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La filosofia scettica esalta un atteggiamento di ricerca, cioè di continuo approfondimento dei caratteri della realtà, A PARTIRE DALLA CONSAPEVOLEZZA che una verità definitiva non è mai raggiungibile. Proprio questo rende possibile una continua ricerca.

D’altro canto, dirà Agostino, una ricerca senza un obiettivo da raggiungere ha poco senso: questa sarà una delle più efficaci obiezioni allo scetticismo sotto il profilo gnoseologico.

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In ogni caso l’idea che la verità sia irraggiungibile è di chiara derivazione sofistica, e ha a che fare con il sapere di non sapere socratico. A ciò si aggiunge uno sguardo complessivo sulla diversità e inconciliabilità tra le dottrine di coloro che sono stati considerati sapienti (i filosofi del passato). La conclusione non può essere che il dubbio sulle presunte verità del sapere tradizionale e comune, ma anche su quello filosofico. Con gli scettici tale compito viene portato a termine fino alle estreme conseguenze e con un loro peculiare intento ETICO.

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Le principali scuole scettiche fanno riferimento a PIRRONE e alla Media e Nuova ACCADEMIA

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PIRRONE di Elide

(365 a.C.-275 a.C.)

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Nasce a Elide Nel Peloponneso nel 365 circa. Secondo la tradizione fu allievo di filosofi megarici e atomisti. Prendendo parte alla spedizione di Alessandro Magno in Oriente, lì conosce i gimnosofisti, sapienti indiani che vivevano una vita ascetica e , almeno nelle apparenze, simili a quella esaltata dai cinici, fondata su straordinarie forza di volontà e resistenza al dolore. Muore molto vecchi nel 270 a.C.

Non scrive nulla. Sappiamo di lui grazie a Diogene Laerzio e all’allievo Timone di Fliunte (320-230), ma anche grazie a Cicerone e Sesto Empirico. Tra i suoi scolari vi è quell’atomista Nausifante che diverrà maestro di Epicuro.

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In linea con il pensiero ellenistico, la preoccupazione di Pirrone riguarda principalmente la felicità e il modo per giungervi. A ciò deve essere finalizzata la filosofia, indagando tre questioni basilari:

Quale sia la natura degli enti; quale atteggiamento è necessario assumere nei loro confronti; quali conseguenze risultano da tale atteggiamento.

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La risposta alle questioni poste è la seguente:

1) qualunque sia la natura dei fatti, essa risulta inconoscibile all’uomo. Infatti tutti i giudizi che possiamo formulare sulla natura delle cose sono convenzionali e relativi: ciò che rende un ente buono o cattivo, bello o brutto, vero o falso, è una credenza umana mutevole e basata su assunti culturali diversissimi da paese a paese e indimostrabili in sé.

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2) Non bisogna secondo Pirrone avere «né opinioni, né inclinazioni, né scosse su ogni cosa dicendo: ‘È non più che non è’ oppure: ‘È e non è’ e di conseguenza sospendere il giudizio, ossia promuovere quella che sarà codificata come epoché scettica.

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3) La conseguenza di tale prospettiva sarà dapprima un silenzio indicatore di come sulle cose non ci si vuole pronunciare (afasia) e poi un’imperturbabile serenità dell’anima che i greci chiamano atarassia.

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Così il saggio vivrà una quotidianità serena nelle piccole cose della vita (Pirrone aiutava la sorella nelle faccende di casa), inattaccabile, però, da tutte le preoccupazioni e dai dolori che turbano l’esistenza dei più. Le testimonianze ci dicono che addirittura sembra che non scansasse i carri al loro passaggio, o non saltasse di proposito i fossati, non curandosi in nessun modo dei malanni fisici che ne potevano derivare. A chi gli diceva «Ma allora perché non ti suicidi?» egli rispondeva «Perché non so se la vita sia un bene o un male».

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ARCESILAO

DI PITANE

(315 a.C-241 a.C.)

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La Media Accademia assume un punto di vista scettico enfatizzando una parte della dottrina del fondatore, quella secondo cui la conoscenza sensibile non è assolutamente affidabile, a causa del divenire continuo delle cose. Il resto viene tralasciato come dottrina relativa ad un mondo metafisico non disponibile ad essere direttamente vissuto dall’uomo terreno.

In Arcesilao (che non scrive nulla e delle cui dottrine sappiamo solo attraverso fonti indirette) di tale prospettiva è sottolineata la valenza polemica contro la gnoseologia stoica.

In generale Arcesilao non affermatesi proprie ma critica le affermazioni di altri filosofi, mostrando che ad ognuna di esse, con eguale pretesa di verità, può esserne opposta una uguale e contraria.

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Il risultato delle polemiche del nostro filosofo non poteva che essere una sospensione del giudizio – epoché - circa l’essere e le caratteristiche del reale.

In etica, tuttavia , egli sostiene che, pur non esistendo un criterio assoluto di verità, è possibile farsi guidare da un criterio di ragionevolezza (eulogia) per fondare le proprie scelte. Di queste ultime e del loro buon senso ogni uomo, infatti porta una certa responsabilità.

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CARNEADE

DI

CIRENE

(219 a.C.-129 a.C.)

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Anche Carneade non ha lasciato scritti. Sappiamo da Cicerone e Sesto Emprico che ha diretto l’Accademia dal 167°.C. e che molto ha dedicato delle sue fatiche ad opporsi agli stoici – Crisippo in particolare. Di essi critica la gnoseologia e il concetto di rappresentazione catalettica, la cui verità è possibile, ma non dimostrabile, come attestano i casi delle allucinazioni e dei sogni. Inoltre ritiene che il loro concetto di provvidenza divina non sia in nessun modo dimostrabile.

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All’ideale stoico e tradizionale di verità e certezza Carneade oppone il suo, che è quello di probabilità. Di nulla infatti, egli dice, si può essere certi. Famosi rimangono i discorsi da lui tenuti a Roma in occasione di un’ambasceria, presso il Senato romano, degli ateniesi che si dovevano difendere da una multa loro inflitta per aver saccheggiato una città greca vicina ai loro territori. In tale frangente Carneade prima enuncia un discorso di elogio della giustizia come fondamento di ogni civiltà, poi, il giorno successivo, un altro discorso parimenti acuto e convincente, sul fatto che essa si trova ad essere in contrasto con la saggezza, come lo sarebbe se i romani restituissero secondo giustizia tutti i territori conquistati, facendo la figura degli stolti.

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Unico criterio possibile in assenza di certezze, è quello della probabilità. Ciò che è persuasivo (pithanòn), infatti, deve essere scelto. Vi sono diversi gradi di persuasività di una rappresentazione a seconda del fatto che una rappresentazione sia o meno contraddetta da altre. Il grado massimo possibile è quello che si ottiene quando una rappresentazione non contraddetta viene sottoposta ad un esame particolare e approfondito.

In tale modo, sotto il profilo etico viene rifiutato uno scetticismo radicale, e si opta per una sorta di probabilismo ante litteram.

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Tra il primo secolo a.C. e il secondo d.C. fioriscono, dopo che lo scetticismo viene abbandonato dall’Accademia, alcuni importanti pensatori scettici che si riferiscono a Pirrone. Dopo di essi lo scetticismo costituirà una sorta di corrente carsica della filosofia, che scorrerà sotterranea per affiorare in superficie nuovamente in epoca moderna con personaggi come Montaigne e Hume.

Gli ultimi scettici dell’antichità sono dunque

AGRIPPA SESTO EMPIRICO ENESIDEMO DI CNOSSO

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Filosofo greco, di lui abbiamo notizie dagli Schizzi pirroniani di Sesto Empirico. Rimangono importanti le codificazioni di 5 argomenti che secondo lui condurrebbero alla sospensione del giudizio:

1) mostrare il dissidio tra le opinioni di diversi filosofi (discordanza) 2)ogni dimostrazione parte da principi che sono da dimostrare

attraverso altri principi che a loro volta vanno dimostrati e così via all’infinito (infinito)

3)noi conosciamo un oggetto non in sé ma in rapporto a noi (relazione)

4) in principi delle dimostrazioni si ammettono non per dimostrazione ma per convenzione (ipotesi)

5) le dimostrazioni si fondano su un circolo vizioso, che dà per dimostrato proprio ciò che si deve dimostrare.

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Di Sesto Empirico (180 d.C.-214 d.C.), medico e filosofo, possediamo tre scritti (solo quelli filosofici, mentre quelli medici sono andati perduti): I Lineamenti (Ipotiposi pirroniane o Schizzi pirroniani) : una summa della filosofia scettica che espone i principi dello scetticismo e critica la logica, la fisica e l’etica dei dogmatici (principalmente gli stoici) ; Contro i dogmatici in cinque libri: riprende la critica alle filosofie dogmatiche e Contro i matematici in sei libri: porta un attacco profondo alle cosiddette «arti liberali» grammatica, retorica, aritmetica , geometria, astronomia e musica (salvando solo la dialettica).

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Sesto, riassumendo le riflessioni scettiche dei filosofi passati, pone l’attenzione sull’invalidità dei ragionamenti che pretendono di portare alla verità. In particolare il ragionamento deduttivo cade in un circolo vizioso, perché la premessa universale si pone solo in funzione della conclusione particolare cui si vuole arrivare ( è proprio perché voglio dimostrare che Socrate è mortale, che pongo che tutti gli uomini sono mortali).

L’induzione non è più corretta della deduzione. Infatti se esamina solo alcuni casi, altri casi potranno sempre smentirla, se li vuole invece esaminare tutti cerca di compire un’impresa impossibile giacché essi sono virtualmente infiniti.

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La causa non può non precedere l’effetto, perché esso nasce solo da qualcosa che già esiste prima di lui. Ma se la causa precede l’effetto, essa è causa prima di essere causa, il che è assurdo. Dunque non si dà un concetto di causa valido universalmente perché esso è razionalmente impossibile.

Accanto a tali argomenti Sesto aggiunge altre numerose considerazioni sul concetto stoico di divinità, rispetto alla quale egli mostra che bisogna sospendere il giudizio.