Scheda Foucault

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Opificio 2013/2014 – Borghesia Sette approssimazioni. M. Foucault Sorvegliare e punire Autore Andrea Salvo Rossi Gruppo Antropologia a) Indicazione bibliografica del volume (titolo, casa editrice, luogo e data della prima edizione, eventuali ristampe, eventuali traduzioni, ecc.) Michel Foucault. SORVEGLIARE E PUNIRE. Titolo originale "Surveiller et punir. Naissance de la prison". Prima edizione: 1975 Editions Gallimard, Paris Ed. Italiane: 1976 e 1993, Giulio Einaudi, Torino (traduzione di Alceste Tarchetti) b) Presentazione dell’autore Michel Foucault nasce a Poitiers , in Francia, nel 1926. Nel 1946 viene ammesso alla Scuola Normale e studia con filosofi del calibro di Merleau-Ponty e Althusser: sono anni di formazione decisivi, di approccio alla fenomenologia, allo strutturalismo, che nutrono la sua elaborazione filosofica (che con questa tradizione farà i conti, ereditandola e distaccandosene) Nel 1961 presenta Storia della follia nell'età classica come tesi principale diretta da Georges Canguilhem e l' Introduzione all'«Antropologia» di Kant sotto la direzione di Jean Hyppolite . Nel 1963 viene pubblicato Nascita della clinica: un’archeologia dello sguardo medico ( Naissance de la clinique. Une archéologie du regard médical ). Nel 1965 inizia un viaggio per alcune lezioni in Brasile, dove incontra alcuni oppositori alla giunta militare (con i quali terrà un legame costante). Nel 1966 Foucault cura insieme a Gilles Deleuze l’opera omnia di Nietzsche in Francia. Sempre nel 1966 esce Le parole e le cose . Il 12 aprile 1970 viene eletto professore al Collège de France alla cattedra di Storia dei Sistemi di Pensiero. In questa 1

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Opificio 2013/2014 – BorghesiaSette approssimazioni.

M. FoucaultSorvegliare e punire

Autore Andrea Salvo Rossi

Gruppo Antropologia

a) Indicazione bibliografica del volume (titolo, casa editrice, luogo e data della prima edizione, eventuali ristampe, eventuali traduzioni, ecc.)

Michel Foucault.SORVEGLIARE E PUNIRE.

Titolo originale "Surveiller et punir. Naissance de la prison".Prima edizione: 1975 Editions Gallimard, ParisEd. Italiane: 1976 e 1993, Giulio Einaudi, Torino (traduzione di Alceste Tarchetti)

b) Presentazione dell’autore

Michel Foucault nasce a Poitiers, in Francia, nel 1926. Nel 1946 viene ammesso alla Scuola Normale e studia con filosofi del calibro di Merleau-Ponty e Althusser: sono anni di formazione decisivi, di approccio alla fenomenologia, allo strutturalismo, che nutrono la sua elaborazione filosofica (che con questa tradizione farà i conti, ereditandola e distaccandosene)Nel 1961 presenta Storia della follia nell'età classica come tesi principale diretta da Georges Canguilhem e l'Introduzione all'«Antropologia» di Kant sotto la direzione di Jean Hyppolite.Nel 1963 viene pubblicato Nascita della clinica: un’archeologia dello sguardo medico (Naissance de la clinique. Une archéologie du regard médical). Nel 1965 inizia un viaggio per alcune lezioni in Brasile, dove incontra alcuni oppositori alla giunta militare (con i quali terrà un legame costante). Nel 1966 Foucault cura insieme a Gilles Deleuze l’opera omnia di Nietzsche in Francia. Sempre nel 1966 esce Le parole e le cose.Il 12 aprile 1970 viene eletto professore al Collège de France alla cattedra di Storia dei Sistemi di Pensiero. In questa posizione, presso la più prestigiosa istituzione accademica francese, Foucault è ormai considerato un filosofo di capitale importanza nel panorama internazionale. Qui terrà i suoi corsi fino all’anno della sua morte e si dedicherà soprattutto alla ricerca: dal momento che i docenti del College sono tenuti a presentare un corso nuovo ogni anno, le lezioni di Foucault rappresentano ancora oggi un oggetto decisivo per lo studio del suo sistema di pensiero. È in questi corsi annuali che si trovano i raccordi tra le diverse opere (e le diverse fasi del suo pensiero), che vengono colmati i silenzi, disambiguate le contraddizioni e i ripensamenti della sua carriera intellettuale.

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c) Idee salienti e parole chiave (max 5)

"La borghesia non si interessa ai folli, ma al potere che si esercita sui folli; non si interessa alla sessualità infantile, ma al sistema di potere che la controlla. La borghesia se ne infischia completamente dei delinquenti, della loro punizione o del loro reinserimento, che economicamente non ha molta importanza, ma si interessa invece dell'insieme dei meccanismi con cui il delinquente è controllato, seguito, punito, riformato."

Questa citazione è tratta da Bisogna difendere la società, un testo ricavato dalla trascrizione del corso che Michel Foucault tenne al College de France nel 1976.È una citazione utile perché – in qualche modo – anticipa alcune delle conclusioni di questa presentazione, ma soprattutto perché ci getta nel cuore di una tornata d’anni cruciale per il filosofo francese. L’anno prima (1975) usciva Sorvegliare e punire per i tipi della Gallimard. Del 1976 è La volontà di sapere.Due pubblicazioni ravvicinatissime, rispetto invece a quella immediatamente precedente (L’archeologia del sapere è del ’69) e – soprattutto – a quella successiva (L’uso dei piaceri, 1984), che in teoria doveva continuare il progetto avviato con La volontà di sapere , ossia scrivere una storia della sessualità in tre volumi.

Questa periodizzazione fotografa bene un dato sul quale la critica foucaultiana è sostanzialmente d’accordo (pur con tutto il catalogo di puntualizzazioni, discrasie, specificazioni che ora non c’interessano): l’opera di Foucault è suscettibile di una periodizzazione abbastanza precisa nella quale si individuano tre fasi. Le elenco solo rapidamente per passare poi a descrivere quella che riguarda il nostro testo:

1. Archeologia: è la fase di “flirt con lo strutturalismo”, della Storia della follia, di Nascita della clinica, soprattutto di Le parole e le cose e finisce con il già citato L’archeologia del sapere.

2. Genealogia (che sarebbe dunque preparata dal famoso saggio Nietzsche, la genealogia, la storia del ’71)

3. Ermeneutica del soggetto: inaugurata dagli ultimi due volumi della Storia della sessualità, ma soprattutto sviluppata in tutte le piste di ricerca decisive che Foucault ha aperto nei Corsi al College de France degli anni ’80 – quelli della cosiddetta “svolta filosofica” (L’ermeneutica del soggetto, Il governo di sé e degli altri, Il coraggio della verità)

Noi siamo interessati evidentemente alla seconda fase, quella che tematizza la questione del potere e in cui emergono alcuni dei concetti più famosi della teoria foucaultiana: disciplina, dispositivo, microfisica e – ovviamente – biopolitica.L’urgenza di centrare bene la tematica del potere deriva da una certa insoddisfazione legata al metodo archeologico che Foucault aveva messo a punto nei suoi primi testi. In particolare, l’analisi delle produzioni discorsive nella loro autonomia lasciava scoperti due ambiti:

1. Non permetteva di dar conto del ruolo che le pratiche sociali, extradiscorsive, avevano nella produzione e nella circolazione degli enunciati. Si trattava dunque di provare a cogliere gli enunciati come eventi, ossia come il precipitato di tutta una serie di condizioni materiali che avevano portato alla produzione proprio di quegli enunciati, non altri, in quel momento, non un altro.

2. Non problematizzava la figura del ricercatore. È la storica questione che viene posta a Foucault, in maniera più o meno polemica: “da dove parla l’archeologo?”. Ossia: se

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ogni testo viene fuori da tutta una rete discorsiva costitutivamente superiore alla capacità che l’autore ha di gestirla, da dove viene fuori questo discorso “archeologico” che – con distacco – descrive queste relazioni, questa condizioni di esistenza degli altri discorsi e perché dovrebbe essere capace di mettere in pausa questa fuga delle interpretazioni che si rincorrono nel campo dei discorsi senza trovare fondamento?

Da qui deriva la necessità di centrare il tema del potere, ossia di scoprire quella relazione complessa che esiste tra esso e il sapere e i modi in cui questa relazione produce oggetti di conoscenza (e soggetti di potere). Una necessità che passa per la scoperta di Nietzsche (sono gli anni della famosa Nietzsche Reinassance che riguarderà Foucault, Deleuze, Klossowski) e del metodo genealogico: in sostanza, la storia delle scienze – lungi dall’essere storia di un progressivo affermarsi della razionalità e della dissipazione del dubbio – è invece storia di violenza, di tentativi di dominazione e di surcodifica del reale (consentanee alla sua stessa produzione).

Ora, l’idea di Sorvegliare e punire è che – a partire da un certo momento – si sarebbe andata affermando una nuova tecnologia del potere (il famoso nodo della biopolitica) molto diverso da quello dell’Ancien Regime: un potere che non passa più per lo splendore del supplizio, per la tortura esemplare.Noi siamo abituati a pensare a questo passaggio come ad una forma di umanizzazione del sistema penale, secondo il solito schema continuista che rilegge la storia secondo un percorso ascensionale in cui tutto si tiene.Foucault smentisce questa lettura illuminista del fenomeno, individuando le ragioni del superamento di alcune tecniche di potere nel loro essere:

1. Troppo onerose2. Poco efficienti

Con biopolitica intendiamo quella forma di potere che prende in carico ogni aspetto della vita dell’individuo assoggettato. Forme eminenti di questo potere circolano negli ospedali psichiatrici, nelle scuole, nelle fabbriche, in carcere.È un potere che separa, che valuta, che educa, che ottimizza, che rende produttivi, che – a rigore – produce soggettività.

È dentro questa prospettiva che si situa la scrittura di Sorvegliare e punire e solo dar conto di questa complessità filosofica permette di non approcciare al testo come ad un serbatoio di aneddotica sulle carceri.Il carcere come forma d’espressione di un riassetto del potere e dunque di ridefinizione del rapporto tra dominanti e dominati.Un potere che si articola secondo tre codici principali:

1. Isolare/ Individualizzare: prevenire che i carcerati si percepiscano come comunità solidale (e magari ribelle). Isolamento non solo come “pena nella pena”, ma come ripiegamento del condannato nella solitudine della propria coscienza.

2. Lavoro: da subito, nelle carceri, la detenzione è andata insieme all’attività lavorativa. Il movimento operaio nel XIX secolo si opponeva con forza al lavoro forzato perché giocava una competizione al ribasso con la manodopera operaia. Foucault, però, scalza questa lettura: la questione del lavoro forzato non è evidentemente la produzione di profitto (irrisorio rispetto a quello mediamente prodotto dalla grande fabbrica). È

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invece la costruzione di un rapporto di potere in quanto tale: lavorare in prigione vuol dire avere dei superiori, dei tempi scanditi (tempo di lavoro, tempo di svago, tempo per mangiare, tempo per risposare), una gerarchia, delle consegne. In questo senso la prigione diventa un laboratorio che costituisce dispositivi asimmetrici di potere tramite attività vuote, la cui pregnanza – cioè – non sta nell’oggetto della produzione, ma nel soggetto che viene fuori da quella produzione. Soggettività – dunque – come prodotto, come esito e non come punto di partenza cartesiano. Individuazione come processo metastabile (cioè in equilibrio precario) e sempre in fieri.

3. Modulazione della pena: dal punto di vista prettamente giuridico il carcere è privazione di libertà. In realtà, però, quasi subito, il carcere diventa anche sistema di correzione. L’idea è che la prigione non debba solo escludere il condannato dalla comunità, ma debba invece prenderne in carico la vita per agire un concreto REINSERIMENTO in quella comunità. Dunque anche la durata della pena è stressata elasticamente perché si adatti a quel detenuto specifico, non ad un altro (aggravanti, buone condotte, sconti, tutto un apparato estensivo che si traduce in effetti intensivi sul corpo del detenuto).

Queste tecniche di potere (isolamento/ lavoro/ modulazione della pena) rappresentano una continua eccedenza, un sovrappiù di potere, non previsto dal piano puramente giuridico (ecco qui la critica alla prima fase del lavoro foucaultiano: negare l’autonomia dei discorsi, vedere le relazioni tra essi e le pratiche sociali, come scrive il semiologo Paolo Fabbri: non si tratta quindi di parole e di cose distinte, ma di un'organizzazione dell'esperienza in diagrammi: la prigione nella sua fisicità, ma anche i regolamenti interni a essa, e tutti organizzano la criminalità. Ecco perché non c'è opposizione tra cose e parole: il solo problema sono gli oggetti; gli oggetti sono centrali nell'analisi, in quanto sono simultaneamente costruiti da pezzi di parole, di gesti, di affetti, di concetti etc.. Tutto ciò forma un piano di materia organizzato in un certo modo.). Foucault definisce quest’eccedenza penitenziario.

Come funziona il penitenziario? Con un’irruzione del biografico nel giuridico. Accanto alla figura del condannato, costituita nei tribunali, c’è il suo doppio incarnato: il delinquente. Il delinquente non come autore del reato, ma come singolarità la cui vita privata, il cui temperamento, carattere, estrazione sociale, desideri, pulsioni hanno prodotto l’accadere del reato. L’azione del condannato è quella puntuale di chi infrange la legge, il delinquente è colui la cui vita spiega il crimine: si mescolano così sapere psichiatrico e giuridico, medico e criminologico.La prigione produce delinquenti – dice Foucault – non solo nel senso che la maggior parte degli ex detenuti, fatalmente, tornano a delinquere, ma nel senso che è proprio tutto l’insieme di pratiche penitenziarie, nella loro eccedenza, a produrre la soggettività del delinquente, a farlo diventare un oggetto di sapere e dunque un fatto pensabile.In questo senso la prigione non è affatto il luogo in cui la nuda vita riscopre il contatto con la propria autenticità primigenia, originaria, che precede la politica: le vite in detenzione sono vite vestitissime, nel senso che sono vite modificate, contaminate, smontate e rimontate insieme, spinte verso l’efficienza produttiva, la docilità dell’obbedienza, il rispetto delle gerarchie, l’incorporazione di temporalità artificiali (il tempo di lavoro).

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Parole chiave: 1 penitenziario 2 biopolitica 3 disciplina 4 assoggettamento/soggettivazione

d) Struttura dell’opera Parte prima. Supplizio

È la parte in cui – a partire dalla cruda descrizione dell’esecuzione di Damiens, autore di un tentato regicidio ai danni di Luigi XV – si descrive il funzionamento del potere prima dell’affermazione del regime disciplinare/ biopolitico: senso della tortura, modi in cui il corpo è investito nella relazione di potere.

Parte seconda. Punizione

In questo capitolo si tenta di descrivere le ragioni effettive di una modifica del sistema di potere descritto nella prima parte. L’idea è quella di superare una lettura legata ai temi del progresso, della continuità, dell’umanizzazione (quella che lega superamento del sistema supplizio e razionalità illuminata: es. Beccaria), per comprendere le ragioni reali di un’efficienza superiore riconosciuta al sistema disciplinare.

Parte terza. Disciplina

Il capitolo centrale dell’opera in cui viene descritto il sistema disciplinare nelle sue singole articolazioni e viene definito il funzionamento del SISTEMA PANOPTICO.

Parte quarta. Prigione

Capitolo conclusivo in cui si riepiloga il modo in cui il penitenziario eccede il giuridico, si rilancia nella definizione del potere disciplinare non come potere che reprime l’illegalismo, ma come potere che lo ripartisce, lo differenzia, lo include in gerarchie di senso, come potere che – oltre la puntualità del condannato – produce la figura durativa del delinquente. È il capitolo che apre a questioni legate alla contemporaneità e, soprattutto, che getta le basi per rilanciare un progetto di ricerca che di fatto troverà compimento (e superamento) nei successivi tre volumi della Storia della sessualità.

e) Riflessioni sulla pertinenza al tema della “Borghesia”

Rispetto a quelle che abbia definito idee salienti come si inserisce la citazione di Bisogna difendere la società? Cosa significa – cioè – che la borghesia è interessata ai meccanismi di controllo piuttosto che agli oggetti sui quali quei meccanismi si appunta?

In ballo c’è una critica di una certa concezione del potere per come esso si sarebbe sviluppato nella progressiva affermazione della borghesia come classe egemone.L’idea messa a critica da Foucault – che evidentemente ha presente tutto il dibattito sulle possibilità di integrazione tra la teoria freudiana e quella marxiana – è che la borghesia abbia prodotto e messo in campo un potere essenzialmente repressivo: un potere che vieta, che dice no, che limita l’azione, che argina l’iniziativa Repressione sessuale, repressione poliziesca, repressione psichiatrica, repressione nel lavoro di fabbrica: questi gli strumenti di cui la borghesia si sarebbe dotata nella via d’imposizione

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della propria ideologia come verità oggettiva, nel tentativo (riuscito) di universalizzare la propria parzialità. Una lettura – semplifichiamo – che chiama in causa, in modo rigido, la vecchia questione della struttura e della sovrastruttura: la borghesia si afferma come classe egemone, proprietaria dei mezzi di produzione e – a cascata – viene fuori la repressione sessuale, il carcere, la psicologia criminale, la gerarchia di fabbrica.

Foucault inverte la prospettiva: è l’emersione di determinati saperi localizzati (criminologico, psichiatrico, sessuologico) a creare le basi perché la borghesia possa dotarsi di dispositivi di potere finalizzati alla propria affermazione.Sapere e potere vengono ad essere due ambiti profondamente intrecciati e pur tuttavia distinti: non è il potere a determinare “cosa si sa” (questione dell’ideologia), ma – allo stesso modo – non è vero che il sapere viene prima del potere, che poi lo distorce e se ne serve (questione della neutralità delle scienze).È vero piuttosto che saperi localizzati, specifici, precisi producono immediatamente relazioni asimmetriche di potere (peccatore/confessore, paziente/analista, carceriere/carcerato) che poi la borghesia ha saputo mettere a valore per la produzione e riproduzione del capitalismo.

Analizzare l’affermazione del sistema carcerario vuol dire dar voce proprio a questi saperi localizzati, tattici, al di là di letture sintetiche e unificanti: dar voce al fatto delle rotture, delle discontinuità, degli intrecci tra ambiti locali di conoscenza e di controllo contro la teoria del progresso, della continuità, del progetto coerente che sovradetermina le trasformazioni storiche.

f) Citazioni rilevanti

“Damiens era stato condannato, era il 2 marzo 1757, a «fare confessione pubblica davanti alla porta principale della Chiesa di Parigi», dove doveva essere «condotto e posto dentro una carretta a due ruote, nudo, in camicia, tenendo una torcia di cera ardente del peso di due libbre»; poi «nella detta carretta, alla piazza di Grêve, e su un patibolo che ivi sarà innalzato, tanagliato alle mammelle, braccia, cosce e grasso delle gambe, la mano destra tenente in essa il coltello con cui ha commesso il detto parricidio bruciata con fuoco di zolfo e sui posti dove sarà tanagliato, sarà gettato piombo fuso, olio bollente, pece bollente, cera e zolfo fusi insieme e in seguito il suo corpo tirato e smembrato da quattro cavalli e le sue membra e il suo corpo consumati dal fuoco, ridotti in cenere e le sue ceneri gettate al vento» .«Alla fine venne squartato, - racconta la 'Gazzetta di Amsterdam'. - Quest'ultima operazione fu molto lunga, perché i cavalli di cui ci si serviva non erano abituati a tirare; di modo che al posto di quattro, bisognò metterne sei; e ciò non bastando ancora, si fu obbligati, per smembrare le cosce del disgraziato a tagliargli i nervi e a troncargli le giunture con la scure...” (p. 5)

“Di qui, l'effetto principale del "Panopticon": indurre nel detenuto uno stato cosciente di visibilità che assicura il funzionamento automatico del potere. Far sì che la sorveglianza sia permanente nei suoi effetti, anche se è discontinua nella sua azione; che la perfezione del potere tenda a rendere inutile la continuità del suo esercizio; che questo apparato architettonico sia una macchina per creare e sostenere un rapporto di potere indipendente da colui che lo esercita; in breve, che i detenuti siano presi in una situazione di potere di cui sono essi stessi portatori. Per questo, è nello stesso tempo troppo e troppo poco che il

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prigioniero sia incessantemente osservato da un sorvegliante: troppo poco, perché l'essenziale è che egli sappia di essere osservato; troppo, perché egli non ha bisogno di esserlo effettivamente. Perciò Bentham pose il principio che il potere doveva essere visibile e inverificabile. Visibile: di continuo il detenuto avrà davanti agli occhi l'alta sagoma della torre centrale da dove è spiato. Inverificabile: il detenuto non deve mai sapere se è guardato, nel momento attuale; ma deve essere sicuro ere può esserlo continuamente. Bentham, per rendere impossibile il decidere sulla presenza o l'assenza del sorvegliante, per far sì che i prigionieri, dalla loro cella, non possano scorgere neppure un'ombra o cogliere un controluce, previde non solo persiane alle finestre della sala centrale di sorveglianza, ma, all'interno, delle divisioni che la tagliavano ad angolo retto, e, per passare da un settore all'altro, non delle porte, ma delle "chicanes": poiché il minimo battimento, una luce intravista, uno spiraglio luminoso, avrebbero tradito la presenza del guardiano . Il "Panopticon" è una macchina per dissociare la coppia vedere-essere visti: nell'anello periferico si è totalmente visti, senza mai vedere; nella torre centrale, si vede tutto, senza mai essere visti. Dispositivo importante, perché automatizza e deindividualizza il potere. Questo trova il suo principio meno in una persona che non in una certa distribuzione programmata dei corpi, delle superfici, delle luci, degli sguardi; in un apparato i cui meccanismi interni producono il rapporto nel quale gli individui vengono presi. Le cerimonie, i rituali, i marchi per mezzo dei quali il più-di-potere viene manifestato dal sovrano, sono inutili. Esiste un meccanismo che assicura la dissimmetria, lo squilibrio, la differenza. Poco importa, di conseguenza, chi esercita il potere. Un individuo qualunque, quasi scelto a caso, può far funzionare la macchina: in assenza del direttore, la sua famiglia, gli amici, i visitatori, perfino i domestici […]” (p. 219 – 220)

“La prigione è «naturale», come è «naturale» nella nostra società l'uso del tempo per misurare gli scambi. Ma l'evidenza della prigione si fonda anche sul suo ruolo, supposto o preteso, di apparato per trasformare gli individui. Come potrebbe la prigione non essere immediatamente accettata, quando, rinchiudendo, raddrizzando, rendendo docili, non fa che riprodurre, salvo accentuarli un po', tutti i meccanismi che si trovano nel corpo sociale? La prigione: una caserma un po' stretta, una scuola senza indulgenza, una fabbrica buia, ma, al limite, niente di qualitativamente differente. Questo doppio fondamento – giuridico economico da una parte, tecnico-disciplinare dall'altra - ha fatto apparire la prigione come la forma più immediata e più civilizzata di tutte le pene. Ed è questo doppio funzionamento che le ha dato subito solidità. Una cosa in effetti è chiara: la prigione non fu dapprincipio una semplice privazione della libertà, cui solo in seguito sarebbe stata attribuita una funzione tecnica di correzione; essa è stata, fin dall'inizio una «detenzione legale» incaricata di un supplemento correttivo, o ancora un'impresa di modificazione degli individui, che la privazione della libertà permette di far funzionare nel sistema legale. Insomma la detenzione penale, fin dall'inizio del secolo Diciannovesimo, comprese insieme la privazione della libertà e la trasformazione tecnica degli individui” p 253

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