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Illuminazioni Galattiche

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Illuminazioni Galattiche

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Copyright © 2013 Elena Bottari e Paula DiasTutti i diritti riservati

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SommarioLa zuccataLo spazio sideraleInvito a cenaIl grande annuncioZin ZenIntanto molto lontano da lìAd un passo dalla metaRitorno

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La zuccata

Fagioli salterini. In Messico ce ne sono moltissimi. Pare che si spostino tutti

assieme per la nuda terra, rotolando in branco allegramente.

Qualche misterioso tipo di farfalla argentata depone le uova dentro i fagioli,

i bruchini si muovono e fanno saltellare il loro guscio. In cattività vanno

annaffiati una volta al mese e ogni giorno bisogna dare loro qualche scossa,

così si svegliano e sobbalzano un po’. Li guardo saltellare nella mia mano,

qualcuno ha suonato al campanello.

Mi preparo alla peggiore delle eventualità: parenti in rapido avvicinamento.

E' invece un signore baffuto sui 50 che dice “Lotta semplicista”. Voglio

forse abbonarmi?

Spazioclub, testimoni di Genova, venditori di aspirapolvere, preti pronti a

tutto per benedirti la casa, nessuno passa la linea invalicabile della mia

soglia.

«No grazie, non mi serve niente» dico io, acquattato contro la porta. «Ma

non le deve servire, è lei che può servire la causa semplicista, è di lei che

abbiamo bisogno», risponde lui prima di aggiungere «Se mi fa entrare le

spiego». No grazie! Non mi servono spiegazioni, penso, voglio solo farmi un

bagno caldo e dimenticare il genere umano. Gli dico «Quando avrò voglia di

fare due chiacchiere le telefono, arrivederci». E lui «Io però non l’ho mica

vista…»

Dopo un buon quarto d’ora di silenzio, l’assediante dà segno di sé e

rinnova la sua offerta: Lotta semplicista, non l’ha mai letto? Studente? Il

piazzista studia l’avversario, cerca di familiarizzare con il suo pollo.

Da quella volta che ho detto ad un venditore porta a porta che non mi

dispiace leggere e che sì, ogni tanto compro anche un libro, ho ricevuto

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quintali di richieste di adesione ad un circolo di lettura che si riunisce una

volta alla settimana in una chiesa sconsacrata. Qualcuno di loro mi ha anche

lanciato un segnalibro di metallo a forma di falce attraverso la finestra aperta.

Considerando l'altezza del bersaglio, lo spazio non proprio abbondante del

marciapiede, il lancio ad effetto che una simile impresa comporta, ho subito

preso carta e penna e ho scritto loro consigliando agli adepti del circolo “Gli

amici di Cthulhu” di convertirsi al baseball, al cricket oppure di mettere su uno

spettacolo itinerante di lanciatori di coltelli. Non mi hanno mai risposto.

Trattengo il respiro con l’occhio incollato allo spioncino.E’ solo questione di

tempo, lo scocciatore se ne andrà presto. Io però voglio vedergli battere la

ritirata. Il baffuto gira i tacchi e se ne va. Vittoria!

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Sto per iniziare un bell’inspiro, quando un enorme occhio riempie il mio

oblò.

Grido, la ciotola di ceramica piena di fagioli salterini va in orbita ma i miei

riflessi da giocoliere ne interrompono la caduta. Rialzandomi tronfio di

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vanagloria per aver salvato il manufatto a tre millimetri dallo schianto,

dimentico la "consolle", così si chiamano quegli inutili mobili per appoggiarci

sopra il telefono e la rubrica. La mia risalita si incaglia nel legno e una fitta

nebbia si chiude su di me. Il bieco venditore porta a porta mi parla con una

voce da orco con la laringite.

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Lo spazio siderale

Fa freddo, parecchie centinaia di gradi sotto lo zero.

Sono alla guida di una navicella della Vortice spa, impresa di pulizie

intergalattica.

La mia cella spaziale è vuota senza di te

che sei uscita una sera e ancora mi chiedo perché

Non ti piaceva forse lo spazio?

Ero davvero uno strazio?

O Yeeee

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Vienimi a cercare a Teobroma

Ti saprò perdonare

Sarai la mia signora e padrona

Basta che mi lasci ancora suonare per Teeeee

Avvolto nel mio tutone termico verde pisello sembro un enorme bruco ma

ballo lo stesso, a modo mio. Sembro un fagiolo che salta. Ci vuole comunque

altro per fiaccare l’umore dell'amministratore nonché unico lavoratore attivo

della Vortice spa, nei giorni in cui si sveglia con “Alte torri di Teobroma”,

l'ultimo successo discografico dei Cervelli Positronici.

Il mondo mi sorride, la mia serra gravitazionale va a gonfie vele e la

fioritura delle Imeldea rosse è imminente. Certo da quando la “Pulizie

multigalattiche” si è aggiudicata la fetta più grande del mercato nettezza

spaziale, i profitti della Vortice sono diminuiti. Così è nello spietato mondo

dell’immondizia. Nel tempo libero curo le piante che Temistocle Astrofix,

amministratore delegato della Vortice spa mi ha regalato e quelle che ho

collezionato personalmente nei miei viaggi, alla ricerca di prezioso pattume

ad alta tecnologia.

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Nelle notti di insonnia ascolto il silenzio e uso microchip, tubi di

scappamento di moto galattiche, pezzi di cellule fotovoltaiche, insomma tutto

quel che trovo per costruire robottini pulitori, congegni selezionatori e ogni

altra diavoleria che mi viene in mente. Mi serve aiuto per separare il grano

(pattume pregiato) dal loglio (scarti metallici e plastici che fondo e sistemo in

cambusa dopo averli trasformati in cubetti).

Ripulire campi gravitazionali dai rottami che da migliaia di anni l’uomo

lascia nello spazio, non sarà un lavoro di prestigio ma è utile, anche per le

tasche. Può capitare di abbordare navicelle spaziali abbandonate, sfuggite al

setaccio dei pirati spaziali. Le rivendico secondo l’avita legge che fu del mare

ma che ancora oggi vale.

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Invito a cena

Un pasto in piena regola mi attende. Teté, Temistocle, mi vuole parlare di

un suo misterioso progetto o di qualche gatta da pelare capitatagli addosso.

Che poi, quando si parla di Teté, è la stessa cosa. Mi ha invitato a cena,

dev'essere roba grossa. Ha scelto il suo ristorante preferito, "Da Tarcisio,

piatti organici come una volta". Mi aspettano un piatto di gnocchi e

Lambrusco della luna viola di Diotima. Dev’essere proprio un bel garbuglio, o

una “criticità di una certa urgenza" come dice lui riferendosi al prossimo

collasso di una stella nelle vicinanze, se è pronto a spendere da cento a

centocinquanta piastre del Triumvirato per parlarmi a quattr'occhi. E' tanto

che non vedo "il principale", voglio proprio vedere se la pensione gli dona.

Teté mi ha dato un lavoro alla Vortice e mi ha insegnato tutto quello che sa

sullo spazio, i buchi neri, le Imeldae da collezione e su come sopravvivere

alla burocrazia del Triumvirato. Mi ha trovato mentre fluttuavo vicino agli

anelli di Orione, in un curioso campo magnetico dove galleggiavano molecole

di ossigeno e strani fagiolini secchi.

Da quando è andato in pensione si dedica alla botanica e all’investigazione

amatoriale.

Non è proprio un Sherlock Holmes, come dicono gli archeologi. Non c’è più

mistero nell’attività investigativa e l’unico pericolo concreto è l’obesità, a cui si

approda con il succedersi inesorabile delle cene della Lega Investigazione

Amatoriale Intergalattica.

Teté non è sempre stato un aspira pattume. Prima di fondare la Vortice spa

faceva il navigatore galattico. Aveva solcato le dense e cocenti atmosfere di

Nadir 4 alla ricerca di metalli radioattivi, aveva scoperto nuovi asteroidi e

persino qualche pianetino. Tutto per un amore finito. A vederlo in faccia non

lo si sarebbe detto capace di sentimenti romantici. Aveva un testone tatuato

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come Queequeg di Moby Dick, sopracciglia bianche come quelle di Babbo

Natale, pelle abbrustolita dalla troppa vicinanza ai soli delle centinaia di

sistemi che aveva visitato, un braccio bionico e un torace da nave vichinga

che faceva temere gli abbracci.

Non ho mai conosciuto il suo passato, né so chi fosse la donna che, lui

dice, gli ha spezzato il cuore e lo ha consegnato ad un'esistenza girovaga e

avventurosa. Un tatuaggio sull’avambraccio destro – lato cuore – mi aveva

sempre lasciata perplesso. C’era scritto Bert.

Quando esagerava con il tè alla menta pronunciava parole strascicate,

ridacchiava e cantava vecchie canzoni in tedesco. Dava il meglio di sé con

Kurt Weil e fissava la luna viola di Diotima versando grosse lacrime. Erano le

uniche deviazioni da un umore fisso sul bel tempo e dalla sua perenne

ricerca di nuove imprese.

«Non mi ha accennato proprio nulla» penso mentre nel mio cubicolo

pressurizzato riemergo dal tutone e mi preparo alla cena. Non so cosa Teté

abbia in mente ma dalla vibrazione briccona della sua voce al comunicatore

spaziale, mi aspetto di tutto. Penso alla cena, al Lambrusco di Diotima, ma sì,

male che vada mangio bene, bevo meglio e faccio due risate con il vecchio

"aspirasauro".

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Il grande annuncio

Aspetto Temistocle seduto al tavolo riservato per noi. Rosicchio gallette

seguendo i bagliori intermittenti prodotti dal soffitto, un soffitto presuntuoso

che pretende di luccicare a seconda dei pensieri dei clienti seduti sotto.

«Risparmia i microchip, soffitto guardone, penso minacciandolo con una

galletta».

Teté arriva all’improvviso, scomposto e travolgente. Saluta me con gli occhi

e il cameriere con la voce. Porta con sé un’aria fredda da abissi spaziali e ha

una luce, nel suo sguardo da invasato, che non promette nulla di

rassicurante. Mi si siede di fronte guardandomi con la fregola di spifferare

qualcosa. In una mano tiene una forchetta e con l’altra si aggrappa forte al

lato del tavolo sgualcendo la tovaglia. Lo fisso anch’io e finalmente «E

allora?»

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«Siamo stati assunti, un lavoro tranquillo!! Qualcuno ha bisogno di noi.

Bisogna trovare una persona scomparsa. Faremo un bel viaggetto. Ci

pagano bene, baratteremo talee, ci godremo alberghi di lusso. Insomma,

vacanza e mistero, non come alle cene dell'associazione investigativa». Teté

era tutto contento.

«Un figlio di papà si è unito ad una setta di adoratori dei Nirvana, un antico

culto di cui si era persa traccia. Stava bene, scriveva a casa, era felice. Ora è

sparito e nessuno lo trova più», spiega Teté aggiungendo subito «Per

qualche motivo i genitori lo rivogliono indietro». Vista la lentezza delle

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indagini e la mancanza di riserbo dei poliziotti, il padre di Elisio (così si

chiama il ragazzo), ha sguinzagliato Teté alla ricerca, "discreta", del figlio.

«E io?» chiesi.

«Eh, e tu niente no. Tu vieni con me! Ho già preparato i documenti. Vuoi

mica che ci vada da solo, alla mia età. E poi, non ti sei stancato di raccogliere

immondizia? Non ti va solcarlo, questo spazio intergalattico? ». Teté

sogghigna un po' e ha un'aria, come quando ti regalano un megasauro di Lot,

con la scusa che ti piacciono i gechi.

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Zin Zen

Il giorno dopo siamo in viaggio. Seguiamo la rotta che Temistocle ha

disegnato al ristorante, su un tovagliolo, prima di ubriacarsi e iniziare a

cantare "Bella rosa di Diotima". Pestando l'acceleratore quanto basta,

arriveremo sull'asteroide Zin Zen, dove il rampollo ha fatto perdere le sue

tracce.

Zin zen è una colonia di adoratori dei Nirvana, antichi semi-dei, portatori di

un messaggio di pace e fratellanza in chiave malinconica. Si riuniscono sotto

giganteschi gazebo a forma di budino. Allenano la mente e il corpo alle

percezioni fini e alla levitazione. Tre volte al giorno danzano intonando canti

psichedelici e lanciando in aria margherite. Incontriamo un adepto che, a

occhi chiusi e mani aperte rivolte a terra, cerca di distinguere, con la sua sola

sensitività e una tortilla di riso nello stomaco, le erbette a foglia lanceolata da

quelle a foglia rotonda. Ogni tanto apre gli occhi e si scompone un po', poi

riprende a fare il radar umano.

Dopo qualche tentativo, mi sembra che dica qualcosa tipo «Porca spazzola

di Fra Doroteo addolorato, ste cavolo di foglie!» ma non ne sono proprio

sicuro. Fatto sta che ci presentiamo e iniziamo a fare le domande del caso.

«Quando hai visto Elisio per l'ultima volta? Eravate in buoni rapporti? Ti

sembra che il suo umore fosse cambiato, negli ultimi tempi?» L'adepto ci

guarda con gli occhi un po' fissi, senza sbattere quasi mai le palpebre. Ci dice

che avverte un forte mal di testa e ci chiede se per caso siamo soliti

intossicare il nostro organismo con cibi grassi e uva fermentata. Perché in

quel caso, le nostre emanazioni negative, gli avrebbero da lì a poco procurato

un forte mal di testa. Teté si mette a guardare per aria e io gli chiedo «Che

fine pensa che abbia fatto Elisio?». Il sensitivo mi fissa e mi dice. «Non ne ho

la benché minima idea» e ricomincia a scandagliare i segnali provenienti dal

prato.

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Ci resta solo la cara vecchia deduzione scientifica, non si può sperare di

cavare molto da questo tipo di testimone. Teté è felice come un coniglietto in

un orto. Sorride da un orecchio all'altro e, se non fossi certo del suo buon

cuore, avrei un po' paura. Il suo sorriso, su quel faccione largo e cotto dalle

radiazioni, sembra un ghigno malefico.

Ha agguantato le polverine per le rilevazioni, le lenti di ingrandimento, lo

scansionatore di dna e ogni altra diavoleria a scopo deduttivo. Sta per

cominciare a spennellare il cubicolo di Elisio quando, tastando il pagliericcio

del suo letto, sento sbucare qualcosa. «Sembra l'angolo di una specie di

lamiera graffiata», dico. Sto per prenderla in mano, quando due manone si

abbattono su di me. Altro che percezioni sottili e influssi magnetici, questi

sono badili in piena regola.

Non è una bella situazione. Io e Teté abbiamo paura che i pacifici adoratori

dei Nirvana ci facciano secchi con le loro tutt'altro che infinitesime braccia.

Altro che foglie dritte e foglie tonde, qui si parla di vere e proprie pizze

margherite dure e pesanti come il basalto!

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Il maestro Zin Qui ci guarda in silenzio e continua a fissarci senza

muovere un muscolo. Questo fatto ci rassicura, anche perché di movimento

ne abbiamo avuto a sufficienza.

Ha finalmente smesso di radiografarci e sospira riproducendo il rumore di

una vecchia cantina, di quelle umide con le porte di legno, quando viene

aperta. Ci sentiamo risucchiati dal vuoto prodotto dall'inspiro a seguire e

pensiamo, quasi telepaticamente, che gli esercizi di respirazione allora

funzionano, porca miseria. Sembra di essere in una galleria del vento!

Zin Qui è preoccupato. In tanti anni di pacifica pratica della seraficità e del

canto, nessuno è mai stato rapito e nessun delitto si è consumato, all'ombra

dei gazebo. «La scomparsa di Elisio attira l'attenzione del Triunvirato» spiega

Zin Qui aggiungendo «ci ha tenuti d'occhio a lungo». Il gran sacerdote e

maestro degli adoratori dei Nirvana ha gli occhi bassi e sembra proprio giù di

corda. Un decano dell'ordine di avvicina spiegando che, per certe misteriose

ricerche su foglie né lanceolate, né arrotondate ma palmate, Zin Qui ha quasi

rischiato di finire in gattabuia.

Non è facile sostenere la vista di un adoratore dei Nirvana, già di per sé

non esattamente giulivo, in stato di grave prostrazione. Teté non resiste e

dice al decano che, se la setta farà tutto quello che è in suo potere per darci

informazioni su Elisio, «noi toglieremo presto il disturbo e manderemo un

rapporto rasserenatore ai burocratici di turno, per calmare le acque».

Visto che non vediamo l'ora di andarcene, ad un salvifico cenno di assenso

del vecchio maestro, iniziamo a sorridere e a annuire soddisfatti. A quel punto

un uomo entra nella stanza. E’ il musicista che accompagna i canti degli

adepti. Ha qualcosa di importante da comunicarci. «Elisio mi ha parlato di

una sua scoperta. Mentre si era appartato vicino ad alcune rocce vulcaniche

per mangiare un panino al salame di contrabbando» a questo punto l’adepto

ha lanciato uno sguardo colpevole verso Zin Zen che sembrava aver ingoiato

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un insetto, «ha visto luccicare una specie di lamiera quadrata mezza

scolorita» (doveva essere l'oggetto freddo e appuntito che avevo scoperto

perquisendo il giaciglio di Elisio), con su scritto "lampadine al tungsteno

Seleno, illumina il tuo sentiero". Lì sopra era disegnato un uomo che

emanava raggi luminosi». Il cantante aveva aperto le braccia e imitava l’uomo

rappresentato nel disegno. «Elisio deve aver creduto che quel fossile

pubblicitario fosse un indizio del destino che gli indicava la via

dell'illuminazione» commenta Teté sovrappensiero.

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Intanto molto lontano da lì

Selene è un antico e periferico satellite, con grossi crateri e un'espressione

un po' triste sulla "faccia". Molti millenni fa era chiamato Luna.

Il ragazzo non ha nessuna intenzione di tornare a casa. Suo padre, che gli

ha dato un insopportabile nome a causa del quale tutti lo hanno sempre

preso per i fondelli, vuole che lui diventi un consigliere del Triumvirato

spaziale, roba da scribacchini. Elisio invece cerca risposte e conoscenza.

Sente che solo indagando nel passato potrebbe trovare la chiarezza di cui ha

bisogno, per questo si è imbarcato su un'astronave di rifornimento che faceva

rotta per il satellite. Vorrebbe sapere perché suo padre gli abbia dato il nome

della madre con una o finale. «Perché il nome della mamma e non il grande

amore che aveva per lei? Perché, se di me non gli importa, non gli va giù che

sia andato con gli adoratori dei Nirvana?». Si chiedeva tutto questo e molto

altro. Soprattutto non riusciva a capire come mai, ora che era arrivato a

Selene, tutta la sua fuga gli sembrasse ridicola.

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Ad un passo dalla meta

«Ci sono voluti tre mesi e mezzo di viaggio per raggiungere la Luna.

Abbiamo dato fondo alle riserve di Lambrusco e non abbiamo più nemmeno

granché da mangiare. Altro che alberghi e bella vita, Teté. Sta volta ci siamo

messi in una bella rogna».

Teté pare affranto, non è il caso di infierire. Dopo un bel po' dice «Non

abbiamo scambiato nemmeno una talea, non c'è nessuno da queste parti.

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Mangiamo gallette di riso di Zin Zen da tre mesi e l'ultimo letto vero in cui

ho dormito è il pagliericcio di foglie dei seguaci dei Nirvana».Temistocle è ad

un passo dalle lacrime. Addio sogni di gloria investigativa, di eleganza, di

roboanti, ammirate, presentazioni.

«E' giunto il momento di calare l'asso nella manica» dico con fare

misterioso mentre scompaio come un illusionista nella cambusa. Al mio

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ritorno il volto di Teté si illumina di beatitudine infinita. Il bottiglione di scorta e

il pollo arrosto con patate disidratato che Tarcisio mi ha infilato nella borsa

come ricostituente lungo il viaggio. Una goccia d'acqua e la magia si compie.

Il pollo ritorna alla sua forma originaria e noi dobbiamo solo apparecchiare la

tavola, stappare il Lambrusco e dare un calcio ai cattivi pensieri.

Temistocle addenta una coscia di pollo tenendola con la mano e dice «Un

pasto decente è quel che ci vuole. Ti ho mai raccontato di quella volta che...»

E giù a ricordare le sue scorribande siderali, alla ricerca di pianetoidi da

rivendicare tra mille pericoli e incontri eccitanti. Prima che il Triumvirato

mettesse le mani su tutto.

Una volta aveva scambiato un motore con dei semi strani, sembravano

fagioli. Il Devoniano che glieli aveva venduti prometteva che gli avrebbero

riservato buone sorprese. Così Teté li aveva tenuti in tasca per un mese, il

tempo di arrivare a casa sua (un laboratorio attrezzato per la minima

sopravvivenza degli uomini ma con tutto ciò che di utile e superfluo, un

vegetale potesse desiderare). La sera stessa del suo ritorno li aveva seminati

e, dopo una doccia, era andato a dormire tutto soddisfatto.

Nella notte aveva avuto l'impressione che qualcosa si muovesse, che

ombre sfilassero veloci nella penombra della sua stanza. Era stanco morto, la

sua mente aveva troppo bisogno di dormire. Al risveglio lo attendeva

un'insolita umidità. Era come se tutti i bucati del circondario fossero stati stesi

sotto il suo naso. Aveva i capelli umidi e il suo letto era tutto bagnato. Una

lumaca gli scivolava sulla fronte e tre funghi erano nati, uno sul naso, uno su

un braccio e uno sul suo ginocchio destro.

Cercando di mettere a fuoco la vista in mezzo alla nebbiolina che occupava

la stanza, si accorse di non essere solo. Un tronco largo quanto tutta la serra

era piantato nel laboratorio, foglie verdissime e teneri ghirigori vegetali

occupavano ogni angolo. Alzò gli occhi al cielo e proprio lì vide il tetto della

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serra, appeso su una foglia a molte decine di metri da terra. Le altre sue

piante erano rotolate su foglie più basse e sembravano non passarsela

troppo male. Da quel giorno Teté non ebbe più una casa ma la società

botanica interstellare lo nominò membro onorario e cultore della materia

vegetale.

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Selene

Selene è bellissima, sembra che mi guardi con la sua facciona

opalescente. Non so perché ma mi sento come se avessi incontrato un'amica

dopo tanto tempo. Mi sento a casa. Quando la guardavo, dall’oblò, prima

dell’arrivo, la malinconia del viaggio spariva. Anche Temistocle sta meglio. Ha

scoperto che sulla Luna c'è una serra a ossigeno con dentro ogni ben di dio

vegetale e, da vegeto-maniaco, non vede l'ora di mettere gli occhi sui verdi

tesori custoditi lì dentro. Finalmente può scambiare le sue talee con qualche

pianta esotica. Insomma, bentornato pieno buon umore!

L'allunaggio è stato tranquillo e tutto è filato liscio. La stazione di ricerca,

con la serra e gli alloggi dei ricercatori è piccola ma confortevole. Sembra,

però, che non ci sia anima viva. Temistocle sbava contro i vetri antimeteorite

della serra dove sbocciano Sossurae viola, Acmeae notturne e Doroteae di

Solonia. Mille essenze rampicanti, epifite, striscianti, ricadenti e rampanti si

aggrovigliano tra loro in uno spettacolo che farebbe invidia al leggendario

giardino del Triumvirato.

Poco lontano da lì c'è un robot-ricercatore che spolvera sassi e li cataloga

dopo averli messi in scatole trasparenti a forma di cubo. Ha una specie di

carrello della spesa pieno di reperti e non alza lo sguardo nonostante, ne

sono sicuro, mi abbia visto da un pezzo.

«Sa, caro mio, non ho tempo da perdere. La stazione di ricerca è tutta sulle

mie spalle. Devo analizzare rocce, curare la serra, occuparmi della

manutenzione e, ora, nutrire quell'impiastro a due gambe che avevo

inizialmente scambiato per un aggregato solido a base organica,

probabilmente una cacca». Le antenne mi si rizzano sulla testa, sta forse

parlando di Elisio?

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Il robot borbotta che lo sgradito ospite è sbucato da uno scatolone dove lui

si aspettava di trovare pezzi di ricambio e semi. Il furbone si era pappato tutti

i semi dopo aver dato fondo alle sue riserve di cibo. Era uscito di là in

condizioni pietose, più morto che vivo e freddo come un ghiacciolo. Nella

serra si era ripreso ma continuava a rosicchiare le piante commestibili

facendo uscire dai gangheri il robot, che si chiama Jeeves. «Sono stufo di

sopportarlo, portatelo via, ve ne prego" supplica in preda allo sconforto.

«Abbiamo tutte le intenzioni di liberarla da quell'ospite rosicchia vegetali!» lo

rassicuro.

Elisio sta su un'amaca e guarda la Terra sorgere all'orizzonte. L'alba è

davvero uno spettacolo che toglie il fiato. Non ho mai visto un pianeta con dei

colori tanto belli!

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All'improvviso vediamo un bagliore intenso provenire da fuori e, senza

nemmeno abbandonarci ai soliti convenevoli che si fanno quando ci si

incontra, ci precipitiamo fuori a vedere da dove arrivi quella luce. Lui pensa

alla lampadina al tungsteno che gli avrebbe portato l'illuminazione, qualunque

cosa sia, io invece non so nemmeno cosa mi spinge. Lo faccio e basta.

E' una specie di ampolla trasparente, sembra vuota. Sulla pancia

dell'ampolla c'è scritto Astolfo. Elisio vorrebbe metterci le mani sopra ma, non

so perché, tolgo il tappo.

A quel punto una specie di drago compare dal nulla e mi urla dietro

«Dov'eri finito santa cipolla? Ti ho cercato dappertutto!» Mi solleva con la sua

testa enorme e poi vola sotto di me. "Sono a cavallo di un drago, santo cielo,

urlo verso Temistocle».Teté è fuori dalla serra e si sbraccia gridando ma è

troppo tardi.

«Ma cos'hai fatto che sembri diverso? Non mi ricordo più nemmeno che

faccia avevi quando mi hai piantato in asso» dice il drago. E io «Ma chi sei

tu!!». «Come chi sono? Sono l'Ippogrifo, non ti ricordi?». Mi viene un gran

mal di testa. Qualcosa dal mio passato riemerge, un poema cavalleresco, le

gesta di un certo Orlando che aveva perduto il senno, finito sulla Luna in

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un'ampolla. Astolfo era l’uomo che aveva recuperato il senno di Orlando,

pazzo d’amore non corrisposto.

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Ritorno

Mi sveglio e sono per terra. Ho un gran bernoccolo e vicino a me ci sono i

fagiolini aperti. Le farfalle sono uscite e io ho una fame bestia.