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Scenario Risorse Umane2010-2011

Franco Ferrero

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ISPEREDIZIONI

MARZO 2010

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INDICE

Ed è subito ieri pag. 3 SCENARIO 2010 - 2011

La diciottesima Edizione pag. 5

I Temi pag. 6

Le Fonti pag. 7 Il Contesto socio-economico pag. 9 Il Mercato del lavoro pag. 16 Il Personale pag. 23 La sua Gestione pag. 30 La Direzione del Personale pag. 37 Rispetto allo Scenario precedente pag. 44 Dicono pag. 50

Il Quadro pag. 54

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Ed è subito ieri "Certamente il prolungarsi della crisi continuerà a porre le aziende e le risorse umane sotto stress, perché, mediamente, il fabbisogno complessivo di lavoro continuerà a diminuire almeno per alcuni trimestri del prossimo anno".

"È esattamente ciò che è avvenuto nello scorso decennio in Giappone e Svezia, che hanno conosciuto prima di noi una lunga e profonda crisi scaturita dai mercati finanziari" (Tito Boeri).

"Ancora uno scenario che lascia poco spazio all'ottimismo ma che preoccupa soprattutto per i problemi ormai 'storici' del sistema Italia (soprattutto da un punto di vista strutturale e infrastrutturale e, più in generale, politico-economico) e per l'inadeguatezza quali-quantitativa di tante aziende ivi operanti".

Tre citazioni per una crisi i cui antecedenti prospettano ancora lunga ed i cui effetti sono aggravati da difficoltà non solo congiunturali; tra le altre:

- un apparato produttivo che si sta sminuzzando: in 15 anni il personale delle aziende medio piccole è passato dal 52% al 71% della forza lavoro occupata; molte di loro sono probabilmente prossime alla soglia dimensionale critica, oltre la quale ogni variazione potrebbe innescare l'ormai classica dinamica direzionale gerarchia-sistema*. Se così fosse, "l'esigenza per le piccole imprese di affiancare all'imprenditore un manager che lo completi ed a cui delegare" non sarebbe che l'inizio e la condizione di una mutazione molto più complessa;

- una forza lavoro spesso inoccupata o sottoccupata che, stando "sul mercato per un tempo lungo rischia di far calare il livello medio di professionalità/aggiornamento dei singoli individui e conseguentemente influire a sua volta negativamente sulla fase di ripresa";

_________________

* Evoluzione "fisiologica", dunque necessaria, da un modello accentrato, poco definito, fondato sulla linea, ad uno più formalizzato, segmentato orizzontalmente e verticalmente, funzionalizzato. È quanto avvenne durante il boom degli anni '60 soprattutto nel comparto industriale.

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- la perdita di ruolo del Sindacato, che potrebbe essere l'indizio di un ritorno in massa, e con minori tutele, ai bisogni primari;*

- il possibile speculare ridimensionamento della Direzione del Personale (il "caso Marchionne" riportato da una fonte) stretta fra un'operatività difficile (contenimenti, conflitti) e difficili decisioni strategiche, spesso "assunte a livello superiore".

Dunque?

Risorse umane tra empowerment e impoverimento; comunque troppo costose. Ma, forse, indispensabili per dopo.

Le imprese "saranno consapevoli da un lato della necessità di investire in politiche di sviluppo del capitale umano per rimanere competitive in mercati complessi, dall’altro della necessità di comprimere i costi di gestione".

Una gestione "ambidestra", che connette la nostalgia del domani con l'urgenza ed i pericoli dell'oggi; evocante la centralità delle persone, ma costretta a marginalizzarle in quantità e qualità.

Uno scenario deja vu, simile a tanti del passato.

Che tuttavia richiama, con prospettive ribaltate, addirittura situazioni pre-1970 e magari un neppur troppo provocatorio pensiero ad uno Statuto dei Lavoratori Atipici…

Lo Scenario 2009 concludeva ricordando che "i fenomeni riferiti alle persone hanno derive lunghe ed il loro domani è già scritto. Dunque, oggi. Per dopodomani".

Un dopodomani che - appunto - rischia di essere subito ieri.

_____________________

* Ipotesi non sconfessata neppure da quanti (i "pochi fortunati"?) possono guardare ai bisogni dell'io e, come "imprenditori (sindacalisti?) di sé stessi", snobbare chi istituzionalmente rappresenta invece bisogni collettivi.

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SCENARIO 2010 - 2011

La diciottesima edizione

Come per le precedenti edizioni, la ricerca offre un repertorio di previsioni, (e constatazioni, auspici, esortazioni) semplice nella struttura, agevole alla lettura, attendibile quanto la molteplicità e l'autorevolezza delle fonti.

Costante nelle finalità:

- proporre una visione anticipata, complessiva per i temi e multifocus per le fonti, di fenomeni “lunghi” come sono quelli riferiti alle persone;

- offrire opportunità di riflessioni e raffronti;

e consolidato nelle modalità:

- fonti selezionate, il cui limitato ricambio consente prospettive via via più ampie e tuttavia sufficientemente comparabili nel tempo;

- un questionario di pochi temi significativi le cui risposte (brevi e dunque essenziali) sono riportate in forma anonima e integrale (o in stralcio quando troppo estese);

- un quadro di sintesi che tenta di comprendere tutte le prospettive, secondo interpretazioni il più possibile condivise.

Rispetto alle edizioni precedenti, le fonti hanno subito variazioni contenute in quantità e qualità, entrambe continuando ad essere a livello ottimale.

Le risposte ai temi sono state quasi tutte entro i consueti limiti di sintesi; le poche altre sono state riportate in stralcio.

Hanno fornito riferimenti diretti all'azienda o al settore di appartenenza, ma anche e soprattutto prospettive generali.

Tutte con un orizzonte più ampio che non l'annuale, come d'altra parte è prevedibile per fenomeni a deriva lunga come quelli relativi alle risorse umane.*

Così abbiamo ritenuto più aderente alla "logica" della ricerca attribuirle, d'ora in poi, anche formalmente un respiro biennale.

_______________ * E come era anche indicato nel Questionario per la raccolta delle previsioni.

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I Temi

Cinque per esplorare il "che sarà" delle Risorse Umane in tutti i loro aspetti fondamentali:

- il contesto socio-economico - le condizioni esterne entro cui agiranno le aziende;

- il mercato del lavoro - la forza lavoro disponibile, in quantità e qualità;

- il personale - la forza lavoro occupata: caratteri, motivazioni, costi;

- la sua gestione - norme, problemi, politiche, strumenti ed azioni;

- gli specialisti - la funzione aziendale preordinata.

Uno per sintetizzarne i mutamenti rispetto allo Scenario precedente.

A questi temi, 340 risposte

Le abbiamo raccolte per tema, ordinate per "titoli" in funzione del contenuto e riportate in forma anonima, integralmente o in stralcio, limitandoci ad identificare i titoli e a distribuirvi le risposte e, di ciascuna, a porre in corsivo affermazioni o termini significativi. Senza commenti.

Le abbiamo completate con le 40 dichiarazioni firmate di chi ha ritenuto di rilasciarne.

Abbiamo riepilogato il tutto in un Quadro finale di sintesi.

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Le Fonti

Distribuite nelle tre tipologie che raccolgono tutti i possibili focus:

- gli osservatori: accademici, ricercatori, esperti, responsabili di enti pubblici e privati anche internazionali, di istituzioni e fondazioni di studio e formazione, di società di consulenza;

- i rappresentanti: esponenti ad alto livello delle parti sociali (sindacati di lavoratori e datori) e delle categorie e livelli professionali;

- gli operatori: direzioni del personale di aziende leader di tutti i settori.

Gli Osservatori

Prof. Aris Accornero Professore Emerito Facoltà di Sociologia Università Roma La Sapienza Dott. Giuseppe Antola Direttore Centrale Risorse Umane INAIL Roma

Dott. Giuseppe Caldiera Direttore Generale Fondazione CUOA Altavilla Vicentina

Dott. Carlo Fabio Canapa Presidente Istituto Studi Sindacali Roma Avv. Fabio Cappello Responsabile Segreteria Direzione Centrale Risorse Umane INPS Roma Prof.ssa Marella Caramazza Direttore Generale ISTUD Milano Varese

Prof. Giovanni Costa Ordinario di Strategie d’Impresa e Organizzazione Aziendale Università di Padova

Dott. Iacopo De Francisco Partner McKinsey Italia Milano Prof. Carlo Dell’Aringa Ordinario di Politica Economica Università Cattolica Milano

Prof. Franco Fontana Direttore Generale LUISS Business School Roma

Prof. Luciano Gallino Dipartimento Scienze Educazione e Formazione Università di Torino

Dott. Francesco Lamanda Amministratore Delegato Mercer Tesi Roma Milano Prof. Michele La Rosa Direttore Dipartimento Sociologia Università di Bologna Dott. Salvo Leonardi Ricercatore IRES Istituto Ricerche Economiche e Sociali Sede Nazionale Roma Prof. Avv. Sergio Magrini Ordinario di Diritto del Lavoro Università di Roma Tor Vergata Prof. Avv. Arturo Maresca Ordinario di Diritto del Lavoro Università di Roma Tre Prof. Antonio Marzano Presidente CNEL Roma Dott. Franco Porrari Consigliere CIV Consiglio di Indirizzo e Vigilanza INPDAP Roma Dott. Fabio Cappello Direttore Relazioni Sindacali INPS Roma Dott. Giuseppe Roma Direttore Generale CENSIS Roma Dott. Renato Rosso Partner e Manufacturing Area Director Hay Group Italia Milano

D.ssa Valeria Sannucci Capo Servizio Personale Gestione Risorse Banca d’Italia Roma Dott. Roberto Spingardi Direttore Generale Invitalia Roma Prof. Massimo Tomassini Università di Roma La Sapienza Sen. Prof. Avv. Tiziano Treu Presidente Commissione Lavoro Senato della Repubblica Roma

Prof. Ing. Riccardo Varvelli Professore di Economia e Organizzazione Politecnico di Torino Dott. Giuliano Viani Presidente Intersearch Torino Dott. Giuseppe Zefola Chief a.i. Human Resources Services ILO - International Training Centre Torino

E inoltre, citazioni autorizzate del Rapporto ISFOL

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I Rappresentanti

Dott. Giorgio Ambrogioni Presidente Federmanager Roma Dott. Claudio Benedetti Direttore Generale Federchimica Milano

Ing. Giancarlo Bianchi Presidente AIAS Milano e Chairman ENSHPO

Dott. Antonio Colombo Direttore Generale Assolombarda Milano Prof. Mario D’Ambrosio Past President AIDP, A. D. AIDP Promotion, Segr. Gen. Registro Professionisti HR Dott. Fausto De Simone Direttore Gestione Risorse Umane Sede Confederale CISL Roma

Dott. Fulvio Fammoni Segretario Confederale Responsabile Politiche Attive del Lavoro CGIL Roma

Dott. Guglielmo Loy Segretario Confederale Responsabile Politiche Territoriali UIL Roma

Dott. Gilberto Marchi Presidente Assores Milano

Dott. Luigi Perissich Direttore Generale Confindustria Servizi Innovativi e Tecnologici Roma Dott. Armando Occhipinti Dirigente Servizio Relazioni Industriali Confapi Roma Dott. Giovanni Sabatini Direttore Generale ABI Roma

Dott. Roberto Savini Zangrandi Presidente Nazionale AIDP Associazione Italiana Direzione Personale Milano Dott. Luigi Taranto Direttore Generale Confcommercio Roma

Gli Operatori

Aeroporti di Roma Dott. Vito Mangano Direttore Risorse Umane Organizzazione e Qualità

Alenia Aeronautica Dott. Carlo Rondine Direttore Risorse Umane e Organizzazione

Anas Dott. Piero Buoncristiano Direttore Centrale Risorse Organizzazione e Sistemi Atm Milano Dott. Alessandro Mio Direttore Risorse Umane e Organizzazione

Autovie Venete Ing. Giampaolo Centrone Direttore Esercizio

Barilla Dott. Filippo Romanini Learning Unit Manager

B. Intesa San Paolo Dott. Marco Vernieri Responsabile Direzione Centrale Personale

Bpm Milano Dott Maurizio Bertolotti Direttore Personale Camst Sig. Gabriele Cariani Responsabile Formazione e Sviluppo Organizzativo Electrolux Dott. Marco Mondini Direttore Relazioni Industriali Enel Green Power Dott. Guido Stratta Responsabile Personale e Organizzazione

Eni Gruppo Dott. Marco Coccagna Resp. Sviluppo R. U. e Direttore Operativo Eni Corporate University

Ferrero Dott. Stefano Antonelli Direttore Formazione e Sviluppo Risorse Umane di Gruppo Fincantieri Dott. Sandro Scarrone Direttore Personale

F. S. Gruppo Dott. Domenico Braccialarghe Direttore Personale di Gruppo

Generali Gruppo D.ssa Marina Collautti Respons. Pianificazione Organici Reclutamento Selezione di Gruppo Parmalat Dott. Domenico Massaro Direttore Risorse Umane Pirelli Dott. Vittorio Biagioni Direttore Industrial Relations and Employee Governance

Poste Italiane Dott. Ruggero Parrotto Direttore Formazione, Comunicazione d'Impresa e Respons. Sociale

Saipem Dott. Davide Pellegatta Responsabile Pianificazione Controllo e Servizi Sea Dott. Luciano Carbone Direttore Personale e Organizzazione Sirti Ing. Enrico Serafini Responsabile Organizzazione e Sviluppo Risorse

STMicroelectronics Dott. Giorgio Bettoschi Direttore Compensation Benefits

Unicredit Human Resources Department.

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1 - Il Contesto socio-economico Quali elementi dello scenario italiano, europeo ed internazionale avranno maggiore influenza sul mondo delle Aziende e delle Risorse Umane?

La crisi… La debolezza della crescita continuerà a penalizzare il sistema soprattutto in Europa e in Italia e renderà lento il superamento delle criticità aziendali e il riassorbimento della disoccupazione. Ci vorranno molti anni per ritornare ai livelli pre-crisi: in paesi più ‘vitali’ del nostro si prevedono 3-4 anni. Da noi rischia di essere peggio.

Dopo un 2009 caratterizzato da una pesante recessione, la più grave degli ultimi 50 anni, che ha colpito praticamente tutti i Paesi avanzati, il 2010 si prospetta come un anno ancora difficile perché la ripresa sarà molto debole e si faranno ancora ampiamente sentire le conseguenze della crisi per le Imprese con ovvie ricadute sull’occupazione. La crisi si caratterizzerà anche nel 2010 per le forti pressioni sulla redditività delle imprese. L’unico elemento positivo risiede nel fatto che l’inflazione dovrebbe rimanere moderata, evitando così la perdita di potere d’acquisto per coloro che manterranno il posto di lavoro. Nel 2010 si prevede una crescita del PIL italiano pari allo 0,5% (dopo una calo del 4,9% nel 2009) leggermente più contenuta rispetto all’Area Euro (0,7%). L’inflazione prevista è pari all’1,4% (Area Euro: 1,3%).

Dopo due anni di andamento negativo del PIL italiano, i segnali di ripresa descritti dall’OECD non sembrano avere riscontri in molte aree del paese un tempo ritenute le più dinamiche (ad es. il Nord Est). Di fatto gli indici produttivi stanno solo ora registrando qualche lieve recupero rispetto alla picchiata registrata almeno fino all’inizio dell’autunno. Le tendenze sono legate alle dinamiche estere, e la domanda interna viene tenuta compressa non agendo sulla leva fiscale con la giustificazione di peggiorare ulteriormente i parametri di deficit e debito. Intanto il gettito fiscale ha mostrato abbassamenti significativi, anche oltre la dinamica del PIL, il che dimostra una ripresa dell’evasione e dell’elusione. Non a caso l’unico strumento di “politica economica” messo in atto dal governo è lo scudo fiscale.

La crisi è complicata dalla poca attrattività del Paese rispetto agli investimenti esteri; una delle cause è un apparato normativo farraginoso, incerto, burocratico e scoraggiante. È la stessa ragione per cui le imprese italiane delocalizzano nella nuova Europa e in Oriente.

La crisi "esploderà"; un indicatore attendibile, la domanda elettrica è a -10% (mai successo in passato).

La crisi ha investito le imprese italiane di ogni dimensione, anche se con diversa intensità; tuttavia, per effetto delle misure di bilancio e monetarie adottate per stimolare l’economia, la crescita dovrebbe riprendere nel 2010, ma si tratterà di una ripresa di entità modesta, ancora soggetta a rischi di varia natura. La Comunità Europea ha previsto un rimbalzo guidato dagli Stati Uniti, con una crescita del PIL del 2,2 %, in quanto l’eccezionalità degli stimoli monetari e fiscali sarà in grado di sostenere i consumi delle famiglie e investimenti delle imprese attenuando gli effetti ritardati della crisi sul credito. Meno vigorosa sarà la ripresa nell’area euro, con una crescita del PIL pari all’1%.

Uscita lenta dalla recessione, con rischio latente di double dip; scarsa fiducia, limitati investimenti delle aziende; per le famiglie, difficoltà finanziarie.

La crisi (a macchia di leopardo) è ancora presente; consumi e investimenti sono problematici. Le aziende ricercano efficacia (nuovi mercati, filiere) ed efficienza (costi); circa il loro personale ci sono opportunità di valorizzazione di competenze ignote o sottoutilizzate.

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L’elemento più importante è costituito dall’evoluzione della crisi in atto e dallo scenario competitivo che si delineerà all’uscita dalla crisi.

Nel nostro Paese se la crisi finanziaria ha prodotto effetti relativamente lievi, grazie ad un sistema bancario solidamente ancorato ad un modello di business tradizionale, quella economica si è mostrata particolarmente severa. Il suo costo in termini di perdita complessiva di prodotto nel biennio 2008-2009 è pari a quasi il 6% in termini reali cumulati; cresce a quasi il 10% se si misura come differenza tra le stime di sviluppo che venivano fatte prima della crisi ed i dati effettivi che si sono registrati. Il ROE è quindi in questa fase, e sarà negli anni futuri, sottoposto a severa pressione dal combinato disposto di ricavi che stenteranno a ritrovare ritmi di crescita vivaci – dato il contesto macroeconomico che si stima in ripresa solo modesta – e costi che presentano elementi di rigidità verso il basso.

Permane un elevato tasso di volatilità e incertezza. La crisi non sembra ancora superata e quindi nelle aziende predomina un significativo grado di cautela e una grande attenzione all'efficienza e al contenimento dei costi, elementi che influenzano anche le politiche del lavoro.

La crisi economica incide negativamente sulla domanda di mobilità. Per il 2010, nonostante i segnali di ripresa (PIL + 0,5), non si prevede un recupero rispetto alle pesanti perdite registrate nel biennio precedente soprattutto nel settore merci.

La crisi durerà anche nel 2010 e avrà un superamento lento, complicato dall'avanzare di paesi emergenti che renderanno la competizione enormemente più difficile. In futuro le crisi saranno più frequenti seppur non feroci come questa.

Contrazione complessiva dei mercati.

Ciò che sta influenzando in modo sempre più significativo il contesto è l’esistenza di un solo scenario: quello internazionale con tutte le conseguenze che ne derivano anche sotto l’aspetto della gestione delle risorse umane.

Tentativi di stabilizzare e risalire, ma in un clima che continua ad essere di incertezza; turbolenza politica diffusa; stagnazione (crescono i debiti pubblici e non gli investimenti) che ha ricadute su imprese e risorse umane.

Lo scenario italiano può essere interpretato solo se letto in stretta relazione con quello europeo, così come quello comunitario non può che essere compreso alla luce degli sviluppi del contesto internazionale. Non esiste più una demarcazione tra la varie dimensioni. La crisi ha ribadito i caratteri dell’era del “globale”. Non solo strategia e sinergia tra mercati ma soprattutto interdipendenze e gestione comune delle esternalità. Il fattore competitività globale tratteggia il nuovo paradigma su cui tarare i processi di centralizzazione e decentramento organizzativo, enfatizzando i principi di flessibilità e integrazione dell’ICT nei processi di decentramento.

La sostanziale tenuta del sistema economico produttivo, pur in presenza di una forte tensione occupazionale che si protrarrà probabilmente per l’intero anno 2010, con previsioni di ripresa della produzione industriale e del PIL però assai modeste ed un tendenziale contenimento della spesa e dell’occupazione pubblica, a livello nazionale. Con riferimento all’Europa, pesano le incertezze di natura finanziaria sulla sostenibilità nell’area dell’euro delle economie che maggiormente hanno mostrato segni di squilibrio a seguito della profonda crisi economica globale ma anche quelle derivanti dall’imprevedibilità dell’evoluzione del commercio estero, degli equilibri valutari e dalla possibile ripresa di tensioni speculative sui prezzi delle materie prime. A livello internazionale giocano un ruolo determinante le stesse variabili richiamate per l’Europa, con l’aggravante delle tensioni diplomatiche con Paesi importanti sia sotto il profilo economico che per il mantenimento della pace come l’Iran e delle minacce costituite dal terrorismo e dall’integralismo religioso violento.

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… con i suoi effetti… La portata della crisi economico – finanziaria e il conseguente ridisegno delle regole dei mercati.

Sicuramente ancora gli effetti della crisi economica e dunque le necessarie operazioni di ristrutturazione (gli strumenti “ordinari” di gestione stanno per esaurirsi).

L’andamento della crisi economica a livello mondiale, europeo e italiano. Conflitti e rapporto fra le nazioni. Accordi internazionali eventuali che si profilano oggi come possibili.

Si passerà da un mondo centrato sulla “finanza” ad un contesto che tornerà a mettere il prodotto o il servizio al centro. L’Italia sentirà le problematiche legate all’eccessivo debito pubblico che non consentirà maggiori incentivazioni alle imprese e defiscalizzazione. Ciò peserà sui consumi delle famiglie e quindi sulle imprese. Le Risorse Umane dovranno essere rimotivate attraverso strumenti e sistemi premianti non eccessivamente monetari.

La crisi, in fase di superamento, imporrà una grande riflessione alle aziende. Il necessario orientamento verso la sostenibilità inciderà sulla gestione delle risorse umane.

Ci sarà un ripensamento dei fatti internazionali con mutamenti delle regole del gioco; soprattutto l'Europa non si limiterà a mettere paletti interni. Sarà forse favorito un approccio più sistemico: in Italia maggior collegamento fra pubblico e privato e fra settori senza arrivare ad un pur necessaria "cabina di regia". Accentrare a livello regionale (regione-azienda) il decentramento (federalismo, localismo, ecc.).

Debito pubblico italiano molto elevato limitata capacità di investimento della pubblica amministrazione per la realizzazione delle infrastrutture. Contrazione del reddito spendibile delle famiglie limitata capacità di spesa per consumi. Indebitamento elevato delle imprese limitata capacità di investimento delle stesse. I fattori sopra elencati avranno, come conseguenza, riduzione della produzione, maggiore concorrenza e costante pressione sui prezzi.

Non c'è luce in fondo al tunnel; le imprese avrebbero bisogno di certezze politiche e socio-economiche (che non ci sono) anche per tornare a investire sulle risorse umane, uno degli asset più importanti. Occorreva cogliere l'occasione della crisi per le riforme (infrastrutture, ricerca, innovazione) che mi pare non si stiano facendo; è bastata l'impressione che 'la nuttata è passata' per tornare ad adagiarsi.

La crisi economica occidentale, ovviamente, la fa da padrone, ma non si può non porre l'attenzione anche sugli indirizzi politici nazionali e comunitari. Quei governi che hanno saputo e sapranno reagire più velocemente ed efficacemente ai repentini mutamenti in atto potranno non solo contenere gli effetti della crisi in atto ma anche rimettersi in gioco non appena il "vento cambierà".

La scena è ancora piena di cassa integrazione, liste di mobilità, concordati preventivi, cessioni di rami di aziende, chiusure di stabilimenti, accorpamenti, fusioni, acquisizioni, salvataggi e così via. In queste occasioni si utilizzano a piene mani gli ammortizzatori sociali. C’è però anche un impatto organizzativo: quando un’azienda è costretta a ristrutturare, si diffonde un senso d’insicurezza anche tra le persone che non rischiano il posto, proprio nel momento in cui è invece richiesto loro di dare il massimo per superare le difficoltà, inventare e gestire il cambiamento. Qui servono allora strumenti che potremmo chiamare «ammortizzatori organizzativi» la cui gestione spetta ai vertici aziendali assistiti dagli HRM. L’attuale crisi sta dimostrando che il riassetto societario e quello strategico-organizzativo devono essere pensati assieme.

La ricerca di prodotti e servizi innovativi a maggior valore aggiunto e l’assistenza puntuale al cliente.

La crisi mondiale accelererà ulteriormente il processo di trasferimento verso l’area del Pacifico dei centri nevralgici dell’economia mondiale, con particolare riferimento alle attività manifatturiere.

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Il 2010 sarà ancora – come prevedono tutte le più importanti agenzie specializzate – un anno di grandi difficoltà per l’economia internazionale e dunque anche per quella italiana. Pil, produzione industriale, consumi delle famiglie, esportazioni, produttività del lavoro, redditività delle imprese, risentiranno ancora del pesantissimo arretramento dell’ultimo anno. I timidissimi miglioramenti attesi preludono ad una ripresa che, con ogni probabilità, sarà più lenta e lunga che altrove. Specie con riguardo alla dinamica del Pil, che dovrebbe tornare ai livelli del 2007 soltanto intorno al 2015. Pagheremo l’esiguità degli interventi di contrasto posti in essere dal nostro governo. Nelle aziende, ma più in generale nel paese, la principale emergenza sarà il calo dell’occupazione. La loro azione, di concerto con le organizzazioni sindacali e gli attori pubblici, dovrà essere orientata a contenere la perdita di posti di lavoro e, con essa, di risorse umane importanti.

Stiamo assistendo ad un cambio epocale, che a seconda delle aree geografiche, interpreta in modo diverso la crisi. Se negli Stati Uniti la crisi ha portato ad una messa in discussione, ai massimi livelli, delle compensation per quanto riguarda gli Executive, in Europa la crisi ha portato i Paesi a ripensare alle logiche di mercato e al rapporto che li lega ai clienti. In particolare in Italia questo ha portato ad un differente ascolto del mercato e delle sue necessità, della qualità dei servizi offerti al mercato.

Per tutelare l’occupazione, è necessario preservare soprattutto il sistema della piccola e media impresa, asse portante della nostra economia. Sgravi fiscali e contributivi, oltre a dare ossigeno immediato al sistema produttivo, potrebbero condurre ad una migliore attuazione dei nuovi assetti contrattuali previsto dal Protocollo del 22. 1. 2009. Per quanto concerne lo scenario europeo, non si può non fare riferimento allo Small Business Act, attraverso il quale la Commissione Ue ha deciso di valorizzare le Pmi. Sono tre in particolare le disposizioni che andrebbero applicate senza indugi: formulare regole conformi al principio “pensare innanzitutto piccolo”, semplificando il contesto normativo in vigore; agevolare l’accesso al credito, sviluppando un contesto giuridico che favorisca la puntualità dei pagamenti e sostenere il binomio pmi-ambiente, semplificando le procedure amministrative e incentivando le scelte “verdi”.

Scenario Italiano: progressiva irreversibile tendenza alla terziarizzazione dell’economia e riduzione del comparto manifatturiero. Incremento dei servizi (logistica, trasporti, consulenza, finanza, progettazione, gestione in outsorcing di funzioni originariamente aziendali, ecc.). Il sistema Italia non incrementerà significativamente la ricerca evoluta ed innovativa. Le risorse umane soffriranno per la mancanza complessiva di competenze, formazione e disponibilità alla mobilità. Scenario Europeo: anche qui progressiva terziarizzazione ma con un aumento significativo della ricerca innovativa ed una maggiore mobilità delle risorse umane da un Paese all’altro. Queste si svilupperanno avendo un patrimonio professionale abbastanza flessibile, competente e con conoscenze linguistiche obbligatorie. Scenario internazionale: supremazia economica dei paesi emergenti rispetto le nazioni cosiddette avanzate, Cina, India, Brasile produrranno merci e servizi con incrementi assoluti. È probabile che inizi il predominio anche nella ricerca e nell’innovazione. In alcuni casi si invertiranno i flussi tradizionali di migrazione delle persone in possesso di migliori competenze.

A livello nazionale, la forte crisi che stiamo attraversando impone una crescita sistemica del PIL con risorse economiche provenienti dall’estero. Questo apre due possibili scenari: uno legato ad acquisizioni di aziende nazionali da parte di grandi gruppi multinazionali - con evidente razionalizzazione delle unità sul territorio (ved. esempio Glaxo) - l’altro legato all’incremento delle vendite all’estero - export di prodotti o vendita di knowhow - . Tutto questo richiederà un aumento della competitività delle strutture nazionali, sia in termini di qualità di prodotti/servizi, sia in termini di efficienza. A livello internazionale, invece, il sistema continuerà ad essere guidato in primis dall’incertezza, con andamenti fortemente altalenanti dei mercati finanziari, e quindi economici, con interventi sempre più invasivi delle istituzioni sul mercato. Temi guida saranno le due questioni, quella energetica e quella ambientale, che potranno avere una forte influenza sulle modalità di gestione del business e quindi sulle macrodirezioni che le aziende intraprenderanno a livello globale.

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Per la crisi, soprattutto razionalizzazione dei costi ed ottimizzazione dei risultati.

Gli elementi principali dei vari scenari aventi maggiore influenza sul mondo delle Aziende e delle Risorse Umane riguarderanno principalmente la stabilità politica del quadro mondiale che condizionerà realmente la ripresa complessiva e non solo settoriale e quindi i piani di sviluppo delle varie aziende nonché i piani di potenziamento e di mobilità delle risorse umane coinvolte.

Gli effetti della crisi finanziaria internazionale che si prolungheranno per tutto il 2010, che genererà ulteriori assestamenti delle capacità produttive da West verso East.

… sulle Risorse Umane Certamente il prolungarsi della crisi continuerà a porre le aziende e le risorse umane sotto stress, perché, mediamente il fabbisogno complessivo di lavoro continuerà a diminuire almeno per alcuni trimestri del prossimo anno.

La crisi generalizzata porterà ad una diminuzione del numero e della qualità dei posti di lavoro anche all'estero, con conseguente riduzione del fenomeno della "fuga di cervelli" dall'Italia. Possibilità di attrarre le migliori risorse da parte di quei Paesi che prima e meglio degli altri riusciranno ad uscire dalla crisi.

Gli effetti della crisi economica si manifesteranno pienamente a partire dal 2010, anno in cui il ricorso agli ammortizzatori sociali (casse integrazioni, mobilità, etc) raggiungerà nel nostro settore il picco d’utilizzo. Non va sottovalutato l’incremento, nel 2010, in termini fisici (n. lavoratori, n. imprese) dell’utilizzo degli ammortizzatori sociali in deroga. L’aggravarsi della crisi economica farà pesare ancora di più la mancanza di interventi seri che tendano ad aumentare gli investimenti nel “capitale umano”. Si tratta di un problema strutturale che differenzia l’Italia dal resto dell’Europa e dei paesi avanzati.

La globalizzazione dei mercati, la crisi globale e le misure per il suo contenimento influenzeranno sia la gestione delle imprese sia le risorse umane. L’impatto della crisi sulle imprese riguarderà, oltre agli aspetti di solidità finanziaria, anche la struttura delle “risorse umane”: nei livelli occupazionali, nel ricambio manageriale, nei meccanismi di incentivazione, negli investimenti in formazione, con l’emersione del fenomeno di precarietà occupazionale dei dirigenti over 50.

Una crisi occupazionale che si aggraverà; contratti brevi non rinnovati, licenziamenti anche dovuti a ristrutturazione per maggior produttività; scadranno le tutele previdenziali; soprattutto i giovani ne sono privi; situazione sociale virtualmente esplosiva.

La situazione di crisi finanziaria internazionale ha avuto un impatto forte anche per le organizzazioni internazionali in quanto è diminuita la capacità dei singoli paesi membri e delle istituzioni donatrici di contribuire alle attività di cooperazione tecnica allo sviluppo in maniera significativa. Ciò ha causato difficoltà budgetarie che hanno richiesto interventi strutturali di contenimento dei costi, in particolare nell'area del personale che costituisce nelle amministrazioni pubbliche tradizionalmente il 70% dei costi.

La crisi costituisce il principale elemento che condiziona la maggior parte, se non tutte, le scelte aziendali. Queste ultime, da parte loro, appaiono concentrate più sulla gestione della contingenza che su una prospettiva di medio-lungo periodo, condizionate pesantemente dall’incertezza riguardo il futuro. Ciò spesso si traduce, purtroppo, in comportamenti eccessivamente prudenti e timorosi: razionalizzazioni estreme dei costi; tagli e revisioni a budget che erano stati già approvati; piani industriali alternativi, elaborati con la logica dei “what if”, in cui le “worst options” vengono considerate anche le più probabili. Solo al termine della crisi - che, stando alle previsioni dei principali economisti, dovrà avvenire nella seconda metà del 2010 - si potrà tornare a una gestione più serena ed efficace.

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Ci sarà ripresa ma non si sa se a fine 2010 il Pil e la produzione ritorneranno ai livelli pre-crisi (2007); l'occupazione certamente no; anche nella crisi del 1992, il primo anno si persero 500 mila posti di lavoro e nei due anni successivi un milione.

Due in particolare: - l’esigenza di contrastare gli effetti della crisi economica attraverso azioni che garantiscano continuità dell’azienda ed economicità/qualità del prodotto/servizio (fusioni tra le aziende, innovazione dei prodotti e azioni di efficientamento dei costi); - sulle RU bisognerà preoccuparsi di ricostituire le eventuali competenze perse con l’espulsione del personale; si dovrà, inoltre, verificare se il livello qualitativo del management è adeguato ad affrontare il momento, ma soprattutto se ha le caratteristiche per immaginare ed interpretare concretamente gli sviluppi successivi alla crisi: preparare l’azienda alla ripresa del mercato.

La crisi economica ha gonfiato aspetti negativi che erano già presenti nel territorio italiano ed internazionale. La crescita della disoccupazione in Europa e nel Mondo, ad esempio, è un elemento che caratterizza tutti i paesi. Occorre, quindi, sostenere le imprese per mantenere l’occupazione. Ma è necessario anche fare investimenti in opere infrastrutturali che producono nuova occupazione. In tale contesto di crisi, non va però dimenticata l’influenza che può rivestire la conoscenza e la formazione del capitale umano da cui partire per rendere qualitativamente competitivo il sistema produttivo italiano e mondiale.

Nonostante nell’ultimo periodo alcuni indicatori congiunturali mostrino segni di ripresa, specialmente riguardo agli indici di produzione, è prevedibile che gli effetti più consistenti della crisi sul mercato del lavoro si dispieghino proprio nel 2010. Come è noto, infatti, gli andamenti economici si riflettono sul mercato del lavoro con un certo ritardo. È quindi altamente probabile che per almeno il primo semestre le imprese continueranno a operare in contesti di difficoltà e incertezza economica, con conseguenze rilevanti sulla gestione delle risorse umane. Saranno consapevoli da un lato della necessità di investire in politiche di sviluppo del capitale umano per rimanere competitive in mercati complessi, dall’altro della necessità di comprimere i costi di gestione.

Molto dipenderà dalla congiuntura economica internazionale. Se, come sembra, la crisi è riassorbita e gli andamenti dei principali indicatori macro e microeconomici dovessero mostrare segni di miglioramento anche il mercato del lavoro tornerà a riacquistare una sua dinamicità. Altrimenti il compito più importante sarà proprio nella mani delle risorse umane che dovrà fronteggiare un continuo contenimento di costi a fronte di una selezione di candidati in un contesto molto competitivo dove l'acquisizione dei "migliori" sarà sempre più complessa e risolutiva per garantirsi dei vantaggi comparati importanti.

L'impatto della crisi sulle risorse umane e sulle aziende sarà particolarmente visibile nel corso del 2010, pur in presenza di una debole ripresa. In Italia l'utilizzo della cassa integrazione può evitare interventi immediati e tamponare gli effetti sull'occupazione in attesa che la domanda internazionale riprenda quota e si consolidi. La parte delle imprese italiane orientata all'export - quella del resto più pronta a cogliere le opportunità che provengono dagli scambi internazionali - potrebbe quindi porsi in posizione di vantaggio rispetto a chi concentra la propria attività sulla domanda interna, da diverso tempo - anche prima del dispiegarsi della crisi - debole e poco reattiva, se non per quella componente oggetto di incentivi (in particolare l'automobile).

Se da un lato la crisi finanziaria sembra superata, visti gli incoraggianti segnali provenienti dalle borse internazionali, dall’altro la crisi a livello macro economico risulta lontana da una effettiva soluzione. Il panorama economico - aziendale, subirà molto probabilmente, nei primi mesi del 2010 un’ulteriore contrazione cui seguirà una prima fase di ripresa, comunque lenta. A fronte del prolungarsi dei tempi della crisi, sempre più significativo sarà il problema occupazionale che dovrà essere risolto sia a livello politico/sociale sia a livello aziendale agevolando i principali istituti tipici del “diritto di crisi”. In questo scenario le Risorse Umane dovranno concentrarsi sul recupero di produttività, garantendo

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più risultati con meno risorse. Ci si dovrà ancora focalizzare sugli aspetti hard, non tralasciando però la valorizzazione delle risorse portatrici di valore aggiunto.

La gravissima crisi che ha colpito la finanza e l’economia mondiali ha avuto un pesante impatto sia sul PIL che sui livelli produttivi e occupazionali anche dell’Italia e dell’Europa. Ipotizzando una modesta ripresa economica nel 2010, gli effetti di un primo recupero dei livelli occupazionali dovrebbero slittare, per il noto sfalsamento delle dinamiche economia/occupazione, nel migliore dei casi verso fine anno. Questo scenario influenzerà fortemente la gestione delle risorse umane, con problemi di eccedenze di personale per buona parte dell’anno, di ricollocazione, di riconversione e formazione.

Si ritiene che l’elemento che potrà maggiormente influenzare Aziende e HR è lo stesso generale riassetto delle economie che sta avvenendo su scala globale: determinando almeno nel medio termine un recupero lento o molto lento dei volumi di produzione e vendita cui eravamo abituati ed anche una aumentata disponibilità di professionalità di medio-alto livello nel mercato del lavoro; professionalità che potranno quindi essere più agevolmente attratte da quelle grandi realtà aziendali che hanno saputo superare la recente crisi, anche perché non hanno disinvestito in risorse umane, ma anzi hanno trovato l’opportunità di avviare o migliorare processi di riqualificazione della parte più strategica della propria forza lavoro. Tale disponibilità potrà verificarsi in particolare nel secondo mondo.

Sicuramente: elementi internazionali ed europei: crisi e suoi strascichi (impatti exit strategy: inflazione, turbative sociali, eventuali fallimenti stati, ecc.); paesi emergenti, multiculturalità. elementi italiani: impatti exit strategy dalla crisi; sviluppo tecnologia (sviluppo dei network sociali, nuove frontiere per il knowledge mgmt, team di lavoro come unico network tramite chat/forum ecc.); entrata nel mondo del lavoro impiegatizio della prima generazione di italiani figli di immigrati; “bambaccioni” (conflitto generazionale causato dall’allungamento della vita lavorativa..); inabilità del mercato e del mercato del lavoro, preoccupazione in merito al trovare un impiego. Da alcuni sondaggi attivati sui giovani in cerca di lavoro risulta che la difficoltà di trovarlo sta generando una situazione di estremo pessimismo, fenomeno ancor più nocivo perché porta alla rinuncia stessa del lavoro.

Vale una considerazione di fondo: mai come oggi forse non è necessario distinguere tra i vari scenari. Gli elementi delle crisi accomunano tutti i mercati. In questo momento vale forse più un discorso complessivo. Come questo scenario impatterà è difficile dirlo. I corsi e ricorsi storici ci insegnano che le crisi lasciano sempre qualcosa e che dalle crisi non si esce mai uguali a come si era prima (si potrebbe andare a vedere come ha impattato la precedente crisi del 92-93). Un impatto probabile sulle aziende, che avrà ripercussioni indirette sull’operato delle Risorse Umane, riguarderà la necessità di saper controllare meglio le dimensioni economico finanziarie. Questo potrà tradursi all’atto pratico nella necessità di cominciare a programmare e utilizzare corretti strumenti di pianificazione e controllo (score cards veramente bilanciate); ma sappiamo tutti quanto questo è lontano dalla nostra cultura.

La crisi internazionale, che ha avuto ripercussioni sull'industria in generale ed anche sul settore della cantieristica, impone ed imporrà alle aziende di rivedere i propri processi principali (innovazione, commerciale, produttivo, gestionale) con l'obiettivo di aumentare l'efficienza e ridurre i costi di trasformazione, comunque migliorando la propria capacità di far fronte alle mutate esigenze del mercato e dei clienti. Chi in questo contesto sarà in grado di evolvere per tempo e nella giusta direzione non solo supererà la crisi, ma ne uscirà rafforzato. In questo contesto, quindi diventa fondamentale il ruolo delle Risorse Umane, sia individuando e guidando le azioni e gli strumenti necessari alle aziende per trovare nuovi assetti più snelli ed efficienti, sia nel mantenere e sviluppare il capitale intellettuale aziendale, minacciato da rischi di esodi delle risorse più valide.

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2 - Il mercato del lavoro Come sarà caratterizzata in termini quantitativi (occupazione) e qualitativi (scolarità, ecc.) la forza lavoro disponibile?

Meno occupazione, più qualificazione… Ad una diminuzione, almeno nel breve termine, della forza lavoro in termini quantitativi, corrisponderà una positiva tendenza all'aumento della scolarità e delle professionalità (competenze e conoscenze). Quest'ultimo aspetto avrà due componenti: la prima legata ai giovani che si affacciano al mercato del lavoro con un livello d'istruzione più alto; la seconda legata ad un significativo aumento della formazione continua per coloro che sono già in condizione lavorativa. Da segnalare un costante incremento dell'alta formazione per figure con responsabilità aziendali.

Dal punto di vista quantitativo il 2010 segnerà una ulteriore diminuzione, in media, della domanda di lavoro da parte delle aziende. Dal punto di vista qualitativo la forza lavoro sarà certamente più qualificata dal punto di vista dei titoli formali posseduti. Lo sarà meno dal punto di vista delle competenze richieste.

Stabile o in lieve peggioramento la situazione occupazionale per tutto il 2010. Livello qualitativo delle risorse in aumento: in molti stanno scegliendo di potenziare il proprio bagaglio formativo durante la crisi, in modo da essere più competitivi quando il mercato del lavoro tornerà ad offrire buone opportunità.

In termini quantitativi non ci saranno incrementi di occupazione. Se nei prossimi due anni si inizierà una cauta ripresa questa non comporterà nuova occupazione in termini numerici. In senso qualitativo si incrementerà la necessità di persone in possesso di specializzazioni tecnico ingegneristiche, di competenze linguistiche, di predisposizione alla flessibilità ed alla mobilità.

Quantitativi: ottimizzazione complessiva delle risorse impiegate. Qualitativi: sviluppo delle skill coerenti con l’innovazione tecnologica tipica del comparto aerospaziale.

Oltre alla disoccupazione cresceranno i fenomeni di scoraggiamento, specie dei gruppi e aree più deboli (giovani, donne, anziani, aree del Sud) con conseguente calo del tasso di attività (che resterà a lungo più basso di quelli recenti). Anche la manodopera scolarizzata, che crescerà, sarà spinta a ridurre o a differire l’entrata nel mercato del lavoro.

In termini quantitativi l’occupazione si collocherà a livelli più bassi di quelli raggiunti sino al 2008. In termini qualitativi, aumenterà decisamente il livello medio di istruzione.

Probabilmente vedremo un calo del tasso dei senza-lavoro nella migliore delle ipotesi solo nella seconda metà del 2011. La disoccupazione italiana, se è aumentata meno che in altri paesi, può tuttavia tornare a scendere più tardi per due motivi: 1) il sostegno offerto dalla Cassa Integrazione Guadagni è temporaneo; 2) l’esperienza storica insegna che il mercato del lavoro italiano, per la sua maggior rigidità rispetto ad altri paesi, vede un deterioramento più contenuto nelle fasi di indebolimento del ciclo, ma anche un recupero più lento una volta che sia avviata la ripresa. Un aumento più sostenuto della disoccupazione costituisce il principale rischio di natura endogena sullo scenario per il 2010.

In termini quantitativi assisteremo a un’ulteriore riduzione e sul fronte della “qualità” la ricerca di profili maggiormente specializzati e/o più orientati al management.

Le imprese devono investire 'sulle teste dietro i macchinari' per recuperare il gap di questi anni. Nei quali, fra l'altro, si sono tagliati dirigenti con meno di 50 anni, di produzione, marketing, ricerca, controllo di gestione, cioè delle funzioni critiche per la ripresa, a scapito di amministrazione e finanza.

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In termini generali, ad eccezione di particolari profili (es. ingegneri) la disponibilità di giovani laureati sul mercato del lavoro sarà superiore ai fabbisogni delle aziende che, per ragioni di efficienza e seguendo l'approccio del 2009, assumeranno solo nei casi di assoluta necessità e utilizzeranno quanto più possibile forme flessibili di impiego. In alcune aree professionali la disponibilità sul mercato del lavoro di personale con elevato tasso di esperienza (parliamo sia di professional sia di manager) potrebbe essere meno scontata. Il contenimento del costo lavoro imporrà una politica retributiva sempre più selettiva e un approccio alla negoziazione con le controparti sindacali più rigoroso.

Nel 2010, l’occupazione calerà in modo significativo, anche per effetto dell’esaurimento della possibilità di ricorso alla Cassa Integrazione. Secondo le previsioni del Centro Studi Confindustria, nel 2010 il tasso di disoccupazione si attesterà al 9,5% e il numero di occupati calerà, rispetto al 2009, dell’1,4% (il 2009 si chiuderà invece con un tasso di disoccupazione all’8,3% e una variazione dell’occupazione pari al -2,3% rispetto al 2008). Le persone in cerca di occupazione cresceranno quindi in modo consistente e i processi di ristrutturazione delle aziende renderanno disponibili sul mercato del lavoro anche figure ad elevata specializzazione. Quindi, è probabile che le imprese che versano in condizioni migliori si attiveranno per “cogliere l’attimo” e reclutare, a condizioni vantaggiose, le risorse umane di qualità che escono dalle imprese in crisi.

È prevista una riduzione dell’occupazione e una maggiore possibilità di impiego per il personale qualificato e specializzato in grado di favorire, nelle imprese, innovazione dei prodotti e dei processi, flessibilità operativa e posizionamento su servizi / mercati a più alta redditività.

Contratti a termine, scolarità medio-alta; richiesta di manodopera dai Paesi extracomunitari.

Il dato qualitativo della forza lavoro registrerà una crescita costante e crescente negli anni. Non solo per la maggiore scolarità ma anche per effetto dell’incremento in termini di mobilità professionale. La centralità delle persone nei processi di crescita economica farà evolvere le dimensioni e le direzioni del cambiamento verso una più corretta declinazione dei processi di flessibilità al lavoro e razionalizzazione delle pratiche operative. In termini quantitativi le regole di comportamento e i sistemi di funzionamento degli ordinamenti nazionali sosterranno il cambiamento culturale in corso d’opera “sull’assioma” lavoro. Un mutamento che ha determinato la variazione sia delle caratteristiche che dei principi giuslavoristici, inserendosi in una grande trasformazione che ha innescato da un lato il passaggio verso nuovi modelli di produzione dall’altro la nascita dei nuovi mercati del lavoro: green e white jobs.

Razionalizzazione del personale con maggiore utilizzo di risorse qualificate interne e tutto il resto viene esternalizzato o affidato a persone assunte a tempo determinato per le prestazioni di minor livello qualitativo.

Problemi di occupazione per il primo semestre; poi verrà molto utilizzata la flessibilità e gli interinali.

L’occupazione riprenderà a crescere molto lentamente, richiedendo sempre più forza lavoro altamente scolarizzata da inserirsi attraverso principalmente contratti d’inserimento o forme atipiche quali somministrazione.

Le innovazioni normative non funzionano e penalizzano le aziende. Disoccupazione gravissima, attenuata dagli ammortizzatori sociali.

Immagino che vi sarà sovrabbondanza di risorse disponibili, anche con alti livelli di scolarità, a fronte di una limitata capacità di offerta da parte delle aziende ed enti pubblici.

La forza lavoro – specie in Italia – ha subito una prepotente forza selettiva che ha portato le aziende a cercare di trattenere i talenti migliori e a sfrondare – dove possibile – una forza lavoro quantitativamente inappropriata ad affrontare la crisi.

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È ragionevole ritenere che la disponibilità quantitativa e qualitativa di profili professionali medio-alti sarà maggiore rispetto allo scenario precedente, essendo stato quest’ultimo caratterizzato da tassi di crescita rilevanti, che ha quindi drenato molta della forza lavoro qualificata disponibile, sia nazionale sia internazionale.

In termini quantitativi, l’andamento attuale, caratterizzato da una contrazione del mercato del lavoro, vivrà un’inversione di tendenza quando ci saranno ulteriori segnali di ripresa dalla crisi attuale. Quando comincerà la ripresa ci sarà probabilmente una marcata propensione alla prudenza, da intendere come incremento della diffusione delle diverse forme contrattuali flessibili offerte dalla normativa vigente. In termini qualitativi, invece, già da alcuni anni stiamo assistendo a un incremento del livello di scolarizzazione della forza lavoro disponibile che continuerà anche nei prossimi anni. Questo elemento, tuttavia, se da un lato è un indicatore di qualità della forza lavoro, dall’altro costituisce anche un problema per le aziende, poiché risorse più istruite nutrono anche maggiori aspettative (in termini retributivi, di carriera …): aspettative che non sempre le aziende sono in grado di soddisfare.

Difficile pensare di incrementare le risorse lavorative, nonostante la preparazione (forte numero laureati con conseguenti master di vario genere) sia decisamente aumentata.

Si creerà molto probabilmente una maggiore distanza tra le professionalità medio-basse e quelle medio-alte. Sul mercato ci sarà grande disponibilità (dal punto di vista quantitativo) per quanto riguarda le prime; questa maggiore disponibilità potrà garantire alle aziende più strutturate e dotate di processi selettivi efficaci vantaggi economici nella misura in cui riusciranno ad assumere personale “portatore” di sgravi contributivi. Aumenterà invece la qualità delle professionalità medio-alte e conseguentemente la partita si sposterà sempre più sulla scelta di adeguate politiche di “ingaggio”; le organizzazioni dovranno rivedere le proprie proposte di valore per il dipendente. Ci saranno sul mercato figure sempre più esigenti e sempre più in grado di valutare l’opportunità di un’offerta comparativamente con altre in tempo più veloce. Questo significa che le aziende dovranno investire mediamente di più per queste figure già in fase di proposta iniziale.

Aumenterà la disoccupazione e quindi l’offerta di lavoro in generale, con livelli di scolarità formali presuntivamente crescenti.

A fronte di una maggiore disponibilità quantitativa dei livelli più operativi, o di bassa e media scolarità, si registrerà una contrazione della disponibilità di risorse più qualificate (per esperienza o elevata scolarità) dovuta alla guerra dei talenti: chi ha risorse di pregio cercherà in tutti i modi di trattenerle in azienda e si cercherà di strappare ad altre aziende ulteriori "best performer".

… e meno occupabilità

Mercato del lavoro chiuso, poco reattivo, aperto solo per posizioni operative di basso profilo o per front line commerciali. Disoccupazione.

Mercato ristretto; domanda soprattutto rivolta a qualifiche medio-basse e in settori non "trainanti" (distribuzione, ristorazione).

Sarà caratterizzato ancora da uno “status” fra stagnazione e criticità, anche perché la ripresa pare oggi fondata soprattutto su investimenti tecnologici più che su investimenti in risorse umane.

Da rivedere le regole; la flessibilità eccessiva potrebbe essere regolata secondo esigenze di maggior formazione e identificazione con l'azienda.

L'occupazione scenderà leggermente nel primo semestre. Ci saranno sul mercato alte professionalità e specializzati cui attingere. Ma sono alte professionalità piuttosto "basse" (le "Università condominio" spesso ridotte ad "esamifici").

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L'occupazione complessivamente continuerà a diminuire, seppur con segni "meno" meno drammatici rispetto alle previsioni di qualche mese fa. Da un punto di vista qualitativo, complessivamente, (purtroppo) non si avranno particolari differenze in ambito nazionale. In crescita, seppur timida, i contratti a tempo determinato. Qualche carenza nei settori tecnici (laureati ma anche e soprattutto operai specializzati).

Tutte le evidenze, dagli andamenti delle assunzioni al ricorso agli ammortizzatori sociali, confermano che ci troviamo di fronte ad una situazione molto grave e in via di ulteriore aggravamento. Si è tornati indietro rispetto agli avanzamenti segnalati fino al 2007 sul piano dei tassi di occupazione, sia generale che femminile, è ripresa la crescita congiunta del tasso di disoccupazione e di inattività, con particolare accentuazione nel Mezzogiorno. Le assunzioni, scarse, sono prevalentemente segnate da qualità molto bassa, ad es. tipologie di lavoro intermittente, occasionali e di lavoro accessorio. Il ricorso agli ammortizzatori, ordinari ed in deroga, ha limitato l’esplosione della disoccupazione, ma non è assolutamente detto che ciò possa essere evitato per il 2010, a maggior ragione se si dovessero accentuare le difficoltà competitive del nostro paese sui mercati esteri. Da tutto ciò si presume molto realisticamente che il 2010 e forse anche l’anno successivo saranno anni durissimi per l’occupazione, e per la sua qualità.

A settembre 2009, ultimi dati disponibili, il tasso di disoccupazione si è attestato al 7,3% con un aumento rispetto a settembre 2008 di 1,2 punti percentuali; il tasso di occupazione è diminuito dell'1,5% (è al 57,5%); aumentano le persone in cerca di lavoro del 18,7% (oltre 1,8 milioni di persone). Il salvagente alla crisi è stato, nel 2009, oltre la Cassa Integrazione classica, la cassa in deroga. Il loro bilancio 2009 registra un aumento del 311,4% delle ore autorizzate rispetto al 2008. La crisi ha continuato a mordere per tutto il 2009, quindi pur con la speranza di una rapida uscita, crediamo che il trend negativo continui ancora per tutto il 2010. Trovare modalità e soluzioni per mantenere l’occupazione è più che mai un obiettivo da perseguire, soprattutto per i lavoratori a termine: a settembre 2009 il 66,7% delle perdite dei posti di lavoro dipendente, ha riguardato questi lavoratori. È necessario rivedere il sistema degli ammortizzatori sociali, unito a percorsi di formazione per assicurare un efficace strumento di reinserimento. È un percorso che caratterizzerà in qualità l’occupazione, in un’epoca in cui le aziende fanno sempre più ricorso al lavoro flessibile che sfocia anche nella precarietà.

L'incertezza produrrà ancora contrazione degli organici, espulsione di forza lavoro, precariato (posto fisso solo per i "raccomandati"), instabilità; anche problemi di sussistenza; sarà privilegiata l'ottimizzazione interna e conterà la qualità.

Il mercato del lavoro, dopo la fase di shock che ha provocato molte uscite dalle aziende, sembra bloccato, irrigidito, come l’economia in generale fatica a riprendersi. Molta forza lavoro sul mercato per un tempo lungo rischia di far calare il livello medio di professionalità/aggiornamento dei singoli individui e conseguentemente influire a sua volta negativamente sulla fase di ripresa.

Sul piano quantitativo ci si attende una riduzione dell'occupazione ufficiale, una riduzione, di conseguenza, anche del tasso d'attività, soprattutto per ciò che riguarda le componenti femminili e giovanili e, dal punto di vista territoriale, la quota meridionale. Nella sostanza e al di là dei dati ufficiali, si potrebbe verificare l'estensione dell'area del lavoro sommerso e precario, fuori quindi dalla portata delle rilevazioni ufficiali delle forze di lavoro. La crisi, oltre agli aspetti di ridimensionamento delle attese, ha generato una chiara cautela nei confronti delle iniziative di investimento, specie se dedicate alle risorse umane. Ne risentirà di conseguenza anche la formazione, se non sostenuta da iniziative specifiche.

Anche nel 2010 si perderà occupazione ma non penso in modo drammatico. Continueranno a resistere le persone con competenze tecniche forti. Non vedo all’orizzonte un futuro ottimistico per la Generazione Y: poche opportunità e bassissime retribuzioni.

Ci sarà un ulteriore espulsione di forza lavoro, in particolare nella fascia a bassa scolarità.

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Il 2010 manterrà quella forte attenzione ai costi del personale già riscontrata nell’anno precedente.

In termini generali, causa il forte aumento della disoccupazione in Europa e in Italia, da un punto di vista qualitativo e quantitativo i dati dovrebbero mostrare un andamento al ribasso anche nel 2010, con qualche ripresa forse nel secondo semestre. Avendo il nostro core business in un settore vitale come le infrastrutture, essa dovrebbe invece seguire un andamento contrario, poiché non dovrebbe registrare un forte calo dell'occupazione e soprattutto potrebbe espletare un ruolo di locomotiva per la ripresa in alcuni settori nevralgici. Oltre all'assunzione di alcuni tecnici professionalmente qualificati, una sostanziale parte delle nuove assunzioni sarà diretta verso personale "su strada", quindi verso profili professionali medio bassi.

Le opportunità occupazionali saranno soprattutto in aree che spesso non sono in linea con le prevalenti aspirazioni dei giovani in Italia: servizi alla persona, assistenza sanitaria, supporto tecnico, aree manifatturiere ad elevata specializzazione.

A fine 2009 i “senza lavoro” nel mondo potrebbero toccare i 230 milioni. In aumento anche i lavoratori “poveri” e quelli “vulnerabili”. Oltre alle grandi realtà bancarie, a patire sono soprattutto i piccoli istituti di credito, producendo un effetto a catena volto a "salvare le banche" per salvare anche l'accesso al credito per le Pmi, ossia le imprese che più dipendono da finanziamenti e prestiti.

L’Employment Outlook 2009 dell’OCSE mostra i primi segnali di ripresa dell’economia ma prevede un peggioramento della situazione occupazionale nel 2010, in cui si dovrebbe registrare un numero record di disoccupati: 57 milioni con un tasso molto vicino al 10% e per l’Italia in particolare pari al 10,5%. Le perdite più pesanti di posti di lavoro - aggiunge l’Ocse - si registrano “all’interno dei gruppi già svantaggiati nel mercato del lavoro: giovani, basse professionalità, immigrati, minoranze, e tra questi soggetti con contratti temporanei o atipici”.

La crisi finanziaria trasferitasi velocemente nell’economia reale e in particolare nelle imprese continuerà a ridurre la base occupazionale nell’ambito dell’applicazione degli ammortizzatori sociali. L'uscita da misure di sostegno alle imprese potrebbe enfatizzare la riduzione dei livelli occupazionali. Nel medio periodo, il loro ripristino ante crisi dipenderà dall’andamento della domanda interna e dallo sviluppo delle esportazioni. Da un punto di vista qualitativo, tenderà a crescere l’offerta di lavoro con maggiore scolarità, che non verrà in parte intercettata da una domanda di lavoro più selettiva e più mirata, con due fondamentali fenomeni emergenti: la rarefazione dell’offerta di competenze tecniche, alle quali si sta rispondendo con la riforma degli istituti tecnici; la globalizzazione del mercato del lavoro dei giovani laureati, i quali si troveranno a competere con quelli di altri paesi nelle selezioni delle multinazionali straniere e nazionali.

Una crisi di queste dimensioni implica aspetti congiunturali e aspetti strutturali. Conseguentemente si evidenzia, dopo l’attivazione di strumenti atti a gestire situazioni transitorie (legate soprattutto alla liquidità), il probabile accentuarsi della progressiva fase di uscita dal mercato del lavoro di lavoratori. In tal senso, il ricorso alla CIG straordinaria e alla mobilità rappresenteranno gli strumenti utili a far fronte ad aspetti strutturali e permanenti che necessariamente accompagneranno una recessione così marcata. Circa l’occupazione, nel 2009-2010, secondo le previsioni dei principali istituti di ricerca, si può prevedere nel settore chimico e farmaceutico una perdita di circa 15 mila posti di lavoro. Parte significativa sarà rappresentata da personale qualificato.

Non ci sarà ripresa nei livelli di occupazione; tensioni sul mercato lavoro.

La disoccupazione è attesa in grave crescita e si manifesta – oltre tutto – in un paese nel quale il tasso di occupazione è già fra i più bassi dell’UE-27. Il numero di disoccupati sfiduciati, e dunque non rilevati dalle statistiche ufficiali (particolarmente predisposte a sottostimare l’entità reale di questo fenomeno), è già in sensibile aumento. A farne le spese maggiori saranno i lavoratori atipici e

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temporanei, ma anche per i più tutelati si prefigura l’esaurimento di quelle misure (ammortizzatori sociali) poste per far fronte a crisi occupazionali di minore durata.

La forza lavoro rischia in termini quantitativi se non cresce in qualità. La disoccupazione non cala per almeno due anni e sarà difficile recuperare anche perché il sistema produttivo, ottimizzato, richiederà meno risorse.

Il protrarsi della crisi comporterà necessariamente una riduzione dei livelli occupazionali. Le razionalizzazioni si realizzeranno anche attraverso programmi di riqualificazione e riconversione professionale.

Gli strati sociali giovanili sono oggi doppiamente penalizzati da un sistema che ha fatto di tutto per renderli flessibili nelle prestazioni e leggeri nelle buste-paga e che oggi – proprio in virtù di quelle che dovevano essere facilitazioni all’ingresso – li scarica come soggetti non protetti e quindi strutturalmente marginalizzati. Anche per quanto riguarda le donne, le “variazioni” qualitative verteranno quindi sulle modalità con cui potranno essere affrontati questi fenomeni a rischio di implosione, che espongono all’inabissamento e alla perdita di risorse che letteralmente non “trovano impiego”, non possono essere usate in quanto mancano le condizioni per il loro uso.

L’occupazione non aumenterà, o aumenterà di poco e solo in segmenti molto selezionati per qualificazione e classi di età, e sarà già un risultato arrestare l’aumento della disoccupazione. Sarà bene ragionare su tutta la disoccupazione anche quella occultata dagli ammortizzatori sociali e dal fenomeno del “lavoratore scoraggiato”, opportunamente messo in evidenza dalla Banca d’Italia, che non compare nelle statistiche ufficiali ma è pur sempre una risorsa non impiegata.

L’occupazione per il 2010 è prevista in calo dell’1,4% rispetto al 2009 (nel triennio un calo del 4% totale), mentre il tasso di disoccupazione è previsto si attesti nel 2010 all’8,7% (nel 2008 era del 6,7%). Gli eventuali primi recuperi occupazionali verso fine anno saranno caratterizzati da una marcata selettività delle professionalità indispensabili per la ripresa produttiva e/o per una riconversione dei prodotti e dell’organizzazione, più che da una generale richiesta di scolarità superiori.

Possiamo prevedere una svolta abbastanza forte nella forza lavoro disponibile. La perdita di posti di lavoro ha infatti portato alla disponibilità di competenze mature sul mercato; queste dovranno essere integrate nelle aziende con modalità nuove, ed anche con prospettive diverse rispetto al passato: riqualificazione del personale e focalizzazione su performance piuttosto che su potenziale. Per quanto riguarda le risorse fresche di studi, invece, sarà critica la fase di selezione per l’inserimento in azienda solo di quelle risorse ad altissimo potenziale, a fronte di curriculum di studi sempre più omogenei, purtroppo verso il basso. Dal punto di vista quantitativo, difficile prevedere un forte calo della componente disoccupazione sul territorio nazionale, per lo meno nel breve periodo.

L’occupazione è direttamente proporzionale all’andamento delle imprese. Per questo è necessario sostenere le aziende, perché imprese e lavoro meritano di più, perlomeno hanno diritto alle stesse iniziative che si stanno intraprendendo negli altri paesi europei. Paesi come Francia e Germania stanno mettendo l'impresa al centro dei loro programmi politici, attuando misure che andranno a beneficio diretto del sistema produttivo e quindi anche dei lavoratori. In Italia il Governo dovrebbe impegnarsi concretamente per rilanciare il tessuto produttivo, indirizzandolo verso la ripresa. Urge una revisione del carico fiscale che grava su pmi e lavoratori, partendo dall’alleggerimento dell’Irap, una tassa ingiusta perché colpisce il lavoro, disincentivando di fatto le nuove assunzioni e ignorante perché concepita ignorando le dinamiche aziendali.

Sono diminuiti i rendimenti dell'investimento in istruzione da parte degli individui e non si è verificato un aumento delle opportunità occupazionali della forza lavoro più qualificata. In sostanza, la domanda di high skilled workers non si è incrementata in misura sufficiente ad assorbire l'offerta. I

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mismatch tra profili richiesti dalle imprese e quelli offerti dalla forza lavoro in ingresso nell'occupazione hanno ulteriormente pesato sulla bassa dinamica salariale dei lavoratori con elevate competenze.

Il 2010 sconta gli effetti di riduzione dell'occupazione non completamente evidenziatisi nel 2009 (passaggio da CIGO a CIGS a Mobilità). Nella seconda parte dell'anno probabilmente riprenderà consistenza la disponibilità di posti di lavoro flessibili (o precari che dir si voglia) che avevano assorbito molti degli effetti della crisi tra 2008 e 2009.

Sarà sempre più difficile contare gli occupati, perché c'è stata una deflagrazione del mercato del lavoro e si sono moltiplicate e rese meno identificabili le figure; ad esempio, gli 8 milioni di partite Iva mescolano "poveri" e "ricchi"; l'estensione delle tutele previdenziali indotta dalla crisi anche ai "senza contributi" potrebbe creare difficoltà in futuro.

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3 - Il Personale Quali saranno le sue caratteristiche (requisiti, ecc.) e le sue motivazioni (aspettative, atteggiamenti)? Come varierà il suo costo (andamento, voci)?

Costo contenuto, professionalità da adeguare… Negli ultimi 15 anni il personale delle aziende grandi (con più di 500 dipendenti) che rappresentava il 48% degli occupati è sceso al 29%; la struttura produttiva reale è fatta sempre più di piccole-medie aziende nelle quali le risorse umane tendono ad avere caratteristiche, motivazioni e modalità gestionali peculiari.

Le risorse aziendali, salvo quelle realtà dove potranno determinarsi fenomeni di “ripresa”, rischiano di scindersi in due filoni: a) i superstiti “fortunati” che non vivono la crisi perché fondamentalmente continuano a fare il loro lavoro o appartengono a nicchie/segmenti in espansione; b) i soggetti a rischio, ovvero coloro che potranno essere oggetto di operazioni di ristrutturazione.

Le caratteristiche delle risorse umane potranno dimostrarsi insufficienti per far fronte alla necessità delle ristrutturazioni, ma esse avranno le giuste motivazioni per adeguare le loro competenze nel senso desiderato.

Purtroppo saranno ancora carenti le richieste invece a mio parere prioritarie; vale a dire: possesso di skill di base trasversali più che di conoscenze (troppo) specialistiche (che possono essere fornite dalle singole imprese); formazione non tradizionale ma orientata al mutamento; capacità di lettura delle trasformazioni in atto e dei processi aziendali; orientamento al ‘rischio’; propensione alla mobilità; maggiore orientamento alla formazione tecnico-scientifica. Le motivazioni e le aspettative (anche a causa di orientamenti ancora troppo tradizionali delle famiglie) risultano ancora non poco ‘sfasate’ rispetto alla realtà lavorativa. Il costo sarà sempre più proporzionale agli aspetti sopra indicati e purtroppo carenti nei soggetti.

Risorse Umane meno costose, ma impoverite (meno formazione, meno identificazione, meno motivazione); si abbassa l'età degli "inoccupati".

Chi è in azienda avrà scossoni; serviranno persone imprenditrici di sé stesse, autonome e motivate, ma realistiche. Un problema sarà la tentazione di "abbandonare"; c'è una carenza devastante dei centri pubblici per l'impiego che sarebbero utilissimi. Il costo non crescerà o diminuirà.

A fronte di una sempre maggiore scolarizzazione generalizzata, è ovvio attendersi delle sempre crescenti aspettative lavorative, essendo la forza lavoro caratterizzata da una sempre maggiore "professionalità" ma anche da una sempre maggiore mobilità. Il costo del personale, sulla base degli indici di inflazione annuali registrati nell'ultimo triennio, presumibilmente subirà, a parità di risorse, un incremento del 2,5% circa ogni anno, che sarà contemplato all'interno dei rinnovi contrattuali.

Visione globale e imprenditoriale come requisito. Motivazione legata alla autonomia nell’organizzare le proprie attività. Incidenza costante sui costi totali.

Con il nuovo modello di assetti contrattuali, il rinnovo dei contratti avverrà in riferimento all’indice IPCA, indice dei prezzi al consumo armonizzato per i Paesi dell’Unione Europea. Quello che si cerca è un maggiore equilibrio tra redditività del lavoro in termini di valore aggiunto da professionalità sempre più specializzate e giuste aspettative da parte dei lavoratori, in termini sia economici che rispetto alle condizioni di lavoro in generale. É comunque utile sottolineare che molto spesso nonostante i dati preoccupanti sulla disoccupazione, le aziende hanno difficoltà a trovare le figure professionali necessarie. Per questo si sono sottoscritti protocolli e convenzioni con Ministero e università per promuovere interventi in materia di innovazione e ricerca ed anche per sviluppare strumenti idonei ad agevolare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro.

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La prima caratterizzazione sarà legata al livello di occupabilità della persona. Apprendimento e formazione continua a supporto della migliore crescita e mobilità delle persone. Conoscenza delle lingue ma soprattutto riproducibilità della proprie competenze in contesti geografici e strutture organizzative diverse. Gestione della resistenza al cambiamento, attività nelle comunità di pratica e open source (basata sulla libera partecipazione di soggetti diversi, di ambiti, anche geografici, profondamente differenti). Le aspettative saranno legate al decentramento decisionale con atteggiamenti rivolti all’autonomia, flessibilità e continuità lavorativa. Lavori diversi, in contesti differenti, ma con una garanzia di tutela contrattuale e economica nei periodi di vacatio lavorativa. Crescerà la voce del welfare aziendale a favore del benessere delle persone. Un costo che sarà compensato da un sistema misto di coesione sociale per l’intervento statale, la partecipazione aziendale e l’investimento del lavoratore. Con il riconoscimento di benefici sanitari, pensionistici e economici rispetto anche alle spese per la cura della propria persona e per la quotidianità.

Occorrerà personale reattivo al cambiamento e dotato di capacità distintive. Si prevede un incremento della componente variabile della retribuzione.

Caratteristiche: mobilità geografica, multiculturalità, competenze tecniche specialistiche e manageriali elevate. Motivazioni: flessibilità, assertività, orientamento al risultato e capacità di gestire conflitti in ottica di team building. Costo: andamento in linea con gli accordi nell’ambito del C.C.N.L. Metalmeccanici.

Il necessario cambiamento culturale passa attraverso le persone, che dovranno essere adeguate quanto a professionalità e motivazione. Questa sarà attenta al "benessere" organizzativo, cioè alla conciliazione di obiettivi aziendali e individuali.

A livello macro, flessibilità, mobilità professionale e conoscenze trasversali continueranno ad essere i fattori di successo per le risorse umane. Pur in una situazione di contrazione dei profitti, le aziende dovranno sempre più fidelizzare le risorse con le caratteristiche sopra descritte sia coinvolgendole nei processi aziendali sia valorizzando, anche economicamente, le singole professionalità. Il controllo del costo del lavoro sarà elemento di successo. Nel prossimo anno, a prescindere dalle azioni interne di riallineamento costi/ricavi, il costo del lavoro subirà un incremento in linea con i parametri dell’inflazione, derivante dal rinnovo del CCNL ormai scaduto a fine 2007.

Le risorse umane saranno più centrali; da ripensare l'organizzazione e le relazioni industriali. Una dialettica aziendale "vietnamizzata" da ricostituire.

La modalità maggiormente utilizzata dalle imprese per trovare figure professionali di cui hanno bisogno è quella della conoscenza diretta. Le assunzioni riguardano, infatti, per lo più personale già conosciuto e già testato attraverso precedenti rapporti lavorativi come contratti a termine, collaboratori, tirocinanti, ecc.

La rapidissima evoluzione che il sistema bancario ha vissuto negli anni passati, e sta tutt’oggi vivendo, ha determinato la necessità per le aziende di combinare politiche di contenimento dei costi e degli organici, con politiche orientate comunque a valorizzare, ma con maggiore selettività, “le competenze” secondo logiche orientate a premiare il merito ed il raggiungimento dei risultati.

Le risorse umane delle aziende che hanno saputo superare con pochi danni la recente crisi globale avranno espanso significativamente la propria “coscienza aziendale” e continueranno a farlo in termini di spirito aziendale, commitment, proattività, capacità di teamworking e disponibilità alla mobilità geografica. Il costo potrà rimanere invariato o calare di poco in un’ottica di maggiore efficienza, in presenza di interventi retributivi specificamente mirati a ricompensare coloro che hanno più efficacemente saputo confrontarsi con le complessità del recente periodo.

Recupero di produttività, maggior controllo interno sulle prestazioni dei singoli e maggior attenzione alla qualità del lavoro al fine di fornire un servizio o prodotto più qualificato.

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In primo piano, di fronte alle incerte prospettive di ripresa, vi è la priorità di riorganizzarsi, contenere i costi, poter contare su regole più flessibili per favorire l’accesso al lavoro di giovani risorse di qualità. Sotto questo aspetto lo strumento dell’apprendistato continua a rappresentare un importante investimento e una “porta d’ingresso” privilegiata cui nella sostanziale totalità dei casi fa seguito l’assunzione a tempo indeterminato alla fine del percorso formativo.

Le aziende richiederanno nuove risorse ad alto potenziale con professionalità tecnico-ingegneristiche. Il costo subirà lievi incrementi collettivi mentre qualche incremento sopra media sarà possibile per le posizioni più flessibili, competenti e attente all’innovazione. La retribuzione avrà una parte variabile sempre maggiore, sia individuale che aziendale.

In una fase di obbligata contrazione della forza lavoro, la generale attesa sarà quella di conservare il posto di lavoro. La dinamica del costo è sostanzialmente ancorata agli esiti della contrattazione collettiva, in base a quanto previsto dall’accordo interconfederale 15 aprile 2009 che ha sostituito le regole del Protocollo 23 luglio 1993.

L’accordo separato siglato il 22 gennaio 2009 ha contribuito a deteriorare il clima sociale nel paese, in tutti i settori, anche là dove si è poi riusciti a concludere in modo positivo il rinnovo contrattuale. In periodi di crisi sarebbe necessario un maggior sforzo da parte di tutti gli attori sociali e istituzionali per promuovere convergenze e coesione sociale; invece ciò non avviene a partire dal governo. Sembra rafforzarsi una tendenza a privilegiare il lavoro non stabile, funzionale ad una competizione di costo. La normativa sulla detassazione degli elementi salariali aziendali, sia unilateralmente erogati che contrattati, non sembra aver avuto alcun impatto sulla estensione della contrattazione di 2° livello, cosa peraltro difficile in periodi di crisi.

Il costo resterà sostanzialmente stabile a fronte di un'inflazione tendenzialmente non incrementale almeno fino ad agosto.

Si punterà su persone ad alta competenza e con grande “voglia di crescere”. La motivazione alla mobilità internazionale sarà premiante. La adattabilità a nuove sfide sarà altrettanto decisiva.

Nell’anno di riferimento l’occupazione (mantenimento o ricerca del posto di lavoro) rimarrà uno dei temi centrali da affrontare. Nel periodo che attraversiamo la fungibilità e la flessibilità delle RU sono aspetti importanti per restare sul mercato. I comportamenti che promuovono e favoriscono l’integrazione interna e l’orientamento al risultato sono caratteristiche imprenscindibili per l’organizzazione aziendale. Di conseguenza sarà privilegiata la retribuzione variabile legata ad obiettivi o qualsiasi altro strumento di riconoscimento con impatto sui risultati.

I requisiti saranno alta scolarità, mobilità e flessibilità con l’aspettativa principale di iniziare un processo di consolidamento delle esperienze professionali per poter aspirare ad un inserimento costante nel mercato del lavoro con contratti sempre più “normali”. Il loro costo sarà comunque inferiore alle risorse umane già stabilmente inserite nelle varie organizzazioni aziendali.

Sempre maggiori competenze tecnologiche, ma anche maggior coinvolgimento nelle strategie ed obiettivi aziendali, a fronte di un impegno dell’impresa a garantire il posto di lavoro. Il costo del lavoro subirà ancora una naturale lievitazione, alleviata da qualche agevolazione fiscale.

Le aziende avranno bisogno di sempre maggiore flessibilità e di professionalità adeguata a consentire di reagire prontamente ai mutamenti del mercato e del contesto. Circa le aspettative, si evidenzia la sempre più diffusa percezione del rischio per il futuro e, quindi, la preoccupazione per il mantenimento del proprio posto di lavoro. In tale ordine di circostanze, inoltre, è manifesta la necessità di garantire il potere d’acquisto delle retribuzioni.

Necessita una disponibilità incondizionata a lavorare all’estero in contesti anche difficili senza meccanismi di garanzia tipici degli anni passati. Questo dovrà valere anche per risorse assunte all’estero che dovranno lavorare in Italia. I costi ne risentiranno di conseguenza.

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Anche nella crisi, occorre qualificare di più le risorse umane, per la ripresa. Che tuttavia vedrà per molto tempo solo assunzioni di atipici.

Le aziende avranno sempre più bisogno di persone preparate (conoscenze e competenze) ma anche motivate. In questo senso il loro costo dovrà essere parametrato non solo ai livelli di competenza ma soprattutto ai risultati. Incentivi e retribuzioni variabili legate ad obiettivi costituiranno una parte significativa del loro costo.

Il costo del personale rimarrà sostanzialmente invariato. Le motivazioni saranno sempre più legate alla sicurezza del posto di lavoro ma anche al desiderio di un maggior coinvolgimento nel miglioramento dell'impresa. Sempre più forte l'esigenza di una professionalizzazione (o riprofessionalizzazione) di percentuali via via più significative di dipendenti.

Vi sarà un notevole ed ulteriore aumento della componente straniera e della componente femminile. Le aspettative saranno molto differenziate a seconda del gruppo considerato. E questo vale anche per il costo. Non vedo sostanziali modifiche rispetto al passato.

I requisiti richiesti ai manager sono aumentati sia per motivazione – stiamo assistendo infatti al fenomeno dei “manager senza leve” – sia per ampliamento dell’offerta degli executive presenti sul mercato, a cui non corrisponde in questo momento un’eguale domanda. Conseguentemente è possibile per le aziende reperire sul mercato manager di alto livello, che possono operare in azienda sia a livello temporary che a lungo termine con pacchetti retributivi più contenuti rispetto al recente passato.

La crisi ha sollecitato una maggiore focalizzazione sulle competenze specialistiche di mestiere, ma continuano ad essere importanti le capacità concettuali e quelle comportamentali, soprattutto quelle relazionali. Le motivazioni sono ancora quelle della crescita misurata dai contenuti del lavoro e dallo status e dai livelli retributivi, ma oggi emergono anche altre motivazioni, come quelle relative alla conservazione del posto del lavoro.

Non ci sono sostanziali mutamenti del costo del lavoro. Comunque tenderà a diminuire il costo del lavoro per unità di prodotto. Sulla struttura continuerà ad essere importante l’incidenza della retribuzione variabile a supporto dei livelli di produttività.

Alta scolarità e preparazione professionale, flessibilità, orientamento verso l’innovazione. Le aspettative saranno sostanzialmente legate al mantenimento del posto di lavoro o alla sua stabilizzazione. Aumento del costo del lavoro di qualche percento, in parte bilanciato dall’aumento della produttività.

Le caratteristiche delle risorse umane aziendali, oltre a rispondere alle competenze professionali richieste, dovranno esprimere un buona disponibilità agli adattamenti conseguenti alle dinamiche di crisi e dopo-crisi aziendali e quindi essere dotate di flessibilità. Anche atteggiamenti e motivazioni vedranno prevalere l’obiettivo di conservazione del posto di lavoro e di collaborazione al consolidamento dell’azienda. La dinamica del costo del lavoro sarà determinata dai rinnovi contrattuali, secondo le nuove regole del recente Accordo interconfederale sugli assetti contrattuali, tra l’altro, con uno spostamento retributivo a vantaggio della parte variabile legata ai risultati.

La crisi finanziaria nel ridurre in modo importante le risorse disponibili, offre però una possibilità importante di rivedere in modo approfondito la forza lavoro già disponibile ed investire sui talenti e competenze presenti in seno alle istituzioni. Questo costituisce un sicuro elemento di motivazione in quanto le opportunità di sviluppo individuale ed il senso di appartenenza all'istituzione possono paradossalmente trarre giovamento da questa situazione di difficoltà.

Ancor più che in passato, dovranno essere dotate di determinazione, flessibilità, impegno e capacità di auto-motivazione. Le motivazioni e gli atteggiamenti potranno polarizzarsi in due direzioni: demotivazione per il clima di incertezza e per la maggiore insicurezza, ma anche maggiore stimolo di mettersi in evidenza, per cogliere le opportunità.

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Presumibile un aumento della pressione sulle risorse a causa della stabilità quantitativa. Si richiederanno maggiori disponibilità in termini di tempo ma anche in termini di prestazione automotivata. Alta specializzazione e dedizione, affiancate però dalla capacità di lettura strategica del contesto per il supporto indiretto nella direzione aziendale. Simmetricamente, le aspettative delle risorse aumenteranno proprio a causa dei forti sacrifici richiesti. Per la voce “costi” è immaginabile una forte polarizzazione, con alta disponibilità economica da parte delle aziende per le risorse a più alto valore aggiunto (sia in termini di performance/potenziale, ma anche in termini di leadership), a fronte invece di stasi per le risorse più operative e di minor valore sul mercato del lavoro. Da questi tre punti, è probabile che la leva benefit e people care diverrà chiave nella gestione dei rapporti economici azienda-dipendente.

Nella P.A. ed in particolare nel mio Ente, il fenomeno più rilevante riguarda la riduzione della forza lavoro disponibile, prosecuzione di un trend ormai consolidato che tra il 2007 ed il 2009 ha determinato la flessione di circa 400 unità lavorative all’anno (da 11.200 a 10.000 dipendenti) e che si stima rimarrà su valori elevati almeno per altri due anni (circa 600 unità in meno entro il 2011). Questo trend, sostenuto da processi di reingegnerizzazione dei processi e di razionalizzazione organizzativa, mentre pone delle sollecitazioni enormi alla macchina organizzativa e purtroppo delle voragini in alcuni profili specialistici di difficile sostituzione ovvero acquisibili solo dall’esterno, offre però molte opportunità di accelerazione nelle prospettive di sviluppo e carriera del personale in forza, con ricadute positive anche sulle motivazioni. L’evoluzione dei costi è inferiore a quella contrattuale per le riduzioni forzatamente imposte per legge alle risorse destinate alla retribuzione accessoria; in questo caso, a fronte di un modesto beneficio economico per il bilancio, si rischia un deterioramento del clima aziendale perché c’è contraddizione tra le risorse economiche rese disponibili e l’ulteriore impegno quali/quantitativo richiesto al personale impiegato.

Si prevede che entro il 2015 quasi il 30% dei posti di lavoro in Europa richiederà un alto titolo di studio, mentre il 50% necessiterà di qualifiche di medio livello e il 20% di basse qualifiche. I paesi europei devono quindi aumentare i loro sforzi per garantire a tutti i cittadini l'accesso al Lifelong Learning ed essere più in sintonia con il mercato del lavoro.

… e motivazioni a rischio Per capire cosa interviene nel sistema motivazionale dei giovani occorre partire da una riflessione teorica. Matthew Crawford sostiene in un recente libro che la crisi è stata innescata da un abuso di strumenti immateriali. E propone un ritorno alle attività manuali, ponendo il problema della divisione del lavoro, del rapporto tra attività immateriali e materiali, tra terziario e produzione. Il rapporto tra materiale e immateriale è pure il tema di un vasto studio di Richard Sennet «L’uomo artigiano». C’è una relazione tra l’affinamento delle tecniche nelle arti come nelle manifatture e lo sviluppo della moderna scienza. Nelle filiere globali, i segmenti che generano maggior valore sono quelli della creatività e della conoscenza ma questo valore emerge solo quando l’idea si materializza in un prodotto o in un servizio. Il problema è nell’integrazione dei vari segmenti che normalmente non riesce a chi è eccellente solo in uno.

Società eterogenea sia etnicamente (immigrati, ecc.) che anagraficamente (i giovani); entrambi culturalmente "diversi" e quasi incomprensibili al management. Risorse umane insicure, preoccupate per l'occupabilità, specie le aree di supporto (amministrative, ecc.).

È difficile fare previsioni precise, data l’incertezza del contesto. Sono possibili effetti di disorientamento e di stress/disaffezione indotti dalla situazione generale di incertezza e dalla continua debolezza delle prospettive economiche. È probabile una stasi delle richieste sindacali di aumenti salariali in sede aziendale, anche perché l’impegno prevalente della contrattazione sarà rivolto a gestire le situazioni di crisi (tuttora persistenti).

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Il costo del lavoro nel complesso dovrebbe restare stabile, salvo (improbabili) riduzioni fiscali. Per contrastare il rischio di un quadro statico e di una involuzione dei rapporti di lavoro, è importante più che mai una gestione innovativa delle risorse umane in azienda.

Nell’industria manifatturiera, il costo del lavoro e le retribuzioni registreranno una crescita intorno all’1,0%; crescerà significativamente la qualificazione delle risorse umane aziendali che, nel territorio milanese, vedrà una presenza sempre più percepibile di personale femminile anche nei livelli apicali; significativa anche la presenza di lavoratori stranieri di alto livello; crescerà l'attenzione verso le persone che posseggono competenze trasversali; la crescita del costo sarà sempre più marcata da interventi atti a premiare il contributo distintivo dei singoli lavoratori; le aziende porranno una maggiore attenzione alla valorizzazione di talenti e competenze, in linea con ridottissime possibilità di assunzioni. C’è quindi da attendersi che nella maggior parte dei giovani in cerca di prima (o semi-stabile) occupazione si determini uno stato di sfiducia che certo non giova al clima sociale del Paese. Il costo del lavoro dovrebbe avere un andamento sostanzialmente in linea con la contenuta inflazione.

Se cresce la qualità cresceranno le motivazioni in senso organizzativo-partecipativo. Ne dovranno tener conto la normativa, le aziende e il sindacato.

Il venir meno di alcuni elementi chiave sui quali storicamente si è costruita la solidità del rapporto tra imprese e lavoratori (continuità del rapporto, definizione e chiarezza dei percorsi di carriera …) induce in una parte dei lavoratori comportamenti opportunistici, con una maggiore disponibilità a cambiare organizzazione e lavoro alla costante ricerca delle migliori opportunità. È una caratteristica della Generazione Y (i nati fra gli anni ’80 e ’90) che meglio hanno assimilato il concetto di flessibilità anche come un valore personale. Comportamenti simili compromettono l’efficacia dei tradizionali strumenti a supporto della retention, soprattutto verso quei talenti che dimostrano una maggiore spendibilità sul mercato del lavoro. E producono anche maggiori costi sia diretti (reclutamento e selezione) sia legati al valore bruciato quando si perdono talenti (e competenze) per il cui sviluppo l’azienda ha sostenuto investimenti significativi.

Preoccupazione, diminuzione delle aspettative, presumibile rischio di riduzione dell'engagement sono gli effetti del perdurare della crisi. In generale, il costo del personale rimarrà stabile o tenderà a ridursi a causa dei fenomeni di contenimento del personale, della parte variabile della retribuzione, dei costi di trasferta e di formazione.

Le previsioni indicano, per il 2010, un aumento del costo del lavoro per il settore industriale pari allo 0.9%. Ovviamente, in questo scenario di crisi generalizzata, le voci di retribuzione variabile, legate all’andamento dell’impresa, soffriranno un notevole ridimensionamento. Ogni periodo di crisi tende a fermare e a rallentare le attività. Prevale la prudenza e un atteggiamento di attesa che influisce necessariamente sia sui meccanismi retributivi, sia sulla motivazione delle risorse umane. I costi saranno quindi sottoposti ad un contenimento diffuso, e la parte variabile delle retribuzione, così come i benefits subiranno un ridimensionamento. Anche questo influirà negativamente sulle attese e sulle aspettative del personale.

Aspettative "basse" (avere un lavoro purchessia); saranno richieste alte professionalità; Costo contenuto salvo limitati adeguamenti.

Confermata la minor importanza del sistema di pagamento e incassi (meno cassieri); confermata la necessità di concentrarsi sul core business (con “perdita” di alcune professionalità: contenzioso ad esempio). Enfasi sul problem solving per la clientela (con probabile “ricompattazione” degli aspetti di credito e finanza); oltre ad una forte preparazione scolastica, si sta facendo largo (perlomeno per una parte delle risorse che si affacciano sul mercato del lavoro) un’attitudine al cambiamento e a mettere in campo flessibilità, intuizione e creatività. Le aziende dovrebbero lavorare su un tipo di motivazione che parte dalla responsabilità, in un’accezione di respons-ability (abilità di rispondere).

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Le risorse umane delle aziende sono largamente influenzate dal generale clima di pessimismo derivante dalla crisi, sono quindi sfiduciate e impegnate nel conseguimento della massima performance possibile, nella speranza di non perdere il proprio posto di lavoro. Il costo del lavoro sarà in lieve diminuzione a seguito di nuove riduzioni di organico e riduzioni salariali.

I lavoratori più giovani e qualificati – spesso concentrati nelle forme più precarie di impiego – potrebbero essere pesantemente colpiti, con un danno che – già sul medio periodo – si rifletterà sulle aziende e sul paese in generale. I problemi occupazionali indotti dalla crisi potrebbe lacerare i rapporti di fiducia – e dunque le motivazioni – di questi lavoratori.

I giovani hanno una percezione assolutamente negativa della "fabbrica"; occorrerebbe sviluppare in loro la cultura della piccola impresa, molto più formativa per una visione generale che non in un settore necessariamente più ristretto della grande.

Sul versante motivazione: da una parte sarà sempre più importante lavorare per la creazione di un sistema azienda che consenta un migliore bilanciamento tra lavoro e vita privata; dall’altra è necessario forse prevedere un sistema di ascolto nuovo e più personalizzato (almeno per i ruoli chiave). Per quanto riguarda il costo; penso che tutte le organizzazioni medio grandi si troveranno nei prossimi anni a dover rivedere la struttura dei costi del personale. Si potrà creare una frattura sempre maggiore tra le risorse più facilmente reperibili e a condizioni vantaggiose e quelle difficilmente reperibili. Da una parte, per quanto riguarda le professionalità medio-basse, ci saranno azioni finalizzate a cercare di valorizzare le assunzioni “agevolate” che porteranno all’organizzazione sgravi di diversa natura; dall’altra parte invece, per quanto riguarda le assunzioni di professionalità medio-alte, è probabile che sarà sempre più necessario sviluppare una maggiore capacità di attrattività attraverso soluzioni incentivanti e probabilmente l’utilizzo selettivo dei benefit aziendali. Questo porterà le aziende a rivedere molto probabilmente la struttura del proprio sistema di retribuzione.

Oggi purtroppo le aspettative delle risorse umane, anche quelle dotate di maggior preparazione, scontano la presenza di contratti atipici e a termine che non sempre garantiscono la possibilità di una futura stabilizzazione. Il mercato del lavoro italiano ha subito un’involuzione negli anni, realizzando un esercito di lavoratori a basso costo e con scarse tutele. Sono tali caratteristiche del “nuovo lavoratore italiano” che determinano un atteggiamento di scoraggiamento che spesso sfocia nella ricerca di un lavoro all’estero, come dimostra la “fuga di cervelli”. Nel 2010 e negli anni a venire, occorrerà porre rimedio proprio a tali elementi negativi e distorsivi del mercato del lavoro.

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4 - La sua Gestione Entro quale cornice normativa e sindacale avverrà? Quali saranno i problemi gestionali significativi e su quali aree le aziende dovranno concentrare l’attenzione?

Soprattutto regolazione L’impegno maggiore delle direzioni del personale sarà nella gestione delle crisi. Questa sarebbe resa più facile se si perfezionasse una riforma degli ammortizzatori che ne rendesse certo e attivo l’utilizzo per tutti: in particolare per le piccole e piccolissime aziende, per i lavoratori precari, compresi i piccoli professionisti e i lavoratori autonomi. Occorre peraltro prepararsi a una uscita positiva dalla crisi con politiche non solo difensive e di protezione dell’esistente. Per questo non si dovrebbero trascurare politiche innovative di formazione, riqualificazione e mobilità del personale, superando la tentazione di fermarsi al breve periodo e al “galleggiamento”. Questo vale anche nei rapporti con i sindacati.

La cornice sarà sempre meno sindacale e quella normativa è caratterizzata da uno schema di riferimento “aziendale” mediato con le specifiche normative di paese.

Gestione "difensiva"; la legge in approvazione (sulla dichiarazione preventiva di ricorso all'arbitrato) diminuirà le tutele di legge.

La cornice sindacale non varierà; occorrerebbe ristrutturare i contratti di lavoro (anche quelli dei dirigenti) troppi e inutilmente costosi; essenzializzare i costi della struttura; agire su mercati e filiere.

Almeno nel breve periodo non si evidenzieranno sostanziali cambiamenti nelle relazioni tra azienda e sindacati. Tuttavia l'azienda si sta rivolgendo verso altre imprese di settore al fine di ampliare la propria visione delle relazioni industriali.

Il recente periodo di crisi non ha solo determinato la diminuzione dei volumi di produzione e di vendita, ma spesso dei ritardi nell’acquisizione degli ordinativi, in associazione a una loro rinegoziazione. Tali variabilità nel portafoglio ordini hanno ridotto la stabilità dei contratti di lavoro, determinando spesso il ricorso a strumenti contrattuali di natura flessibile anche per posizioni significative nell’organico aziendale. Nel prossimo futuro si prevede quindi un carico di lavoro significativo derivante dall’analisi e dalla risoluzione delle problematiche gestionali legate ai rapporti di lavoro creati nell’ultimo periodo, anche in ragione delle risultanze più recenti emerse dalle piattaforme di rinnovo contrattuale, nelle quali le parti sindacali richiedono sempre di più il consolidamento dei rapporti contrattuali appunto di tipo non strutturale.

La contrattazione di secondo livello permetterà alle aziende di gestire in maniera più mirata la dinamica sindacale. Le aziende dovranno concentrare la loro attenzione sullo snellimento dei processi (lean management) e su una sempre maggiore attenzione e controllo del mercato (trade marketing).

Il 2009 è stato caratterizzato dalla sottoscrizione del Ccnl Terziario ad opera anche della Filcams Cgil, che si era chiamata fuori nel 2008, nel momento decisivo per la chiusura del rinnovo contrattuale rivendicando alcune pretese relative al lavoro domenicale e al contratto di apprendistato.

La gestione delle risorse umane prevede la necessaria informazione e consultazione dei lavoratori in una prospettiva di sempre maggiore sinergia tra le parti. La cornice normativa e sindacale sarà quella prevista nel nuovo modello di assetti contrattuali che prevede uno spostamento del baricentro verso il secondo livello di contrattazione (sia aziendale che territoriale). Saranno, pertanto, lasciati maggiori spazi di autonomia alle parti sociali nel regolare i vari aspetti legati alla contrattazione. Sarà prevista un’implementazione della bilateralità e un maggiore utilizzo degli strumenti partecipativi anche attraverso l’utilizzo di servizi di welfare integrativo. In questa prospettiva si sta procedendo ad un confronto tra Governo e Parti sociali che porterà alla firma di un Avviso Comune in tema di partecipazione.

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Il ruolo del sindacato è destinato a ridursi sia pure molto lentamente. L’ambiente economico sarà sempre più internazionale e aperto ai contatti con l’estero.

Se dal punto di vista normativo lo scenario appare più chiaro, anche perché la riforma del mercato del lavoro introdotta nel 2003 è stata ormai assimilata e metabolizzata dai diversi attori coinvolti, più complessa appare l’analisi del quadro sindacale. Questo soprattutto alla luce di due considerazioni: - si è verificata negli ultimi tempi una parziale perdita dell’unità d’intesa tra le rappresentanze sindacali che ha condotto a una frammentazione delle posizioni in gioco; - i momenti difficili, come quello che stiamo vivendo, aumentano la tensione e la complessità dei rapporti tra aziende e sindacati.

Il seguito ed il potere dei sindacati subirà una contrazione: i lavoratori si stanno rendendo conto in prima persona di non avere alternative se non quella di riporre fiducia nel proprio datore di lavoro. Fondamentale il corretto utilizzo degli strumenti di comunicazione interna, per evitare di creare ulteriore panico ed informare in maniera obiettiva e tempestiva le risorse umane su quanto sta accadendo.

L’obiettivo sarà quello di creare un contesto normativo che favorisca l’autonomia e l’iniziativa individuale, grazie anche a minori vincoli in merito alle modalità con cui garantire la propria prestazione lavorativa (e.g. orari, luoghi, strumenti).

Non credo vi saranno smottamenti particolari riguardo alle normative contrattuali; si procederà con la massima attenzione ai costi e alla flessibilità nell’impiego del personale. Il sindacato è un elemento importante di tale contesto, da coinvolgere e convincere sulle scelte aziendali. L’anno trascorso non è stato semplice nei rapporti con queste organizzazioni e si avverte una loro esigenza di recuperare istituti/normative che impattano positivamente sul salario.

La contrattazione collettiva si orienterà ai contratti di solidarietà; le relazioni sindacali si dovrebbero concentrare sul tema della partecipazione dei lavoratori.

La cornice normativa rimarrà ancora quella definita attraverso la “riforma Biagi”, ed i problemi gestionali significativi riguarderanno principalmente proprio l’area Risorse Umane per i vari aspetti contrattuali, di inserimento e formazione in ambienti sempre più complessi e scarsamente sindacalizzati.

Ruolo critico del Sindacato, schiacciato fra le poche risorse disponibili e le molte richieste della base; continuerà in una politica garantista-solidarista con valenze sociali positive ma negative per la produttività (appiattimenti); fratture all'interno.

Considerata la scarsa maturazione del sistema sindacale nazionale, è ancora prevedibile un aumento dei conflitti a livello di siti produttivi. Sarà chiave riuscire a canalizzare le tensioni in maniera produttiva sia per le forze di rappresentanza sindacale che per la direzione aziendale. Ancora basso sarà il livello di confronto sindacalizzato in ambito uffici, dove probabilmente però, vista la dinamica della forza lavoro, è prevedibile un aumento di conflitti autogestiti da parte dei lavoratori a livello impiegatizio (l’esempio francese è emblematico in questo senso). In generale, si può dire che la concertazione andrà sempre più in una direzione locale piuttosto che nazionale, per la risposta ad esigenze sempre più specifiche. Non si vede grande futuro per le infinite negoziazioni nazionali che non portano valore a nessuna delle parti, se non alle sovrastrutture burocratiche.

Le relazioni industriali e le politiche di settore dovrebbero essere orientate all'ottenimento di maggiore flessibilità e supporto nella fase di rilancio, il che comporterà maggior coinvolgimento proattivo e propositivo delle parti sociali e delle istituzioni. Bisogna portare le parti sociali (lavoratori, organizzazioni sindacali, strutture aziendali) a condividere il "rischio", passando da atteggiamenti di antagonismo e passività alla cultura della condivisione e della partecipazione positiva. Snellimento dei processi, abbattimento dei costi, recupero di efficienza, senza tralasciare qualità e innovazione.

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Soprattutto azione Quadro complesso e difficile aggravato dalla crisi. Riduzioni di organico; revisione organizzativa per conseguire semplificazione della struttura, focalizzazione sui mercati di riferimento, riduzione dei costi ed efficienza; riqualificazione e sviluppo del personale.

Le risorse umane si focalizzeranno sul rafforzamento di policy, processi e attività amministrative. Ciò consentirà a tutti i dipendenti di offrire un servizio qualitativamente superiore in ogni paese dove si è presenti. Verranno ridotti drasticamente tempi di risposta e di conseguenza la distanza dal cliente.

Gestione delle risorse umane segmentata (le diversità) e "paradossale"(tagliare e investire).

Dal punto di vista della gestione delle risorse umane, massimo rilievo assume l’accountability – e in particolare i sistemi di valutazione dei risultati – la quale dovrà essere improntata alla massima trasparenza, equità e oggettività dei processi di valutazione dei singoli, in modo da incrementarne le motivazioni ed il senso di partecipazione allo sviluppo aziendale.

Sarebbe necessario spostare la flessibilità dall'accesso al lavoro al suo svolgimento (orari, mobilità, mansioni).

Come già detto stiamo applicando una politica di contenimento costi, che implica una crescita zero in termini budgetari per quanto riguarda i costi di personale. Abbiamo dovuto altresì operare alcuni tagli su taluni "benefits" popolari. Abbiamo cercato il massimo di dialogo e di condivisione delle misure proposte con i nostri partner sociali al fine di limitare l'impatto sociale delle misure adottate. La pianificazione accurata del personale; l'ottimizzazione e la condivisione delle risorse umane; lo sviluppo delle risorse, competenze e talenti esistenti; la gestione di eventuali tagli di personale.

Specializzazione: concorsi esterni sempre più mirati, percorsi formativi personalizzati, concorsi interni straordinari per alcuni comparti operativi della rete territoriale; inoltre può ipotizzarsi un più stretto collegamento tra profilo individuale e caratteristiche della posizione da ricoprire, ricercato sin dalla pianificazione dei flussi di assunzione e perseguito con un’attivazione più sistematica dello strumento delle vacancies. Competenze trasversali: formazione (conoscenze informatiche, linguistiche) attraverso l'e-learning. Un altro fronte di impegno è quello delle capacità individuali di comportamento organizzativo (es. lavoro di gruppo, flessibilità, ecc.); rilevate tramite assessment center (nei confronti dei coadiutori neo-assunti e dei funzionari) e rafforzate mediante l’inserimento in coerenti percorsi formativi, articolati in iniziative in presenza e on line.

Uso di metodologie innovative; ricerca di soluzioni veloci e audaci; priorità alla formazione, allo sviluppo e alla gestione dei talenti e della diversità; combinazione di flessibilità e pianificazione per anticipare le fluttuazioni dei fabbisogni di personale.

Se uno dei versanti più importanti nella gestione delle risorse umane – oltre a quello di gestione della dinamica quantitativa pura – risulta essere quello a carattere psicologico, legato alla motivazione e alla capacità di mantenere alto il livello di coinvolgimento del personale nei confronti di obiettivi di conservazione, di razionalizzazione e di contenimento dei costi, sarà importante trovare leve e strumenti che siano in grado di accompagnare la gestione della crisi nell'immediato, con visioni e prospettive che hanno già traguardato la crisi e abbiano definito un orizzonte temporale in cui l'azienda è orientata su nuovi percorsi di crescita e di sviluppo. La dinamica conflittuale non può essere l'unico spazio di confronto fra azienda e personale e fra azienda e rappresentanza sindacale.

I temi gestionali saranno principalmente legati allo sviluppo delle persone, alla mobilità ed alla capacità di dare fiducia ai veri talenti.

Più partecipazione significa gestione più "alta" e relazioni sindacali meno complicate.

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Sui cambiamenti dei processi aziendali, rafforzandone l’integrazione. Si renderà necessario accompagnare progetti con attività di change management.

La ricerca dell'efficienza continuerà a spingere le aziende a ricercare un utilizzo ottimale del personale attraverso: a) politiche di contenimento delle assunzioni e di incentivazione all'uscita; b) razionalizzazione delle strutture organizzative; c) migliore impiego e allocazione delle persone già presenti in azienda, anche attraverso interventi di riqualificazione professionale; d) iniziative di formazione e sviluppo sempre più mirate e focalizzate. In questo contesto risulteranno critiche la capacità di adottare criteri selettivi di natura meritocratica che consentano all'azienda di adottare approcci differenti in relazione ai diversi segmenti di personale.

Le Direzioni Umane delle aziende insieme ai Comitati Direttivi dovranno concentrare strategicamente la loro attenzione sulle priorità di business a seconda del settore di appartenenza, con particolare riguardo a ripensare le logiche interne dell’azienda, per seguire un time to market che è cambiato enormemente a seguito della crisi.

L’esigenza di modernizzazione e di innovazione porterà a ridefinire gli assetti societari, le organizzazioni, gli ambiti produttivi. I problemi della gestione saranno correlati al recupero di efficienza e di produttività che interesseranno tutti i processi aziendali.

Entrambe Cornice stabile senza grandi novità, salvo interventi, variabili a seconda dei singoli paesi, sugli ammortizzatori sociali. Continuano i processi di ristrutturazione, con chiusura di unità produttive ed un'attenzione maggiore alla ricollocazione piuttosto che sui processi di assunzione/reclutamento.

La cornice normativa e sindacale sarà senz’altro favorevole, se si apriranno spiragli per la creazione di nuovi posti di lavoro che potranno, almeno in parte, sostituire quelli che la crisi distruggerà. I problemi gestionali più significativi riguarderanno il ricambio di risorse umane con competenze obsolete e difficilmente rinnovabili, con risorse umane fresche e più disponibili all’apprendimento e al cambiamento.

Secondo una ricerca di François Dupuy il rapporto di lavoro stabile nuoce gravemente alla produttività. Nelle aziende in media il tempo effettivo di lavoro, quello in cui viene «fatto qualcosa», è di 4 ore e 20 minuti contro un orario medio di 7 ore e 38 minuti. E non c’è differenza tra pubblico e privato o tra i diversi livelli gerarchici. Da questo crollo di produttività, si salvano solo le piccole imprese e i lavoratori definiti atipici: gli interinali, quelli a tempo determinato, gli stagisti e così via. Tutto merito del controllo sociale che è più efficace della gerarchia. La così detta organizzazione per processi ha successo perché tende a ripristinare una forma di controllo sociale da parte del cliente interno fino ad arrivare, a cascata, al cliente finale. La conclusione è choc: la produttività degli atipici è del quaranta per cento più elevata di quella dei lavoratori a tempo indeterminato. Prima di trasformare tutti in temporary manager o in interinali, non sarebbe il caso di ripensare il rapporto tra grandi e piccole imprese, tra strutturati e precari, tra rigidità e flessibilità? Questa evoca un’idea di adeguamento piuttosto passivo alla situazione da parte di una funzione aziendale (produzione, distribuzione, logistica) o del personale (tipo di contratto, orari e così via). L’agilità evoca invece una caratteristica di tutto l’organismo aziendale e riguarda la capacità di muoversi rapidamente, di riposizionarsi in rapporto all’ambiente, ai mercati e alle istituzioni, di «resettare» i rapporti competitivi. Flessibilità è un concetto statico e passivo, agilità è un concetto dinamico e creativo.

La cornice normativa del rapporto di lavoro si modificherà leggermente dando peso alla contrattazione aziendale ed a una più rilevante parte negoziale individuale. Le organizzazioni sindacali continueranno il declino di rappresentanza. Le aziende dovranno gestire autonomamente la creazione del consenso interno ed imparare a gestire la negoziazione individuale, la flessibilità degli orari ed una impostazione formativa permanente.

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Continuo interscambio tra Azienda, organizzazioni sindacali, Enti locali, nazionali e europei. Retribuzione/Inquadramento contrattuale vs costo della vita. Aree: welfare, sicurezza, sviluppo delle competenze e dei comportamenti.

Non vedo nel medio termine grandi impatti della cornice normativa e sindacale (salvo una riscrittura da parte del sindacato, tendente a privilegiare le nuove generazioni e non - come ora - a salvaguardare i diritti degli attuali occupati); equità interna ed esterna delle retribuzioni/manager verso professional; se la tutela e la sicurezza (in termini di attenzione, formazione, regolamenti di sicurezza) trovano largo campo, sempre più l’impiego non è garantito.

La cornice classica rischia di essere ancora quella dei licenziamenti collettivi (più o meno “coercibili” o “volontari”) e della CIGS. In un contesto sindacale in evoluzione, caratterizzato da una diatriba endosindacale non semplice (nuovi assetti contrattuali, conflitto Fiom con altre organizzazioni e aziende). I problemi gestionali aumenteranno la loro componente di criticità nel trattamento delle persone, con possibili ripercussioni anche di clima o addirittura di ordine pubblico.

Una cornice normativa e sindacale generalmente ancora complessa, a volte "arcaica" e comunque poco reattiva rispetto ai veloci mutamenti socio-economici. Riorganizzazioni ai fini del contenimento dei costi e della ricerca di una maggiore efficienza. Passaggio dalla tradizionale gestione del personale a una vera e propria politica delle risorse umane.

Il rinnovo del contratto collettivo nazionale costituirà il banco di prova per la compiuta realizzazione della riforma degli assetti contrattuali, definita a livello interconfederale. In tale contesto avrà presumibilmente un peso la mancanza di unitarietà dell’azione sindacale col rischio che si inneschi una competizione, tra le sigle sindacali, per la ricerca di consenso tra i lavoratori, basata unicamente su un gioco al rialzo delle rivendicazioni di carattere salariale. Col contesto economico finanziario esposto e con lo scenario di recessione analizzato, continueranno ad essere preponderanti i temi della ristrutturazione e riorganizzazione con il connesso recupero di competitività e produttività. A tal fine potranno essere fondamentali, da parte delle Risorse Umane, la comprensione degli obiettivi dell’impresa e il coinvolgimento al raggiungimento degli stessi.

Sempre più i Ccnl saranno alleggeriti per quelli decentrati: il focus si sposta dalla retribuzione (variabile) alle tutele vecchie e nuove (es. fondi a sostegno del reddito). Occorrono politiche gestionali più trasparenti e condivise. Per le piccole imprese l'esigenza è di affiancare all'imprenditore un manager che lo completi ed a cui delegare.

Le aziende dovranno porre molta attenzione nel coniugare flessibilità e sicurezza, favorendo auspicabilmente misure volte a realizzare soluzioni di flessibilità interna ed organizzativa (ad esempio con contratti di solidarietà), piuttosto che esterna e numerica, sui propri organici. La contrattazione collettiva, ad ogni livello – e in special modo a quello aziendale – sarà indispensabile per tentare di gestire consensualmente le ricadute più gravi della crisi.

La cornice normativa è in continua evoluzione e riguarderà gli aspetti attinenti alle forme dei rapporti di lavoro, nonché agli aspetti previdenziali e assistenziali e agli ammortizzatori sociali. La cornice sindacale continuerà ad essere la stessa dell’anno precedente, con la divaricazione delle prospettive tra le organizzazioni sindacali più rappresentative e con una focalizzazione delle trattative contrattuali sui problemi dell’occupazione. I rinnovi dei contratti collettivi nazionali di lavoro arriveranno a soluzioni innovative rispetto a quelle precedenti, perché sono cambiate profondamente le condizioni di contesto.

I sistemi organizzativi creano valore quando realizzano strategie meno fondate sui tradizionali asset organizzativi e più orientate agli intangibili asset. Un’azienda infatti, pubblica o privata, è competitiva se è capace di integrare il suo potenziale economico e finanziario con il patrimonio intellettuale di cui dispone, in una visione che consideri le risorse umane non solo come costo, quanto soprattutto come patrimonio da valorizzare e capitalizzare per creare valore aggiunto. Per garantire servizi qualitativamente congruenti con le aspettative dell’utente/cliente, quindi, gli investimenti finanziari

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non sono sufficienti se accompagnati da politiche di mero monitoraggio amministrativo delle risorse disponibili e non sono poche le aziende che, pur con pareggio di bilancio, non raggiungono i livelli di servizio attesi. L’attenzione al capitale economico e patrimoniale deve trovare analogo riscontro verso il capitale intellettuale, che è il punto cardine della funzionalità ed efficacia di ogni organizzazione.

I problemi gestionali più significativi saranno focalizzati sui problemi di gestione delle eccedenze di personale, a seguito di ristrutturazioni per crisi della domanda, ma anche sui problemi di sviluppo di nuove competenze conseguenti alle misure organizzative adottate per superare la crisi. Le aree dei rapporti sindacali e dello sviluppo e formazione del personale saranno quelle sulle quali concentrare l’attenzione.

La gestione delle risorse umane continuerà a trovarsi "stretta" tra i tradizionali vincoli negoziali e l'esigenza di ricavarsi un ruolo più autonomo per gestire in maniera anche innovativa e anticipatoria adeguate politiche del personale, coerenti con le esigenze dello sviluppo aziendale. Sarà dunque cruciale una politica che riesca ad offrire un’attenzione e risposte concrete alle esigenze e alle problematiche di cui è portatore il singolo collaboratore. "Gestire la persona, in un quadro di gestione del personale". Sono improbabili, invece, variazioni significative sul piano normativo, fatti salvi interventi relativi agli ammortizzatori sociali. Sul piano sindacale c’è da attendersi che prosegua la perdita di fiducia nei confronti del sindacato confederale. Per quanto concerne la gestione, l’attenzione sarà rivolta alla realizzazione di ulteriori azioni di contenimento dei costi e, auspicabilmente, allo sviluppo della formazione finanziata.

Avvio di un modo nuovo di concepire gli accordi societari soprattutto per le micro e piccole imprese in cui la conoscenza specialistica è affidata a supporti professionali esterni. Recupero di produttività e quindi maggiore controllo ed efficienza collegata alla maggiore motivazione del personale.

Molto dipenderà dalla effettiva accettazione dei diversi livelli di contrattazione non ancora legittimati. L’area della formazione al lavoro è stata, è e sarà quella centrale purtroppo sempre ‘critica’ per il nostro paese per le poche risorse dedicate e il cattivo uso di quelle destinate ad essa.

Il modello è sicuramente partecipativo a discapito di quello conflittuale. Secondo un approccio di rispetto reciproco per l’anima riformatrice delle parti in causa. Un moderno sistema di relazioni industriali, che strutturi le nuove “relazioni di lavoro” regolarizzando la flessibilità gestionale rispetto alle reali esigenze organizzative di un’azienda. Una prospettiva innovativa sarebbe ipotizzabile nel collegamento tra l’offerta di tutele per i lavoratori e il loro effettivo livello retributivo, con una logica di crescita delle garanzie del lavoratore man mano che il contratto di lavoro si protrae nel tempo. La definizione economica della retribuzione percepita potrebbe, quindi, essere il vero fattore con cui rafforzare le tutele giuridiche per i livelli bassi di retribuzione e riconoscere, invece, maggiore spazio alla libertà di contrattazione individuale tra lavoratore e impresa al diminuire della debolezza e quindi di vulnerabilità del primo. A tale sistema di protezione si accosterà anche la rivisitazione delle logiche di governance aziendale con il riconoscimento della partecipazione dei lavoratori agli utili dell’azienda, valorizzando la condivisione del profitto a fronte di una pari condivisione della propensione al rischio insita nell’attività imprenditoriale.

A livello di cornice normativa non credo in una ulteriore frammentazione delle tipologie contrattuali (flessibilità sul contratto); credo invece che ci sarà un gran bisogno di unità da parte sindacale. Sarà importante vedere se si riuscirà a ricostituire l’unità sindacale perché solo avendo chiare le regole (nuovo protocollo d’intesa sottoscritto da tutti) gli attori potranno giocare nel modo migliore. A livello di gestione la vera partita si può giocare sugli accordi sulla produttività (i famosi contratti di secondo livello non ancora decollati).

Rimane forte la frammentazione sindacale, vista la presenza di numerose sigle autonome, ed elevato il tasso di sindacalizzazione. Così come già avvenuto nel 2009 continuerà il dialogo costante con tutto il fronte sindacale. Tale azione ha permesso di affrontare un’importante riorganizzazione delle figure professionali presenti in azienda senza azioni di sciopero. Portata a termine la manovra organizzativa,

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sarà necessario continuare verso il recupero di produttività, semplificare le regole amministrative, introdurre strumenti di gestione più moderni. Coinvolgere le persone, far emergere le idee per il miglioramento dell’attività quotidiana e non solo, sarà elemento imprescindibile per affrontare le nuove sfide, contenere i naturali conflitti gestionali ed uscire vincenti dal periodo di crisi. Il welfare aziendale rappresenta un ulteriore argomento all’ordine del giorno; è in atto un processo importante di rivisitazione ed attualizzazione, finalizzato ad una sua ulteriore valorizzazione.

Per la P.A. ed in particolare negli Enti Previdenziali si imporrà la necessità di adottare sistemi di valutazione delle performances e di gestione della premialità in linea con i principi e le disposizioni vincolanti del decreto legislativo 150/2009, a valere a regime dal 2011 ma dei quali occorrerà definire le regole entro quest’anno. Contemporaneamente dovrebbe essere ridefinito l’intero arco dei CCNL, con molte restrizioni alle materie oggetto di contrattazione/concertazione. Ciò fa prevedere un anno di appesantimento delle relazioni industriali ma anche di grosse opportunità per rendere più finalizzati ed efficaci i sistemi di programmazione e controllo, di misurazione delle performances e quelli premiali a tali sistemi collegati.

La cornice normativa è quella del suddetto Accordo interconfederale. La cornice sindacale dovrebbe essere caratterizzata da un concentrazione sugli obiettivi di salvaguardia dell’occupazione e di gestione dei processi di riconversione aziendale. I problemi gestionali riguarderanno ancora la gestione della mobilità, la Cassa integrazione e gli ammortizzatori sociali, la riconversione professionale e la formazione. Una particolare criticità riguarderà la gestione dei contratti atipici.

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5 - La Direzione del Personale

Quali saranno i suoi aspetti più caratterizzanti? Come evolverà?

Ruolo strategico… Affiancherà ancor più la Direzione Generale in un'ottica di gestione strategica delle risorse umane.

Sempre più strategica, ma deve acquisire nuove competenze, ad esempio le tecniche di marketing per il mercato interno.

Una Direzione del Personale più strategica: oggi non esiste più la cultura d'impresa, né la lealtà e fiducia, né il collegamento decisioni-responsabilità.

La Direzione del personale evolverà sempre più in senso collaborativo, per una maggiore condivisione degli obiettivi da raggiungere. Questa impostazione è in linea con i più recenti sviluppi normativi in tema di partecipazione dei lavoratori che valorizza la collaborazione attraverso un superamento delle vecchie conflittualità aziendali. Per questo, sarà necessario valorizzare le risorse umane attraverso sempre nuovi investimenti nella formazione e nella ricerca. L’obiettivo è infatti quello di conciliare leadership e spirito di squadra, nel tentativo di esaltare l’apporto di ciascuna professionalità. Il dialogo in funzione strategica e la coltivazione dei singoli potenziali professionali e umani rappresentano obiettivi di importanza primaria in un’organizzazione che intende accrescere la propria competitività nel mercato. La Direzione del personale deve pertanto mantenere un ruolo attivo nel definire la “missione aziendale”, per garantire coerenza al sistema, con riferimento a valori condivisi.

L’evoluzione della Direzione del Personale sarà – ma forse è un sogno – verso il ritorno alle competenze e all’importanza della funzione.

Sempre più a fianco del business per supportarlo sia nei momenti di scelta strategica che realizzativi.

Da struttura tecnica e di servizio a partner strategico del vertice aziendale per assisterlo nella definizione e raggiungimento degli obiettivi di business.

La Direzione del personale svolge un ruolo primario nel processo di condivisione degli obiettivi e di realizzazione della mission di un’impresa che sempre più tende al decentramento operativo, alla ricerca della dimensione territoriale ottimale, all’autonomia della “periferia”. Pertanto, le capacità comportamentali e concettuali del management sono fondamentali per l’efficace espletamento di tali ruoli. In tale contesto il ruolo del capo si conferma fondamentale. La valorizzazione del personale passa anche attraverso la loro forte responsabilizzazione. I capi, devono essere valutati in base, tra l’altro, alla crescita dei propri collaboratori in termini di competenze e risultati.

Ruolo fondamentale in quanto “governo” della risorsa strategica indispensabile. Introduzione di sistemi premianti e meccanismi di incentivazione con modelli di valutazione obiettivi.

A fianco delle relazioni sindacali, nella prospettiva suesposta, crescerà il ruolo di presidio delle competenze strategiche anche in relazione alla crescita di competitors. Dovrà, inoltre, rispondere alle nuove esigenze di internazionalizzazione.

La Direzione del Personale avrà un ruolo strategico nel raccordo fra persone e organizzazione e nel proporre soluzioni innovative. Dovrà giocare in attacco: essere timorosi e "piagnoni" sarà deleterio.

La Direzione del Personale sarà sempre più caratterizzata da un’azione strettamente integrata con le strategie e i piani aziendali, con una delicata ricerca di bilanciamenti tra organici e professionalità necessari, con un impegno molto mirato su valutazione e formazione, con una attenzione a rendere consapevoli le organizzazioni sindacali dei necessari processi di riconversione.

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Le Direzioni del Personale sono da tempo evolute in Direzioni delle Risorse Umane, affiancando l’Amministratore Delegato e il Comitato di Direzione nella definizione delle strategie di business e nella loro implementazione a breve e medio termine.

La direzione R.U. deve continuare a proporsi come business partner, ad essere vicino al business, a dialogare con i centri decisionali, diventando essa stessa centro decisionale nell’organizzazione. Per dirla con Ulrich deve sempre più muoversi nei quadranti alti, con un taglio sui processi aziendali, deve saper essere a sostegno di strategie e cambiamenti che saranno sempre più intrecciati tra loro. Aspetto operativo: predisporre, preparare l’organizzazione a saper gestire e anticipare il cambiamento. Forse è già tardi, ma bisogna insistere. Diventeranno sempre più importanti le figure dei facilitatori del cambiamento. La Direzione R.U. deve impostare programmi e azioni per trovare e sviluppare queste figure. Le organizzazioni devono investire in questi programmi. Terzo punto: va recuperata e valorizzata un’area di azione tradizionale della Direzione R.U.: quella dei sistemi di Performance Management. Bisogna snellirli e renderli più flessibili. Continuerà ad essere un riferimento fondamentale aziendale in cui la “core competence” si sposta sempre più dalla gestione delle relazioni sindacali a quello di gestione delle risorse assegnate in modo realmente sempre più manageriale.

… oppure… Deve essere negoziatrice di partecipazione fra l'azienda e le persone.

Il ruolo dipende dai vertici; potrà opporsi ai tagli che sono anche disinvestimenti per il futuro?

Difficile prevederlo. Molto dipenderà dalle culture, dagli stili e dalle sensibilità dei singoli managers. C’è da sperare - a mio modo di vedere - che non prevalga la tentazione di intraprendere la via più corta, ma anche miope, di utilizzare l’alibi della crisi per porre mano ad uno sconvolgimento delle relazioni di lavoro sul piano delle politiche industriali ed occupazionali. Ad esempio, rafforzando l’inclinazione ad utilizzare la competizione sui costi - anche attraverso off-shoring e delocalizzazioni - per stare su mercati globali sempre più difficili. A parere di chi scrive, la soluzione più appropriata dovrà essere invece quella - raccomandata dall’UE (vedi strategia di Lisbona) - di una via alta alla competizione globale, fatta di investimenti nell’innovazione (di processo e di prodotto) e nella conoscenza. Dunque in un investimento serio e duraturo nella formazione delle proprie risorse umane.

Ruolo complesso, di "protezione" dell'efficienza in situazioni di stress o anche di conflitto.

Esternalizzazione di attività operative.

L’aspetto caratterizzante dovrà essere a parer mio quello di guardare e valorizzare i diversi talenti delle persone, in un’ottica di Responsabilità Sociale d’Impresa. Personalmente ritengo sempre più rivolta agli aspetti di sviluppo e pianificazione, di attenzione alle persone e allo sviluppo delle competenze.

Aumenterà il fabbisogno di competenze sia di carattere specifico che di carattere generale. Sarà determinante il processo di selezione all’entrata.

Dovrà porsi come capace di facilitare i cambiamenti con un rapporto di partnership con le altre funzioni di linea.

… no La direzione del personale faticherà in tempi ancora di non piena ripresa a legittimare un ruolo di governance, gestione e governo delle risorse umane con un legittimo ruolo nella direzione aziendale.

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Attenti al modello FIAT voluto da Marchionne! Meno potere nella gestione delle persone alle H.R. e ritorno alla responsabilizzazione diretta del capo gerarchico. Alle H.R. rimane (o ritorna?) la relazione con il sindacato (solo e soltanto?).

Dovrà emergere un ruolo della Direzione del Personale più orientato verso l'innovazione che verso la "manutenzione" dell'esistente, in forte integrazione con un business che, all'uscita dalla crisi, dovrà riposizionarsi. Vi è da attendersi una crescita dell’attenzione per le risorse umane in una logica di relazioni interne. Peraltro, la spinta al contenimento dei costi potrebbe, in alcuni casi, determinare – attraverso outsourcing di attività – un ulteriore “asciugamento” dell’organico delle Direzioni del Personale e anche la non sostituzione di Direttori eventualmente cessati; le loro funzioni (salvo che nelle imprese più grandi o in alcune a guida padronale) potrebbero essere affidate a un Quadro nell’ambito della Direzione Amministrativa.

La Direzione del Personale in periodi di crisi viene percepita essenzialmente come strumento di razionalizzazione e di ristrutturazione. Alcuni sforzi e alcune iniziative dovrebbero essere intrapresi per evitare che la gestione del personale sia costretta esclusivamente in questo ruolo. Nello stesso tempo la Direzione del Personale dovrà in ogni caso essere in grado di rendere visibile il potenziale delle proprie risorse umane soprattutto in vista delle possibili opportunità che la crisi comunque produce. Spesso le chance di ripresa per un'azienda possono dipendere - oltre che dalle qualità del management e della proprietà - da una corretta rappresentazione del capitale di conoscenze e competenze presente in azienda e dalla abilità nella loro valorizzazione.

Devono fare un grande salto di qualità per promuovere politiche innovative; riscontriamo ad esempio una crescente divaricazione tra piccoli gruppi di top manager ed il middle management, che dovrebbe essere valorizzato, come anche i quadri: un problema di cui le Direzioni del Personale dovrebbero farsi carico.

La Direzione del Personale / Risorse Umane potrebbe evolversi come principale gestore dell’innovazione, ma con difficoltà perché non sempre è in possesso di competenza moderna e leadership personale per poterlo fare. Le aziende potrebbero delegare l’innovazione organizzativa ad altre funzioni.

Il problema del “lavoro” nel 2010 sarà cruciale e, in quanto tale, non sarà gestito prevalentemente dalla tradizionale direzione del personale. Le decisioni strategiche saranno prese a livello superiore. Per la direzione del personale si tratterà di far valere le proprie competenze più tecniche.

Gestione dell’onda lunga della crisi. Si evolverà in una logica di “servizio” (Business partnership e shared services) col rischio di perdita di competenze e di controllo dei fenomeni o sensibilità gestionali, in linea con le più recenti tendenze/mode del mercato.

Molto ridotti i budget a disposizione, interventi minimali e con focus sul breve termine. Frequenti revisioni/riduzioni organizzative. Poca attenzione ai temi di sviluppo e formazione. Recruiting limitato prevalentemente alle collaborazioni a termine (stage, Co-Co-Co, Co-Co-Pro).

E politiche di innovazione La direzione del personale dovrebbe più che mai essere strettamente associata alle decisioni strategiche aziendali. Per uscire dalla crisi servono infatti strategie innovative che devono essere sostenute e accompagnate da coerenti politiche in materia di risorse umane. In particolare andranno considerati i caratteri dei dipendenti, rilevanti anche per la gestione delle risorse umane, in primis la crescente diversità della loro composizione. La tradizionale prevalenza di dipendenti maschi adulti e stabili sta lasciando il posto a una varietà di persone: giovani ad alta scolarizzazione, spesso con contratti atipici; donne di varia età, comprese quelle con problemi di conciliazione tra lavoro e ruoli familiari; anziani con diversi gradi di attitudine, capacità, motivazione per cui è necessario affrontare

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politiche di active ageing; immigrati, di varie culture, etnie ed esperienze. Il diversity management sarà la sfida principale dei prossimi anni.

Disegno e gestione dei processi, sviluppo del capitale umano, contestualizzazione delle risorse nei territori di riferimento. Evolverà da gestore del contratto di lavoro a gestore del capitale umano.

La Direzione Risorse Umane deve trasformarsi velocemente, dove già non fatto, in un "service" agli altri settori aziendali. Deve essere un esempio di coerenza manageriale. Maggiore vicinanza alla linea per collaborare nel raggiungimento dei risultati aziendali, svecchiamento di processi e procedure, nuovi strumenti e processi orientati alla meritocrazia e alla valorizzazione delle competenze, nuovi percorsi formativi e attenzione alla comunicazione interna.

Snellire la burocrazia per essere più vicini alle persone e liberare energie per ascoltare i bisogni del cliente fanno sì che la centralità del cliente non sia solo uno slogan ma divenga un modo concreto e condiviso di lavorare. Fra le priorità: definire politiche gestionali mirate per il Top Management; disegnare un’architettura complessiva di Talent Management; valorizzare la diversity in tutte le sue prospettive.

Negli ultimi anni la Direzione del Personale (a livello generale) ha costantemente visto crescere la propria importanza addivenendo un reale business partner nel senso della necessità di tenere insieme interessi diversi, da una parte il business e dall'altra quelli delle persone. Questo per due principali punti di vista: a) perché responsabile delle risorse umane (unico vero elemento distintivo); b) perché un servizio caratterizzato da una forte intersettorialità. Non a caso le attività a capo della Direzione Risorse Umane sono sempre aumentate, trasformando un settore prima contraddistinto da una parziale staticità a uno sempre più dinamico e in continua evoluzione.

Gli aspetti più caratterizzanti saranno rappresentati dall’integrazione strategica delle politiche di gestione delle risorse umane rispetto alle logiche di contrattazione e negoziazione in Azienda. La massiccia applicazione del reengineering e la tendenza a semplificare le strutture organizzative hanno spinto il management aziendale a riprodurre modelli che spesso non corrispondono alla cultura dell’organizzazione producendo un aumento della conflittualità contrattuale e gestionale, a tutti i livelli. Gli usuali sistemi di governo delle imprese cominciano a sperimentare aspetti di “inadeguatezza”, e se i manager non imparano a gestire le nuove prassi culturali presenti nelle organizzazioni, si rischia di fallire nel delicato momento della ripresa post-crisi. La regolazione e modernizzazione delle logiche di lavoro appaiono, dunque, come la base fondante di una Direzione del Personale che punta a comprendere la più strategica capacità aziendale e cioè: presidiare e sviluppare le relazioni di lavoro in Azienda con una adeguata “regia gestionale”, valorizzando la diversità professionale e sistematizzando la flessibilità gestionale.

Il principale ruolo svolto dalla direzione del personale è essenzialmente quello di riorganizzare, ristrutturare, e gestire il taglio dei costi e contemporaneamente garantire al personale nuove prospettive con la consapevolezza che quel comportamento contribuisca al risanamento dell’impresa.

Proprio alla Funzione Risorse Umane è chiesto un grande impegno: conoscere i trend esterni, fornire delle prospettive chiare, agire per semplificare, individuare e far crescere i leader di domani.

Le direzioni del personale dovranno, in molti casi, confrontarsi con gli effetti della crisi dell’occupazione, mettendo in atto processi di gestione delle eccedenze di personale. Pertanto il confronto sindacale sarà un impegno assorbente. D’altro canto, le direzioni del personale dovranno riconvertire il personale verso l’assimilazione di nuove competenze. Pertanto la formazione e la mobilità interna spesso saranno passaggi obbligati. Il problema del controllo degli organici e del costo del lavoro sarà impegno di medio periodo. Anche dopo il superamento della crisi rimarrà il problema del mantenimento del minore costo del lavoro per unità di prodotto. Le direzioni del personale saranno chiamate a trasmettere una cultura aziendale

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diversa rispetto al passato, inglobando il richiamo a comportamenti etici. In sostanza viene enfatizzato il ruolo strategico delle direzioni del personale.

Sicuramente la gestione delle contraddizioni che caratterizzano l’attuale ruolo della direzione del personale. Ad esempio, il bisogno di conciliare le esigenze di pianificazione con la gestione delle contingenze, oppure, il bisogno di attrarre i migliori talenti e di chiedere loro un orientamento di lungo termine con l’impossibilità di offrire orizzonti temporali e forme contrattuali stabili.

I recenti eventi globali hanno ancor di più messo in luce la necessità di un approccio sistemico da parte della Direzione del Personale, in una logica di partnership con le Unità di Business e di crescente efficienza. I processi gestiti dai vari Dipartimenti - dalla Formazione alle Relazioni Sindacali, dall’Organizzazione ai Servizi Generali, o ancora dal Costo Lavoro alla Security, solo per citarne alcuni - dovranno fra loro integrarsi e sincronizzarsi sempre di più e sempre meglio, per fornire al Business soluzioni complete e di alta qualità. Allo stesso tempo, la Direzione del Personale dovrà aumentare il coinvolgimento delle risorse umane diffondendo a livello globale e migliorando i sistemi di Comunicazione Interna tramite le più recenti tecnologie.

Maggiore attenzione per le piccole e medie imprese alla produttività e incentivazione dei singoli collegata a incentivi connessi alla produttività aziendale.

Doppia sfida: efficientamento (costi) e valorizzazione (formazione, motivazione); La Direzione del Personale sarà fondamentale come snodo fra persone e organizzazione; secondo una nostra ricerca, l'85% dei Direttori del Personale sta nei Comitati di Direzione ed è una tendenza irreversibile. Gestirà contratti diversi e persone diverse.

La Direzione del Personale dovrà dimostrare: capacità di lettura e analisi del contesto socio-economico, organizzativo e strategico per comprendere i punti di forza e di debolezza del proprio personale e della propria organizzazione; capacità di segmentare il personale e di adottare in maniera efficace approcci gestionali differenti; autorevolezza, determinazione e capacità decisionale; e, proprio per questo, maggiore trasparenza rispetto al passato.

La Direzione del personale nello scorso anno è stata principalmente impegnata sul fronte del recupero dei costi e della riduzione del personale. Nel 2010 dovrà fare in modo di mantenere i risultati raggiunti (controllo) e preparare l’azienda sotto il profilo dell’organizzazione e delle competenze ad affrontare lo scenario che ineluttabilmente si presenterà superata la crisi economica (sviluppo).

Si riconfermano due filoni di prevalenza di professionalità: contributo ai processi di ristrutturazione (sindacale, costo del lavoro ed analisi dei processi organizzativi); presidio delle nuove attività "fuori dai confini" ed in particolare nei paesi emergenti.

Il persistere della crisi rallenta ma non frena le azioni di sviluppo delle risorse già intraprese nel 2009 e che continueranno anche nel prossimo anno. Le Relazioni Industriali continueranno ad avere un ruolo chiave per superare le problematiche attuali e consentire, al termine del periodo di crisi, il completo rilancio. La Direzione del Personale, poste le basi per una “nuova” azienda, potrà, nel medio termine, focalizzarsi sulle azioni di valutazione e sviluppo delle risorse nonché di promozione della “cultura aziendale”.

Meritocrazia e variabilità retributiva sono due temi di cui le DP dovranno continuare a occuparsi senza troppo indulgere alla retorica con cui questi tempi vengono ossessivamente proposti dai giornali. Da un lato c’è l’esigenza di far emergere le differenze, di consentire ai migliori di esprimere le loro potenzialità e di ricevere adeguati riconoscimenti economici. Da un altro lato si paventa un eccesso di competizione governata da logiche di potere e di arricchimento che possono favorire l’assunzione di rischi intollerabili e l’adozione di comportamenti opportunistici a scapito dei più deboli, della coesione sociale e, spesso, anche della legalità. Per risolvere queste contraddizioni non servono principi astratti, ma calarsi nelle concrete esperienze e capire quali strumenti possono essere usati per valutare i meriti e amministrare le ricompense.

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A me pare che la Direzione del personale porti in questi periodi difficili la maggior parte del peso che le difficoltà economiche attuali comportano per le aziende ed istituzioni. Si tratta però di avere la capacità di trasformare questa situazione difficile in una serie di opportunità: riorganizzazione dei servizi, ottimizzazione dell'uso e della pianificazione delle risorse umane e non, semplificazioni amministrative e sviluppo dei talenti e competenze interne. Se saprà condurre queste operazioni con successo, la Direzione delle risorse umane riempirà appieno quel ruolo di business partner che le compete.

La Direzione del Personale, ancor più che in passato, dovrà sviluppare la capacità di governare sistemi complessi, mantenendo tuttavia la necessaria visione strategica d'insieme. Per questo sarà impegnata in prima persona per: adottare nuovi sistemi di regole condivisi da tutti; riconoscere il contributo individuale e il merito; rafforzare la cultura e la misurazione della performance; capitalizzare il know-how; sviluppare i talenti; coinvolgere: parlare / comunicare di più con i dipendenti.

Nei prossimi anni la Funzione del personale dovrà farsi carico di gestire il difficile trade-off tra specializzazione e integrazione delle professionalità, tra la diffusa esigenza di profili sempre più specialistici e l’obiettivo di assicurarne l’impiegabilità di lungo periodo all’interno di un’organizzazione in continua evoluzione. Tra i fattori che hanno fatto aumentare il bisogno di specializzazione, oltre allo sviluppo tecnologico, rilevano la maggiore ampiezza e complessità dei compiti affidati e la riforma organizzativa, che ha visto accentuare la dimensione specialistica sia al centro che in periferia. Tra quelli che accrescono i rischi della mancanza di integrazione si segnalano l’allungamento della vita lavorativa indotto dalla riforma pensionistica dei primi anni ‘90, con il rischio di “obsolescenza professionale”, e la crescente interdipendenza tra i fenomeni di interesse.

La direzione del personale sarà chiamata ad importanti sfide.

Come conseguenza di una diversificazione della domanda, si dovranno sviluppare competenze per il recruiting e l’inserimento di risorse mature liberate sul mercato. Processi differenti per la selezione di risorse junior invece dovranno essere attivati per vincere la guerra degli alti potenziali.

La gestione della conoscenza diviene altresì chiave per giocare un ruolo differente nelle aziende, dove la struttura HR deve divenire un partner strategico sul quale contare per l’identificazione di aree di business e di competitività future. La governance delle organizzazioni, spesso lasciata alla linea, dovrà ritornare ad essere di dominio di HR, per garantire efficienza ed omogeneità.

Dal punto di vista della gestione del personale strettamente detta, presto ci confronteremo con forza lavoro estremamente disomogenea, sia dal punto di vista della coesistenza di generazioni differenti che da quello delle etnie/culture. Il disegno e l’implementazione di sistemi adatti alla produzione di valore dalla gestione di queste differenze sarà un’altra leva chiave nelle mani di HR.

Le Direzioni del personale non devono limitarsi alle politiche retributive perché gli incrementi economici, pur importanti, non sono di per sé sufficienti se non vengono integrati da piani di sviluppo e crescita professionale perché le persone rappresentano, a tutti i livelli, il punto cardine della mission aziendale. Politiche del personale, da considerare quali investimenti determinanti per i processi di trasformazione, centrate sulle seguenti direttrici: ▪ sviluppo delle competenze per il miglioramento della qualità dei servizi; ▪funzione dirigenziale intesa come governo e guida proattiva del personale per il raggiungimento degli obiettivi aziendali; ▪ superamento delle politiche di mero garantismo verso lo sviluppo dell’etica della responsabilità e della consapevolezza, che ogni operatore deve avere, di essere chiamato a svolgere un ruolo sociale necessario al funzionamento del sistema; ▪ attenzione al lavoratore, pur inquadrato in un sistema classificatorio, in funzione della unicità del suo patrimonio umano e professionale; ▪ creazione di contesti di lavoro fondati sulla interazione e sulla cooperazione solidaristica all’interno dei quali vi sia, sulla base di regole trasparenti e condivise, riconoscimento formale e sostanziale della capacità e dell’apporto di ogni singolo soggetto.

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Per quanto ci riguarda, entrerà a regime un sistema di gestione integrata delle risorse umane integralmente reingegnerizzato, con minori intermediazioni specialistiche e massicciamente virtualizzato nella gestione e nel trattamento delle relazioni ed informazioni interne, più sicuro, affidabile, tempestivo, trasparente ed economico. Dovremo lavorare molto, come già accennato, sull’innovazione dei sistemi di valutazione delle performances organizzative ed individuali. Siamo inoltre impegnati a potenziare le risorse umane impegnate sulla formazione interna e ad ampliarne la capacità di offerta quali/quantitativa, per massimizzare gli investimenti di sviluppo sulle risorse disponibili.

Nell’ambito di razionalizzazione organizzativa cui le Imprese sono sottoposte, tesa a recuperare produttività e efficienza, emerge l’esigenza di una maggior capacità di motivazione delle Risorse Umane con l’offerta di strumenti adeguati al mantenimento delle professionalità acquisite, al fine di evitarne il depauperamento, anche tramite una più efficace formazione, per fare in modo che siano il più possibile pronti a far fronte alla nuove esigenze, anche di riconversione professionale, che il contesto economico impone alle Imprese.

Anche la Direzione del Personale è in difficoltà alle prese con personale demotivato; saranno importanti l'efficienza e il merito (da valutare con trasparenza ed equità) e, nell'esiguità di riconoscimenti monetari, conteranno gli investimenti in formazione, subito e per il futuro.

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6 - Rispetto allo Scenario precedente

Sono riscontrabili variazioni importanti? Quali?

Invarianza… Non ci sarà crescita a causa della contrazione del sistema economico.

Non molte variazioni.

Lo scenario è quello di un contesto finanziario di difficoltà ormai endemico e strutturale, che incide sull’economia reale aggravando la situazione di settori già in crisi e coinvolgendo settori sino ad ora risparmiati. Si ritiene però che segnali di una lentissima ripresa accompagneranno l’anno 2010.

Continuerà una forte attenzione verso il contenimento dei costi del personale: in tal senso obiettivo principale della Direzione Risorse sarà quello di ottimizzare i processi facendo leva su sinergie organizzative e di ricorrere alla mobilità interna per coprire eventuali esigenze di personale. La mobilità interna continuerà ad essere strumento principe per la valorizzazione delle risorse in forza; verranno comunque effettuati, seppur in modo selettivo e mirato, inserimenti di personale dal mercato rivolti a personale laureatosi brillantemente in discipline prevalentemente economiche, statistiche e giuridiche. Si farà anche ricorso ad inserimenti a carattere temporaneo.

Lo Scenario del 2010 sarà ancora condizionato dalle dinamiche del 2009. I tempi di evoluzione della crisi non sono oggi ancora certi e dipendono da molteplici fattori. Per l'Italia e le imprese italiane, come si è detto, gli esiti sono in buona parte condizionati dall'andamento della domanda internazionale, mentre la domanda interna, benché debole, appare caratterizzata non tanto da una scarsa disponibilità di risorse, ma da una scarsa circolazione. Esiste cioè una massa di liquidità che non entra nel circuito della produzione e del consumo proprio per l'assenza di opportunità di guadagno. A livello di sistema, l'approccio della funzione di credito alle imprese riflette questo clima di riduzione del rischio e di attesa.

A mio avviso sono l’inevitabile (e già ben rilevabile) evoluzione della crisi finanziaria in crisi economica globale; conseguentemente, il crescente andamento negativo del tasso di occupazione, specialmente per il lavoro intellettuale e giovanile; per quanto riguarda la gestione del personale, il ruolo preminente ed assorbente delle esigenze di riduzione di personale (talora, occorre riconoscerlo, strumentalizzate dalle aziende per “liberarsi” di qualche dipendente o dirigente), con il conseguente moltiplicarsi sia di procedure di licenziamento collettivo sia di problemi di risoluzione di rapporti individuali di lavoro (problemi che un buon gestore del personale dovrebbe, di regola, definire mediante accordi di risoluzione consensuale incentivata, piuttosto che farli sfociare in contenzioso su licenziamenti, sempre “pericoloso” ed imprevedibile); la sperimentazione sul campo del nuovo sistema di contrattazione introdotto dall’Accordo Quadro del 22 gennaio 2009 e dall’Accordo Interconfederale del 15 aprile 2009, con particolare riguardo al ruolo della contrattazione aziendale; l’importanza centrale degli strumenti di formazione e di riqualificazione professionale.

Dato il perdurare della crisi, la variabile di scenario più significativa rimane la minor disponibilità di risorse per finanziare gli investimenti nello sviluppo delle risorse umane, con una conseguente concentrazione sulle politiche ritenute più urgenti e un temporaneo accantonamento di quelle di più lungo periodo. D’altro canto, è probabile che ci troveremo di fronte a una centralità delle risorse umane meno dichiarata e più praticata, nell'ambito di un rinnovato ruolo dell'azienda quale fattore di coesione sociale. È però ragionevole ritenere che, nel primo semestre 2010, molte imprese medio-piccole non riusciranno più a resistere, anche per l’effetto domino causato dal fenomeno dei ritardi di pagamento, con un conseguente aumento significativo della disoccupazione. Un’incognita preoccupante è data dalla turbolenza che investe la compagine governativa nel momento in cui si rende particolarmente necessario che il Governo investa tutte le sue energie nella ripresa del Paese.

Variazioni non significative rispetto allo Scenario precedente.

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Limitate variazioni rispetto allo scenario 2009; ipotesi/speranze di ripresa a fine 2010, da confermare in corso d’anno. Non ancora sufficienti a cambiare il trend.

Le valutazioni svolte lo scorso anno circa la difficoltà del contesto internazionale e sulla debolezza del sistema Italia mantengono la loro validità. Con l’aggravante che diciotto mesi di crisi economica hanno reso ulteriormente difficile la situazione per gli aspetti sia economici sia sociali. Gli elementi critici dell’Italia sono maggiori che in altri paesi, contrariamente a quanto si vuol far credere, sia per le debolezze strutturali del nostro paese, da tempo manifeste, sia per la mancanza di politiche di contrasto alla crisi, sul versante della domanda e dell’offerta. Alcuni settori della nostra economia stanno reagendo; ma tale capacità reattiva non è generalizzata, cosicché si stanno acuendo i dualismi e le diseguaglianze sociali ed economiche nel paese. Le criticità del quadro non sono corrette dalle politiche pubbliche, ove prevalgono tuttora atteggiamenti attendistici.

Proseguono le derive di trend avviate nell'anno precedente.

La complessa situazione del settore non ha fatto dunque venir meno le necessità già presenti nel sistema da oltre un decennio, ma semmai le ha enfatizzate procrastinando nel tempo ogni possibilità di allentamento della tensione. La capacità di tutti gli attori di adottare misure adeguate e tempestive non potrà che favorire la ripresa.

Non ci saranno particolari cambiamenti rispetto allo scenario precedente, salvo la difficoltà di trasformazione di una funzione storicamente e intimamente “umana” in una orientata alle procedure e ai servizi, prescindendo dalla variabilità e mutabilità dei soggetti.

Nessuna variazione significativa.

L’anno scorso si parlava tanto di riforma del sistema contrattuale. Ora che un accordo è stato bene o male raggiunto che si farà? Con l’occasione non sarebbe male chiedersi se i livelli salariali, in assoluto, e i differenziali retributivi tra territori, settori, impieghi siano in grado di assicurare un’allocazione delle risorse lavorative e imprenditoriali soddisfacente in termini economici e sociali. Riattivare il ruolo del mercato del lavoro può essere un obiettivo ragionevole da assegnare non tanto a meccanismi regolatori centralizzati o a incentivi fiscali, quanto piuttosto al nuovo assetto della contrattazione collettiva deciso dalle parti sociali con esclusione della Cgil. Come è stato da più parti rilevato, i differenziali territoriali nelle «retribuzioni di fatto» esistono già, a volte coerenti con i diversi livelli del costo della vita locale, altre volte no. Sicuramente non nella pubblica amministrazione. Ma non sta qui il nodo della questione. Sta invece nella capacità dei salari di riflettere le differenze di produttività. Questa è la finalità attribuita alla contrattazione su più livelli come ipotizzato dall’accordo citato. Sulla base dell’esperienza si potrà semmai decidere di accentuare il ruolo del livello territoriale, ribadendo che i livelli devono essere due: nazionale e territoriale o, in alternativa e non in aggiunta, aziendale.

Quanto riportato nei precedenti paragrafi si inserisce in una linea di sostanziale continuità rispetto al 2009.

Nel quadro di un mercato sempre più concorrenziale, si riscontra una rilevante crescita della domanda di qualità dei servizi offerti cui occorrerà rispondere attraverso adeguati investimenti, proseguendo, peraltro, un percorso già intrapreso.

Nessuna variazione significativa; non salti di qualità; stagnazione progettuale e attesa che "qualcosa succeda"…

Gli impatti derivanti dalla crisi economico-finanziaria non si limiteranno solo all’anno 2009 ma verosimilmente produrranno i loro effetti anche sul 2010 e sugli anni a venire. L’azienda ha però dimostrato, in quest’occasione, di saper far fronte a problemi imprevisti e difficilmente prevedibili. Agire in maniera tempestiva, continuare negli investimenti, incentivare le risorse a proporre idee sembrano strumenti vincenti per stoppare la crisi.

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Non sono riscontrabili variazioni importanti rispetto al precedente scenario tranne l’impegno di immaginare e pianificare sin da subito l’imminente futuro aziendale.

Attenzione sulle risorse umane, o per arginare la conflittualità o per convinzione circa la necessità di formare e di trasmettere valori.

Detto che qualche variazione ci sarà sicuramente non saprei cosa aggiungere a quanto sottolineato nei precedenti punti.

Il contesto economico, così come le sfide che le aziende sono chiamate ad affrontare nelle rispettive arene competitive, sono mutate poco rispetto all’anno precedente. Sicuramente, dopo un periodo di analisi e di attesa, saremo di fronte alla necessità di una reazione da parte delle imprese che vogliono rimanere sul mercato nel lungo termine. Siamo arrivati cioè alla fase operativa del cambiamento progettato negli anni precedenti. Azionisti, imprenditori, lavoratori ma anche consumatori e clienti si aspettano ora di vedere il cambiamento agito e non solo prospettato. La fiducia andrà a quelle aziende che dimostrano la capacità di adattarsi senza perdere identità né attenzione ai principali stakeholders sia interni che esterni.

Rispetto allo Scenario precedente, ci troviamo di fronte ad una prosecuzione delle dinamiche iniziate l’anno prima e quindi ad un sostanziale rafforzamento delle azioni di gestione delle risorse umane già avviate.

… o opportunità… Il rinnovo degli assetti contrattuali esplicherà i suoi effetti alla prossima tornata di contrattazione; a ciò si deve aggiungere l’accordo sull’Apprendistato professionalizzante.

La crisi in atto determinerà profondi e duraturi cambiamenti dell'attuale struttura produttiva e imprenditoriale. Aumenterà la propensione a consumi di tipo immateriale a scapito delle tradizionali produzioni di beni materiali. Ciò determinerà una significativa ristrutturazione dei settori manifatturieri e l'ulteriore sviluppo delle attività di servizi. Scienza e biologia contamineranno positivamente settori maturi.

Il 2010, secondo molti esperti, sarà l'anno di uscita dalla crisi. Rispetto al 2009, in cui il principale obiettivo era "reggere il colpo", il 2010 richiederà alle aziende di "rialzare la testa" per poter tornare a competere: questo richiederà un equilibrato mix fra controllo costi, visione strategica, oculata gestione delle risorse disponibili.

Ultimamente stanno crescendo gli investimenti in ricerca e formazione. La ricerca e la formazione costituiscono, infatti, le basi per un progresso e un miglioramento nella direzione della migliore gestione possibile delle risorse e nella prospettiva di aumentare la competitività delle aziende e delle associazioni che le rappresentano. I lavoratori dovranno aggiornarsi in continuazione, superando gli schemi di lavoro preesistenti e apportando un valore aggiunto derivante dall’alta specializzazione, nella creatività e nell’innovazione. In questa prospettiva si sono avviati gli accordi necessari per dar vita a forme di apprendistato specializzante che sicuramente daranno delle risposte concrete nella direzione dell’innovazione e della ricerca.

Il vero path breaking innovation è strutturato sulle logiche di empowerment dei dipendenti con a supporto un sistema di education continuo sia interno che esterno all’impresa. L’obiettivo è modernizzare le competenze e innovare le professionalità secondo le nuove peculiarità del mercato esterno all’impresa e in linea con le caratteristiche interne al tessuto organizzativo dell’Azienda. Rispondere, quindi, alle necessità della competitività globale.

Probabilmente la crisi occupazionale si rivelerà un po’ meno drammatica del previsto.

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Lo scenario precedente era contrassegnato da una crisi di cui non si vedeva il fondo. Quello attuale è contrassegnato da sintomi di ripresa. Sulla cui entità, direzione e durata non c’è ovviamente alcuna certezza, salvo che la ripresa non potrà non portare in primo piano questioni ineludibili, sulle quali si canalizzeranno gli interessi di quanti si occupano di imprese e mondo del lavoro (es. occupazione giovanile e femminile). Gli individui possono "reagire" alle sfide della crisi con diversi tipi di riflessività. Un primo tipo riguarda chi fa ricorso alle proprie doti di “autonomia”; in questo caso la ricerca di possibili soluzioni è basata su proprie risorse di costruzione identitaria e su sforzi di ristrutturazione e riqualificazione comunque imperniati sull’individualità. Un secondo comprende invece i casi - molto diffusi - in cui le scelte individuali sono legate a momenti “comunicativi” rispetto ai contesti di appartenenza (la famiglia, le cerchie amicali, le colleganze, etc..). Una terza tipologia è la “meta-riflessiva” - più rara -di soggetti che tendono a revisioni anche profonde dei fini implicati dalle sfide e non solo dei mezzi necessari per superarle. Una quarta, infine, copre le situazioni individuali “fratturate” - purtroppo frequenti - in cui la riflessione non porta a risultati coerenti e si avvolge sulle proprie contraddizioni e quindi vieppiù pericolosa quando sono in atto rischi di implosione delle risorse e del senso dell’azione sociale.

Le tendenze presenti stanno enfatizzandosi; tuttavia tutti si sono resi conto che il mondo del lavoro cambia radicalmente; occorre velocizzare le competenze e sarebbe necessario un supporto normativo e amministrativo.

Nei nuovi contesti le persone ed i loro valorizzatori - soprattutto la Direzione del Personale - avranno una chance in più.

Rispetto allo scenario precedente, ancorché non vi siano concreti segnali di ripresa, si percepisce un lieve aumento di fiducia nel futuro e nelle azioni poste in essere per fronteggiare la crisi. É inoltre aumentata la consapevolezza che il superamento della crisi non consisterà comunque in un ritorno alle condizioni "ex ante", laddove invece si dovranno trovare nuovi equilibri e nuovi assetti industriali, che costituiranno un'opportunità per le aziende che hanno saputo evolvere rapidamente.

Tre esigenze - un deciso incremento degli standard aziendali di sicurezza; - una altrettanto vigorosa implementazione della qualità dei servizi offerti; - un sempre maggiore efficientamento dei processi, con riduzione dei costi di esercizio e di struttura. La prima troverà presumibilmente un'accettabile copertura attraverso l'introduzione ed il potenziamento dei presidi prescritti dal nuovo TU n. 81/2008, nonché attraverso il costante aggiornamento normativo in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro in generale e sui cantieri in particolare, con un altrettanto costante impegno della Società nella formazione teorica e pratica del personale. La seconda e la terza potranno risultare sufficientemente soddisfatte introducendo una cultura della qualità volta a permeare tutte le attività aziendali, il che potrà essere conseguito non solo con il completamento del progetto Qualità, ma anche con il costante monitoraggio dell'efficienza.

Ovviamente, la crisi finanziaria ci spinge verso un profondo ripensamento del ruolo delle risorse umane. Mai come oggi assumono importanza concetti come "gestione" e "risorse" e si consolida il ruolo centrale che la Direzione del personale è chiamata a svolgere, facendo prova di creatività e concretezza al contempo.

Il 2010 sarà un anno importantissimo per il Gruppo, denso di cambiamenti, particolarmente in termini culturali. La mission è diventare un azienda con la quale è facile "interagire", incentrata sul cliente. Il nuovo cammino, come risposta alla crisi che ha investito tutti i mercati, si basa su un aumento dell'attenzione verso famiglie, piccole e medie imprese, e territorio.

In un contesto di ripresa generalizzata ma lentissima, gli elementi di variazione significativi riguardano lo spostamento del “focus” delle Direzioni del Personale sempre più realmente coinvolte e

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“responsabili” dei processi di gestione aziendali con un’attenzione decisamente proiettata dagli aspetti quantitativi (budget, costi, ecc.) a quelli qualitativi.

Essere leader in un’azienda oggi richiede un uso sapiente della propria leadership personale, capace di infrangere anche le regole aziendali pur di ridurre le burocrazie interne per raggiungere i risultati di business desiderati nel più breve tempo possibile. I manager devono saper mettersi in gioco – ahimè senza grandi leve – per poter guidare i loro team nella direzione desiderata dall’azienda rispondendo velocemente a quelle che sono le pressioni del mondo esterno e alle sollecitazioni del mercato.

1 - Enfasi alla valorizzazione delle diversità. 2 - CSR.

… o criticità Le criticità già evidenziate nel precedente scenario saranno acutizzate dal protrarsi della crisi.

Se non cresce la partecipazione la conflittualità sarà pesante.

Prima di elementi quali la carriera, il prestigio e lo stipendio, emergono i fattori prevalentemente di contesto che forniscono l’identità alla persona: il riconoscimento del contributo ai risultati e del valore della professionalità, la costruzione di un buon ambiente relazionale interno, la possibilità di impostare rapporti costruttivi e gratificanti con il cliente esterno. Ne scaturisce un quadro motivazionale di rottura rispetto al passato e rispetto ai valori tipici del vecchio modo di intendere il lavoro.

Il 2010 sarà peggiore del 2009.

La modalità scelta per affrontare la crisi porterà ad un peggioramento delle relazioni sociali, né si intravede alcun segno di ripensamento rispetto alla necessità di introdurre elementi positivi di politica pubblica in favore della innovazione industriale e settoriale. Il rischio di un peggioramento complessivo dello stato del nostro apparato produttivo è quindi molto forte.

Aumento rilevante della discontinuità. La complessità sarà meno lineare.

La crisi verrà gradualmente assorbita, ma ad un livello più basso di assorbimento della forza lavoro disponibile.

La crisi economica globale ha devastato gli assetti aziendali, le motivazioni imprenditoriali e la propensione allo sviluppo. Le conseguenze sanno l’uscita dal mercato della aziende con cultura o produzione non innovativa a velocità maggiore rispetto gli anni scorsi.

Rispetto ai possibili scenari descritti un anno fa, che descrivevano il ruolo della Direzione del Personale come protagonista sempre più attivo nella promozione di cultura e integrazione è ipotizzabile ora - e per i prossimi mesi - una maggior concentrazione verso tematiche più “hard”: ottimizzazione delle risorse, gestione degli esuberi, relazioni industriali. Insomma, più gestione e meno sviluppo.

No, ancora uno scenario che lascia poco spazio all'ottimismo ma che preoccupa soprattutto per i problemi ormai "storici" del sistema Italia (soprattutto da un punto di vista strutturale e infrastrutturale e, più in generale, politico-economico) e per l'inadeguatezza quali-quantitativa di tante aziende ivi operanti.

Rispetto allo Scenario dell’anno scorso, quando la crisi si era appena affacciata e aveva già fatto sentire i suoi effetti negativi sul fronte dei consumi delle famiglie e sugli investimenti, la situazione non è migliorata, anzi. Inoltre, elemento negativo che si aggiunge rispetto al precedente Scenario, è l’inversione di tendenza che ha caratterizzato il 2009 rispetto al periodo 1997-2008 sul fronte occupazionale. Infatti, se nel decennio passato vi era stata una costante crescita del tasso di occupazione e una costante diminuzione del tasso di disoccupazione, nel 2009, ed i dati riportati nel

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punto 2) lo dimostrano, la crisi ha prodotto, solo in Italia, una perdita di 284 mila posti di lavoro ed un aumento del tasso di disoccupazione a cui va aggiunta la media di quasi 1 lavoratore su 5 in cassa integrazione ed una platea sempre più consistente di persone in cerca di lavoro.

Per le prospettive economiche e produttive, lo scenario non è più di recessione ma di progressiva, lenta ripresa, accompagnata da un grave protrarsi della crisi occupazionale e dalle incertezze sulle prospettive di ripresa del commercio internazionale (leggi esportazioni), sulla stabilità finanziaria globale e dei mercati valutari, delle possibili tensioni sui prezzi delle materie prime. Per la Pubblica Amministrazione ed il mio Ente in particolare, si allunga l’ombra delle restrizioni sul reclutamento di nuovo personale, con una sostanziale conferma del trend già registrato e previsto di una contrazione delle risorse umane disponibili di almeno il 3% su base annua, mentre incombe sempre più prossima la sfida lanciata dal Decreto legislativo “Brunetta” per l’introduzione di nuovi sistemi di valutazione delle performances e gestione della premialità secondo criteri innovativi ed estremamente selettivi. Ciò rende indispensabile una trasformazione profonda della cultura, dell’organizzazione e dei processi aziendali, in un contesto assai dinamico ma reso fragile dalla eccessiva riduzione delle risorse umane, ormai prossime al limite della insostenibilità.

Le principali variazioni che lo scenario attuale presenta rispetto al precedente sono fondamentalmente riconducibili alla crisi globale del 2008-2009, la quale ha determinato in tutte le economie di tipo occidentale flessioni spesso gravi dei mercati economici e finanziari nazionali e internazionali. Lo scenario precedente era infatti caratterizzato da mercati attivi che in molti paesi del secondo mondo stavano consolidando la propria espansione/strutturazione.

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7 - Dicono Può aggiungere un commento, una frase, uno slogan di poche righe che sintetizzi il Suo pensiero sullo Scenario 2009 da poter inserire integralmente nel documento finale riportando la fonte?

"Tocca all'economia reale, al prosaico settore manifatturiero, riparare e ripagare i danni dei castelli in aria inventati per fare soldi con i soldi degli altri". Aris Accornero

"La partecipazione dei lavoratori agli utili d'impresa è la vera sfida che il mondo del lavoro ha davanti. Spiace che il Parlamento abbia fermato l'iter legislativo a fronte dell'Avviso Comune sottoscritto dalle parti sociali, che sa molto di un rinvio sine die". Giorgio Ambrogioni

"La Pubblica Amministrazione e chi vi opera è chiamata ad un’assunzione di responsabilità determinante per ridare slancio alle ambizioni di sviluppo del nostro Paese. Per questo è giusto pretendere dai lavoratori pubblici che escano dal limbo delle garanzie a prescindere: dalla qualità delle prestazioni, dal livello dell’impegno, dai risultati conseguiti. Bisogna anche evitare, però, di imporre terapie insostenibili, criteri gestionali incoerenti con le logiche di una sana amministrazione, tagli indiscriminati basati sulla sola presunzione che ovunque ci siano sprechi e non serva quindi alcuna selettività". Giuseppe Antola

"Le strutture HR saranno chiamate a chiarire il proprio contributo alla P&L aziendale: questo rappresenta un grosso rischio di estinzione, ma anche una grossa opportunità di reinserimento nelle dinamiche di business e di rafforzamento della funzione stessa in qualità di partner sostanziale". Barilla.

"La crisi si supera affrontando, con la necessaria coesione sociale, i problemi strutturali del Paese (scarsa innovazione, infrastrutture non adeguate, eccesso normativo, burocrazia inefficiente) che incidono pesantemente sulla competitività delle imprese e, conseguentemente, sull’occupazione". Claudio Benedetti

"'Accendiamo il futuro e rendiamolo più luminoso'. Da un lato sostenendo i giovani, aiutandoli a recuperare senso etico e valori, in un momento dove la società sembra essere in difficoltà a svolgere questo compito. L’azienda può quindi supportare tale processo, provvedendo ad offrire occasioni formative e di crescita, cosicché l’individuo possa crescere in motivazione e capacità di esercitare scelte nel mondo del lavoro, qualunque esso sia. Dall’altro proponendo un’azienda sostenibile, che aiuta la salvaguardia dell’ambiente, mettendo in campo iniziative concrete come la riduzione del consumo di carta, compensando la produzione di CO2, producendo energia “pulita”. 'Dalla creazione alla costruzione di valore', lavorando sulla consapevolezza e sulla responsabilità delle risorse umane, stimolando la messa in campo da parte del personale di energie quali coraggio, passione e sfida. 'Valore alle diversità' sempre in un’ottica di Responsabilità Sociale d’Impresa, portando attenzione alla gestione delle diversità e al benessere organizzativo diffondendo la consapevolezza che la diversità è un valore e come tale debba essere tutelata affinché possa produrre benefici tangibili sia alle persone che all’azienda. Sostenendo quindi una cultura aziendale e di politiche delle risorse umane inclusive, libere da discriminazioni e pregiudizi, capaci di valorizzare i talenti". Maurizio Bertolotti

"Un atteggiamento diffuso che è necessario superare in Italia è quello di considerare le regole come se fossero un limite arbitrario alla nostra libertà individuale, senza rendersi conto che il loro rispetto generalizzato costituisce il modo per assicurare il massimo beneficio collettivo, anche attraverso la creazione di un contesto favorevole allo sviluppo di nuove iniziative imprenditoriali di origine nazionale o estera". Giorgio Bettoschi

"Tutti insieme appassionatamente per un migliore clima aziendale e una maggiore soddisfazione del cliente". Giancarlo Bianchi

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“Mai prima abbiamo avuto così poco tempo per fare così tanto - Franklin Delano Roosevelt". Domenico Braccialarghe

"Snellire ancor più i processi, creare maggiore valore per il cliente, rompere i paradigmi e aprirsi alle contaminazioni". Giuseppe Caldiera

"Nonostante sia uno slogan abusato, il concetto di approfittare della crisi per uscirne più forti può essere ancora una bella idea per il Paese, ma per renderlo credibile occorre fare scelte importanti e concrete di valorizzazione dei meriti". Carlo Fabio Canapa

"Riprendo uno slogan da una recente ricerca fatta dal Cranet sull’HR in Italia, in cui la sfida è quella di agire da “ambidestri”; sempre di più le esigenze saranno quelle di rispondere alle richieste di efficienza da parte dell’organizzazione, e nello stesso tempo ragionare in una chiave di sviluppo e di agente del cambiamento. Governare la tensione sarà la chiave di volta per una efficace performance". Marella Caramazza

"L’anno 2010 sarà l’anno della ripresa economica tanto attesa, ripresa che sarà molto lenta e che richiederà attenzione e capacità elevate da parte delle varie funzioni d’impresa, ed in particolare quella delle Risorse Umane, nelle gestione di processi aziendali proprio per non compromettere la debole deriva di ripresa. Si ricercheranno in numero contenuto ed in modo mirato risorse nuove, altamente scolarizzate per favorire gli indispensabili processi d’innovazione a supporto della ripresa”. Giampaolo Centrone

"Una frase di Seneca mi sembra particolarmente calzante con l'attuale contesto: 'Non esiste vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare". Marco Coccagna

"Management dell’incertezza". Antonio Colombo

"Avere coraggio e saper osare diventerà indispensabile per le Direzioni del Personale che vorranno avere un ruolo da protagonista nella ripresa post-crisi; il nuovo Direttore del Personale dovrà sempre di più essere un professionista di alto livello, capace di esprimere le proprie competenze in diverse situazioni e contesti, di usare tutti gli strumenti innovativi che le nuove soluzioni organizzative e tecnologiche mettono a sua disposizione e di confrontarsi con scenari e colleghi internazionali". Mario D'Ambrosio

"La priorità è non restringere ulteriormente la base produttiva del paese e non perdere ulteriore occupazione. Lo slogan per il 2010 è dunque 'per un vero sviluppo la necessità è non chiudere imprese e non perdere lavoro'". Fulvio Fammoni

"In troppi hanno creduto che il lavoro si potesse trattare come una merce ed ora ne paghiamo le conseguenze". Luciano Gallino

"Essere leader oggi, vuol dire giocare un ruolo importante in mondo sempre più complesso, dove l’alta selezione porta inevitabilmente ad una forte ridiscussione dei valori e delle strategie aziendali, e di quanto fatto in passato. I manager italiani hanno però dalla loro parte una caratteristica distintiva che li ha guidati negli anni e gli ha consentito di essere all’altezza della situazione: la flessibilità. Una ulteriore selettività degli interventi di sviluppo e compensi per le risorse chiave, concentrandosi su alto management e key people in genere, porterà le aziende a migliorare le loro performance, essendo in condizioni di esprimere un controllo importante del mercato domestico e godendo di una domanda elastica dei loro servizi. L’oggettiva perdita del potere d’acquisto di larghe masse del lavoro dipendente ha - tuttavia - generato una strisciante crisi di domanda dei beni di consumo. Questo settore verrà investito dalla crisi del credito e dovrà ricorrere a riduzioni della forza lavoro. Ognuno dovrà cercare le soluzioni più coerenti con il proprio posizionamento economico-strategico, lanciando programmi ed azioni di segno profondamente diverso a seconda dell’area geografica e del settore di appartenenza". Francesco Lamanda

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"Orientarsi alla innovazione. Cambiare con la formazione (investimenti di qualità a tutti i livelli)". Michele La Rosa

"Oltre la crisi, una 'via alta' alle ristrutturazioni, basata su innovazione, conoscenza, equità e dialogo sociale". Salvo Leonardi

“In un periodo di crisi occupazionale, il gestore delle risorse umane ha l’arduo compito di affrontare i problemi di eccedenze in una prospettiva non meramente riduttiva, ma costruttiva per il rilancio della produttività”. Sergio Magrini

"Mantenere le efficienze raggiunte, motivare le persone, pianificare lo sviluppo". Vito Mangano

"Ripresa economica, con poca innovazione e senza il recupero dell’occupazione persa". Gilberto Marchi

"La vera modernizzazione del diritto del lavoro passa attraverso la semplificazione dell'apparato normativo per rendere effettivamente utilizzabili le norme a disposizione, limitando le incertezze applicative ed i costi per le aziende". Arturo Maresca

"La crisi va sfruttata come opportunità per investire in nuovi prodotti, in nuove tecnologie e in nuovi posti di lavoro". Antonio Marzano

"Il 2010 sarà la parte finale del tunnel, ma anche la più complessa da gestire". Domenico Massaro

"C'è l'esigenza per le aziende di creare valore aggiunto, valorizzando la diversità delle persone in un clima di accettazione e rispetto dell'altro, attraverso l'etica della responsabilità e la testimonianza trasparente e autentica della classe dirigente, al di là del business". Franco Porrari

"La ripresa e il prossimo ciclo economico saranno sempre più basati su competenze complesse, proprio in vista di una maggiore integrazione fra i diversi contesti regionali a livello mondiale. Non è un caso che chi in Italia risulta già presente nella competizione internazionale abbia trovato il modo per riconquistare posizioni perse a causa della caduta della domanda e di intercettare nuovi bisogni e nuovi spazi di mercato che ogni crisi inevitabilmente tende a creare". Giuseppe Roma

"Sicurezza sul lavoro: 'dall’obbligo alla consapevolezza'”. Carlo Rondine

"A fronte di una riduzione dei ricavi, nel 2009 il costo del lavoro ha portato molte aziende nella polvere. Nel 2010 sarà invece proprio l'impiego ottimale delle risorse umane che determinerà la ripresa. 'Investire nelle risorse umane prima di ogni altra cosa'". Renato Rosso

"Semplificazione degli istituti contrattuali, effettivo funzionamento dei centri per l'impiego, pianificazione strategica delle competenze, continua ricerca di efficienza ed efficacia, empowerment e motivazione, sono gli obiettivi da perseguire con forza all'interno ed all'esterno delle organizzazioni private e pubbliche di ogni dimensione". Roberto Savini Zangrandi

"Superare la crisi per uscirne rafforzati". Sandro Scarrone

"Rivalutare e concentrarsi sugli aspetti industriali dell’impresa: prodotti, processi, mercati, clienti. In sintesi: più creatività industriale e meno finanza creativa". Enrico Serafini

"Dopo le 'bolle' è auspicabile un ritorno al buon senso e soprattutto alle cose reali". Roberto Spingardi

"In un quadro socioeconomico così complesso e difficile, la Funzione Risorse Umane dovrà costruire e spiegare il senso del sacrificio". Guido Stratta

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"Per uscire positivamente dalla crisi e per riagganciare la ripresa mondiale servono non mere tecniche di galleggiamento, ma strategie innovative delle imprese nella gestione delle risorse umane e negli orientamenti produttivi, accompagnate da politiche pubbliche di sostegno alla domanda, al welfare e all’innovazione economica". Tiziano Treu

"La crisi 2008 – 2009 ha riportato in auge la precarietà del lavoro anche per i lavoratori dipendenti con contratto non determinato togliendo certezze e rassicurazioni anche nell’ambito dei lavoratori statali. Forse è bene continuare a ricordarlo nel 2010 e oltre. Il futuro del lavoro non è più tempo di certezze per nessuno". Riccardo Varvelli

"Per fiducia. Sicuramente è questo lo slogan che sintetizza i pensieri sugli scenari futuri. L’iniziativa voluta e finanziata da Intesa Sanpaolo lo scorso anno, si ripropone con tre nuovi cortometraggi per raccontare la solidarietà, il senso del dovere, la fiducia e la forza del lavoro. Grazie allo strumento cinematografico Intesa Sanpaolo ci ricorda quelle dinamiche positive e vitali su cui è necessario investire per il futuro". Marco Vernieri

"Credo che per tutti il tema sarà ancora: 'Resistere... Resistere... Resistere'." Giuliano Viani

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IL QUADRO

Previsioni (e altro) sostanzialmente concordi sulla crisi e variamente discordi (ma non troppo) sul resto.

Ancora crisi

- Di varia estensione (comunque globale) durata (comunque oltre il 2010-2011) distribuzione ed intensità; Pil previsto a +2,2% in Usa, +1% in Europa, +0,5% in Italia;

- con vari effetti generali: reindustrializzazione (o terziarizzazione); nuovi mercati (ad Est); nuove regole (non in Italia, gravata dai soliti pesi strutturali; debito pubblico, ecc. );

- e su aziende e risorse umane: rischi (caduta della domanda elettrica); delocalizzazioni, ristrutturazioni, contenimento dei costi e degli organici.

Forza lavoro in difficoltà

- Più disoccupazione (per posizioni basse/alte) contenuta finora dagli ammortizzatori;

- più qualificazione (non troppa, dato il Sistema d'Istruzione) però spesso sottoutilizzata; più requisiti richiesti (non solo in specializzazione, ma anche in trasversalità, comportamenti, attitudini) però non sempre disponibili; guerra dei talenti (concorrenza anche dei paesi emergenti); fuga (o ritorno) dei cervelli;

- motivazioni a largo spettro (tutta la scala di Maslow) però anche sfiducia, estraneità, ritorno ai bisogni primari;

- costo contenuto; cresce la retribuzione variabile (o forse no).

Gestione bifronte e gestori incerti

- Cornice normativa fondamentalmente stabile; nessuna delle riforme auspicate (né ammortizzatori sociali, né riduzione della pletora di ccnl, né promozione della flessibilità "interna"); tendenzialmente meno tutele; crescita degli atipici: "la produttività degli atipici è del 40% più elevata" (?);

- relazioni sindacali più complicate; poco diffusa la contrattazione di 2° livello (troppe aziende piccole); negoziazioni di basso profilo, ripartitive; perdita di ruolo e frammentazione del sindacato;

- nelle aziende ritorno (forse) alla gerarchia; ruolo controverso della Funzione Personale (più strategico o più operativo);

- politiche gestionali che tentano di conciliare l'ineludibile "meno costi" con l'auspicata "più valorizzazione"; attuate sui temi soliti (diversità, flessibilità ("agilità"?) reattività…) ma con maggiore innovatività (forse).

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Il tutto in presenza di

una congiuntura non rassicurante:

- difficoltà estese al medio termine, viste le crisi precedenti, dalle quali questa si discosta solo per durezza; "In futuro le crisi saranno più frequenti seppur non feroci come questa" (?);

- ricerca di soluzioni normative ed organizzative più difensive che attive: più contenimento e meno sviluppo;

- atteggiamenti di vertice complessivamente attendisti;

qualche curiosità numerica non promettente:

- la dimensione media delle aziende è in progressivo calo: "negli ultimi 15 anni il personale delle aziende grandi (con più di 500 dipendenti) che rappresentava il 48% degli occupati è sceso al 29%";

- i dati occupazionali sono di più incerta determinazione: quanta è la disoccupazione "da scoraggiamento" (oltre quella sommersa)? Degli 8 milioni di partite Iva quante sono "fisiologiche" e quante "costrette"?

ed alcune ipotesi strutturali non tranquillizzanti:

- più qualificazione e meno occupazione significano un surplus di sottoutilizzo che può convertirsi in demotivazione e depauperamento (recuperabile?) di una forza lavoro già non particolarmente competitiva;

- aziende più piccole sono meno attrezzate per l'innovazione in tutte le sue componenti: ricerca, tecnologia, prodotti, mercati, strutture, politiche gestionali e del personale.

Neppure il senso generale delle dichiarazioni finali sembra troppo incoraggiante: ripagare i danni; problemi strutturali; incertezza; aver coraggio; valorizzare le regole; un nuovo direttore del personale; ritorno al buon senso; sacrificio; non perdere lavoro; nessuna certezza; resistere resistere…

Dunque, quale Scenario?

Estremizzando (ma non troppo):

una forza lavoro più povera e flessibile/precaria; più attenta ai bisogni primari; gestita con prevalente attenzione ai costi, in aziende prevalentemente non grandi, forse più gerarchiche; con controparti sindacali in crisi di ruolo e specialisti di funzione quanto meno incerti.

Il Centro Studi Confindustria segnala che l'Italia è come tornata indietro di 4 anni quanto al Pil e di 8 quanto alla produzione.

E quanto alle Risorse Umane?

Questo Scenario sembrerebbe quasi riportarle agli anni sessanta (cinquanta?). Con meno speranze e più dubbiosa consapevolezza…