Scaliti nel tempo

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IMMAGINE TRATTA DALLO STENDARDO USATO NELLE TRADIZIONALI PROCESSIONI DELLA SANTA VERGINE DEL POTERE.

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IMMAGINE TRATTA DALLO STENDARDO USATO NELLE TRADIZIONALI

PROCESSIONI DELLA SANTA VERGINE DEL POTERE.

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ANDREA RUNCO

SALVATORE RUNCO

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Scaliti nel tempo Chiesa e società, Uomini e fatti

di Andrea e Salvatore Runco

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Scaliti, oggi. Scaliti è uno dei quattro piccoli borghi che formano le frazioni del comune di Filandari VV, e nello stesso tempo quello più vicino alla sede comunale,perché si trova giusto a un tiro di sasso; infatti, le case delle due periferie più prossime tra loro, in linea d’aria distano non più di ottocento metri, ed è situato tra le ultime propaggini a Sud Est del monte Poro, ad un’altitudine di circa 420 metri sul livello del mare, incastonato in una ridente pianura molto fertile, il cui territorio confina a sud Est con il torrente detto “hiumara ‘i russu”che, probabilmente, divide l’agro di Mileto VV da quello di Filandari, e a Sud con il territorio di San Calogero VV, dai restanti lati è contornato dai fondi di Arzona e del medesimo capoluogo di comune. I suoi cittadini prendono il nome locale di “Scalitani” ed oggi lo abitano in circa 400 persone. Il villaggio formato da un agglomerato urbano di case basse, per la maggior parte costituite da un piano terra e un primo piano, si trova leggermente in disparte dalla principale via di comunicazione, ossìa la s.p. 33, che attraversa il territorio partendo da Nicotera Marina fino a congiungersi con la s.s. 18 che percorre la nostra terra da Reggio Calabria a Salerno. Esso è collegato alla suddetta s. p. tramite il prolungamento di via Rione case nuove, che partendo dall’incrocio con via Garibaldi prospiciente la chiesa parrocchiale di San Pietro, si dirama una prima volta nell’abitato medesimo, con una strada cieca senza nome orientata in direzione Sud, poi ancora una volta dinanzi all’attuale calvario con una via che corre verso l’aperta campagna e, infine, si biforca con una strada secondaria che prosegue in direzione Arzona, altra frazione del comune dalla quale dista circa600 metri. Un altro collegamento secondario è possibile tramite la prosecuzione della strada che attraversa il paese, ossìa via Garibaldi, che in direzioneNord – Ovest, si

dirige verso Filandari, per raggiungere il quale, bisogna passare attraverso un suggestivo canyon scavato nella pietra calcarea, punteggiato qua e là da ulivi e ciuffi di saracchio, ma soprattutto da olezzanti cespugli di ginestra che in alcuni casi sono dei veri e propri arbusti e cespi d’origano, che là fanno da padroni in

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questo habitat così difficile, avendo trovato nelle sue crepe la linfa necessaria alla sopravvivenza. Nel punto di guado di questa enorme fenditura, molto più prossima a Filandari, che non a Scaliti, la strada rasenta l’imbocco della famosa grotta di Santa Cristina, formatasi quasi certamente per erosione naturale, e probabilmente mai esplorata nei dettagli, per stabilire se, in era preistorica sia stata abitata dai nostri lontani progenitori, che lì hanno lasciato graffiti o altri segni comprovanti la loro presenza, non dimenticando che qui, esiste anche una sorgente d’acqua dove nei giorni più torridi si può trovare ristoro e aria fresca per la presenza della fiumara che scorre lungo il greto del canalone. L’estremo opposto della via che qui ci ha condotti, nell’attraversare l’abitato dà origine all’incrocio con via Reno, e alle traverse Iª e IIª Garibaldi, nonché alla diramazione con via Giacomo Leopardi che immette in una zona di nuova espansione del caseggiato, e poi a un centinaio di metri da quest’ultima, incrocia la via Domenico Zagari, presso la quale, un tempo pare esistessero i locali di un dopolavoro, dove comitive di amici si ritrovavano insieme la sera dopo la dura fatica nei campi, per discutere o per qualche partita a carte. Seguendo la medesima via, in parte su fondo asfaltato e poi attraverso una mulattiera, è possibile raggiungere la località Casalello nel comune di San Calogero, dove si trova un’umile chiesetta dedicata a Maria Santissima delle Grazie, meta di costante pellegrinaggio di fedeli che da paesi vicini e lontani, giungono colà per chiedere grazie alla beata Vergine. Ma ritornando alla nostra via Garibaldi, essa, ad un certo punto esce fuori dell’abitato confluendo con la via Pietro Vangeli in un'unica arteria, dirigendosi verso Sud, ponendo Scaliti in collegamento con Mileto che, insieme all’appennino delle serre, sono i suoi naturali dirimpettai. La via interna all’abitato che

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desta il nostro maggiore interesse, è la già citata via Reno, che partendo dall’incrocio con la Garibaldi, sbocca nella piazza Giuseppe Policaro, antistante la chiesa della Santissima Vergine del Patire, dove stando a quello che la memoria popolare ha tramandato, si trovava l’antica chiesa con lo stesso titolo di quella tuttora esistente. Apparentemente, la via appena nominata, secondo noi è la più vecchia, considerando che lungo il suo tragitto si notano le abitazioni più antiche del paese, forse le sole scampate al disastroso terremoto del 1783, che portò morte e distruzione in tutta la Calabria, anche se non fu il solo, perché si ripeté in maniera violenta anche nel 1908, del quale sono rimaste le testimonianze fino ai

primissimi anni sessanta, poiché l’attuale rione case nuove, era in parte costituito da baracche di

ono e bilocali, le quali hanno contribuito a rendere meno opprimente i

sisma, e la manifattura

non era certo caratteristica del luogo, ma sicuramente costruite dal genio dell’esercito o da artigiani esperti di baite e ricoveri alpini, provenienti da altre regioni d’Italia i quali, probabilmente raggiunsero Scaliti nell’immediatezza di quest’ultimo movimento tellurico, che provocò anch’esso ferite profonde, nella vita sociale e nell’aspetto morfologico del territorio, non solo di Scaliti. Comunque sarà appunto per il pur minimo isolamento dalle vie di comunicazione, o per motivi a noi ignoti, che nel corso del tempo l’estensione del paese è stata quasi impercettibile, ed anche i gruppi famigliari considerando gli attuali cognomi esistenti in loco, si sono scarsamente amalgamati con soggetti provenienti da altre realtà rimanendo sostanzialmente sempre gli stessi, non che ciò sia negativo, ma sarebbe auspicabile che per il futuro il tessuto sociale peraltro molto tenace e laborioso, si apra di più al nuovo da qualsiasi parte provenga, superando così l’handicap dell’essere appartato volando verso più alte e nuove mete.

legno m

postumi del

delle stesse,

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Lavoro ed emigrazione Come tutti i paesi del comprensorio del Poro, Scaliti è uno dei villaggi che nel tempo ha sempre svolto delle attività lavorative in simbiosi con la terra dalla quale ha sempre tratto il necessario per vivere, sia in passato e in parte anche nel presente. Quindi, essendo preminente l’impiego in agricoltura, per proprio conto o alle dipendenze dei proprietari terrieri che detenevano la quasi totalità del suolo atto alle varie coltivazioni, nonché per la pastorizia o il foraggio di quegli stessi armenti usati come aiuto nel lavoro dei campi, si è guadagnato da vivere in una realtà a dir poco difficile, anche se, il paese ha una favorevole peculiarità che, consiste nell’avere un clima gradevolmente temperato, perché i contrafforti collinari che si estendono da Ovest a Nord, trovandosi a ridosso delle sue immediate periferie, lo proteggono dai venti freddi di borea e tramontana, e ciò, gli consente di sviluppare una floridissima agricoltura perché, non essendoci escursioni termiche molto consistenti, né umidità elevata per la scarsezza di sorgenti d’acqua, le piantagioni vegetano con maggiore facilità, ed appunto per questo microclima molto favorevole prosperano alberi che, ad altitudine leggermente superiore, non riescono neanche a fruttificare, anzi il tempo di maturazione di talune varietà è pressappoco uguale a quello delle coste marittime, le quali, distano intorno ai venti chilometri. Ovviamente la gamma dei prodotti è molto vasta, ma, tipica dell’area mediterranea, ed è sempre in virtù di tale condizione che, si producono cereali e legumi, e in passato anche lino e canapa per filati, coltivazione ormai caduta in disuso, visto che ormai non si usa più fare la famosa dote per le donzelle, ne si può dimenticare l’ottimo vino che gli ubertosi vigneti fornivano con i loro grappoli rubicondi. Bisogna però riconoscere che lo scettro di re delle produzioni agricole del posto, l’ha sempre detenuto il sopraffino olio di oliva, ottenuto da piantagioni che per la vetustà, sicuramente avranno visto passare gli eserciti invasori della magna Grecia o quanto meno quelli Normanni. A tal proposito ricordo che, in località “mottula”, quando ero bambino il nonno materno andava a potare di queste piante, e ve ne era qualcuna che del tronco era rimasta la parte esterna più vicina alla corteccia, mentre l’interno veniva costantemente pulito con l’accetta perché si marciva, quindi si “cacciavanu pezzula ossia si asportavano parti del legno che poi veniva usato nell’inverno per riscaldarsi” e il vuoto così praticato, detto localmente “catufulu, ossìa vuoto ottenuto a furia di svuotare il tronco dalla fibra legnosa che si infeltriva”, era talmente grande che, potevano trovare rifugio almeno quattro persone, quando nella raccolta delle olive si veniva sorpresi da pioggia improvvisa. Ed era appunto per il motivo sopra citato che a Scaliti iniziava la mietitura sempre alcuni giorni prima degli altri paesi del comune, rispettando però una

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singolare tradizione e cioè, dato che la raccolta della messe cadeva a ridosso dei festeggiamenti in onore di san Pietro, patrono del villaggio, in quel giorno poteva cadere il mondo, ch’e gli “Scalitani”, come pure gli abitanti dei paesi vicini, non toccavano attrezzo da lavoro, e ancor meno la sfavillante falce che malauguratamente poteva recidere qualche dito, se non unicamente per accudire gli animali da fattoria dei quali ne erano custodi e proprietari, questo per ottemperare alla singolare credenza, secondo la quale, in quel giorno san Pietro vorrebbe la vita di tre persone decedute per morte violenta, per questo motivo a noi bambini ci veniva impedito perfino di salire sui ciliegi per farcene una scorpacciata, visto che il ventinove giugno tali frutti sono all’apice della maturazione, quindi, nel momento più idoneo per essere consumati. Ovviamente all’agricoltura di Scaliti erano direttamente connesse altre attività, come la molitura del grano, che i cittadini a ridosso di asini, portavano nei mulini ubicati lungo la fiumara che separa il territorio di Mileto con quello di Filandari, dove c’erano più siti che espletavano questo lavoro. Altra occupazione strettamente legata al lavoro dei campi era la

spremitura delle olive, che avveniva in frantoi disseminati nel territorio. Impieghi considerati di minore importanza, concorrevano a far guadagnare agli abitanti l’umile desco per la famiglia, e tra queste, le classiche professioni artigianali, come il sarto, il barbiere, il calzolaio, la tessitrice ecc.; che, loro malgrado, spesso

espletavano le commissioni delle quali se ne facevano carico in cambio del pagamento in natura che, si concretizzava contro cambiando con prodotti

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agricoli che oimè, spesso erano scarsi di misura, nelle annate in cui il raccolto era stato avaro d’abbondanza. Quindi, non vi era circolo di danaro se, non in quelle occasioni in cui taluno andava a lavorare per conto terzi, o derivante dalla vendita di animali o prodotti che soverchiavano il fabbisogno famigliare. Ma anche in questo caso erano talmente irrisorie le somme ricavate, da non permettere l’acquisto di altri beni per espandere la proprietà o comprare altre cose necessarie alla famiglia; perciò, l’economia era stagnante e non portava benefici, ma solamente lavoro mal retribuito e stanchezza, quella sì e ve ne era tanta, e molto era anche lo sconforto di vivere l’intera vita in un limbo così deprimente. Fu per questo che, a partire dagli ultimi anni di fine ottocento, anche per Scaliti come per il resto del Sud Italia, si aprì la piaga dell’emigrazione, che vide partire tanti capi famiglia, dapprima oltre oceano nelle due Americhe, e in seguito anche in Australia, posti dai quali molti non son più tornati, rimanendo con l’amarezza nel cuore, per non aver più rivisto il paese natio.

Scaliti e Istruzione Come in altri piccoli centri del nostro paese, anche a Scaliti, agli inizi del Novecento, come dicevano gli anziani, mancavano scuole e maestri, per cui l’analfabetismo era elevato e molto diffuso. Pochi erano quelli che avevano la possibilità di studiare frequentando collegi generalmente gestiti da religiosi, lontani dal loro ambiente naturale e, soprattutto, dalle famiglie. Infatti, ci sono ancora in vita persone nate intorno agli anni venti che, ricordano con particolare lucidità e amarezza che, allora, vi era, per dir così, una sorta di uguaglianza in negativo, perché ragazzi e adulti erano accomunati dalle medesime condizioni culturali, handicap che si estendeva a numerose persone benestanti, anch’esse prive della pur minima istruzione. I pochi fortunati, che nel passato si affidavano nelle mani del parroco o di qualche maestro improvvisato, riuscivano quanto meno a raggiungere quel minimo di conoscenza necessaria per scrivere la corrispondenza, quando si era fuori casa o per svolgere il militare o per emigrazione. Era in quelle serate d’inverno rigido che raccolti intorno ad un braciere o in estate sotto l’ombra di qualche albero fronzuto che usando un linguaggio idoneo al tempo e ai costumi si potevano apprendere concetti e nozioni di vita fino ad allora ignorati . Come raccontano i pochi sopravvissuti, allora i vecchi del paese ritenuti saggi quanto meno per l’età, facevano del loro meglio per integrare quel poco d’istruzione ricevuta appigliandosi a quella saggezza popolare tramandata oralmente, che richiamava alla mente proverbi e suscitava immagini che oggi, forse, non riusciremmo a comprendere in tutte le sue sfumature. A cavallo delle due guerre mondiali, mancando le scuole statali o comunali, venivano improvvisate spesso delle classi famiglia, ubicate n ambienti angusti, umidi

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e, spesso, malsani e del tutto inadeguati allo scopo, che si

intendeva realizzare, e

generalmente erano gli stessi genitori, che, a loro volta avendo ricevuto i rudimenti del leggere e

improvvisavano insegnanti dei propri figli e di

altri bambini, sottratti malvolentieri alla custodia degli animali o alla dura fatica dei campi. I rari maestri, del resto, pur volendosi impegnare a titolo assolutamente gratuito, non sapevano dove organizzare e ospitare gruppi di ascolto e di apprendimento. Ricorda un signore dalla veneranda età che, a volte venivano utilizzate anche le stalle, quando le bestie erano al pascolo o nei campi. Tuttavia, per quel tempo e le condizioni di miseria diffusa, era il meglio, che si poteva offrire a quei pochi ragazzi, desiderosi di apprendere o di evitare il lavoro agricolo e pastorale. Di conseguenza, anche Scaliti, come molti altri paesini del Meridione, dovette attendere fino all’inizio degli anni settanta, per essere dotato di veri e propri alloggi ad uso scolastico. Infatti, in seguito alla riforma del settore e all’ampliamento del suolo edificabile, gli amministratori del comune di Filandari fecero costruire a Scaliti un bellissimo edificio scolastico, adeguato alle normative vigenti, accogliente e soprattutto aperto a tutti e non solo ai pochi fortunati. Quindi, a partire dai più piccoli, i nostri meravigliosi angeli, ebbero la possibilità di frequentare la scuola materna vivendo con gioia insieme alle maestre e ai coetanei gran parte della giornata, lontani dalle famiglie e dai pericoli della strada. Invece, i più grandicelli qui iniziarono il vero e proprio ciclo d’istruzione dalla prima alla quinta classe, seguendo le lezioni in ambienti idonei e senza problemi di spazio, di freddo o di luminosità. Anche se in famiglia dovevano rinunciare ad una preziosa e gratuita mano d’opera, nei campi o con le poche bestie che si possedevano, grazie a genitori che avendo preso coscienza della necessità di dare un’istruzione ai loro pargoli, ne incoraggiavano la frequenza e l’impegno costante per raggiungere un titolo di studio che avrebbe potuto aprir loro strade meno tortuose per raggiungere quel modello di vita sociale che essi avevano solo sognato. Ma

scrivere, si

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in seguito all’emigrazione in paesi europei e in altri continenti, dovuta alla miseria dilagante e al bisogno di un minimo benessere e di riscatto socio-economico, si verificò un decremento demografico con la conseguente carenza di allievi, motivo per il quale il bellissimo edificio scolastico fu definitivamente chiuso e abbandonato all’incuria del tempo e all’incoscienza di qualche vandalo di passaggio. I pochi ragazzi, perciò, furono e sono costretti a frequentare l’unica scuola, ubicata presso Filandari sede comunale.

Scaliti nei secoli con la chiesa La storia di Scaliti non si discosta da quella dei paesi vicini, che indissolubilmente è legata a quella in chiaro oscuro della chiesa, e ad essa abbiamo attinto, perché si può dire che in passato sia stata l’unica organizzazione civile, culturale e religiosa illuminatasi di conoscenza tenacemente cercata, in tutti quegli scritti antichi, che lo scibile umano ha compilato e trasmesso fin dagli albori della scrittura come mezzo di comunicazione, la quale, seppur con lacune ha concorso a tramandarci copiosa quanto rara documentazione, di come la chiesa è riuscita a governare i fermenti e le mutazioni, attraversando indenne il tempo. Per tale motivo crediamo sia opportuno narrare di pari passo le vicissitudini che hanno visto strettamente connessi Scaliti e la chiesa nella veste di protagonisti, amalgamandoli per quanto ci è possibile in ordine cronologico. La chiesa Cattolica è presente in Italia fin dal I secolo d. c., anche se inizialmente a macchia di leopardo per l’esistenza del paganesimo, e in un secondo tempo al Sud, per il rito greco bizantino che sul nostro territorio decadde quasi completamente con la latinizzazione di quest’ultimo ad opera dei fratelli Normanni, Roberto il Guiscardo e RuggeroI del casato d’Altavilla, che a seguito del trattato di Melfi del 1059 con il papa Niccolò II, feudalizzarono tutto il Sud ponendo i monasteri Basiliani che erano sotto la giurisdizione del Patriarca di Costantinopoli, alle dipendenze dirette della santa sede Romana, o delle abazie e diocesi presenti sul territorio. E qui entriamo nel periodo in cui abbiamo trovato le prime notizie che riportano Scaliti, tra i villaggi della zona, anche se noi crediamo che i suoi natali sono anteriori a questa data. Era il tempo in cui vi erano lotte intestine per la reciproca sopraffazione,e per l’accaparramento di beni temporali, da parte di tutti, clero compreso, che spesso lasciava la cura delle anime per incombenze ritenute molto più remunerative e immediate, come la spartizione di averi e proprietà che all’epoca l’ente riceveva ed amministrava, come un qualsiasi principe di questa terra, per i quali possedimenti, non sono mancate vere e proprie guerriglie tra religiosi e non,

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per difendere quanto loro donato, ipotizzando che pure il nostro villaggio sia stato oggetto di disputa tra opposti poteri abbaziali e diocesani, anche se, abbiamo la certezza che, a differenza degli altri borghi vicini, non è elencato nel gruppo di paesi che ricadevano sotto la giurisdizione dell’ormai famosa e potentissima abazia benedettina della Santissima Trinità, ne della diocesi episcopale, entrambi di Mileto e volute dal gran conte Ruggero I, ma dal monastero Basiliano del Patirion di Rossano CS, realizzato sempre col benestare dello stesso re e dotato di numerosi possedimenti; infatti, il nome di scaliti spuntando dall’oscurità dei secoli, appare per la prima volta in un documento del citato ordine monastico datato 1114, nel quale si afferma che, la chiesa di Santa Maria di Scaliti è un possedimento del monastero del Patire di Rossano, concesso dal re Ruggero II. Una seconda volta viene nominato Scaliti nel 1130, nella bolla aurea con la quale, lo stesso re conferma allo già citato possessore l’anzidetta chiesa, con l’aggiunta di un convento intitolato sempre a Santa Maria di Scaliti, in seguito viene ancora menzionato nel 1198 in una bolla del Papa Innocenzo III, e nel 1216 in una bolla di Papa Onorio III. Poi il borgo è come se per oltre due secoli e mezzo fosse caduto nelle profondità del dimenticatoio, seguendo anonimamente la prassi dei borghi viciniori assoggettati ai vari regnanti di turno, fino all’avvento dei duchi Pignatelli che dal 1501, divenuti nuovi feudatari del territorio, spadroneggiarono razziandolo d’ogni cosa, momento in cui, parve riemergere dalle tenebre il nome di Scaliti, essendo uno dei loro villaggi, sotto la giurisdizione dell’università di Mesiano, inserito tra quelli della zona da Est a Sud-Ovest della stessa, che prendeva il nome di “quartèri = quartieri”ed inglobava i borghi di: Pizzinni, Arzona, Scaliti, Filandari, Presinaci, Pernocari, Rombiolo, Orsigliadi, Garavati, Moladi. Un altro documento del 1586 del Vescovo di Mileto Quinzio de Rusticis “187”, riporta Scaliti come paese di appartenenza ad un rettore conventuale, un certo “d. Giov. Marasco Domenico”. Poi nel 1662 Scaliti viene nominato da Giovanni Fiore nel volume “Della Calabria Illustrata”, ed ancora una volta in una nota redatta tra il 1697 e il 1699, a cura degli incaricati basiliani che avevano il compito di raccogliere tutto quanto vi era nelle biblioteche dei loro conventi di appartenenza, quindi anche da quello di “Santa Maria del Patire” di Scaliti. Da quest’ultima data trascorse quasi un secolo e questa volta un evento luttuoso colpì non solo Scaliti, ma tutto il territorio calabrese, perché il 5 febbraio del 1783, un violentissimo sisma rase al suolo l’abitato con numerose vittime e il pressoché totale crollo delle case. Tuttavia, la tenacia non avvilì i sopravvissuti che, decurtati nel numero e afflitti per le perdite, ripresero alacremente a ricostruire quanto avevano lasciato nelle macerie,per continuare a vivere dignitosamente, affacciandosi ormai ai primi anni del diciannovesimo secolo con una popolazione di circa 230 abitanti. Anche il casato dei duchi Pignatelli dopo alterne vicende parve scosso dalle fondamenta da terremoti di rivolte, ed avendo iniziato a

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sfaldarsi, ricevette il colpo ferale ad opera dei francesi che da oltralpi vennero in Italia invadendo il nostro suolo, portando con essi una ventata di nuovo. Infatti, una volta stanziatisi, dichiararono decadute tutte le feudalità e i loro privilegi, e con esse anche le vecchie università, trascinando in questa decadenza anche la gloriosa Mesiano, e nell’approntare una nuova organizzazione dello stato secondo il modello napoleonico, nel 1806 riconobbero a Tropea il ruolo di distretto del governo di Monteleone per il controllo dell’amministrazione cittadina, e con la legge del 19 gennaio 1807, gli venne conferito anche l’incarico di sorvegliare le amministrazioni delle qui citate comunità del circondario: Alafito, Arzona, Barbalaconi, Brivadi, Carciadi, Caria, Ciaramiti, Drapia, Garavadi, Mesiano, Moladi, Orsigliadi, Pernocari, Presinaci, Pizzinni, Ricadi, Rombiolo, Scaliti, Spilinga, Zaccanopoli, Zungri. In seguito sotto il governo del re di Napoli Gioacchino Murat, con reggio decreto n° 922, del 4 maggio 1811, recante la firma dello stesso, venne innalzato Filandari agli onori di comune, e in qualità di frazioni ad esso assoggettati i villaggi di: Scaliti, Arzona, Pizzinni e la stessa Mesiano. Contestualmente all’instaurazione di nuove leggi, il regio demanio francese requisì parecchi possedimenti degli ordini religiosi, compresi quelli del Patirion e li mise in vendita per finanziare opere pubbliche. Tuttavia, i borboni che erano stati feriti ed offesi dalla sconfitta, ma non domati nello spirito,dopo qualche anno ebbero un rigurgito d’orgoglio ben ricompensato, perché ritornarono alla battaglia ottenendo la vittoria sul campo e il conseguente diritto di rioccupare la nostra terra, e nel dare un assetto amministrativo al passo con i tempi, sostanzialmente con propria legge del 1816, confermarono l’impostazione amministrativa voluta dai francesi, che tale rimase fino all’unità d’Italia. Altri giorni bui conobbero i nostri paesi con il terremoto del 1908, che lasciò ferite profonde, nel tessuto sociale e nell’organizzazione dei villaggi Scaliti compreso, amara eredità di quell’evento così nefasto. Non sappiamo se la chiesa parrocchiale di San Pietro visto che è sorta da un beneficio proveniente da possedimenti basiliani, così come quella di Santa Maria del Potere, sede della confraternita, era anch’essa sotto l’autorità del Patirion di Rossano; nè conosciamo l’anno in cui sono cessati tali pertinenze, e le due chiese sono entrate sotto la giurisdizione dell’attuale autorità religiosa presente sul territorio. Però siamo certi che attualmente Scaliti fa parte del vicariato e della diocesi di Mileto, che il decreto della S. Congregazione per i Vescovi, del 30 settembre 1986, ne ha sancito l’unione definitiva delle tre ex diocesi presenti sul nostro territorio, in un’unica istituzione, governata da un solo vescovo con sede in Mileto. La stessa è suffraganea dell’arcidiocesi di Reggio-Bova e dell’Ordinario d'appello: il Tribunale Regionale di Reggio Calabria, e i cui santi protettori sono San Nicola di Bari, Maria Santissima dell’Assunta e Maria Santissima di Romania, già patroni dei rispettivi vescovati. Una nota, a onor del vero

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molto scarna, ci riferisce che, in epoca passata, non individuabile con certezza, Arzona era frazione di Scaliti, mentre la tradizione popolare dice che probabilmente era anche sede di Gendarmeria e forse per l’importanza dovuta al convento sopra menzionato, era stabilita la data di una o più fiere o mercati, che si svolgevano durante l’anno, nei quali, lo stesso convento esigeva delle gabelle per il sostentamento.

Scaliti e i luoghi di culto Per meglio conoscere la storia di due dei luoghi sacri di Scaliti, è necessario riportare almeno succintamente alcune note biografiche di San Bartolomeo da Simeri CZ. Al secolo Basilio, nato in questa città nel 1050 e morto a Rossano CS nel 1130, il quale, fin dalla giovane età,sulla scia di san Nilo, si diede alla vita eremitica tra le cime della Sila, ed essendo stato scoperto da alcuni cacciatori, che tornando in paese, raccontarono della sua santità, suscitando l’effetto di procurare nuovi giovani che volevano aggregarsi a lui per fare esperienza di vita ascetica, ma egli, non volendo ritornare tra la gente ne aveva negato l’adesione, fin quando, la Vergine Maria non gli apparve in quel luogo, dicendogli di aprire una scuola di anime. Quindi ricorse al patrocinio dell’ammiraglio Cristotalo, uomo di fiducia del re Ruggero d’Altavilla, il quale lo presentò a corte facendogli ottenere quanto necessario per la costruzione di un monastero, che venne edificato tra il 1090 e il 1101, di cui il primo sacerdote e abate fu lo stesso Bartolomeo.Il convento che fu latinizzato fin dalla nascita nel 1105, il Papa Pasquale II lo pose sotto la diretta giurisdizione della santa sede e fu riccamente dotato di possedimenti da parte della corona, e per l’aurea di santità che ispirava, ben accolto anche dall’imperatore di Bisanzio, Alessio e la consorte Irene con tutto il senato, che colmarono di doni Bartolomeo e i suoi confratelli quando si recarono colà per l’acquisto di arredi sacri, codici antichi e manoscritti da trascrivere e studiare. L’eremita prosperò al punto da suscitare l’invidia dei monaci benedettini dell’abazia della Santissima Trinità di Mileto VV, che lo accusarono di appropriazione dei beni dell’ente monastico per fini personali, e addirittura d’eresia, considerato che era un buon amico dei regnanti di Costantinopoli. Per questo motivo, Bartolomeo si dovette presentare a Messina davanti al consiglio della corona per difendersi dalle infamanti accuse e, nonostante tutto, deponesse a suo favore, venne ugualmente condannato al rogo; ma prima di morire, egli chiese ed ottenne di celebrare la santa messa alla presenza dei cortigiani, che rimasero sbigottiti, perché al momento della consacrazione apparve una colonna di fuoco che partendo dai suoi piedi saliva fino al cielo. Alla vista di tale prodigio, tutti gli chiesero perdono e il re non solo lo graziò, ma lo convinse a costruire in quella città il monastero che prese il titolo di “San

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Salvatore”, completato dal discepolo Luca nel 1132. Nel mentre si trovava colà, sentendo che era prossima la fine, nel 1129, Bartolomeo volle rientrare a Rossano dove morì il 17 agosto del 1130, e il martirologio romano ne fissò la commemorazione il 19 dello stesso mese. Alla sua morte, che avvenne in chiarissimo odore di santità, il monastero di Rossano che, inizialmente era stato intitolato a Santa Maria, in onore del venerabile defunto, la dicitura venne integrata con la parola “patir”, che in greco significa padre, proprio come era considerato Bartolomeo dai suoi monaci, quindi, d’allora in poi il titolo al completo fu “Santa Maria del Patir o patire”. Alla dipartita di Bartolomeo i numerosi possedimenti del convento sono stati riconfermati dalla corona al successore Luca e a più riprese elencati in varie documentazioni, bolle ed altre trascrizioni legali, con le quali se ne conferiva il pieno titolo di possesso o di usufrutto ai legittimi destinatari dei beni.

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Chiesa a Santa Maria del patire o Potere Da uno dei tanti scritti detto platea che testimoniano i possedimenti del monastero di Rossano, recante la data del 1114, si evince che, la chiesa di Santa Maria di Scaliti, era un suo possedimento, ma non ci chiarisce da chi è stata fondata, nè l’anno della sua costruzione, nè tanto meno l’esatta ubicazione. Sappiamo solo che portava lo stesso titolo originario del già citato monastero, e che forse in un secondo tempo, anche ad essa, si è tentato di far assumere il titolo definitivo di “Santa Maria del Patire”, che la pietà popolare nel corso dei secoli, ha tramutato in “Santa Maria del potere”. Nel 1130, con l’aurea bolla di Ruggero II, il possedimento venne riconfermato all’abate Luca, che alla morte di Bartolomeo succedette quale

Archimandrita ed Igumeno del Patire di Rossano. Negli anni che seguirono, lo stesso possedimento venne riconfermato una prima volta nel 1198, con bolla del Papa Innocenzo III, e infine nel 1216, dalla bolla di Papa Onorio III. Comunque stando a quanto ci è pervenuto da Giovanni Fiore, intorno alla metà del 17° secolo, la vecchia chiesa, probabilmente orientata verso Ovest, con l’ingresso principale da via Reno salvo altri, sicuramente era costituita da un locale seminterrato, ubicato a Sud Est del paese, esattamente nella piccola piazzetta antistante

l’attuale luogo sacro, il quale ha preso il posto di quello preesistente ed è stato realizzato a cavallo degli anni quaranta e cinquanta del ventesimo secolo. Comunque esso consta di una costruzione di un solo vano , lungo circa venti metri, largo otto e alto altrettanti, con l’abside semicircolare orientato verso Sud, e annessa una sacrestia esterna lungo il muro perimetrale destro osservandola dall’ingresso principale, al di sopra del quale lungo la parete si trovano due finestre semicircolari con la base piana

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rivolta al suolo, per dar luce all’interno attraverso vetri artisticamente decorati con pitture, una delle quali rappresenta la Vergine col Bambino, e l’altra l’eucaristia. Al centro dello spazio che intercorre tra esse, vi è una piccola nicchia che ospita una statua che, probabilmente, raffigura San Basilio e si ipotizza che, forse, faceva parte del sarcofago funerario di Ruggero Sanseverino fatto costruire tra il 1430 e il 1440 dal maestro di Mileto c. d.. L’interno della chiesa non ha stucchi o fregi di particolare valore artistico, nè arredi sacri dello stesso tenore, ma vi sono due opere, una pittorica ed un’altra scultorea di riconosciuta importanza quantomeno per la devozione del popolo di Scaliti.

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Dipinto Maria Santissima del Potere

La prima opera è di tipo pittorico, un tempo situata al soffitto ed in seguito a restauro avvenuto nel 2008 ha assunto un’esposizione a parete, di questa preferiamo riportare integralmente la scheda tecnica della restauratrice, che in maniera esaustiva, ben ne riassume caratteristiche e pregi della stessa.

Relazione:

Sono lieta di riconsegnarvi dopo un non facile lavoro di restauro il dipinto ad olio su tela raffigurante Santa Maria del Potere, il cui titolo è una correzione dialettale di Santa Maria del Patire, chiaramente collegato alla Badia di S. Maria del Patire di Rossano, alla quale nel 1130 Ruggero, conte di Sicilia e di Calabria, concede il convento di S. Maria di Scaliti in diocesi di Mileto. Il dipinto raffigurante la Beata Vergine Maria, seduta su una nuvola e circondata di luce ,tiene in braccio Gesù benedicente con il mappamondo in mano, ai lati in basso sono rappresentati due santi; presenta caratteristiche tecniche esecutive che riconducono alla datazione del 1600. I processi di degrado in prevalenza determinati da cause naturali, da cattive condizioni di conservazione e da restauri precedenti, si sono evidenziati in maniera consistente sia a livello strutturale nell'eccessivo indebolimento del supporto tessile costituito da due parti eterogenei, sia estetico riscontrabile nel progressivo sfaldamento e spolvero degli strati di colore. L'errata esposizione a soffitto del dipinto ha inoltre favorito il degrado meccanico e strutturale evidenziato nel rigonfiamento perimetrale del supporto e nel distacco del film pittorico . Si è reso necessario un intervento di restauro completo dell'opera volto al ripristino del suo equilibrio strutturale, conservativo ed estetico. A seguito della diretta analisi tecnica dell'opera e per una migliore conservazione della stessa a restauro ultimato si consiglia di collocare il dipinto a parete all'interno della chiesa favorendo così migliori condizioni conservative. Nel presentarvi l'opera restaurata dopo un lungo lavoro impegnativo e delicato, utilizzando materiali reversibili, ritengo opportuno ricordare le varie fasi del restauro nel modulo conservativo ed estetico accompagnati da documentazione fotografica di tipo professionale. Le fasi del modulo conservativo: - Test preliminari - Velinatura strati pittorici

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- Rimozione telaio e vecchi elementi metallici - Accurata pulitura tergale meccanica - Giustapposizione di intarsi nelle mancanze di supporto tessile originale - Preconsolidamento degli strati pittorici - Fermatura generale - Consolidamento del film pittorico - Intervento di foderatura previo trattamento conservativo del nuovo supporto tessile - Trattamento locale frontale per lo spianamento e consolidamento delle scodelle di colore - Miglioramento della superficie pittorica - Svelinatura - Collocazione del dipinto su un nuovo telaio progettato per favorire la migliore esposizione conservativa. Le fasi del modulo estetico: t - Prova dei solventi. Test di pulitura - Pulitura graduata chimica e meccanica - Rimozione degli elementi matrici estranei all'esecuzione originale - Colmatura a stucco delle lacune - Astrazione materia con imitazione di superfìcie - Integrazione pittorica delle lacune realizzata con il metodo differenziato senza alterare l'elemento cromatico e figurativo originale - Verniciatura generale a pennello - Perfezionamento dell'integrazione pittorica con colori a vernice - Fissaggio generale conclusivo con vernice a spruzzo. Nel ringraziare quanti hanno voluto e sostenuto suddetto restauro, in modo particolare il vostro parroco Don Giuseppe Lo Presti, il Priore e la Confraternita, non mi resta altro che auspicarvi che questo segno tangibile della vostra pietà popolare accresca filiale e sincero amore verso Colèi che tutte le generazioni chiameranno beata. Sull'esempio dei vostri antenàti non esitate a ricorrere alla Madonna del Potere certi che "qual vuol grazia ed a lei non ricorre, sua distanzia vuol volar senz'ali" (Dante). ROMBIOLO 6 Settembre 2008

Restauratrice Pasqualina Catello

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Scultura lignea La seconda opera è una scultura lignea processionale della vergine del potere con lo scettro nella mano destra, raffigurazione inusuale, ma stando a quello che affermano alcune fonti autorevoli, in questo caso lo scettro simbolo di comando o del potere, sta a raffigurare la potenza di Maria che, forte delle suppliche di quanti sono nel bisogno, a Lei si rivolgono sicuri della sua potenza mediatrice presso il suo unico figlio, Gesù, perché da Lui riesce sempre ad ottenere innumerevoli grazie da dispensare alle anime devote e bisognose dell’amore di Dio. La stessa opera è stata oggetto di restauro, il cui artista, abilmente ne traccia i dati salienti nella relazione che ha accompagnato la riconsegna della statua, e che noi riportiamo qui di seguito.

Relazione

ESIMIO DON SALVATORE CUGLIARI PARROCO DI SCALITI DI FILANDARI

GENTILE SIG. PRIORE PIETRO SCALAMANDRÈ CHIESA MADONNA DEL POTERE

Oggetto: Restauro conservativo della Statua lignea “Madonna del Potere e Bambin Gesù ". Relazione tecnica dello stato di conservazione. L'opera lignea è stata certamente scolpita in legno di tiglio, albero che, alcuni secoli fa, rivestiva copiosamente la superficie boschiva delle Serre. La base reca la scritta: scolpita nell'anno 1860. A proposito vorrei far osservare che questa è stata apposta allorché venne eseguita la costruzione del nuovo scannello. Quindi vorrei far notare, e questo è quello che più interessa a beneficio dell'opera, che la scultura secondo la mia esperienza, potrebbe esser più antica; mi chiedo: quale fonte storica ha determinata quella data? Venne forse tramandata oralmente da qualche persona molto anziana che ricordava la base posta sulla base andata perduta? Dico questo perché, a giudicare dalla linea stilistica mi pare di vedere le opere quattrocentesche del Bellini, o del Verrocchio.- Ella, matrona di bell'aspetto assisa su un trono di nuvola e anche tenera mamma col figlio sulle ginocchia, Ella appare severa e composta nella sua forma stilistica a tutto tondo. Purtroppo le condizioni generali di conservazione sono pessime. Sicché, su invito di Don Salvatore e del sig. Priore Scalamandrè, viene stilato il seguente Preventivo di spesa ed esecuzione tecnica di restauro 06-12-2002 23:24. Fase I disinfestazione ad abluzione e consolidamento della opera lignea a mezzo di antitarlo (marca xilamon, ba-yer per restauro) onde distruggere i

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vari insetti xilofa- gi: tarli, tarme, agenti atmosferici in generale. Consolidamento di parte lignee malferme ove ve ne fossero. Copertura a camera per diversi giorni. Fase II Pulitura ed asportazione di precedenti strati di pittura apposti nel corso degli anni, fino al raggiungimento di possibili esistenti strati di colore originale, ove questi dovessero esistere. Fase III Miglioramento dei vari piani dei panneggi e delle varie parti anatomiche da definire a tutto tondo, per esempio: le dita dei piedi del Bambinello non sono ben scolpiti, essendo probàbilmente consunti e sicuramente anche carichi di vecchie sovrapposizioni di vernice. Fase IV Stuccatura a gesso dorè per doratore, per rendere la superficie uniforme, eliminando in tal modo numerosi e piccoli avvallamenti, nonché vecchie lacune. Fase V Applicazione a stesura del fissativo di superficie preparata per accogliere le tinte. Fase VI Restauro e consolidamento del colore originale, con intervento di integrazione pittorica solo sulle lacune. Fase VII Ove i colori originali non dovessero esistere, si procede ad una stesura di più mani di colore pari all'iconografìa classica. Fase ViIi Preparazione della superficie sia degli orli che delle stelle del mantello, da dorare con oro zecchino a foglia cm.8 x 8 e di k. 24. Preparazione della superfìcie della nuvola che verrà argentata con foglia argento cm. 10 x 10 tit. 800. Brunitura final e a pietra agata. Fase IX Vernice trasparente finale a base di cera d'api. Il compenso viene definito in €. 7.000 (settemila euro)

Soverato 06.12.2002. LABORATORIO DI RESTAURO Maida Luigi

C.da Laganosa 38060 SATRIANO MARINA (CZ)

La Santa Madre raffigurata nella statua di cui si è appena parlato, con sommo gaudio viene portata in processione per le vie del paese il giorno dei festeggiamenti in suo onore, fissati per la seconda domenica di settembre, la quale, certa d’essere amata dal popolo tutto, dispensa ai suoi fedeli grazie e sentimenti di amore materno come solo Lei sa fare. Le due opere sopra descritte, non sappiamo a quale struttura originaria appartenevano, se alla chiesa o al convento accennato nella scheda tecnica, ne in quale anno o periodo detti possedimenti sono stati incamerati dalla diocesi di Mileto; se, il periodo è diverso da quello francese, 1806-1816, durante il quale, il regio demanio, requisì i beni del Patirion e li mise in vendita per finanziare opere pubbliche. Aggiungiamo che non è rimasta traccia alcuna, dell’immagine miracolosa della quale ci ha narrato lo stesso Fiore.

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Confraternita “Maria Santissima del Potere”

La confraternita di Scaliti, intitolata a Maria Santissima del Potere, è nata nel 1862,ed ha come sede la chiesa in cui si venera la Santissima vergine alla quale è intitolata, della stessa non siamo riusciti a rintracciare i dati, relativi al decreto vescovile, né di quello regio che, approvavano e confermavano tale associazione. Comunque essa è aperta a tutti i confratelli e le consorelle che ne vogliono far parte, i quali per appartenervi hanno l’obbligo di essere moralmente degni e in regola con il pagamento della retta d’ingresso e delle conseguenti annualità, inoltre presenziare alle processioni e cerimonie previste dal regolamento interno. I paramenti che la contraddistinguono sono il classico camice bianco con la mozzetta azzurra per i confratelli, mentre il Priore e gli assistenti indossano la mozzetta color oro, anche se, per una ventata di modernità questi abiti cerimoniali sono stati dismessi, e sostituiti con un medaglione cromato e cordone azzurro, dorato per la cattedra, da indossare all’occasione. Essa è governata dal presidente, detto Priore superiore, Camerlengo ecc., e da alcuni collaboratori che prendono il nome di: assistente o consigliere a secondo del ruolo coperto, ed eventuale banchiere dove previsto. Appresso riportiamo i dati, dei componenti l’ultima cattedra eletta dall’assemblea plenaria degli iscritti all’associazione in data 25 11 2012, a partire dal 25 11 2012 e Priore Dicarlo Nicola I° Assistente Tavella Giuseppe II° assistente Vangeli Carmela Segretario e Cassiere Dicarlo Fortunato Consigliere Arena Francesco Consigliere De Carlo Marco Solitamente anche le associazioni laico religiose hanno delle insegne che, vengono messe in mostra nelle cerimonie ufficiali, come nel caso delle processioni, specialmente quando si tratta di quella in onore del santo di cui, la stessa, ne porta la denominazione. Anche la nostra confraternita dispone di un vessillo del quale vanno orgogliosi i confratelli di Scaliti. Esso, è uno stendardo di forma triangolare montato a bandiera sopra una pertica di legno, il cui tessuto di base è una specie di raso grezzo, al centro del quale vi è una pittura su tela cucita allo stesso, di forma ovoidale, adagiata sull’arco di base, alta circa cinquanta cm. e larga quaranta, che, raffigura la Santa Vergine del Potere, mentre la rimanenza del tessuto circostante, è tempestato di stelle ricamate in rilievo color oro. Considerata la vetustà del

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filato abbiamo motivo di credere che lo stesso, risalga al periodo in cui è stato fondato il sodalizio e d’allora in poi, ha sempre presenziato in ogni processione il giorno dei festeggiamenti alla Santa Madre. Tuttavia, per meglio rendere l’idea di come è fatto, alleghiamo una foto dello stesso.

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Convento Santa Maria del Patire

Abbiamo accennato alla bolla aurea di Ruggero II con la quale nel 1130 confermava al Patirion di Rossano i possedimenti della chiesa Santa Maria e del convento Santa Maria entrambi di Scaliti. Della prima ne conoscevamo l’esistenza fin dal 1114, ma del secondo ne siamo gradevolmente sorpresi, perché spunta fuori come per incanto e allo stesso modo si dissolve. Di questo, parimenti alla chiesa non si conosce chi l’ha costruito, né dove sia andato a finire, visto che non vi sono documenti successivi tramite i quali è possibile seguirne le tracce attraverso i secoli, fino a tempi a noi più prossimi. Né ci viene in soccorso la memoria popolare, che solitamente travalica i secoli, adattata, lacunosa, storpiata, riduttiva o fantasticamente ingigantita, ma pur sempre, in tali estremi è possibile scovare un fondo di verità. Né ci sono ruderi visibili nei dintorni dell’abitato che si potrebbero accreditare a questo fantomatico convento. Anche se, una nota molto stringata della sua esistenza, ci viene per la lungimiranza del padre generale dei Basiliani Pietro Menniti, il quale assunse detta carica il 16 maggio 1696,ed avendo intrapreso la visita delle abbazie di appartenenza, dedusse da questa, il cattivo stato in cui versavano le biblioteche nella maggioranza dei vari monasteri, traendo la conclusione che era necessario rispolverare quei preziosissimi: testi, bolle, titoli e manoscritti, abbandonati, per necessità o nequizia, alla muffa e all’umidità, e raggrupparli in due enormi archivi presso altrettante sedi dell’ordine. Fu in questa ricerca espletata tra il 1697 e il 1699, dalla quale risulta che la Grancia di Scaliti intitolata a Santa Maria del patire, ormai ridotta a un monaco ed un solo laico, non diede niente per ottemperare all’iniziativa del Menniti. Aggiungiamo noi, forse, perché in realtà non era solo povera spiritualmente ,ossìa mancante di vocazioni, ma anche di materiale palpabile quali pergamene o libri, per concorrere alla formazione delle due biblioteche volute dal padre generale. Comunque da quest’ultima data in poi non è stato più menzionato in altri documenti di nostra conoscenza, ma cè chi dice che il convento quasi certamente si trovava ad Ovest di Scaliti in località detta “Crisura”, perché sembra che durante i primi anni cinquanta, quando si è cominciato a dissodare il terreno con il trattore raggiungendo profondità mai toccate dalla zappa, nei solchi lasciati dall’aratro, spesso riaffioravano resti di laterizi e pietrame vario che facevano supporre che in epoca anteriore in quel luogo doveva esserci un insediamento sufficientemente grande per accogliere un’eventuale comunità ristretta, che benissimo poteva essere del tipo religioso.

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Miracoli a Scaliti Solitamente i luoghi sacri sono ammantati da un alone di mistero, se non altro, per il fatto stesso, che il dogma di fede dei cristiani è quello di credere in Dio non perché lo si vede, ma perché si deve essere fermamente convinti che Egli esiste, e aggiungo io, per averne la certezza di ciò, basta guardarsi intorno, per capire se quanto ci circonda è dovuto al caso oppure c’è un’entità soprannaturale che noi chiamiamo Creatore, il quale ha voluto tutto secondo un certo ordine, e non solo per questo, ma anche per i tanti miracoli o fatti scientificamente inspiegabili che a volte si verificano per intercessione di un santo. Ciò è sempre successo, e la storia della chiesa è piena di racconti che gioiosamente fanno accapponare la pelle, concorrendo a rinsaldare il vincolo all’Unico e Trino Dio, e al sacro che da esso deriva, legame che in assenza di tali manifestazioni, spesso diviene blando, e lascia correre l’umanità verso l’assoluto ateismo. E in tali casi, chi è la regina di tutte le intercessioni verso Dio? Se non la sua Santissima Madre che da Lui ottiene grazie a piene mani da elargire ai bisognosi dell’amore incondizionato del suo unico figlio. In quest’umile monografia riportiamo alcuni dei tanti miracoli raccontati dal religioso Giovanni Fiore. Nota: Si chiarisce che il testo appresso virgolettato descrivente fatti avvenuti in Scaliti, e contrassegnato dal numero romano XII,è tratto dalla pagina n. 263, del volume Della Calabria Illustrata diGiovanni Fiore, la cui prima edizione venne pubblicata nel lontano 1691. Il testo è già presente sul retro di alcune immagini della Santissima Vergine del Potere, ed è preceduto da poche righe che riguardano altri fatti verificatisi nella vicina Ionadi VV.

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XII IMMAGINE DI S.MARIA, DETTA DEL POTERE IN SCALITI

“È Scaliti un picciolo Villaggio di Mesiano. Fuori di questa abitazioncella si vede una Chiesa antichissima, alquanto sotterranea, e quasi abbandonata, dedicata al Santissimo nome di Maria , di cui l’Immagine è piccola, antica, alquanto nera, con un bambinetto nelle braccia. L’anno 1662, per da quindi passando una donna spiritata, come le fu a fronte , venne trattenuta da mano invisibile, senza potersi non spingersi oltre, non rivolger i passi all'indietro. Accorsero a questo inaspettato avvenimento alcuni del Villaggio, e sospettando di qualche novità, presero ad implorar il nome di Maria, e far violenza a quella meschina per introdurla dentro la Chiesa. La vi condussero, alzando più le voci; ed ecco all’entrare si udì un grande strepito, che recò qualche timore ed avvenne, che la spiritata guardando la sagra Immagine, aprì la bocca , e buttò un fascio di capelli, di mezzi chiodi, ed altre brutture, con ciò rimanendo libera, A questo miracolo si aggiunse il secondo; poiché condottovi un fanciullo storpiato, appena fu a quella Verginal presenza, che riebbe la salute. Con questi miracoli accesa in divozione la gente prese a frequentar la Chiesa, e con le occorrenti elemosine a ristorarla dalle sue rovine. Fu maggiore la maraviglia, quando li tre Maggio dell’anno medesimo concorsa molta gente dell’uno, e dell’altro sesso, e disposta a ‘Cori per cantare il Rosario di Maria, nel mentre già si cantava, estinte d’ improvviso le candele dell’ Altare, fu da tutti veduta una candela accesa nelle mani della sagra Immagine, la quale tanto fu veduta, quanto non fu finito il celestial Salterio. Con ciò più risvegliata la gente vi è più prese a frequentar la Chiesa, corrispondendo di pari la Vergine con le sue grazie. E fra queste una notte di Sabbato, suonando , non tirata d’alcuno, la sua campana , vi concorse un gran popolo, e con esso loro un cieco dal suo nascere, il quale al battersi del petto avanti la sagra Immagine, tosto gli caddero dagli occhi le tenebre, e fu reso veggente. Un tal storpio fè voto, che se la Vergine gli concedeva la salute, egli sarebbe ito per ogni parte a far la cerca per lei, e del ritrovato avrebbe provisto di cera il suo sagro Altare. Ebbe la grazia; onde in essecuzione del voto si pose in busea del denaro, qual se gli donava volentieri a cagione del fine, per il quale si cercava. Ma l’uomo perverso in vece di comprarne le cere, lo perdè nel giuoco; ed ecco, che senza alzarsi da dove sedeva, ritornò allo storpio di prima. Intimorito dal castigo, ma non disperato di una nuova grazia, si fé condurre di nuovo alla Chiesa, ove avanti l'Immagine pentito dell’errore commesso, replicò il voto , ed ecco , o gran pietà della Vergine! al punto medesimo riebbe la grazia già perduta; ma divenuto a sue spese più saggio, come fu sollecito nella cerca, così lo fu fedele nell’applicazione del danaro.”

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Devozione a Maria Santissima del potere Festeggiamenti in suo onore la seconda domenica di settembre

Recita e canti della novena di autore sconosciuto

Gloria al Padre al Figlio e allo Spirito Santo.

Come era in principio, è ora e sempre, nei secoli dei secoli Amen. CANTO: O dei secoli promessa Bella madre del Signore A te volgo pien d'amore Il mio cantico fedel. Del potere Vergin pia Prega tu per l'anima mia. PREGHIERA Vergine del Potere, ecco il tuo devoto popolo, genuflesso davanti al tuo stellato trono, riconoscendoti per madre potentissima, Regina del cielo e della terra, chiede il tuo patrocinio, affinché con la tua protezione, possa ottenere tutte le grazie di cui ha bisogno. Ave Maria... Gloria... CANTO Dio ti scelse fra le donne Arca santa del riscatto, Pur annunzio del gran parto Porta fulgida del Ciel, Del potere vergine pia. Prega tu per l'anima mia. PREGHIERA E' vero, o Vergine SS. del Potere, che tu sei il tesoro di tutte le grazie, che per mezzo tuo vengono a tutta l'infinita progenie di Adàmo. Deh, volgi benigna lo sguardo alle nostre miserie. Se ci vedi privi della grazia del Signore, pregalo che ci faccia conoscere il nostro infelice stato, piangere i nostri peccati e così sfuggire l'eterna pena del'inferno.

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Ave Maria... gloria... CANTO Or che siede sulle sfere e di stelle e di corone Il tesor di tutti i doni Il Signor ti confidò, Del potere Vergin pia Prega tu per l’anima mia PREGHIERA Vergine del Potere, conoscendo purtroppo la nostra fragilità e debolezza, le insidie, le frodi del feroce nemico infernale che tenta sempre di far perdere l'anima nostra, a te ci rivolgiamo, onde, nell'agòne di questa vita, con la tua infinita potenza, ci concedi la forza necessaria per vincere la suggestione del demonio, comprendere le sue trame e sfuggirle, così combattendo da forti possiamo meritare la corona della gloria. Ave Maria... gloria... CANTO Mi proteggi nel cammino Della vita dolorosa E nel giorno del riposo Il tuo nome loderò Dal Potere Vergine pia Prega tu per l'anima mia. PREGHIERA O vita delle anime nostre e aiuto potente dei miserabili, Vergine del potere, noi ci affidiamo al tuo potente patrocinio e per il tuo ardente amore, che hai sempre mostrato per i tuoi devoti, Ti preghiamo di ottenerci il perdono dei nostri peccati ed un continuo dolore per averli commessi. Ave Maria... gloria...

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CANTO Santa Vergine Maria Io ti prego per pietà. Empi tu l'anima mia D'innocenza e di bontà. Del potere Vergine pia prega tu per l'anima mia. PREGHIERA O dolcezza dei nostri cuori Vergine del Potere, noi confidiamo sempre nel tuo potente patrocinio, e per quella sollecitudine che il tuo tenero cuore ha sempre avuto fa la salvezza delle anime nostre, ottienici la grazia, di fuggire sempre le occasioni del peccato e di tenerci lontani, dai tanti pericoli che ci circondano. Ave Maria... gloria... CANTO Debil sono in questo mondo Non so vivere da me, E però non mi nascondo il bisogno che ho di te De Potere vergine pia Prega tu per l'anima mia. PREGHIERA Poiché da noi stessi non possiam fare cosa alcuna, essendo troppo deboli, tutto da te aspettiamo, conoscendo la tua infinita potenza e bontà. O Vergine SS. del Potere, ti preghiamo a non rigettare le nostre suppliche, ma come madre dei peccatori sempre inclinata, come dice San Bernardo, al bene dell'umanità, accògli le nostre preghiere. Quando siamo afflitti dalle tribolazioni e dalle miserie della vita, a te ci rivolgiamo per non essere da essi sopraffatti, e se per disgrazia, siamo in peccato mortale, facci comprendere il nostro infelice stato e dacci la forza di convertirci prontamente al Signore, per fuggire l'eterna pena dell'inferno e procurarci la gloria del paradiso. Ave Maria... gloria...

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CANTO Dunque a te mi raccomando: il mio cuore a te lo dò Oggi e sempre fino a quando Su nel ciel con tè vivrò Del potere Vergine pia prega tu per l'anima mia. PREGHIERA Concedi ai tuoi fedeli, Signore, Dio nostro, di godere sempre la salute del corpo e dello spirito e per la gloriosa intercessione di Maria santissima, sempre vergine, salvaci dai mali che ora ci rattristano e guidaci alla gioia senza fine. Per Cristo nostro Signore. Amen. oppure... Ci soccorra, Signore, l'intercessione della beata Sempre Vergine Maria, perchè liberi da tutti i pericoli possiamo godere la tua pace. Per Cristo nostro Signore. Amen.

Vergine bella Vergine bella del gran potere ecco il tuo popolo a te fedele, con inni e canti prostrati a te, col tuo potere prega per me. E quel giorno così solenne resta a noi miseri così perenne, per ogni grazia ricorro a te, col tuo potere prega per me. Proteggi i tuoi figli che son da lontano col loro obolo porsero la mano per costruire questo tempio a te, col tuo potere prega per me. E noi pure siamo felici che tu proteggi il tuo Scaliti per questo tempio fatto per te col tuo potere prega per me. Io ti saluto Vergine bella tu che ci guidi su questa terra, e nell'ora dell'agonia io ti saluto ave Maria.

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Chiesa di San Pietro Sede parrocchiale

La genesi della suddetta chiesa, ha radici provenienti da altra comunità confinante col territorio di Scaliti, ed esattamente da quella di San Calogero. Infatti presso la periferia Ovest di quel paese in una grande estensione d’ulivi detta “Torre di Campo località San Marino”, sorgeva un convento basiliano col titolo di “San Calogero” dal quale, il paese omonimo prese il nome, costruito intorno all’undicesimo secolo. Lo stesso, probabilmente per mancanza di vocazioni e di altre reddite necessarie al sostentamento, essendo stato abbandonato e ridotto a beneficio semplice, Il 14 settembre 1564, dal vescovo di Mileto Quinzio de Rusticis, venne concesso al rettore di Scaliti D. Gio. Domenico Marasco “187”. Il religioso destinò i proventi affidatigli, per edificare la chiesa in questione che avvenne intorno al 1586, secondo la Visita di Mr del Tufo al fol: 161 a t:o. Sicuramente lo stesso don domenico M. fu anche il primo sacerdote a celebrare la messa nel nuovo tempio, innalzato a Dio e al suo successore in terra, ma a quanto pare la chiesa originaria eretta dal Marasco, venne rasa al suolo dal terremoto del 1908, e sostituita con quella attuale costruita a

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cura dell’UTD. Essa, sorge lungo la via Garibaldi ad Ovest di Scaliti, a circa quattro metri di altezza dal suolo stradale e vi si può accedere tramite un’ampia scalinata, ma esce dal novero delle chiese orientate ad Est, come solitamente si edificavano dal II° al XVI° secolo, in quanto è orientata verso ponente. Sostanzialmente è costituita da un unico vano, lungo circa venti metri largo otto e altrettanto alto, con l’abside semicircolare, e annesse canonica e sacrestìa esterne ubicate a destra dell’ingresso principale. Il suo interno non ha particolari pregi costruttivi e artistici di rilevante importanza, se non qualche fregio in gesso, ne vi sono arredi sacri di questa levatura. Diciamo che il vero valore sono le statue in essa contenute, se non altro, per l’affetto devozionale con cui i fedeli le curano e custodiscono. Tra esse, ve ne sono due dedicate al Santo Patròno, delle quali, non si conosce la data di realizzazione. Quella che, probabilmente è la più antica, è stata costruita in cartapesta e rappresenta San Pietro pescatore, l’altra raffigura sempre lo stesso Santo ma nelle vesti di vescovo, ricavata con calco in gesso, ed è quella che viene portata in processione lungo le vie del paese il giorno dei festeggiamenti che il martirologio Romano ha fissato il ventinove di giugno.

Censimento Diocesano

Per completare la narrazione storica della nostra parrocchia fino ai giorni odierni, riteniamo doveroso e opportuno riportare integralmente la seguente scheda, a suo tempo compilata dall’incaricato diocesano e già pubblicata nel volume: Tabularium Mileten Ricerche, Studi, Documenti. Gli archivi Parrocchiali Della Diocesi di: Mileto, Nicotera, Tropèa. 1° censimento A cura di: Filippo Ramondino e Antonio Tripodi. Parrocchia di San Pietro Scaliti Comune: Filandari Vicariato: Mileto Locali: Sacrestia. Dicreti Arredi: Mobile a vetro, chiuso a chiave Documentazione: Scarsa. Solo registri parrocchiali estremi cronologici: 1854-2003

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Ordinamento: Buono Stato di conservazione: Buono per i registri correnti. Incompleti e in cattivo stato quelli

precedenti Proposte d'intervento: Si consiglia di raccogliere in cartelle chiuse i registri più antichi, in

attesa di operazione di restauro Dati complessivi: Regg. 14, cart. 1 Sigilli e timbri antichi: Nessuno Nota: Parrocchia eretta verso il 1586 con beneficio proveniente dal monastero basiliano di

San Calogero. Nelle donazioni fatte da papa Innocenzo III nel 1198 alla Badia di S. Maria del Patire di Rossano si nomina la chiesa di S. Maria di Scaliti, dove tuttoggi è venerata Maria SS. del Patire o del Potere. La chiesa parrocchiale è stata ricostruita dopo il terremoto del 1908 a cura dell'UTD

Data del censimento: 20.03.2003

Inventario sommario

REGISTRI DI BATTESIMO /. 1907-1977 2. 1977-1999 3. 2000-2003

REGISTRI DI CRESIMA /. 1854-1976 2. 1976-1998 3. 2000-2003

REGISTRI DI MATRIMONIO /. 1855-1905 2. 1907-1945 .?. 1945-1999

REGISTRI DEI MORTI/. 1855-1888 2. 1907-1927 3. 2000-2003

REGISTRI DI CASSA /. 1994-2003

BOLLETTINO DIOCESANO Annate 1997-2003

4. 2000-2003 2.

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San Pietro Apostolo Patrono e titolare della parrocchia di Scaliti

Ricorrenza 29 giugno

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Novena in suo onore 1)…O Glorioso Apostolo San Pietro, che avesti una fede così viva in Gesù Cristo da confessare per primo che lui era il figlio del Dio vivente e che lui solo aveva parole di vita eterna e obbediente alla sua volontà ricominciasti la pesca gia tentata inutilmente tutta la notte e camminasti sulle acque, fa che anche a noi sia concessa la grazia di essere disposti a fare ciò che il Signore ci comanda per bocca dei suoi ministri. Gloria al Padre al Figlio e allo Spirito Santo Com'era nel principio, è ora e sempre nei secoli dei secoli. Amen Canto: Lo stupore d'una rete., che si gonfia dentro l'acqua Quegli amici un po' sconvolti, che ti dicono è il Signore, è il Signore. Rit. Pietro., mi ami tu? Pietro mi ami tu? "Ti amo o mio Signore. Ti amo e tu lo sai Ti amo o mio Signore. Ti amo e tu lo sai". 2) O glorioso Apostolo San Pietro che avesti una così grande umiltà da ritenerti indegno di stare d'avanti al Signore quando,sul lago di Tiberiade, vedesti il segno della pesca miracolosa, fa che anche a noi sia concessa la virtù dell'umiltà per riconoscerci immeritevoli delle numerose grazie che Iddio ci elargisce e ascoltare e praticare I i buoni consigli che ci vengono dal nostro prossimo.Gloria al Padre.... Canto: Pietro nudo sei.ripensi a quel momento del tuo tradimento nella notte... e Di fronte ad una serva non volevi comprometterti per lui.. Rit. 3) O Glorioso Apostolo San Pietro,che tanto amasti il Signore che esultasti quando fosti maltrattato dal Sinedrio per Causa sua e fosti ricolmo di gioia quando per il suo nome ti crocifissero sul colle Vaticano,fa che anche a noi sia Concessa la grazia di testimoniare,anche fino al sacrificio della vita,la fedeltà al Divino Maestro e di sopportare con pazienza le avversità di ogni giorno. Gloria al Padre... Canto: Sui carboni c'era pesce., e il pane quasi fresco.. E il Maestro ritornato,dalle strade della morte...della morte… Rit.

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4) O Glorioso San Pietro,che cancellasti con le lacrime di un sincero pentimento il triplice rinnegamento commesso fa che anche a noi sia concessa la grazia di un sincero pentimento dei nostri peccati e del fermo proposito di non commetterli mai più, Gloria al Padre..... Canto: Pietro parla a tè.ti butta addosso gli occhi e forse a perdonato quella notte, ma senti lui ti chiede se ora puoi, comprometterti per lui. Rit. 5) O Glorioso Apostolo San Pietro che fosti costituito capo del collegio Apostolico e pastore di tutta la chiesa, fa che anche a noi sia concessa la grazia di rimanere sempre nella comunione ecclesiale, fedeli agli insegnamenti del Papa,tuo successore alla guida della Chiesa,e dei Vescovi in comunione con lui.

Gloria al Padre.... Canto: Abbi cura dei fratelli., te li affido; io mi fido.. E da vecchio forse andrai, dove tu non vuoi andare..Pietro lo sai. Pietro ora lo sai..lo seguirai per sempre Fino a morir per lui sopra una croce... Allora capirai cosa vuol dire: Compromettersi per lui... Rit.

PREGHIERA A SAN PIETRO: O Patrono glorioso di Scaliti, o Apostolo San Pietro, capo del collegio Apostolico, coraggioso annunciatore del Vangelo, pietra su cui Cristo edifica la sua chiesa, Maestro di retta dottrina, che per la tua fede viva e il tuo amore hai ricevuto dal Signore Gesù Cristo per te e per i tuoi successori, le chiavi del regno dei cieli e il compito di pascere come suo Vicario in terra, il suo gregge che è la chiesa. Fa che come te, pieni di fede e di amore siamo sempre pronti a seguire la parola del maestro divino, che ci viene rivolta tramite la Santa Chiesa. Ottienici con la tua preghiera e il tuo Patrocinio un sincero pentimento delle nostre colpe e aiutaci a sopportare, con cristiana rassegnazione le avversità della vita, per poter un giorno, in Paradiso, contemplare insieme a te il volto del Signore Gesù. A lui onore e gloria con il Padre e lo Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.

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Aneddoti sulla figura di San Pietro

Spesso la memoria popolare ci riporta racconti fantastici, che ne esaltano le qualità dei Santi trasformandoli in eroi epici, i quali conseguono sempre dei risultati sbalorditivi, per le vittorie riportate sul maligno, che sprigionandosi dalle tenebre inonda il creato cercando di indurlo a commettere il male. Allo stesso tempo, non dimentichiamo che anche i santi sono stati uomini e donne che hanno avuto la vita come un qualsiasi essere umano, quindi, come tali saranno stati giocherelloni, burberi o tristi, ecc., e a quanto pare una volta divenuti santi si sono presi anche qualche rivincita punendo sonoramente qualcuno che ha abusato della loro bontà. Noi qui abbiamo riportato qualche simpatico quadretto non offensivo del comune pudore, sul nostro beneamato San Pietro, il quale, come raccontano alcuni films, prima di essere un discepolo di Gesù, non era un vero e proprio stinco di santo, insomma non si faceva mettere sotto i piedi.

I tri ammazzati Nella comunità di Scaliti esistono ancora delle leggende spacciate per tremende verità che, chiamano direttamente in causa il loro patrono e protettore San Pietro. Infatti, durante i giorni di novena a lui dedicata, tra le case del villaggio sembra aleggiare, uno strano quanto diffuso timore, perché si racconta che, se i festeggiamenti non vengono preparati in modo adeguato e seguiti con assoluta devozione, il capo degli Apostoli se ne ha a male, e nel giorno a lui dedicato, chiede a Dio Padre una severa punizione per quelli che sono stati fedeli tiepidi e non ferventi, e in particolare, la vita di tre persone, che devono perire in tre modi diversi e altrettanto violenti: “una impiccata, una annegata e un’altra ammazzata per mano omicida”. Noi crediamo che tale diceria non ha nessun fondamento, per il semplice motivo che un santo, sicuramente non vuole il male di alcuna creatura, e tanto meno dei suoi devoti perché non si è mai detto che un santo abbia commesso il male da quando ha conosciuto l’amore di Dio. E l’agire come un semplice Caino mal si coniuga con l’amore per la fratellanza, e Dio non ha questo tipo di amici. Nonostante ciò, la comunità osserva strettamente questa tradizione per paura di incappare nelle ire del santo.

‘I lampadini ‘i san Petru Si dice che, il presente episodio, in parecchie occasioni è stato narrato dalla medesima persona coinvolta nella vicenda, ed anche se, a distanza di tempo, dalle sue parole traspariva ancora un comprensibile timore per quanto

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aveva sperimentato a sue spese. Il fatto avvenne tra il 1952 e il 1984, quando sacerdote di Scaliti era Don Eugenio Colloca, il quale vedendo le ristrettezze economiche in cui versava la comunità, decise di andarle incontro alleviandola da ulteriori spese, che indirettamente gravavano sul già magro bilancio famigliare. Infatti pensò di limitare il consumo di energia elettrica della chiesa e quindi il pagamento di onerose bollette. Secondo il suo intendere, bastava limitare il numero delle lampade votive accese davanti alle statue dei santi e spegnere del tutto le altre, per concorrere al risparmio di qualche soldo che non guastava. Non sappiamo se il tanto zelo d’altruismo verso la comunità da parte del religioso sia stato il vero motivo o piuttosto un mero interesse personale, ma sta il fatto che una di quelle brutte serate invernali in cui il rombo dei tuoni squarciava la quiete della notte e i fulmini incendiavano il cielo, mentre l’acqua veniva giù a torrenti, indusse il religioso a smontare le lampadine, che illuminavano proprio la statua di San Pietro per farne un uso meno dispendioso, anche se, maliziosamente, non manca chi asserisce, che le stesse, le abbia utilizzate per illuminare meglio la canonica, senza doverne acquistare altre. In questo modo, egli avrebbe risparmiato per le proprie tasche e non per il bene dei parrocchiani, come ipocritamente andava dicendo. Ma a quanto pare aveva fatto i conti senza l’oste, infatti, il giorno dopo, nel celebrare la messa del mattino si presentò alla comunità, coperto di lividi su tutto il corpo, e ai fedeli che ne domandarono il motivo, egli alquanto imbarazzato, sconvolto e forse pentito del gesto di egoismo personale e di poco rispetto per il Santo, dovette ammettere raccontandone i particolari, che durante la notte aveva ricevuto un’insolita visita. San Pietro, avvicinatosi al suo letto, l’aveva svegliato, rimproverato e punito tanto selvaggiamente, per averlo lasciato al buio. Al di là della veridicità o della strumentale narrazione della vicenda, una cosa è certa, la comunità di Scaliti ha una particolare devozione per il Santo patrono e per la Madonna del Patire, non sappiamo quanta dovuta alla fede e quanta alla superstizione o la paura, ma sostanzialmente da sempre ha dimostrato di concorrere alla vita Cristiana della chiesa.

San Petru e ‘a cucuzza Si dice che, durante i tre anni di vita pubblica, Gesù andava in giro con i suoi discepoli, annunciando il Vangelo nella città di Gerusalemme, in Samarìa, Galilea, Giudea e in Palestina. Un giorno di particolare calura tutto il gruppo si fermò per riposare all’ombra di un’enorme quercia. Sotto questa c’era una pianta di zucca con dei frutti, dove si svolse u dialogo tra San Pietro e Gesù Pietro - Maestru, Tu non facisti i cosi giusti! Gesù - Pecchì, Petru?

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Petru - Facisti ‘sta sorta d’arburu grandi cu ssi frutti tantu picciriji mentri ‘sta raga ‘nterra, ammustrandu ‘a cucuzzara , àvi frutti tantu grossi, non ti pari c’àvivi u nci duni i frutti grossi all’arburu e chiji picciotti a ‘sta ierba cca ‘nterra? Gesù – Allura, Petru sarìa megghiu comu dici tu? Petru - Certu Maestru! Come per incanto avvenne come aveva detto San Pietro, e quest’ultimo ne fu contento. Ma dopo qualche minuto, mentre discutevano animatamente, un leggero soffio di vento incominciò a far cadere le zucche dall’albero e caso volle che solo San Pietro venne colpito in piena testa da una zucca che si era staccata dal ramo. E così da quel momento in poi San Pietro divenne calvo in prossimità del punto dove ad alcuni religiosi viene praticata la chierica. Forse d’allora questo tipo di calvizie venne chiamata “tigna” e probabilmente da ciò il famoso proverbio: ài ‘a tigna comu San Petru. Fu così che il capo degli Apostoli si dovette ricredere sull’operato di Dio nella creazione delle cose.

‘A furbizia ‘i San Petru In uno dei tanti viaggi che Gesù fece assieme agli apostoli, li volle mettere alla prova. Infatti, mentre camminavano lungo un sentiero tortuoso, a un certo punto disse loro: Gesù - Viditi ca nci su’ di ‘sti petri, pigghiamundi una lunu, cà cchiù avanti c’è ‘nu malu passu, cusì ‘i iettamu jà inta e potìmu passari. Ognuno prese la pietra che ritenne opportuno e San Pietro il sasso più piccolo che trovò. S’incamminarono per raggiungere il punto dove guadare il fiume, ma con loro stupore videro che il maestro con un miracolo appianò il passo e non c’era bisogno delle pietre. E siccome nel frattempo si era fatto mezzogiorno, Gesù disse: sedetevi. E dato che, non avevano niente da mangiare, alzò gli occhi al cielo e dopo aver impartito la benedizione su tutto il gruppo, la pietra che ognuno aveva in mano si tramutò in pane e Gesù continuò dicendo che potevano mangiare. Chi aveva preso una pietra grande si saziò, ma il povero San Pietro che si era risparmiato restò morto di fame. Dopo aver mangiato e conservato la rimanenza nella bisaccia, si alzarono per ripartire e tutti passarono il fiume a piedi asciutti. Nel tardo pomeriggio mentre camminavano, Gesù disse:

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Gesù - Pigghiamu ‘na petra lunu ca cchiù avanti à mu acchianamu ‘nu malu passu. Allora San Pietro si caricò sulle spalle un macigno enorme dicendo fra se: Pietro - ‘Sta vota non mi frica! Ma giunti sul posto da passare, Gesù disse: Gesù - Iettatili cca intra ssi petri. Gli Apostoli obbedirono colmando il fossato con quei sassi, e Gesù aggiunse : Gesù - Mo assettàmundi ca ndi mangiamu ognunu ‘u pani chhi ndi restàu oi. Così il povero San Pietro ancora una volta si vide ritorcere contro, la sua presunta furbizia.

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Figli di Scaliti da ricordare

Don Giuseppe Pagnotta Detto “’u previti di’ Chiuppi”

Per l’affetto, che mi lega a Scaliti, dove vivono ancora parenti e amici, mi sembra doveroso ricordare tra queste umilissime righe alcune persone, che per ragioni diverse, a mio avviso, si sono distinte e hanno suscitato in me curiosità, interesse e meraviglia. A questo proposito, voglio iniziare proprio in ordine progressivo di nascita, cominciando da Don Giuseppe Pagnotta, Sacerdote assai diverso da tutti gli altri e sempre attento ai bisogni delle persone e della nostra comunità. Non sembri esagerato, perciò, se oso affermare che sacerdoti, come lui, oggi, forse, non ne esistono più. Nato a Scaliti il 17 01

1907 da Domenico e Corso Pasqualina, ebbe, come tanti altri bambini, un’infanzia assai difficile e problematica. Ma grazie alla madre che, visto i risultati conseguiti, dovette essere una donna coraggiosa e disposta al sacrificio per il benessere dei figli. Seguito e fortificato dall’esempio dei genitori, il piccolo Giuseppe seppe accettare, affrontare e superare le tante difficoltà, incontrate in un ambiente, nel quale non mancavano miseria, pettegolezzi e violenza, perché qualcuno lassù aveva delineato per lui il sentiero da percorrere. Infatti, da bambino fu mandato nel pontificio seminario diocesano "San Pio X" di Catanzaro, che venne distrutto da un incendio qualche tempo dopo la sua ordinazione sacerdotale. Fu proprio lì che Giuseppe studiò con impegno e con quella tenacia, che l’ha sempre distinto. In quel seminario, terminò gli studi nel lontano 1936, anno in cui divenne il sacerdote, “Don Giuseppe Pagnotta”. Dovettero passare, però, due anni, prima che gli venisse assegnata una parrocchia. Infatti, nel 1938, secondo un calendario da lui medesimo stabilito, iniziò a celebrare messa contemporaneamente in due parrocchie, e cioè a Papaglionti e in quella di’

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Chiuppi, divenuto in seguito Mesiano. Fu proprio in quest’ultimo paese che Don Giuseppe veniva chiamato con l’appellativo “l’acciupreviti di’ Chiuppi”. L’affidamento delle due parrocchie, che all’inizio sembrava momentaneo, divenne, invece, definitivo, perché in entrambi i paesi don Giuseppe rimase per quasi mezzo secolo, distinguendosi sempre per impegno pastorale e civile. Quando poi fu avanti negli anni, seppe farsi da parte con ammirevole umiltà e nel 1984 cedette alle nuove leve la guida spirituale delle due comunità. Grazie alla sua opera instancabile, anche se in tempi diversi, arrivarono in entrambi le comunità l’energia elettrica, l’acqua, le strade asfaltate e la linea telefonica, che migliorarono le condizioni di vita degli abitanti e strapparono questi due piccoli centri ad un quasi totale isolamento. A Mesiano, in particolare, lasciò un appezzamento di terreno, su cui creare qualcosa per migliorare le condizioni individuali e sociali dei bambini. Quando egli stesso aprì a Mesiano il primo asilo infantile, fu grande la gioia di tutti ed anche quei pochi, che l’avevano guardato con diffidenza e sospetto, dovettero ricredersi e imparare ad apprezzare l’onestà e le molteplici attività di questo prete, diverso, attivo e coraggioso. Del resto, come non amare chi aveva dedicato tutte le proprie forze psicofisiche, per sopperire alle necessità di entrambi le comunità, sotto l’aspetto religioso e umanitario. Non bisogna dimenticare nemmeno che negli anni 60 Don Giuseppe insegnò religione all’Istituto Tecnico Industriale di Vibo Valentia, dove fu apprezzato da tutti anche come docente. Se io l’ammiro per questi suoi molteplici impegni e qualità, di cui ho sentito parlare da altri, ricordo bene che, fino alla morte, egli continuò a celebrare messa con le spalle, rivolte ai fedeli, anche dopo le innovazioni liturgiche, apportate dal concilio vaticano II. Suscitò non poca curiosità il fatto che, dopo aver ceduto le due parrocchie ad altri sacerdoti, egli continuò a celebrare la messa tutte le mattine nella cappelletta di famiglia nel cimitero del comune di Filandari. Don Giuseppe era veramente sacerdote-uomo e come tale non di rado si univa a vecchi compagni o a persone anziane per qualche partitina a carte indispettendosi quando la sorte lo abbandonava profferendo: “quando ‘a carta non ti voli!” e non disdegnava di tanto in tanto degustare un bicchiere di buon vino. Se questo suo comportamento, ritenuto discutibile dai ben pensanti della zona e, forse, anche all’interno della curia, Don Giuseppe in questo modo continuava a svolgere la sua funzione educativa. Fu proprio per questa sua insolita presenza in luoghi, generalmente considerati di “perdizione”, che diminuirono sensibilmente litigi e risse. Come si può vedere nel famoso film “Don Camillo e Peppone”, anche il nostro sacerdote si spostava spesso con il fucile a spalla, quando di’ Chiuppi andava a Papaglionti e viceversa. Anche questo suo comportamento, poco consono alla persona e alla funzione di un sacerdote, scandalizzò molti degli abitanti delle due comunità e dei circondari. Don Giuseppe, però, era fatto così e

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così bisognava accettarlo, apprezzarlo ed amarlo, anche perché, durante il suo apostolato, non si limitò a guardare dalla finestra le miserie della gente, ma, si espose e s’impegnò sempre in prima persona. Per questa ed altre sue abitudini insolite fu chiamato: “l’Acciupreviti di’ Chiuppi”, il “prete contadino” e il “prete cacciatore”. Don Giuseppe non se la prese mai per questi appellativi, peraltro appropriati, ma, probabilmente in cuor suo se la rideva per quella sua spiccata e bonaria capacità di scherzare su tutto. Desidero concludere questo breve contributo, ricordando che per la sua voglia di vivere, “l’Acciupreviti di’ Chiuppi”, nonostante la dolorosa frattura di un femore, volle festeggiare il suo centesimo compleanno a Vena, frazione di Vibo Valentia, insieme a parenti e amici. Il nostro amato “sacerdote cacciatore e contadino” morì l’undici novembre del 2010 alla veneranda età di 104 anni, lasciando un vuoto incolmabile fra quanti lo conobbero ed apprezzarono.

Giuseppe Porretta Detto “Peppi ‘u postèri”

La figura di questo simpatico signore, ogni tanto riemerge dai ricordi della mia fanciullezza e lo vedo ancora sbucare da qualche vicolo, un po’ affannato con la fronte madida di sudore quando durante le ore centrali delle giornate estive, il caldo afoso metteva a dura prova anche provetti podisti, e lui panciutello com’era e avanti negli anni, ogni tanto si levava il berretto a visiera, e dopo essersi ventilato un po’ riprendeva il cammino. Il suo mestiere era quello del portalettere, ed andava di paese in paese lungo le frazioni di Filandari, comune compreso, trascinandosi a tracolla una pesante borsa di cuoio, piena di lacrime, di baci, di abbracci e tanti saluti racchiusi in quelle lettere che giungevano da lontano da parte di quegli emigranti che avendo lasciato l’amata e i pargoli, ma con la segreta speranza di rivedersi erano partiti in cerca di lavoro, per il pane quotidiano. Giuseppe è come fosse stato il capo dinastico di altri portalettere ed impiegati postali che diligentemente e con onestà hanno espletato e continuano ancora oggi a svolgere il loro lavoro.

Pietro e Francesco Porretta Figli del sopra citato Giuseppe

Anche i due fratelli Pietro e Francesco, con la loro laboriosità e umile vita hanno saputo trasmetterci valori, ormai, forse, perduti per sempre. Nati entrambi, intorno agli anni venti del secolo scorso, da una famiglia di modeste condizioni socioculturali, sono riusciti a realizzare importanti obiettivi, nonostante la situazione di partenza e le difficoltà del tempo, in cui

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vissero. Per Pietro, il primo grande ostacolo si presentò quando, ancora bambino, capì che Francesco, il suo nuovo e amato fratellino all’età di tre o quattro anni, probabilmente a causa di un virus era divenuto cieco. Inizialmente, pensava che la mancanza della vista fosse una malattia, da cui si poteva guarire con farmaci o con qualche carezza ed anche se, aveva altri fratelli e sorelle, sviluppò inconsapevolmente nei confronti del piccino un naturale senso di protezione, come del resto vedeva fare agli altri membri della famiglia. Quindi, con la spontaneità e l’innocenza dei bambini, cercava di coinvolgerlo nelle diverse attività ludiche, in cui egli si sentiva il protagonista. Per questo malaugurato handicap, non vissero molti anni insieme, perché intervenne un incomprensibile e doloroso distacco dall’amato fratello. I genitori, infatti, convinti che anche Francesco dovesse e potesse avere un’adeguata istruzione, lo portarono a Lecce in un istituto per ciechi, lontano dal proprio paese e dall’ambiente naturale e familiare. Aiutato dagli stessi genitori, il piccolo Pietro si rese gradualmente conto che solo in una scuola speciale il congiunto avrebbe potuto avere un’istruzione, imparando a leggere e a scrivere, come gli altri. All’inizio, per Pietro e Francesco, che erano quasi coetanei, fu come morire. Passarono, così, diversi anni ed il bambino crebbe con un grande peso nel cuore e con un ingiustificato senso di colpa, che rischiò di compromettere il suo normale sviluppo psicofisico. Ma nonostante la lontananza e la sofferta situazione, i due germani, si sentirono sempre vicini e uniti, perché ogni anno Francesco lasciava l’istituto e rientrava in famiglia e a Scaliti, il loro amato paesino. Ogni volta, con il sole o con la pioggia, Pietro si recava alla stazione e aspettava anche per ore l’arrivo del trenino, che gli portava il caro fratello. Quando lo vedeva scendere dalla scaletta, ignaro del pericolo, gli correva incontro e se lo stringeva al cuore con tanto trasporto e non poche lacrime. Ed ogni volta, era come se fosse il primo incontro. Cominciavano a raccontarsi fra un singhiozzo e l’altro, le esperienze e le nuove conoscenze fatte nell’ultimo periodo. Francesco, in particolare, parlava con entusiasmo dei suoi compagni, delle istitutrici e della maestra, di quello strano modo di leggere e scrivere, e dei grandi plastici, sui quali studiava la geografia, mentre Pietro ascoltava con attenzione e non perdeva nessuna delle tante parole, pronunciate dal fratello, e per prolungare quel loro scambio di confidenze, spesse volte, preferivano percorrere a piedi la non breve distanza, piuttosto che, come voleva il padre, salire sul carro, tirato da grossi buoi, perché loro incuranti della fatica, stringendosi e accarezzandosi, come due gattini che fanno le fusa, continuavano senza posa il loro chiacchiericcio. Così succedeva ogni volta, che i due fratelli potevano trascorrere insieme alcuni giorni di vacanza, perché sembravano rinati a vita nuova tanto erano felici. Di conseguenza, anche in famiglia si creava magicamente un’ atmosfera di gioia e di crescente solidarietà. Io frugando nei ricordi, rivedo Pietro sposato, e proprietario di un piccolo

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negozio di generi alimentari con annessa una stanza, adibita al giuoco delle carte per le sole persone anziane. Anche se, oggi sembra incredibile, che quel modesto locale allora fungeva da supermercato e sala di incontri ludici e di socializzazione. Ancora oggi mi sovviene che, oltre a gestire il suo modesto esercizio, svolgeva pure l’attività di portalettere, subentrando al padre ormai in quiescenza. Ovviamente, conosceva tutti ed era anche l’unico operatore postale dell’ufficio di Filandari inquadrato in questo ruolo, e serviva con efficienza l’intero comune. Ricordo che ogni mattina, si recava in sede, per ritirare la posta, che poi consegnava ai cittadini di Filandari, Arzona, Pizzinni e Scaliti, centro, che serviva per ultimo, mentre, stanco e accaldato d’estate e infreddolito o, peggio ancora, bagnato di inverno, ritornava a casa per il meritato riposo. Il servizio, naturalmente, era svolto senza l’ausilio di alcun mezzo, ma con la carrozza del “barone ‘Nando, prima a piedi e poi camminando”, il più antico e, forse, sicuro mezzo di locomozione. Ed aveva ereditato dal padre anche la fatica aggiuntiva, di ritirare i plichi postali sull’attuale provinciale 17 in località detta: “Annestu, ossìa all’incrocio del bivio per Filandari”. Per capire quanto allora fosse duro il lavoro di portalettere, basti pensare al peso di quella borsa smisurata, piena di carte di ogni genere e di volumi del postal market, e come se ciò, non fosse abbastanza, ricordo che Pietro, nonostante il lungo tragitto, veniva a portarci a casa quelle cosette della rivista degli introvabili, che noi bambini ordinavamo con i pochi soldini, risparmiati con tanti sacrifici. Quante volte, rinunciavamo anche a mangiare, per mettere da parte poche lire, per acquistare questo o quel giornalino! Per quanto detto e per altri motivi, porterò sempre nel cuore il ricordo di quel bravissimo postino, lavoratore, preciso, instancabile, disponibile con tutti e in modo particolare con noi bambini. Con non minore simpatia ricordo anche l’altro fratello, di cui apprezzo ancora oggi le sue tante capacità. Conobbi Francesco, quando era già sposato e ricordo che anch’egli aveva un piccolo negozio di merceria varia che riusciva a gestire in piena autonomia. Grazie all’istruzione, acquisita in istituto, si distingueva da tutti e riusciva a

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mettere in serie difficoltà anche chi aveva studiato più di lui. Era nota la sua invidiabile maestria, con cui zittiva e umiliava quanti lo tenevano in poca considerazione per il solo fatto di non vedere. Il suo negozio era piccolo, ma, pulito e ordinato, perché Francesco aveva collocato ogni cosa al suo posto e a portata di mano. Era, perciò, assai difficile riuscire a prenderlo in giro o impossessarsi fraudolentemente di qualche articolo. In questo negozio si vendeva di tutto, dalla merceria ai tabacchi, che Francesco individuava, prendeva e consegnava con sicurezza e disinvoltura, perché aveva saputo organizzarsi con razionalità, attrezzandosi efficacemente, per affrontare e respingere eventuali tentativi di imbroglio e di furto. Per adulti e piccini non era perciò agevole metterlo in difficoltà. Diversi compagni di scuola mi raccontavano spesso che, entrati nel negozio, per comprare qualcosa, mettevano nelle mani di Francesco una vecchia moneta, priva di valore, sperando di appropriarsi gratuitamente dell’oggetto desiderato e farla franca. Il bravo commerciante, però, toccata la moneta falsa, la riconosceva immediatamente e la lanciava con violenza, fuori dal negozio, dicendo a quei piccoli e maldestri birbanti: “Ora, andatevene e tornate con altro danaro, se volete acquistare qualcosa. Sappiate, però che se di nuovo vi comporterete allo stesso modo, vi riscalderò per bene spalle e fondo schiena con queste mani e con i miei scarponi”. Io ricordo ancora un’altra cosa, che non dimenticherò mai, Francesco suonava l’armonico in chiesa, suscitando naturalmente non poca meraviglia in tutti i presenti, i quali fino agli anni ottanta, mai avrebbero pensato che un giorno proprio un loro compaesano per giunta cieco avrebbe così agevolmente eseguito con tanta passione e abilità brani di musica sacra e leggera. Le mani volavano su quella tastiera e il buon Francesco sembrava trasformarsi con quella mimica sottile del viso che a

volte abbozzava al succedersi delle note, mentre, seduto, davanti allo

strumento, accompagnava e sosteneva i canti del celebrante e dei fedeli. Il

nostro compaesano

suonava bene anche la fisarmonica e, spesso, era

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occasione di aggregazioni spontanee e creatore di graditissimi e gratuiti momenti di allegria per amici, parenti e sconosciuti. A questo proposito, ricordo che, insieme a uno dei figli, per la novena di Natale arrivava ad Arzona, lungo la strada sterrata che unisce le due comunità,attraversando la località detta: (‘a gebbia) , ed io, che abitavo nella prima casa del paese, potevo gustare fin dall’inizio quelle bellissime note, emesse dal suo strumento, sul quale egli faceva scivolare le dita, senza nessuna difficoltà. A distanza di tanto tempo, ricordo ancora oggi quel suo volto trasfigurato e quel suo sorriso particolare, che trasmettevano e suscitavano serenità in quanti lo incontravano, in chiesa o per le strade del paese, mentre suonava “Tu scendi dalle stelle o Bianco Natale”. Questo ed altri suoi comportamenti dimostravano in modo eloquente che Francesco Porretta era un cittadino onesto, istruito, laborioso, “normale” e non ignorante e incapace, come, purtroppo, veniva considerato da molti. In conclusione, oggi che anch’io sono nella sua stessa condizione, ma impegnato nel mondo del lavoro e del sociale, desidero ringraziare Francesco, perché in tempi più difficili e in un ambiente culturalmente modesto ed economicamente depresso, ha saputo dimostrare il suo reale valore e sconfiggere con i fatti e non solo con parole certi pericolosi e persistenti pregiudizi, secondo cui, una persona cieca è necessariamente inferiore agli altri e incapace di badare a se stesso. Il nostro amico, invece, ha saputo gestire in piena autonomia la propria vita e proficuamente la sua attività commerciale, mantenendo dignitosamente la famiglia ed essendo nello stesso tempo di utilità anche per quanti possedevano il prezioso bene della vista.

“Cummari Rosina” Santa o No? Dalle testimonianze di alcuni suoi amici e confidenti

La donna, della quale, oggi desideriamo tratteggiare sinteticamente l’aspetto umano e sociale svolto, ha suscitato in chi l’ha conosciuta, consenso e ammirazione o incredulità e scetticismo. Ma non avendo noi i mezzi, nè l’opportune conoscenze richieste dal caso specifico, non ci pronunciamo in giudizi affrettati e fuori luogo, ritenendo giusto e doveroso lasciare a teologi, psicanalisti o esperti di occultismo e a chiunque voglia occuparsi, la libertà di valutare se ella sia stata una Santa o meno oppure abile affabulatrice. Noi ci limitiamo a raccontare quanto i testimoni unanimemente concordi ci hanno riferito, anche perché gli stessi, in alcune occasioni hanno potuto constatare personalmente quanto in essa si verificava. Nata il 04/10/1923, in un’umile famiglia di Presinaci, frazione del comune di Rombiolo VV., morta il 21/08/2006 a Scaliti, dove si era trasferita con i genitori, vivendo in questo borgo fino al compimento dei suoi giorni. Maria rosa era una bambina giocherellona ed entusiasta della vita, anche se con un futuro incerto, come quello di molte delle sue coetanee,

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abitanti in un piccolo centro agricolo ai margini dello sviluppo industriale e tecnologico. Per comprensibili motivi, sui quali, è superfluo soffermarsi, non frequentò nessuna scuola, benché fosse dotata di ottime capacità intuitive, che non riuscì a valorizzare adeguatamente per l’assoluta mancanza di istruzione, e nonostante la precarietà delle condizioni economiche della famiglia e dell’ambiente, in cui era inserita, cresceva allegra e spensierata, anche se, qualcosa d’insolito e di ignaro, si agitava e si manifestava frequentemente in lei e intorno ad essa. Infatti, l’ingenuità di bambina, non gli permetteva di capire cosa erano tutte quelle strane sensazioni, che percepiva ed alle quali non sapeva dare un nome. Grandi erano la paura e lo sconforto della piccina, quando alle mani e ai piedi, e sporadicamente alla fronte apparivano macchioline di sangue, che in certi giorni ricoprivano tutto il suo corpo. Ovviamente, nemmeno i suoi genitori, privi di istruzione e di cultura scientifica riuscivano a capire l’origine ed il senso di quelle insolite manifestazioni cutanee che, ormai erano presenti da anni, procurandole inquietudine e non pochi interrogativi senza risposta. Tuttavia, nonostante ciò, Maria Rosa andò avanti, cercando di minimizzare lo strano fenomeno, che la riguardava e del quale non osava farne parola con alcuno. Finalmente anche per lei arrivò il sospirato giorno della prima comunione, momento dopo il quale, cominciò a verificarsi un fatto nuovo, strano e non meno preoccupante. Infatti, non solo le macchioline di sangue apparivano quasi regolarmente ogni venerdì, ma, diventavano più abbondanti ed estese, durante il periodo della quaresima. Questo fenomeno non fu l’unica novità, perché la giovinetta cominciò ad avere anche visioni di persone sconosciute e misteriose. Disorientata e terrorizzata per queste sopravvenute manifestazioni che, la tenevano comprensibilmente agitata giorno e notte, la bambina soffriva in silenzio e tendeva a chiudersi in se stessa, temendo che le potesse accadere qualcosa di molto grave e pericoloso. Succube della paura, cominciò ad evitare anche le amichette e per lungo periodo della sua vita non confidò ad estranei il suo segreto, soffrendo in silenzio, e schivando la compagnia di coetanee e adulte. In questo modo così adombrato Maria Rosa si sforzò di vivere un’adolescenza normale, come poteva consentirle la sua particolare situazione fisica e psicologica. Ma non reggendo al peso eccessivo del suo segreto, un giorno cominciò a confidare ad alcune vicine di casa lo strano fenomeno che l’affliggeva, e dicendolo ad esse, fu come se inconsciamente voleva che il mondo intero sapesse la sua storia, per cercare di affrancarsi di quell’immane tormento che non le dava pace. Fu così, che dall’ora in poi il pondo le parve meno gravoso e tollerabile, anche se, si può dire che in essa, lentamente andava maturando qualcosa di soprannaturale, della quale ignorava cause e finalità. Cresciuta, la giovinetta, come altre ragazze, aiutava i genitori nei lavori dei campi, anche perché due braccia in più, facevano sempre comodo per il sostentamento della famiglia, pur essendo

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spesso di bambini o ragazzi, i quali concorrevano a debellare la fame che mordeva la vita di tutti, facendo morire di stenti chi non riusciva a guadagnarsi il pane quotidiano. Ed ella in queste ristrettezze nelle quali si muoveva, contribuendo a dissodare quella terra, avara e povera di frutti, era felice di trascorrere lunghe giornate in compagnia dei genitori. Fin quando all’età di diciassette anni, una mattina, mentre da sola percorreva il solito viottolo, che dal paese portava ai campi, vide per terra un corpo dalle vaghe sembianze umane riverso su di un fianco, e apparentemente privo di vita, si avvicinò, per sincerarsi, che il malcapitato stesse bene e domandargli se abbisognava di aiuto, si chinò su di esso, per ruotarlo adagiato sulla schiena, ma quando, le sue dita toccarono quell’essere improvvisamente si trasformò in un grosso serpente infernale, che si scagliò contro Maria rosa e, avvinghiandosi al suo corpo, tentava di strangolarla. Non riuscendo a difendersi da quella bestia immonda e vedendo che le venivano meno le forze gridò: “Gesù mio, aiutami”! A questa esclamazione come per incanto le spirali mostruose dell’entità si allentarono ed essa cadde pesantemente al suolo dissolvendosi in una gigantesca fiammata. Sfuggita miracolosamente alla morte, la povera Maria Rosa rimase a lungo per terra, priva di sensi, quando poi riprese coscienza, non ebbe la forza per raggiungere i congiunti in campagna, ma tremante e terrorizzata, se ne tornò a casa. Rincasati sul far della sera, i genitori le chiesero, dove era stata tutto il giorno, dal momento che, non era andata da loro, ed ella, avendo ancora negli occhi il demoniaco sortilegio, pensò fosse opportuno non rivelare il vero motivo della propria assenza, inventò una giustificazione plausibile e per quella volta riuscì a farla franca, anche se, i genitori, guardandola negli occhi, non le credettero del tutto. Da allora in poi, la sua esistenza divenne un vero tormento, perché a suo dire, Maria Rosa cominciò ad avere frequenti contatti con le anime dei defunti, e non solo con quelli che aveva avuto modo di conoscere mentre erano in vita, ma anche di sconosciuti. Non meno sorpresa fu, quando per caso si accorse di leggere il pensiero dei presenti e di prevedere il verificarsi di eventi futuri. Sparsasi la voce di queste doti, ben presto la sua casa fu meta di continue visite di persone che volevano interrogare i loro congiunti morti, per sapere se avevano bisogno di preghiere in loro suffragio, e lei non si negò mai a tali richieste, ne pretese mai cosa alcuna in cambio, anzi accoglieva affabilmente chiunque nella sua modesta abitazione, avendo per tutti una parola di incoraggiamento e di conforto, e quando per motivi a noi ignoti riteneva di non poter o non dover rispondere ai quesiti postegli dagli intervenuti, per non dispiacerli o metterli in apprensione soleva dire: “l’Angelo non lo consente oppure l’anima cercata non è tra quelle che si sono rivelate”. Umile e disponibile ad ascoltare chiunque, Maria Rosa era sempre pronta a dividere generosamente con altri il poco, che aveva, senza mai pensare di approfittare delle sue qualità per accumulare ricchezze, da lei ritenute

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inutili e pericolose. Infervorata dell’amore verso Dio, trascorse l’intera esistenza, pregando, aiutando il prossimo e accettando di soffrire per amor suo, senza mai lamentarsi o disperarsi per la solitudine, che l’accompagnò per oltre cinquant’anni, durante i quali, frequentemente si sottoponeva a lunghi ed estenuanti digiuni sprofondando in continue meditazioni, perché così facendo ripercorreva in prima persona la passione di Gesù Cristo, soffrendo lungo questa Via Crucis caratterizzata da sudorazione di sangue che, spesso asciugava con fazzoletti di stoffa, sui quali apparivano vaghe forme di volti umani oppure scritte misteriose, ne disdegnava alcune forme di autoflagellazione, che nel tempo minarono il già debole fisico conducendola alla fine. Trascorsi ormai alcuni anni della sua dipartita, in quanti la conobbero, di Maria Rosa rimane un nitido ricordo, perché questa donna sapeva essere sorella, madre, amica, confidente e buona

consigliera di tutti. “Cummari Rosina”, per chiunque l’ha conosciuta morì povera ed umile così come era nata,operando il bene e meritando la nostra riconoscenza e il nostro affettuoso ricordo, ed abbiamo motivo di credere che il suo, fu sicuramente un esempio di devozione a Dio e la sua chiesa,vivendo in umiltà e forse anche in santità. Precisiamo che, quanto abbiamo esposto, non vuole essere offensivo per la memoria della signora, né tanto meno per gli eventuali discendenti o affini, ma soltanto una testimonianza di quanto suo malgrado si è verificato nella propria vita, annotando così come ha fatto il Fiore nel 1662, dei fatti miracolosi

avvenuti a Scaliti, affinché, anche di questa vicenda ne rimanga traccia ella storia.

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Qui di seguito un breve pensiero, su Maria Rosa ra del Sacerdote Don Giuseppe Lo Presti. A cu

Rosina Potenzoni Parlare della signora Rosina Potenzoni e delle vicende di cui si dice essere stata protagonista non è semplice, anche perché sulla sua presunta "misticità" la chiesa non si è mai espressa in forma ufficiale. Di certo, per quanto si è avuto modo di conoscerla, possiamo affermare che la sua vita è stata caratterizzata dall’amore verso Dio e la Madonna e dall’umiltà della fede. Dai racconti di quanti l’ hanno conosciuta o hanno frequentato la sua modesta abitazione si apprende che Rosina aveva delle manifestazioni fuori dal comune, attribuite da molti alla sfera soprannaturale, come la comparsa di piaghe sul suo corpo nel periodo della quaresima o la capacità di parlare lingue mai studiate o, addirittura, di mettersi in contatto con persone defunte. Tali fenomeni, mai analizzati in maniera approfondita, fecero di lei una persona alla quale molti ricorrevano per conoscere il destino ultraterreno dei propri cari deceduti o per avere dei consigli su come affrontare alcune particolari prove della vita. La sua casettina che si affacciava sulla via principale di Scaliti era spesso meta di donne e uomini alla ricerca di qualche sollievo, di qualche parola buona che li aiutasse a superare le difficoltà che si presentavano nel loro cammino. Per tutti Rosina aveva una parola buona, sempre ispirata alla fede religiosa di cui era molto convinta e che ha sempre guidato la sua esistenza. Di lei possiamo dire che è stata una donna sempre disponibile e discreta, che ha incarnato la frase evangelica "Beati i puri di cuore, perché di essi è il regno dei cieli". Un’umiltà, la sua, che ne faceva una persona lontana dai riflettori, quasi "invisibile", chiusa nella sua casa, dove è vissuta da sola e dove trovava sempre il tempo per pregare e per ascoltare chi l’andava a trovare. Quelle poche volte che ne usciva era per sbrigare qualche faccenda domestica o per recarsi in chiesa. Non ha mai messo al primo posto se stessa, ma Dio e gli altri, che ha sempre accolto e ascoltato, per i quali ha sempre pregato. Una generosità del cuore che si manifestava anche nella dolcezza dello sguardo, in quella luce degli occhi che riusciva ad infondere fiducia e speranza. Ecco, così ci piace ricordare questa donna che per molti anni è stata un punto di riferimento per tanti sofferenti, per i quali metteva in secondo piano la sua sofferenza, quella che la piegava nel fisico nei giorni particolari che precedevano la Pasqua. Tutto ha sopportato con fede e docile pazienza, tutto ha ricondotto a quel Dio che ha sempre considerato il faro della propria esistenza. Un’esistenza che alcuni anni fa ha terminato il suo pellegrinaggio terreno per iniziare quello eterno, quello in cui ogni dolore finisce, dove finalmente si trova a pace, quellal vera, che ha nell’incontro con il Padre della vita la sua era essenza.

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Località o terreni frequentati dai cittadini di Scaliti

u A Baruni A Paulu RussA Ballignu ‘o Petraloru A Bonificiu ‘e Petti Ospitazi A Burgu a chianu Mazza A Camillu Grutta A Pilatu Bidosciaru A Carreda Resta A Pistari A Carrèri A Pituriu A Castedara A Porzianu ‘A Cerza ‘i Pignaru cchi A Quattro‘A Chiusa A Rozzu ‘A Conaceda A Ssala A Crisura A Ssalica A Crita Carrizzi A San Nicola ‘A Cudata A Sant’andrìa ‘A Cuntura A Sant’anna A Danti A Santa Marina A Faduppi A Scarcèri A Faddutu linu A SpinguA Forgia a Strittu ‘e Fossi A Studuni A Frisuluni A Terzudu ‘A Funtana Vecchia sa A Vitedu Cole‘A Funtaneda A Vraia Pisa A Ggattu A Vurpiceda ‘A Gebbia A D’antoni ‘A Grazzia A ddanti Galluppi A Guerciu Ad’arigara ‘A Guletta Aiieni ‘a Guerrèra A ’livitedu A l’Acquaniti ‘a ‘livitu All’Umbru Ad Ammannatu A Landina Ad Aquila ‘A Lenza Longa A Codizzada ‘a Machina i Fazzari i ‘E CunturA Maistredu ‘E Feghi A Mamuni ‘E Giardina A Maneli ‘E Petti du Signiuri A Martinedu i ‘E Pezzi Grand‘A Mastra A Giampetru ‘A mbivisana I Tuffi A Mmeliu A Leu e Palucina A Mesima ’a Monaca A Mosedu ‘o Ponti A Mottula A Romanu ‘o Paghiaru Vecchiu ‘a Terra a Chiesia ‘o Pantanu ‘o Vignali e Vignaledu

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‘A Patrona Le sorgenti d’Acqua, che ci sono nel territorio di Scaliti.

‘A Funtana da Grazzia ‘A Funtana da Grutta ‘A Funtana da Salica ‘A Funtana di Militu ‘A Funtana i Ballinu ‘A Funtana i Paulu Russu ‘A Funtana Qualeda ‘A Funtana Vecchia ‘O hiumaredu Alcune strade che ci permettono di raggiungere i terreni sopra citati.

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‘A Strada d’Alivite‘A Strada da Crita ‘A Strada da Grutta ‘A Strada ‘i Mottula ‘A Strada di’ Pagghiara ‘A Strada pe’ Baruni ‘A Strada pe’ Militu ‘A Strada pe’ Scarcèri Quanto sopra, sono i luoghi della memoria agropastorale e cittadina, i quali, ci ricordano che in essi, fino a qualche decennio fa, seppur con sacrificio, i nostri avi hanno trovato il sostentamento per vivere e progredire. E sono anche quelle strade lungo le quali, i vari “cumpari Ciccio e cumpari Cola”, con la zappa sulla spalla e le ghette legate al manico, percorrevano per recarsi nei campi, dove cercavano di guadagnare l’amaro pane quotidiano per la famiglia, e nel mentre discutevano con la consapevolezza di chi porta il peso della responsabilità anche di altre persone, in questo loro andare ingannavano la povertà, nelle folate di fumo che salivano da improvvisate sigarette di trinciato arrotolato con la “fusca” più bianca e sottile. Erano anche le sorgenti d’acqua dove le tante donne; “cummari Maria e cummari Peppina”, andavano a lavare i pochi miseri indumenti dei quali la famiglia disponeva, per coprirsi nel lavoro e nei

iorni di festa. g

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Conclusioni

il santo festeggiato, involontariamente è stato ipreso il volto di qualcuno.

Bibliografia

e lavoro, per altro in qualche decina i copie, sarebbe senza scopo di lucro.

Per redigere la monografia su Scaliti, ci siamo avvalsi in primo luogo dei documenti riportati in vari volumi che trattano la storia della Calabria e in particolare quella relativa al nostro territorio. Quindi abbiamo attentamente vagliato anche tutte quelle cose tramandate dalla memoria popolare, cercando dov’è stato possibile di dar credito a quelle notizie che sembrano tratte unicamente da spigliate fantasie. Per far ciò, abbiamo domandato ad amici e parenti, i quali ci hanno dato la piena disponibilità e con interesse, si sono prestati a darci una mano per questa iniziativa, permettendoci di giungere alla certezza, che ciò, che abbiamo narrato, non è la nostra verità, ma la descrizione di tutte quelle piccole cose di pubblico dominio, che fino ad oggi sono state tramandate solo oralmente. A tutto ciò, noi abbiamo cercato di dare una forma duratura nel tempo, scrivendo quanto è di nostra conoscenza nella speranza che possa divenire la base dalla quale partire per tutti quelli che, possono e vogliono approfondire i temi citati , se non altro, per dare credito e fondamento certo alle lacune storiche del nostro paese. Per quanto sopra, di buon grado vogliamo ringraziare tutti i cittadini di Scaliti e quelli che, con il loro impegno ci hanno consentito di verificare con dati, e portare alla luce per sempre, quello che, fino ad ora era solo dubbioso ricordo.Un doveroso quanto sentito ringraziamento lo indirizziamo al Sacerdote Don Giuseppe Lo Presti Parroco della comunità che, ci ha voluto onorare della sua partecipazione con un testo di suo pugno, e per il suo sostegno all’iniziativa intrapresa. Grazie ancora per la fiducia accordatici e il prezioso aiuto con il quale ci è stato possibile ricostruire uno spaccato del nostro Scaliti, ed offrirlo a chiunque volesse leggerci. Allo stesso tempo, ci scusiamo se, in qualche foto in cui la comunità sfila in processione, nel fotografarer

Chiediamo scusa ai lettori per eventuali inesattezze, e più umilmente facciamo ammenda agli esimi autori dei testi, dai quali abbiamo tratto eventuali notizie e citazioni, che involontariamente sono state trascritte in maniera errata. Precisiamo inoltre, che l’aver attinto alle loro preziose fonti, non possiamo e non vogliamo in alcun modo far nostra, la proprietà letteraria che rimane integralmente immutata per chiunque ne abbia diritto. Anche perché, un’eventuale pubblicazione del presentd

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Il Dizionario; bibliografico, biografico, geografico, storico

o Valente. erini, Ettore Merletti, Giuseppe

aterini. ioni, 2005

pani

di Ulderìco Nisticò 9

alabria.

cumenti

o diocesano di Mileto la chiesa vescovile di Mileto.

arafioti Polistena RC.

bliografico Vol. 2

Patire di Rossano CS.

tto 2000 CS. labria

2000 CS. ria

della Calabria di: GustavA cura di: Giulio Palange, Mario CatValente. Presentazione di: giuseppe Cvolume I. Geo Metra EdizGiovanni Fiore da CroDella Calabria Illustrata Prima edizione 1691, edizione recente a curaRubettino editore 199Soverìa Mannelli CZ. Di: Emilio Barillaro Dizionario bibliografico e toponomastico della CCosenza, Luigi Pellegrini Editore, 1976. Tabularium Mileten ricerche studi dole memorie di Uriele Maria Napoleone sec. XVIII) a cura di Vincenzo Francesco Luzzi direttore dell’archivio storicparte prima memorie pereditore Domenico Laruffa stampato a giugno 1984 tipografia MIl Clero della diocesi di: Mileto. 1886 1986. Dizionario bio-biDi: Filippo Ramondino Edizione 2007. Il Monastero Santa Maria delDi: Luigi Renzo Editoriale progeMonachesimo e Santità in CaDi: Luigi renzo Progetto editorialeSanti e Beati di CalabDi: Bruno Sodaro VIRGIGUO – Editore 89025 Rosarno RC. Viale Aldo Moro 44 Tabularium Mileten

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Ricerche Studi Documenti Parrocchiali Della Diocesi DI Mileto-Nicotera-Tropèa

1° Censimento

Di Filippo ramondino e Antonio Tripodi

di Mileto alle origini all'età di mezzo i Giuseppe Occhiato

ompletato il 08/09/2013

Storia di Mileto Per la storia della città dD C

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