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Magistratura italianaL'ordinamento giudiziario italiano è stato disciplinato in modo organico dal R.D. 30 gennaio 1941 n. 12 ("Ordinamento giudiziario"), più volte modificato nel corso del tempo.

Le ultime modifiche sostanziali sono state apportate dalla legge 25 luglio 2005 n. 150 (cosiddetta Riforma Castelli) e dalla legge 30 luglio 2007 n. 111 (cosiddetta Riforma Mastella).

Caratteristiche generaliLa magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente [1] da ogni altro potere, secondo quanto sancito dall' art. 104 della Costituzione della Repubblica Italiana. Ciascun magistrato, sia giudicante sia requirente, è inoltre per legge inamovibile, a meno che non presti il proprio consenso ovvero in mancanza solo per i motivi e con le garanzie di difesa previsti dall'ordinamento giudiziario italiano.[2]

L'organo di autogoverno della magistratura è il Consiglio superiore della magistratura, organo di rilievo costituzionale, presieduto dal Presidente della Repubblica. A tale organo spettano, ai sensi dell'art. 105 della Costituzione, al fine di garantire l'autonomia e indipendenza della magistratura, le assunzioni, le assegnazioni e i trasferimenti, le promozioni e i provvedimenti disciplinari nei riguardi dei magistrati.

Indipendenza

Il principio di indipendenza, imparzialità e terzietà del giudice è consacrato, oltre che nel ricordato art. 104, nell'art. 101 della Costituzione italiana, che stabilisce: "i giudici sono soggetti soltanto alla legge".

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Il giudice è, in altre parole, deve accertare i fatti ed una volta accertati i fatti deve ad essi applicare le leggi senza aribtrarietà, senza discrezionalità (se non quando consentita espressamente dalla legge) e senza subire interferenze da alcun potere esterno.

Inoltre l'avverbio "soltanto" sottolinea con forza assoluta il primato unico della legge che non può che essere applicata servilmente (essere assoggettato a = essere schiavo di) dal giudice senza alcuna "partecipazione soggettiva".

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Nel sistema di diritto vigente, la giurisprudenza non è ammessa tra le fonti del diritto e può essere citata solo in ,modo conforme (come si è visto con l'articolo 118 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile), ed il giudice non può in alcun caso utilizzarla per sostituire le "motivazioni di diritto" a pena di nullità dell'atto. Dovrebbe essere di acclarata evidenza che il dare alle sentenze valore di determinazione del contenuto e del senso della legge di fatto costituisce un atto di "creazione della legge" che viene attuato da un soggetto, il giudice, a cui la Costituzione non ha attribuito tale potere, ovvero si ha di fatto un atto di sovvertimento della Costituzione dello Stato.

Da ultimo in relazione all'asservimento alla legge per il giudice (e quindi per ogni magistrato) va ricordato che l'art. 107 della Costituzione italiana stabilisce che i magistrati si distinguono tra loro per diversità di funzioni (funzione giudicante propria del giudice e funzione requirente propria del pubblico ministero). Ciò implica che solo il giudice possa assumere provvedimenti giurisdizionali (infatti quelli temporaneamente assunti dal P.M. o dalla Polizia Giudiziaria devono essere convalidati dal G.I.P.).

Ulteriore corollario dell'indipendenza della magistratura è, altresì, la regola della inamovibilità dei magistrati, i quali non possono essere dispensati o sospesi dal servizio né destinati ad altre sedi o funzioni, se non a seguito di decisioni assunte dal Consiglio superiore della magistratura. Conseguenza di tale principio è che nessuno può scegliersi il giudice da cui venire giudicato ("nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge"), né il giudice può scegliere i soggetti da giudicare.

In ragione di questo articolo, poi, dall'entrata in vigore della Costituzione non possono essere istituiti nuovi giudici straordinari o giudici speciali (come previsto dall'articolo 102).[3]

L'art. 103 prevede comunque giudici speciali, quali i giudici amministrativi, la Corte dei conti e il giudice militare, preesistenti all'entrata in vigore della Costituzione. Oltre a questi già esistenti, in ogni caso, non sarà possibile istituirne altri.

La responsabilità[modifica | modifica wikitesto]

La responsabilità dei magistrati dà attuazione all'art. 28 della Costituzione, secondo cui i funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti. In tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti pubblici. La magistratura ha però contestato l'applicabilità di questa norma, rivendicando la prevalenza del principio di indipendenza (previsto anch'esso dalla Costituzione): per questo la magistratura associata, per mezzo secolo, si sentì più tutelata dalla sopravvivenza[4] della norma del codice di procedura civile del 1942, che limitava la responsabilità solo al caso di dolo o colpa grave del magistrato.

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A seguito dei referendum tenutisi nel 1987, anche sull'onda dello scandalo dell'arresto di Enzo Tortora [5] , il popolo sancì la responsabilità civile dei magistrati. L'anno successivo il Parlamento approvò la legge 13 aprile 1988 n. 117 (cosiddetta legge Vassalli) in attuazione di quel referendum. La norma di fatto interpretò l'art. 28 della Costituzione della Repubblica Italiana nel senso di una responsabilità indiretta, altra corrente giurisprudenziale ipotizza una responsabilità concorrente Stato-magistrato nel senso che questa per entrambi possa essere accertata nell'ambito di un unico e comune procedimento.

I magistrati rispondono penalmente, civilmente e disciplinarmente delle azioni da loro commesse a danno dei cittadini nell'esercizio delle loro funzioni. In particolare, il risarcimento dei danni cagionati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie e la responsabilità civile dei magistrati, con la relativa responsabilità disciplinare, sono normati specificatamente dalla legge Vassalli. Essi rispondono penalmente qualora commettano reati nell'esercizio delle loro funzioni. In tale caso chi ha subito il danno per il fatto costituente reato commesso dal magistrato nell'esercizio delle sue funzioni ha diritto a un risarcimento, sia nei suoi confronti che nei confronti dello Stato, il quale eserciterà poi eventualmente un regresso nei confronti del primo (art. 13).

Essi inoltre rispondono civilmente in caso di dolo, colpa grave o diniego di giustizia; in tali casi il cittadino potrà esperire l'azione legale di risarcimento per il danno subito contro lo Stato, il quale a sua volta eserciterà una rivalsa nei confronti del magistrato (responsabilità indiretta del magistrato). Infatti l'art. 2 della sopracitata legge dice testualmente che:

« Chi ha subito un danno ingiusto per effetto di un comportamento, di un atto o di un provvedimento giudiziario posto in essere dal magistrato con dolo o colpa grave nell'esercizio delle sue funzioni ovvero per diniego di giustizia può agire contro lo Stato per ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e anche di quelli non patrimoniali che derivino da privazione della libertà personale. »

L'azione di rivalsa è normata dall'art. 7, il quale dispone che:

« Lo Stato, entro un anno dal risarcimento [...] esercita l'azione di rivalsa nei confronti del magistrato. »

Quest'azione, salvo che nei casi di dolo, non potrà mai superare 1/3 dello stipendio annuale del magistrato al momento della richiesta del risarcimento.

Essi infine rispondono anche disciplinarmente dei danni cagionati ai cittadini nell'esercizio delle loro funzioni: l'art. 9 della legge Vassalli dispone infatti che:

« [...] Il procuratore generale presso la Corte di cassazione per i magistrati ordinari o il titolare dell'azione disciplinare negli altri casi devono esercitare l'azione disciplinare nei confronti del magistrato per i fatti che hanno dato causa all'azione di risarcimento [...]. »

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Complessivamente servono nove gradi giudizio (se prima non incorre la prescrizione): tre gradi per decidere la procedibilità della domanda, altri tre (fino in Cassazione) per chiedere il risarcimento danni allo Stato, successivi tre per la rivalsa dello Stato verso il magistrato che non è decisa nello stesso procedimento in cui si accerta la responsabilità civile di quest'ultimo.

Dopo una prima sentenza sul caso Traghetti del Mediterraneo[6], la Corte di giustizia dell'Unione europea ha emanato in proposito la sentenza del 24 novembre 2011: con essa, pur non entrando nel merito della responsabilità del magistrato dato che in Italia vige la responsabilità indiretta, ha ritenuto troppo limitativa la necessità della sussistenza della "colpa grave" per poter ottenere risarcimento, evidenziando la necessità di un requisito meno stringente quale la "manifesta violazione del diritto", che è il requisito richiesto dal diritto europeo. In attesa quindi di una riforma della legge 117 del 1988, si potrà far valere la "violazione manifesta del diritto" soltanto nell'applicazione del diritto europeo, e non invece in quello nazionale per il quale continuerà a sussistere la "colpa grave" come requisito minimo.[7]

Con la legge 27 febbraio 2015, n. 18 [8]si è provveduto a modificare la legge del 1988 eliminando, tra l'altro, l'udienza-filtro[9]. Ad un anno dalla sua entrata in vigore, il segretario di Magistratura democratica Anna Canepa ha in proposito dichiarato: "si tratta di una legge che abbiamo combattuto e che continuiamo a ritenere sbagliata. Ma è giusto anche dire che all'atto pratico non si sta rivelando così disastrosa"[10].

Accesso

I magistrati ordinari togati sono nominati tramite concorso pubblico per esami, sulla base della valutazione delle conoscenze tecniche possedute; i vincitori del concorso acquisiscono la qualifica di "magistrato ordinario in tirocinio", come disposto riforma Mastella del 2007, che ha anche apportato alcune modifiche in tema di requisiti per l'accesso, quale ad esempio l'eliminazione del limite di età. Tuttavia la dichiarazione di non idoneità a concorsi precedentemente sostenuti, se conseguita per 3 volte alla data di scadenza del termine per la presentazione della domanda, comporta l'impossibilità di ammissione ad ulteriori selezioni.[11]

Il concorso risulta strutturato sulla falsariga di un concorso di 2º grado, in quanto non è più sufficiente la sola laurea per partecipare; sono infatti previsti alcuni requisiti aggiuntivi, cioè:[12]

conseguimento di un diploma rilasciato dalle Scuole di Specializzazione per le Professioni legali;

conseguimento di un dottorato di ricerca in materie giuridiche, ovvero un diploma di specializzazione presso Scuole di perfezionamento post lauream;

aver ottenuto il titolo di avvocato e, se iscritti all'albo degli avvocati, non incorsi in sanzioni disciplinari;

docenti universitari in materie giuridiche non incorsi in sanzioni disciplinari; magistrati onorari (giudice di pace, giudice onorario di tribunale, vice procuratore onorario,

giudice onorario aggregato) per almeno 6 anni senza demerito, senza essere stati revocati e che non sono incorsi in sanzioni disciplinari;

essere dipendenti della pubblica amministrazione italiana, con qualifica dirigenziale o appartenenti ad una delle posizioni corrispondenti alla categoria C (secondo quanto previsto

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dal pubblico impiego contrattualizzato), con almeno cinque anni di anzianità nella qualifica, e che non sono incorsi in sanzioni disciplinari;

aver eventualmente volto un periodo di tirocinio di natura teorico-pratica presso un ufficio giudiziario;[13]

magistrati amministrativi e contabili; procuratori dello Stato che non siano incorsi in sanzioni disciplinari.

Il concorso consta di tre prove scritte, vertenti rispettivamente sul diritto civile, diritto penale e diritto amministrativo, e una prova orale,[14] che praticamente include tutte le possibili materie dell'ordinamento giuridico, donde la complessiva ed estrema difficoltà del concorso. Sempre nella prova orale è anche previsto un colloquio su una lingua straniera scelta fra le seguenti: inglese, francese, spagnolo e tedesco.

Personale

Classificazione[modifica | modifica wikitesto]

I magistrati si distinguono in:

ordinari: civili e penali, competenza ordinaria civile e penale; amministrativi: Consiglio di Stato, Tribunali amministrativi regionali, che hanno

giurisdizione per la tutela degli interessi legittimi nei confronti della Pubblica amministrazione e, in materie particolari indicate per legge, anche dei diritti soggettivi;

contabili: Corte dei conti, competenza in materia di risarcimento del danno erariale, ovvero di chiunque maneggi pubblico denaro;

tributari: Commissioni provinciali e, per l'appello, in Commissioni regionali, competenza in materia di controversie relative a qualunque tipo di imposta o tassa;

militari: tribunali militari, competenza relativa ai reati commessi dai militari.

Esistono anche magistrati onorari, come il giudice di pace, il vice procuratore onorario e il giudice onorario di tribunale. Inoltre, l'art. 106 della Costituzione italiana stabilisce che l'ufficio di consigliere di cassazione può anche essere affidato, per meriti insigni, a docenti universitari in materie giuridiche nonché ad avvocati con almeno quindici anni di esercizio che siano iscritti negli albi per le giurisdizioni superiori.