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Scanno nel Settecento: la ricchezza della transumanza Luigi Piccioni

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Scanno nel Settecento:la ricchezza della transumanza

Luigi Piccioni

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Scanno nel Settecento: la ricchezza della transumanza

Presentazione

In Europa, e più ancora in Italia, il patrimonio di un parco nazionale non è più considerato da tempo solo l’insieme della sua fauna, della sua flora e dei suoi paesaggi. Ciò che rende degli straordinari beni collettivi parchi istituiti su ter-ritori abitati da secoli è l’insieme della sua natura, dei suoi centri abitati, delle sue pratiche economiche tradizionali, della sua stessa memoria storica.Il Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise non fa naturalmente eccezione a questa regola.Al contrario, se possibile, esso la esalta sia perché è uno dei più antichi parchi nazionali d’Europa e del mondo - del quale quest’anno si celebra appunto il novantesimo anniversario - sia perché il suo territorio è straordinariamente ricco di retaggi culturali, sociali ed economici che ne fanno un luogo del tutto peculiare.Come dimostra Luigi Piccioni in questo studio, Scanno è all’interno del Parco una comunità a sua volta speciale, che esalta al massimo grado questa fusione di retaggio ambientale, culturale e sociale a causa di una una storia che per molti secoli è stata marcata a fondo dalla civiltà della transumanza. Qui l’eco-nomia pastorale è stata a lungo il motore di una vita urbana ricca e colta ma è stata anche, ipotizza Piccioni, il fondamento di una vitalità imprenditoriale che ha saputo resistere ai colpi della modernità e alla stessa scomparsa della transumanza.Io ritengo che tra i molti delicati compiti di un Ente Parco ci sia anche quello di preservare ed esaltare anche quello speciale patrimonio immateriale che è costituito dalla memoria storica dei luoghi, che è - e deve essere sempre consi-derato - come una cosa sola con gli ambienti naturali, con il patrimonio stori-co-artistico e con le attività economiche.Aver promosso la ripubblicazione di questa “radiografia” della Scanno set-tecentesca fa parte a mio avviso di questo compito ed è un contributo che il Parco offre volentieri alla riflessione della comunità scannese - e a quella del Parco in generale - su se stessa.

Giuseppe Rossi

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Scanno nel Settecento:la ricchezza della transumanza1

di Luigi Piccioni

1. Castel del Monte e Scanno, località egemoni della transumanza appenninica meridionale

Il presente saggio parte dalla riconsiderazione di uno studio di fine anni Ottan-ta2 nel quale avevo tentato di ricostruire le dimensioni effettive della grande transumanza appenninica gravitante sulla Dogana delle pecore di Foggia e di tracciare una gerarchia delle località pastorali. La documentazione dalla quale avevo preso le mosse erano i ben noti registri dell’affitto dei pascoli della Dogana di Puglia, i cosiddetti “squarciafogli”, nei quali per oltre tre secoli erano stati annotati - anno dopo anno - tutti i proprie-tari di pecore entrati nel Tavoliere all’inizio della stagione invernale3. Un campionamento di sei annate del periodo compreso dal 1601 al 1782 aveva mostrato come due paesi avessero esercitato un’indiscussa supremazia sulle decine e decine di località presenti nei registri: Scanno e Castel del Monte.Da queste due località della montagna abruzzese era venuto - almeno tra Sei e Settecento - il flusso più ricco ma soprattutto più costante di proprietari di greggi. Solo a notevole distanza seguivano località pur importanti come Luco-li, Roccaraso e Pescasseroli.Conoscendo qualcosa della storia e delle vicende di Scanno e di Castel del Monte, mi aveva incuriosito la possibilità di controllare se le loro notevoli dif-ferenze novecentesche - precoce e florida località turistica la prima, borgo se-miabbandonato il secondo - dipendessero anche da vicende storiche remote e avevo di conseguenza scelto di terminare lo studio con un’analisi comparativa della situazione socio-economica dei due paesi a metà Settecento, analitica-mente descritta da un’altra fonte nota e largamente utilizzata dagli studiosi del Regno di Napoli in età moderna: il catasto onciario.

1 Il presente articolo rappresenta la rielaborazione di un intervento tenuto a Scanno il 20 febbraio 2010, in occasione del convegno “Una montagna ricca. Economia, cultura e istituzioni a Scanno in età moderna e contemporanea”. Si è scelto volontariamente di conservare almeno in parte il tono colloquiale del testo originario.

2 L. Piccioni, Montagne appenniniche e pastorizia transumante nel Regno di Napoli nei secoli XVII e XVIII, «Annali dell’Istituto italiano per gli Studi storici», XI, 1989-1990, pp. 147-234.

3 Su questa straordinaria - e regolarmente sottoutilizzata - documentazione si veda P. Di Cicco, Fonti per la storia della Dogana delle pecore nell’Archivio di stato di Foggia, in «Mélanges de l’École Française de Rome (Moyen Age - Temps Modernes)», n. 2, 1988, pp. 937-946.

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Tale catasto, ordinato nel 1741 per stabilire il carico fiscale da attribuire a cia-scuna “università” - ossia a ogni comune - del Regno4, conteneva infatti una scheda per ogni nucleo fiscale riportante l’elenco dettagliato di tutti i beni mobili e immobili posseduti e, nel caso di nuclei familiari, anche i nominativi, le età e le eventuali qualifiche professionali di tutti i membri. Ciascun catasto, insomma, fatte salve le eventuali frodi e inesattezze e il livello di accuratezza differente da luogo a luogo, costituiva una sorta di istantanea estre-mamente minuziosa di tutte le università del Regno, analitico come nessun altro documento dell’epoca.La redazione dei circa 1800 catasti del Regno si prolungò per circa un quindi-cennio, ma quelli di Castel del Monte e Scanno furono realizzati relativamente presto, rispettivamente nel 1743 e nel 17455.

2. Scanno in età moderna: una demografia anomala

nel contesto montano abruzzese

Prima ancora degli “squarciafogli” e dei catasti, un’altra fonte - pure molto nota - aveva permesso di scoprire un dato molto interessante. Si trattava delle cosiddette “numerazioni dei fuochi”, rilevazioni periodiche che erano servite, dal Duecento alla metà del Settecento, per fissare il carico fiscale delle università. L’affidabilità delle numerazioni è infinitamente minore perché si trattava sem-plicemente del numero di nuclei familiari presenti in ciascuna università, nu-mero peraltro sottoposto a successive correzioni concordate tra l’amministra-zione locale e quella centrale. Ciononostante le numerazioni rimasteci, a partire dal 1447, consentono di se-guire in linea di massima il popolamento delle varie province e - sia pure in modo più approssimativo - quello delle singole località. Le “numerazioni dei fuochi”, conservate pur se a intervalli irregolari6 per gran parte delle università del Regno, consentono di seguire grossolanamente l’e-voluzione della popolazione assoluta di una singola località nel contesto del Regno e della propria provincia. I dati di Scanno non mancano di sorprendere.

4 Restano di grande utilità i saggi contenuti in Centro studi “Antonio Genovesi” per la storia economica e sociale, Il Mezzogiorno settecentesco attraverso i catasti onciari, 2 voll., Napoli 1983-1986.

5 Ho visionato il catasto di Castel del Monte nella copia conservata presso l’Archivio di stato dell’Aquila (Catasti onciari, 184) e quello di Scanno nell’originale napoletano (Archivio di stato di Napoli, Catasti onciari, 2721).

6 Si conservano i dati delle numerazioni del 1447, 1561, 1595, 1648, 1669 e 1737, anche se con gradi di affidabilità molto diversi. L’approssimazione della fonte ne ha sconsigliato in genere un uso sistematico, per cui tra i pochissimi saggi di sintesi al riguardo si può segnalare soprattutto il vecchio volume di P. Villani, Numerazioni dei fuochi e problemi demografici del Mezzogiorno nell’eta del Viceregno, Napoli

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In primo luogo, il paese faceva parte di un piccolo gruppo di località abruzzesi (fig. 1) la cui popolazione risulta cresciuta di oltre il 400 per cento tra le nume-razioni del 1447 e quella del 1561, un’esplosione demografica - se i dati sono sia pur in minima misura affidabili - dovuta probabilmente in parte all’asse-stamento del sistema doganale pugliese avvenuto appunto dopo la metà del Quattrocento con l’arrivo degli Aragonesi.

1973. Si vedano tuttavia anche le note in A. Bulgarelli Lukacs, L’imposta diretta nel regno di Napoli in età moderna, Milano 1993, pp. 93-95. Per quanto riguarda i dati, le liste delle numerazioni dei fuochi sono tutte edite, a eccezione di quelle riguardanti le numerazioni del 1532 e del 1545, i cui dati sono ricavabili dai manoscritti di K.J. Beloch conservati nell’Istituto storico italiano per il medioevo di Roma. Per il 1447 si veda F. Cozzetto, Mezzogiorno e demografia, Soveria Mannelli 1986; per il 1561 e il 1595, E. Bacco, Il Regno di Napoli diviso in dodici province, Napoli 1608; per il 1648 e il 1669, O. Beltrano, Descrittione del Regno di Napoli diviso in dodici province, Napoli 1671; per il 1732, M.R. Barbagallo De Divitiis, Una fonte per lo studio della popolazione del Regno di Napoli. La numerazione dei fuochi del 1732, Roma 1977; per il censimento ‒ non più una numerazione, si badi ‒ del 1796, P. Villani, Documenti e orientamenti per la storia demografica del Regno di Napoli nel Settecento, «Annuario dell’Istituto storico italiano per l’età moderna e contemporanea», XV-XVI, 1963-1964, pp. 83-123. Per i dati successivi, dal 1861 in poi, si sono utilizzati i dati dei censimenti dell’Istituto centrale di statistica.

749  

671  

558   554  538   525  

506   500  

453  

0  

100  

200  

300  

400  

500  

600  

700  

800  

San  Val  in  A.C.   Elice   Pietransieri   Scanno   Roccavivi   Ripa@oni   Rivisondoli   Frondarola   Pescasseroli  

fig. 1 - Le località abruzzesi con aumento percentuale di fuochi più alto tra le rilevazioni del 1447 e del 1561

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In secondo luogo, e questa circostanza è ancor più rilevante, esso si piazzava sin dalla fine del Cinquecento al vertice delle località dell’alta montagna abruz-zese in quanto a popolazione assoluta: se si considerano sedici località la cui sede comunale era situata al di sopra dei mille metri7 si può infatti osservare (fig. 2) che dalla metà del Cinquecento alla metà del Seicento Scanno oscilla tra la seconda e la terza posizione, mentre dalla numerazione del 1669 e almeno fino al censimento del 1971 rimane saldamente al comando raggiungendo nel 1921 un massimo di 4.070 abitanti residenti.

fig. 2 - Stima dell’evoluzione demografi ca di sedici paesi dell’alta montagnaabruzzese 1447-1971

Per misurare la vitalità economica di un’area o di una località il numero degli abitanti costituisce un primo fondamentale indicatore e i numeri di Scanno sono numeri senz’altro significativi: è significativa la crescita costante, con la sola eccezione del decremento tra la numerazione del 1669 e quella - soltanto stimata - del 1737; è significativo il fatto che tra queste due rilevazioni il di- stacco tra Scanno e le altre località montane sia molto evidente; è significativo il ritmo del declino demografico novecentesco, più lento e contenuto di quello di

7 Si tratta precisamente di Pescocostanzo, Pescasseroli, Gioia dei Marsi, Castel del Monte, Lecce nei Marsi, Ortona dei Marsi, Calascio, Rivisondoli, Barrea, Roccapia, Roccaraso, Campo di Giove, Ovindoli, Montenerodomo e Opi. Delle altre nove località con sede oltre i mille metri non si hanno le serie complete, ma sono in ogni caso tutte più piccole di Scanno.

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gran parte delle altre località di alta montagna (fig. 3)8.Tali numeri sono resi tra l’altro ancor più significativi dalla posizione geo-grafica del paese, in quanto il centro abitato è situato nella parte più bassa del territorio comunale, le risorse agricole - cruciali per qualsiasi località fino a tempi molto recenti - erano estremamente carenti e il paese non era attraversa-to da alcuna arteria di comunicazione significativa, anzi aveva seri problemi di viabilità in direzione della sottostante e fertile piana peligna.

fig. 3 - Popolazione dei paesi montani dell’Abruzzo 1861-2005 (1861=100)

Una posizione molto disagevole, insomma, che in teoria non avrebbe dovuto favorire l’insediamento di una popolazione abbondante.Al contrario Scanno per secoli fiorisce, diviene un paese di dimensioni del tutto rispettabili - anche rispetto a molti centri di pianura - e fa mostra della sua ric-chezza attraverso un patrimonio urbanistico e artistico che nell’alta montagna abruzzese ha riscontro soltanto in Pescocostanzo e - forse - in quella che era Roccaraso prima dei bombardamenti della seconda guerra mondiale.

8 Le località prese in considerazione per il confronto sono, in questo caso, Lecce nei Marsi, Gioia deiMarsi, Pescasseroli, Roccaraso, Ovindoli, Scanno, Opi, Villavallelonga, Pescocostanzo, Barrea, CivitellaAlfedena, Rivisondoli, Campo di Giove, Ortona dei Marsi, Castel del Monte, Roccapia e Calascio.

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3. Un’ipotesi di lavoro: un’economia montana resa forte

dalla preminenza della pastorizia transumante. Si trattava dunque - un ventennio fa come oggi - di spiegare questa anomalia demografica scannese e la vitalità economica che doveva starne all’origine. Da questo punto di vista sia gli “squarciafogli” dell’archivio della Dogana del-le pecore di Foggia sia il catasto onciario inducevano a concentrare l’attenzio-ne sulla pastorizia transumante, a ipotizzare che essa potesse essere il perno attorno a cui ruotava il dinamismo scannese. Nel saggio del 1989 avevo messo a confronto i dati di Castel del Monte e di Scanno a partire dall’osservazione che negli “squarciafogli” di metà Settecen-to - e in particolare in quelli del 1753 - la prima località appariva molto più compatta, comunitaria, della seconda, mentre la pastorizia scannese, al pari di quella dei comunque più poveri paesi del vicino Alto Sangro, appariva più fram-mentaria e individualista, e quindi forse più dinamica. La centralità di un’attività squisitamente imprenditoriale come la pastorizia transumante e il profilo più individualista degli armentari scannesi mi avevano fatto pensare che qui fosse la radice, da un lato, dell’anomala vivacità economi-co-culturale di Scanno e, da un altro lato, del suo destino storico, così distante da quello di Castel del Monte. Mentre infatti Castel del Monte era rimasto ab-barbicato a questa transumanza apparentemente comunitaria fin dentro al cuore del Novecento, subendo nel contempo un formidabile salasso demografico - dai 3.188 residenti del 1921 ai 507 del 2005 -, Scanno aveva precocemente saputo di-versificare le proprie attività, aveva saputo valorizzare tutto il proprio patrimo-nio, sia quello storico-artistico che quello naturale, divenendo un centro turistico noto e frequentato e riuscendo così a contenere il proprio, per quanto inevitabile, declino demografico.A distanza di vent’anni, dopo aver studiato con maggiore attenzione e, soprat-tutto, dopo aver approfondito l’analisi mi pare che alcune delle conclusioni di allora vadano corrette. Due conclusioni, in particolare.Anzitutto, le differenze tra Scanno e Castel del Monte non mi appaiono mar-cate come mi erano apparse allora: se nello “squarciafoglio” del 1753 il pa-trimonio ovino di Castel del Monte era decisamente meno consistente - ma i numeri delle pecore indicati negli “squarciafogli” sono poco attendibili9 - e più comunitario, il confronto condotto sui catasti onciari mostra un rapporto più equilibrato, in quanto a numero totale di capi e una distribuzione della pro-prietà non del tutto divergente.

9 Sulla questione si veda J.A. Marino, Professazione volontaria e pecore in aerea: ragione economica e meccanismi di mercato nella Dogana di Foggia nel secolo sedicesimo, in «Rivista storica italiana», n.1, 1982, pp. 5-43.

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Le differenze insomma restano, ma appaiono decisamente più sfumate.La seconda conclusione da correggere riguarda il profilo più propriamente socio-economico della Scanno settecentesca, un profilo che all’epoca mi era apparso sicuramente pastorale ma non in modo totalizzante. Se si analizza - come vedremo - in modo accurato il catasto onciario, ci si rende invece conto come la transumanza intesseva in profondità l’economia e la so-cietà scannese e influenzava l’intera vita del paese. Nella pastorizia transumante sta, insomma, l’essenziale di ciò che il paese era all’epoca e probabilmente la radice di ciò che esso è divenuto nel corso dei secoli seguenti.Una ricostruzione complessiva dell’evoluzione socio-economica del paese ne-gli ultimi duecentocinquanta-trecento anni è un compito che va molto al di là degli obiettivi di questa ricognizione ed è ancora tutta da fare.Per quanto mi riguarda vorrei limitarmi a spiegare in che modo la Scanno set-tecentesca fosse un paese eminentemente pastorale, a illustrare cioè un pro-filo socio- economico del paese che almeno fino a buona parte dell’Ottocento si basava essenzialmente sulla pastorizia transumante nel Tavoliere di Puglia.

4 La preminenza in ambito appenninico: i locati

nei sei “squarciafogli” campionatiQuando si parla di un paese dell’alta montagna abruzzese in epoca moderna la preminenza della pastorizia transumante può sembrare scontata, ovvia, ma non è affatto così. Anzi è piuttosto il contrario: la quasi totalità delle località dell’alta montagna abruzzese, comprese quelle notoriamente e intensamente coinvolte nella tran-sumanza nel Tavoliere di Puglia, aveva gran parte della popolazione attiva dedita all’agricoltura e all’artigianato, mentre solo una minoranza - anche se in qualche caso molto consistente - era costituita da proprietari di pecore e da pastori. È certamente vero che la transumanza in Puglia esercitava un’influenza enor-me sui paesi in cui era presente sia dal punto di vista economico che dal punto di vista socio-culturale, in quanto era un’attività mercantile in aree di prevalen-te autoconsumo e in quanto apriva una finestra su aree lontane e molto più vi-vaci, ma ciò non toglie che si trattava quasi ovunque di un’attività che toccava una parte minoritaria della popolazione10. Questa era dunque la norma e solo un piccolo nucleo di paesi faceva eccezio-

10 Ho particolarmente sottolineato questi aspetti in La grande pastorizia transumante abruzzese tra mito e realtà, in «Cheiron», nn. 19-20, 1993, pp. 195-200.

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ne (fig. 4): se calcoliamo molto sommariamente il rapporto tra proprietari di pecore registrati alla Dogana di Foggia e il numero dei fuochi censiti nei paesi delle due province abruzzesi vediamo che solo a Roccaraso, Pietransieri, Ca-stel del Monte, Campo di Giove, Calascio, Roccacalascio, Scanno, Ovindoli, Lucoli e Pescasseroli la percentuale superava mediamente il 20-30 per cento e tra di essi solo Roccaraso, Castel del Monte e Pietransieri mostravano cifre ancora più alte11.Se in questa rozza classifica Scanno appare solo al quinto posto, contando il numero assoluto dei locati, cioè dei proprietari di pecore registrati in Dogana, le cose vanno diversamente. Nei sei campionamenti, infatti, Castel del Monte e Scanno appaiono come le località di gran lunga più impegnate nella tran-sumanza pugliese, risultando quasi sempre al primo o al secondo posto nelle varie annate e rispettivamente prima e seconda nel complesso delle sei annate: Castel del Monte con 907 e Scanno con 723, mentre Lucoli e Roccaraso seguono ben distanziate rispettivamente con 521 e 412.L’importanza pastorale della Scanno sei e settecentesca in ambito abruzzese e appenninico risulta quindi già dal semplice calcolo del numero di proprietari di pecore che affittavano pascoli in Dogana e da quello della percentuale di essi rispetto al numero delle famiglie del paese.

11 Il campionamento è stato effettuato su sei annate: 1601, 1641-1642, 1659-1660, 1705-1706, 1753- 1754, 1781-1782. Le segnature archivistiche delle prime cinque annate sono rispettivamente Archivio di stato di Foggia, Dogana delle Pecore,

s. V, nn. 756, 855, 877, 941 e 1031; per l’ultima annata ci si riferisce ai dati pubblicati in A. Silla, La pastorizia difesa, Napoli 1783. L’opera di Silla è stata ripubblicata in edizione anastatica nel 2008 dalla casa editrice One Group dell’Aquila.

907  

723  

521  

412   401  

306   289   271   255  

0  

100  

200  

300  

400  

500  

600  

700  

800  

900  

1000  

Castel  del  Monte  

Scanno   Lucoli   Roccaraso   Pescasseroli   Amatrice   Calascio   Pescocostanzo   Campo  di  Giove  

fig. 4 - Presenze di locati nella Dogana di Foggia (somma delle annate 1601, 1641, 1659, 1705, 1753, 1782)

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5 La preminenza interna:

i mestieri pastorali nel catasto, una preminenza inconsueta. Ma sia per quel che riguarda Scanno, sia probabilmente anche per altri paesi pastorali abruzzesi questi calcoli non riescono a dare pienamente conto dell’ef-fettivo peso della pastorizia transumante sull’economia locale. Se per cogliere in pieno questo peso e la sua evoluzione nel tempo sarebbe necessario uno studio approfondito e sistematico negli archivi scannesi e na-poletani, per la metà del Settecento possiamo senz’altro appoggiarci al catasto onciario che - come abbiamo visto - fornisce informazioni di grande dettaglio e in linea di massima estremamente attendibili.Cosa ci dice il catasto onciario del posto della pastorizia tra le attività econo-miche degli scannesi?Nel catasto onciario sono compresi 532 nuclei fiscali (fig. 5): 14 di questi sono enti, religiosi o feudali, mentre 518 sono famiglie vere e proprie delle qualifanno complessivamente parte 2.227 persone, che sono i residenti effettivi. Tra questi ultimi, tutti i maschi di quattordici anni o più si vedono attribuita una classificazione di mestiere, mentre tutte le donne comprese le capofa-miglia, tutte le bambine e tutti i bambini inferiori a quattordici anni no. La classificazione dei nuclei familiari segue questa regola, cosicché troviamo da un lato famiglie guidate da maschi con un qualifica di mestiere o di status e dall’altro famiglie nelle quali non compaiono maschi adulti e che sono guida-te da donne vedove o nubili.Un’altra cosa indispensabile precisare è che nel catasto di Scanno le qualifica-zioni di mestiere - ma alcuni non sono mestieri veri e propri - sono quaranta, ma solo quattro di esse riguardano la pastorizia.

Capifamiglia  adde,  alla  pastorizia,  54%  

Capifamiglia  non  adde,  alla  pastorizia,  

33%  

Vedove  e  nubili,  10%  

Luoghi  pii,  3%  

fig. 5 - Nuclei fiscali per tipologia

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Si tratta dei “padronali di pecore”, cioè gli armentari veri e propri, grandi e piccoli; dei “custodi di pecore”, cioè dei pastori veri e propri, per lo più senza animali; di un paio di generici “pecorari” e infine di un altro paio di ben più importanti “massari di pecore”. I nuclei familiari guidati da capifamiglia maschi adulti - compresi quelli com-posti da un solo ecclesiastico - sono 463; tra questi, quelli guidati da un “padro-nale di pecore”, da un “custode di pecore”, da un “pecoraro” o da un “massaro di pecore” sono 286, pari al 61,8 per cento. Quasi due famiglie scannesi su tre tra quelle con un capofamiglia maschio erano quindi guidate da un imprenditore armentizio o da un pastore: ecco dunque che già rispetto al rapporto tra locati pugliesi e fuochi il peso della transumanza più che raddoppia, in quanto il sommario confronto tra locati del 1753 e fuochi del 1737 dava poco meno del 30 per cento. Se guardiamo poi alla popolazione attiva nel suo complesso, la percentuale non cambia di molto: nel catasto i maschi adulti - i soli cioè ad avere una qualifica di mestiere - sono 840 e tra essi 498, cioè il 59,4 per cento, svolgono un’attività pastorale.Le cose però cambiano se consideriamo come nuclei fiscali (enti e famiglie) pastorali tutti i nuclei che posseggono pecore ma non hanno addetti alla pa-storizia, più tutti i nuclei con pastori ma senza pecore, più tutti i nuclei che dispongono sia di pastori che di pecore; tali nuclei ammontano infatti a 385, pari al 72,4 per cento dei nuclei fiscali scannesi (fig. 6).Se facciamo infine il conto di tutte le persone - maschi e femmine - inclusi in questi nuclei fiscali, viene fuori che ben 1.711 persone dipendono direttamente - del tutto o in parte - dalla pastorizia transumante, cioè che a metà Settecento il 77,1 per cento degli abitanti di Scanno, quasi quattro su cinque, trae la totalità o una parte dei propri mezzi di sussistenza dalle pecore svernanti nel Tavoliere (fig. 7).

Senza  interessi  pastorali,  23%  

Con  interessi  pastorali,  77%  

fig. 7 - Abitanti con e senza interessi familiari nel settore armentizio

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Ma è a questo punto opportuno osservare ancor più da vicino la fisionomia economico-sociale del paese.Continuando a prendere il possesso di animali come elemento discriminante, si possono classificare i 532 nuclei fiscali scannesi (famiglie ed enti) in sei categorie, che individuiamo mediante un’etichetta che ci aiuta a richiamare le loro caratteristiche (fig. 8):1. i “veri armentari”, cioè i nuclei con addetti alla pastorizia che dispongono

sia di pecore che di animali grossi12 (105, pari al 19,7 per cento del totale);2. gli “armentari semplici”, cioè i nuclei di pastori che di contro posseggono

esclusivamente pecore (36, pari al 6,8 per cento del totale);3. i “pastori proletari”, cioè i nuclei in cui sono presenti addetti alla pasto-

rizia che però non posseggono pecore (77, pari al 33,3 per cento del totale);4. i “rentiers pastorali”, cioè i nuclei in cui non compaiono addetti alla pasto-

rizia, ma che dispongono di pecore o persino di masserie di pecore (67, pari al 12,6 per cento);

5. i “contadini e trasportatori”, cioè i nuclei non pastorali che dispongono però di animali grossi (19, pari al 3,6 per cento del totale);

6. i nuclei, infine, di “non allevatori”, cioè che non ospitano pastori e al tem-po stesso non dispongono di animali di alcun genere (126, pari al 25,6 per cento del totale).

12 Per animali grossi si intendono bovini ed equini, parte fondamentale della masseria di pecore in quanto utilizzati per il trasporto di persone, strumenti, prodotti e masserizie varie.

0   20   40   60   80   100   120   140  

Non  allevatori  

Contadini  e  trasportatori  

Reinters  pastorali  

Pastori  proletari  

Armentari  semplici  

Veri  armentari  

fig. 8 - Classificazione dei 532 nuclei fiscali in rapporto alle attività di allevamento

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Scanno nel Settecento: la ricchezza della transumanza

Da questa sommaria classificazione emerge un paese nel quale un quinto delle famiglie è impegnato nella transumanza attraverso una vera e propria “masse- ria di pecore” e considera quindi la pastorizia come un’attività imprenditoriale in cui investe lavoro, competenze e capitale; un 7 per cento circa di famiglie pastorali più povere che dispone comunque di un proprio gregge piccolo o medio-piccolo; un altro terzo di famiglie che dipende in tutto o in parte da pastori di mestiere che lavorano però alle dipendenze di altri proprietari di pecore senza possedere animali di sorta; un 13 per cento circa di famiglie o entiche fa della transumanza una fonte di rendita più o meno cospicua, ma ha uf-ficialmente altrove la propria ragione sociale; un ristretto gruppo di contadini o di trasportatori che utilizza animali grossi per il proprio lavoro e, infine, un ulteriore quarto di nuclei fiscali che non è coinvolto in alcun modo in attività di allevamento.

A proposito di queste ultime due categorie bisogna aggiungere anche che un elemento che a Scanno colpisce molto è l’estrema scarsezza di addetti all’agri-coltura e un’articolazione dell’artigianato e dei servizi piuttosto semplificata, il che rafforza ulteriormente la coloritura pastorale del paese (fig. 9).

Allevamento  59%  

Ar/gianato    20%  

Professioni,    clero  ecc.,    

7%  

Agricoltura    7%  

Servizi  e    commercio  

6%  

Marginali  1%  

fig. 9 - Addetti per attività lavorativa o per posizione sociale

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Scanno nel Settecento: la ricchezza della transumanza

Per quanto siano ben 167 i nuclei che contano tra le proprie ricchezze degli ap-pezzamenti di terreno più o meno estesi, solo 35 di essi sono infatti guidati da un capofamiglia che esercita un’attività agricola e, più in generale, sono solo 55 i maschi adulti stabilmente addetti all’agricoltura. Appena il 7 per cento circa della popolazione scannese vive insomma del lavoro della terra come principale fonte di reddito, un dato effettivamente impressio-nante se si considera che di norma non solo nei paesi, ma anche nella gran parte delle città del Regno di Napoli, la quota dei “massari di campo”, dei “bracciali” e delle altre figure del mondo contadino era sempre di gran lunga preponde-rante, raggiungendo in qualche caso l’85 per cento della popolazione attiva.

Chi conosce Scanno e il suo territorio, con i pochi terreni agricoli di buona qua-lità disponibili, può anche non stupirsi di questo dato, ma esso resta comunque indicativo e statisticamente molto rilevante.Tra le grandi categorie lavorative, quella che segue l’allevamento è l’artigianato, con il 18-20 per cento tanto di capifamiglia, quanto di addetti, mentre il com-mercio e i servizi vari sono poco vitali, con il 5-6 per cento appena. Per quanto relativamente abbondanti, le attività artigianali sono tuttavia scarsamente arti-colate. Tre quarti degli addetti sono infatti concentrati in tre attività soltanto: la manifattura di calzature (ben 83 “calzolai”, alcuni dei quali molto ricchi), l’edili-zia (34 “fabbricatori”) e la produzione di pane (25 “panettieri”).Scanno è un paese ricco, insomma, ma a differenza di gran parte dei paesi cir-costanti e dei paesi del Regno di Napoli gran parte del suo lavoro e della sua ricchezza ruota attorno alla pastorizia, con pochissimi agricoltori di mestiere, degli artigiani che producono appena l’indispensabile e un pugno di addetti ai servizi. La mobilità stagionale dei pastori, evidentemente, provvede a rifornire il paese di molte delle merci mancanti mentre per le competenze tecniche di cui si necessita fa riferimento ai paesi vicini13.

13 È noto d’altra parte che le maestranze che hanno edificato gran parte dei palazzi e delle chiese che fanno di Scanno una delle località più ambite del turismo appenninico venissero dai vicini Altipiani Maggiori.

Tutte le altre categorie68%

Tutte le altre categorie3%

Tutte le altre categorie13%

Armentari veri e “Rentiers pastorali”

32%

Armentari veri e “Rentiers pastorali”

32%

Armentari veri e “Rentiers pastorali”

87%

Nuclei fiscali Pecore possedute Once di beni stimate

fig. 10 - Il predominio economico dei “veri armentari” e dei “rentiers pastorali”

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Scanno nel Settecento: la ricchezza della transumanza

6 La preminenza interna: ricchezza, potere locale e proprietà armentizia.

Un altro punto importante da analizzare è come si distribuisce e come agisce la ricchezza pastorale nel determinare il profilo sociale del paese e le sue gerarchie interne.Non ci si stupirà a questo punto nello scoprire che coloro che posseggono il grosso del patrimonio armentizio sono gli stessi che dominano in termini generali l’economia scannese (fig. 10): le 105 famiglie di quelli che abbiamo chiamato i “veri armentari”, cioè i massari di pecore veri e propri, posseggono infatti il 60 per cento delle pecore, sono titolari del 39 per cento delle once di beni14 e dispongono del 20,6 per cento dei capitali impiegati, mentre quelli che abbiamo chiamato i nuclei di “rentiers pastorali” posseggono il 37 per cento cir-ca delle pecore, sono titolari del 48,7 per cento delle once di beni e dispongono del 61,4 per cento dei capitali impiegati.Queste due categorie che comprendono meno di un terzo dei nuclei fiscali scannesi controllano dunque il 97 per cento delle pecore, sono titolari dell’87,3 per cento delle once di beni e dispongono dell’82 per cento dei capitali impie-gati, per cui si può dire che quasi tutta la ricchezza di Scanno si concentra in queste mani.Si tratta tuttavia di categorie molto diverse: quella dei “veri armentari”, no-nostante sia discretamente articolata in quanto a ricchezza, è costituita qua-si esclusivamente da famiglie di proprietari-allevatori di pecore (98 su 105), mentre quella dei “rentiers” comprende una gran varietà di soggetti.Al gradino più basso della sua scala infatti ci sono delle donne capofamiglia che hanno ereditato il patrimonio (di solito non grande) del padre o più spesso del marito, mentre al gradino immediatamente superiore sta una trentina di artigiani, agricoltori e lavoratori dei servizi che aggiunge al proprio capitale, già piuttosto diversificato, un gregge. A metà della scala si trova una decina di sacerdoti, quasi tutti provenienti da famiglie ricche, con greggi discreta- mente consistenti e, soprattutto, una gran quantità di danaro liquido impiegato in prestiti o altre attività.Al vertice di questa scala siamo infine in grado di individuare il motore e il vertice dell’economia scannese di metà Settecento. Effettuando infatti un’ulteriore selezione in base alle once di beni, al ca- pitale impiegato e alle pecore possedute, possiamo isolare un gruppo di

14 Nel catasto onciario la tassazione era calcolata tenendo conto dell’attività lavorativa (once d’industria) sia sulle rendite (once di beni). L’oncia veniva considerata come corrispondente a tre carlini. Sui meccanismi di calcolo dell’imposizione e sulla loro evoluzione si veda Bulgarelli Lukacs, L’imposta diretta, cit., pp. 81-145.

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Scanno nel Settecento: la ricchezza della transumanza

sedici nuclei fiscali (cui dobbiamo ovviamente aggiungere il feudatario, ri-guardo al quale però il catasto non dà notizie) composto da quattro “luoghi pii”, sei “padronali di pecore” e sei famiglie notabilari i cui capifamiglia vengono definiti “benestanti” oppure svolgono professioni liberali come lo speziale di medicina, il notaro o il giudice a contratti. Questi sedici nuclei fiscali, che rappresentano appena il 3 per cento dei nuclei fiscali scannesi, concentrano nelle proprie mani il 43 per cento del patrimonio ovino e il 49 per cento dei liquidi investiti in credito o attività produttive.

Vale la pena di citare i più importanti di essi. I sei armentari sono Nicola Muoro, Giovanni Paris, Nicola Serafini, Leonar-do Quaglione e Giovanni Silla, il padre del piccolo Antonio Silla15, il quale, pur non avendo il gregge più grande, dispone della ricchezza meglio distri-buita, con ben 1.500 ducati di capitale investito.Tra i quattro luoghi pii troviamo due vere potenze finanziarie come Santa Maria della Valle e il Reale Collegio delle Suore che hanno rispettivamente 3.861 e 2.950 ducati investiti; Santa Maria della Valle ha anche un cospicuo patrimonio immobiliare che le consente di essere al primo posto assoluto per once di beni stimate. Questi due luoghi pii non hanno però grandi greg-gi, mentre la Confraternita del Santissimo Sacramento possiede tradizional-mente il più grande gregge di Scanno, con 3.838 pecore e 62 animali grossi, cui segue con tutta probabilità quello del principe Tommaso d’Afflitto, dato che nello “squarciafoglio” di dieci anni dopo il Santissimo Sacramento ap-pare in testa con 4.080 pecore, mentre il feudatario ne dichiara 3.320.Le fortune più articolate, tra immobili, capitali investiti e armenti, appar-tengono tuttavia a tre delle sei famiglie notabilari: quella dei notai Orazio Serafini e Gianfrancesco Ciancarelli e quella del giudice a contratti Tomma-so Nonno. Serafini e Ciancarelli sono anzitutto i possessori dei maggiori

15 Futuro avvocato e difensore dell’industria pastorale transumante in Puglia, e autore della famosa e già citata opera La pastorizia difesa del 1783.

I 516 nuclei fiscali restanti97%

I 516 nuclei fiscali restanti57%

I 516 nuclei fiscali restanti55%

I 16 nuclei fiscali più ricchi43%

I 16 nuclei fiscali più ricchi45%

I 16 nuclei fiscali più ricchi3%

Nuclei fiscali Pecore possedute Once di beni stimate

fig. 11 - I sedici nuclei fi scali al centro della ricchezza scannese e il loro rapportocon la pastorizia

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Scanno nel Settecento: la ricchezza della transumanza

greggi del paese dopo quello del Santissimo Sacramento e molto probabil-mente dopo quello feudatario; Orazio Serafini ha anche un grande capitale liquido, di 1.500 ducati impiegati; Gianfrancesco Ciancarelli non ha, al con-trario, capitali investiti, ma la sua è la famiglia che mostra più di ogni altra i segni esteriori della ricchezza: ben sei servitori, un matrimonio con una ricca donna di un paese piuttosto lontano (l’attuale Francavilla a Mare) e un patrimonio immobiliare tra i più cospicui. Altra famiglia di spicco è quella degli otto giovanissimi fratelli e sorelle Notarmuzi-Gentilozzi, an-ch’essa con un patrimonio immobiliare di prima grandezza.Ciò che per noi più conta, in ogni caso, è che questi sedici nuclei dominanti - siano essi pastorali, religiosi o notabilari - hanno tutti al centro della propria ricchezza o un’articolata e cospicua masseria di pecore oppure, in un paio di casi, un notevole gregge di sole pecore evidentemente affidato a qualche grande armentario. Possiamo stimare inoltre che le greggi degli otto notabi-li e dei quattro luoghi pii, che non sono seguite direttamente dai proprie-tari, danno lavoro a circa 140 pastori, che salgono a 170-180 se aggiungiamo le probabili tremila pecore del principe.Nella Scanno di metà Settecento (ma possiamo pensare anche di quella dei due secoli precedenti e di quello seguente) la pastorizia transumante nel Tavoliere rappresenta insomma: il nucleo centrale e più dinamico della ric-chezza del notabilato; l’attività di base del ceto imprenditoriale più diffu-so e dinamico, quello armentizio; un investimento che quasi nessuno degli artigiani trascura; ma - soprattutto - la fonte di lavoro della quasi totalità dei lavoratori poveri del paese16, cioè di quel 40 per cento abbondante della popolazione attiva costituito da “custodi di pecore” che non hanno pecore proprie.A partire da questa veloce ma spero utile panoramica dell’economia e della società scannese alla metà del Settecento, credo che nei tempi a venire si pos-sano ipotizzare ricerche più approfondite in varie direzioni. Si può, per esempio, rendere questo quadro ancor più dettagliato; si posso-no incrociare meglio i dati del catasto che ho illustrato in questa sede con i dati degli “squarciafogli” foggiani, ancora in attesa di essere valorizzati ade-guatamente; si può tentare di capire meglio - grazie a un’analisi approfondi-ta delle trasformazioni ottocentesche - come un paese pastorale si trasformi progressivamente in un paese turistico di successo; e altro ancora. Scannoè stato per secoli un paese particolare; potrebbe continuare a esserlo anche nella sua capacità di chinarsi sul suo passato.

16 I pastori proletari sono gli equivalenti scannesi dei “bracciali” delle località agricole del Regno di Napoli, e sono la porzione di gran lunga più cospicua dei lavoratori nullatenenti: solo 35 su 170 risultano titolari di once di beni e per un valore medio di appena 4,74; solo cinque di essi infine hanno capitali impiegati, e per una media di 114 ducati.

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