Schede Catalogo Santarelli

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123 gi a noi pervenute sono otto, quattro ancora a Villa Torlonia e quattro nella Collezione Zeri. I due gruppi risultano in modo evi- dente eseguiti da mano diversa, più raffinate le sfingi della Colle- zione Zeri, e confermano la divi- sione del lavoro tra due scultori. Il problema resta l’esecuzione delle altre due, una per ciascun gruppo, da chi e quando siano state realizzate. Un elemento di riflessione si pone nell’osserva- re attentamente il progetto di Enrico Gennari per il nuovo in- gresso, presentato all’Ispettora- to Edilizio Comunale nel 1907, che prevedeva, sulla sommità dei due propilei, proprio delle sfingi alate, quattro per ciascun propileo, mentre sui piloni cen- trali figurano due stemmi di fa- miglia (fig. 3). Si tratta, in tutta evidenza, della proposta di riuti- lizzo degli elementi decorativi dell’ingresso ottocentesco da smantellare. Per motivi di sim- metria le sfingi dovevano esse- re otto, quindi si può supporre che altre due, del tutto simili a quelle ottocentesche, siano sta- te appositamente eseguite. Di fatto l’ingresso effettivamente realizzato risulta diverso, in quan- to sulla sommità dei propilei, in luogo delle sfingi, decisamente troppo pesanti e fuori scala, fu- rono posti dei grifoncini, sempre in travertino. Anche i due stem- mi non furono mai collocati sui due piloni centrali, per le stesse motivazioni, e furono sostituiti da due globi in vetro e ghisa. Non sono pervenute a noi noti- zie su quale sia stato l’utilizzo delle sfingi dal 1910, quando l’in- gresso su cui erano poste fu smantellato, e il 1978, quando la Villa fu aperta al pubblico e le quattro ancora nella Villa venne- ro rinvenute nei pressi del Casi- no dei Principi, senza le ali. Su indicazione di Federico Zeri so- no state rinvenute le ali man- canti, in condizione frammenta- ria. Un intervento di restauro ha permesso la ricomposizione e la collocazione delle quattro sfingi ai lati dei due ingressi del Casi- no dei Principi. Diversa è stata la vicenda delle altre quattro che, donate a Federico Zeri presumi- bilmente subito prima del pas- saggio della Villa al Comune di Roma, sono state conservate in condizioni ottimali senza subire menomazioni. Alberta Campitelli Bibliografia: Campitelli 1997; Cam- pitelli 2002, pp. 78-80. I.2 Scultore greco della fine del VII – inizio del VI secolo a.C. Lucerna con protome umana marmo greco, altezza 7,5 cm Roma, Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli, inv. 81 Proveniente dal santuario di De- metra Malophoros a Selinunte, ne è già stata avanzata un’identifica- zione con una lucerna descritta nel Giornale dei trovamenti 1872- 1888, p. 348, n. 378, “rinvenuta nel lato occidentale dei Propilei della Gaggera il 15/03/1888”; già proprietà della famiglia Alliata. La lucerna è spezzata, specie sul lato sinistro e in particolare nelle proiezioni in cui erano i fori per la sospensione, contenenti un’anima di ferro, a giudicare dai residui ri- masti; il viso della figura è scheg- giato nella parte superiore e per tut- ta la lunghezza del settore centra- le. La lucerna semicircolare in mar- mo, con vaschetta dal fondo piat- to incavata, aveva dei buchi ester- ni (ora perduti) per essere appesa; il buco in cui si immergeva lo stop- pino è in corrispondenza della pro- tome umana, probabilmente fem- minile; essa presenta un volto “de- dalico”, con occhiaie accentuate e incise; sulla fronte i capelli si rac- colgono in una sorta di cercine (qualche ricciolo si intravede anco- ra) al di sopra di una benda, men- tre due grosse trecce con linee oriz- zontali e verticali incorniciano il vi- so, celando le orecchie. L’esem- plare, della fine VII – inizio VI seco- lo a.C., rientra in un piccolo gruppo di lucerne in marmo dal santuario di Demetra Malophoros a Selinun- te; un’altra dal mercato antiquario londinese negli anni trenta del se- colo scorso fu detta proveniente dall’isola di Melos; un esemplare ancora pressoché inedito al Museo dell’Olivo e dell’Olio a Torgiano, con vasca interna tripartita, conserva una corona di sei protomi femmi- nili e persino il sistema di sospen- sione in ferro (per le lucerne seli- nuntine Gabrici 1927, cc. 162-164; Beazley 1940; Rolley 1994, p. 150; Di Stefano 2002, p. 42; Sicilia in età arcaica 2009, p. 71, n. VII/6 – G. Sarà; Moreno 2010, p. 129; per la diffusione delle lucerne in marmo cicladico in Sicilia vedi Curcio 1974). La lucerna ora Santarelli, anche per la forma allungata del viso della pro- tome, è la più vicina a quella in mar- mo cicladico ora al Museo Ar- cheologico Regionale di Palermo inv. 3892, nel quale si individua di norma l’“archetipo” all’origine di presunte rielaborazioni da parte di artigiani locali; da quest’ultimo si di- stingue però per un’incisione più accentuata degli occhi, dal disegno arcuato meno armonico. Il santua- rio di Demetra Malophoros (“colei che porta i frutti della terra” o, me- no probabilmente, secondo una delle spiegazioni raccolte da Pau- sania, “dispensatrice del bestia- me”) si situa in contrada Gaggera, il fulcro dell’area sacra extraurbana nella subcolonia fondata dai coloni di Megara Iblea e di Megara Nisea nel 650 e/o nel 628 a.C. circa. Si trattava di uno dei più importanti centri del culto demetriaco in Sici- lia, con certe radici nell’orizzonte re- ligioso di Megara Nisea in Grecia (seppur con tratti panellenici), men- tre più problematico è afferrare l’e- ventuale mediazione di Megara Iblea (Gabrici 1927; Hintz 1998, pp. 144-152; Antonetti, De Vido 2006; Sfameni Gasparro 2008). Le lam- pade per cronologia rinviano al nu- cleo originario del santuario, fre- quentato dalla fine del VII secolo a.C.; non a caso la lampada a Pa- lermo fu trovata tra le offerte infos- sate in un angolo del temenos del cd. primo megaron, attribuito a una “seconda fase di frequentazione”. Tra le ricche offerte arcaiche le lu- cerne in marmo spiccano come ex voto fondamentali per il culto della divinità, tanto più se si guarda alle tante lampade fittili (circa 30.000) scoperte nel suo santuario, le qua- li, ben documentate specie dalla seconda metà del VI secolo a.C., hanno suggerito una pur dubbiosa prassi rituale di cerimonie notturne (per la funzione delle lucerne a Se- linunte – e non solo – vedi Her- manns 2004). Massimiliano Papini Bibliografia: Tusa 1983, p. 133, n. 43; Orlandini 1995, p. 130; Her- manns 2004, pp. 330-331, n. 6. I.3 Scultore romano del II secolo d.C. (busto) Torso femminile e testa di Dioniso marmo bianco statuario (testa), porfido egiziano (torso), altezza 82 cm Roma, Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli, inv. 165 L’opera, di autore anonimo, raffi- gura un torso femminile in porfido rosso antico, cui è stata sovrappo- sta una testa di Dioniso in marmo bianco non pertinente. Sono di re- stauro il collo e le braccia, voluta- mente tagliate al di sopra dei go- miti per conferire alla figura un at- teggiamento equilibrato, pur con- servandone l’aspetto incompleto. L’insieme, ben costruito, poggia su una base di marmi vari a sezio- ne quadrata. La testa è antica, ma è stata rilavorata e sottoposta a nuova politura. Il volto presenta li- neamenti regolari con tratti dolce- mente femminei. La bocca dalle labbra sottili è chiusa. Il marmo perfettamente levigato dà l’idea di una pelle giovanile e senza imper- fezioni. I capelli sono resi con fol- te ciocche ondulate, incise profon- damente, frammiste a foglie di vi- te, che si raccolgono nella parte posteriore all’altezza della nuca la- sciando scoperte le orecchie. L’identificazione della testa con il dio del vino Dioniso è resa possi- bile dalla presenza di pampini e co- rimbi tra i ricci dei capelli. Nel tor- so femminile si può riconoscere, invece, una Nike, ossia una Vitto- ria, come lascia intuire l’abito fer- mato su entrambe le spalle da fi- bulae circolari e caratterizzato da un vivace panneggio con pieghe ondulate come mosse dal vento. Tale movimento fu particolarmen- te apprezzato nell’epoca di pas- saggio fra il tardo Rinascimento e il Barocco, fase nella quale è pre- sumibile sia stata realizzata la com- posizione. Il busto, databile al II se- colo d.C., è stato integrato con ag- giunte in marmo rosso antico e breccia rossa. Questi materiali si prestavano bene a completare l’o- pera in porfido perché simili dal punto di vista cromatico. In parti- 122 I. Statuaria e frammenti maggiori I.1 Clemente Massimi e Girolamo Santorio (attivi nella prima metà del XIX secolo) Sfingi alate, 1828 travertino, altezza 226 cm Villa Lontana, già Villa Torlonia; Collezione Federico Zeri – Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli Una modesta tenuta agricola, si- tuata un miglio circa fuori Porta Pia, fu acquistata nel 1797 da Giovanni Torlonia, protagonista di una vertiginosa e rapida asce- sa economica e sociale che lo aveva inserito nella nobiltà ro- mana. Dal 1802 l’architetto Giu- seppe Valadier fu incaricato di trasformarla in una raffinata re- sidenza adeguata al nuovo sta- tus della famiglia, incarico con- fermato almeno fino al 1828. Va- ladier si occupò del Casino no- bile, del Casino dei Principi e del- le Scuderie, conferendo agli edi- fici un aspetto rigoroso ed ele- gante, secondo le idee proget- tuali evidenziate in alcuni schiz- zi autografi. Tra i documenti che ci sono pervenuti risulta un suo intervento anche negli arredi del parco, in particolare nell’ideazio- ne di fontane da porre alle inter- sezioni dei viali più importanti e una, più complessa, da colloca- re davanti al Casino. Quest’ulti- ma ci è nota da uno schizzo e da un dipinto che raffigura la Villa, ed era decorata da quattro sfin- gi accovacciate sui bordi. Nel corso di successive trasforma- zioni la fontana è stata smantel- lata, e delle sfingi in travertino ne restano due in Villa, poste a decoro di un edificio novecente- sco, il Villino Rosso, mentre al- tre due si trovano oggi nel giar- dino del Palazzo Orsini Savelli a Monte Savello, probabilmente portate in dote quando Maria Luisa Torlonia (figlia di Giovanni e sorella di Alessandro Torlonia) andò sposa a Domenico Orsini. Altre sfingi in travertino, nella va- riante eretta e alata, alcuni anni dopo furono ideate da Valadier a decoro dell’ingresso monumen- tale su via Nomentana. Di que- ste sfingi, quattro, in parte mu- tile nelle ali, sono ancora a Villa Torlonia, sono state rinvenute al- l’epoca dell’esproprio nei pressi del Casino dei Principi e quindi, dopo il restauro, sono state col- locate appaiate ai due ingressi dell’edificio. Altre quattro sono invece state donate dalla fami- glia Torlonia a Federico Zeri e so- no state a lungo poste ai lati del- l’ingresso della Villa di Mentana. L’ideazione delle sfingi è chiara- mente attribuita a Valadier: da un documento conservato nell’Ar- chivio Torlonia risulta che nel gennaio 1828 lo scultore Cle- mente Massimi sottoscriveva il seguente impegno: “Don Ales- sandro Torlonia essendosi com- piaciuto di incaricarmi dell’inta- glio e scultura in travertino di tre sfingi per uso e decorazione del- la Villa fuori Porta Pia a forma dei modelli eseguiti, io sottoscritto mi obbligo di fare i lavori suddetti a stile di perfetta arte pel prezzo di scudi 200 in tutto, che mi verrà pagato dopo che il Sig. Ar- chitetto Valadier avrà approvato i lavori”. Un impegno analogo per “altre tre simili sfingi”, e per lo stesso ammontare, veniva contestualmente sottoscritto da Girolamo Santorio. La destina- zione delle sfingi risulta in tutta evidenza da due documenti gra- fici, un’incisione di Giovan Batti- sta Cipriani del 1835 (fig. 1) e una seconda incisione, non fir- mata ma pubblicata sulla rivista “L’Album” del 1842 (fig. 2). En- trambe mostrano l’ingresso mo- numentale della Villa, situato al- l’inizio del muro di cinta lungo via Nomentana e non lontano da via Spallanzani, non in asse con il Casino nobile ma con una pro- spettiva sul lato ovest. L’ingres- so, non più esistente perché de- molito per consentire, intorno al 1910, l’ampliamento della via Nomentana, conferiva alla Villa una notevole monumentalità, con un’articolazione studiata e complessa. Era composto da due alti pilastri laterali a bugna- to liscio, ognuno coronato da una coppia di sfingi, mentre al cen- tro, arretrato rispetto al muro di cinta, si trovava un corpo più am- pio, anch’esso a bugnato liscio, sormontato da altre due sfingi af- fiancate a uno stemma colossa- le della famiglia. Fra i tre corpi erano poste due belle cancella- te. L’uso delle sfingi come suppor- to a uno stemma nobiliare, co- me in questo caso, non è ricon- ducibile ad alcuna tradizione, va quindi attribuita a un libero ac- costamento ideato da Valadier. La tipologia adottata per le sfin- gi è quella dell’animale seduto sulle zampe posteriori, eretto su quelle anteriori, dotato di ali e con volto femminile, che trova numerosi antecedenti anche nel mondo antico, come nella Sfin- ge dei Nassi a Delfi. La valenza funeraria cui le sfingi erano in ori- gine associate nell’arte egizia e anche nel mondo greco-romano era stata presto affiancata da quella puramente decorativa, se- condo una tradizione ampia- mente diffusa in età imperiale, quando la sfinge alata era fre- quentemente usata quale so- stegno per tavoli o mobili. Pro- prio a questo uso decorativo si richiama Valadier, accostando le sfingi al grande stemma in tra- vertino di stampo quattrocente- sco. Il volto femminile delle sfin- gi, con la capigliatura divisa al centro in due bande e un ampio nodo sulla sommità, ricorda va- gamente la tipologia adottata in antico per l’Apollo tipo Ariadne, benché la posizione del nodo sia diversa. Accertata quindi la paternità e la tipologia delle sfingi, resta da chiarire il loro numero e la loro sorte dopo lo smantellamento dell’ingresso nel 1910. Per quanto riguarda il numero, tutti i documenti concordemen- te riportano il dato di sei sfingi: i pagamenti sono riferiti a tre rea- lizzate da Clemente Massimi e tre da Girolamo Santorio, le due incisioni citate in precedenza mostrano ugualmente sei sfingi, due sul pilone centrale a fianco dello stemma e due su ciascuno dei piloni laterali. Tuttavia le sfin- 1. G.B. Cipriani, Ingresso di Villa Torlonia, incisione, 1835. 2. L’ingresso di Villa Torlonia, incisione pubblicata sulla rivista “L’Album”, 1842. 3. E. Gennari, Progetto per il nuovo ingresso di Villa Torlonia, 1907, ASC, Ispettorato Edilizio. 03_8382_Schedeok def:002 Saggio Bresciani 23-03-2012 9:56 Pagina 122

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gi a noi pervenute sono otto,quattro ancora a Villa Torlonia equattro nella Collezione Zeri. Idue gruppi risultano in modo evi-dente eseguiti da mano diversa,più raffinate le sfingi della Colle-zione Zeri, e confermano la divi-sione del lavoro tra due scultori.Il problema resta l’esecuzionedelle altre due, una per ciascungruppo, da chi e quando sianostate realizzate. Un elemento diriflessione si pone nell’osserva-re attentamente il progetto diEnrico Gennari per il nuovo in-gresso, presentato all’Ispettora-to Edilizio Comunale nel 1907,che prevedeva, sulla sommitàdei due propilei, proprio dellesfingi alate, quattro per ciascunpropileo, mentre sui piloni cen-trali figurano due stemmi di fa-miglia (fig. 3). Si tratta, in tuttaevidenza, della proposta di riuti-lizzo degli elementi decoratividell’ingresso ottocentesco dasmantellare. Per motivi di sim-metria le sfingi dovevano esse-re otto, quindi si può supporreche altre due, del tutto simili aquelle ottocentesche, siano sta-te appositamente eseguite. Difatto l’ingresso effettivamenterealizzato risulta diverso, in quan-to sulla sommità dei propilei, inluogo delle sfingi, decisamentetroppo pesanti e fuori scala, fu-rono posti dei grifoncini, semprein travertino. Anche i due stem-mi non furono mai collocati suidue piloni centrali, per le stessemotivazioni, e furono sostituitida due globi in vetro e ghisa.Non sono pervenute a noi noti-zie su quale sia stato l’utilizzodelle sfingi dal 1910, quando l’in-gresso su cui erano poste fusmantellato, e il 1978, quando laVilla fu aperta al pubblico e lequattro ancora nella Villa venne-ro rinvenute nei pressi del Casi-no dei Principi, senza le ali. Suindicazione di Federico Zeri so-no state rinvenute le ali man-canti, in condizione frammenta-ria. Un intervento di restauro hapermesso la ricomposizione e lacollocazione delle quattro sfingiai lati dei due ingressi del Casi-no dei Principi. Diversa è stata la

vicenda delle altre quattro che,donate a Federico Zeri presumi-bilmente subito prima del pas-saggio della Villa al Comune diRoma, sono state conservate incondizioni ottimali senza subiremenomazioni. Alberta Campitelli

Bibliografia: Campitelli 1997; Cam-pitelli 2002, pp. 78-80.

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Scultore greco della fine del VII – inizio del VI secolo a.C.Lucerna con protome umanamarmo greco, altezza 7,5 cmRoma, Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli, inv. 81

Proveniente dal santuario di De-metra Malophoros a Selinunte, neè già stata avanzata un’identifica-zione con una lucerna descrittanel Giornale dei trovamenti 1872-1888, p. 348, n. 378, “rinvenutanel lato occidentale dei Propileidella Gaggera il 15/03/1888”; giàproprietà della famiglia Alliata.La lucerna è spezzata, specie sullato sinistro e in particolare nelleproiezioni in cui erano i fori per lasospensione, contenenti un’animadi ferro, a giudicare dai residui ri-masti; il viso della figura è scheg-giato nella parte superiore e per tut-ta la lunghezza del settore centra-le. La lucerna semicircolare in mar-mo, con vaschetta dal fondo piat-to incavata, aveva dei buchi ester-ni (ora perduti) per essere appesa;il buco in cui si immergeva lo stop-pino è in corrispondenza della pro-tome umana, probabilmente fem-minile; essa presenta un volto “de-dalico”, con occhiaie accentuate eincise; sulla fronte i capelli si rac-colgono in una sorta di cercine(qualche ricciolo si intravede anco-ra) al di sopra di una benda, men-tre due grosse trecce con linee oriz-zontali e verticali incorniciano il vi-so, celando le orecchie. L’esem-plare, della fine VII – inizio VI seco-lo a.C., rientra in un piccolo gruppodi lucerne in marmo dal santuariodi Demetra Malophoros a Selinun-te; un’altra dal mercato antiquariolondinese negli anni trenta del se-colo scorso fu detta provenientedall’isola di Melos; un esemplareancora pressoché inedito al Museodell’Olivo e dell’Olio a Torgiano, convasca interna tripartita, conservauna corona di sei protomi femmi-nili e persino il sistema di sospen-sione in ferro (per le lucerne seli-nuntine Gabrici 1927, cc. 162-164;Beazley 1940; Rolley 1994, p. 150;Di Stefano 2002, p. 42; Sicilia in etàarcaica 2009, p. 71, n. VII/6 – G.Sarà; Moreno 2010, p. 129; per la

diffusione delle lucerne in marmocicladico in Sicilia vedi Curcio 1974).La lucerna ora Santarelli, anche perla forma allungata del viso della pro-tome, è la più vicina a quella in mar-mo cicladico ora al Museo Ar-cheologico Regionale di Palermoinv. 3892, nel quale si individua dinorma l’“archetipo” all’origine dipresunte rielaborazioni da parte diartigiani locali; da quest’ultimo si di-stingue però per un’incisione piùaccentuata degli occhi, dal disegnoarcuato meno armonico. Il santua-rio di Demetra Malophoros (“coleiche porta i frutti della terra” o, me-no probabilmente, secondo unadelle spiegazioni raccolte da Pau-sania, “dispensatrice del bestia-me”) si situa in contrada Gaggera,il fulcro dell’area sacra extraurbananella subcolonia fondata dai colonidi Megara Iblea e di Megara Niseanel 650 e/o nel 628 a.C. circa. Sitrattava di uno dei più importanticentri del culto demetriaco in Sici-lia, con certe radici nell’orizzonte re-ligioso di Megara Nisea in Grecia(seppur con tratti panellenici), men-tre più problematico è afferrare l’e-ventuale mediazione di MegaraIblea (Gabrici 1927; Hintz 1998, pp.144-152; Antonetti, De Vido 2006;Sfameni Gasparro 2008). Le lam-pade per cronologia rinviano al nu-cleo originario del santuario, fre-quentato dalla fine del VII secoloa.C.; non a caso la lampada a Pa-lermo fu trovata tra le offerte infos-sate in un angolo del temenos delcd. primo megaron, attribuito a una“seconda fase di frequentazione”.Tra le ricche offerte arcaiche le lu-cerne in marmo spiccano come exvoto fondamentali per il culto delladivinità, tanto più se si guarda alletante lampade fittili (circa 30.000)scoperte nel suo santuario, le qua-li, ben documentate specie dallaseconda metà del VI secolo a.C.,hanno suggerito una pur dubbiosaprassi rituale di cerimonie notturne(per la funzione delle lucerne a Se-linunte – e non solo – vedi Her-manns 2004). Massimiliano Papini

Bibliografia: Tusa 1983, p. 133, n.43; Orlandini 1995, p. 130; Her-manns 2004, pp. 330-331, n. 6.

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Scultore romano del II secolod.C. (busto)Torso femminile e testa di Dionisomarmo bianco statuario (testa),porfido egiziano (torso), altezza 82 cmRoma, Fondazione Dino edErnesta Santarelli, inv. 165

L’opera, di autore anonimo, raffi-gura un torso femminile in porfidorosso antico, cui è stata sovrappo-sta una testa di Dioniso in marmobianco non pertinente. Sono di re-stauro il collo e le braccia, voluta-mente tagliate al di sopra dei go-miti per conferire alla figura un at-teggiamento equilibrato, pur con-servandone l’aspetto incompleto.L’insieme, ben costruito, poggiasu una base di marmi vari a sezio-ne quadrata. La testa è antica, maè stata rilavorata e sottoposta anuova politura. Il volto presenta li-neamenti regolari con tratti dolce-mente femminei. La bocca dallelabbra sottili è chiusa. Il marmoperfettamente levigato dà l’idea diuna pelle giovanile e senza imper-fezioni. I capelli sono resi con fol-te ciocche ondulate, incise profon-damente, frammiste a foglie di vi-te, che si raccolgono nella parteposteriore all’altezza della nuca la-sciando scoperte le orecchie. L’identificazione della testa con ildio del vino Dioniso è resa possi-bile dalla presenza di pampini e co-rimbi tra i ricci dei capelli. Nel tor-so femminile si può riconoscere,invece, una Nike, ossia una Vitto-ria, come lascia intuire l’abito fer-mato su entrambe le spalle da fi-bulae circolari e caratterizzato daun vivace panneggio con piegheondulate come mosse dal vento.Tale movimento fu particolarmen-te apprezzato nell’epoca di pas-saggio fra il tardo Rinascimento eil Barocco, fase nella quale è pre-sumibile sia stata realizzata la com-posizione. Il busto, databile al II se-colo d.C., è stato integrato con ag-giunte in marmo rosso antico ebreccia rossa. Questi materiali siprestavano bene a completare l’o-pera in porfido perché simili dalpunto di vista cromatico. In parti-

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Clemente Massimi e Girolamo Santorio(attivi nella prima metà del XIX secolo)Sfingi alate, 1828travertino, altezza 226 cmVilla Lontana, già Villa Torlonia;Collezione Federico Zeri –Fondazione Dino ed ErnestaSantarelli

Una modesta tenuta agricola, si-tuata un miglio circa fuori PortaPia, fu acquistata nel 1797 daGiovanni Torlonia, protagonistadi una vertiginosa e rapida asce-sa economica e sociale che loaveva inserito nella nobiltà ro-mana. Dal 1802 l’architetto Giu-seppe Valadier fu incaricato ditrasformarla in una raffinata re-sidenza adeguata al nuovo sta-tus della famiglia, incarico con-fermato almeno fino al 1828. Va-ladier si occupò del Casino no-bile, del Casino dei Principi e del-le Scuderie, conferendo agli edi-fici un aspetto rigoroso ed ele-gante, secondo le idee proget-tuali evidenziate in alcuni schiz-zi autografi. Tra i documenti checi sono pervenuti risulta un suointervento anche negli arredi delparco, in particolare nell’ideazio-ne di fontane da porre alle inter-sezioni dei viali più importanti euna, più complessa, da colloca-re davanti al Casino. Quest’ulti-ma ci è nota da uno schizzo e daun dipinto che raffigura la Villa,ed era decorata da quattro sfin-gi accovacciate sui bordi. Nelcorso di successive trasforma-zioni la fontana è stata smantel-lata, e delle sfingi in travertinone restano due in Villa, poste adecoro di un edificio novecente-sco, il Villino Rosso, mentre al-tre due si trovano oggi nel giar-dino del Palazzo Orsini Savelli aMonte Savello, probabilmenteportate in dote quando MariaLuisa Torlonia (figlia di Giovannie sorella di Alessandro Torlonia)andò sposa a Domenico Orsini.Altre sfingi in travertino, nella va-riante eretta e alata, alcuni annidopo furono ideate da Valadier adecoro dell’ingresso monumen-

tale su via Nomentana. Di que-ste sfingi, quattro, in parte mu-tile nelle ali, sono ancora a VillaTorlonia, sono state rinvenute al-l’epoca dell’esproprio nei pressidel Casino dei Principi e quindi,dopo il restauro, sono state col-locate appaiate ai due ingressidell’edificio. Altre quattro sonoinvece state donate dalla fami-glia Torlonia a Federico Zeri e so-no state a lungo poste ai lati del-l’ingresso della Villa di Mentana.L’ideazione delle sfingi è chiara-mente attribuita a Valadier: da undocumento conservato nell’Ar-chivio Torlonia risulta che nelgennaio 1828 lo scultore Cle-mente Massimi sottoscriveva ilseguente impegno: “Don Ales-sandro Torlonia essendosi com-piaciuto di incaricarmi dell’inta-glio e scultura in travertino di tresfingi per uso e decorazione del-la Villa fuori Porta Pia a forma deimodelli eseguiti, io sottoscrittomi obbligo di fare i lavori suddettia stile di perfetta arte pel prezzodi scudi 200 in tutto, che miverrà pagato dopo che il Sig. Ar-chitetto Valadier avrà approvatoi lavori”. Un impegno analogoper “altre tre simili sfingi”, e perlo stesso ammontare, venivacontestualmente sottoscritto daGirolamo Santorio. La destina-zione delle sfingi risulta in tuttaevidenza da due documenti gra-fici, un’incisione di Giovan Batti-sta Cipriani del 1835 (fig. 1) euna seconda incisione, non fir-mata ma pubblicata sulla rivista“L’Album” del 1842 (fig. 2). En-trambe mostrano l’ingresso mo-numentale della Villa, situato al-l’inizio del muro di cinta lungo viaNomentana e non lontano da viaSpallanzani, non in asse con ilCasino nobile ma con una pro-spettiva sul lato ovest. L’ingres-so, non più esistente perché de-molito per consentire, intorno al1910, l’ampliamento della viaNomentana, conferiva alla Villauna notevole monumentalità,con un’articolazione studiata ecomplessa. Era composto dadue alti pilastri laterali a bugna-to liscio, ognuno coronato da unacoppia di sfingi, mentre al cen-

tro, arretrato rispetto al muro dicinta, si trovava un corpo più am-pio, anch’esso a bugnato liscio,sormontato da altre due sfingi af-fiancate a uno stemma colossa-le della famiglia. Fra i tre corpierano poste due belle cancella-te. L’uso delle sfingi come suppor-to a uno stemma nobiliare, co-me in questo caso, non è ricon-ducibile ad alcuna tradizione, vaquindi attribuita a un libero ac-costamento ideato da Valadier.La tipologia adottata per le sfin-gi è quella dell’animale sedutosulle zampe posteriori, eretto suquelle anteriori, dotato di ali econ volto femminile, che trovanumerosi antecedenti anche nelmondo antico, come nella Sfin-ge dei Nassi a Delfi. La valenzafuneraria cui le sfingi erano in ori-gine associate nell’arte egizia eanche nel mondo greco-romanoera stata presto affiancata daquella puramente decorativa, se-condo una tradizione ampia-mente diffusa in età imperiale,quando la sfinge alata era fre-quentemente usata quale so-stegno per tavoli o mobili. Pro-prio a questo uso decorativo sirichiama Valadier, accostando lesfingi al grande stemma in tra-vertino di stampo quattrocente-sco. Il volto femminile delle sfin-gi, con la capigliatura divisa alcentro in due bande e un ampionodo sulla sommità, ricorda va-gamente la tipologia adottata inantico per l’Apollo tipo Ariadne,benché la posizione del nodo siadiversa.Accertata quindi la paternità e latipologia delle sfingi, resta dachiarire il loro numero e la lorosorte dopo lo smantellamentodell’ingresso nel 1910. Per quanto riguarda il numero,tutti i documenti concordemen-te riportano il dato di sei sfingi: ipagamenti sono riferiti a tre rea-lizzate da Clemente Massimi etre da Girolamo Santorio, le dueincisioni citate in precedenzamostrano ugualmente sei sfingi,due sul pilone centrale a fiancodello stemma e due su ciascunodei piloni laterali. Tuttavia le sfin-

1. G.B. Cipriani, Ingresso di VillaTorlonia, incisione, 1835.

2. L’ingresso di Villa Torlonia,incisione pubblicata sulla rivista“L’Album”, 1842.

3. E. Gennari, Progetto per ilnuovo ingresso di Villa Torlonia,1907, ASC, Ispettorato Edilizio.

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colare il rosso antico, le cui cave sitrovano sul promontorio di CapoTenaro, attuale Matapan nel Pelo-ponneso, era usato già in epoca ro-mana a imitazione del porfido. Il gusto di combinare marmi anti-chi con aggiunte contemporaneesi diffuse a partire dal XVI secolocon il ravvivarsi dell’interesse pergli aspetti fastosi del mondo anti-co. L’opera, che ha fatto parte del-la collezione dei conti Rosebery aMentmore Towers nel Bucking-hamshire, rappresenta un ben riu-scito esempio di pastiche.Francesca Licordari

Bibliografia: Catalogue 1977 a, p.16, n. 229.

I.4

Scultore romano della seconda metà del II secolo d.C.Testa di satiromarmo bianco statuario, altezza 30 cmRoma, Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli, inv. 17a

Si tratta di una testa fanciullescaleggermente rivolta a sinistra. Il vol-to tondeggiante, dall’espressionevivace, presenta piccoli occhi al-lungati. Il naso corto è spezzato sul-la punta, le labbra sono carnose eatteggiate a sorriso. Vistosi solchiintorno alla bocca fanno risaltare leguance paffute e il mento squa-drato. La fronte è alta e ampia, condue piccole corna sotto l’attacca-tura dei capelli. Questi sono resicon folte ciocche ispide, movi-mentate e disordinate, che lascia-no scoperte le orecchie a punta.Statue di questo tipo erano parti-colarmente apprezzate nella de-corazione di case, giardini e ville.L’opera, infatti, si inserisce in quelfilone del mondo dionisiaco, lar-gamente affermatosi a vari livellisociali. Dioniso, come dio del vi-no, era invocato durante i ban-chetti, che costituivano un mo-mento di otium in contrapposizio-ne alle attività quotidiane. I luoghideputati a questo scopo erano i tri-clini delle grandi domus e delle vil-le, spesso decorati con scene ispi-rate al culto del dio, con immaginidi satiri, di sileni e di menadi dan-zanti; accompagnati da danze leg-giadre e da strumenti musicali, cisi abbandonava ai piaceri del vino. La testa è una replica del tipo delgiovane satiro ridente, che si rifà amodelli del tardo Ellenismo, realiz-zata a Roma nella seconda metàdel II secolo d.C. I suoi attributi so-no le grandi orecchie a punta, lecorna sulla fronte, i ricci selvaggi ela corona di pigne. Confronti per leraffigurazioni giovanili di satiri pos-sono essere effettuati con le testedi giovani satiri coronate di pignedel Palazzo Nuovo dei Musei Ca-pitolini (Galleria, inv. S 246; ma-gazzino invv. S 1685, S 1403).Francesca Licordari

Bibliografia: inedita.

I.5

Scultore romanodel I-II secolo d.C.Testa di satiro o di centauromarmo bianco statuario, altezza 29 cmRoma, Fondazione Dino edErnesta Santarelli, inv. 62

La testa, dalla forma tondeggian-te, è leggermente inclinata a sini-stra. Gli occhi presentano palpebremarcate con profonde arcate so-pracciliari e rughe agli angoli ester-ni. Le pupille e le iridi non sono in-cise. Il naso è spezzato in punta.Sopra il naso, fra gli occhi, il voltoè segnato da una marcata ruga diespressione. Anche la fronte è sol-cata da rughe. Le labbra sono car-nose e atteggiate a un leggero sor-riso. Le guance paffute sono evi-denziate dai vistosi solchi nasola-biali. Il mento è sporgente e im-berbe. La capigliatura è resa conciocche fitte e mosse con piccoliciuffi, che ricadono sulla fronte eai lati del viso, evidenziando le ca-ratteristiche orecchie appuntite.Il personaggio raffigurato potreb-be essere un satiro, riconoscibiledalle orecchie aguzze, ma gli altrielementi animaleschi, tipici di que-ste rappresentazioni, come le cor-na sulla fronte o i ciuffi scompi-gliati, vengono meno. Il movimen-to della testa e la mancanza di que-sti attributi fa propendere verso l’i-dentificazione con un centauro.L’esemplare riprende un modellodel tardo Ellenismo, ma è statorealizzato da un’officina romana nelI-II secolo d.C.Francesca Licordari

Bibliografia: inedita.

I.6

Scultore romanodel I secolo d.C.Torso femminile drappeggiatoalabastro orientale, altezza 67,4 cmRoma, Fondazione Dino edErnesta Santarelli, inv. 293

La statua, composta da quattrosegmenti di alabastro a strisce, sipresenta acefala e spezzata al-l’altezza delle ginocchia. Apposi-te cavità per l’inserimento dellatesta e degli arti superiori sono vi-sibili in corrispondenza del colloe delle spalle. È rappresentatauna figura femminile in posizionestante, in appoggio sulla gambasinistra e con la destra legger-mente flessa, che indossa un pe-plo dorico di stile arcaico. Il drap-peggio presenta pieghe profon-damente incise che ricadono conun andamento a “V” all’altezzadel petto. Al di sopra un mantel-lo copre la spalla sinistra ed è al-lacciato su di essa con una fibulacircolare. La veste è cinta in vita,con le pieghe della stoffa che ri-cadono al di fuori della cintura,formando il classico rigonfia-mento del chitone. Le pieghe del-la veste assumono un andamen-to a “V” sulla gamba destra,mentre corrono verticali e paral-lele su quella sinistra.Il materiale usato è l’alabastro ve-nato egiziano, dal fondo giallo pal-lido con larghe zone bianche o ro-sate. I siti da cui era estratto sitrovavano lungo la valle del Nilo:il più famoso era quello di Hat-nub. Il suo utilizzo è stato intro-dotto a Roma nella metà del I se-colo a.C.La lavorazione dell’opera presen-ta la particolarità tecnica della so-vrapposizione e sagomatura dipiù blocchi di marmo, tenuti in-sieme da perni metallici per daremaggiore stabilità. Questa tecni-ca, abituale nel mondo antico, sirifà al procedimento costruttivousato in architettura per la realiz-zazione delle colonne doriche.Anche il frammento di alabastroin mostra (cat. n. II.54) apparte-neva a una statua dello stesso ti-po. Un ulteriore confronto può es-

sere effettuato con una sculturain marmo di Taso dell’imperato-re Claudio, proveniente da Cire-ne e lì conservata nel museo.Per la tecnica utilizzata e il mate-riale, l’opera è databile al I seco-lo d.C.Francesca Licordari

Bibliografia: inedita.

I.7

Scultore romano di inizio II secolo d.C.Busto di Ulpia Felicitasmarmo a grana fine,altezza 56,5 cm Roma, Fondazione Dino edErnesta Santarelli, inv. 138

Il busto femminile, associato al-l’iscrizione Ulpia Felicitas e vesti-to di tunica e mantello (palla), ri-trae una donna dall’ovale pienocaratterizzato dalla piccola boccacarnosa, dal naso adunco, dagliocchi con spesse palpebre, sot-tolineati da occhiaie e sormonta-ti da un sopracciglio di taglio ar-cuato. Sono presenti scalfiture,specie sul lato sinistro.Il modellato fermo del viso è in-corniciato da un’acconciatura che,partendo da una fascia piatta dicapelli con scriminatura centrale,si dispone verso la sommità contre giri di trecce di grandi dimen-sioni, cui ne segue un’altra piùpiccola lasciata liscia e visibile so-lo sul lato sinistro. Di fronte alleorecchie, lasciate scoperte, scen-de una breve ciocca. La sommitàdel capo non è scolpita, e il retro,tagliato in modo netto per tuttal’altezza, doveva essere addos-sato a una parete.L’opera rientra nella categoria deirilievi funerari diffusi soprattuttoin età tardo-repubblicana e proto-imperiale, effigianti per lo piùmembri del ceto libertino e so-vente esposti ad esempio all’in-terno di nicchie di colombari ov-vero di fronte agli arcosoli degliimpianti funerari (sulla rinnovatafortuna dei rilievi funerari nel II se-colo d.C. vedi Kockel 1993, pp.206-213) (Del Bufalo osserva cheil busto appare ricavato da un’e-dicola funeraria contenente rilie-vi. Deduce questo da una nettalinea verticale di demarcazione ri-conducibile alle due fasi del lavo-ro, la seconda delle quali ha por-tato al tutto tondo). L’espressio-ne seriosa caratterizza di fre-quente i volti di privati di età traia-nea, come un busto al MuseoBarracco o un ritratto al Louvre diprovenienza sconosciuta (vedi ri-spettivamente P. Zanker, in Fitt-

schen, Zanker 1983, pp. 54-55, n.70, tav. 88 – busto al Museo Bar-racco; Kersauson 1996, p. 110, n.44 – ritratto al Louvre), ai quali ilritratto Santarelli somiglia moltis-simo soprattutto nella linea delprofilo. Quanto all’iscrizione, nonrare sono le attestazioni del no-me: il gentilizio Ulpius, -a, al paridi Felicitas, è molto frequente apartire dal II secolo d.C. Ad esem-pio, un’iscrizione funeraria diMentana, rinvenuta a Roma o neisuoi dintorni, contiene una dedi-ca al liberto imperiale T(itus) Fla-vius Vitalis dalla moglie Ulpia Fe-licitas, il cui gentilizio e cognomesuggeriscono che fosse unaschiava imperiale affrancata sot-to il regno di Traiano (Cavuoto1971). Ovviamente, data la fre-quenza del medesimo nome perdiverse donne attestata dalle epi-grafi, è inaccertabile che l’identitàdella donna raffigurata nel bustoSantarelli coincida con quella do-cumentata dalla dedica per Fla-vius Vitalis; tuttavia, dal punto divista sociale i due profili non do-vevano forse troppo differire.Sara Millozzi

Bibliografia: Papini, in Ritratti2011, p. 243, n. 3.18; Papini, inPapini c.d.s.

I.8

Scultore romano (o greco) della metà del I secolo a.C.Ritratto femminilemarmo a grana fine, altezza 34 cm Roma, Fondazione Dino edErnesta Santarelli, inv. 17b

L’effigiata presenta un ovale al-lungato, con grandi occhi appenainfossati e dal taglio quasi ad amig-dala – enfatizzato dalle spesse pal-pebre superiori che tagliano all’an-golo esterno le inferiori – e occhiaiedigradanti sino agli zigomi, a indi-care la piena maturità della donna;dal setto nasale diritto e affilato di-scendono i lievi solchi delle rughenaso-labiali, a definire i delicati pia-ni delle guance; la bocca carnosae con fossette ai lati mostra il lab-bro superiore cuoriforme; il men-to tondeggiante è sottolineato daun leggero solco. La capigliatura,trattata a pastose ciocche e scri-minata al centro, è solo in parte na-scosta da un mantello (palla) conuna increspatura vezzosa sullasommità; sulla fronte ricadono duericcioli a gancetto con le estremitàa spirale, così come altri due boc-coli ondulati scendono davanti al-le orecchie nascoste dal velo, chiu-dendosi con un forellino; i capellisul retro sono raccolti in una croc-chia sporgente dalla stoffa. In que-sto volto di matrona i tratti indivi-duali si percepiscono sotto un ve-lo “idealizzato”, improntato a uncanone di bellezza femminile qua-si atemporale (sui ritratti femmini-li tardo-ellenistici e repubblicani ve-di La Rocca 1982; Dillon 2010, pp.103-134). In buono stato di con-servazione; la testa è fratturata alcollo, la punta del naso è lieve-mente scheggiata. Vi sono nume-rose incrostazioni, specie sullachioma.I confronti migliori si ascrivono al-l’età tardo-repubblicana, speciecon diverse teste, in marmo e nonsolo, considerate per l’articolazio-ne della chioma sotto l’influenzadella ritrattistica tolemaica e rac-colte attorno a un noto rilievo fu-nerario proveniente dalla via Stati-lia ora ai Musei Capitolini, Centra-le Montemartini, degli anni intorno

alla metà del I secolo a.C. (sul qua-le da ultimo C. Parisi Presicce, inEtà della conquista 2010, pp. 319-320, fig. IV.9): la figura femminileaccanto al togato, difatti, è moltosimile a quella della collezione San-tarelli sia per la capigliatura (unasorta di variante appiattita dell’ac-conciatura “a melone”; analogoinoltre il trattamento calligrafico deiriccioli frontali e dei boccoli sulleguance, nonché il motivo del veloincrespato in alto, peraltro già dif-fuso nelle immagini femminili dietà ellenistica). L’eccellente fattu-ra e i confronti istituibili suggeri-scono una provenienza urbana del-l’opera, verosimilmente destinataa un uso funerario.Caterina Mascolo

Bibliografia: Mascolo, in Ritratti2011, p. 385, n. 6.2; Mascolo, inPapini c.d.s.

I.9

Scultore egizio della prima metàdel II secolo a.C.Ritratto di regina tolemaica (?)marmo bianco a grana grossa,altezza 16 cm Roma, Fondazione Dino edErnesta Santarelli, inv. 135

La testina femminile mostra unvolto dall’ovale regolare, conguance piene, zigomi larghi, boc-ca piccola, occhi di taglio allun-gato stretti entro palpebre spes-se. I capelli si dispongono intor-no alla fronte in due bande ondu-late, nettamente separate dalla ri-manente capigliatura, che è arti-colata in due file sovrapposte diboccoli calamistrati, ricadenti ailati del collo e sul retro. Sullasommità della calotta cranica,non rifinita, si individua una fascia,al cui interno è praticato un forocircolare; un secondo foro circo-lare compare in posizione arre-trata rispetto al primo; entrambigli incassi dovevano sorreggereattributi. Alla base del collo robu-sto si conserva una porzione delpetto, che era forse destinata ainnestarsi nella parte restante delcorpo, lavorata separatamente econ ogni probabilità in materialediverso.La superficie si presenta moltodeteriorata. Mancano buona par-te del naso, del mento e della re-gione occipitale del cranio; labbraconsunte; spezzati i boccoli ai la-ti del viso e del collo. L’acconciatura a boccoli calami-strati, che costituisce l’elementoconnotativo della testa in esame,conosce speciale fortuna nell’E-gitto tolemaico, dove viene im-piegata, dal tardo III secolo a.C.,in immagini ellenizzate di Iside edi sue sacerdotesse, come purein ritratti di regine che si assimi-lano con la dea (sull’acconciaturaa boccoli calamistrati vedi Adria-ni 1948, pp. 9-10, 38-39, n. 18; p.39, n. 24, con ricca esemplifica-zione; Schwentzel 2000). La ver-sione della pettinatura qui adot-tata gode di vasto credito soprat-tutto nella prima metà del II se-colo a.C., allorquando la si ritrovain un nutrito gruppo di sculture,

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I.11

Scultore romanodel II secolo d.C.Lotta di animaliportasanta, altezza 43 cmRoma, Fondazione Dino edErnesta Santarelli, inv. 71

Il pezzo raffigura due cani in lot-ta: ciascuno afferra con la boccala zampa anteriore destra dell’av-versario, mentre con le zampe ri-maste libere fanno reciproca-mente forza per prevalere sull’al-tro. L’espressività del gruppo, col-to nella tensione dello sforzo, èrafforzata dal colore e dalla vena-tura del materiale impiegato, chesottolinea il vigore della musco-latura e della struttura ossea. Ilportasanta, estratto nell’isola diChio, è stato uno dei marmi co-lorati più amati e diffusi a Romae ha conosciuto la sua maggiorefortuna e utilizzazione nella primametà del II secolo d.C. È caratte-rizzato da un fondo rossastro convene biancastre o di color rossocupo.Il tema del combattimento fra ani-mali risale al tardo Ellenismo edebbe fortuna perché si prestavaa numerose variazioni nella scel-ta degli animali stessi e nel loroatteggiamento. Ne dà ampia do-cumentazione l’omonima sala deiMusei Vaticani (Spinola 1996, pp.125-188; Vaticano 2003).L’ambito di utilizzazione erano lericche dimore private, dotate digiardini. Si propende per una da-tazione al II secolo d.C.Francesca Licordari

Bibliografia: inedita.

I.12

Scultore greco-romano del I-II secolo d.C.Cavaliere orientalemarmo bianco a grana grossa,forse microasiatico, altezza 115 cmRoma, Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli, inv. 55c

La statuetta equestre raffigura unarciere orientale (partico?) mon-tato su un cavallo colto nella po-sizione di levade, con le zampeappoggiate su uno scudo legio-nario e il corpo sostenuto da unplinto modanato. Il cavaliere in-dossa i pantaloni, la tunica e ilmantello allacciato sullo sterno daun’ampia fibbia circolare. Il pettoè attraversato dal balteo da cuipendeva il fodero con la spada(l’elsa – perduta – era aggiunta aparte). Sul fianco destro del ca-vallo si riconosce anche una fa-retra che serviva sia per l’arco siaper le frecce: l’assenza dell’arcofa ritenere che il cavaliere lo im-pugnasse nella sinistra mentrecon la destra estraeva la freccia.Ai piedi sono calzati sandali allac-ciati in alto e con le dita libere. Laresa del corpo equino si limita apochi dettagli della muscolaturadelle zampe, alla criniera e agli oc-chi, ben aperti. I finimenti, costi-tuiti dal morso (integrato nel mu-so di restauro), dalla testiera edalla cinghia delle redini, doveva-no essere completati in bronzo.La sella è del tipo “a quattro cor-ni” (sulla quale vedi Connolly, vanDriel Murray 1991) e frangiatalungo il bordo inferiore: i corni aiu-tavano l’equilibrio del cavaliere inassenza delle staffe ed eranousati anche per appendervi la fa-retra, qui allacciata al corno ante-riore destro. Sotto la sella si rico-nosce una pelle ferina, usata co-me ephippion e dispiegata in mo-do tale da porre il muso sul pet-to stesso del cavallo. Lo scudo le-gionario, non lavorato all’interno,ha un umbo centrale e una deco-razione a croce, con una sorta dipelta in ciascun angolo. La statuafaceva probabilmente parte di unmonumento celebrativo più am-pio ed era pensata solo per una

visione frontale, con il punto di vi-sta privilegiato da sinistra. La re-sa del costume orientale indicache fu realizzata da un atelier gre-co-romano tra I e II secolo d.C. Ilcavaliere raffigurato potrebbe es-sere partico oppure appartenerea una delle numerose unità di ar-cieri (sagittarii) orientali a cavallomilitanti come ausiliari nell’eser-cito romano (sull’immagine deiParti vedi Landskron 2005; sullaloro militanza nell’esercito roma-no vedi Kennedy 1977).Sono di restauro il muso del ca-vallo, la mano sinistra, parte dellamano destra, parte del fodero, ilbraccio e il piede sinistro e le zam-pe anteriori del cavallo. Il piede de-stro potrebbe essere originale edè stato restaurato integrando laparte perduta del polpaccio con lostucco. Sono visibili diversi pernie fori per elementi in bronzo o re-stauri in marmo.Matteo Cadario

Bibliografia: Cadario, in Papinic.d.s.

I.13

Scultore romano del I secolod.C. (torso), leggermenteposteriore (testa)Statua di Baccomarmo greco statuario a granafine, altezza 170 cmRoma, Fondazione Dino edErnesta Santarelli, inv. 55a

L’opera raffigura ora un tipo diBacco giovanile, stante sulla gam-ba sinistra, con il braccio destrodisteso, ma distaccato dal fianco,che reca in mano un grappolod’uva, e il braccio sinistro prote-so verso l’esterno con in mano lacoppa del vino. Il dio si appoggiaa un pilastrino, intorno al quale siavvolge, con un andamento a spi-rale, un tralcio di vite con foglie egrappoli.Il pezzo presenta numerose inte-grazioni di restauro. La parte an-tica, infatti, è costituita solo daltorso. Sono stati aggiunti nel XVIIsecolo la testa, le braccia, le gam-be con il pilastrino di appoggio eil piedistallo, che hanno trasfor-mato il personaggio in Bacco.È stata realizzata, infatti, un’ac-conciatura dalle ciocche scom-poste, frammiste con edere egrappoli, tenute insieme da unabenda sulla testa. Sulla nuca i ca-pelli si raccolgono per ricadere suldavanti all’altezza del petto condue lunghi ricci ondulati, lasciatiliberi.Il torso idealizzato, dalla musco-latura appena accennata, pre-senta caratteristiche tipiche del-le raffigurazioni di eroi, atleti e di-vinità nel mondo greco.In questo caso la presenza di unaciocca di capelli sulla spalla destrapuò far pensare a un’originariaraffigurazione del dio Apollo, chenell’arte antica compare spessocon i capelli fluenti. La testa di re-stauro sarebbe, quindi, stata adat-tata realizzando una capigliaturaraccolta all’altezza della nuca inmaniera tale da far fuoriuscire so-lo due lunghe ciocche, una dellequali va a ricongiungersi sullaspalla destra con quella antica.Il risultato complessivo ottenutoè comunque quello di una pon-derazione equilibrata. Seguendo

l’andamento del torso antico, leintegrazioni rispettano l’anda-mento chiastico: alla gamba di ap-poggio sinistra fa da corrispon-dente il braccio destro disteso,mentre a quella destra legger-mente flessa si contrappone ilbraccio sinistro piegato. La testa,seguendo l’andamento del restodel corpo, è leggermente voltaverso la propria destra.Lo stesso atteggiamento del tor-so si ritrova nel Bacco del Vatica-no, Museo Pio-Clementino, Saladella Biga (inv. 2361) e in quellodel Louvre (inv. MR 110). Anchein questi due casi la capigliaturascende con lunghe ciocche sullespalle.Per il torso si propone una data-zione al I secolo d.C. e per la te-sta leggermente posteriore.Francesca Licordari

Bibliografia: inedita.

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che sono state interpretate comeimmagini di Iside ovvero come ri-tratti idealizzati di una regina lagi-da. Fra queste, due teste nel Mu-seo Greco-Romano di Alessan-dria, senza n. inv., e nel Museo diStoccarda, inv. n. 514, denotanostringenti nessi stilistici con la no-stra nella predilezione per formepiene e molli, nella levigatezzadelle superfici, nel rendimento ap-prossimativo dei dettagli, nel lar-go utilizzo del trapano nella resadei capelli. Le analogie di dimensioni e di fat-tura con le sculture pertinenti aun noto complesso rinvenuto aTell Timai autorizzano a supporreche anche la testa Santarelli co-ronasse una statuetta di destina-zione cultuale o votiva, raffigu-rante Iside o una regina identifi-cata con la dea (sull’assimilazio-ne delle regine tolemaiche conIside: Svenson 1995, pp. 85-100).Elena Ghisellini

Bibliografia: Schwentzel 1999, p.166, n. 2, tav. 10, A-B; Schwent-zel 1999a, pp. 122-123, n. 38;Schwentzel 2000, p. 27, fig. 7;Ghisellini, in Papini c.d.s.

I.10

Scultore romano della metà del III secolo d.C.Frammento di statua di GioveEliopolitanoMarmo, altezza 38 cmRoma, Fondazione Dino edErnesta Santarelli, inv. E.D’O.1

Torso acefalo di statua loricata,quasi interamente mancante del-le braccia, frammentato alla basedel collo e all’estremità inferioredel tronco, in corrispondenza del-le gambe, dove appare scheg-giato diagonalmente. Le partico-lari caratteristiche tipologiche eiconografiche consentono diascriverlo alla classe delle raffi-gurazioni del Giove di Heliopolis,divinità agraria della fertilità e del-la natura, generalmente riprodot-to nella statuaria e nei bronzettidi età imperiale romana (spec. II-III d.C.) quale figura stante, in po-sizione frontale, a volte poggian-te su piedistallo a guisa di tem-pietto e affiancata da due tori; disolito il viso è imberbe, la capi-gliatura fluente e quasi sempresormontata da un copricapo a for-ma di alto kalathos, il braccio de-stro è sollevato quasi sino all’al-tezza del volto, il sinistro, con l’a-vambraccio disteso orizzontal-mente, reca un fascio di spighenella mano. La caratteristica prin-cipale di questo tipo iconograficoè senza dubbio costituita dallasingolare lorica, una sorta di co-razza che riveste completamen-te il tronco fino a coprire le gam-be, e che conferisce a questa ti-pologia di simulacri un aspetto al-quanto oblungo e sproporziona-to. Di solito la lorica istoriata co-pre fin sopra i polpacci una tuni-ca a maniche corte (non visibilenel nostro esemplare), ed è sem-pre suddivisa in comparti oriz-zontali, spesso a loro volta ripar-titi in ulteriori registri, destinati aospitare differenti motivi orna-mentali: predominano i busti didivinità, più raramente le figureintere, insieme con elementi flo-reali (rosoni), maschere leonine,dischi, sfingi, grifi, stelle (cfr.LIMC IV, s.v. Heliopolitani Dei).Della parte superiore della lorica,

completamente istoriata, riman-gono qui le spalle ben levigate,da cui si dipartono delle pterygesformate da lamelle alternate a pic-coli fori di trapano, ben conser-vate presso il braccio destro, par-zialmente presso il sinistro. Diquest’ultimo arto si intravede an-che parte dell’attaccatura delbraccio. La lorica è suddivisa cen-tralmente in tre grandi partiti oriz-zontali da fasce continue che sud-dividono le varie scene figurate efungono anche da linea di esergoper le relative rappresentazioni. Ilprimo partito, posto nella partesuperiore del tronco, è a sua vol-ta suddiviso in due campiture ver-ticali, contenenti ciascuna il bu-sto di un personaggio, in tunica emantello, il Sole e la Luna, in ana-logia con quanto attestato neglialtri simulacri noti, in cui le duedivinità si dispongono il più dellevolte proprio nel registro supe-riore della scena.La partizione centrale è occupatadal fulcro della raffigurazione, unatriade divina, qui identificabile conla triade capitolina. Al centro, co-me in altri esemplari eliopolitani,domina la figura di Giove, barba-to e dalla folta chioma, stantefrontale sulla gamba sinistra, il pie-de destro quasi sollevato, raffigu-rato in seminudità eroica, con ilmantello avvolto sotto il toracescoperto e nelle mani gli attributicanonici (lungo scettro appuntitonella destra e fulmine nella sini-stra). Alla destra di Giove cam-peggia una divinità femminile, pro-babilmente Giunone, stante sullagamba sinistra, vestita di una lun-ga tunica cinta sotto il seno e dal-le pieghe sinuose, coperta da unmantello che gira sulla spalla sini-stra per ricadere sul braccio corri-spondente, ripiegato sul grembo.Nella destra tiene un lungo scet-tro. Il capo, probabilmente diade-mato e dal volto non più ricono-scibile, è rivolto verso il centro del-la scena. Sul lato opposto vi è in-vece la figura di Minerva, stantefrontalmente sulla gamba destra,il capo di profilo, anch’esso rivol-to verso il centro della raffigura-zione, ornato dell’elmo corinzio.Veste un peplo stretto in vita da

una sottile cintura e un chitone,dalle pieghe elaborate, ben visibi-le sotto il precedente, in corri-spondenza delle gambe. Il lungoapoptygma ricade sul petto escende sotto la cintura plasman-do pieghe a forma di V. Al centroè riconoscibile il medaglione conil gorgoneion. Il braccio destro, ri-cadente lungo il corpo, tiene loscudo tondo, poggiato a terra,mentre il sinistro regge una lan-cia. Nelle raffigurazioni di Gioveeliopolitano, dove la posizionecentrale è prevalentemente oc-cupata dal busto o dalla figura diGiove (a volte anche Mercurio),non si riscontra una disposizionecostante per le divinità paredre,indifferentemente maschili o fem-minili (ad esempio Mercurio, Ve-nere, Ares/Marte armato, Athe-na/Minerva, Tyche/Fortuna, Giu-none o Venere, Saturno) e diver-samente collocate alla destra o al-la sinistra di Giove, o nelle variepartizioni della lorica.Nella campitura più bassa è rap-presentata una seconda triade di-vina, la cui raffigurazione è ta-gliata in obliquo dalla linea di frat-tura che percorre il tronco in cor-rispondenza delle ginocchia. Inposizione frontale Mercurio, dal-la capigliatura fluente, copertaprobabilmente da un petaso ala-to, indossa una tunica corta sinoalle ginocchia, cinta in vita; un am-pio mantello ricade dalle spallesulla parte sinistra del corpo e sulbraccio sinistro, appena ripiega-to. Tiene nella mano destra il sac-chetto con le monete, attributodel dio nella veste di protettoredel denaro, dei commerci e deiguadagni, mentre nella sinistraregge il tradizionale caduceo. Al-la sua destra la Fortuna, raffigu-rata, secondo l’iconografia tipicad’età imperiale, stante, abbiglia-ta con tunica lunga e mantello,che tiene con il braccio sinistro ri-piegato la cornucopia colma di pri-mizie, e col timone, poggiato aterra, saldamente tenuto dal brac-cio destro rilasciato lungo il fian-co. Sul lato opposto, l’ultimo ele-mento della triade è ancora unafigura femminile, vestita di tuni-ca e mantello, il braccio destro ri-

piegato, di più difficile identifica-zione (Venere?).Lo stato di conservazione, assaiframmentario, nonché l’assenzadi dati certi sulla provenienza delreperto e sul suo contesto di rin-venimento, consentono soltantodi formulare alcune ipotesi sullanatura e la destinazione dellascultura. Se il modello di riferi-mento appare di derivazione tipi-camente orientale, caratterizzatodalla oblunga corazza che ne av-vicina la tipologia a quella delle al-tre divinità microasiatiche e siria-che, l’iconografia e lo stile narra-tivo, con il ricorso alla rappresen-tazione di figure stanti (piuttostoche busti) e la scelta della triadecapitolina quale elemento princi-pale della scena, sembrano ri-condurre piuttosto a un contestolocale italico. Dal punto di vistaprettamente ideologico, la natu-ra agreste del culto di Giove elio-politano ben si accorda a un con-testo locale, agricolo e commer-ciale, in cui alla triade capitolinadel pantheon tradizionale roma-no si associano il Mercurio deicommerci e la stessa Fortuna, ingrado di assicurare fertilità, pro-sperità e guadagno. La presenzadel Sole e della Luna contribuiscea mantenere, nel ricordo della ti-pologia iconografica eliopolitana,le caratteristiche tipiche di una di-vinità pantea, dalla natura cosmi-ca e universale.Anche la rigidità delle figure e glielementi formali sembrano ri-condurre a un ambiente provin-ciale e a un periodo probabil-mente non anteriore alle fasi cen-trali del III secolo d.C.Claudio Noviello

Bibliografia: inedita. Cfr., per la ti-pologia dei simulacri eliopolitani,LIMC 1998.

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I.14

Scultore romanodel II-III secolo d.C.Busto di satiromarmo bianco statuario a granafine, altezza 19 cm Roma, Fondazione Dino edErnesta Santarelli, inv. 285

Si tratta di un piccolo frammentodi busto maschile lacunoso nellaparte inferiore e parzialmente ri-lavorato.La testa inclinata in avanti è ri-volta verso sinistra. Le arcateoculari sono in forte aggetto e gliocchi socchiusi e infossati con in-dicazione delle palpebre. Ai latidegli occhi due rughe, come pu-re profondi segni verticali sono in-cisi sopra il naso. Quest’ultimo èsottile e adunco, gli zigomi sonosporgenti, la bocca è socchiusa eatteggiata a un ghigno ferino. Lafronte è aggrottata e solcata damarcate rughe orizzontali. I capellisono resi a profonde ciocchescompigliate eseguite a trapano,in mezzo alle quali spuntano le ti-piche corna; ai lati sono molto evi-denti le orecchie caprine allunga-te. Il torace, pur sommariamenteaccennato, doveva essere abba-stanza muscoloso, data la pre-senza di pieghe vigorose.Il soggetto raffigurato è un sati-ro, riconoscibile dai tratti anima-leschi alquanto rozzi. Siamo lon-tani dalla raffigurazione del satirogiovane e ridente. Si tratta di unsatiro maturo, avanzato nell’età,con un atteggiamento un po’ eb-bro derivato dall’effetto del vino,che si beveva nelle cerimonie dio-nisiache.I tratti realistici sono ispirati allatradizione del tardo Ellenismo. Illavoro, di produzione romana, èda datare per le particolarità stili-stiche e la tecnica di lavorazioneal II-III secolo d.C.Francesca Licordari

Bibliografia: inedita.

I.15

Scultore romano di fine II – inizio III secolo d.C.Cereremarmo bianco statuario, altezza 85 cm Roma, Fondazione Dino edErnesta Santarelli, inv. 61

La statuetta raffigura una divinitàin posizione stante, in appoggiosulla gamba sinistra e con quelladestra flessa. Indossa un lungochitone, dal quale fuoriescono sol-tanto le dita dei piedi calzati. Al disopra un mantello dall’andamen-to trasversale sul petto ricade die-tro le spalle fin quasi a toccare ter-ra. Il braccio sinistro corre teso lun-go il fianco e impugna nella manoun mazzo di spighe, quello destroè spezzato all’altezza del gomito.Il panneggio è molto leggero suldavanti, tanto da creare il tipico ef-fetto “bagnato” su parti del corpocome le ginocchia, che traspaio-no. Pesanti pieghe incise profon-damente sono, invece, presentinella parte posteriore in corri-spondenza delle gambe.Il corpo, come pure la testa, è vol-to verso sinistra. Il naso, scheg-giato, è rettilineo e di grandi di-mensioni, la bocca è chiusa. I ca-pelli sono resi con ciocche ondu-late tenute in ordine al di sopradella fronte e avvolte da un dia-dema con un motivo a fori circo-lari. Al di sopra, parte del mantel-lo copre la testa secondo il tipo“capite velato”.La presenza delle spighe nellamano sinistra è il solo elementoche consente di riconoscere nel-la donna una raffigurazione di Ce-rere. Questa divinità, infatti, equi-valente della dea greca Demetra,protettrice dei raccolti e dellemessi, non ha altri caratteri di-stintivi se non le spighe di granoe le fiaccole.La statua, realizzata in ambienteromano, è databile tra la fine delII e l’inizio del III secolo d.C.Francesca Licordari

Bibliografia: inedita.

I.16

Scultore romano del I-II secolo d.C.Erma bifrontemarmo bianco statuario, altezza 19,7 cmRoma, Fondazione Dino edErnesta Santarelli, inv. 126

Si tratta di un’erma bifronte. En-trambi i lati raffigurano un giova-ne, forse una divinità. La testa èleggermente inclinata a sinistra.Gli occhi incavati, senza iride e pu-pille incise, sono adombrati dallaprominenza delle arcate sopracci-liari. Il naso rettilineo è spezzatoin corrispondenza delle narici.Scheggiature sono presenti anchesulla guancia sinistra. La boccadalle labbra sottili è appena di-schiusa, il mento prominente. Lafronte è liscia, priva di qualsiasi im-perfezione, come pure il resto del-la pelle. I capelli ondulati incorni-ciano il viso lasciando scoperte leorecchie. Al di sopra sono coro-nati da una fascia di alloro.Non ci sono elementi che con-sentano un’identificazione del per-sonaggio. L’alloro è un attributotipico del dio Apollo, il quale dinorma ha capelli sciolti e con lun-ghe chiome. Nelle erme è più fre-quente la raffigurazione di altre di-vinità, come Giano nel mondo ro-mano, che è bifronte per antono-masia, oppure Hermes nel mon-do greco, da cui la parola stessaErma prende il nome. Questa par-ticolare tecnica scultorea e archi-tettonica nasce in ambito pubbli-co per decorare e, allo stessotempo, proteggere gli incroci stra-dali che erano posti sotto la tute-la di Hermes, dio viaggiatore. Dal-l’ambito pubblico si trasferisce poiin quello privato e a Roma questesculture si prestano a decorare legrandi gallerie di ritratti delle abi-tazioni signorili. Così, oltre alle di-vinità, sono raffigurati personaggiprivati. Si inserisce, quindi, la va-riante di erme bifronti con testedifferenti.In questo caso, anche se il sog-getto rimane sconosciuto, data lagiovane età, potrebbe trattarsi diun giovane che si è distinto inambito sportivo. Nel mondo anti-

co, infatti, la corona di alloro erala ricompensa che si dava agliatleti vincitori. In seguito a ciò siacquisiva il diritto a essere ricor-dati per l’eternità. D’altronde lavittoria in un avvenimento sporti-vo era un onore equiparato allavittoria in guerra.Il pezzo, che riprende la tradizio-ne greca del IV secolo a.C. e piùdirettamente la maniera delloscultore Skopas, è realizzato aRoma tra il I e il II secolo d.C.Francesca Licordari

Bibliografia: inedita.

I.17

Scultore romano di fine III –inizio IV secolo d.C.Testa virile di divinità,probabilmente Mithramarmo, altezza 83 cmRoma, Fondazione Dino edErnesta Santarelli, inv. 45

Testa virile maggiore del vero,scolpita in un unico blocco insie-me al suo basamento rettangola-re. La testa presenta diverseabrasioni e scheggiature, princi-palmente sul sopracciglio destro,sulle guance, presso l’angolo in-feriore sinistro della bocca e sot-to il mento, oltre che in vari pun-ti del supporto.Il personaggio indossa il tipicoberretto frigio (pileus) a forma co-nica e dalla punta ripiegata inavanti, di origine orientale, moltodiffuso in Asia Minore e nell’O-riente ellenistico, per poi diveni-re, in età romana, il copricapo ti-pico dei liberti, oltre che uno de-gli elementi maggiormente di-stintivi fra gli attributi di Attis eMithra. Si intravedono sul berret-to anche le tracce dell’originariacolorazione rossa, che sembranosupportare l’identificazione pro-posta, unitamente a ulteriori ele-menti della pigmentazione, que-sta volta di un colore più tenue,arancione, visibili sulle trecce eall’attaccatura del collo con la ba-se. Dal pileus fuoriescono picco-li riccioli ondulati che formano sul-la fronte una fitta frangetta, men-tre ai lati del volto ricadono am-pie trecce spiraleggianti, che di-scendendo sino al basamentodella testa coprono le orecchiedella divinità. L’ovale del volto èampio e rotondo; le cavità orbita-li, il cui profilo si fonde con quel-lo delle sopracciglia, appena ac-cennate, sono ben delineate manon eccessivamente profonde,con le palpebre superiori mag-giormente accentuate rispetto al-le inferiori, più finemente incise.Le iridi presentano le incisioni perl’alloggiamento delle pupille in pa-sta vitrea, ora perdute, mentre ilnaso, dritto e ben levigato, si am-plia alla base delle narici, profon-damente scavate. La bocca è se-

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midischiusa con il labbro inferio-re diritto più carnoso e il superio-re ondulato, appena solcato dallafossetta centrale. La mancanza di dati sul ritrova-mento del reperto consente diformulare soltanto alcune ipotesisulla destinazione e la datazione.Costituiva forse, stando all’iden-tificazione proposta, una testa-si-mulacro della divinità, destinata aun edificio cultuale, meno proba-bilmente parte di una statua co-lossale del dio.Le caratteristiche stilistiche ge-nerali della realizzazione, dai rap-porti stereometrici alla semplifi-cazione dei particolari, nonchéuna certa rigidità formale, nel con-ferire al volto uno sguardo inten-so e drammatico, riconducono al-le modalità figurative tipiche del-l’arte tardoantica, con un possi-bile inquadramento in un periodonon anteriore alle fasi finali del IIIsecolo d.C. e forse estensibile aiprimi decenni del IV secolo d.C.Claudio Noviello

Bibliografia: inedita. Cfr., per l’i-conografia di Mithra, LIMC 1992.

I.18

Scultori romani del I-II secolod.C. (busto) e di metà XVIIsecolo (testa)Vestalealabastro verde, bronzo dorato,altezza 56 cmRoma, Fondazione Dino edErnesta Santarelli, inv. 70

La statuetta raffigura una giovanein posizione stante, appoggiatasulla sua sinistra a un pilastrino. Lafanciulla indossa un lungo chitonee al di sopra un himation che la av-volge sulle spalle, lasciando sco-perto il petto. Il braccio destro, co-perto dall’abito, è piegato all’al-tezza del petto, con la mano la-sciata libera. Quello sinistro, pie-gato lungo il fianco, sostiene illembo del mantello e regge nellamano la patera sacrificale. Il man-tello crea lungo il corpo una seriedi pesanti pieghe dall’andamentoobliquo, che si intensificano all’al-tezza delle gambe, dove le inci-sioni del panneggio assumono unamaggiore profondità. La testa di restauro mostra i trat-ti di una donna giovane, con lapelle liscia e priva di rughe e im-perfezioni, evidenziata dalla levi-gatezza del metallo. Gli occhi so-no leggermente volti verso l’alto.Il naso è dritto e regolare. I capellisono raccolti dietro la nuca conuna benda, mentre un diademacon fibbia centrale li tiene in or-dine sopra la fronte, creando unascriminatura.La posizione solenne, lo stru-mento rituale nella mano e la gio-vinezza della ragazza hanno fattopensare alla raffigurazione di unavestale. Le sacerdotesse di Ve-sta, infatti, cominciavano il loroministero fin da adolescenti. Nor-malmente conosciamo raffigura-zioni di vestali a dimensioni natu-rali, che decoravano l’atrium Ve-stae del Foro Romano.Il lavoro è stato eseguito in Italiamettendo insieme un corpo fem-minile antico in alabastro verdedel I-II secolo d.C., che ha ri-scontri nella statuaria decorativadi questo tipo, con una testa del-la metà del XVII secolo, epoca incui sono state fatte anche altre

aggiunte in bronzo dorato.L’opera ha fatto parte della col -lezione dei conti Rosebery aMentmore Towers nel Bucking-hamshire.Francesca Licordari

Bibliografia: Catalogue 1977, p.69, n. 34.

I.19

Scultore romano del II o III secolo d.C. Busto femminile velatomarmo bianco, altezza 41 cmRoma, Fondazione Dino edErnesta Santarelli, inv. E.D’O.2

La testa presenta numerosescheggiature e abrasioni, partico-larmente evidenti nella parte cen-trale del volto, dove sono quasi in-teramente mancanti il naso (conl’eccezione di parte delle narici) euna porzione del labbro superio-re, e sulla guancia sinistra. Ulte-riori escoriazioni hanno interessa-to in modo evidente, oltre allostesso busto, la palpebra supe-riore destra, i boccoli che scen-dono alla destra e alla sinistra delvolto e parte del velo che ne rico-pre la capigliatura. Una linea difrattura posta a circa metà del col-lo separa la testa dal busto, chesi interrompe all’altezza dell’at-taccatura del seno, per terminarecon il supporto a base quadrata.Il personaggio è raffigurato con ilcapo in leggera torsione verso de-stra, direzione cui rivolge lo sguar-do, che appare lontano e pateti-co, in un’espressione intensa eassorta. La testa è quasi intera-mente coperta da un corto scial-le, una sorta di kekryphalos cheincornicia la fronte per avvolgerepressoché interamente i capelli,annodarsi al centro del capo e ri-discendere dietro le spalle, sen-za peraltro toccarle, dove pendecon gli orli liberi. Ciocche di ca-pelli, forse simili a dei boccoli ca-lamistrati – i riccioli spiraleggian-ti tipici dell’arte ellenistica e mol-to frequenti anche nelle rappre-sentazioni di Iside – fuoriesconolateralmente dal velo e copronole orecchie. Lo scialle, dal pan-neggio finemente scolpito, nelracchiudere la capigliatura deli-mita la fronte conferendo ancheenfasi all’ampio ovale del volto.Gli occhi appaiono ben modella-ti, con profonde cavità orbitali, ilbordo delle palpebre è ben ac-centuato, gli zigomi sono morbi-damente sottolineati, la bocca èbreve e carnosa, con effetti chia-roscurali, mentre il naso doveva

apparire finemente dimensiona-to. Il collo è ben tornito.Tutti questi elementi, sia pure inun contesto eclettico, ci riportanoai moduli espressivi della scultu-ra alessandrina di periodo tole-maico, in cui confluiscono in pre-valenza stilemi lisippei, ma ancheinflussi prassitelici e scopadei, chesi fondono con ulteriori elementidella tradizione classica, in un con-testo naturalistico e intimista.Fra i prototipi di riferimento perquesta testa, che probabilmenteè una realizzazione eclettica di etàimperiale romana da originali elle-nistici di II sec. a.C., possiamo im-maginare alcune teste ideali di am-bito alessandrino, le raffigurazionidi Demetra/Kore, tra cui la De-spoina del gruppo di Lycosura inArcadia, alcune raffigurazioni di etàromana di Iside o Tyche/Fortuna.Claudio Noviello

Bibliografia: inedita. Cfr., per latradizione ellenistica alessandri-na, Adriani 1961; Adriani 1963-1966; Adriani 1972; Bonacasa, DiVita 1983-1984; Bonanno Ara-vantinos, Stucchi 1991; LIMC1986.

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I.20

Scultore pugliese del XII secoloCapitello con aquile bicefalemarmo, altezza 25 cmRoma, Fondazione Dino edErnesta Santarelli, inv. 218

Il capitello in marmo è caratte-rizzato nella parte superiore dacoppie di volute angolari piutto-sto pronunciate; le quattro fac-ce presentano invece figure diaquile bicefale, ovvero con ununico corpo da cui si dipartonodue teste: queste, nello specifi-co, si uniscono con quelle dei ra-paci del lato accanto, dando vitacosì a una decorazione che sisnoda in maniera continuativa eserrata sul corpo del capitello.Nel Medioevo, accanto all’im-magine tradizionale dell’aquila,diffusissima sia in Occidente chein Oriente, incontriamo anche lavariante iconografica del rapacebicipite. Spesso e volentieri as-sociata al nome di Federico II diSvevia, la figura dell’aquila bice-fala ha in realtà un’origine moltopiù antica: il tema è infatti am-piamente rintracciabile già nellacultura artistica bizantina, comeattesta un pluteo dell’XI secolonel Museo Archeologico di Sofiao la decorazione di un piviale nelTesoro della cattedrale di Ana-gni. Non a caso, in quella pre-giata stoffa liturgica si vede unricco apparato decorativo zoo-morfo (tra cui appunto una seriedi aquile bicipiti) di chiara deri-vazione orientale e, in particola-re, sasanide.In generale, l’aquila conosceun’enorme diffusione nella pla-stica romanica e, in particolare,nella decorazione dei capitelli,che vedono le loro facce popo-larsi di questo rapace, a voltenella versione bicefala (o addirit-tura tricefala), in parte collegabi-le pure alle varianti iconografichedei tanti animali (soprattutto leo-ni) bicipiti o bicorporati cari allascultura romanica padana e aquella campana, abruzzese e pu-gliese. Proprio fra le testimo-nianze scultoree della Puglia ro-manica credo debba inserirsi ilpezzo Santarelli, per ragioni sti-

listiche e di impostazione for-male del capitello. Il grado di ela-borazione dei corpi delle aquilee del piumaggio fanno infine pro-pendere per una cronologia al XIIsecolo. Manuela Gianandrea

Bibliografia: inedita.

I.21

Scultore di ambito federiciano?Testa di cervo (acroterio?)marmo, altezza 44 cmRoma, Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli, inv. 47e

Il pezzo è caratterizzato da quat-tro incassi simmetrici sull’estre-mità superiore, quelli in basso fo-rati per il passaggio di perni me-tallici. Ciò ha indotto a identifica-re l’animale con un cervo, scor-gendo in quei punti la sede idea-le per le corna. Il muso è tronca-to, ma l’assenza di fori passantiesclude l’utilizzo della scultura co-me scolo per l’acqua piovana oquale zampillo di fontana, una fun-zione comune per una protomeanimale. L’opera, secondo DarioDel Bufalo, potrebbe piuttostoavere una funzione di acroterio ocomunque una sistemazione allasommità di un’architettura.È sconosciuto il contesto di pro-venienza del pezzo, che è statoattribuito all’ambito culturale fe-dericiano (Giuliano 2003, p. 200),anche grazie al confronto con unesemplare analogo conservato aComiso (Ragusa). Il sicuro natu-ralismo con cui sono scolpiti gliocchi dell’animale, gli unici ele-menti stilisticamente valutabili,può essere in effetti ricondottoalla temperie di classicismo pro-pria della scultura fiorita in senoalla corte di Federico II e indi dif-fusasi, anche oltre l’età sveva, inaltri ambiti dell’Italia duecentesca.Tuttavia, tale capacità plastica co-stituisce un tratto comune a mol-te altre esperienze artistiche e ciòrende piuttosto difficile ogni ten-tativo di stabilire una precisa con-testualizzazione dell’opera.Francesco Gangemi

Bibliografia: Giuliano 2003, pp. 200,203.

I.22

Scultore italiano di fine XII – inizi XIII secolo Vescovo benedicentemarmo, altezza 82 cmRoma, Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli, inv. 224

L’altorilievo rappresenta un ve-scovo in posizione frontale, con ladestra in atto di benedire, la sini-stra che stringe il pastorale e il ca-po coperto dalla mitra. I due attri-buti, assieme al pallio, affermanoinequivocabilmente la carica ve-scovile del personaggio, confer-mata dal resto dei paramenti: unalunga veste coperta dalla casula earricchita da una stola a motivigeometrici e frange. Accurato an-che il riccio del pastorale, che ter-mina in una testa di drago. È sin-golare la forma della mitra, la cuibanda verticale (titulus) si eleva ri-gida, lasciando cadere i lati mor-bidamente sul capo e determi-nando una sorta di calotta, anzi-ché assumere il più consueto pro-filo conico o bicorne. Tale pecu-liarità concorda con la datazioneal XII secolo, allorché la mitra nonaveva ancora una forma codifica-ta; la variante a calotta sferica ècomunque testimoniata, ad esem-pio nella miniatura.Alla singolarità del copricapo po-trebbe inoltre non essere estra-nea la funzione della figura, chepoggia su un piano rettangolaree ha alle spalle un fondo, chiusoin alto da una mensola semicir-colare, collegata giusto alla som-mità della mitra. Lo sbalzo cosìdeterminato potrebbe suggerireun’interpretazione dell’insiemecome elemento di sostegno edunque la pertinenza della scul-tura a un arredo liturgico monu-mentale, ad esempio un pontileo un pulpito. Non è tuttavia daescludere una collocazione ester-na dell’opera, giacché il profilosommitale bene si adatterebbeanche a costituire l’elemento cen-trale della lunetta di un portale.A prescindere dalla sua funzione,la complessiva buona qualità delpezzo riflette i modi figurativi delmaturo Romanico padano, quisintetizzati nella salda volumetria

del personaggio e nella caratte-rizzazione di dettagli quali i gran-di occhi sgranati o la precisa scan-sione dei panneggi. Ne conse-gue, nonostante la difficoltà a sta-bilire la provenienza dell’opera,una sua plausibile datazione allaseconda metà del XII secolo, conla possibilità di sfociare agli albo-ri del secolo successivo, qualorasi volesse ravvisare nella sculturaun gusto di matrice antelamica.Francesco Gangemi

Bibliografia: inedita.

I.23

Scultore dell’Italia meridionaledella metà del XIV secoloSanto vescovomarmo, altezza 63 cmRoma, Fondazione Dino edErnesta Santarelli, inv. 114

Il rilievo raffigura, all’interno diun’arcata poco profonda, un per-sonaggio barbuto, che tiene conla mano sinistra un libro chiuso econ la destra un pastorale. Que-st’ultimo – caratterizzato peraltrodal ricciolo a forma di piccolo dra-go – e la mitra concorrono concertezza a identificare l’uomo co-me vescovo. Decisamente arduosembra invece stabilire con pre-cisione l’identità del religioso, vi-sta la genericità degli attributi, an-che se non escludo che possatrattarsi di un santo vescovo.Esposta alla mostra “Raccoltad’Arte 2003” (Raccolta d’Arte2003, p. 12) con l’attribuzione aun artista umbro-marchigiano delTrecento e la pertinenza a un pa-liotto o a un’iconostasi, l’operapuò essere invece più agevol-mente inserita nella produzionescultorea dell’Italia meridionaledella metà circa del XIV secolo, ri-conoscendo in essa la fronte diuna cassa tombale. Osservandoinfatti i numerosi sepolcri realiz-zati nel meridione nel Trecento,inquadrati nella troppo genericadefinizione di “arte tosco-napole-tana” o di “maniera tinesca”, sinota un’analoga scansione dellaparte inferiore dei sarcofagi attra-verso una sequenza di arcate (se-micircolari o polilobate), in cui so-no inserite figure di santi, in piedio a mezzo busto. Per di più, nelnostro caso, sono anche le di-mensioni della figura, il taglio diquesta all’altezza delle cosce, non-ché la particolare conformazionedei bordi del rilievo a spingere ver-so l’appartenenza a una fronte disarcofago della cosiddetta tipolo-gia “tosco-napoletana”. Nello specifico credo che la lar-ghezza maggiore del bordo sini-stro dell’arcata indichi che la scul-tura doveva trovarsi in origine al-l’estremità sinistra del frontale del-la cassa, al termine quindi della se-

quenza di arcate. Anche stilistica-mente, nel vescovo della collezio-ne Santarelli è evidente un lega-me di fondo con l’eredità lasciatada Tino di Camaino e dalla sua bot-tega a Napoli e nel Sud Italia, fer-mo restando la complessità di ap-porti presenti nella plastica meri-dionale del Trecento (tosco-napo-letano appunto, francese, locale),che però la decontestualizzazionedel pezzo in esame non permettedi approfondire. Manuela Gianandrea

Bibliografia: Raccolta d’Arte 2003,p. 12.

I.24

Gregorio di Lorenzo(Firenze, 1436 circa – Forlì,1504 circa)Madonna con Bambinomarmo, altezza 49 cmRoma, Fondazione Dino edErnesta Santarelli, inv. 124

Lo scultore fiorentino Gregorio diLorenzo – a cui da appena un de-cennio è stata restituita identitàanagrafica, rimasta lungamentenascosta dietro al nome di co-modo di Maestro delle Madonnedi marmo – fu principalmente unabile artefice di figure e rilievi dipiccolo formato, realizzati in grannumero nel corso di una vita diviaggi che lo vide attivo, oltre chein patria e in diversi centri tosca-ni, in Campania, in Romagna enelle Marche, nonché in Unghe-ria e Dalmazia. Ampio e signifi-cativo spazio nell’attività dell’arti-sta – a cui faceva riferimento ilvecchio nom de commodité –venne riservato alla produzione diMadonne con Bambino in rilievo,scolpite nel marmo, in alcuni ca-si replicate anche in materiali piùeconomici come lo stucco e laterracotta, e destinate alla devo-zione domestica. Il nutrito corpusdi immagini mariane assegnabilia Gregorio e a suoi collaboratoridocumenta l’adozione da partedell’artista di diverse soluzionicompositive, repliche o parzialireinterpretazioni, in ogni caso, dimodelli di successo usciti dallebotteghe dei più grandi scultorifiorentini del suo tempo, in parti-colare di Desiderio da Settignano– di cui era stato allievo nella se-conda metà degli anni cinquantadel Quattrocento –, di Donatello,Antonio Rossellino, Andrea delVerrocchio e Francesco di Simo-ne Ferrucci. Gregorio traducequesti autorevoli modelli in formenitide, appiattite e stilizzate spes-so marcando le espressioni deivolti con un caratteristico sog-ghigno che indusse Adolfo Ven-turi (1908, pp. 666-667) a definir-lo: “Uno strano scalpellino che faridere angioli e bambini, dai mu-setti di micio”. Il rilievo della col-lezione Santarelli, di sostenuta

qualità in rapporto al catalogo ma-riano dello scultore, propone unoschema formale più volte repli-cato da Gregorio, che ritrae la Ma-dre a tre quarti di figura assisa suun faldistorio, di cui si riconoscela voluta nell’angolo in basso a si-nistra del riquadro, in atto di trat-tenere il Bambino seduto sullasua gamba sinistra. È invece as-sai più raro il gesto della manodestra della Vergine, che sostie-ne il braccio del Figlio dispostonell’atto di benedire; nell’altra ma-no il Bimbo stringe il globo cruci-gero. Dal fondo neutro emergeun sottile festone stilizzato lega-to a due anelli da nastri svolaz-zanti. Il rilievo presenta ancoraevidenti tracce di dorature e restidella colorazione del nimbo delBambino; è inserito in una mo-derna cornice di noce su cui è ap-plicata una targhetta d’ottone conl’iscrizione: “Antonio Rossellino1427-1429, Florence”. L’operaè già appartenuta alle collezioniGagliardi di Firenze e J. PierpontMorgan, celebre magnate dellafinanza e dell’industria siderur-gica, di New York (Catalogo del-la pregevoli Collezioni, 1908, vol.I, p. 78, n. 538; vol. II, tav. X;Sotheby’s, Monaco 14 giugno1981, p. 22, n. 12, con attribu-zione alla bottega di AntonioRossellino; Christie’s Londra, 17aprile 2002, pp. 26-27, n. 37).Carlo La Bella

Bibliografia: Catalogo delle pre-gevoli Collezioni 1908, vol. I , p.78, n. 538, vol. II, tav. X; Caglioti2008, p. 133; Caglioti 2009, p.359; Bellandi 2010, p. 315, III.1.9.

I.25

Bartolomeo Bellano (Padova, 1434-1496)San Girolamo penitente nel deserto, 1460-1470marmo, altezza 54,5 cmBergamo, Accademia Carrara,inv. 98SCZR001 (lascitoFederico Zeri)

Proveniente dal mercato anti-quario, il rilievo raffigura san Gi-rolamo inginocchiato di tre quar-ti davanti al crocifisso, secondola tradizionale iconografia che de-scrive il periodo di eremitaggiodel santo. Un costone di rocciadelimita una grotta il cui ingressoincornicia la figura; nell’interno so-no descritti il cappello cardinalizioe dei libri, suoi consueti attributi.Il santo, vestito solo di un man-to che gli copre l’addome e legambe, è volto verso un teschiopoggiato al di sotto del crocifis-so, mentre in secondo piano è illeone accovacciato. Il rilievo èdanneggiato nell’angolo superio-re destro dove è raffigurato il cro-cifisso.Bacchi (Il conoscitore d’arte…1989, p. 16) lo ha riferito all’am-biente padovano con una crono-logia prossima al 1460. In parti-colare si rilevava la “suggestionedelle opere lasciata da Donatellonella sua attività per la Basilica delSanto”. Veniva inoltre ricordatal’iconografia tipicamente veneta,diffusa nella regione con le ope-re di Mantegna e Marco Zoppo,come ulteriore elemento che ri-conduce questo rilievo a una pro-duzione padovana. Al caratteredonatelliano Bacchi aggiungevala considerazione formale circa lamancanza di asperità della figura,tipica invece della scultura pado-vana dell’ultima parte del secolo,che orienta a ritenere quest’ope-ra realizzata negli anni sessanta.In conclusione lo studioso, confor-tato dal parere di Giancarlo Gen-tilini, suggeriva la possibilità di po-ter identificare l’autore in Barto-lomeo Bellano, allievo di Dona-tello sia a Firenze sia a Padova.Bartolomeo, secondo la discussatestimonianza di Vasari che gli de-dicò una vita (Vellano da Padova),

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133

I.28

Scultore romano del XVII secoloRitratto di Didio Giuliano (?)marmo bianco a grana fine, altezza 37 cm Roma, Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli, inv. 172

La testa, volta con energia versodestra, riproduce la fisionomia diun uomo maturo, dal viso largo esquadrato, con guance piene efronte alta. Gli occhi grandi, conpupilla indicata da un foro circola-re, rivolgono lo sguardo verso de-stra; la bocca ha labbro inferiorecarnoso e labbro superiore na-scosto da folti baffi, le cui termi-nazioni confluiscono in una barbadi media lunghezza, a ciocche fit-te e ricciute, lavorate con l’ausiliodel trapano. I capelli sono accon-ciati in una massa compatta di ric-cioli; marcate stempiature sepa-rano le ciocche pettinate all’indie-tro sulle tempie dalle quattro cioc-chette attorte che si dispongonolungo la fronte. Il collo robusto ètagliato alla base in funzione del-l’inserimento in un busto.La superficie è ben conservata,interessata da piccole scheggia-ture; manca la punta del naso; unsegmento della barba sulla guan-cia destra è riattaccato.Nella testa si riconosce un tipoiconografico tramandato da set-te copie, tre antiche e quattromoderne, che, per il linguaggiostilistico legato alla tradizione an-toniniana, è stato datato unani-memente nell’ultimo decenniodel II secolo d.C., mentre ancoracontroverso è il riconoscimentodel personaggio effigiato, che èstato a lungo identificato con Clo-dio Albino o con Settimio Seve-ro, ovvero, più di recente, con Di-dio Giuliano o con un alto ufficia-le dell’epoca.L’esame comparativo delle copiedimostra che il busto antico oggia Palazzo Braschi (inv. 235) ha co-stituito il modello per la realizza-zione di tutte le riproduzioni mo-derne, compresa quella Santarel-li, che ne ripete con fedeltà le ca-ratteristiche, in particolare nel-l’assetto delle ciocche sulla fron-te. Il busto di Palazzo Braschi è

menzionato per la prima volta nel-l’inventario dei marmi di proprietàdel cardinale Alessandro Albaniredatto nel 1733, in occasionedella loro vendita a papa Cle-mente XII. Non sappiamo se lascultura sia venuta alla luce nelcorso di scavi promossi dall’Al-bani o sia invece confluita nellasua raccolta da una collezione piùantica: tale lacuna conoscitiva nonci consente di appurare in qualemomento sia divenuto noto il ti-po, che dovette godere di un di-screto successo, a giudicare dalnumero di copie moderne (sul ti-po iconografico vedi Balty 1966,pp. 36-39; McCann 1968, pp. 86-91, 128-133, nn. 4-9; K. Fittschen,in Fittschen, Zanker 1985, p. 93,ad n. 81). Alla luce delle attuali conoscenzesembra azzardato proporre per latesta in esame una datazionepuntuale, che sarebbe fondatasoltanto su troppo labili criteri sti-listici.Elena Ghisellini

Bibliografia: Ghisellini in Papini,c.d.s.

I.29

Scultore romano della secondametà del XVII secoloSpellato drappeggiatomarmo, altezza 86 cmRoma, Fondazione Dino edErnesta Santarelli, inv. 67

La scultura è un esemplare di ot-tima fattura in marmo bianco sta-tuario, rappresentante un uomoscorticato con panneggio, coltoin una posa plastica. La testa èscarnificata a metà. Si vedono in-fatti l’osso degli zigomi, le cavitàoculari e nasali, le labbra e i mu-scoli facciali. L’espressione èdrammatica e la rotazione versodestra artificiosa. La scultura appare un’interes-sante commistione tra varie te-matiche legate all’immaginariodella morte: il memento mori, l’in-teresse per il macabro, le vanita-tes e le immagini devozionali con-troriformate. Nel secondo Cin-quecento immagini di scorticati edisossati, riconducibili alle icono-grafie di Marsia e di san Bartolo-meo, si diffusero sempre più inEuropa a seguito della pubblica-zione dei trattati di Andrea Vesa-lio, De humani corporis fabrica(1543), e di Juan de Valverde, Hi-storia del cuerpo humano (1556),prototipi dei manuali di insegna-mento scientifico, volto alla tra-smissione di un sapere basatosull’esperienza diretta e non piùsulla pura teoria. I volumi citati so-no corredati di tavole dettagliateche mostrano l’anatomia umanaraffigurata secondo i canoni rina-scimentali: il corpo umano è pa-ragonato a una fabbrica e rappre-sentato in tutti i suoi meccanismi.Gli artisti usavano questo tipo diimmagini per riprodurre fedel-mente muscoli e corporature per-ché in quegli anni le autopsie era-no vietate. Alla fine del secolo,però, nelle rappresentazioni diécorchés si assiste all’abbando-no graduale dell’attenzione perl’aspetto anatomico privilegiandoinvece il plasticismo, le pose en-fatiche, il rapporto con la statua-ria antica e l’aspetto architettoni-co della figura umana. La nostra scultura si accosta a

questo spirito parascientifico, cheannovera tra i suoi esempi più fa-mosi il bronzetto Écorché delFrancavilla nella Jagellonian Uni-versity di Cracovia (circa 1579) elo Scorticato di Ludovico Cigoli alBargello (circa 1600). Anzi, essaevidenzia un orizzonte ormai ba-rocco, per il quale sembra proba-bile la provenienza da Roma. Susanna Mastrofini

Bibliografia: Premuda 1957, pp.91-132; O’Malley 1965; Saun-ders, O’Malley 1973; Veca 1981,pp. 60-64; Ciardi, Tongiorgi To-masi 1984, pp. 60-64; Harcourt1987, pp. 28-61; Battisti 2000;Sladits 2000; Kemp, Wallace2000; La Costa 2005, cat. 25, pp.84, 317-318.

I.30

Pietro Bernini (Sesto Fiorentino, 1562 – Roma, 1629)Andromeda, 1615-1617 circamarmo, altezza 105 cmBergamo, Accademia Carrara,inv. 98SCZR008 (lascitoFederico Zeri)

Un attento studio sulla statuariaantica – fonti di ispirazione per l’o-pera sono state riconosciute inuna Ninfa che perde il sandalo ein uno dei figli del Laocoonte(Kessler 2005; Migliorato 2007),ai quali va affiancata la celebrataVenere Callipigia, esposta dal1591 nella Sala dei Filosofi di Pa-lazzo Farnese – è all’origine diquesta Andromeda legata allaroccia, che volge lo sguardo al-l’indietro verso l’eroe Perseogiunto a liberarla, come narra Ovi-dio nelle Metamorfosi. L’attribu-zione del pezzo a Pietro Bernini –già avanzata da Zeri in forma du-bitativa, a causa del non eccel-lente stato di conservazione delmarmo, che risente degli effettidella sua originaria collocazioneesterna – venne recuperata daBacchi al momento di pubblicarel’opera (1989) e da allora accoltadalla critica successiva. I fori visi-bili all’interno del corpo della fie-ra ai piedi del personaggio, corri-spondenti a condutture per l’ac-qua, svelano l’originaria apparte-nenza della statua all’apparato de-corativo di una fontana. PietroBernini fu più volte impegnato,come è risaputo, nella fornitura distatue da giardino e di fontane,oggi purtroppo note grazie allemenzioni di fonti e documenti piùche per le testimonianze conser-vate. In rapporto a questo marmoè stata in particolare ricondotta lanotazione di un poemetto di Gre-gorio Ponzio (1615-1616) che at-testa la presenza, in una grottadel giardino dei melangoli nellaVilla borghesiana di Monte Ca-vallo, di una fontana decorata conuna figura di Andromeda pian-gente legata alla roccia, in attesadi essere liberata da Perseo. Lastatua si trova nuovamente men-zionata nella Stima delle Statue

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fu un notevole imitatore della ma-niera di Donatello e, lavorando aPadova, venne chiamato a Romadal papa veneziano Paolo II Bar-bo, che lo impiegò in Vaticano enella Fabbrica di Palazzo San Mar-co (Palazzo Venezia). Per il bio-grafo aretino, in questa sede rea-lizzò il busto del papa, ancora con-servato (Museo Nazionale del Pa-lazzo di Venezia), ma assegnatoalla bottega di Paolo Romano, eper l’erigenda fabbrica disegnòanche l’incompiuto cortile con loscalone, interrotto dall’improvvi-sa morte del pontefice (1471).Ancora, secondo Vasari, “feceper detto papa, e per altri, moltepiccole cose di marmo e di bron-zo” (Vasari 1906, II, p. 606), oltreche numerose medaglie per uo-mini illustri. Di questa presuntaattività tuttavia non vi è traccianella cospicua documentazionequattrocentesca del palazzo. Lasua opera di maggiore prestigiofu la grande statua in bronzo diPaolo II per Perugia, ultimata nel1467, ma rifusa nel 1798. Il ritor-no a Padova è documentato dal1468 e dell’anno successivo è ladecorazione marmorea della sa-crestia con i Miracoli di Sant’An-tonio. A questa fase, segnata daun donatellismo vivace e felice-mente narrativo e da un model-lato ampio e morbido, potrebbequindi appartenere questo rilievoZeri.Stefano Petrocchi

Bibliografia: Il conoscitore d’ar-te… 1989, p. 16; La donazioneFederico Zeri… 2000, pp. 22-23.

I.26

Scultore dell’Italia meridionaledella prima metà del XVI secoloAngelo annunciantemarmo, altezza 115 cmRoma, Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli, inv. 27

Quest’inedita scultura marmoreafece la sua comparsa nel merca-to antiquario col riferimento a unanonimo scultore meridionale at-tivo nella prima metà del XVI se-colo, ipoteticamente identificatocon Antonello Gagini (1478-1536),forse in collaborazione con il figlioAntonino. Ampia fortuna godettein effetti in Sicilia e in Calabria, nelprimo Cinquecento, e proprio gra-zie all’operato di Antonello Gaginie dei suoi discendenti ed emuli,nonché del carrarese Giovanbat-tista Mazzolo, la rappresentazio-ne dell’episodio evangelico del-l’Annuncio a Maria attraverso ungruppo di figure marmoree op-portunamente disposte, e offertealla devozione popolare, al di so-pra di un altare. I gruppi apparte-nenti a questa tipologia rimasti inloco, o di cui si conservano tutti oi principali componenti (si men-zionano, per Antonello, il suo pri-mo esemplare, oggi nella chiesadi San Teodoro a Bagaladi, data-to 1504, e per Mazzolo le Annun-ciazioni di Santa Maria della Con-solazione a Brognaturo, del 1530-1532, e della Santissima Annun-ziata di Tropea, scolpita intorno al1535), presentano il costante af-fiancamento della coppia statua-ria dei protagonisti dell’Annuncio,correlata in un dialogo di gesti esguardi, pur spesso poggiandociascun personaggio su un proprioindividuale scannello, sovente in-tervallata o affiancata da un ulte-riore elemento marmoreo che ri-produce il leggio della Vergine esormontata da un rilievo raffigu-rante il Padre Eterno o la colom-ba dello Spirito Santo. Le dimen-sioni e la composizione dell’An-gelo in collezione Santarelli si pre-stano alla suddetta destinazioneliturgica e all’inserimento in unanalogo contesto scultoreo, con-fermata anche dall’originario pun-to di vista a tre quarti, che dire-

zionava la figura verso un’effigiemariana già alla sua sinistra, e cheviene svelato dalla mancata rifini-tura del marmo nell’ampia por-zione della statua che doveva re-stare nascosta alla vista. La manodestra, di reintegrazione, svolge-va un cartiglio raccolto all’altezzadel ventre. Carlo La Bella

Bibliografia: inedita.

I.27

Bottega dei Gagini, prima metà del XVI secoloTabernacolo eucaristicomarmo, altezza 87,5 cmRoma, Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli, inv. 226

Questo rilievo costituiva la por-zione centrale di uno smantella-to tabernacolo eucaristico parie-tale, assegnato, al momento del-la sua comparsa sul mercato an-tiquario (Semenzato, Firenze, 15dicembre 2001, pp. 83-84, n. 84),alla bottega di Antonello Gagini(Palermo, 1478-1536), e alla pos-sibile mano del figlio Antonino.Nessun dato permette di risalirealla chiesa di provenienza del-l’oggetto liturgico, che deve ine-vitabilmente aver condiviso il de-stino dei numerosissimi esem-plari italiani della stessa tipologia,per lo più rimossi, alterati o di-spersi dopo che il Concilio diTrento dispose di innalzare il San-tissimo direttamente sulle men-se degli altari, rendendo inutili letradizionali custodie marmoreegià applicate lateralmente sullepareti delle tribune. L’uso di tra-sfigurare illusivamente la profon-dità delle edicole del Sacramen-to ricorrendo all’applicazione –con esiti più o meno coerenti – diuno schema prospettico centra-le, a simulare suggestivi sfonda-ti architettonici, sopravvive inin-terrottamente per l’intero corsodella loro storia, dopo essere sta-ta inaugurata a Firenze alla metàdel Quattrocento. L’impennatadel pavimento che conduce all’a-pertura centrale – in origine ser-rata da un porticina apribile, a pro-tezione della custodia delle parti-cole – rivela l’applicazione anchein questo esemplare del consue-to schema spaziale, per quantoannullato nei suoi effetti illusividall’assenza di ulteriori definizio-ni nella zona superiore, nonchédallo svincolamento delle duecoppie di angeli adoranti da ogniinquadramento prospettico, purempiricamente sopperito dal lo-ro scarto dimensionale. I racemivegetali che decorano l’internodelle lesene laterali e il fregio del-

la trabeazione traducono an-ch’esse in forme piuttosto cor-renti un repertorio attestato nel-la produzione di ambito gaginia-no (per un confronto utile si ve-da, ad esempio, il grande taber-nacolo sacramentale oggi al Mu-seo Nazionale Pepoli di Trapani eproveniente dalla locale chiesa diSan Domenico, ricondotto dellatarda attività di bottega di Anto-nello Gagini). Carlo La Bella

Bibliografia: inedita.

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I.33

Scultore romano del XVII secoloFrammento di Mascherone, marmo, altezza 36 cmRoma, Fondazione Dino edErnesta Santarelli, inv. 65A

È il frammento in marmo biancostatuario di un volto maschile: sipossono vedere i capelli delineatia ciocche morbide, le sopracci-glia folte e i baffi ricci e lunghi.Mancano totalmente le orecchie,la parte retrostante e il mento.Gli occhi, pur non essendo irida-ti, sono comunque espressivi; glizigomi alti mettono in risalto i li-neamenti del naso e qualche ru-ga sulla fronte. Della bocca ri-mane solo il labbro superiore enella parte sottostante si intra-vede parte di un foro circolareche potrebbe essere stato prati-cato appositamente per inserir-vi una cannella. Il frammento in-fatti era verosimilmente usatocome mascherone di fontana;nonostante il labbro inferiore nonsi sia conservato, si può dedur-re che la bocca fosse stata rea-lizzata aperta sin dall’origine perlasciare lo spazio necessario al-l’apertura dalla quale doveva fuo-riuscire l’acqua. Dall’atto di vendita, risulta chel’opera è stata acquistata da unantiquario romano come “scul-tura in marmo bianco raffiguran-te una figura ‘fantastica’, arte delbarocco napoletano, di probabi-le attribuzione ad un artista lom-bardo del XVII secolo attivo a Na-poli, Cosimo Fanzago”. In realtàsembra essere stata eseguita aRoma, da un artista dallo stilenon molto accostabile a quellodel maestro del Barocco napo-letano. Caratteristiche del pezzosono infatti la compostezza del-l’espressione e la fattura equili-brata che, insieme all’osserva-zione della resa dei ricci e deibaffi, permettono di ascrivere l’o-pera alla corrente classicista delSeicento. Se l’uso del frammen-to come spout di una fontana èpraticamente certo, d’altra partenon è possibile determinare innessun modo se fosse il volto diuna scultura a rilievo rappresen-

tante una divinità, oppure se siastato realizzato direttamente co-me mascherone per ospitare ilgetto d’acqua una fontana. Susanna Mastrofini

Bibliografia: D’Onofrio 1986;Castellani 1991.

I.34

Scultore romano della secondametà del XVII secoloErcole fanciullo con il serpentemarmo, altezza 60 cmRoma, Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli, inv. 357

L’opera raffigura Ercole fanciullomentre lotta contro uno dei ser-penti che Era, moglie vendicativadi Zeus, gli aveva messo nella cul-la per causarne la morte, in quan-to frutto della illegittima unione diAlcmena con suo marito. Il sog-getto, già frequente nella scultu-ra antica, gode di una certa for-tuna nel XVII secolo, ideale perpiccoli gruppi scultorei destinatiad arredare le dimore di raffinaticollezionisti. Il marmo deriva daun originale firmato di Ercole Fer-rata (Pellio inferiore, Como, 1610– Roma, 1686), passato in astanel 1987 (Sotheby’s Londra, 10dicembre 1987, lotto 176), com-missionato allo scultore dal ve-neziano Quintiliano Rezzonico co-me pendant di un puttino raffigu-rante “un amore sdegnato” diGiusto Le Court, acquistato nel1679 (Pizzo 2000 e 2002). L’in-terpretazione del tema mitologi-co fornita dal Ferrata tenne con-to di una precedente invenzionedel suo maestro, Alessandro Al-gardi (Bologna, 1598 – Roma,1654), di cui sono noti diversiesemplari in bronzo, come quel-lo oggi conservato a BurghleyHouse, proveniente dalla colle-zione di Richard Mead (1755), ol’Ercole della Galleria Nazionaled’Arte Antica di Palazzo Corsini.L’esistenza di un prototipo algar-diano è inoltre testimoniata dallapresenza di analoghe composi-zioni attribuite all’artista, citate ne-gli inventari delle collezioni Gen-nari a Bologna (1719) e Franzonea Genova.La presenza nello studio del Fer-rata di un bozzetto in terracotta edi un modello in cera dello stessosoggetto riferiti nell’inventario deibeni all’Algardi, anche se ritenutida Montagu non originali (Monta-gu 1985, p. 405, n. 127.L.B.2), puòverosimilmente costituire il traitd’union tra l’invenzione del mae-

stro bolognese e la libera reinter-pretazione dell’artista lombardo. Ilcommittente aveva esplicitamen-te richiesto un’opera “d’invenzio-ne e non copia”, completata e fir-mata dallo scultore (Pizzo 2000 e2002). Ferrata tiene presente ilmodello algardiano, mettendo afrutto al contempo la sua espe-rienza nei cantieri berniniani, edelabora una diversa composizio-ne, connotando l’Ercole di unamaggiore tensione, espressionedella sua “furia”. Il movimentodelle gambe segue quello dellebraccia distese nella lotta, svilup-pandosi in tutte le direzioni, men-tre il volto girato verso sinistraesprime la concentrazione dellosforzo. Il corpo massiccio, il visodalla fronte ampia e la guance pie-ne trovano confronti con diversiputti del Ferrata. Nell’esemplarein esame, il modellato morbido delvolto e dei capelli, con le cioccherilevate, diventa meno accurato inaltre parti anatomiche (come il pie-de sinistro e le mani) e nella resadelle pieghe del lenzuolo, mentreuna certa semplificazione nei det-tagli della culla, rispetto al gruppofirmato, fanno propendere perun’attribuzione a uno degli allievidella sua frequentata bottega.Laura Bartoni

Bibliografia: Old Master Sculp-ture… 1987; Montagu 1985, pp.405-408, nn. 127-127D3; Bacchi1996, pp. 802-803, fig. 393; Piz-zo 2000, pp. 48-49; Pizzo 2002,p. 120; Old Master Sculpture…2011.

I.35

Scultore italiano del XVIII secoloDivinità fluvialemarmo, altezza 91 cmRoma, Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli, inv. 74

L’opera, proveniente dal mercatoantiquario, è entrata recentemen-te in collezione Santarelli. La scul-tura rappresenta una figura ma-schile dalle fattezze apollinee in se-minudità, seduta su un masso roc-cioso, con il busto e la testa rivoltiverso sinistra. La mano destra so-stiene un vaso rovesciato da cuiesce dell’acqua destinata a tra-sformarsi in fiume, mentre la sini-stra sollevata tiene in mano ciò cheresta di un grappolo d’uva. Singo-lari i caratteri iconografici del pez-zo, non riconducibili pienamentealla consueta immagine della di-vinità fluviale di derivazione clas-sica, caratterizzata da figure se-misdraiate e barbute, ma frutto diuna mescolanza di elementi atti-nenti all’acqua con altri di deriva-zione bacchica e apollinea.Il riferimento al modello classicopermea l’opera anche dal punto divista compositivo e formale: nellaposa studiata, nella descrizione del-l’anatomia, nel panneggiare lentoe disteso da cui manca qualsiasiempito barocco. Diversi i possibilirimandi a prototipi antichi, dalla po-sizione delle gambe e delle brac-cia al movimento del manto che,compiendo un’ampia curva sullaschiena, va ad adagiarsi sull’a-vambraccio sinistro, mentre la de-finizione del busto richiama più davicino esempi della glittica, per laresa analitica della muscolatura. Laroccia, definita a colpi di scalpelloe con largo uso del trapano, de-nuncia un fare meno accurato.L’opera sembra priva di riscontrinell’ambito della scultura del XVIIsecolo, anche sul versante classi-cista, e trova più agevole colloca-zione nel XVIII secolo, in un climadi pieno recupero del modello an-tico più che nella sua reiterpreta-zione, come oggetto di arredo pia-cevole e decorativo.Laura Bartoni

Bibliografia: inedita.

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di Monte Cavallo redatta nel1616 da Cristoforo Stati e Pom-peo Ferrucci, ma è indicata co-me “Cleopatra in peperino conun drago alla fontana delle grot-te nel giardinetto dei melango-li” (Negro 1996, pp. 27 e 36, n.51; Zanuso 1999, p. 317). La da-tazione sembra dunque vincolataall’ante quem della testimonian-za poetica di Ponzio, ma Kessler(2005) valuta la possibilità, consi-derando le affinità stilistiche di-chiarate dalla scultura con altrimarmi per esterni eseguiti da Pie-tro Bernini, come l’erma con Pria-po nel Metropolitan Museum diNew York e già a Villa Pinciana(1616) o le celebri Allegorie delleQuattro Stagioni, che lo studiosodata a circa il 1619, di riferire piut-tosto l’opera a un’ignota impresaborghesiana di qualche anno piùtarda, forse proprio quella fonta-na di Villa Mondragone a Frasca-ti ricordata da Baglione, di cui nonresta tuttavia memoria del sog-getto. L’opera proviene dalla col-lezione Parodi di Oneglia, quindinel 1985 circa dalla collezione Ric-cardi ad Assisi.Carlo La Bella

Bibliografia: Il conoscitore d’arte1989, pp. 32-33, n. 9; Negro1996, pp. 27 e 36, n. 51; Zanuso1999; La Donazione Federico Ze-ri 2000, pp. 32-33, n. 9 e pp. 36-37; Kessler 2005, pp. 337-338, A30; Migliorato 2007, pp. 41 e 45.

I.31

Pietro Bernini (Sesto Fiorentino, 1562 – Roma, 1629)Allegoria della Virtù vittoriosasul Vizio, 1610 circamarmo, altezza 42 cmBergamo, Accademia Carrara,inv. 98SCZR009 (lascitoFederico Zeri)

Acquistato da Federico Zeri in-torno al 1960 come opera di artnouveau, proveniente dalla colle-zione Aprosio di Montecarlo, ilpiccolo gruppo scultoreo vennesubito restituito dallo studioso aPietro Bernini, artista di cui ave-va precocemente riconosciuto ilruolo assai significativo nell’am-bito del Manierismo internazio-nale e sul quale progettava unamonografia, mai portata a com-pimento. Rapidi e abilissimi toc-chi di scalpello e di trapano resti-tuiscono nel marmo un animatogruppo di figure, sovrastate dauna giovane donna che lotta vit-toriosamente contro un Centau-ro, tradizionale simbolo del Vizio;vivaci puttini disposti agli angolidella base quadrata cavalcanoaquile e draghi, emblemi araldicidella famiglia Borghese, alla cuicommittenza va dunque ineludi-bilmente riferita l’opera. Consi-derando le dimensioni ridotte delgruppo, e il carattere sintetico enon rifinito della composizione, ilprezioso marmo oggi a Bergamoviene ritenuto un modello prepa-ratorio o dimostrativo per ungruppo plastico di grandi dimen-sioni. Il soggetto allegorico pre-scelto, ricorrente nella decora-zione di vigne e giardini, la stes-sa struttura compositiva del grup-po nonché l’attestata consuetu-dine di Pietro Bernini a forniresculture per esterni, hanno fattopensare che la scena da traspor-re in forme monumentali fossedestinata a decorare una fontana,i cui zampilli si può immaginaresgorgassero dalle bocche deglianimali araldici posizionati alla ba-se del gruppo (Bacchi 1989). Èstato altresì osservato come laposizione arretrata dell’episodiodi lotta rispetto al centro della ba-

se si adatti a una scultura visibileda soli tre lati, soluzione che spie-gherebbe l’appiattimento pre-sente nella zona inferiore del re-tro del marmo, destinato a esse-re apposto contro uno sfondo; lafontana poteva dunque essereambientata all’interno di una grot-ta naturalistica o in una nicchia(Zanuso 1999). L’opera è statadatata intorno al 1610 soprattut-to in virtù delle profonde rispon-denze stilistiche presentate conla celebre pala marmorea conl’Assunzione della Vergine nellacappella del Battistero di SantaMaria Maggiore (Bacchi 1989;D’Agostino 1997-1998). Kessler(2005) pospone invece la data-zione al 1616-1617, epoca in cuiScipione Borghese fu molto oc-cupato nella progettazione delladecorazione scultorea dei giardi-ni delle sue tenute. Come è bennoto Pietro Bernini contribuì al-l’arredo plastico dei parchi delleresidenze del cardinal nepoteeseguendo opere per la Villa diMonte Cavallo, per Villa Mandra-gone a Frascati e per Villa Pincia-na, nei primi due casi senza chele sue realizzazioni siano state an-cora rintracciate. Carlo La Bella

Bibliografia: Il conoscitore d’ar-te… 1989, pp. 30-31, n. 8; Tozzi1989, p. 45; Zeri 1995, p. 152;D’Agostino 1997-1998, p. 166;Bacchi 2001, pp. 48-50; Zanuso1999, pp. 316-317, n. 30; La Do-nazione Federico Zeri… 2000, pp.38-39; Kessler 2005, pp. 339-340,A 31.

I.32

Scultore attivo a Romanel XVII secoloTesta di Socratemarmo nero, altezza 41,5 cmBergamo, Accademia Carrara,inv. 98SCZR013 (lascitoFederico Zeri)

Questo reperto era stato classifi-cato dallo stesso Zeri come ope-ra romana del XVII secolo e iden-tificato come testa di Socrate. Re-so noto da Bacchi (La donazioneFederico Zeri… 2000, pp. 44-45)come ispirato da un modello an-tico, veniva inserito nella cospi-cua produzione romana che dallafine del Cinquecento e soprattut-to nei primi decenni del secolosuccessivo impiegava il marmonero. In particolare, questa scul-tura potrebbe essere l’esito di uncompletamento di un busto anti-co secondo la pratica di restauroprevista fin dalla bottega dei Del-la Porta e poi a lungo esercitatadurante la nascita delle grandi col-lezioni di antichità romane del Sei-cento. Lo stesso Bacchi ricorda-va in tal senso la copiosa attivitàdi Nicolas Cordier per il cardinaleScipione Borghese e i numerosireperti oggi divisi tra la loro collo-cazione originaria nella Villa Bor-ghese e, soprattutto, il Louvredopo l’acquisizione napoleonica.Le note e ammiratissime scul-ture antiche in marmo nero delSeneca morente (Louvre) e delMoro (Louvre) forse di Cordier,oppure il Baccanale di putti (Gal-leria Borghese) e i Cacciatori(Galleria Borghese), eseguiti daGiovanni Campi su ispirazione diDuquesnoy alla metà del Seicen-to, testimoniano del largo suc-cesso di questa raffinata tipolo-gia scultorea spesso arricchitacon altri inserti di marmi preziosi.Nel volto girato verso destra sem-bra potersi riconoscere una tradi-zionale iconografia del filosofo an-tico seppure i consueti tratti sile-neschi siano attenuati conser-vando tuttavia il tipico naso largo,l’ampia fronte con un ciuffo di ca-pelli, che invece ricadono lunghiai lati, e la folta barba che però quinon ricopre il mento prominente,

come solitamente nei ritratti diSocrate. Lo scarto laterale dellatesta suppone una raffigurazionein movimento e quindi subordi-nata a un’azione che potrebbe al-ludere a una delle più comuni rap-presentazioni del filosofo greco,la sua morte o una delle storiecon Diotima o la moglie Santip-pe, oppure a colloquio con i suoidiscepoli.Stefano Petrocchi

Bibliografia: La donazione Fede-rico Zeri… 2000, pp. 44-45.

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137

I.39

Scultore veneto della primametà del XVIII secoloFilosofomarmo, altezza 71 cmRoma, Fondazione Dino edErnesta Santarelli, inv. 133b

I.40

Scultore veneto della primametà del XVIII secoloFilosofomarmo, altezza 71 cmRoma, Fondazione Dino edErnesta Santarelli, inv. 133a

I due busti erano già proprietà diFrank Johnson Hightower. Lesculture, collocate su basi in mar-mo rosa più tarde, raffigurano ve-gliardi barbuti, con il capo coper-to da un manto e l’espressionecaricata, elementi riconducibili al-l’iconografia del filosofo dell’anti-chità, ricorrente nella pittura e nel-la scultura del XVII e XVIII seco-lo. Il lieve scarto dimensionale trai due pezzi, le differenti propor-zioni, nonché il movimento delleteste, l’una quasi frontale imper-cettibilmente girata verso la pro-pria destra e l’altra decisamentevoltata verso lo stesso lato, sem-brano indicare la loro originaria ap-partenenza a una serie, realizza-ta all’interno della medesima of-ficina da mani diverse. L’accentuato naturalismo che de-finisce il volto dei due Filosofi, sol-cato da rughe profonde, e la for-te carica espressiva sono comu-ni a numerosi esemplari prodottiin territorio veneto tra gli ultimi de-cenni del Seicento e i primi del se-colo successivo. In particolare, so-no accostabili tipologicamente al-la serie di busti marmorei nota co-me i Bravi, conservati presso laGalleria Querini Stampalia di Ve-nezia, e a un secondo nucleo ac-quistato sul mercato veneziano al-l’inizio del Settecento per ornareil Giardino d’Estate di San Pietro-burgo, già assegnati da una lungatradizione critica a Orazio Marina-li (Bassano,1643 – Vicenza, 1720)(Semenzato 1966; Androsov1999; Bacchi, Zanuso 2000), marecentemente riferiti a MicheleFabris, detto l’Ongaro (Bratislava,

1644 circa – Venezia, 1684) (Guer-riero 2002). Le corrispondenze so-no principalmente fisionomicheed espressive: nei volti allungatie smagriti, con le guance incava-te e gli zigomi in rilievo, e nella de-finizione della barba realizzata aciocche scomposte. Più stringen-ti confronti sono riscontrabili inuna testa di Eraclito (Bergamo,collezione privata) assegnata in viaipotetica a Fabris (Guerriero inOrazio Marinali e la scultura ve-neta… 2002), dove la resa dellepieghe e delle volute del manto èquasi sovrapponibile a uno dei no-stri Filosofi (cat. n. I.39), mentrel’esemplare n. I.40 è molto vicinoa una testa di Eraclito di ubicazio-ne ignota, attribuita da Guerrieroa Giacomo Piazzetta (Pederobba,1640 – Venezia, 1705) (Guerriero2002).Laura Bartoni

Bibliografia: Semenzato 1966; An-drosov 1999, nn. 68-71 pp. 233-234; Galasso 1999, pp. 225-263;Bacchi, Zanuso 2000, p. 756; FineFrench… 2001; Guerriero 2002,pp. 88-90; Guerriero in Orazio Ma-rinali e la scultura veneta… 2002,schede n. 23, p. 72 e n. 24a-b, pp.73-74; Guerriero 2007, pp. 44, 46,49, 51, 52, 55.

I.41

Scultore romano dell’ultimo quarto del XVIII secolo – primoquarto del XIX secoloBusto d’uomo con basettoniporfido, con base in verde diPrato, altezza 35,5 cm Roma, Fondazione Dino edErnesta Santarelli, inv. 139b

Un uomo dall’abbondante capi-gliatura con ciocche rigonfie e ba-settoni in bella vista è scolpito amezzo busto e in dimensioni ri-dotte, e mostra un lembo delmantello adagiato sulla spalla de-stra. Il busto in porfido egizio pog-gia su una base mistilinea in ver-de di Prato, terminante a volute edecorata al centro con una plac-chetta in porfido. È realizzato enpendant con il Busto di donna ve-lata (cat. n. I.42), di analoghe di-mensioni e sostegno. Il perso-naggio maschile, animato da un’e-spressione di guizzante vitalità,sembra essere colto di sorpresamentre volge lo sguardo verso lapropria destra, la giovane dama –compositivamente speculare – èrappresentata viceversa con la te-sta appena reclinata alla sua sini-stra. La tensione narrativa con cuiè reso l’uomo contrasta intima-mente con la scelta del materialeimpiegato, il porfido, tra i più resi-stenti a essere lavorati e poco usa-to dagli scultori in epoca moder-na, dopo gli esiti raggiunti da Fran-cesco Ferrucci, detto il Tadda, edalla sua bottega a Firenze nel Cin-quecento. Il nostro autore, allo sta-to attuale delle ricerche ancorasconosciuto, manifesta verso ilsuo modello una sorta d’adesioneaffettiva, pressoché assente nelritratto femminile, in cui prevale lafedeltà ai prototipi classici. Nel catalogo di vendita la coppiadi busti era riferita alla manifattu-ra francese e, seppure con mar-gine di dubbio, al Settecento. Lascarsità di paragoni coevi noti ren-de difficile stabilire con certezzala scuola d’appartenenza di que-sta scultura e del suo pendant. Lapaternità romana sembra tuttaviapiù plausibile rispetto a quellafrancese, anche in considerazio-ne della produzione similare rea-

lizzata in porfido nella città eter-na, a imitazione dell’Antico, su ri-chiesta di colti e raffinati colle-zionisti alla fine del secolo XVIII eagli inizi del secolo successivo. Valentina Ciancio

Bibliografia: inedita.

I.42

Scultore romano dell’ultimoquarto del XVIII secolo – primoquarto del XIX secoloBusto di donna velataporfido, con base in verde di Prato, altezza 36 cm Roma, Fondazione Dino edErnesta Santarelli, inv. 139a

La figura femminile rimanda algusto neoclassico sia nel tratta-mento idealizzato del viso, iscrit-to in un ovale quasi perfetto emodellato come un cammeo an-tico nella resa dei capelli, del na-so e della bocca, ma soprattuttodegli occhi e delle pupille. L’hi-mation (antico capo d’abbiglia-mento greco) indossato dalla gio-vane donna mostra una fatturapiù sommaria e una semplifica-zione angolare delle pieghe, com-plice la difficoltà a modellare ilporfido. Tali abbreviazioni, dovu-te al materiale impiegato, nonhanno tuttavia pregiudicato il no-tevole livello di rifinitura del pic-colo busto e del suo pendant,ideati per far parte dell’arredo diuna dimora di grande prestigio.Per le notizie storico-critiche si ri-manda alla scheda I.41.Valentina Ciancio

Bibliografia: inedita.

136

I.36

Scultore romano dell’ultimoquarto del XVIII secoloBusto di moromarmo, altezza 23 cmRoma, Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli, inv. 260

Eseguito verosimilmente su schiz-zi presi dal vero, il piccolo moro èscolpito a mezzo busto e in scalaridotta. Il bianco del materiale im-piegato dà risalto all’aggetto pla-stico del modello di colore, se-condo un ossimoro visivo di sin-golare impatto. La trattazione ori-ginale dell’arcata sopracciliare,che proietta un’ombra profondaintorno allo sguardo, la bella fat-tura della bocca, che conferisceall’espressione un che di carnale,quel segno continuo di clavicola ela fossetta nello sterno sono tuttimezzi che aggiornano con vitalitànuova la tradizione tardo-baroccaromana. In essa vennero rappre-sentati in dipinti, statue e rilievischiavetti e mori ancora sul finiredel Settecento. Più accademicaappare invece la resa dei capellicrespi aderenti al capo e delle pu-pille a virgola profonda, comequella delle orecchie faunesche,che mettono in risalto la convin-zione, al tempo ancora assai dif-fusa, della natura ferina propria al-l’umanità dalla pelle nera. Valentina Ciancio

Bibliografia: inedita.

I.37

Andrea di Michelangelo Ferrucci(Fiesole, 1559 – Firenze, 1626)Bacco, primo decennio del XVII secolomarmo, altezza 185 cmRoma, Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli, inv. 49

Spetta a Sandro Bellesi (2003) l’a-ver riconosciuto in questa scultu-ra priva di documentazione una si-gnificativa testimonianza dell’atti-vità matura di Andrea di Miche-langelo Ferrucci, scultore tra i piùaffermati e dotati della Firenze de-gli inizi del Seicento. Non è al mo-mento nota la provenienza origi-naria del languido e aggraziatoBacco marmoreo, che tuttavia sisuppone abbia elegantemente de-corato un raffinato giardino signo-rile. Il Ferrucci fu più volte chia-mato, durante la sua carriera, arealizzare mascheroni pseudo-an-tropomorfi per esterni e sofistica-te fontane ornamentali; ma furo-no soprattutto i suoi ultimi anni avederlo impegnato nella progetta-zione dell’arredo scultoreo di giar-dini, fornendo ai Medici, a partiredagli inizi del secondo decenniodel secolo, diverse sculture da pre-disporre nel Giardino di Boboli. Idati stilistici del Bacco paiono tut-tavia meglio conciliabili con una da-tazione circoscrivibile al decennioprecedente, durante il quale il fie-solano dimostra di risentire in mo-do particolarmente incisivo del-l’influenza formale e tipologica del-le opere di Giovan Battista Cacci-ni e della sua scuola, come di-chiara eloquentemente la coppiadi angeli disposta ai lati dell’altarmaggiore di San Salvatore inOgnissanti a Firenze, scolpita in-trono al 1615, e formalmente vi-cina al Bacco Santarelli. Opera dirilievo nel non nutrito catalogo distatue marmoree del Ferrucci, laricercata scultura mitologica di-mostra inoltre di emanciparsi daicomuni schemi iconografici deltema bacchico, che nella plasticatoscana del tempo restavano an-cora inevitabilmente suggestiona-ti dal capolavoro michelangiolescogiunto a Firenze da Roma intornoal 1572, e oggi al Bargello. All’au-

torevole modello, che ritrae il gio-vane dio barcollante per gli effettidell’ebbrezza mentre sostiene unacoppa e dei grappoli d’uva – adot-tato ad esempio, in statue famo-se, da Jacopo Sansovino, Giam-bologna e Domenico Poggini – vie-ne preferita una delicata figurastante che mollemente avvicina aun fianco l’antico attributo del tir-so, rapita in un’espressione as-sente che lungi dal rendere gli ec-cessi del vino restituisce piace-volmente “la grazia estatica dellosguardo, perduto nella contem-plazione di un mondo sopranna-turale riservato solo a pochi elet-ti” (Bellesi 2003, p. 22).Carlo La Bella

Bibliografia: Bellesi 2003.

I.38

Pierre Legros (Parigi, 1666 – Roma, 1719)San Stanislao Kostka, 1703 circamarmo, alabastro, altezza 31 cmRoma, Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli, inv. 73

Nel 1702 i Padri della Compagniadi Gesù adattarono a luogo di cul-to un modesto ambiente del no-viziato presso Sant’Andrea al Qui-rinale dove erroneamente si rite-neva fosse spirato il beato Stani-slao Kostka (1550-1568), uccisoa soli diciotto anni da una gravemalattia, nel corso della quale sierano manifestati eccezionali fe-nomeni mistici. Morto in odore disantità, il nobile novizio polaccoera stato oggetto di devozionepopolare prima ancora della suabeatificazione, avvenuta nel 1604;era stato quindi proclamato pro-tettore della Polonia nel 1671 daClemente X, mentre la sua cano-nizzazione risale al 1726. All’in-terno della piccola sala nel citatocomplesso di Sant’Andrea, rin-novata e decorata con stucchi,venne posizionato nel 1703 unprezioso simulacro in marmi po-licromi, che suggestivamente rie-voca il momento del trapasso delgiovane infermo, pronto a rice-vere dal letto di morte l’ultima ap-parizione della Vergine, giunta adaccoglierlo in cielo. Autore dellascultura fu Pierre Legros, artistaparigino ormai pienamente affer-mato nell’ambiente artistico del-la città papale, e che proprio alservizio della Compagnia avevarealizzato le sue imprese più ce-lebrate, quali il gruppo marmoreodella Religione che sconfigge l’E-resia e la colossale statua diSant’Ignazio per l’altare del san-to nella Chiesa del Gesù, l’altaredi San Luigi Gonzaga in Sant’I-gnazio e la statua di San France-sco Saverio a Sant’Apollinare. No-nostante la preoccupazione ma-nifestata da Le Gros per la limi-tata visibilità a cui sarebbe statacondannata l’opera in quella po-stazione appartata, e che lo spin-se a richiederne invano il trasfe-

rirmento all’interno della chiesadi Sant’Andrea, la scultura diven-ne presto famosa, e incisa daJean-Charles Allet già nel 1703.Il successo immediato riscossodall’opera appare comprovato an-che da questa replica in dimen-sioni ridotte, resa nota da Gonzá-lez-Palacios (2007), che la ritieneeseguita sotto la supervisione delmaestro francese, e con una suaparziale partecipazione, in tempiassai prossimi alla realizzazionedella statua maggiore. Lo studio-so ricorda come lo stesso LeGros dichiari esplicitamente diaver supervisionato la lavorazio-ne e di essere direttamente in-tervenuto su opere di un suo do-tato allievo, il carrarese PaoloCampi, riferendo forse di un me-todo di lavoro consueto nella suabottega. Tale ammissione apretuttavia la possibilità di un’attri-buzione allo stesso Campi del pic-colo manufatto policromo. Il modello replica in forme so-stanzialmente fedeli la statua ori-ginale, discostandosene tuttavianell’adozione di un unico mate-riale, il marmo di Carrara, per ren-dere l’intera figura del beato (chenel simulacro originale veste unatonaca in marmo nero del Belgio,e tiene tra le mani due oggetti, unCrocifisso e un’immagine maria-na) e il suo giaciglio (già nel pro-totipo in giallo antico). Conformeè invece la restituzione della pre-ziosa policromia del letto, rico-perto da un drappo in alabastrofiorito orientale e appoggiato suun basamento in verde antico. Unmodello della statua viene ricor-dato da Lione Pascoli nella colle-zione di Pierre Crozat a Parigi, edè probabilmente da identificarecol bozzetto in terracotta oggiconservato al Museo Nazionaledel Bargello a Firenze, che pre-senta dimensioni affini alla piccolareplica marmorea (González-Pa-lacios 2007). Carlo La Bella

Bibliografia: González-Palacios2007.

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139

pp. 94-96) ha indicato alcune se-rie di “quadretti” simili a quelli Ze-ri, che decoravano pareti di galle-rie oppure erano appesi sopra lefinestre di residenze gentilizie. Traquelli posti al primo e al secondopiano del Palazzo Nani Mocenigoa San Trovaso lo studioso ha inparticolare individuato un ovalecon un San Marco che sembrauna replica di questo Zeri.Stefano Petrocchi

Bibliografia: Il conoscitore d’arte…1989, p. 43; La donazione Federi-co Zeri… 2000, pp. 62-63; La scul-tura a Venezia… 2000, p. 756;Guerriero 2002, pp. 73-149: 96.

I.47

Scultore italiano dell’inizio del XIX secoloKoremarmo, altezza 143 cm Roma, Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli, inv. 109

L’erma rappresenta una figurafemminile, forse una divinità,scolpita a tutto tondo. Le bracciasono state volutamente troncateper conferire al pezzo l’aspetto direperto archeologico. L’ovale delvolto è tornito, l’arcata sopracci-gliare e gli occhi sono definiti condelle linee nette e precise, il na-so è dritto, quasi squadrato. Par-ticolare attenzione è concentratanel trattamento della capigliatu-ra: una fitta calotta di riccioli rico-pre la fronte e una corona di fiorile cinge il capo trattenuta da unnastro intrecciato le cui estremitàricadono sulla schiena. I lunghi ca-pelli ondulati sono raccolti con unfermaglio, due grosse ciocche in-vece scendono in avanti, sullespalle. Piuttosto accurata è anchela definizione dell’abito: un chito-ne pesante è sovrapposto a unaveste più leggera, quasi traspa-rente, che copre le braccia: que-st’ultima è definita tramite dellelinee serpentine incise nel mar-mo che ne simulano la morbi-dezza. La stoffa pesante del chi-tone forma delle pieghe con ca-denza verticale, più evidenti emosse nella parte superiore, me-no aggettanti man mano che di-gradano in basso verso il fusto li-scio della base. Nella parte ter-minale della veste invece con-vergono in maniera concentricaverso uno stesso punto con unmovimento inedito, una variazio-ne sul tema introdotta dall’artista.Ci troviamo di fronte a una rivisi-tazione, frutto di un revival. L’o-pera spetta a uno scultore italia-no attivo nel XIX secolo, che pro-pone una rielaborazione di mo-delli ispirati alle korai arcaiche pro-dotte in Grecia tra il VI e il V se-colo a.C., con uno sguardo anchealla coeva scultura etrusca. Si trat-ta probabilmente di un oggetto diarredo, parte di un complesso de-corativo. La scultura deve esse-

re stata custodita a lungo in luo-go protetto, poiché lo stato diconservazione del marmo, lavo-rato in un unico pezzo, è buono enon presenta segni di corrosione,che avrebbero caratterizzato un’o-pera collocata all’esterno. Ilaria Sferrazza

Bibliografia: inedita.

I.48

Randolph Rogers (Waterloo, New York, 1825 – Roma, 1892)Giovane pescatrice indianad’America, 1866 circamarmo scolpito, altezza 86 cmBergamo, Accademia Carrara,inv. 98SCZR045 (lascitoFederico Zeri)

È firmata sul bordo inferiore“Randolph Rogers Rome”. Pro-veniente dal medesimo acquistosul mercato antiquario del Giova-ne Cacciatore (cat. n. I.49) e quin-di dalla stessa precedente collo-cazione come arredo di giardinodi una villa romana, dove si tro-vava ancora negli anni sessantadel Novecento, la figura della Gio-vane pescatrice indiana d’Ameri-ca non era stata tuttavia conce-pita unitariamente. Il riferimentodocumentario al 1866 per il pri-mo soggetto può tuttavia costi-tuire una sicura indicazione ancheper questa statua, i cui dati stili-stici corrispondono perfettamen-te. Inoltre dal diario dell’artista,nel 1867, si citano più volte en-trambe le statue replicate percommissioni private americane(Bacchi in Il conoscitore d’arte…1989, p. 78). Pure esclusivamente legato almercato americano, Rogers tra-scorse gran parte della sua vita inItalia. Allievo di Lorenzo Bartolini,studiò a Firenze per poi trasferir-si definitivamente a Roma. Ap-partenne fedelmente alla schieradell’accademismo neoclassicoitaliano che gli consentì di acqui-sire qualità tecniche e uno stileespressivo ed elegante. Con que-ste premesse si ritagliò un ruolodi primo piano nel movimento delRenaissance Revival americanodalla seconda metà dell’Ottocen-to, ricevendo incarichi per monu-menti pubblici e privati. Tra que-sti vanno ricordate le porte bron-zee della Rotonda del Campido-glio di Washington (1861), ispira-te alla Porta del Paradiso di Lo-renzo Ghiberti, i monumenti diGeorge Washington a Richmond(1860) e quello di Abramo Lincolna Filadelfia (1870). L’adesione ai

temi della storia americana, con-cepiti in forme classiche e toniseveri, decretò anche un notevo-le successo presso la borghesiaamericana, che per mezzo seco-lo sostenne la copiosa produzio-ne del maestro. Una bottega mol-to attiva replicava numerose vol-te i soggetti di maggiore succes-so, come queste due sculture dicui si contano diversi altri esem-plari in collezioni private. A que-sta fase, caratterizzata da com-missioni pubbliche commemora-tive e celebrative (Monumento aicaduti di Gettysburg; Monumen-to ai soldati e marinai di RhodeIsland), si aggiunse tuttavia ancheuna particolare attenzione al te-ma della scultura infantile, pro-babilmente legato anche a unostudio sui primi due figli da poconati, Virginia (nata nel 1858) edEdgerton (nato nel 1860), che fu-rono anche i modelli dei Bambiniche giocano con la tartaruga, scol-piti l’anno precedente (1865) aquesti due giovani indiani.Stefano Petrocchi

Bibliografia: Rogers Jr. 1971, pp.99, 210; Il conoscitore d’arte…1989, p. 78; La Donazione Fede-rico Zeri… 2000, pp. 86-87.

138

I.43

Francesco Celebrano (Napoli, 1729-1814) Testa di donna ridentemarmo, altezza 57 cmBergamo, Accademia Carrara,inv. 98SCZR035 (lascitoFederico Zeri)

I.44

Francesco Celebrano (Napoli, 1729-1814) Testa di uomo ridentemarmo, altezza 57 cmBergamo, Accademia Carrara,inv. 98SCZR036 (lascitoFederico Zeri)

Andrea Bacchi (1989) pubblicaquesti due busti – di identiche di-mensioni e sin dall’origine for-manti una coppia, oggi dotati dibasamenti non originali – con l’at-tribuzione al pittore, scultore e ce-ramista napoletano FrancescoCelebrano, già correntemente as-segnata alle opere e confermatada Teodoro Fittipaldi. Si tratta dieccellenti esempi di teste di ge-nere, rappresentazioni plastichedi “tipi” convenzionali spesso for-temente caratterizzati e caricati,di gran moda nella Napoli sette-centesca per finalità decorative edi arredo. Come rileva lo studio-so, le due sculture costituisconoun unicum nella produzione delCelebrano, che utilizza il marmosolo per le imprese ufficiali e diparticolare solennità e impegno,come i celebri gruppi plastici perla cappella Sansevero a Napoli(1766-1768). Nonostante il pre-zioso materiale utilizzato, questefigure richiamano infatti diretta-mente l’attività dell’artista nelcampo della plastica minore, ov-vero la sua produzione di sta-tuette di porcellana eseguite perla Manifattura di Portici, di cui as-sunse la direzione nel 1771 su in-carico di Ferdinando IV, e soprat-tutto i suoi celebri personaggi peril Presepio in terracotta dipinta,che modellò costantemente nelcorso della sua carriera. Le figu-re presepiali del Celebrano sonotra le realizzazioni più felici dellasua intera attività per l’efficaciaespressiva raggiunta nella resa

dei diversi tipi umani colti dal ve-ro, aperta a spiccate intonazioninaturalistiche spesso al limite del-l’inflessione caricaturale. Lo stes-so taglio compositivo dei busti re-cupera su scala maggiore quellodelle teste in terracotta dei per-sonaggi del Presepio, di cui rie-sce efficacemente a trasporre an-che nel marmo, una volta svin-colato dall’ufficialità degli incari-chi maggiori, il felice dinamismoe la vivezza espressiva.Carlo La Bella

Bibliografia: Il conoscitore d’arte1989, pp. 56-57; La DonazioneFederico Zeri 2000, pp. 70-71.

I.45

Giovanni Bonazza (Venezia, 1654 – Padova, 1736)San Luca evangelista, 1700-1710marmo, altezza 26 cmBergamo, Accademia Carrara,inv. 98SCZR026 (lascitoFederico Zeri)

Il rilievo è pendant dell’evangeli-sta Marco. Acquistato da Zeri nel1953 a Parigi (presso l’HotelDrouot), proviene probabilmenteda una collezione veneziana do-ve doveva essere inserito, insie-me agli altri evangelisti, come de-corazione architettonica. Il voltodel santo di profilo presenta a si-nistra la testa del bue, descrittacon potente realismo, che ricadesulla spalla dell’evangelista. Il tra-dizionale tema iconografico deglievangelisti si colora qui di un’i-nedita nota sentimentale che tra-valica la consueta contrapposi-zione tra la figura e il simbolo.È stato presentato per la primavolta da Bacchi (Il conoscitored’arte… 1989, p. 43) insieme al-l’altro evangelista e a quattro ri-lievi di soggetto allegorico, sem-pre della collezione Zeri, conser-vati anch’essi nell’AccademiaCarrara di Bergamo, entrambi at-tribuiti allo scultore vicentino Ora-zio Marinali. Figlio d’arte – suo pa-dre era lo scultore e intagliatoreFrancesco – svolse il suo primoapprendistato nella bottega di fa-miglia che si era trasferita dallanatia Angarano a Vicenza già nel1666, insieme ai fratelli France-sco e Angelo, stabilendo con que-st’ultimo un successivo legamedi collaborazione. È stato imma-ginato un periodo formativo a Ro-ma, peraltro mai documentato,ma è a Venezia, in particolare sot-to la guida dello scultore fiam-mingo Just de Court, che con-dusse le sue esperienze più im-portanti e feconde. Il successo el’attività dei Marinali raggiunse inbreve le maggiori città venete, daVenezia a Padova a Verona, perla realizzazione di statue o com-plessi decorativi. Largamente at-tivo anche per le commissioni pri-vate, Orazio dette libero sfogo a

una fiorente fantasia stilistica eiconografica soprattutto nelle de-corazioni per giardino. Il caratte-re estroso, il gusto spregiudicatoper l’invenzione, il contrasto lu-minoso delle forme, influenzaro-no largamente la scultura venetadel Settecento, precorrendo la ci-viltà del rococò. È in riferimentoa questo aspetto e in particolareal periodo di attività legato alla de-corazione del Santuario di MonteBerico (1690-1703) che Bacchi ri-feriva questi rilievi a Marinali. Di altro avviso Guerriero (2002, p.96), che invece li riconduce en-trambi convincentemente allaproduzione di Giovanni Bonazza.Il confronto fra i rilievi Zeri e altri,ovali o rettangolari, creati per gal-lerie di palazzi o destinazioni pri-vate da Bonazza (Guerriero 2002),figg. 67-69), in particolare quellicon soggetto religioso del palaz-zo veneziano Nani Mocenigo aSan Trovaso, evidenzia stringen-ti affinità stilistiche, tali da potersostenere validamente quell’at-tribuzione delle opere di Zeri.Stefano Petrocchi

Bibliografia: Il conoscitore d’arte…1989, p. 43; La donazione Federi-co Zeri… 2000, pp. 62-63; La scul-tura a Venezia… 2000, p. 756;Guerriero 2002, pp. 73-149: 96.

I.46

Giovanni Bonazza (Venezia, 1654 – Padova, 1736)San Marco evangelista, 1700-1710marmo, altezza 26 cmBergamo, Accademia Carrara,inv. 98SCZR027 (lascitoFederico Zeri)

Il rilievo proviene da Parigi (HotelDrout), in coppia con il San Luca.Reso noto da Bacchi (Il conoscito-re d’arte… 1989, p. 43) con il rife-rimento allo scultore vicentino Ora-zio Marinali, veniva ipotizzato co-me proveniente dalla decorazionedi una cappella e giudicato prossi-mo alla produzione a cavallo tra idue secoli dell’artista, in particola-re all’attività legata al Santuario diMonte Berico (1690-1703). A quest’attribuzione si è oppostoGuerriero (2002, p. 96), che rico-nosceva invece nelle due scultu-re Zeri una produzione dell’artistaveneziano Giovanni Bonazza.Questi fu il più autorevole espo-nente di una delle maggiori fami-glie di scultori veneti del Sette-cento. Legato inizialmente, comeMarinali, allo stile del fiammingoJust de Court, si accostò in se-guito al carattere più drammaticodella produzione di Filippo Parodi,soprattutto a seguito del suo tra-sferimento a Padova (1696), do-ve divenne il più importante scul-tore cittadino, dopo l’immediatosuccesso ottenuto con l’attività le-gata alla Basilica del Santo. Ope-roso nei principali edifici ecclesia-li, realizzò la sua opera maggiorecon il monumentale altare del-l’Annunziata nella Chiesa dei Ser-vi, in cui si manifesta un primo se-gno di leggerezza delle forme inluogo della pesantezza tardoba-rocca. Largamente presente an-cora per il rinnovamento delle piùimportanti chiese veneziane neiprimi due decenni del Settecen-to, conobbe vasto successo an-che nelle commissioni private, so-prattutto per l’arredo di giardini(Villa Pisani a Stra), fino a parteci-pare all’invio di statue per i mo-numentali parchi di San Pietro-burgo. In questa produzione de-stinata a privati Guerriero (2002,

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141

II.51

Scultore romano della secondametà del I secolo d.C. (età flavia)Quadretto con maschere teatralimarmo pentelico, altezza 22,2 cmRoma, Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli, inv. 253c

Il frammento di quadretto mar-moreo (pinax) è spezzato secon-do linee di frattura irregolari. Lafaccia principale, lavorata ad al-torilievo, è molto danneggiata;essa esibisce una coppia di ma-schere teatrali maschili della tra-gedia greca su sfondo roccioso.Della prima maschera, in posi-zione frontale, si conserva solol’alta parrucca (onkos) a boccolicalamistrati ricadenti ai lati delvolto, interamente perduto; la se-conda maschera, di profilo a de-stra, è di un personaggio barba-to con capelli ricci e voluminosi,caratterizzato da un’espressionecollerica. La faccia secondaria delquadretto in discreto stato diconservazione è, invece, scolpi-ta a bassorilievo. Il campo figu-rato, delimitato da una semplicecornice a listello piatto, mostrauna coppia di maschere siste-mate su balze rocciose. In primopiano è raffigurato Pan con chio-ma fluente, lunga barba trattataa ciuffi attorcigliati in boccoli al-le estremità, naso camuso e lab-bra stirate in sorriso beffardo.Sulla fronte, aggrottata e attra-versata in orizzontale da pieghecarnose, sporgono, formando unciuffo ribelle, tre ciocche di ca-pelli pettinate all’insù. La porzio-ne centrale della barba e dellacapigliatura di Pan, comprese lecorna, sono scheggiate. Il ba-stone nodoso e ricurvo (pedum),attributo del dio-caprone, poggiasulla porzione di cornice sotto-stante la maschera, restando ap-pena visibile sullo sfondo delpaesaggio roccioso. In secondopiano è rappresentata la ma-schera di un giovane satiro im-berbe, con bocca spalancata evolto accigliato; i capelli corti so-no trattati a ciocche scomposte

con caratteristico ciuffo drittosulla fronte.Si tratta di un rilievo destinato al-l’ornamento di un giardino an-nesso a un’abitazione romana(sulla categoria fondamentaleCain 1988); il foro praticato sulmargine inferiore della cornice neconsentiva il fissaggio a un sup-porto come una colonnina o unpilastrino. L’uso moderato del tra-pano – limitatamente alla facciaanteriore – e l’esistenza di esem-plari analoghi indicano per il ma-nufatto una probabile provenien-za urbana e una datazione intor-no agli anni 70 del I secolo d.C. Alessandra Avagliano

Bibliografia: Avagliano, in Papinic.d.s.

II.52

Scultore romanodel III-IV secolo d.C.Disco centrale di labrumporfido egiziano, altezza 39 cmRoma, Fondazione Dino edErnesta Santarelli, inv. 272c

Si tratta del disco centrale, umbili-cum, di un labrum, composto daun anello a tondino, che delimital’ampia cupola emisferica con bot-tone nel mezzo, inscritto in duecerchi concentrici.Per labrum si intende una grandevasca dal fondo piatto, spesso conun labbro incurvato verso l’ester-no, poggiante su un supporto uni-co centrale. Normalmente questotipo di bacini era utilizzato nei ba-gni privati e nelle terme pubblichecome contenitore di acqua, ma po-teva anche essere inserito in fon-tane pubbliche. Nei cortili avevafunzione sia ornamentale che diutilità, come vasca di transito perl’acqua di irrigazione.I bacini più prestigiosi erano rea-lizzati in porfido, dato il pregio e ilvalore del materiale, che era im-piegato per opere di committenzaimperiale. I labra porfiretici hannonormalmente grandi dimensionicon diametri superiori ai 2 metri,come quello del Museo Bardini diFirenze (inv. 242), la “Tazza” di Pa-lazzo Pitti o quello del Museo Ar-cheologico di Napoli, fino a casi ec-cezionali come la vasca della SalaRotonda del Museo Pio-Clemen-tino (inv. 261), che arriva a 4,76metri.Dall’esame dei labra conservatinon si può individuare una correla-zione tra il diametro del disco cen-trale e quello complessivo della va-sca. Il nostro frammento dovevaappartenere a un bacino di alme-no 2-3 metri di diametro.Per la presenza dell’ombelico ilpezzo può essere probabilmenteassegnato al tipo I o al tipo VIII del-la classificazione Ambrogi ed è da-tabile al III-IV secolo d.C. (per laclassificazione dei labra porfireticivedi Ambrogi 2005, pp. 74-82).Francesca Licordari

Bibliografia: inedita.

II.53

Scultore romano del I-II secolo d.C.Frammento di vasobasanite (grovacca), altezza 29 cmRoma, Fondazione Dino edErnesta Santarelli, inv. 272d

Si tratta del frammento di un va-so, come ci indicano le ridotte di-mensioni dello spessore. Sullaparete esterna è visibile un moti-vo decorativo a rilievo dato da ele-menti fitomorfi, quali un ramocon foglie di quercia e ghiande.Sul lato destro conservato il ramoè avvolto da un nastro con ungrande fiocco. Sotto il ramo cor-re una decorazione costituita dadue fasce ondulate, che si so-vrappongono in alternanza.Il pezzo faceva parte del cratereconservato nei Musei Vaticani(Magazzino Ponteggi, inv. 10511)e deve essere collocato, sulla ba-se dell’andamento delle foglie diquercia, in corrispondenza del-l’ansa mancante, come ha ipotiz-zato Dario Del Bufalo.L’opera è realizzata in scisto ver-de del Wadi Hammamat. Si trat-ta di una grovacca o basanite,detta dagli egiziani pietra bekhen,proveniente dal deserto orienta-le egiziano, che si caratterizza perun colore scuro tendente al ver-de. Questo materiale era già par-ticolarmente pregiato e apprez-zato dagli Egiziani, che lo utilizza-vano quasi esclusivamente per leraffigurazioni di faraoni e divinità.Dopo un periodo di abbandonodelle cave in età tolemaica, que-ste vengono riaperte dai Romani,che impiegano tale materiale so-prattutto nella ritrattistica e nel-l’arredo delle dimore. Sulla base di un confronto con uncratere analogo a Villa Adriana,l’opera può essere datata al I-IIsecolo d.C.Francesca Licordari

Bibliografia: Gnoli 1988, p. 112,fig. 88; Grassinger 1991, p. 222,EI 5, M; Belli Pasqua 1995, p.110, n. 71, tav. LXXV.

II.54

Scultore romanodel II secolo d.C.Elemento di panneggioalabastro fiorito, altezza 30 cmRoma, Fondazione Dino edErnesta Santarelli, inv. 272h

Si tratta di un elemento orizzonta-le, che formava insieme ad altrielementi “a fette” una statua pan-neggiata femminile, realizzata inalabastro fiorito. Nella parte supe-riore è visibile il foro per l’alloggiodel perno metallico, che la dovevatenere congiunta con un altro bloc-co di marmo. Questa tecnica è uti-lizzata nella statuaria romana nel I-II secolo d.C. ed è la stessa che siusava in architettura per tenereuniti i rocchi delle colonne doriche.Il panneggio del vestito presentadelle pieghe verticali profonda-mente incise, che consentonouna datazione del pezzo al II se-colo d.C.L’alabastro fiorito è un materialedal caratteristico colore giallo conmacchie o striature di varie formee di molteplici tonalità come il gial-lo, il bruno e il rosso corniola. Se-condo Raniero Gnoli (1988, p. 225)questo materiale sarebbe da iden-tificare con il marmo di Ierapoli inFrigia (nei pressi dell’odierna Pa-mukkale in Turchia), che è utiliz-zato in epoca romana dalla finedell’età repubblicana – Straboneparla di una sua introduzione in etàaugustea – fino al IV secolo d.C.La varietà impiegata per questopezzo presenta una banda oriz-zontale di colore più scuro, moti-vo che si sarebbe probabilmenteripetuto parallelamente in tutta lastatua, creando un vivace effettocromatico.Il frammento è presumibilmenteuno di quelli citati da Gnoli, che af-ferma di aver visto “un panneggiodi statua fatto a tanti pezzi sovrap-posti, sì che gli strati venissero aformare tante bande orizzontali,saldati internamente da un pernodi bronzo”.Francesca Licordari

Bibliografia: Gnoli 1988, p. 225.

140

I.49

Randolph Rogers (Waterloo, New York, 1825 – Roma, 1892)Giovane cacciatore indianod’America, 1866 circamarmo scolpito, altezza 95,5 cmBergamo, Accademia Carrara,inv. 98SCZR046 (lascitoFederico Zeri)

La scultura raffigura un bambinonell’atto di caricare la freccia di unpiccolo arco tenuto in basso, pro-spiciente la gamba sinistra; unabisaccia pende sul gluteo destrotenuta da una cinta sull’addome,su cui ricade una pelle di anima-le che ricopre il pube; ha il voltorivolto verso destra con una ca-pigliatura riunita in alto, secondouna moda degli indiani d’Ameri-ca. È firmata sul bordo inferiore“Randolph Rogers Rome”.Nonostante le apparenze, non ècerta una nascita in pendant conla Giovane pescatrice (cat. n.I.48). Entrambe provengono dauna villa romana dove fino agli an-ni sessanta del Novecento costi-tuivano l’arredo di un giardino. So-no pervenute nella collezione Ze-ri dal mercato antiquario negli an-ni settanta. L’opera rappresentaun caso pressoché unico in Italiadella produzione dello scultoreamericano che, pur lavorando esoggiornando a Roma dal 1851,destinava tutta la sua attività almercato americano. L’unica altraopera conosciuta conservata inItalia è la replica di un suo impor-tante rilievo, il Volo dello Spirito,che orna la tomba di famiglia nelcimitero monumentale romanodel Verano.Come rileva Bacchi (Il conoscito-re d’arte… 1989, p. 78) l’inven-zione di questa scultura risale aprima del 1866, quando la gior-nalista C. Walker ricordava un pic-colo cacciatore nello studio del-l’artista. Tale dato è confermatodal diario dello scultore, che nel1867 annotava numerose com-messe per le due sculture, tutta-via destinate a vendite separate(Rogers Jr. 1971, p. 210). Dell’o-pera esisteva un calco che, come

tutti gli altri della bottega di Ro-gers, venne conservato fino al1941 nella collezione dell’Ann Ar-bor University.Il tema iconografico corrispondeal clima del romanticismo ameri-cano di quegli anni, in cui venivaevocato il motivo delle origini edella natura primigenia con la rap-presentazione delle popolazioniindigene americane secondo i ca-noni del Renaissance Revival. Siail motivo del bambino con l’arcosia, parzialmente, la composizio-ne della figura risalgono al cele-bre modello lisippeo di Eros chetende l’arco, di cui il noto esem-plare romano conservato nei Mu-sei Capitolini potrebbe aver ispi-rato lo scultore americano.Stefano Petrocchi

Bibliografia: Rogers Jr. 1971, pp.99, 210; Il conoscitore d’arte…1989, p. 78; La donazione Fede-rico Zeri… 2000, pp. 86-87.

II.50

Scultore egizio dell’epoca diAmenhotep III (1403-1365 a.C.)o romano del II secolo d.C.Testa di leoneporfido egiziano, altezza 16 cmRoma, Fondazione Dino edErnesta Santarelli, inv. 256

Il pezzo raffigura una testa di leo-nessa, i cui tratti del volto sono re-si con grande forza espressiva. Gliocchi e le narici sono realizzati me-diante fori incisi. Il naso è sensi-bilmente schiacciato; la bocca èspalancata e particolarmente pro -fonda. Sul muso si vedono appe-na incisi i segni delle vibrisse.Il materiale utilizzato è il porfidorosso egizio, marmo di provenien-za egiziana particolarmente ap-prezzato nell’antichità romana, tan-to da diventare in breve tempo ilmateriale imperiale per eccellen-za. Le cave, situate sul MonsPorphyrites nell’attuale località diGebel Dokhan, erano di proprietàdell’imperatore e solo quest’ulti-mo poteva autorizzarne l’utilizzo.Se in età romana abbiamo unaconsistente diffusione di questomarmo, il suo impiego in ambitoegizio è molto più ridotto. Non siconosce, infatti, statuaria porfireti-ca egizia a eccezione di qualchesporadico pezzo ricavato con bloc-chi di marmo rinvenuti in prossi-mità delle cave. Lo sfruttamentovero e proprio inizia solo con l’im-peratore Traiano, nel 113 d.C., conl’estrazione regolare del materiale.Secondo testimoni dell’epoca, latesta sarebbe stata rinvenuta du-rante scavi effettuati a Karnaknel XIX secolo e, quindi, espor-tata per la vendita in Inghilterra.Se questa notizia fosse confer-mata, saremmo in presenza diun reperto eccezionale per la suaantichità, in quanto i tratti stili-stici riconducono all’epoca del fa-raone Amenhotep III (1403-1365a.C.). In Egitto il leone è utilizza-to abitualmente per le raffigura-zioni di divinità come Sekhmet oTefnut, ma questo tipo non tro-va lì alcun riscontro. Sembrapiuttosto un custode di tombacon la bocca aperta in atteggia-mento minaccioso.

Tuttavia l’opera sembra più vici-na all’ambito romano. Il retro nonlavorato suggerisce l’ipotesi chela testa possa essere stata stac-cata dal trapezoforo di un sarco-fago. In questa seconda ipotesi,appoggiata da De Marchi e DelBufalo, il pezzo sarebbe databileal II secolo d.C.Francesca Licordari

Bibliografia: inedita.

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II.58

Scultore romano dell’iniziodel XVI secoloTesta di fanciullomarmo, altezza 19 cmRoma, Fondazione Dino edErnesta Santarelli, inv. 217

La scultura fu comprata come“opera di scultore attivo a Firen-ze della prima metà del XVI se-colo”. Ma questa Testa di fan-ciullo sembra piuttosto esserestata realizzata da uno scultore ro-mano nei primissimi anni del Cin-quecento. Il pezzo, seppur man-cante di parte del labbro superio-re, del naso e del mento, si pre-senta di buona fattura. Le guan-ce leggermente paffute, la boccapiccola ma carnosa, le labbra ap-pena socchiuse, le orecchie mol-to allungate, gli occhi un po’ in-cavati e iridati; una scriminaturache attraversa la chioma descrit-ta ciocca per ciocca e terminan-te in morbidi riccioli che incorni-ciano il viso: tutti questi elemen-ti nella resa fisiognomica del fan-ciullo fanno accostare indubbia-mente la piccola scultura a unodei tanti marmi antichi che si po-tevano ammirare nella Roma diprimo Cinquecento. L’amore perl’Antico è notoriamente uno deitratti principali del Rinascimentoitaliano che, se nel Quattrocentosi ammantava di un’aura quasimagica e di elementi eruditi e an-tiquari, nel secolo seguente ac-quista una connotazione diversa:lo studio è ora funzionale a pro-porre una cultura fatta di forme elinguaggi rinnovati. Per questomotivo i modelli antichi vannocercati, scavati, esaminati, misu-rati. La Testa di fanciullo in mo-stra è sicuramente una testimo-nianza del rinnovato modo diguardare all’antichità, che pre-suppone un più maturo approc-cio filologico e un’osservazionediretta che sfociano nella realiz-zazione di opere après l’antique.Non è da escludere che la testi-na possa essere stata scolpitaper restaurare e reintegrare un’o-pera antica, conferendole in que-sto modo valore e pregio artisti-co maggiori. Come ricorda Vasa-

ri, infatti, “hanno molta più graziaqueste anticaglie in questa ma-niera restaurate, che non hannoque’ tronchi imperfetti e le mem-bra senza capo o in altro modo di-fettose e manche” (Vasari).Susanna Mastrofini

Bibliografia: Vasari 1906, IV, pp.579-580; Vlad Borrelli 2003, pp.55-73.

II.59

Scultore egizio del I secolo d.C.Urna cinerariaalabastro melleo egiziano, altezza 39,4 cmRoma, Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli, inv. 137

L’urna, non caratterizzata da de-corazioni, è di forma tronco-coni-ca con due manici conformati amensola, peduccio e coperchiocon presa piriforme terminante apunta. Poggia su un piede a cam-pana, il cui motivo è ripetuto sulcoperchio. Il piede e l’impugna-tura sono stati lavorati a parte.Questi contenitori giungevano dal-l’Egitto favoriti dall’“egittomania”,nata a seguito della conquista del-l’Egitto da parte di Augusto dopola battaglia d’Azio (31 a.C.).Il vaso rientra in una ben cono-sciuta produzione egiziana di og-getti realizzati in marmi pregiati.A Roma urne di questo tipo sonostate rinvenute soprattutto nei co-lombari del I secolo a.C. e dell’i-nizio del I secolo d.C. La formadell’urna, infatti, ben si presta al-l’inserimento all’interno delle pic-cole nicchie funerarie. Un rinve-nimento consistente di vasi diquesto materiale si ha nella ne-cropoli della via Laurentina pres-so l’Abbazia delle Tre Fontane (aquesto proposito si veda S. Bru-ni in De Nuccio, Ungaro 2002, pp.368-370) e nella Necropoli Vati-cana.Se in origine i recipienti in alaba-stro erano stati creati come un-guentari, a Roma vennero adot-tati in ambito funerario.L’uso dell’alabastro fa pensare auna clientela che, mediante lapresenza di materiale di pregionel suo sepolcro, si proponeva disegnalare la propria posizione so-ciale. Nel mondo romano l’alaba-stro sarà pure utilizzato per se-polture di alto livello come quelladi Livilla, figlia di Germanico, equella dell’imperatore SettimioSevero.Si confronti per la forma l’urnapertinente al mausoleo di P. Ver-ginius Paetus a Sarsina e con-servata nel Museo Archeologico

della stessa città. Per l’impugna-tura e la forma del coperchio sivedano due urne nel Museo diLeptis Magna, datate al II secolod.C.Francesca Licordari

Bibliografia: inedita.

II.60

Scultore di ambito federicianodel XIII secoloTesta di leoneporfido rosso egiziano, altezza 20 cmRoma, Fondazione Dino edErnesta Santarelli, inv. 288

La protome leonina risulta man-cante della parte superiore dellachioma, che sembra essere sta-ta scalpellata; la superficie retro-stante si presenta completa-mente piana e polita. La crinieraè stilizzata e delineata a grandiciocche e pochi tratti definisconogli occhi, le sopracciglia espres-sive, il naso antropomorfo e il mu-so. Nelle fauci è visibile un foropassante, probabilmente realiz-zato in un momento successivoall’esecuzione dell’opera: servì dicerto per inserirvi una cannella eriutilizzare la protome come ma-scherone di fontana, secondouna pratica piuttosto diffusa. Ilpezzo risulta affine alle protomileonine della Dumbarton OaksCollection, Washington D.C. (invv.53.6-53.6), anch’esse in porfido eattraversate da un foro passante.In esse, inoltre, il naso, le guan-ce e la criniera sono realizzati inmodo molto simile e la caratteri-stica più evidente è l’aspetto an-tropomorfo. Questi leoni sonoconsiderati opera di scuola nor-manna del secondo quarto del XIIsecolo, per confronto con il leo-ne che si trova su una moneta dirame coniata sotto Guglielmo II(Deér 1959, fig. 142) e con dueleoni nella Cappella Palatina a Pa-lermo: quello del pulpito per so-pracciglia e guance e quello delclipeo a mosaico sopra il tronoper il naso antropomorfo. Il con-fronto più stringente, per fatturae morfologia, può istituirsi con ileoni trapezofori della Tomba diFederico II nella stessa cappella;in particolare, il leone del lato sud-est presenta le stesse sopracci-glia aggrottate della nostra pro-tome e il leone del lato nord-ove-st è simile per il rigonfiamentodelle guance, che emergono dal-le linee che segnano gli occhi, leaperture nasali e le fauci. L’ipo-

II.55

Scultore romano del II-III secolo d.C.Testa di Erosmarmo giallo antico, altezza 14,5 cmRoma, Fondazione Dino edErnesta Santarelli, inv. 16

La testa, ben scolpita e in buonostato di conservazione, facevaparte di una piccola erma.Gli occhi, piuttosto grandi, sonoincavati per accogliere un riempi-mento di altro materiale. Ciò met-te in risalto le arcate sopracciliarie le palpebre inferiori. Il naso èregolare. Le labbra socchiuse so-no sottili e leggermente asim-metriche, atteggiate a un sorrisoaccentuato dalla fossetta sulmento tondeggiante. La fronte èlievemente bombata e le guancesono paffute, a sottolineare la gio-vane età del personaggio.La capigliatura, spessa e ondula-ta, è avvolta da una fascia ed èraccolta sulla calotta cranica inuna treccia, che parte dalla som-mità della fronte e giunge sin qua-si all’occipite. I capelli sono foltie disposti in numerosi ricci, evi-denziati dall’uso del trapano, chescendono lungo le tempie a co-prire le orecchie.Il soggetto raffigurato è un bam-bino e può, quindi, essere iden-tificato con Eros. Il tipo del-l’“Eros bambino” è stato elabo-rato in età ellenistica, soprattut-to come figlio di Afrodite. A Ro-ma il suo atteggiamento infanti-le si diffonde ampiamente, macon un ruolo marginale e quasidecorativo, comunque lontanodalla concezione greca dell’A-more. In questa nuova visione lesue raffigurazioni compaiono innumerosi ambiti e nel nostro ca-so in un’erma.Si tratta di un lavoro di pregio perl’uso del giallo antico. Questomarmo, chiamato per la prove-nienza anche marmor numidi-cum, era estratto dalle cave im-periali della valle del Medjerda, vi-cino alla città di Chemtou in Nu-midia (odierna Tunisia). Era unodei più apprezzati e costosi del-l’antichità, caratterizzato dal co-

lore giallo uniforme, talvolta ve-nato di rosso.Dato l’uso del trapano e il mate-riale impiegato, che si diffonde nelmondo romano a partire già dal Isecolo a.C., l’opera può esseredatata tra il II e il III secolo d.C.Francesca Licordari

Bibliografia: inedita.

II.56

Scultore romano dell’inizio del II secolo d.C.Ritratto di neonatomarmo a grana grossa convenature gialle, altezza 14 cmRoma, Fondazione Dino edErnesta Santarelli, inv. 93

La testina di eccellente fattura ri-trae un neonato dal viso tondo edalle guance paffute; sottili arca-te sopraccigliari inquadrano i glo-bi oculari dalle sacche lacrimali inevidenza. Un tratto conservato aldi sotto del collo suggerisce l’ori-ginaria appartenenza della testi-na a un busto. È in buono stato diconservazione, a parte la perditadi gran parte del naso, di cui re-sta appena la narice sinistra, e dellabbro superiore; presenta abra-sioni specie sull’occhio sinistro.Manca il padiglione auricolare del-l’orecchio sinistro. Una parte deldorso a destra è spezzata con al-cune tracce di bruciatura ai lati delbustino.L’opera, acquistata dalla GalerieSamarcande di Parigi nel 2001, diverosimile destinazione funeraria,rientra in un ristretto gruppo di ri-tratti di neonati, al momentocomposto di cinque esemplari(tra questi si può annoverare unbustino con una tunica da unacollezione privata berlinese editoda M. Flashar, in Römische Bild-nisse 2000, pp. 65-71, n. 6, figg.38-41). La loro rappresentazionenell’antichità, quando l’elevatotasso di mortalità infantile tra ze-ro e cinque anni si aggirava intor-no al 50%, risulta perciò sporadi-ca; più frequenti risultano invecei ritratti di bambini di un’età leg-germente superiore, tra i due e idieci anni. Una probabile motiva-zione per la rarità di simili ritrattirisiede nella tendenza a non rico-noscere una vera e propria indi-vidualità ai bambini appena nati,fino al compimento del primo an-no, come confermano le testi-monianze di alcune fonti lettera-rie (per la rappresentazione degliinfanti nel mondo romano vedi adesempio Backe-Dahmen 2006 eCarroll 2011).I ritratti di neonati a tutto tondo

sinora noti sembrano concen-trarsi nell’età giulio-claudia, nelmomento peraltro in cui nella fa-miglia imperiale si fece forte l’e-sigenza di ribadire la continuazio-ne dinastica attraverso la rappre-sentazione dei giovani discen-denti. Tuttavia, il ritratto Santarellinon pare ascrivibile a tale oriz-zonte cronologico. In assenza del-la capigliatura, che di solito offreil più prezioso appiglio per la de-finizione di una puntuale cronolo-gia, l’elemento datante va indivi-duato nell’analisi dei globi ocula-ri dell’infante: la caruncola benevidenziata nell’angolo internodell’occhio e il taglio netto dellepalpebre richiamano da vicino di-versi ritratti di età traianea, comead esempio una testa di Traianoal Louvre nel tipo “Parigi 1250-Mariemont”.Rosaria Perrella

Bibliografia: Perrella, in Papinic.d.s.

II.57

Scultore romano del III secolo(oppure della fine del XVIIsecolo?)Busto di giovinettomarmo, altezza 19 cmRoma, Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli, inv. 84

L’opera è entrata nella collezioneSantarelli come scultura di scuolaromana di fine XVII secolo. In realtàsembra la replica di un modello an-tico romano. In quel mondo, bustidi bambini di questa tipologia, consimili caratteristiche stilistiche edettagli fisionomici, erano inseritiall’interno di clipei sulla fronte deisarcofaghi funerari. Sono rilevabiliaffinità con esemplari tra III e IV se-colo d.C. conservati nei musei ro-mani (Museo Nazionale Romanoe Museo Lateranense). TuttaviaA.G. De Marchi pensa si tratti pro-prio di un manufatto antico, comepure D. Del Bufalo, che segnalapiccoli interventi successivi di lu-cidatura. La patina spessa potreb-be indicare, a loro avviso, una lun-ga storia collezionistica vissuta dalpezzo. Raffigura un bambino di non più diquattro anni, di cui sono visibili ilvolto, dallo sguardo attonito, e unapiccola parte dell’accollata tunicaromana a pieghe. Il viso largo è ca-ratterizzato dalla fronte alta, conguance piene, mento tondeggian-te e grandi orecchie. Il naso largoha subito dei danni. Gli occhi sonoottenuti con cavità grandi comeglobi oculari. I capelli, con ciocchemosse e segnate dalle incisioni on-dulate dello scalpello, incornicianoil volto. Sono marcate le sopracci-glia, ottenute con piccoli tratti obli-qui. Fori di trapano poco profondiindicano gli angoli degli occhi e del-la bocca e i timpani delle orecchie. Il lato posteriore appare solo sboz-zato e presenta dei fori, praticatimolto probabilmente per l’inseri-mento di grappe metalliche.Barbara Savina

Bibliografia: Bovini 1969, pp. 142,159, 200; Faldi 1992.

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II.63, 64

Vetrine con campionario di marmi antichialtezza circa 190 cmRoma, Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli

Le due vetrine contengono uncampionario di marmi antichi, com-posto da circa 240 mattonelle diforma regolare e quadrata per ogniarmadio. La raccolta è stata costi-tuita intorno al 1830 probabilmen-te a Roma, mettendo insieme ma-teriali da collezioni minori e utiliz-zando due armadi del tardo XVIIIsecolo in legno laccato e dorato.Questi armadi, che dovevano farparte di un mobile più grande –mancano, infatti, della base e delcoronamento – sono stati riadat-tati per l’uso con l’aggiunta di ri-piani intermedi, opportunamenteinclinati e sagomati per facilitarnela visione.I frammenti della collezione si pre-sentano non omogenei: sono sta-ti individuati sei sottogruppi, ac-comunati o dalle dimensioni deicampioni o da elementi più speci-fici come eventuali targhette colnome del marmo, resti di colla sulretro, tracce di doratura sullo spes-sore e presenza di supporti in ar-desia. Date queste caratteristichei marmi non sono stati collocati se-guendo un criterio tipologico, maattenendosi filologicamente ai sot-togruppi individuati.Lì dove si conservano le targhettecon la nomenclatura, sono forniteinformazioni non solo sul nome delmateriale, riportato in latino e in vol-gare, ma anche altri dettagli qualiindicazioni relative alla provenien-za del campione e, dove cono-sciuto, il nome di colui che ha do-nato gli esemplari al collezionista.La raccolta s’inquadra nel gusto perla collezione di marmi antichi e pie-tre preziose che si diffonde a parti-re dal XVIII secolo, com’è attestatodai viaggiatori dell’epoca. Inoltre lebotteghe dei marmorari romani coni loro ampi e a volte esclusivi cam-pionari rendevano possibile il colle-zionismo di marmi colorati a unsempre più largo pubblico di turistie viaggiatori stranieri, innamorati diqueste preziose “reliquie” dell’an-

tichità, che costituivano un ambitoe costoso souvenir da Grand Tour.A Faustino Corsi, autore nel 1828di un trattato fondamentale sullepietre antiche, va il merito di averdiffuso la moda di questo tipo dicollezionismo tra il pubblico col-to. Le pietre erano abitualmenteacquistate e fatte tagliare dagliscalpellini, in modo da disporre dimattonelle di forma regolare e diuguali dimensioni. I campionarierano spesso corredati di un ca-talogo ragionato e metodico.L’opera del Corsi sarà poi corret-ta e integrata dai cataloghi diFrancesco Belli che, insieme alfratello Tommaso, darà vita, ametà dell’Ottocento, a una fortu-nata attività di raccolta di marmisu commissione. Tali raccolte so-no alla base di quelle conservatenelle pubbliche istituzioni.Francesca Licordari

Bibliografia: EAA 1971-1994, p.550, fig. 684.

tesi più probabile è che la proto-me fosse parte di un leone tra-pezoforo realizzato nel XIII seco-lo da un artista di scuola nor-manna, in seguito riutilizzato co-me mascherone di fontana (com.orale D. del Bufalo). Susanna Mastrofini

Bibliografia: Deér 1959, figg. 17,18, 31, 32, 38, 50, 142, 162-171.

II.61

Tommaso Fedeli (Fossombrone, 1599 – Roma, 1658)Putto dormienteporfido, altezza 27 cmRoma, Fondazione Dino edErnesta Santarelli, inv. 246

Il tema del putto dormiente, assainoto grazie ai numerosi prototipiantichi, è qui rappresentato da unraro esempio in porfido rosso, at-tribuito, in base a un riscontro sti-listico, alla cerchia di TommasoFedeli.Lo scultore, come riferisce il Bel-lori in una breve menzione nellaVita di Du Quesnoy, fu sopranno-minato “Tommaso del Porfido”per la sua abilità nella lavorazionedi questo materiale (Bellori 1672,pp. 289-290). Tale pietra, simbolofin dall’antichità di potere e dignitàregale, per la sua particolare du-rezza richiedeva strumenti e me-todi del tutto esclusivi e divenneben presto prerogativa di artistispecializzati, come già riferiva il Va-sari nella Introduzione… alle tre ar-ti del disegno (Vasari 1568, p. 35).Fedeli, originario di Fossombronenelle Marche (Langedijk 1981-1987, I, p. 361), nacque nel 1599.Attivo tra Roma e Firenze, è cita-to già dal 1619 tra le carte Bor-ghese (Faldi 1954, p. 17). Inoltre,nel 1624 riceveva un pagamentoper un busto di Cosimo II oggi agliUffizi, dove gli sono attribuiti an-che i ritratti in porfido e marmo diFerdinando I (Di Castro 1993, pp.150-157) e Ferdinando II (Lange-dijk 1981-1987, I, p. 361). Nel 1627 lo scultore è al serviziodei Barberini, compare infatti neiconti della famiglia per aver scol-pito i rilievi in porfido con i Ritrattidi Camilla e Antonio Barberini, po-sti nella chiesa di Sant’Andrea del-la Valle, e nel 1631 per un secon-do rilievo, copia del Baccanale diputti di Du Quesnoy, appartenutoal cardinale Francesco Barberini ein seguito donato alle reali colle-zioni spagnole, oggi al Prado (cfr.L’idea del Bello… 2000, II, p. 400).La composizione qui esposta ègeneralmente datata intorno aglianni quaranta del Seicento. L’o-

pera è di poco successiva a un’al-tra versione del tema, scolpita inmarmo nero da Alessandro Al-gardi nel 1635-1636 per Marcan-tonio Borghese, oggi conservatanella Galleria Borghese (inv. CLX)(Algardi… 1999, p. 118). Come risulta dai Registri dei Mor-ti della parrocchia di Sant’Andreadelle Fratte, l’artista si spense aRoma il 24 novembre 1658 all’etàdi quasi sessant’anni (Bartoni2012).Francesca Parrilla

Bibliografia: Algardi… 1999, p.118; Bacchi 1996, p. 801; Barto-ni 2012; Bellori 1672, pp. 289-290; Delbrück 1932, pp. 4-7; DiCastro 1993, pp.150-157; Faldi1954, p.17; I marmi colorati…2003, pp. 233- 234; Langedijk1981-1987, I, p. 361; L’idea delBello… 2000, II, p. 400; Old Ma-ster Paintings… 2006, p. 297; Va-sari 1568, p. 35.

II.62

Matteo Ferrucci (Fiesole, 1570 – Firenze, 1651)Vergine Annunciataporfido, altezza 35 cm Roma, Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli, inv. 289

Matteo Ferrucci era nipote pervia paterna dello scultore Fran-cesco di Giovanni detto Del Tad-da, protagonista del recuperodella lavorazione del porfido cheinteressò la Toscana alla fine delCinquecento, in quanto ritenutoinventore “d’una certa acqua at-ta a temperare i ferri per lavora-re la pietra (…) detta porfido”(Baldinucci 1681-1728, p. 535).Alla morte del celebre nonno(1585), sotto la cui guida si eraformato, all’interno dell’attivabottega famigliare in cui opera-vano anche il padre Giovan Bat-tista e lo zio Romolo, ereditò ilsegreto di quella difficile tecnicae si specializzò nella sua appli-cazione, guadagnando nel tem-po ampi consensi e commessedi prestigio. Molto apprezzatoper i suoi ritratti in busto e a ri-lievo, fortemente debitori, anchesotto il profilo iconografico e sti-listico, dei modelli portati al suc-cesso dalla bottega del nonno,Matteo non mancò di utilizzare ilporfido anche per dar vita a im-magini sacre; tra esse le fonti ri-cordano un bassorilievo giovani-le molto celebrato raffigurante ilprofilo del Cristo Salvatore, giànella collezione Pasolini a Faen-za e oggi purtroppo perduto, an-ch’esso derivante da un prototi-po del nonno e firmato dall’arti-sta. Reca incisa sul bordo infe-riore la firma MATTHIAS FERREV-CEVS FLOR. F. anche questo belrilievo raffigurante il busto di pro-filo della Vergine Annunciata, ilcui giovane volto abilmente re-stituito per tre quarti doveva ri-volgersi a un Angelo perduto. Lamorbidezza di questa figura, an-ch’essa recuperata nelle sue for-me rinascimentali dal tradiziona-le repertorio famigliare, ben spie-ga la fama guadagnata dall’arti-sta nella rara arte della modella-zione dell’ostica pietra purpurea.

La figura sagomata è oggi appli-cata su un ovale di marmo grigioinserito in una cornice lignea. Carlo La Bella

Bibliografia: inedita.

III.65

Scultore romano degli annitrenta del II secolo d.C. (età tardo-adrianea)Busto-ritratto maschilemarmo bianco a grana fine,altezza 51 cm Roma, Fondazione Dino edErnesta Santarelli, inv. 235

Proveniente da Villa Lontana –Accademia Nazionale delle Scien-ze, Roma (2000), il ritratto si riveladi grande interesse per la con-servazione dell’intero busto, com-prensivo di cartiglio e base origi-nali. La testa è volta decisamen-te verso la propria sinistra. L’uo-mo raffigurato appare di età avan-zata e con tratti fisionomici indi-vidualizzati. Il volto magro si re-stringe nella parte inferiore. Gliocchi grandi sono infossati nelleorbite. I contorni appaiono segnatida occhiaie e pieghe agli angoli;le palpebre sono spesse. La boc-ca è piuttosto larga, con il labbrosuperiore sottile. Pieghe profon-de sono indicate ai lati del naso edella bocca. Il mento è alto esfuggente. I capelli corti sono pet-tinati in avanti a lunghe ciocchelisce, striate internamente da in-cisioni longitudinali. La fronte èincorniciata da una breve frangia,con una forbice centrale, ai latidella quale le ciocche sono rivol-te simmetricamente verso l’e-sterno, con le punte sfrangiate.Si osserva uno stacco rispetto al-la chioma sulle tempie, lavoratacon maggior rilievo plastico: cioc-che lunghe e sinuose sono con-dotte in avanti formando un’am-pia banda quasi orizzontale al disopra di ciascun orecchio. Il busto nudo e giovanile apparein netto contrasto con le fattezzerealistiche del volto. L’intentoeroizzante conviene a una desti-nazione funeraria. La pettinaturae l’assenza di barba si collocanoancora nel solco della tradizionetraianea (per la pettinatura cfr. tragli altri P. Zanker, P. Cain, in Fitt-schen, Zanker, Cain 2010, p. 82,n. 77, tav. 91), ma le incisioni in-terne degli occhi e la lavorazionedella chioma vivace e ben detta-gliata inducono a sostenere una

datazione nella piena età adria-nea. Le dimensioni del busto, chesupera il taglio ridotto delle scul-ture di epoca flavia e della primaetà traianea, includendo le spallee i pettorali, e la conformazionedella base modanata larga e bas-sa si inseriscono nel clima di spe-rimentazione delle botteghe scul-toree del periodo adrianeo, chedà vita a esiti molto variati per for-ma, dimensioni e decorazione(per la forma del busto e la con-notazione realistica del volto cfr.Goette 1989a, pp. 174, 176-178,tav. 13; per la foggia della basevedi P. Zanker, P. Cain, in Fitt-schen, Zanker, Cain 2010, pp. 72-73, n. 67, tavv. 78-79).La resa della pupilla con un soloforo di trapano suggerisce l’attri-buzione del ritratto a una bottegagreca, ipotesi sostenuta dalla fog-gia del sostegno sul retro del bu-sto, con lati diritti e parte supe-riore ampiamente svasata.Il naso è mancante; la superficiecorrispondente è colmata da unarisarcitura in stucco; un tassellogrigio è inserito entro il sopracci-glio destro. Il padiglione auricola-re destro è di restauro. Rotturevisibili all’angolo esterno dell’oc-chio destro, sulla guancia destra,sulla parte anteriore della calottacranica, sul labbro inferiore e sulmento e sul bordo inferiore dellabasetta. L’occhio sinistro appareritoccato in età moderna. La su-perficie del marmo è consunta, inparticolare la parte anteriore del-la chioma e le labbra. La parte po-steriore della testa e il retro delbusto sono ricoperti di incrosta-zioni calcaree. Laura Buccino

Bibliografia: Buccino, in Papinic.d.s.

III. R

itra

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III.66

Scultore romano dell’inizio del II secolo d.C. (età traianea)Altare-cinerario del veterinarioA. Iulius Myrtilusmarmo a grana fine, altezza 146 cmRoma, Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli, inv. E.D’O.3

L’altare-cinerario, proveniente dal-la famiglia D’Orazio, presenta sullato anteriore entro una nicchiaovale un busto nudo con ritratto,con sotto un’iscrizione in tre ri-ghe: Manibus A(uli) Iuli Myrt/[i]limedici primi factionis/ Venetaeveterinari. Le superfici sono sfa-rinate; gravi lesioni interessanosoprattutto il lato destro dell’ara,tanto da provocare la perdita qua-si totale delle prime lettere delleprime due righe dell’iscrizione.Sulle facce laterali, a destra è pre-sente un contenitore adagiato suuna breve mensola e suddiviso,per quanto ancora intuibile, in di-versi scomparti, nei quali sono in-filati gli strumenti distintivi del-l’attività del personaggio; a sini-stra campeggia un oggetto me-tallico a forma di morsetto, con-stante di due lunghe sbarre se-ghettate, collegate in alto da unacerniera, alla quale sono fissatemediante due perni; un laccio siattorciglia intorno a un anellino po-sto sulla sinistra, passa attraver-so un foro ed è tirato all’altraestremità, dove di nuovo scorreattraverso un foro; attraverso illaccio a sinistra scorre un ele-mento mobile (di nuovo in metal-lo o in legno?), in minima parteperduto e articolato con una sor-ta di occhielli su ambedue i lati.Sul retro si trova una cavità circo-lare, destinata a ospitare le cene-ri del defunto e un tempo chiusada una copertura fissata median-te perni in bronzo ancora visibili.Si tratta dell’ara funeraria di un ve-terinario specializzato nei cavallida corsa, dal cognomen grecani-co e forse di origine libertina, fa-cente parte del personale dellafactio Veneta, una fazione del cir-co, in epoca traianea, come resoevidente dalle caratteristiche delritratto somigliante nella chioma

e nel viso a quello di Traiano e dialtri “privati” del tempo. L’altarerientra tra quei numerosi esempiche esibiscono un rimando allaprofessione dell’effigiato: sul latodestro il kit contiene parecchi stru-menti a prima vista chirurgici, deiquali molti purtroppo spezzati; asinistra spicca lo strumento me-tallico, il quale trova dei corri-spettivi nella documentazione ar-cheologica. Affini esemplari inbronzo di varia forma sono statirinvenuti sia in Italia (Pompei) sianelle province dell’impero; per es-si si è di norma imposta l’identifi-cazione con un attrezzo per la ca-strazione degli equini; eppure, èpiù logica l’identificazione con untorcinaso: questi stringe in unamorsa il labbro superiore del ca-vallo, che, se sollecitato, produceil rilascio naturale di endorfine, isuoi “rilassanti naturali”, ossia so-stanze con proprietà analgesichee sedative; strumento dunqueadatto ad assurgere a emblemadell’attività di un veterinario.Massimiliano Papini

Bibliografia: Papini c.d.s.a

III.67

Scultore egizio del terzo quartodel I secolo a.C.Ritratto muliebre(Cleopatra VII?)marmo bianco a grana fine, altezza 42 cm Roma, Fondazione Dino edErnesta Santarelli, inv. 125

È un busto nudo femminile, daltaglio abbastanza scollato; il vol-to, sia pure idealizzato, presentatratti individuali (gote carnose,leggere occhiaie, solchi labiona-sali e gli “anelli di Venere” sul col-lo) che vi fanno riconoscere un ri-tratto. La fronte è piuttosto bas-sa, le sopracciglia arcuate; gli oc-chi, con palpebre rilevate, sonograndi e infossati; la bocca è pic-cola e sottile e le orecchie, in granparte libere dai capelli, hanno i lo-bi perforati da fori passanti da cuipendevano in origine gli orecchi-ni. La pettinatura è stata solosbozzata e attendeva la rifinitura,forse in stucco: l’aspetto sugge-risce che i capelli fossero primaraccolti all’indietro in bande pa-rallele e poi annodati nel piccolochignon sulla nuca; sfuggivano iriccioletti a chiocciola che incor-niciano la fronte. Una fascia bom-bata sembra inoltre girare intor-no al cranio per ricongiungersi al-lo chignon: potrebbe trattarsi diuna treccia, lasciata solo sbozza-ta e originata dallo chignon stes-so, come nella testa già Nahman,un bel ritratto proveniente dall’E-gitto in collezione privata e raffi-gurante forse Cleopatra VII (percui vedi Kleopatra 2006, pp. 25,250, n. 4). L’ovale del volto è ben conserva-to, ma il naso è rotto e sonoscheggiati la bocca e il mento esulla fronte si notano i segni di al-cuni colpi inferti al ritratto.Il ritratto Santarelli si inserisce inquella tendenza, tipica del I se-colo a.C., che combina l’accon-ciatura elaborata ed elegante conuna marcata caratterizzazione deilineamenti per suggerire così lamaturità dell’effigiata e talora an-che per esprimerne l’auctoritas.La resa del volto (il taglio degli oc-chi, i riccioli frontali, la bocca), l’u-

so della rifinitura in stucco, unatecnica tipicamente alessandrina,e la polimatericità conseguente,completata dagli orecchini, con-sentono di datare la testa intornoalla metà del I secolo a.C. e di at-tribuirla a uno scultore formatosiin ambito tolemaico. Il confrontocon la testa Nahman e il tipo diacconciatura suggeriscono un’af-finità con i ritratti di Cleopatra VII(negli ultimi anni di regno), ma inassenza del diadema l’identifica-zione rimane incerta e si potreb-be pensare anche a una donnadel suo entourage (sui ritratti diCleopatra in generale vedi Higgs2003).Matteo Cadario

Bibliografia: Cadario, in Papinic.d.s.

III.68

Scultore romano del I-II secolod.C. (tarda età flavia / prima etàtraianea)Busto-ritratto maschilemarmo bianco a grana media,altezza 36 cm Roma, Fondazione Dino edErnesta Santarelli, inv. 100

La testa si imposta con una deci-sa torsione verso la propria destrasu un busto di formato ridotto,che è tagliato obliquamente sullato destro, mentre sul lato sini-stro si estende fino all’attaccodella spalla; sul retro è privo di in-cavo e conserva un residuo delsostegno centrale, che sembre-rebbe essere stato asportato de-liberatamente. La superficie sipresenta rivestita da una patinaramificata e interessata da abra-sioni. Manca buona parte del na-so e dei padiglioni auricolari. Il bu-sto è fratturato lungo il margineinferiore sinistro; al centro, in cor-rispondenza dello sterno, pre-senta un incasso profondo, chesi direbbe praticato volontaria-mente. Il ritratto riproduce con crudo rea-lismo la fisionomia di un uomo dietà avanzata, con volto squadra-to, vistosamente segnato da pie-ghe per effetto del rilassamentodell’epidermide; gli occhi sonopiccoli e ravvicinati, la bocca ser-rata ha labbra sottili, la fronte al-ta è percorsa da una rete di ru-ghe. I capelli a massa compattasono acconciati in ciocchette afiammella, che da un vortice oc-cipitale si dirigono con lievi on-dulazioni verso le tempie e lafronte, dove spiovono con unacorta frangia.La riproduzione oggettiva dei trat-ti fisionomici è elemento pecu-liare della ritrattistica tardo-re-pubblicana, ma forme realistichedi rappresentazione riemergonoin epoca flavia e continuano in etàtraianea, improntando tanto l’im-magine dell’imperatore, quantole effigi dei privati. La testa in esa-me denota una spiccata somi-glianza con i ritratti di Vespasia-no, rispetto ai quali mostra peròuna struttura meno massiccia del

cranio, una pinguedine meno ac-centuata e un maggiore volumedei capelli, che scendono sullafronte con una frangia disordina-ta, la cui complessa articolazioneprende a modello il ritratto di Do-miziano del primo tipo (sui ritrat-ti dei Flavi vedi Daltrop, Hau-smann, Wegner 1966; sulla ri-trattistica privata di epoca flaviavedi Cain 1993).La testa Santarelli offre quindi unesempio emblematico di quel fe-nomeno di assimilazione dell’im-magine di un privato all’effigiedell’imperatore, che è ampia-mente documentato dal periodotardo-repubblicano a tutta l’etàimperiale e che costituisce unamanifestazione tangibile della de-vozione dei sudditi verso i deten-tori del potere.Il busto, abbigliato nei panni delcittadino romano, tunica e toga,risponde a una tipologia utilizzatadi frequente per ritratti di espo-nenti della classe “media”. Pertaglio e dimensioni si adegua al-le tendenze dell’epoca flavia, marivela alcune anomalie di caratte-re tecnico e formale; una scarsacoerenza formale si avverte delresto anche nella resa della testa,il che induce a sospettare del-l’autenticità della scultura.Elena Ghisellini

Bibliografia: Ghisellini, in Papinic.d.s.

III.69

Scultore greco del 190-200 d.C.Ritratto imperiale laureatomarmo bianco a grana fine,altezza 35 cm Roma, Fondazione Dino edErnesta Santarelli, inv. 79

La testa è spezzata alla base delcollo e presenta sulla nuca unpuntello verticale che ne dimostral’originaria pertinenza a una sta-tua. Il viso, caratterizzato da vi-stose asimmetrie imputabili almoto di torsione del capo, ha li-neamenti maturi e regolari: fron-te ampia, segnata da rughe;guance dai piani larghi e tesi, om-breggiati da una corta barba ric-ciuta; bocca breve, con labbrasottili e ben disegnate; grandi oc-chi a mandorla, dal peculiare ta-glio all’ingiù. I capelli sono acconciati in unamassa fitta di corposi riccioli, ric-chi di colorismo per l’esteso im-piego del trapano; la chioma sigonfia nella regione parietale ecompone sulla fronte una frangiadal profilo curvilineo, delimitatada pronunciate stempiature. Latesta è cinta da una corona di fo-glie di alloro, che risulta annoda-ta sulla nuca.Presenta una superficie ben con-servata, interessata da piccolescheggiature e abrasioni. Man-cano buona parte del naso e leestremità delle bende che anno-dano la corona sulla nuca.Il ritratto rivela profondi legami ti-pologici e formali con la tradizio-ne antoniniana, in particolare conle effigi di Antonino Pio, tuttaviala semplificazione dei piani fac-ciali, la stilizzazione decorativa deicapelli e della barba e la tenden-za alla geometrizzazione nella re-sa delle singole forme indirizzanoverso una datazione nella primaetà severiana. I confronti più pun-tuali si individuano in opere usci-te da officine localizzate nelle pro-vince orientali dell’impero, con-statazione che invita ad ascrive-re a tale area la testa in esame(sui ritratti di Antonino Pio vedi K.Fittschen, in Fittschen, Zanker1985, pp. 63-66, n. 59; sulla ri-

trattistica dell’Asia Minore vediInan, Rosenbaum 1966; Inan,Alföldi-Rosenbaum 1979). L’attri-buzione può essere corroboratada una serie di fattori, a comin-ciare dalla presenza del puntelloverticale sulla nuca, espedientetecnico mirante a rafforzare il col-lo, che si incontra con notevolefrequenza in teste dall’Asia Mi-nore. Indicativa è poi la corona difoglie di alloro che cinge i capel-li, in quanto i ritratti, sia maschiliche femminili, con corona di fo-glie sono diffusi prevalentemen-te in Grecia, Cirenaica e Asia Mi-nore. La corona è solitamente in-terpretata come insegna sacer-dotale, sicché potremmo scor-gere nel personaggio effigiato unsacerdote, forse adibito al cultodi Apollo, poiché la corona di al-loro è un attributo tipico, anchese non esclusivo, del personaledi culto del dio.Elena Ghisellini

Bibliografia: Ghisellini, in Papinic.d.s.

III.70

Scultore romano dell’inizio del II secolo d.C.Statua di fanciulla con testaritrattomarmo bianco a grana grossa,altezza 68,5 cm Roma, Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli, inv. 101

La fanciulla stante indossa un chi-tone di tessuto leggero fittamen-te pieghettato, con maniche cor-te chiuse da bottoncini e rimboc-co sul busto cinto da una fasciasotto il seno. La gamba destra èavanzata. Il braccio destro è or-nato da un’armilla appena sottola manica ed è piegato al gomitoverso il petto e leggermente sol-levato. La mano doveva reggereun attributo di cui rimane solo l’at-tacco sul busto. Il braccio sinistroscende leggermente flesso lun-go il fianco e tiene una pianta, ilcui lungo stelo si appoggia sull’a-vambraccio e sull’esterno dellaspalla. Il polso è fissato al fiancocon un puntello. La testa voltaleggermente verso destra risultagrande in proporzione alle di-mensioni del corpo. Il volto ova-le sfinato è individualizzato nellaconformazione triangolare, nelprofilo diritto e fine del naso e nelbel disegno della bocca piccola,mentre i grandi occhi a mandorlacontornati da palpebre spesse po-trebbero essere un elemento diidealizzazione. La veste altocinta,il seno ancora piatto, la cosiddet-ta “Melonenfrisur” (la pettinatu-ra con discriminatura mediana ecalotta articolata in “spicchi dimelone”) sono elementi distinti-vi della giovane età della fanciul-la raffigurata. Il tipo iconograficorisalente a statuette votive notein ambito greco dalla fine del IVsecolo a.C. è diffuso nel periodoellenistico e romano (per il tipoiconografico vedi Vorster 2004,pp. 19-20, n. 2, tav. 3,2).Sono rotti il braccio destro, la ma-no sinistra, la massima parte del-l’attributo poggiato sul petto, laparte inferiore della pianta, alcu-ne pieghe della veste, buona par-te delle gambe, troncate da unarottura diagonale da sotto la co-

scia destra fino a metà della co-scia sinistra. Nella superficie dirottura del braccio destro e inquella dell’attributo un foro circo-lare indica forse un precedenterestauro rimosso. All’esterno del-la spalla sinistra rimane un forocon piccolo perno per il fissaggiodella terminazione metallica del-l’elemento vegetale. La statua, di probabile destina-zione funeraria, si data in età traia-nea per l’acconciatura sul retrodella testa, con la crocchia for-mata da numerose trecce so-vrapposte, per gli occhi lisci e laresa asciutta e lineare del pan-neggio (per l’acconciatura vedi P.Zanker, in Fittschen, Zanker 1983,p. 52, n. 67, tav. 84). La testa ècinta da una coroncina intreccia-ta di corimbi e foglie di edera, cherimanda al culto di Dioniso. L’at-tributo potrebbe costituire un au-gurio di vita futura e beatitudinenell’aldilà per la fanciulla mortaprematuramente da parte dei ge-nitori dedicanti, ma anche allude-re a una cerimonia di iniziazioneai misteri dionisiaci, se non all’i-dentificazione con una figura mi-tologica appartenente alla cerchiadel dio (per la corona di edera ecorimbi in ritratti di fanciulli vediRaeder 2000, pp. 209-211, n. 79,tavv. 102,3-4; 104; S. Faralli, inConticelli, Paolucci 2011, pp. 94-95, n. II.21).Laura Buccino

Bibliografia: Buccino, in Papinic.d.s.

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148 149

III.71

Scultore romano del 220-235d.C. circa (ritratto), del II-IIIsecolo d.C. (busto), il piedistalloè modernoBusto in porfido con ritratto virilemarmo bianco pentelico (testa)inserita in un busto in porfidocon piedistallo modanato inserpentino, altezza 26 cm Roma, Fondazione Dino edErnesta Santarelli, inv. 158

Il busto, un tempo a Tangeri, fa-ceva parte in origine della colle-zione Klaus Otto Preis dove eraentrato con indicazione di prove-nienza da Volubilis. Al momentodel passaggio nella Collezione diJacques Petithory (1929-1992) ilbusto fu completato con il ritrat-to. Busto e piedistallo sono in ot-time condizioni, la testa, non per-tinente, presenta invece alcunescalfitture sulla fronte e abrasio-ni nella zona dei baffi e sulleguance. Il naso e le orecchie so-no di restauro, come gran partedel collo.Il busto è loricato e indossa sullacorazza il mantello allacciato sul-la spalla destra e una fila di ptery-ges a protezione delle spalle. Lalavorazione grezza della parte po-steriore e l’assenza del piedistal-lo interno fanno sospettare che ilbusto sia in realtà il frutto della ri-duzione di una vera e propria sta-tua. L’uso del porfido ne sugge-risce comunque l’originaria perti-nenza imperiale, e la resa è coe-rente con una datazione compre-sa tra il II e il III secolo d.C. (perla scultura in porfido vedi Del-brück 1932). Il ritratto raffigura unuomo giovane con una accen-tuata torsione verso la propria de-stra che ne enfatizza l’espressio-ne concentrata; i capelli, corti eaderenti alla calotta cranica, for-mano un’onda verso la tempiadestra; sulle guance le basette sicollegano alla barba leggera chescende fino al mento e al collo.La fronte è alta, le arcate soprac-ciliari sono ampie, arcuate e conle sopracciglia graffite, mentre lecavità orbitali contengono occhigrandi e caratterizzati dall’indica-zione di palpebre, caruncole la-

crimali, iride e pupille a pelta. Labocca è chiusa e carnosa. Alcunidettagli (il vuoto che circonda l’o-recchio destro e i segni di accor-ciamento di basette e barba) se-gnalano la rilavorazione del ritrat-to, un’azione che potrebbe darconto anche dell’incongruenza trala resa di barba, baffi e sopracci-glia, che è in linea con la ritratti-stica del tempo di Alessandro Se-vero e Gordiano III, e la disposi-zione delle ciocche sulla nuca edietro le orecchie, che segue in-vece modelli derivanti dalla ritrat-tistica proto-imperiale e poi ripre-si nell’immagine di Elagabalo (peril ritratto imperiale nel III secolod.C. vedi Wood 1986). La testaSantarelli potrebbe quindi avercambiato identità, e un ritratto diElagabalo essersi trasformato inun’immagine di Alessandro Se-vero (cfr. per esempio un ritrattodi Alessandro Severo al Nelson-Atkins Museum of Art di KansasCity, per cui vedi E.R. Varner, inTyranny & Transformation 2000,pp. 200-203, n. 52) oppure inquella di un privato cittadino, in-fluenzata dalla ritrattistica impe-riale del tempo.Matteo Cadario

Bibliografia: Porphyre 2003, pp.62-63, n. 13; Cadario, in Papinic.d.s.

III.72

Scultore romano dell’inizio del III secolo d.C. (età severiana)Busto di Alessandro Magnomarmo statuario pentelico, altezza 70 cmRoma, Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli, inv. 103

Si tratta di un torso virile in mar-mo con testa pertinente, spezza-to sotto l’ombelico, mancantedell’avambraccio destro e di tut-to il braccio sinistro. L’ovale delvolto si contraddistingue per latriangolarità della fronte incorni-ciata dai riccioli, che creano un ef-fetto di chiaroscuro. Gli occhi so-no grandi, ben evidenziati dalle ar-cate sopracciliari, senza incisionedell’iride e della pupilla. Del nasospezzato si conserva soltanto laparte inferiore con le narici. Labocca dalle labbra carnose è chiu-sa e forma due marcati solchi la-terali, dall’andamento parallelo aquelli ai lati del naso. Una piegaorizzontale è presente sul men-to. I capelli sono resi con lungheciocche ondulate, che giungonoa lambire le spalle e che copronocompletamente le orecchie. Il col-lo è corto. Il torso mette in evi-denza una sviluppata muscolatu-ra pettorale e addominale.Si tratta probabilmente di una raf-figurazione di Alessandro Magno,derivata da un originale ellenisti-co, nell’atteggiamento di Zeus inposa a torso nudo, con la spalla ri-coperta da un mantello, realizzatoa parte con materiale differente.L’ipotesi dell’identificazione conil sovrano macedone è avvalora-ta dalla presenza dell’anastolènella capigliatura, cioè un ciuffodi capelli rialzato in corrispon-denza della fronte, che scendelungo la nuca.Il modello dell’opera non è da ri-trovare nella tradizione lisippea –Lisippo, celebre scultore del IVsecolo a.C., è stato il ritrattista uf-ficiale di Alessandro Magno – per-ché i tratti del volto sono estre-mamente veristici. È accentuatala rotondità del viso e sono evi-denziate le pieghe della carne. Gliocchi, le spesse palpebre e la

bocca carnosa sono di proporzio-ni maggiori rispetto a quelle di Li-sippo. Nell’espressione rilassatasi può riconoscere la maniera diPrassitele.La capigliatura ricorda per certiversi quella delle raffigurazioni diAlessandro Helios, cioè identifi-cato come dio Sole, atteggia-mento solitamente caratterizzatodagli occhi rivolti verso l’alto; inquesto caso, però, gli occhi sonoindirizzati verso lo spettatore. Diconseguenza anche la posizionedella testa, piegata normalmentedi lato per mettere in risalto losguardo – espediente utilizzatonella ritrattistica ufficiale per ma-scherare il difetto fisico della sco-liosi – viene qui a mancare.L’opera è databile all’età severia-na, all’inizio del III secolo d.C.Francesca Licordari

Bibliografia: inedita.

III.73

Scultore romano della metà del III secolo d.C.Ritratto di Vibius Volutianusmarmo bianco statuario, altezza 47 cmRoma, Académie de France à Rome – Villa MédicisProprietà dell’Académie des Beaux-Arts, Paris, inv. A.F.R. 1998-S-1 (lascito di FedericoZeri all’Institut de France)

La testa è sostanzialmente inte-gra a parte lievi scheggiature sullato sinistro della fronte, sottol’occhio sinistro e sui margini del-le orecchie. Manca anche la par-te sinistra del busto.Gli occhi rivolti verso l’alto pre-sentano pupilla e iride incise,maggiormente accentuate dall’u-tilizzo del trapano. Le arcate so-pracciliari superiori sono promi-nenti, mentre le palpebre inferio-ri sono appena accennate. Il na-so regolare, dall’andamento ret-tilineo, è di restauro. La bocca,leggermente dischiusa, mette inrisalto la carnosità delle labbra.Sulle guance, intorno alla boccae sul mento, è presente una leg-gera barba resa con un’incisioneappena accennata. I capelli, ta-gliati corti e regolari, si articolanoin piccole ciocche ondulate, chelasciano scoperte la fronte e leorecchie.Nel personaggio è stato ricono-sciuto Vibio Volusiano, figlio diTreboniano Gallo, divenuto Cesa-re nel 251 d.C. e Augusto l’annoseguente, quando il padre fu ac-clamato imperatore. Fu sconfittonel corso della campagna controil rivale Emiliano e ucciso dai pro-pri soldati, insieme al padre, nel-l’agosto del 253 d.C. a Interamna,l’odierna Terni. Nelle moneteemesse quando era Cesare, Vo-lusiano è raffigurato come un gio-vane imberbe intorno ai vent’an-ni. La barba, invece, è regolar-mente presente nei tipi successi-vi alla sua ascesa ad Augusto.La breve durata del suo regno haconsentito la realizzazione di unsolo tipo ufficiale di ritratto, dacollocare, per la presenza dellabarba, al 252-253 d.C. I tratti ca-

ratteristici delle sue raffigurazio-ni sono, inoltre, il solco trasver-sale della fronte, le labbra vigo-rosamente disegnate e le palpe-bre eccessivamente accentuate.Il principe è stato identificato daJutta Meischner (1967, p. 220) inuna scultura conservata allo SmithCollege Museum di Northampton(inv. SC1949:13-1) e nelle due re-pliche del Kunsthistorisches Mu-seum di Vienna e del Museo Na-zionale Romano (inv. 644), pre-cedentemente ritenute ritratti diGallieno giovane.Nel nostro caso l’attribuzione èstata effettuata sulla base dell’i-scrizione incisa sul bordo destrodel ritratto, da considerare di epo-ca moderna per il fraintendimen-to del cognome che, in realtà, èVolusianus. Per la presenza dellabarba la testa dovrebbe esserecollocata nella ritrattistica del-l’imperatore ormai Augusto.L’opera, probabilmente prove-niente dalla collezione Mazzarino,passò poi in Inghilterra a WiltonHouse nella collezione di LordPembroke. Da ultimo fu lasciatada Federico Zeri all’Accademia diFrancia.Francesca Licordari

Bibliografia: Richardson 1795, p.65.

III.74

Scultore di Palmira dellaseconda metà del II secolo d.C.Frammento di rilievo funerariocon testa di sacerdotecalcare rosato, altezza 38 cmCittà del Vaticano, MuseiVaticani, Museo GregorianoEgizio, inv. 56599 (lascitoFederico Zeri)Foto Musei Vaticani

Già in collezione privata, poi nel-la collezione Federico Zeri, la te-sta maschile, dalla rigida disposi-zione frontale, ieratica, tipica del-l’arte palmirena, frammentata al-la base del collo e sormontata dalcopricapo caratteristico dei sa-cerdoti (modius), è pertinente aun rilievo funerario. Destinata auna visione frontale, come sievince dalla fattura del retro, la-sciato grezzo, ma forse anche auna visione dal basso, data lascarsa lavorazione della sommitàdel copricapo, poteva costituireparte di un busto o di una rap-presentazione più complessa (adesempio il personaggio di unascena di simposio). Il rilievo pre-senta numerose scheggiature, dicui particolarmente deturpantiquelle sul naso (quasi del tuttoperduto) e sul mento, mentre diminore entità appaiono le lesionidel materiale calcareo in corri-spondenza del copricapo e in al-cune zone del volto (guance, lab-bra ma anche le orecchie). Il modius, elemento iconograficodistintivo della casta sacerdotalelocale (ma solo, come sembra, seportato da personaggi imberbi),si presenta qui nella versione sud-divisa in tre larghe fasce per mez-zo di profonde solcature verticaliparallele, che scompaiono sottola corona di alloro centrale per poiriapparire sul bordo inferiore delcopricapo, che poggia basso a co-prire la fronte. La corona di allo-ro, di derivazione greca, assentein altre raffigurazioni dello stessotipo e originarie della tradizionesiro-achemenide, si presenta co-me una ghirlanda dal rilievo ag-gettante e dalle foglie lanceolate.Essa attraversa il copricapo in tut-ta la sua lunghezza, in direzione

del medaglione centrale, costi-tuito qui da un busto maschile im-berbe, vestito di tunica, dal voltoormai irriconoscibile. Come diconsuetudine per la classe sa-cerdotale, il cranio del personag-gio doveva essere ben rasato, agiudicare dalla totale assenza dielementi della capigliatura, non ri-scontrabili in prossimità dellastessa fronte, sia lateralmente,sia vicino alle orecchie.Il volto del sacerdote, anch’essocome di norma ben rasato, dal-l’ovale allungato, le guance assairotonde e con il mento ben di-staccato dal collo, si presentapiuttosto sproporzionato, soprat-tutto per le esigue dimensionidella bocca, del naso e degli oc-chi, oltre che per la rappresenta-zione delle orecchie, aggettanti easimmetriche, con il padiglioneauricolare di sinistra posto più inbasso rispetto al destro. Gli occhihanno una forma alquanto ova-leggiante, con l’iride appena ac-cennata da un leggero solco cir-colare, così come le palpebre in-feriori e le sopracciglia, stilizzatecon una linea sottile. Le palpebresuperiori, invece, presentano unmaggiore rilievo, con quella di de-stra più arcuata della sinistra,mentre le orbite, assai incavate,creano un certo chiaroscuro. Il na-so, quasi completamente abraso,doveva essere del tipo schiaccia-to, dal rilievo poco aggettante, aforma triangolare, sottile nel pro-filo e largo alla base delle narici,profondamente incise. La bocca,dal profilo ondulato, è assai sotti-le, con il labbro inferiore più car-noso del superiore.Secondo le interpretazioni più ac-creditate (cfr. bibliografia in Cal-lieri 1986, p. 234), il tradizionalemodius, del tipo qui raffiguratocon ghirlanda alla greca, viene at-tribuito ai sacerdoti del culto diBêl, spesso abbinati nelle raffi-gurazioni pervenute a ulterioripersonaggi, laici, interpretati qua-li simposiarchi del medesimo cul-to. Si ritiene altresì che i busti raf-figurati sui medaglioni dei copri-capi e inquadrati dalle ghirlanderappresentino gli antenati eroiz-zati del defunto, piuttosto che

elementi dinastici o devozionali(quali imperatori o divinità), datal’assenza di specifiche caratteriz-zazioni fisiognomiche. Secondotale teoria, la presenza della ghir-landa indicherebbe che il sacer-dote defunto viene eroizzato,mentre l’aggiunta del medaglio-ne col busto (non sempre pre-sente) implicherebbe una discen-denza ancor più illustre, cioè daantenati a loro volta già eroizzati. Alla luce dei soli elementi forma-li e di alcuni confronti con analo-ghe raffigurazioni palmirene, nonsembra agevole proporre una da-tazione puntuale, né inquadrarecon facilità il reperto in una delleclassificazioni tipologiche del Col-ledge, anche se appare verosi-mile una datazione di massima al-la seconda metà del II secolo d.C.(cfr. Callieri 1986, p. 234).Claudio Noviello

Bibliografia: Callieri 1986, pp. 232-234, n. 5, fig. 66,2, cfr. Colledge1976, Parlaska 1985; Nigro 2000,p. 283; Nigro 2002.

III.75

Scultore di Palmira dell’inizio del III secolo d.C.Ritratto di defunta con tavolascrittoriacalcare grigio, altezza 45 cmCittà del Vaticano, MuseiVaticani, Museo GregorianoEgizio, inv. 56598 (lascitoFederico Zeri)Foto Musei Vaticani

La lastra, di forma quadrangola-re, leggermente convessa sul-l’asse centrale maggiore, appenaconcava sul lato posteriore e daicontorni frastagliati, appartiene,nell’ambito dei rilievi funerari pal-mireni, al tipo del lastrone in cal-care con busto a rilievo agget-tante, assai diffuso a partire dal-la metà del I secolo d.C. Nelletombe di famiglia tali rilievi eranosovente ubicati all’interno di ca-mere funerarie, disposti su più la-ti e in più file sovrapposte. Sottol’influsso romano questa tipolo-gia funeraria soppianta gli origi-nari NPŠ (dal semitico “io, ani-ma”, per traslato “lastra sepol-crale, sepoltura”, intesa quale re-sidenza materiale e spiritualeidentificativa del defunto), le ste-le di tipo più antico con corona-mento centinato, nate quali ele-menti di chiusura dei loculi indi-viduali ipogeici, di torri o di tem-pli funerari.Il busto femminile, piuttosto lar-go e sproporzionato rispetto allatesta, è disposto, secondo la con-suetudine dell’arte funeraria pal-mirena, in posizione rigidamentefrontale, ieratica, ed è inoltre ca-ratterizzato dai tipici tratti lineari-stici nella resa del panneggio edei contorni, dal rilievo piuttostoappiattito, oltre che dalla presen-za di elementi veristici e naturali-stici, come può notarsi dalla trat-tazione analitica degli oggetti diornamento, identici a quelli rin-venuti nei contesti funerari, e nel-la fisiognomica in genere. La ma-no sinistra, ripiegata più in basso,regge una tavoletta scrittoria si-mile a una tabula ansata, con ilpollice e l’indice aperti. Il capo,scoperto, presenta un’acconcia-tura del tipo “a melone”, con

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V secolo d.C., ossia in età teodo-siana o post-teodosiana. In que-sto periodo la ricerca di una tota-le astrazione del volto prevalse fi-no a sacrificare quasi ogni vero-simiglianza della fisionomia, co-me si vede anche nel ritratto San-tarelli nella trasformazione dellesopracciglia in un motivo orna-mentale adatto a incorniciare e aevidenziare gli occhi (per il ritrat-to virile tra IV e V secolo d.C. ve-di La Rocca 2000, pp. 26-31; Mei-schner 1990; Meischner 1991). Ilnaso è rotto ed entrambe le orec-chie sono danneggiate.Matteo Cadario

Bibliografia: Cadario, in Papinic.d.s.

III.78

Scultore romano della primametà del III secolo d.C.Ritratto virilemarmo bianco a grana fine, altezza 31 cm Roma, Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli, inv. 33b

Ritratto virile forse preparato peressere inserito in un corpo lavo-rato a parte; raffigura un uomogiovane ed energico, con il voltoa forma di ovale allungato, i ca-pelli, cortissimi e aderenti alla ca-lotta cranica e le guance copertedalla barba. I capelli e la barba so-no resi con la tecnica “a penna”,che offriva espressività e sempli-cità al prezzo della perdita di pla-sticità di barba e pettinatura. Lafronte è ampia e alta, le arcate so-pracciliari sono grandi e incurva-te, le sopracciglia sono graffite,gli occhi sono stretti e allungati,con palpebre piuttosto grandi, ca-runcole lacrimali segnate dal tra-pano, iridi circolari e pupille a for-ma di pelta. La bocca doveva es-sere chiusa ed è stata ripassatacon il trapano. L’incarnato è per-fettamente levigato salvo che peralcuni segni dell’età che rende-vano il volto più espressivo e con-centrato (solchi labionasali, unsolco leggero sulla fronte, uno piùmarcato tra le sopracciglia e duesul limite inferiore delle cavità or-bitali). Nell’insieme i muscoli delvolto disegnano un motivo a Xmolto raffinato ed equilibrato traparte superiore e inferiore. Il col-lo presenta una resa altrettantodinamica della muscolatura, chesuggerisce il girarsi della testaverso la propria destra. Il ritrattoeccelle per l’aristocratica raffina-tezza della concezione, per l’at-tenzione alla plasticità e al vigoredella resa dell’incarnato e per l’e-videnziazione della muscolaturain tensione sotto la pelle liscia delviso: si voleva rendere così l’e-spressività del volto, comunican-do anche l’energia dell’effigiato.L’adozione della tecnica a pennaconsente di per sé di datare la te-sta tra il 230 e il 250 d.C., ma ilconfronto con i ritratti di PhilippusMinor e del padre Filippo l’Arabo

induce a precisare la cronologiaintorno al 240 d.C. (per il ritrattovirile nel III secolo d.C. vedi Wood1986). La testa fa parte di un ri-stretto gruppo di ritratti di III se-colo d.C. caratterizzati dalla stes-sa resa plastica del viso. Il naso è rotto e sono danneggia-ti la bocca, il mento, le sopracci-glia, le orecchie e la guancia sini-stra. La zona occipitale del cranioè stata restaurata.Matteo Cadario

Bibliografia: Cadario, in Papinic.d.s.

III.79

Scultore attivo in ambito federiciano del XIII secoloBusto ritratto di Federico IImarmo bianco lunense, altezza 44,5 cmRoma, Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli, inv. 30c

Il busto maschile, proveniente dal-la collezione Pico Cellini, presen-ta il capo cinto d’alloro ed è abbi-gliato con una tunica, fermata sul-la spalla destra da un fermaglio; icapelli sono disposti a ciocche. Ilretro è sommariamente sbozzatoe mostra una grappa metallica perl’ancoraggio a un supporto. Ven-ne rinvenuto a Genova tra le ma-cerie della vecchia zona portualenel 1940. Già riconosciuta da Pico Cellinicome opera riferibile ad ambitofedericiano e pubblicata da Quar-tino (1980), essa è stata avvici-nata ai cammei con il profilo del-l’imperatore Augusto e agli au-gustali, riconoscendo analoghi in-tenti propagandistici di immagi-ne ufficiale e modelli ispiratori.Dal punto di vista tecnico vienemessa in evidenza l’estrema vi-cinanza con la trattazione dell’a-vorio e delle pietre dure. Cellininel 1980 ha messo in risalto cheil busto doveva essere in originecompletato da policromia e, acausa della mancata finitura delretro, destinato all’esposizione inuna nicchia. SuccessivamenteGiuliano (1983) ha evidenziato co-me la scultura sia concepita peruna visione di profilo e come, perle incongruità del volume e perla policromia, derivi dall’amplifi-cazione monumentale di un’o-pera di glittica: in particolare ri-tiene che possa essere stata ispi-rata dal cammeo di Augusto in-serito nella Croce di Lotario adAquisgrana, oggetto che dovevaavere un forte carattere cari-smatico. Il busto potrebbe esse-re una delle repliche del ritrattodi Federico a vent’anni, in occa-sione dell’incoronazione ad Aqui-sgrana nel 1215, e inviato a Ge-nova, allora in ottimi rapporti conl’imperatore. Evidenziando anchela matrice classica del manufat-

to, ne mette in evidenza la mo-numentalità inconsueta. La storiografia successiva si è piùvolte occupata del busto in esa-me, soffermandosi soprattuttosul gusto fortemente classicistae mettendone così in dubbio laproduzione in età federiciana (adesempio Claussen 1995; Pace1996).Quel che tuttavia risulta eviden-te è che la trattazione corposa deivolumi, levigati fino all’imitazionedell’oreficeria, l’impianto stessodella figurazione, così come par-ticolari puntuali, la trattazione del-le ciocche striate dei capelli (mol-to vicina ad altri ritratti come quel-lo proveniente da Lanuvio, ora aRoma, Deutsches Archäologi-sches Institut), rinviano puntual-mente al gusto federiciano e allerappresentazioni eroicizzate nel-l’allusione alla ritrattistica impe-riale antica. Daniela Ricci

Bibliografia: Quartino 1980, pp.289-299; Gelao 1982, pp. 29-36:31; Giuliano 1983, pp. 63-70; Bo-logna 1989, pp. 159-189; Federi-co II… 1995; Calò Mariani 1995,pp. 39-51; Castelnuovo 1995, pp.63-67; Claussen 1995, pp. 69-81;Williamson 1995, p. 278, n. 52;Pace 1996, pp. 5-10.

ciocche ondulate spartite da unariga centrale, crocchia circolare inposizione sommitale e ciuffo dal-la forma lanceolata che scendeverso il centro della fronte, con-frontabile stilisticamente con al-cune pettinature di età antonina(ad esempio di Faustina Minore),secondo una tipologia diffusa an-che in altri ritratti palmireni dellaseconda metà del II secolo d.C.(cfr. Callieri 1986, p. 232). I gran-di occhi presentano incisioni sti-lizzate nella resa dell’iride, otte-nuto con un solco globulare, edelle palpebre carnose, special-mente le superiori, oltre che nel-le sopracciglia. Il naso si stagliasottile e in linea retta perpendi-colarmente al profilo della fron-te, molto bassa, per allargarsi incorrispondenza delle narici, an-ch’esse stilizzate con un’incisio-ne. Assai analitica e realistica-mente descrittiva, oltre la stessacoerenza formale dell’insieme, latrattazione degli elementi di or-namento, come si evince anchedall’abbondanza dei dettagli. Del-le due collane, la prima è del tipocon elementi globulari “a giro diperle”, che cinge con regolaritàla base del collo, la seconda, dipoco più ampia, posta appenasotto la precedente, del tipo lisciocon pendente a bulla, il cui discocontorniato campeggia sulle pie-ghe centrali della tunica. Analo-gamente abbondano i particolarinella resa dei doppi orecchini, co-stituiti da due elementi globulariuniti da una barretta centrale, di-sposti a coppie sia sui lobi infe-riori che nelle parti sommitali in-terne dei padiglioni auricolari. Inol-tre, la mano destra presenta nelmedio e all’anulare due anellini li-sci, la sinistra un anellino di simi-le fattura al mignolo. Entrambi ipolsi sono ornati con bracciali deltipo a tortiglione, che alterna spi-re di filamenti, ora lisci ora gra-nulati. Sia gli elementi formali estilistici che, soprattutto, quelli or-namentali, inquadrano la stele,anche sulla base dei confronticon altri rilievi palmireni, nel se-condo gruppo della classificazio-ne di Colledge (gruppo II,V,b; cfr.Callieri 1986, p. 232, con biblio-

grafia), e consentono una data-zione approssimativa compresaentro gli ultimi decenni del II se-colo d.C. o, al massimo, gli inizidel III secolo d.C. Già in collezio-ne privata, l’opera passò poi nel-la collezione Federico Zeri.Claudio Noviello

Bibliografia: Callieri 1986, pp. 231-232, n. 4, fig. 63,2, cfr. Colledge1976, Parlaska 1985; Nigro 2000,p. 283; Nigro 2002.

III.76

Scultore romano della prima metà del I secolo d.C. (etàproto-tiberiana?)Busto di giovanemarmo pario, altezza 40 cm Roma, Fondazione Dino edErnesta Santarelli, inv. 272a

Il busto ritrae un fanciullo calvocon il cranio molto sviluppato,provvisto di un foro quadrangola-re sulla sommità. Lo stato di con-servazione è discreto. Manca lanarice sinistra di cui resta solouna breve estremità. L’orecchiodestro è spezzato nella parte su-periore all’altezza del padiglioneauricolare. Del busto, pertinenteal ritratto, manca l’angolo destro.Il foro, a meno di non ricorrere al-la scappatoia di una non megliospecificabile rilavorazione, potéservire all’inserimento di un qual-cosa realizzato a parte, in altromateriale; per la peculiare posi-zione viene da pensare a unaciocca di capelli, in marmo o instucco, ma non in bronzo, poichémanca ogni segno di corrosione,tanto più che un inserto metalli-co non avrebbe necessitato di unforo del genere. Se così, il bustopuò essere avvicinato a un grup-po di ritratti di fanciulli (in una fa-scia di età compresa all’incirca trai 5 e i 14 anni) correlabili al cultodella dea Iside, i quali presenta-no di norma una lunga ciocca,però scolpita (il “ciuffo di Horus”,figlio di Iside), che all’incirca dal-la sommità del capo ricade in va-rie direzioni (sul retro oppure suilati, specie a destra): quei fan-ciulli, pur senza poter avere an-cora assunto funzioni sacerdota-li o avere conosciuto un’iniziazio-ne, vengono dedicati alla divinità,dalla quale sono come adottatiquale garanzia per un’esistenzanell’aldilà; la distribuzione geo-grafica e temporale prevede at-testazioni più frequenti nell’O-riente greco e in Egitto nella pri-ma età imperiale, mentre in Italiail loro numero aumenta nel II especie nel III secolo d.C. (al pro-posito fondamentale Goette1989). Su tali ritratti, destinatispesso (ma non solo) ad ambito

funerario, la capigliatura è peròappena accennata, pur dando ta-lora l’impressione di una testaquasi calva, il che li distingue dalparticolare della testa del tutto nu-da sul busto Santarelli (per uneventuale parallelo relativo allafunzione di un foro per l’inserzio-ne di una ciocca “isiaca” su un ri-tratto però più tardo vedi E. File-ri, in Giuliano 1988, pp. 367-368,R 277): la peculiare scelta potéservire a far risaltare ancora di piùl’eventuale elemento applicato?Il cranio rasato, tuttavia in abbi-namento a una cicatrice di dispa-rate forme, ricorre per ritratti dipersonaggi per lo più maturi rap-presentanti sacerdoti di Iside, inparticolare in epoca tardo-repub-blicana e proto-imperiale. Per la forma del busto l’opera puòessere datata all’inizio del I seco-lo d.C. (con maggior precisione,forse intorno agli anni venti del Isecolo d.C.). Massimiliano Papini

Bibliografia: Perrella, in Papinic.d.s.

III.77

Scultore romano di fine IV –inizio V secolo d.C.Ritratto di giovanemarmo bianco a granafinissima, altezza 21 cm Roma, Fondazione Dino edErnesta Santarelli, inv. 140

Il ritratto virile raffigura un uomogiovane, pensato per una visioneessenzialmente frontale, perchéentrambi i punti di vista lateraliavrebbero mostrato l’evidentesproporzione della testa, caratte-rizzata dalla deformità della man-dibola e da diverse asimmetrie,effetto di una profonda rilavora-zione che sembra aver modifica-to anche l’asse centrale intorno acui era stato costruito il ritrattooriginale. Il volto ha l’aspetto di un ovale al-lungato, i capelli formano una ca-lotta molto compatta e, sebbe-ne le ciocche siano state solosommariamente sbozzate, vo-gliono dare l’impressione di unamassa densa e aderente al cra-nio. La fronte è bassa, e le ar-cate sopracciliari a semicerchiosono molto sviluppate; gli occhisono grandi e caratterizzati dallacurvatura delle pesanti palpebre,dall’incisione di iridi semilunatecon pupilla al centro e dall’indica-zione delle sacche lacrimali. Labocca è piccola e serrata, il nasoera abbastanza piccolo rispetto alviso, mentre il mento è molto al-lungato e uniforme. Le orecchie,piuttosto piccole, sono solo sboz-zate e asimmetriche. La formadel cranio è molto compatta e ap-piattita sulla sommità ma con ilcollo particolarmente robusto;nella parte posteriore si nota quel-lo che sembra la traccia di unochignon in parte scalpellato, trac-cia che consente di riconoscerecome femminile il ritratto origi-nale che fu così profondamenterilavorato. L’alto grado di stilizza-zione dei lineamenti, l’inespres-sività del volto, l’assenza di intentinaturalistici e soprattutto le enor-mi arcate sopracciliari consento-no di inquadrare la rilavorazionenel periodo compreso tra gli ulti-mi due decenni del IV e i primi del

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III.80

Scultore italiano a cavallo del 1250Ritratto di nobildonna(o Madonna?)marmo, altezza 48 cmRoma, Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli, inv. 376

Catalogato come opera tosca-na del Trecento nel relativo ca-talogo d’asta, questo volto fem-minile in realtà non denota i ca-ratteri gotici che, con declinazio-ni molto diverse, hanno comun-que informato in quel secolo tut-ta la scultura della regione. Il mo-dellato pieno e tondeggiante mo-stra l’intenzione di un recuperoclassico, che fa pensare piuttostoa fenomeni di revival più antichi.Vale a dire a un autore partecipedel mondo di Nicola Pisano o,magari, di quello federiciano.Il soggetto può riferirsi a una Ma-donna, benché la coroncina au-torizzi a ipotizzare anche l’even-tualità che si tratti dell’effige diuna nobildonna. Va nel contem-po osservato che simili accesso-ri compaiono pure su varie figuredi Nicola e della sua straordinariabottega. Le proporzioni fannosupporre che il pezzo possa averfatto parte di un altorilievo.

III.81

Nicolas Cordier(Lorena, 1567 circa – Roma,1612)Busto di papa Paolo VBorghese, 1605-1612 circamarmo, altezza 62 cmBergamo, Accademia Carrara,inv. 98SCZR007 (lascitoFederico Zeri)

Probabilmente il più significativoritratto scultoreo dedicato a papaBorghese prima dei capolavoriberniniani, questo piccolo bustomarmoreo deve a Bacchi (1989)la sua introduzione nella lettera-tura specialistica e l’attribuzionea Nicolas Cordier. Le capacità ri-trattistiche dell’affermato sculto-re lorenese dovettero essere par-ticolarmente apprezzate da Pao-lo V, se fu a lui che venne affida-ta la realizzazione della monu-mentale effigie pontificia in bron-zo richiesta dalla città di Rimini,di cui il maestro fece in tempo aeseguire solo il modello a gran-dezza naturale prima di morire nel1612. O, ancor più esplicitamen-te, in quanto fu sempre lui a ri-cevere l’incarico di sostituire latesta della statua inginocchiatadel papa impiantata da Silla Lon-ghi di Viggiù al centro del suo mo-numento funebre nella CappellaPaolina a Santa Maria Maggiore,un ritratto mai applicato sull’iner-te simulacro ancora integro in lo-co e forse da identificare con laperduta “testa in marmo di papaPaolo” menzionata nell’inventa-rio postumo dei beni dell’artista.Capolavoro della maturità delloscultore, il busto ritrae vivida-mente il pontefice a capo sco-perto, abbigliato con un preziosocamice dai bordi ricamati da cuiemerge un morbido amitto, men-tre un piviale analiticamente ri-prodotto con le sue figurazioni deiprincipi degli Apostoli, chiuso sulpetto da un fermaglio con gem-ma centrale, ammanta ampia-mente le spalle. Particolarmentesignificativa appare l’adozione del-la linea arcuata per sagomare labase del busto, in sostituzione delnetto taglio traversale al di sottodelle spalle che comunemente

fendeva i busti ritratto fin dai tem-pi dalla loro rinascita quattrocen-tesca. La ricerca di dinamismo enaturalezza manifestata con que-sta soluzione – anticipata dal Cor-dier nei busti dei Santi Pietro ePaolo eseguiti su incarico del car-dinale Scipione Borghese per SanSebastiano fuori le Mura (1608) –è confermata dal lieve moto ma-gistralmente conferito alla testadell’effigiato e dalla vivezza dellasua espressione. Lo scarto quali-tativo riscontrabile tra questa ef-figie e altri esempi di ritrattisticapontificia coeva non dovetterosfuggire al giovane Bernini quan-do fu il suo turno di restituire nelmarmo il volto di Paolo V; questoraffinato e a lungo negletto bustodi Cordier è apparso infatti comela più diretta fonte di ispirazionedel celebre busto “da scrittoio”conservato nella Galleria Borghe-se (inv. CCXLVIII), nel quale GianLorenzo Bernini, seppure in di-mensioni ancora più ridotte, re-cupera e approfondisce le poten-zialità dinamiche e naturalistichedel ritratto oggi a Bergamo (Coli-va 1998). L’opera proviene daSpoleto, dove fino al 1980 circasi trovava a palazzo Pucci dellaGenga. Carlo La Bella

Bibliografia: Il conoscitore d’ar-te… 1989, pp. 28-29; Coliva1998, pp.107-108; La DonazioneFederico Zeri… 2000, pp. 34-35;Bacchi 2009, p. 34.

III.82

Scultore romano della secondametà del XVII secoloBusto di magistrato?marmo, altezza 67 cmRoma, Fondazione Dino edErnesta Santarelli, inv. 173

L’uomo ritratto rivolge la testa daun lato. La sua fronte è attraver-sata da rughe piuttosto profonde,con le sopracciglia aggrottate. I ric-cioli morbidi scendono sulla nucae un paio di baffetti orna la boccasottile, mentre la pelle delle gotee del mento tradisce un’età avan-zata. Una mano è posata sul cuo-re in segno di devozione, l’altrastringe i grani di un rosario non piùintegro. L’effigiato, con un abitopiuttosto sobrio, si appoggia su uncuscino realizzato in modo moltorealistico, dal bordo ricamato e da-gli angoli già ornati da nappine. Diqui l’idea corrente che possa trat-tarsi di un magistrato. Il busto in marmo bianco è di pre-gevole fattura. È certamente un ri-tratto funerario e probabilmentefaceva parte di un monumento piùcomplesso, aderendo alla tipolo-gia delle tombe con l’effige del de-funto in preghiera rivolto verso l’al-tare, che divenne la più comunenell’età barocca. Solitamente il de-funto è rappresentato come sefosse inginocchiato, con i gomitipoggiati su un cuscino, le manigiunte in atto di preghiera, comeil busto del cardinale Bellarminonella Chiesa del Gesù di Bernini(1622); oppure tiene la mano de-stra al petto e con l’altra stringe unlibro, come nel sepolcro di Girola-mo Raimondi del Bolgi in San Pie-tro in Montorio (1647); in altri ca-si, come nella nostra opera e inquella di Bernini per Gabriele Fon-seca in San Lorenzo in Lucina(1668), l’effigiato ha in mano unrosario. Il movimento del busto se-gue quello della testa, perché lesculture erano concepite per es-sere collocate in nicchie da cui ildefunto si sporgeva verso l’altaree verso lo spettatore. Da un pun-to di vista stilistico, il busto pre-senta le caratteristiche tipiche delclassicismo seicentesco di stam-po algardiano: la naturalezza

espressiva dell’uomo, la metico-losa attenzione ai dettagli, le for-me salde, la bocca chiusa, gli oc-chi che fissano lo spazio, tuttoconcorre alla rappresentazione so-stanzialmente statica di una con-dizione esistenziale permanente.Susanna Mastrofini

Bibliografia: Wittkover 1993, pp.267-269; Bacchi 1996, figg. 70,412; Ferrari, Papaldo 1999, pp.XLIX, LVI, 112, 113, 186, 316,374, 375, 412.

III.83

Scultore romanodel XVII secoloBusto di prelato o di procuratoremarmo, altezza 60 cm Roma, Fondazione Dino edErnesta Santarelli, inv. 261

Questa scultura è entrata nellacollezione Santarelli con acqui-sto da una raccolta privata fio-rentina, insieme alla colonna chefunge da suo piedistallo. Su ba-si stilistiche il busto è databile alXVII secolo. Il personaggio ritratto è identifi-cabile con un prelato, come in-dica lo zucchetto posto sul ca-po, visibile solo dal lato poste-riore, sbozzato e non rifinito, chesegue un profilo circolare: lascultura era forse concepita perun oculo e destinata a un mo-numento funerario, genere dif-fuso nella ritrattistica romanaseicentesca.L’uomo è ritratto frontalmente,in una posa convenzionale e ce-lebrativa. Le pieghe angolose delmanto, su cui sono incisi motivifloreali, conferiscono plasticità eun taglio dinamico al torso, dal-l’aspetto massiccio. Una massaconsistente di ciocche ondulate,eseguite con abilità virtuosisticaanche col trapano, circondano ilvolto spazioso e dalla fronte lar-ga. Sono rialzati i bordi degli oc-chi e leggermente sbozzate le li-nee delle sopracciglia e dei baf-fi, che danno un piglio d’auste-rità e un tratto francesizzante al-la figura. Secondo A.G. De Mar-chi potrebbe anche non trattarsidi un prelato ma di un’eminentepersonalità della Repubblica diVenezia, visti alcuni caratteri del-l’abito.Lo scultore manifesta i segni del-la cultura romana del XVII seco-lo, rievocante la scultura antica,arricchita da tratti barocchi, evi-denti soprattutto nella fisionomiae nell’acconciatura pittoresca.Sono riscontrabili affinità con scul-ture che decorano alcuni monu-menti funebri romani, come il bu-sto del marchese Giovanni PaoloGinetti, nella cappella di famiglia

di Sant’Andrea della Valle, operadi A. Rondone (messo in operanel 1703), e i busti ai lati del se-polcro Millini, nella cappella omo-nima di Santa Maria del Popolo,scolpiti da P.E. Monnot, forse conl’intervento della bottega (1703).Barbara Savina

Bibliografia: Bacchi 1996; Ferrari-Papaldo 1999, pp. 37, 313-314.

III.84

Alessandro Rondone (documentato dal 1663 al 1710) Busto del cardinale Marzio Ginetti, 1673 circaporfido e marmo statuario,altezza 89 cmRoma, Fondazione Dino edErnesta Santarelli, inv. 75

Il 4 agosto 1673 lo scultore Ales-sandro Rondone riceveva un ac-conto per la fornitura di un “bu-sto in porfido per il ritratto dellafel. mem. del Cardinale Ginetti”,opera che compare menzionatain un anonimo elenco di lavori giàeseguiti per la famiglia Ginetti da-tabile agli inizi del 1675. L’identi-ficazione del pezzo col busto og-gi alla collezione Santarelli si de-ve a González-Palacios (2004),che per primo pubblica la scultu-ra, rendendo note, contestual-mente, le suddette carte. La fi-sionomia dell’effigiato si lascia ineffetti palesemente confrontarecon quella del potente cardinaleMarzio Ginetti (1585-1671), tra-mandata da diversi ritratti, qualiun dipinto attribuito al Baciccio(già New York, Galleria Piero Cor-sini), da cui deriva un’incisione diArnold van Westerhout edita nel1687, la statua a figura intera in-ginocchiata per il monumento fu-nebre eretto nella cappella genti-lizia in Sant’Andrea della Valle,scolpita da Antonio Raggi, e unbusto ritratto in marmo bianconella sacrestia della chiesa deiSanti Leonardo ed Erasmo nelfeudo familiare di Roccagorga,anch’esso dovuto ad AlessandroRondone. Lo scultore dovette ve-nire particolarmente apprezzatodai Ginetti – al servizio dei qualifu lungamente attivo, realizzandofigure scolpite e restaurando scul-ture antiche – anche in virtù del-le sue qualità ritrattistiche, se trai lavori per la cappella in Sant’An-drea della Valle gli venne riserva-ta la statua del cardinale Giovan-ni Francesco, nipote di Marzio,posta in loco nel 1703, e i bustidei suoi fratelli, il marchese Mar-zio e monsignor Giovanni PaoloGinetti. Il citato busto di Rocca-gorga fa inoltre parte di una serie

di sei analoghe effigi marmoreein cui l’artista eternava le fattez-ze dei più eminenti membri dellafamiglia (1703). Il ritratto postu-mo del cardinal Marzio nella col-lezione Santarelli costituisce l’u-nica testimonianza finora notadell’adesione da parte del Ron-done alla moda della scultura inporfido; secondo un uso antico, ilmarmo purpureo vi viene utiliz-zato per la sola resa del busto, ab-bigliato con una morbida moz-zetta, mentre per il colletto del ca-mice e la testa l’artista è ricorsoal più duttile marmo bianco.Carlo La Bella

Bibliografia: González-Palacios2004.

III.85

Lorenzo Ottoni (Roma, 1648-1736) Busto di Clemente XI Albanimarmo di Carrara, altezza 102,5 cmRoma, Collezione Federico Zeri – Fondazione Dino edErnesta Santarelli

Questo monumentale busto ri-tratto, già di proprietà della fami-glia Castelbarco Albani, deve aZeri l’attribuzione a Lorenzo Ot-toni, scultore molto apprezzatoda Clemente XI, che lo coinvolsenei suoi principali patronati arti-stici sia a Roma che nella natiaUrbino. Compiuta la propria for-mazione presso Antonio Giorget-ti e, in seguito, nello studio di Er-cole Ferrata, Ottoni rivelò prestole sue notevoli qualità di ritratti-sta, profondamente influenzatedai modelli berniniani, e più voltesi trovò impegnato a scolpire bu-sti marmorei su richiesta di altiesponenti della curia e dell’ari-stocrazia. L’intervento del mae-stro anche nel campo della ritrat-tistica clementina è attestato daLeone Pascoli, suo amico perso-nale nonché unico biografo, ilquale ricorda un busto non iden-tificato di Clemente XI che Otto-ni avrebbe scolpito su commis-sione del cardinale Pietro Otto-boni (Pascoli 1730-1736, p. 214),opera che si trova menzionata an-che in un inventario dei beni delpotente prelato veneziano (Na-poleone 2010). I busti ritratto dipapa Clemente XI, scolpiti inbuon numero per essere espostiin diverse sedi pubbliche e priva-te dello Stato Pontificio – e ai cuiesemplari conservati occorre af-fiancare diversi pezzi attestati dafonti e documenti ma finora nonrintracciati – attendono ancora, inmolti casi, un’analisi attributivacircostanziata, da approntare in ri-ferimento ai diversi scultori im-pegnati a vario titolo nell’ampioprogramma di committenze d’ar-te sostenuto dal papa. ClementeXI curò con attenzione la costru-zione dell’immagine ufficiale del-la sua persona; affidando a Fran-cesco Moratti la realizzazione del-

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