolta e il trattamento dei rifiuti e sede a Reggio Calabria e capitale sociale di 118.000 euro, è stata costituita nel 2000 da Edilprimavera srl (50%) e da Rossato Fortunato srl (50%). Sandro Rossato è stato amministratore unico fino al 2004 e procuratore speciale fino al 2006. Dal 21.2. 2006 la società è sotto sequestro giudiziario in seguito a un’indagine per associazione di stampo mafioso. Edilprimavera srl è una società di costruzioni costituita nel 1988 con sede e a Reggio Calabria e capitale sociale di 118.800 euro. Edilprimavera è di proprietà di Giuseppe Siclari, di Giovanna e di Giuseppe Alampi ed è stata a lungo amministrata da Matteo Alampi, arrestato il 22.7.2014 nell’ambito dell’indagine sulle infiltrazioni mafiose nella gestione dei rifiuti. In precedenza il tribunale di Reggio Calabria il 21.2.2006 aveva disposto il sequestro preventivo della società che è stata confiscata nel 2012 con sentenza della Corte di Cassazione. Nel 2003 Rossato sud srl, Rossato Fortunato srl ed Edilprimavera srl hanno costituito il Consorzio stabile Airone sud, con sede a Reggio Calabria. Sandro Rossato è stato consigliere del consorzio fino al 21.2.2006, quando il tribunale di Reggio ha emesso un provvedimento di sequestro preventivo delle quote del consorzio in seguito a un’indagine per associazione di stampo mafioso. Nel luglio 2014 lo stesso tribunale ha stabilito l’amministrazione giudiziaria del consorzio. Nel 2005 Edilprimavera srl, Rossato Fortunato group srl e Biotecongas srl hanno costituito a Milano il Consorzio stabile Globus. Dal 2005 al 2007 sono stati consiglieri d’amministrazione Sandro Rossato e Matteo Alampi. Nel 2007 il tribunale di Reggio Calabria ha sequestrato le

11 La ricostruzione di questa storia si deve al lavoro di Alessandro Naccarato, deputato padovano del Pd e mebro della Commissione parlamentare d'inchiesta antimafia

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quote di Edilprimavera srl. Sui rapporti tra Rossato e la criminalità organizzata è intervenuta la Commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti che nella sua relazione sulla regione Calabria del maggio 2011 ha spiegato che alcune cosche della ‘ndrangheta hanno costituito con Rossato società per entrare nella gestione ciclo dei rifiuti: “dal quadro probatorio – quale acclarato da una sentenza del tribunale di Reggio Calabria che, nel dicembre 2008, ha condannato tutti gli imputati per associazione mafiosa – risulta l’inserimento mafioso negli appalti dei comuni del territorio reggino. Invero, alcuni imprenditori, gli Alampi, avevano costituito delle società ad hoc (la Edilprimavera, la Rossato Fortunato ed altre) per effettuare tali attività”. E' necessario precisare che non tutte le persone e le imprese che hanno avuto rapporti con Rossato sono coinvolte nei procedimenti giudiziari, in particolare per due importanti società operanti nei servizi di pubblica utilità nel territorio padovano e veneto, SESA ed ETRA, che non risultano coinvolte nei procedimenti giudiziari in corso. La vicenda Rossato rappresenta un altro esempio di come la criminalità organizzata, attraverso la collaborazione attiva di imprenditori e professionisti settentrionali, apparentemente esterni ai gruppi mafiosi, è riuscita a inserirsi nel tessuto economico legale. Inoltre desta particolare allarme e preoccupazione un aspetto della vicenda che manifesta i limiti e le insufficienze dei controlli basati sulle certificazioni antimafia e le forme concrete della presenza delle mafie nell’Italia settentrionale.

7. LE ROTTE

Abbiamo visto come siano cambiate negli anni le modalità operative della criminalità ambientale, sempre più caratterizzate da processi di compenetrazione e ibridazione tra circuiti lecit i e illeciti. Contestualmente sono cambiati anche le rotte dei traffici (legali ed illegali). Non esiste più una rotta privilegiata nord – sud. Rotta che comunque non sarebbe stata abbandonata, ma piuttosto leggermente “corretta” come sottolinea la relazione della commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti dove leggiamo: “le vicende giudiziarie di cui la Commissione è venuta a conoscenza dimostrano, altresì, l’esistenza di una nuova rotta che ha spostato il traffico dalla dorsale tirrenica a quella adriatica [...]. Le indagini hanno consentito di documentare come l’organizzazione gestisse quantitativi elevatissimi di rifiuti speciali pericolosi, provenienti dal nord Italia, in particolare dal sito industriale di Porto Marghera (Ve), che venivano smaltiti abusivamente in aree situate a ridosso del litorale molisano, in prossimità di greti di fiumi e torrenti, nonché in terreni coltivati, grazie anche alla complicità` di locali aziende agricole, che impiegavano i fanghi contaminati come fertilizzanti”12.

Un altra inchiesta che confermerebbe l'esistenza di una “rotta della dorsale tirrenica” ha coinvolto una importante ditta trevigiana, operante nel settore dei rifiuti, la Vidori [già coinvolta nell'inchiesta Cassiopea] imputata di far parte di un'organizzazione che smaltiva illecitamente rifiuti in una discarica in provinci a di Lecce. L'organizzazione, colpita da dodici ordinanze di custodia cautelare nel 2009, poteva contare sulla complicità di funzionari e membri delle forze dell'ordine. Mediante attestazioni fasulle le ditte coinvolte scaricavano nella discarica rifiuti tossico nocivi che avrebbero dovuto essere sottoposti a diverso, e più oneroso, trattamento. Ma anche in questo caso le attività di contrasto hanno influito sulla scelta delle rotte: «a seguito delle indagini e del nuovo assetto amministrativo delle società sopra indicate, i rifiuti non sono stati più smaltiti in Puglia, ma, in alcuni casi, sono stati esportati in Germania»13.

12 Commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse, Relazione finale (relatore Paolo Ruzzo), XV legislatura, 15 febbraio 2006

13 Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo di rifiuti, Relazione territoriale sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti nella regione Puglia, XVI legislatura, 20 giugno 2012 10

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L'Osservatorio ha monitorato i flussi in uscita, relativi al 2011, dei rifiuti industriali dalla Provincia di Venezia (parliamo ovviamente della produzione ufficiale di rifiuti). In particolare abbiamo preso in esame, per una prima delimitazione della ricerca, le ditte che producono più di 500 tonnellate annue di rifiuti.Da questo monitoraggio abbiamo desunto qualche informazione utile:- la quantità di rifiuti che prende la strada verso il sud è quasi trascurabile.- la maggior parte dei rifiuti ha come destinazione altre regioni centro-settentrionali come Lombardia, Emilia Romagna o Toscana.- una quota non particolarmente rilevante viene esportata (Germania, Ungheria, Pakistan).

Per osservare una correlazione quantitativa possiamo dire che 10mila tonnellate vanno in Germania e 100mila in Lombardia. Questo non significa che la destinazione finale dei rifiuti non possa essere oltre frontiera. E' probabile che gli impianti presenti in Lombardia e Emilia Romagna siano di proprietà di aziende dotate delle necessarie autorizzazioni e in grado di movimentare rifiuti all'estero14. Come ci ha confidato un inquirente: «a nostro giudizio la rotta prevalente oggi è Nord-Nord, i rifiuti industriali vanno all'estero, in Germania, Austria, Danimarca. Parliamo di un traffico che ha tutte le carte, notifiche e contratti, ufficialmente in regola, che segue le procedure della normativa. Un confine che fa da schermo ovviamente facilita l'eventuale traffico illegale e rende più difficile il controllo. Prima potevi fare una telefonata al collega di Napoli e dire: “segui quel camion”, ora non è più possibile, se vi sia un'organizzazione e di che tipo dietro questi traffici transfrontalieri è presto per dirlo». L’allungamento dei traffici dei rifiuti verso l’Europa segue le dinamiche dei cicli lunghi delle economie locali e approfitta della liberalizzazione della circolazione delle merci così come dei minori costi dei trasporti. Settore, quest’ultimo, drammaticamente travolto dalla deregolamentazione e da una competizione globale feroce.

Ma è anche il Veneto è destinazione finale dello smaltimento di rifiuti. Lo confermerebbe l'inchiesta riguardante un traffico di rifiuti conferiti nel veronese e provenienti da Vicenza, Padova, Rovigo, Ferrara, Bologna e Reggio Emilia. Nel novembre del 2014 è stata sequestrata un'estesa area a Ronco all'Adige (Vr) e sono stati iscritti 12 persone nel registro degli indagati. Gli investigatori della squadra mobile sarebbero riusciti ad accertare che sotto la zona occupata da una fornace sono stati sepolti quintali di rifiuti tossici (metalli pesanti) che ha già inquinato la falda acquifera. Persone informate sui fatti e ascoltate dalla questura di Verona titolare dell’indagine iniziata un anno fa circa hanno raccontato che alcune ditte reggiane del settore edile avrebbero scaricato nell’area rifiuti tossici. Si parla di quintali di detriti edili appunto e poi di scorie smaltite da fonderie. La vicenda preoccupa perché nelle falde acquifere, già analizzate, sono stati trovati elevati livelli di cromo, nichel, antimonio. La squadra mobile della questura di Verona sta conducendo l’inchiesta assieme all’Arpav che ha già svolto vari prelievi. La zona fa parte di un’area in cui, negli ultimi dieci anni, varie cave di argilla sono state ricoperte. I rifiuti erano sepolti e sono emersi scavando fino a circa 4 metri di profondità.Rappresentare un luogo di destinazione dello smaltimento dei rifiuti è grave solo dal punto di vista ambientale – dato l'inquinamento che avviene nei nostri territori -, ma è pessimo un segnale sul tema del controllo del territorio. Lo smaltimento selvaggio, come nel famoso caso del casertano, implica un certo controllo del territorio, non passano infatti inosservato il via vai di camion e le operazioni di sversamento, magari con pesanti esalazioni di odori15. Fin'ora questo tipo di dinamiche sono state spesso denunciate da minoranze attive - come nel caso della Valdastico sud o della C&C di Pernumia. Non sappiamo se questa vicenda di per sé possa indicare un cambiamento nelle capacità reattive della società veneta, certo rimane comunque un segnale da non sottovalutare

14 Flavio Culiat, Le “rotte” dei rifiuti prodotti in provincia di Venezia, in Focus Rifiuti, Quaderno dell'Osservatorio ambiente legalità, 2013 in www.osservatorioambientelegalitaveneto.it

15 Isaia Sales, La questione rifiuti e la camorra, in «Merdiana», n. 73/74, 201311

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8. CHI DIFENDE LE RAGIONI DELL'AMBIENTE? UNA STORIA INQUIETANTE

Con una clamorosa operazione del Corpo Forestale dello Stato nell’ottobre del 2007 sono state emesse nove misure di custodia cautelari eseguite dagli uomini del Corpo forestale dello Stato di Verona e di Vicenza. L’operazione, denominata “Money-Fluff” ha avuto come accusa principale, oltre all’ipotesi di associazione per delinquere, il traffico illecito di rifiuti. Sotto accusa la Rotmafer, azienda con sede nel Veneto e in Lombardia, che tratta il «car fluff», il rifiuto derivante dallo smaltimento della autovetture. L’attività investigativa, iniziata nel settembre 2005, ha portato a nove ordinanze di misura cautelare: due in carcere e sette domiciliari. In carcere sono finiti il presidente del Consiglio d'amministrazione della Rotamfer Spa ed il responsabile ambientale della stessa azienda. Anche l’ex direttore dell’ARPAV di Verona è stato coinvolto nell’indagine.

Inoltre il giudice per le indagini preliminari ha disposto quattro sequestri preventivi: la discarica “Ca’ di Capri”; gli impianti di frantumazione di Castelnuovo del Garda e di Arese; e il laboratorio di analisi chimiche “Chimica Servizi Srl” a Dossobuono di Villafranca, in Provincia di Verona. La gestione illecita è consistita nell’aver smaltito il car-fluff con caratteristiche di non conferibilità nella discarica di Cà di Capri, poiché pericoloso e/o tossico nocivo in quanto proveniente dalla rottamazione di vetture non correttamente bonificate. Inoltre è stato accertato che lo stesso car-fluff veniva utilizzato, tramite miscelazione, come vettore di smaltimento illecito per altri rifiuti pericolosi prodotti nel ciclo aziendale. Attualmente il processo a carico degli imputati è in corso in primo grado.

La discarica di Cà di Capri, nella disponibilità della Rotmafer, era già stata oggetto di intervento del giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Verona, che nel luglio 2000 ne aveva ordinato il sequestro preventivo degli impianti per avervi smaltito rifiuti pericolosi tossici e nocivi senza le necessarie autorizzazioni.

Tutte le indagini, svolte dai diversi soggetti istituzionali coinvolti, che negli anni hanno riguardato la discarica di Cà dei Capri hanno condotto al medesimo risultato: nella discarica sono stati stoccati rifiuti tossici nocivi, o meglio speciali pericolosi, anziché quelli speciali non pericolosi formalmente autorizzati. Il direttore dell’Arpav di Verona, con una perizia depositata il 9 agosto del 2000 presso la Procura della Repubblica di Verona, affermò che i terreni circostanti la discarica di Cà di Capri erano inquinati da piombo, cadmio e pcb, ed erano da considerasi come sito da bonificare. Non solo: le perizie svolte dal tecnico della procura hanno testimoniato come nella massa di rifiuti si erano innescate delle combustioni senza fiamma con produzione di sostanze tossiche, pericolose per la salute, quali Ipa e diossine.

Data questa situazione la Provincia di Verona, anche su sollecitazione della Procura, il 6 luglio 2009, richiedeva alla Rotamafer la presentazione urgente di un progetto per la messa in sicurezza del sito. Il progetto venne presentato il 9 ottobre 2009 e dopo un’attenta istruttoria da parte dei vari enti coinvolti e della commissione regionale Via, il progetto viene approvato. In particolare la commissione Via nel parere espresso (n° 315 del 21/09/2010) prendeva atto di quelle che era la gravissima situazione della discarica ed esprimeva parere favorevole al progetto di messa in sicurezza presentato dalla Rotmafer solo in presenza del divieto di smaltire ulteriore car fluff e con l’introduzione unicamente di materiale che rispettasse i limiti di accettabilità per le discariche per rifiuti inerti e compatibilmente con gli apprestamenti tecnologici presenti, vista la finalità di messa in sicurezza del sito e la dismissione definitiva dell’impianto. A questi atti seguì il silenzio, l'urgenza della situazione d'incanto svanì.

E' il 30 dicembre del 2013 quando la giunta regionale batte un colpo: licenzia una delibera in cui si dà la

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possibilità per l’azienda di continuare a conferire tutti i rifiuti speciali che avevano portato alla gravissima situazione della discarica. Scompare del tutto l’obbligo di effettuare la dismissione dell'impianto. Il parere della commissione Via del 2010 è completamente ribaltato. Nel frattempo nessun fatto nuovo se non la richiesta da parte della Rotmafer (il 25 maggio 2012) di approvar un nuovo progetto di ampliamento con tipologie di rifiuti ancor più pericolosi di quelli originariamente autorizzati. A questa richiesta la commissione regionale Via in meno di 6 mesi rilascia due pareri positivi (n° 441 del 23 ottobre del 2013 e il n° 445 del 06 novembre dello stesso anno), smentendo sé stessa, e viene quindi rilasciata l'autorizzazione integrata ambientale (Aia). La tempestiva (dopo appena 40 giorni!) delibera della giunta regionale - dopo due anni di silenzio - suggella il cambiamento di rotta.

Nonostante l’istanza continuasse a definirsi come un progetto per la messa in sicurezza, si trattava di una nuova richiesta di autorizzazione per un consistentissimo ampliamento della discarica con introduzione di rifiuti ulteriori rispetto a quanto fino ad ora autorizzato e a quanto fino ad ora ritenuto indispensabile sia dalla procura della Repubblica di Verona sia dalla Regione Veneto.

Il provvedimento che è stato impugnato da Legambiente avanti al Tar del Veneto e da questo annullato recependo sostanzialmente le censure svolte dall’associazione. Gli stessi fatti sono stati segnalati da Legambiente Veneto alla Procura della Repubblica di Venezia che ha aperto una indagine.

9. LA CORRUZIONE CHE DEPREDA L'AMBIENTE

Il paesaggio delle ecomafie non nasce solo dall'assenza di pianificazione, ma anche dal ricorso a strumenti in deroga formalmente legali, la cui approvazione è garantita da “alleanze nell'ombra”. Senza l’apporto della corruzione il crimine ambientale sarebbe monco. Straordinario moltiplicatore di scempi ambientali, la corruzione è l’alleata perfetta dei banditi dell’ambiente. Insieme fanno quella che si può definire «Green corruption», declinazione ambientale della più grande famiglia. Grimaldello perfetto per aggirare norme e regolamenti e trasformare prerogative pubbliche in squallidi sistemi di mazzette e di privatizzazione (leggasi predazione) di beni comuni per trarne facile guadagno. In ogni rapporto ecomafia di Legambiente, infatti, quella che viene definita l’area grigia è il vero cuore del crimine ambientale, non solo in Italia. Un meccanismo sistemico e penetrante, quasi mai improvvisato e sempre camaleontico, pronto a rigenerarsi a ogni occasione, frustrando l’azione repressiva: dopo ogni indagine, raccontano a microfoni spenti molti investigatori, la sensazione è quella di aver fatto solo un buco nell’acqua. A testimoniare che l’azione penale da sola può fare poco.

Un fenomeno criminale, la green corruption, che, nonostante tutto, appare comunque il grande assente nel dibattito e nel lessico pubblico e/o politico. In controtendenza, però, un recente approfondimento sul tema è giunto da Unicri (agenzia delle Nazioni unite specializzata nella ricerca sulla criminalità) con il suo lavoro intitolato “Green corruption. Il caso Italia”. L’obiettivo dichiarato dello studio è infatti quello di analizzare in ogni aspetto la natura della connessione tra corruzione e ambiente e, soprattutto, evidenziare le vulnerabilità presenti in ciascuno dei settori ambientali al fine di abbozzare ipotesi di riforme da mettere a disposizione della classe politica e degli organi istituzionali. E per fare questo l’analisi ha messo in connessione teoria e azione, cioè la letteratura scientifica insieme a una mole impressionate di inchieste giudiziarie. Passando in rassegna innanzitutto i cicli del cemento e dei rifiuti e il settore energetico (in

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particolare nel campo delle cosiddette fonti rinnovabili), ma anche il mercato nero delle specie animali e vegetali (anche protette da norme specifiche, come la Convenzione Cites, e non), il settore agroalimentare, quello culturale e della contraffazione. Un caleidoscopio di casi concreti dove, volendo abbozzare una sor ta di ipotetica graduatoria, i primi, cioè i cicli del cemento e dei rifiuti e la produzione di energia da fonti rinnovabili, si sono confermati dalle indagini giudiziarie i più esposti alla corruzione e in genere alla criminalità propriamente ambientale.

Venendo all’essenza della green corruption, corruzione e reati ambientali hanno in comune, innanzitutto, un’azione tesa a privatizzare, per monetizzare, i beni comuni. Come spiega Alberto Vannucci (uno dei massimi esperti di mafie e corruzione in Italia), «in entrambi i casi, infatti, gli artefici realizzano una privatizzazione di fatto dei diritti collettivi su risorse pubbliche, il cui utilizzo o allocazione è regolato da norme e procedure, appropriandosene in modo illegale e di conseguenza occulto»16. Nel caso della corruzione i partecipanti spartiscono tra loro – grazie al pagamento della tangente, monetaria o «in natura» – le risorse pubbliche (ad esempio il prezzo di un appalto, il controvalore di una concessione edilizia, etc.) che il corruttore ottiene dall'amministratore corrotto grazie all'esercizio di un potere pubblico, al suo mancato impiego (omettendo o «addomesticando» attività di controllo, ad esempio), alla trasmissione di informazioni riservate. Quanto maggiore è il controvalore delle risorse pubbliche che possono essere “convertite” in diritti privati di proprietà (quote di bilancio, sfruttamento del territorio, posizioni monopolistiche, licenze, etc.) tramite processi decisionali soggetti a regolazione, supervisione, allocazione, garanzia di adempimento ad opera di agenti pubblici, tanto più i privati – tanto più se privi di adeguate barriere morali – hanno incentivi a cercare di influenzare gli esiti dei corrispondenti processi decisionali, se occorre anche pagando tangenti.

Un binomio indissolubile, quindi, che non vive e prospera in un mondo a parte, ma viceversa si alimenta di particolari condizioni istituzionali, economiche, sociali, valoriali e ambientali. Con una certezza di fondo segnalata all’unanimità da coloro che sono costretti a misurarsi con questo fenomeno criminale: fintantoché i rischi a cui va incontro chi alimenta la corruzione sono inferiori ai benefici ottenuti o promessi, il binomio è assicurato.

Nel caso dei crimini ambientali, insomma, la corruzione non serve per trafficare merci proibite e stigmatizzate dall’opinione pubblica, come droga o armi, ma serve – molto più semplicemente – per barattare una funzione pubblica per scopi privati, usando come moneta di scambio i cosiddetti beni comuni. Dare il via libera a lottizzazioni fuori norma o certificare un trattamento di una partita di rifiuti in realtà mai avvenuto (con i relativi danni ambientali che ne seguiranno), così come concedere illegittimamente l’edificabilità in area a rischio idrogeologico non sono che alcuni dei modi di barattare un pezzo di ambiente – e con essa la vita stessa di intere comunità – per i più disparati scopi privati; non solo prettamente monetari, ma anche di altre forme d i utilità, come spiegano da tempo gli investigatori, i giuristi, la nuova legge sulla corruzione e persino la riforma in corso in parlamento sul 416 ter, cioè sul voto di scambio politico mafioso. Anche perché, soprattutto in campo ambientale, il discrimine tra lecito e illecito è spesso sottile e labile. Si pensi alla normativa che regola l’intera filiera di gestione e trasporto dei rifiuti, laddove un semplice cambio di codice nei formulari che accompagnano i carichi (Fir) può aprire le porte a traffici illeciti e all’accumulo di grossi guadagni.

Recenti, e note, inchieste hanno messo in luce un sistema di corruzione pervasivo e devastante nella nostra regione. Purtroppo all'ombra del grande sistema (parzialmente) svelato dall'inchiesta in corso, prosperan o diversi piccoli sistemi corruttivi. La corruzione ha delle vittime eccellenti l'ambiente e i beni comuni17. Ci si preoccupa soprattutto dell’operatività delle imprese criminali, ma si rischia di perdere di vista il funzionamento (o meno) di istituzioni, amministrazione, politica, controllori, ispettori.

Lo ripetiamo da tempo come Osservatorio ambiente e legalità: la minaccia non viene tanto dal mondo del 16 Alberto Vannucci in “Green corruption. Il caso Italia”, Unicri, marzo 201417 Osservatorio ambiente e legalità, La corruzione divora l'ambiente, dossier 2014 in

www.osservatorioambientelegalitaveneto.it14

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crimine, ma dal sistema troppo spesso caratterizzato da acquiescenza, malafede e corruzione morale e materiale che alligna all’interno delle istituzioni18. La criminalità ambientale sembra così in grado non solo di operare con profitto nei settori ad alto impatto (edilizia, movimento terra, rifiuti, rinnovabili ecc.), ma di alterare dei principi e delle normative di tutela ambientale connesse alla corruzione (di amministratori pubblici, professionisti e funzionari incaricati di rilasciare autorizzazioni o di effettuare controlli), fino all’area grigia dell’impresa e delle professioni (produzioni inosservanti dei vincoli, professionisti e tecnici conniventi) e alla cosiddetta legalità debole.

Citiamo l'ultima indagine emersa: secondo l’ipotesi accusatoria della procura veneziana Fabio Fior, dirigente regionale che a lungo si è occupato della questione rifiuti, membro della Commissione di Valutazione d’Impatto Ambientale e della Commissione Tecnica Regionale dell’Ambiente, suggeriva alle ditte che richiedevano autorizzazioni per progetti di impianti di trattamento rifiuti o discariche di farsi incaricare come collaudatore. In questa veste suggeriva le modifiche necessarie a concludere l’iter della pratica. Per questo servizio il dirigente si faceva pagare «compensi sproporzionati rispetto all’attività svolta», ma promettendo «una sorta di protezione istituzionale». Colpisce che ad approfittare di questo oneroso «servizio» – un vero e proprio taglieggiamento secondo quanto emerge dalle carte giudiziarie – siano state anche società pubbliche come la Sesa di Este o la Etra di Cittadella. Per poter condurre questo molteplice ruolo Fior avrebbe goduto di coperture istituzionali garantite dal dirigente all’ambiente Roberto Casarin e dall’ex assessore Renato Chisso.

Da quel che emerge dalle indagini, l’Ing. Fior sarebbe stato inoltre il socio occulto (tramite fiduciarie e/o prestanome) di alcune società, l’ultima in ordine di tempo la EOS Group s.r.l., che fornivano il servizio di “controllore terzo e indipendente”.

Sostanzialmente, sulla base di alcune normative nazionali e, soprattutto regionali - emanate durante il periodo in cui l’Ing. Fior ricopriva un ruolo di primo piano all’interno del Settore Rifiuti della Regione - molti impianti di trattamento e smaltimento rifiuti hanno dovuto dotarsi di questa figura, spesso pagata direttamente dal gestore dell’impianto.

La magistratura sta attualmente accertando quanto le aziende interessate, comprese quasi tutte le multiutility venete, siano state “invitate” a scegliere per questo ruolo le società che si sospetta fossero collegate a Fior. In ogni caso non si comprende come anche società in tutto o in parte pubbliche, abbiano potuto assecondare la richiesta di assegnare tale servizio ad aziende di proprietà di società fiduciarie o anonime con sede in Svizzera.

10. IL PERCOLATO DI PESCANTINA

Un'inchiesta mossa dalla procura di Milano ha portato all'arresto, nel gennaio di quest'anno, dei vertici della

18 Pensiamo al coinvolgimento nel caso già citato della Rotmafer di un alto dirigente dell'Agenzia regionale per l'ambiente e che nel corso delle indagini è emersa l'esistenza di una circolare diramata il 27 novembre 2006 a tutti i tecnici dell'Arpav, firmata dall'allora direttore generale Andrea Drago (inquisito e prosciolto durante l’inchiesta): «In quella circolare i tecnici dell'Agenzia venivano invitati a non applicare il principio di precauzione nell'analisi dei rifiuti contaminati da idrocarburi e a non interpretarli, ma limitarsi a fornire i dati. Questa disposizione anche se non era indirizzata ad un caso particolare, oggettivamente favoriva la Rotmafer», intervista a Pier Umberto Vallerin, sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Pordenone, 13 marzo 2012 (all'epoca dei fatti sostituto procuratore a Verona), in G. Belloni, Camorra e criminalità ambientale in Veneto, in in Meridiana 73-74/2012

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Daneco con l'imputazione di truffa aggravata, traffico illecito di rifiuti e corruzione. La società non sarebbe a tutt'oggi in possesso della certificazione antimafia. L'inchiesta milanese ha avuto importanti risvolti nel veronese. La Daneco infatti gestisce la discarica di Pescantina (Vr) posta sotto sequestro nel 2006. La gestione dell'impianto è stata oggetto di inchiesta giudiziaria che ha portato alla condanna, nell'ottobre del 2012, del presidente, del direttore tecnico e del responsabile delle discariche della società, di due dipendenti del comune e di un dirigente della Provincia. Grazie alla mobilitazioni dei cittadini e di Legambiente era stato fermato dal consiglio regionale un progetto di bonifica promosso dalla Daneco che prevedeva l'ampliamento della discarica ai danni del vicino vigneto. Sul fronte dei processi registriamo la condanna a cinque mesi, pronunciata dal tribunale di Verona il 15 ottobre del 2012, in primo grado, per la gestione della discarica di Pescantina [Vr] del presidente, del direttore tecnico e del responsabile delle discariche della Daneco spa e di due dipendenti del comune di Pescantina. Sei mesi all’ex dirigente della Provincia di Verona. Secondo il capo d’imputazione non avrebbero mantenuto un sistema efficiente tale da impedire «la fuoriuscita del percolato e la sua infiltrazione nella falda freatica della discarica». Legambiente figurava come parte civile rappresentata dall’avvocato veronese Luca Tirapelle. Siamo di fronte ad una vera e propria bomba ecologica, la discarica per anni non è stata oggetto di alcuna mantenzione. Dalle notizie in nostro possesso i rifiuti sarebbero completamente immersi nel percolato fino a quasi l’orlo della discarica con un continuo rischio di uscita dall’alto e una pressione fortissima sul fondo che favorisce infiltrazioni oltre la barriera di protezione.

11. LA COMMISSIONE VIA: IL PESCE PUZZA DALLA TESTA

L'autorizzazione di impianti per il trattamento dei rifiuti sottostà alla valutazione d'impatto ambientale. La Regione è autorità competente per la procedura di Via relativamente ad una numerosa tipologia di progetti (vedi art. 4 Legge regionale n. 10/99) tra cui, ad esempio: impianti di smaltimento di rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi, impianti di smaltimento di rifiuti urbani, discariche di rifiuti speciali non pericolosi, impianti di recupero di rifiuti non pericolosi, impianti di depurazione delle acque, cave e torbiere.

Sulla funzionamento della commissione regionale che sovraintende alla procedura l'Osservatorio ambiente e legalità si è occupato spesso producendo anche una pubblicazione dal titolo “Ombre e disfunzioni nella Commissione Regionale V.I.A.” pubblicata a giugno 2013. Il quadro che ne emerge, confermato anche dalle recenti inchieste “Mose” e “Buondì”, presenta delle forti criticità, tra le quali la sovrapposizione di ruoli e i relativi casi di conflitto d’interesse che ci hanno portato a comunicare più volte la necessità di rivedere la normativa regionale anche alla luce della nuova Direttiva Europea di recente approvazione.

Tra i diversi casi di conflitti d'interesse interni alla commissione Via alcuni riguardano direttamente i rifiuti. Ad esempio Nicola Dell'Acqua che, pur contribuendo al progetto di Adige Ambiente su Ca' Balestra (Vr) prima d'entrare a far parte della commissione Via, dovrà ora esprimersi su un lavoro del proprio studio professionale. Lo stesso Dell'Acqua ha prestato la propria professionalità per altri due progetti attualmente valutati dalla Via: l'adeguamento tecnologico della discarica di Ca' Bianca nel Comune di Zevio (Vr) e il nuovo impianto di stoccaggio di rifiuti a Ca' Vecchia nel Comune di San Martino Buon Albergo sempre nel veronese, tutti di proprietà di Adige Ambiente. Altro caso di conflitto d'interesse riguarda il geologo Cesare Bagolini, membro della commissione Via e dal 2005 responsabile della vicina (a pochi metri) discarica di rifiuti solidi urbani di Ca' Baldassarre. Tale discarica è stata oggetto della contestazione degli ambientalisti che si oppongono al progetto di Ca' Balestra per la sua pericolosità, legata pure al perdurare della produzione di percolato, che 16

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aumenterebbe con un nuovo impianto.

A questo proposito l'associazione ambientalista rimarca le responsabilità della Regione Veneto, della Provincia di Verona e del Comune di Valeggio, che hanno impiegato 23 anni per dichiarare estinta Cava Gabbia, diventata poi Ca' Balestra, evidenziando «comportamenti negligenti, omissioni e inadempienze».

12. TRUFFE E VELENI

Al tradizionale e collaudato smaltimento illegale, il mondo criminale dei rifiuti, anche nel Veneto, si arricchisce di aspetti «innovativi» intrecciati alle truffe finanziarie e all’evasione fiscale, confermando così le più aggiornate analisi investigative. Citiamo, per esempio, l’inchiesta condotta dal pubblico ministero Giorgio Gava, che ha portato, nel luglio del 2012, a nove ordinanze di arresto per una serie di truffe nel campo del trasporto di materiali ferrosi. Imputati trafficanti veneti, calabresi e romeni. Una truffa che ha garantito agli ideatori circa un milione di euro in sei mesi di attività. Il business illegale smantellato dai carabinieri si basava su società fittizie create per aggiudicarsi il trasporto di carichi di metalli ferrosi in subappalto.

Una settimana dopo, un’altra inchiesta ha messo in luce un sistema finalizzato all’evasione fiscale, e ha coinvolto 32 persone attive nel commercio dei rottami metallici. Sono 30 le imprese coinvolte, tra cui 16 società di capitali, con sede in Veneto, Lombardia e Calabria. I finanzieri hanno svolto accertamenti che hanno consentito di individuare un complesso sistema fraudolento, caratterizzato dalla partecipazione di numerose imprese “cartiera” intestate a nullatenenti e utilizzate per emettere le fatture che avrebbero dovuto giustificare la provenienza dei rottami di compravendita, anche con importi dichiarati superiori a quelli effettivamente versati in nero ai reali cedenti. Il sistema aveva garantito un’evasione fiscale per 500 milioni di euro.

Un’altra truffa – più sofisticata, se vogliamo – emersa nel marzo 2012 grazie alla Guardia di finanza di Bassano del Grappa (Vi), che ha sequestrato a due imprenditori beni per 4,7 milioni di euro tra ville, quote societarie e conti correnti bancari. Sequestri intervenuti subito dopo che gli investigatori hanno ipotizzato l’esistenza di articolati sistemi di frode, finalizzati a costituire indebiti crediti d’imposta, annotando in contabilità costi fittizi per emettere fatture false. In particolare, un imprenditore specializzato nel trattamento di materiale plastico avrebbe compreso nelle dichiarazioni dei redditi relative ad alcune sue società, dal 2007 al 2010, fatture false per oltre 70 milioni di euro: un sistema fraudolento per creare falsi crediti di Iva, mentre la merce acquistata «in nero» da altre ditte veniva poi rivenduta senza applicazione dell’imposta a società che dichiaravano falsamente di essere «esportatori abituali».

Discariche gestite in provincia di Treviso dalla Sev, dopo il conferimento di rifiuti non conformi, sono s tate abbandonate. La gestione era stata garantita con polizze non ammesse dalla normativa, che non è stato possibile escutere per il fallimento del fideiussore. E' così che il fallimento Sev costerà 11,5 milioni di euro ai contribuenti. I soldi sarebbero serviti a bonificare la discarica Sev di via Veccelli dove, si trovano frutti tossico-nocivi conferiti illegalmente e dell'amianto invece portato regolarmente. Con il fallimento della Sev quindi non c'è nessuno che pagherà la manutenzione e la bonifica del sito ormai chiuso da anni.

Come ci testimoniano questi episodi effetto diretto del comportamento ecocriminale volto ad accumulare denaro sporco, perché frutto di reati ambientali, è l’evasione. L’emissione di fatture per operazioni inesistenti non è il solo reato fiscale a poter essere eventualmente coinvolto in una indagine in materia ambientale.

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Possono rientrarvi anche la dichiarazione infedele, l’omessa dichiarazione, l’occultamento e distruzione di documenti contabili, la sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, tutti reati disciplinati dal decreto legislativo 74 del 2000 e che per lo più richiedono il superamento di determinate soglie di evasione: un accertamento della contabilità fiscale di una azienda operante nel settore dei rifiuti po trebbe facilitare le forze dell’ordine nell’acquisizione di elementi utili a provare anche eventuali reati ambientali come il delitto di cui all’art. 260, Testo Unico Ambientale, il quale richiede di per sé che la gestione abusiva dei rifiuti sia finalizzata al conseguimento di un «ingiusto profitto». Un approccio fiscale in un procedimento per traffico illecito di rifiuti potrebbe portare all’ulteriore contestazione di reati finanziari, sferrando così un duro colpo per i trafficanti di veleni che troppo spesso riescono ad accumulare grandi capitali in spregio della disciplina in materia ambientale. Un nuovo modo di svolgere le indagini quando si ha a che fare con la "monnezza" e che fa assumere alla Guardia di Finanza un ruolo fondamentale nelle inchieste sull’art. 260, Decreto Legislativo 152 del 2006, ma anche in quelle riguardanti l’abusivismo edilizio e le attività di escavazioni, entrambi settori che si considerano appartenenti al mondo delle ecomafie, al pari dei traffici illeciti di rifiuti.

13. RISCHI DI CRIMINALITÀ PER LA MATERIA SECONDA

La nuova frontiera dell'illecito nel campo dei rifiuti è il riciclaggio, o meglio il finto riciclaggio. Ovvero l'offrire ai sistemi produttivi materie prime seconde che figurano tali per essere passate per i trattamenti previsti, ma in realtà sono rifiuti. Molto spesso si trasportano verso impianti qualche volta di facciata materiali molto complessi, laddove si fanno piccole trasformazioni - racconta Massimo Gattolin, caposettore della Provincia di Venezia -, magari figurano come impianti di recupero e fanno l’1 per cento di molte tonnellate e tutto il resto usufruisce della legislazione agevolata per quanto riguarda i sovvalli derivanti dalle attività di recupero, ma in realtà è tutto smaltimento”19.

Fatto sta che oggi dagli impianti di trattamento escono rilevanti quantità di materia (codice 191212 scarto di selezione) che viene inviata all'estero. E' essenziale invece, dal punto di vista economico ed, insieme, ecologico che questo materiale venga gestito all'interno di rinnovate e trasparenti filiere di produzione attraverso l'attivazione di apposite sinergie.

Si tratta del frutto avvelenato dell'aumento registrato in questi anni dell'attività di raccolta differenziata che ha creato in poco tempo un enorme mercato per i rifiuti da destinare ad attività di recupero, più o meno legale.

Questo mercato ha un'estensione globale frutto anche della crescita produttiva di paesi emergenti alla costante ricerca di materie prime, come i cosiddetti Bric (in Italia ogni anno 26 Mt di rifiuti sono avviate all'esportazione clandestina20).

Citiamo, a questo proposito, l’operazione «Serenissima», dal nome delle navi commerciali della Serenissima Repubblica di Venezia: l'inchiesta è partita il 15 dicembre 2005, in seguito ad un’ispezione di 5 containers diretti ad Hong Kong contenenti rifiuti provenienti da due dei quattro stabilimenti della ditta Levio Loris srl, leader nelle operazioni di stoccaggio e recupero dei rifiuti non pericolosi in regime semplificato ed ordinario,

19 Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati, audizione di Massimo Gattolin, capo settore ambiente Provincia di Venezia, resoconto stenografico, missione a Venezia, 28 novembre 2014

20 S. Tunesi, Conservare il valore. L'industria del recupero e il futuro dell'umanità, Luiss University Press, 2014

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operante nel territorio veneto (Grantorto, Selvezzano Dentro, Badia Polesine, Vigonza) 21. La Levio Loris srl, regolarmente iscritta all’albo nazionale dei gestori ambientali (art. 212, D.Lgs 152/2006) è autorizzata a svolgere solo azioni di raccolta, selezione dei rifiuti (per eliminare eventuali frazioni estranee) e organizzazione di balle per tipologia. Quest’ultime possono essere destinate a smaltimento presso altri impianti o al recupero presso ulteriori società che hanno le tecnologie e le autorizzazioni per eseguire le fasi successive ed ottenere così le materie prime secondarie, pronte all’impiego nel processo produttivo. Le fasi successive di lavoro prevedono la triturazione, cioè la frantumazione grossolana del materiale, il lavaggio del prodotto (per l’eliminazione quelle parti che potrebbero essere dannose come terra e residui metallici) ed infine la macinazione e l’essiccazione del prodotto.

I documenti accompagnanti la spedizione denunciano la non pericolosità dei rifiuti contenuti nei containers e, nello specifico, imballaggi in plastica, rifiuti di plastica e gomma derivanti dal trattamento di altri rifiuti. In realtà, dalle analisi effettuate, circa il 70 % del carico era composto da una miscelazione di rifiuti contenenti sostanze pericolose per l’ambiente. Rifiuti, questi, classificati come pericolosi dalla normativa vigente e non trattabili dalla ditta in questione.

Un traffico analogo è emerso grazie ad una recente inchiesta che ha svelato un traffico di rifiuti plastici, granulato e rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (Raee). Questo materiale viaggiava verso la Cina ed era trattato come materia prima, mentre si è verificato, attraverso un’analisi più ampia eseguita nei container fermati a Venezia, che si trattava di rifiuto così come definito, quindi non era stato inertizzato. Attualmente, la distrettuale antimafia ha delegato il Corpo forestale dello Stato di Vicenza per un aggiornamento sull’attività e per avviare un nuovo fascicolo.

14. LA CRISI E I RIFIUTI

La crisi ha una ricaduta immediata rispetto alla gestione dei rifiuti: accade di frequente che una ditta al momento della chiusura abbandoni, magari stoccata sul piazzale, la quantità di rifiuti fino ad allora prodotti e non smaltiti per mancanza di risorse. Si tratta di un fenomeno registrato in particolare nel veneziano, nell'area di Marghera, e nel trevigiano. Per altro è in crescita l'abbandono di rifiuti anche pericolosi, una pratica legata proprio alla ricerca di limare in qualsiasi modo le spese22 Le «vecchie» pratiche dello smaltimento selvaggio di rifiuti di vario genere non sono così passate di moda, anzi.

Nel febbraio di quest'anno la polizia municipale ha scoperto, a Verona, un'area di 12mila metri quadri che un veronese affittava per smaltire illegalmente rifiuti. Gli agenti avevano visto il responsabile dell’area asportare lo strato superficiale del terreno, compresa della ghiaia, e interrare ramaglie, terriccio, rifiuti vari e teli in nylon, del tipo utilizzato in agricoltura, che coprivano interamente l’area. Sono state identificate, durante i controlli, altre quattro persone e sono stati sequestrati i due mezzi escavatori. Un altro episodio è accaduto a San Donà, nel marzo 2014, dove è stata individuata e sequestrata un'area privata di 3.400 metri quadri adibita a discarica colma di 5600 tonnellate di materiali inerti e ferrosi.

21 M. Ariniello, Giochi Pericolosi, Ricerche dell'Osservatorio Ambiente e legalità, 2014, in www.osservatorioambientelegalitaveneto.it

22 D. Fortini, Rifiuti urbani e rifiuti speciali: i fattori strutturali delle ecocamorre,in Meridiana 73-74/201219

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15. LA PESANTE EREDITÀ

Alle volte riemerge la gestione «disinvolta» dei rifiuti operata negli scorsi decenni: nell'area a nord di Vicenza, come ha denunciato il circolo locale di Legambiente, sono stati rilevati 43 vecchie discariche di cui 13 i casi più delicati oggetto di convenzioni dei comuni per essere monitorati costantemente. «Un problema particolare – segnala Legambiente - si pone ora a Caldogno dove è prevista una cassa di espansione in caso di alluvione, dove negli anni 1970-1980 sono stati seppelliti grandi quantità di rifiuti, poi coperti con terra. La bonifica di questo invaso con la rimozione dei rifiuti, secondo il presidente della Provincia, costerebbe tre milioni di euro, troppi soldi, quindi si procederà alla copertura con un isolamento dal costo preventivato di 450mila euro e l’impegno di un monitoraggio assiduo».

Una discarica abusiva con rifiuti tossico-nocivi in riva al fiume Brenta. E’ quanto denunciato con un esposto da alcuni consiglieri del Movimento 5 stelle a Cartigliano, in provincia di Vicenza, con il sostegno di un gruppo di parlamentari. L’atto è stato presentato all’Agenzia regionale per l’ambiente per chiedere spiegazioni su due aree che, dicono, sarebbero “fortemente inquinate”: “Una prima area appare come una vera e propria discarica abusiva di rifiuti tossico-nocivi di origine industriale, riferibili all’industria della concia. La seconda area, limitrofa alla discarica abusiva, presenta invece evidenti tracce di sedimi e residui di fanghi, contenenti metalli pericolosi”.

La Regione Veneto, il Magistrato alle acque e la Guardia di finanza avevano promosso in passato una campagna di monitoraggio satellitare delle discariche prima nella provincia di Venezia e poi in tutta la campagna veneta. Purtroppo l’operazione, secondo la Procura, è risultata «inquinata» dalla cricca del Mose in quanto pilotata grazie al Consorzio Venezia Nuova verso delle ditte risalenti al dirigente Fabio Fior, poi arrestato. Il monitoraggio, sospeso nel 2010, aveva comunque evidenziato una situazione inquietante: dei 600 siti ritenuti a rischio furono 165 quelli indagati, 37 le indagini concluse e in 19 di questi siti è stata riscontrata la presenza di rifiuti potenzialmente inquinanti.

Sarebbe importante che quella operazione – depurata dall'influenza delle cricche – potesse venire ripresa e che venissero messi in sicurezza i siti individuati.

16. INTRECCI TRA FILIERE PRODUTTIVE

Lo smaltimento illegale dei rifiuti è una pratica che investe diversi comparti e filiere produttive. Le opere edili o infrastrutturali, da questo punto di vista sono l'esempio più evidente: l'accertata presenza di rifiuti tossici stipati sotto il manto della Valdastico sud rappresenta l'ultimo episodio di una lunga catena23. Nel caso della 23 Segnaliamo l'inchiesta in corso sulla Mestrinaro che avrebbe utilizzato materiali inquinati per i lavori sulla

terza corsia A4 e per la realizzazione di un parcheggio all’aeroporto Marco Polo. Nella ditta di Zero Branco (Tv) i rifiuti inquinati che le aziende edili - in particolare l'«Intesa 3» di Maurizio Girolami l’«Adriatica Strade costruzioni generali» di Loris Guidolin - gli conferivano per renderli inerti, li miscelavano tali e quali a calce e cemento realizzando il “rilcem” – misto cementato per sottofondi stradali – utilizzato per grandi cantier i. Il rilcem risulta contenesse anche sostanze inquinanti come vanadio, cobalto, nichel, cromo. Dall'inchiesta sulla Mestrinaro ha preso il via una secondo inchiesta riguardante rifiuti pericolosi che

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Valdastico sono stati iscritti nel registro degli indagati di 27 persone - imprenditori, titolari di laboratori di analisi e il presidente dell'A4 holding - per traffico di rifiuti e falso ideologico. La procura è impegnata nell'accertamento di quanto denunciato da Medicina democratica e dall'associazione esposti amianto circa la presenza di rifiuti di acciaieria altamente tossici. La denuncia delle associazioni è partita dopo aver verificato la morte di un cane che si era abbeverato ad una pozza vicina al cantiere autostradale. L'inchiesta ha preso il via in seguito alle denunce di Medicina democratica, dell'Associazione italiana esposti amianto e di Marco Noserini, un appassionato di archeologia. Stando all'esposto, nel fondo stradale della Valdastico Sud i camion delle imprese che lavorano al cantiere avrebbero riversato scarti di fonderia contenenti «metalli pesanti e sostanze chimiche [nitrati, fluoruri, solfati, cloruri, bario, amianto, piombo, nichel] in notevole concentrazione».

Particolarmente inquietante a questo proposito la dichiarazione di Daniele Zovi, comandante del corpo forestale del Veneto: “una forte preoccupazione a quello che ci aspetta con la Pedemontana. La Pedemontana, infatti, prevede una movimentazione di milioni di metri cubi che passano, lambiscono, attraversano un territorio molto industrializzato, quindi per sua stessa natura produttore di rifiuti. […] non ritengo che i sistemi attuali di controllo siano sufficienti. Credo che sia necessario.. […] debba essere istituito un organo controllore a parte speciale – non so come posso esprimermi – che si occupi specificatamente di questo. Vedo gli organi ordinari poco efficaci”24

Il sistema dello smaltimento di rifiuti nei sottofondi stradali - una pratica già svelata in Veneto in seguito ad altre inchieste concluse con la conferma dell'ipotesi accusatoria - permette un doppio guadagno: la ditta che deve fare il lavoro di riempimento con materiale di scavo risparmia sul materiale infilandoci dentro rifiuti e, allo stesso tempo, guadagna dallo smaltimento. Una sistema discretamente diffuso sentite le dichiarazioni di Daniele Zovi, da noi raccolte: «Abbiamo molte segnalazioni di ditte escluse da gare d'appalto per il movimento terra e il riempimento di terrapieni che ritengono anomale le offerte vincitrici, queste ditte sostengono infatti che con quei costi è impossibile eseguire un lavoro pulito». Temiamo che pratiche analoghe possano riguardare anche altri comparti, come le opere fluviali, che comportano movimentazione terra o quello delle cave.

Segnaliamo a proposito, l'interrogazione del consigliere regionale Stefano Valdegamberi di Futuro Popolare, in cui leggiamo “la Regione metta sotto controllo le cave perché c'è il forte rischio che diventino una roccaforte delle attività criminali organizzate, in particolare della 'ndrangheta, e che servano a nascondere, od a far finire nell'ambiente, materiali inquinanti e nocivi” che ha così argomentato il suo allarme: “un tempo dalle cave usciva solo la ghiaia, oggi nelle cave entra di tutto ed esce di tutto, come ad esempio minerali pesanti, scorie da altiforni, amianto e materiali tossici e radioattivi Sono sempre di più i ritrovamenti di rifiuti tossici sotto le autostrade e sono sempre di più le cave che chiedono ampliamenti e lavorazioni industriali con frantoi all’interno delle stesse, anche se siamo in piena crisi edilizia, così come continuano a rincorrersi notizie inquietanti, come i ritrovamenti in Lombardia di cave riempite dalla 'ndrangheta con sostanze tossiche, le inchieste relative alla presenza di rifiuti di fonderie sotto la Valdastico ed i dossier sui materiali pericolosi, i pfoa, che si troverebbero nell'ultimo tratto della Pedemontana Veneta. Tenuto conto anche, che non mancano segnalazioni su ripristini non regolari effettuati all'interno di alcune cave, che c'è un aumento ingiustificato di richieste di apertura od ampliamento di strutture con frantoi che servono per macinare materiale che non sempre è di provenienza regolare e che spesso tali strutture sono a contatto con falde acquifere, con il

sarebbero stati nascosti in un terreno di Volpago del Montello [Tv] da parte della di Intesa 3 di Maurizio Girolami. Rifiuti che viaggiavano con bolle apparentemente regolari, che non rappresentavano però il reale contenuto dei mezzi che si muovevano e scaricavano alla pendici del Montello. Si è trattato di 5.900 tonnellate di rifiuti provenienti dai lavori di scavo nel cantiere di via dei Tigli a Mestre e contenenti arsenico, piombo, rame, mercurio, stagno, zinco, floruri e idrocarburi pesanti superiori ai limiti di legge.

24 Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati, Daniele Zovi, comandante regionale del Corpo forestale dello Stato, resoconto stenografico, missione a Verona, 28 ottobre 2014

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conseguente forte rischio di contaminazione, è necessario attuare forme di controllo forti ed efficaci”.

Ma lo smaltimento illecito dei rifiuti riguarda anche il comparto energetico come segnalerebbe l'episodio avvenuto presso la società agricola Tosetto, una delle centrali a biogas più grandi del Veneto25. L’Arpav ha riscontrato, nel settembre del 2012 e nel febbraio 2013, nelle analisi effettuate nel digestato - residuo del processo di produzione del biogas che conserva la parte organica e minerale - prodotto dall'azienda di Limena, la presenza di Pcb, composti chimici denominati policlorobifenili. Si tratta di liquidi oleosi dall’odore intenso, classificati tra le sostanze maggiormente cancerogene. Ma è solo il 28 marzo 2013 - in seguito alla comunicazione dell’Arpav emessa oltre cinque mesi dopo l’analisi del campionamento -, che il sindaco di Limena, con ordinanza n. 2 del 2013, ha obbligato la ditta in questione alla messa in sicurezza dell’impianto. Per spiegare la presenza del Pcb nel digestato la ditta Tosetto ha ipotizzato un tentativo di sabotaggio, ma allo stato attuale non si è a conoscenza dell’inoltro o meno di una denuncia da parte dell’azienda presso l’autorità giudiziaria. La sostanza tossica non era contenuta nel letame e nell’insilato di mais utilizzati per l’alimentazione dell’impianto, ma solo nel digestato solido e liquido all’interno delle vasche di stoccaggio. E' bene precisare che, ancora oggi, l’origine della contaminazione non è stata definita.

Di certo è mancata nella nostra regione in questi anni qualsiasi programmazione nella produzione di energia e pure l'attuale piano energetico – in via di approvazione – non individua limitazioni nella qualità e nella modalità di produzione dell'energia da biogas (a parte limitazioni riguardanti la localizzazione territoriale degli impianti).

Il pericolo è che gli impianti di biogas divengano strutture per lo smaltimento illegale di materiali contaminati. Una pratica che incrementerebbe i profitti privati già di per sé assicurati dai finanziamenti pubblici. Non mancano, infatti, in Italia, casi in cui agricoltori fanno fatica a gestire correttamente impianti di grandi dimensioni e sono disposti ad accettare anche biomasse contaminate senza domandarsi la natura e l’origine della materia pur di mantenere in produzione gli impianti. Per altro la direzione nazionale antimafia ha in questi anni lanciato l'allarme sugli intrecci tra traffico di rifiuti e produzione di biomasse: “il collegamento che in ossequio alle esigenze della green economy ormai si è instaurato tra smaltimento dei rifiuti e riciclo degli stessi per trasformarli in fonti alternative di energia – leggiamo nel capitolo “ecomafie” della relazione annuale della Dna -, rischia di trasformarsi in una vera e propria centrale di distorsione criminale della “economia verde”, con la conseguente (con)fusione dei traffici illeciti dei rifiuti con le attività delittuose concernenti le dette fonti alternative”26.

Tutte queste problematiche inducono a sollevare la questione dei controlli. Controlli che verrebbero in realtà demandati alla stessa azienda, la quale ha l’obbligo di controllare l’omogeneità e la tracciabilità delle materie prime in entrata e l’attività di stoccaggio della materie. Risulta molto problematico il controllo esterno sul funzionamento dell'impianto e, soprattutto, sulla qualità delle materie prime utilizzate.

Anche l'agricoltura è interessata dal tema del traffico dei rifiuti . Una recente indagine ha permesso di rilevare gravi illeciti nelle operazioni di recupero di rifiuti speciali da cuoio conciato. Questi materiali sono stati fatti passare per rifiuti dalle operazioni di confezionamento e finitura, per poi essere utilizzati come concimi da parte della Unimer, azienda che si trova a Vidor, Treviso. L’attività dei carabinieri del Noe ha evidenziato che quest’impresa si occupava essenzialmente di ritiro e trasporto di tali scarti conciari, poi trasformati in fertilizzanti, quindi un’attività illecita che ha comportato veramente un rilievo molto importante nella situazione di questi trattamenti.

Altra vicenda che riguarderebbe – l'inchiesta è in corso – il mondo dell'agricoltura è quella Co.im.po. Di Adria. 25 Sulla vicenda si veda M. Ariniello, Veleni e biomasse: una caso che deve far riflettere, in Schegge di Dark

economy, Quaderni dell'Osservatorio ambiente e legalità, 3, 2013 in www.osservatorioambientelegalitavenezia.it

26 Direzione nazionale antimafia, Relazione annuale sulle attività svolte dal procuratore antimafia e dalla direzione nazionale antimafia nonché sulle dinamiche e strategie della criminalità organizzata di tipo mafioso nel periodo 1 luglio 2011 – 30 giugno 2012, Dicembre 2012

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In quella azienda sono morti quattro operai durante un’operazione di sversamento di acido solforico che ha provocato l’esalazione di una nube tossica: tutto questo lo stabilimento della Coinpo a Cà Emo frazione di Adria (Rovigo) il 22 settembre del 2014. I lavoratori che si trovavano nelle vicinanze sono morti sul colpo investiti da una nube venefica. Le indagini condotte dalla procura polesana sono impegnate ad appurare cosa sia successo durante le operazioni di sversamento , ma anche che tipo di materiale si trovasse nella vasca, quale materiale uscisse dall'impianto della Co.in.po. - azienda sorta negli anni ’80, autorizzata a trattare 100mila tonnellate all’anno di rifiuti speciali – e poi sparso sui terreni agricoli quale «correttivo calcico» a cura della Agri.Bio.Fert., ditta gemella della Co.in.po.. Diversi ettari di terreno sono stati acquistati dalla ditta nelle vicinanze, altri venivano affittati in altri paesi polesani. Accadeva anche che il «correttivo calcico» venisse offerto gratuitamente ai contadini e riversato nei campi a cura della stessa ditta. Da una decina di giorni la ditta ha ripreso la sua attività.

Un’analisi eseguita dal Corpo forestale dello stato nel 2011, su richiesta dell’amministrazione di un paese delle vicinanze dove la ditta sversava il suo prodotto, San Martino di Venezze, registrava una quantità superiore al consentito di «correttivo calcico». Il «fertilizzante» proveniente dalla Co.in.po. venivano portati e «subito interrato da mezzi agricoli e carro – botti muniti di interratore» scrivono gli agenti del corpo forestale. Oltre 25mila quintali di sostanze nel giro di una settimana sono state sparse (ed interrate ad almeno 40 centimetri di profondità) nel terreno oggetto dell’analisi del corpo forestale, che nella nota sottolineano: «un così ingente impiego non risulta giustificato da alcun studio approfondito sulle caratteristiche del terreno che determinano un pH così elevato e di conseguenza sull’idoneità del correttivo calcico che viene impiegato sui terreni fortemente alcalini; non risulta poi essere stato fatto un calcolo del fabbisogno del gesso in base ai parametri del terreno, né è stato predisposto un piano di utilizzazione agronomica o un monitoraggio sull’andamento dei risultati ottenuti come invece la buona pratica agricola richiederebbe». Gli agenti forestali chiudono allarmati: «per quanto appreso in sede di controllo, risulta che altre superfici in disponibilità della Co.in.po. siano state in passato interessate dall’applicazione del correttivo calcico prodotto dall’Agribiofert e dunque non si esclude che la problematica esposta riguardi [..] anche altre superfici agricole». Ora occorre che le indagini amplino il loro raggio d’azione ai campi del Polesine dove la Co.im.po. ha sversato in questi anni il suo concime, ai prodotti che sono stati coltivati e all’uso che ne è stato fatto e all’acqua che ha irrigato i campi.

17. L’ENTE LOCALE E IL CICLO DEGLI RSU27

La legge statale ha affidato alle regioni il compito di regolare i servizi pubblici locali a rilevanza economica, come la gestione dei rifiuti urbani, definendo il perimetro territoriale degli ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei . Tali bacini dovrebbero avere una dimensione non inferiore al territorio provinciale a meno che la Regione non individui bacini territoriali di dimensione diversa da quella provinciale. Le funzioni di organizzazione dei servizi pubblici locali, inclusi i rifiuti, sono affidati agli enti di governo degli ambiti o bacini.

La Regione Veneto con la legge regionale n. 52 del 2012 ha individuato come ambito territoriale ottimale il territorio regionale, prevedendo sia il riconoscimento di bacini territoriali a livello provinciale, ma anche, su richiesta degli enti locali interessati, il riconoscimento di bacini territoriali di diversa dimensione da quella provinciale, come a dire “decidere di non decidere”. Gli enti locali che rientrano nei bacini esercitano in forma associata le funzioni di organizzazione e controllo del servizio. In particolare è prevista la costituzione di una assemblea di bacino che a sua volta nomina un comitato di bacino.

27 L'analisi contenuta in questo paragrafo è frutto della lettura della relazione introduttiva tenuta da Salvatore Livorno al convegno “L’affare dei rifiuti in Bassa Padovana” del 21 novembre 2014 promosso dalla Cgil – Democrazia e Lavoro

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Gli enti locali dovrebbero controllare totalmente l’attività della società partecipata attraverso il cosiddetto “controllo analogo”, ossia in forma analoga al controllo che l’ente esercita sui propri uffici. Deve essere esercitato da funzionari preposti dall’ente affidante. Il controllo non è esercitabile se la partecipata fa svolgere proprie attività ad altre società controllate. In realtà molti enti posseggono piccole quote nelle società a cui affidano i servizi pubblici.

Questi enti dovrebbero esercitare il controllo partecipando agli organi direttivi della Società, cosa che in realtà non accade mai e ciò rende il controllo dell’ente del tutto inefficace. Va anzi detto che invece di esercitare il controllo analogo spesso gli enti locali autorizzano un subappalto incontrollato che causa gravi guasti, ad esempio attraverso un ricorso alle cooperative sociali di tipo B, mascherando una operazione di taglio del costo del lavoro con una falsa forma di solidarietà sociale. Come detto il controllo degli enti pubblici, che è essenziale data la natura del servizio, è oggi del tutto inefficace e va radicalmente ripensato. E’ fondamentale puntare al coinvolgimento dei cittadini e dei lavoratori. E’ una questione di trasparenza, democrazia e partecipazione.

Un esempio clamoroso in questo senso è quello dell’azienda Medio Chiampo - che gestisce il servizio idrico integrato dei comuni di Montebello Vicentino, Zermeghedo e Gambellara (Vi) - e vari imprenditori che sono stati rinviati a giudizio per il traffico di rifiuti e falso in registri e certificati. Il giro d’affari complessivo calcolato è di circa un milione e mezzo di euro, senza contare i danni all’ ambiente. L’attività investigativa che ha permesso alla Dda di Venezia di chiudere le indagini condotte dal Nucleo Operativo Ecologico dei Carabinieri di Treviso era iniziata nel primo semestre del 2010 quando l’Arpav di Vicenza, aveva evidenziato che l’impianto gestito dalla Medio Chiampo Spa non funzionava correttamente. Gli accertamenti del Reparto Specializzato dell’Arma dei Carabinieri, hanno permesso di ricostruire che per oltre un anno - dal gennaio 2009 allo stesso mese del 2010 - quattro impianti di trattamento chimico-fisico di rifiuti speciali pericolosi allo stato liquido (Marcon Srl, Nuova Amit Srl, Granifix Srl e Vallortigara Servizi Ambientali Spa) codificavano opportunamente, con un errato Codice Europeo Rifiuti, - gli scarti liquidi dai rispettivi impianti, facendoli passare per «acque reflue» per farle accettare nell’impianto gestito dalla Medio Chiampo, aggirando, in questo modo, le norme di legge e i limiti imposti dalle autorizzazioni.

L’impianto di destinazione ha così ricevuto oltre 25mila tonnellate di rifiuti speciali pericolosi per un giro d’affari di oltre 700mila euro. Oltre ai produttori/gestori di rifiuti ed alla Medio Chiampo, sono state accertate condotte illecite da parte degli intermediari dei rifiuti (le società Pragma Chimica srl, Almeco srl e Storato snc) nonché ai cosiddetti controllori terzi, ovvero coloro che avrebbero avallato la falsa attribuzione del codice Cer (Maurizio Masiero, Giancarlo Farina, Andrea Gattolin e Flavio Duse). Tra gli indagati anche l’ex presidente del cda di Chiampo, Piergiorgio Rigon, e il direttore tecnico dello stesso stabilimento, Stefano Paccanaro, che sono stati condannati, lo scorso giugno, ad un anno e mezzo di reclusione nell’ambito dell’inchiesta della procura di Vicenza, nella quale erano indagate 65 persone, per favori fatti a concerie alle quali era stato concesso di smaltire i fanghi, in deroga ai limiti fissati dalla legge, allacciandosi alla rete fognaria. Il depuratore di Chiampo era già stato al centro di varie vicende per irregolarità.

Un altro esempio di una condotta da parte di una società pubblica di gestione degli Rsu è quello che ha visto coinvolta la Treviso servizi. Due anni fa malgrado la denuncia dei vigili urbani di Treviso, rilanciata dall'Osservatorio ambiente e legalità, la Treviso Servizi, società controllata al 100% dal Comune, non ha ritenuto di procedere alla denuncia alle autorità di Ecolando, l'azienda padovana che smaltiva i rifiuti ingombranti. La polizia locale aveva ipotizzato una vera e propria truffa con fatture gonfiate per la raccolta degli ingombranti a cui veniva imputato un peso maggiore di quello reale. I vigili hanno autonomamente depositato, nel 2012, un esposto in procura. E' stato poi, proprio grazie a quella denuncia, che si è sviluppata l'indagine nei confronti di Ecolando e che ha recentemente portato all'arresto dei due amministratori.

Tra gli ultimi episodi segnaliamo l'inchiesta in cui risultano indagati per abuso d'ufficio i vertici del consorzio

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polesano di rifiuti solidi urbani in carica due anni fa. L'inchiesta riguarda una decisione del consorzio di affidare la gestione della discarica di Villadose (Ro) alla Daneco Impianti senza aver indetto la gara d'appalto. E sempre per quanto riguarda il nodo della gestione degli Rsu è da rilevare l'indagine promossa dall' ’Antitrust su un bando di gara per lo smaltimento dei rifiuti da raccolta differenziata nei comuni della provincia di Rovigo. L’Autorità ha infatti deciso di aprire un’istruttoria, scaturita dalla segnalazione di un privato cittadino, su un presunto cartello tra le imprese Fertitalia S.r.l., Nuova Amit S.r.l., Ni.Mar. S.r.l. e S.E.S.A. – Società Estense Servizi Ambientali S.p.A., nell’ambito della partecipazione a una gara svoltasi nel 2013 per la gestione del servizio di smaltimento delle frazioni “umido organico” e “verde” (la FORSU, Frazione Organica del Rifiuto Solido Urbano) derivanti dalla raccolta differenziata dei rifiuti di tutti i comuni della Provincia di Rovigo da parte della società Ecoambiente S.r.l. L’appalto era diviso in quattro lotti geografici ognuno dei quali aveva un “baricentro operativo”, ovvero un luogo di riferimento per il calcolo delle distanze rispetto agli impianti dei soggetti partecipanti alla gara. Alla gara hanno partecipato solo le quattro imprese cui fa riferimento la segnalazione: Fertitalia, Nuova Amit, Nimar e Sesa. Secondo il segnalante, spiega l’Antitrust, “ si tratta delle uniche quattro imprese del settore in grado di rispettare per almeno un lotto il primo dei requisiti qualitativi previsti nel bando -la disponibilità di un impianto di compostaggio entro un raggio di 60 km dal baricentro operativo del lotto. I tre soggetti partecipanti, tuttavia, non si sono mai presentati in concorrenza tra loro, in quanto per ciascun lotto non è stata presentata più di una offerta”. La ricostruzione dello svolgimento della gara, spiega l’Antitrust, evidenzia alcune “anomalie che appaiono incompatibili” con uno svolgimento concorrenziale della gara e che fanno pensare a un’intesa volta a dividersi il mercato e a fissare i prezzi. Un indizio è rappresentato dal fatto che le imprese, pur avendo i requisiti per partecipare a più lotti, hanno deciso di presentare solo un’offerta (tranne la società Nuova Amit che ne ha presentate due) selezionando lotti diversi dalle altre; i concorrenti inoltre hanno presentato offerte di pochissimo inferiori alla base d’asta. Quello che viene ipotizzato, spiega l’Antitrust, è “l’esistenza di un coordinamento tra le società Fertitalia, Nuova Amit, Nimar e Sesa, volto a limitare il confronto concorrenziale tra le stesse nella partecipazione alla procedura svoltasi nel 2013 per l’affidamento del servizio di smaltimento delle frazioni “umido organico” e “verde” derivanti dalla raccolta differenziata dei rifiuti di tutti i comuni della Provincia di Rovigo, configurando un’intesa restrittiva della concorrenza”.

18. LE POLITICHE DELLA LEGALITÀ

In Veneto è mancata una programmazione che misurasse e selezionasse gli interventi dalla realtà economica, demografica e territoriale nei diversi aspetti. Occorre invece predisporre strumenti sensati di programmazione [cave, energia, paesaggio, rifiuti speciali...] che contengano gli indirizzi, gli obiettivi strategici, le indicazioni concrete, gli strumenti disponibili, i riferimenti legislativi e normativi, le opportunità finanziarie, i vincoli, gli obblighi e i diritti per i soggetti economici operatori di settore, per i cittadini. Sarebbe indispensabile che il Consiglio Regionale affronti questa questione in modo chiaro e trasparente, definisca le priorità, la pianificazione territoriale in accordo con le amministrazioni locali regionali e le parti sociali, selezionando i bisogni reali.

Per quanto riguarda le normative regionali segnaliamo come la delibera n. 843 del 15 maggio 2012 la Giunta Regionale azzera il contributo regionale ex art. 38 della legge regionale n. 3 del 2000 da corrispondere in caso di smaltimento di rifiuti urbani in impianti ubicati fuori dagli Ambiti Territoriali Ottimali in cui gli stessi sono stati

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prodotti. Questo provvedimento tradisce lo spirito delle norme comunitarie e di tutta la legislazione nazionale sui rifiuti, che si basa sui principi della prossimità e dell’autosufficienza. Secondo lo spirito della legislazione ogni ambito territoriale dovrebbe puntare a gestire l’intero ciclo dei rifiuti. Con l’eliminazione del disincentivo economico, invece, si favorisce la trasmigrazione dei rifiuti tra una provincia e l’altra. Invece di por mano ad una seria programmazione regionale sulla gestione dei rifiuti che punti sulla riduzione, sul riciclo e sul riutilizzo e renda ciascuna provincia autosufficiente, ci si limita a favorire i traffici dei rifiuti verso gli impianti che garantiranno meno costi. E’ da decenni assodato come allungare la rotta dei rifiuti provochi un aumento del rischio di una loro gestione opaca e renda più difficili i controlli.

La politica può contrastare adeguatamente la criminalità ambientale assumendo qualche decisione, ad esempio «l'assimilazione dei rifiuti speciali non pericolosi a quelli urbani è stata una delle pratiche di contrasto all'illegalità ritenute tra le più efficaci»28. Questa normativa ha infatti consentito di assoggettare al controllo pubblico una maggiore quantità di rifiuti nelle Regioni in cui si è proceduto in tal senso. Riportiamo una comparazione tra territori simili (distretti industriali) che rende bene l'idea: nella provincia di Treviso si producono 370 kg/anno di rifiuti urbani in quella di Prato 710 kg/anno. La differenza sta nella categoria dei rifiuti speciali non pericolosi che in Toscana, a differenza del Veneto, sono assimilabili ai rifiuti urbani e con questo ricadono sotto il controllo pubblico. In Veneto invece la responsabilità della raccolta, gestione e smaltimento dei rifiuti speciali non pericolosi ricade direttamente sui produttori.

19. MONITORAGGIO E CONTROLLO

La delibera della giunta regionale 863 del 2012 ha ristretto l’ambito di azione della figura del cosiddetto «terzo controllore» riguardo alla supervisione dei piani di monitoraggio e controllo degli impianti di trattamento dei rifiuti, La legge regionale 3 del 2000 prevedeva, infatti, che «per tutti gli impianti di smaltimento e di recupero di rifiuti costituiti da matrici organiche selezionate, con potenzialità superiore a 100 tonnellate al giorno […] dovrà essere approvato in sede di rilascio del provvedimento di autorizzazione da parte della provincia un programma di controllo» a cui deve provvedere «personale qualificato ed indipendente». Sull’indipendenza di questa figura, un soggetto privato, ci sarebbe molto da dire, visto che risulta spesso pagato dal titolare dell’impianto che è chiamato a controllare. D’altronde i «terzi controllori» sono tenuti a produrre delle relazioni per gli enti pubblici accessibili ai cittadini: è questo il risultato migliore e più utile di quel provvedimento normativo e proprio questo patrimonio di conoscenza e trasparenza rischia di venire cancellato dal provvedimento regionale. Con questo provvedimento, infatti, si è lasciato all'Arpav l’onere dei controlli. Controlli che avvengono sporadicamente, quando va bene una volta all'anno. In pratica ci si affida all’autocertificazione. Sarebbe stato più ragionevole imporre ai gestori di devolvere all'Arpav - ente pubblico – la parte della tariffa destinata al programma di monitoraggio e controllo.

D'altronde vogliamo citare una buona prassi: è stato infatti assegnato alla Provincia di Venezia il premio nazionale «Ambiente e legalità 2013» con la seguente motivazione: «per l’efficace e intenso impegno – attraverso pratiche amministrative innovative come il Tavolo interforze per i controlli ambientali – nell’implementazione di efficaci sistemi di controllo e nel contrasto alle varie forme d’illecito ambientale».

28 D. Fortini, Rifiuti urbani e rifiuti speciali: i fattori strutturali delle ecocamorre, in Meridiana 73-74/201226

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20. LE FORZE DI CONTRASTO

La recente inchiesta che ha portato all'arresto dei vertici dell'Ecolando29, ditta di trattamento rifiuti nel padovano, ha visto il protagonismo del Corpo forestale dello Stato, attori fondamentali nelle grandi inchieste che hanno attraversato la nostra regione in questi anni. Altre forze di polizia, come la Guardia di Finanza o il Noe dei Carabinieri, cosi come la Polizia stradale nella provincia di Verona, stanno lavorando con diligenza e passione contro i crimini ambientali. Ma tutte queste forze lamentano una cronica mancanza di risorse che ne limita pesantemente l'operatività.

Auspichiamo un raccordo più stretto tra procure ordinarie e procura distrettuale antimafia competente per quanto riguarda il reato di traffico illecito di rifiuti (art. 260 codice dell'ambiente)30.

29 La più recente inchiesta sul traffico illecito di rifiuti coordinata dalla direzione distrettuale antimafia di Venezia e condotta dal corpo forestale dello stato del Veneto ha colpito l'impresa Ecolando di Sant'Angelo di Piove. Sono state effettuate inoltre 14 perquisizioni nelle province di Venezia, Padova, Ferrara, Bologna e Modena. Perquisita la sede della Akron del gruppo Hera, colosso emiliano veneto dei servizi, in quanto ritenuta nella disponibilità delle attività di Ecolando. Il traffico illegale di rifiuti sarebbe consistito nel ritiro dei rifiuti, di diversa natura ma in massima parte non pericolosi, da diversi stabilimenti e dal suo fittizio trattamento. I rifiuti infatti venivano miscelati e trattati sommariamente avviandoli poi in impianti di smaltimento o di recupero contraddistinti da un codice identificativo (Cer) che non corrispondeva alla reale consistenza dei rifiuti assicurandosi così un importante guadagno dato dal mancato trattamento dei rifiuti. Preoccupa il coinvolgimento di una grossa impresa la Akron del gruppo Hera, colosso emiliano veneto dei servizi, di cui è stata perquisita la sede in quanto ritenuta nella disponibilità delle attività di Ecolando. La ditta padovana ha subito diversi procedimenti penali in questi anni. L'ultimo in ordine di tempo aveva portato al sequestro degli impianti. Il successivo rilascio di autorizzazione integrata ambientale (Aia) da parte della Regione Veneto era stato concesso dato il particolare sistema di tracciamento dei rifiuti che di cui la ditta si era dotata. Malgrado queste cautele l'attività criminosa era proseguita.30 Il primo comma recita: 1. Chiunque, al fine di conseguire un ingiusto profitto, con più operazioni e

attraverso l'allestimento di mezzi e attività continuative organizzate, cede, riceve, trasporta, esporta, importa, o comunque gestisce abusivamente ingenti quantitativi di rifiuti è punito con la reclusione da uno a sei anni.

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