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NINFEO ROSA 6 Collana di studi e ricerche della Biblioteca Comunale

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NINFEO ROSA

6 Collana di studi e ricerche della Biblioteca Comunale

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I SANTI MARTIRI GIOVANNI E MARCIANO

E IL LORO CULTO 998 – 1998

Atti delle conferenze per il millenario della traslazione delle reliquie dei santi patroni di Civita Castellana

Edizioni Biblioteca Comunale «Enrico Minio» Civita Castellana 2000

Augusto Ciarrocchi Giorgio Felini

Barbara Giordani Ettore Racioppa

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Organizzazione editoriale progetto grafico impaginazione bozze Alfredo Romano Collaborazione Marina Iacobelli Marianna Tumeo Sede editoriale Biblioteca Comunale «Enrico Minio» Via Ulderico Midossi Civita Castellana (VT) Tel. 0761-590223 Fax 0761-514180 e-mail [email protected] In copertina: I santi martiri Giovanni e Marciano. Da un’illustrazione del 1631. Stampa Tipografia Falisca snc di Massaccesi Gianluca, Marco e & Via Ferretti, 155 Tel. 0761-513026 ISBN 88-86903-09-X

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PRESENTAZIONE

Il millenario della traslazione dei corpi dei santi Giovanni e Marciano, patroni di Civita Castellana, è stata l’occasione, per alcuni nostri studiosi, per andare a spulciare tra le fonti agiografiche e letterarie nascoste nei più reconditi archivi.

In verità ben poco sappiamo della vita dei santi protettori, le fonti ci parlano soprat-tutto del loro martirio avvenuto in circostanze quanto mai tragiche. Marciano ha in braccio il figlio Giovanni appena morto e si trova a incontrare sulla Via Salaria i pre-sbiteri Abbondio e Abbondanzio che vengono condotti al martirio. Marciano intercede presso Abbondio per il figlio morto. Giovanni risuscita miracolosamente, ma poi padre e figlio subiscono anch’essi il martirio. Giovanni quindi muore due volte.

L’epoca, la fine dell’Anno Mille, è carica di aspettative nefaste, ma anche di rigene-razione. I resti dei primi martiri cristiani da scoprire e traslare nelle chiese dei paesi, come delle grandi città, rappresenta un fenomeno diffuso. C’è bisogno di sentirsi pro-tetti e i martiri tumulati sotto l’altare sono lì a intercedere presso Dio contro ogni mi-naccia.

Sulle vicende dei protomartiri cristiani, non tutte storicamente accertate, anche la Chiesa ha avanzato qualche dubbio, non mancando per questo di rivisitare il martirolo-gio. Ma noi non siamo qui per accertare la verità o meno delle fonti che sono all’origine dei saggi presenti in questo volume. A noi interessa capire, attraverso le vi-cende che ci sono state tramandate, il senso di una religiosità così diffusa che animava la vita di una comunità di allora, i motivi di un culto che aveva riflessi in ogni aspetto della vita sia pubblica sia privata.

Giorgio Felini, uno degli autori, alla fine del suo saggio parla di valori immutabili e di “echi celesti”. Il cammino attraverso le fonti, quel rovistare tra fogli ingialliti e vo-lumi polverosi è per lo scrittore anche un piacere: si avvertono strane sensazioni, me-lodie, voci, suoni mai ascoltati, profumi anche, echi di un mondo ormai relegati nel mi-to.

Sono convinto che i lettori di questo volume, oltre a essere edotti sulle vicende dei santi Giovanni e Marciano e sulla storia piccola e grande che ruota intorno a Civita Ca-stellana in quegli anni, al pari degli autori potranno intraprendere un viaggio attraverso il mondo magico degli archivi e uscirne colmi di quel piacere fine a se stesso che è pre-rogativa di chi legge.

L’assessore alla Cultura

Dott. Domenico Parroccini

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AUGUSTO CIARROCCHI

I conti Sassoni a Civita Castellana nell'XI secolo

L'ANNO MILLE E I SANTI MARCIANO E GIOVANNI

Un aspetto mai studiato della storia medievale di Civita Castellana è quello che ri-guarda la presenza in loco di una famiglia comitale d'origine germanica durante tutto l'XI secolo.1 Cento anni circa nei quali si susseguono almeno quattro generazioni, in un periodo storico caratterizzato dall'aspra lotta tra il papato e l'impero.

La presenza di un conte a Civita Castellana si rileva per la prima volta nella relazio-ne dell'invenzione dei corpi dei martiri Marciano e Giovanni, patroni della città.2 Alla solenne processione guidata dal vescovo Crescenziano, che trasferiva le reliquie dei santi dalla chiesa rupestre di Sant'Ippolito alla chiesa di Santa Maria, parteciparono i vescovi di Gallese e di Bomarzo, nonché il conte della città con la sua consorte.3

La scoperta dei corpi dei martiri Marciano e Giovanni avvenne contestualmente a quella dei santi Abbondio e Abbondanzio nel cimitero cristiano presso la chiesa di San-ta Teodora a Rignano Flaminio. La relazione dell'invenzione afferma che i corpi dei santi Abbondio e Abbondanzio furono trovati nell'anno primo Sanctissimi ac Beatissi-mi Apostolici summi Pontificis Silvestri Papae4 e fu l'imperatore Ottone III che, per do-tare di reliquie la chiesa di Sant'Adalberto all'Isola Tiberina, ordinò di effettuare gli scavi a Rignano e, rinvenute le spoglie dei martiri, le fece traslare a Roma.

Gerberto d'Aurillac fu eletto papa il 2 aprile 999 e prese il nome di Silvestro II, per-tanto (secondo la relazione) la scoperta delle reliquie avvenne tra il 999 e l'anno 1000. Ai fini della datazione può esserci d'aiuto la notizia relativa alla consacrazione della chiesa dedicata a Sant'Adalberto per opera del vescovo di Porto, dopo che Ottone III ebbe fatto ritorno a Roma nell'autunno del 1000.5

L'imperatore era certamente presente alla cerimonia di consacrazione. Ipotizzare la sua assenza all'evento contrasterebbe sia con la sua ferma volontà di costruire una chie-sa in onore del martire Adalberto e sia con la sua affannosa ricerca di sante reliquie. Nella relazione dell'invenzione si dice chiaramente che i corpi dei martiri Abbondio e Abbondanzio, dopo la scoperta, furono traslati, per ordine dell'imperatore, nella Eccle-

1 Ringrazio con amicizia Attilio Carosi, Luigi Cimarra, Giorgio Felini e Mario Mastrocola per

aver letto le bozze di questo lavoro e aver apportato utili suggerimenti alla ricerca. 2 Il testo della relazione è riportato da M. Mastrocola nelle Note storiche circa le Diocesi di Ci-

vita C. Orte e Gallese, parte I, Le origini Cristiane, Civita Castellana 1964, p. 251. 3 Ibid. "Comite et coniuge sua". 4 Ibid. p. 249. 5 F. Gregorovius. Storia di Roma nel Medioevo, vol. II, Roma 1988, p. 254.

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sia sancti Adalberti.6 Se si parla di Ecclesia, si può ragionevolmente affermare che le spoglie dei santi giunsero a Roma quando la chiesa era già stata consacrata, cioè dal-l'autunno del 1000.7

Fu dopo questo evento (sempre a detta della relazione), che il vescovo di Civita Ca-stellana Crescenziano trovò le spoglie dei martiri Marciano e di suo figlio Giovanni.8 Il ritrovamento delle reliquie avvenne il giorno XII kalenda Decembris; nello stesso gior-no furono provvisoriamente poste nella chiesa rupestre di Sant'Ippolito a Civita Castel-lana, quindi il giorno Idibus Januarii in octavis Epiphaniae 9 furono ricollocate nell'al-tare fatto costruire appositamente dal vescovo Crescenziano nella chiesa di Santa Ma-ria.

Per quanto detto, l'invenzione e la traslazione delle reliquie sono da porsi tra la fine dell'anno 1000 e l'inizio del 1001.

Alcuni autori hanno anticipato al 998 la datazione degli avvenimenti narrati, sicché, nel corso dei secoli, a livello locale è invalsa la tradizione che vuole la scoperta delle reliquie proprio in quell'anno. Ritengo che l'equivoco tragga origine da Domenico Mazzocchi, illustre musicista civitonico, che nel 1646 affermava sul Veio Difeso: "Cre-scenziano Vescovo di Civita Castellana ritrovò lì corpi dè nostri Santi Marciano e Gio-vanni, e li condusse alla sua Chiesa; il che fù nel 998. Al tempo di Silvestro Papa II e dell'imperatore Ottone III".10

Il Mazzocchi attinse la notizia della datazione relativa alla scoperta delle reliquie si-curamente dall'Ughelli, che nel suo libro è citato due volte in merito alla questione del-la sede episcopale strettamente legata alla scoperta dei corpi dei santi.11

Tale datazione fu ripresa dal Pasquetti nel 1841, il quale però, invece della fine del X secolo, scriveva "Nel finire il secolo Nono",12 e poi adottata dal Tarquini, che, nel suo lavoro del 1874, riportava esplicitamente la data del 998.13

6 M. Mastrocola: "Et deportata sunt omnia secundum iussum Imperatoris ad Ecclesia sancti

Adalberti martyris", parte I, p. 250. 7 Il Gregorovius (vol. II, cit. p. 254) ci dice che "Per la chiesa del suo santo, Ottone cercò di

procurarsi preziose reliquie". L'imperatore fu ingannato dai cittadini di Benevento, ai quali aveva richiesto le reliquie dell'apostolo Bartolomeo, che gli consegnarono le ossa di san Pao-lino da Nola.

8 M. Mastrocola, parte I, cit. p. 250. 9 Ibid., p. 140. Rispettivamente il 20 novembre e il 13 gennaio. 10 D. Mazzocchi. Veio Difeso, Discorso di Domenico Mazzocchi Dottore dell'una, e l'altra

Legge. Ove si mostra l'antico Veio essere hoggi Civita Castellana, in Roma, Per Ludovico Grignani MDCXLVI, ristampa Bologna, 1980, p. 121.

11 Ibid., p. 113: "…si legge nell'Italia Sacra di Ferdinando Ughelio"; p. 121: "l'Ughelio sopra-cit. Nell'Italia Sacra qui proseguisce di Civita Castellana".

F. Ughelli. Italia Sacra, tomo I, Venezia 1717, ristampa Bologna, 1984, p. 596: Sub novo Civi-tatis Castellanae nomine ejus prima mentio habetur in translatione corporum SS. Abundii, & Abundantii, quae sub Othone III, solemni ritu celebrata est anno 998; p. 597: CRESCEN-TIANUS. Civitatis Castellanae Episcopus, in exquirendis SS. Martyrum corporibus diligen-tissimus fuit, temporibus Othonis III. Imperatoris, hoc est anno 998. Il cistercense Ferdinando Ughelli (circa 1595 – 1670) vide la sua opera pubblicata per la prima volta a Roma tra il 1642 e il 1648. Una nuova edizione in 10 volumi fu impressa a Venezia nel 1717.

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Ottone III cercava dunque reliquie per la chiesa di Sant'Adalberto: perché cercarle proprio a Rignano? Perché, come dice il Mastrocola, "aveva notizia del Cimetero Cri-stiano o almeno dovette averla, perché altrimenti bisognerebbe cercare una giustifica-zione plausibile all'invio proprio a Rignano di scavatori".14 Mastrocola è nel vero quando afferma che l'imperatore aveva notizia del cimitero cristiano di Rignano, ma perché proprio il cimitero di Rignano e non un altro cimitero a Roma o nelle sue im-mediate vicinanze?

La risposta a quest'interrogativo può forse trovarsi se si mette in relazione il cimite-ro di Rignano con Castel Paterno, la roccaforte presidiata dagli imperiali, dove Ottone III morì di lì a pochi mesi. Gli uomini dell'imperatore di stanza a Paterno vennero sicu-ramente a sapere della presenza di sepolture cristiane nella vicina Rignano e lì indiriz-zarono gli scavatori.

L'argomento della scoperta delle reliquie dei martiri Marciano e Giovanni è stato sempre al centro del dibattito circa lo spostamento della sede vescovile da Faleri a Ci-vita Castellana, nonché della conseguente nascita della civitas.

Il curato Sante Pasquetti nel 1841 aveva già rilevato che il vescovo Crescenziano si era recato a trovare le reliquie a Rignano "ad imitazione forse dell'Imperatore Ottone Terzo".15

Il Mastrocola, invece, si spinge oltre, sostenendo che il rinvenimento si deve "alla santa gelosia di Crescenziano, il vescovo di Civita, che, avendo visto Ottone III trovare sì preziose reliquie, volle anch'egli emularlo".16 Come poteva Crescenziano rimanere indifferente a un evento così importante avvenuto nella sua diocesi? Imitò l'imperatore e trovò le reliquie dei santi martiri Marciano e Giovanni.

Le reliquie, come si è visto, furono temporaneamente riposte nella chiesa rupestre di Sant'Ippolito, situata subito dentro la porta della città. Ci vollero quasi due mesi17 per costruire nella cattedrale di Santa Maria, l'altare destinato a ospitare stabilmente le reliquie, utilizzando le lastre marmoree recuperate negli scavi di Rignano Flaminio.18

L'ANTICO CULTO DEI SANTI GRATILIANO E FELICISSIMA

Partendo dall'assunto che Crescenziano era vescovo di Civita Castellana , si deve desumere che nella città esistesse una cattedrale e che qui vigesse il culto dei santi pa-troni.19 Nell'Alto Medievo, con molta probabilità, i patroni della città erano i santi fale-

12 S. Pasquetti. Origine e Progressi della Città di Civita Castellana, anno 1841, manoscritto

inedito, senza pagine numerate, conservato presso la biblioteca comunale "E. Minio" di Civita Castellana.

13 F. Tarquini. Notizie Istoriche e Territoriali di Civita Castellana, Castelnuovo di Porto, 1874, p. 131.

14 M. Mastrocola, parte I, cit. p. 134. 15 S. Pasquetti, cit. 16 M. Mastrocola, parte I, cit. p.134. 17 Il tempo impiegato, cinquanta giorni, si può considerare ragionevole per un'opera del genere. 18 M. Mastrocola, parte I, cit. p.139 19 Anche se nella relazione della invenzione dei corpi dei santi Marciano e Giovanni si dice ge-

nericamente che le reliquie furono custodite nell'altare costruito nella chiesa di Santa Maria,

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ritani Gratiliano e Felicissima. Il culto dei due santi era manifesto nel territorio falisco, tanto è vero che alcune fonti dell'VIII secolo ne attestano la presenza.

In un documento del Regesto di Farfa dell'anno 767 si legge: In praesentia Leonis sanctissimi Episcopi Civitatis Castri Urbi et Marini presbiteri tituli sancti Gratiliani, Imitanconi diaconi, Antonii presbiteri, Rinculi presbiteri tituli S. Abundii.20

In un'altra fonte coeva, la famosa lapide del vescovo Leone, attualmente riposta nei magazzini del vescovado civitonico, nell'elencazione dei fondi che il presule dona alla chiesa di Santa Maria compare il FUND MAC […] IONE UT SIT SEMP IN S(an)C(tu)M GRATILIA(nu)M.21

Da queste fonti sembra di capire che il culto di santa Felicissima nell'VIII secolo non fosse associato a quello di san Gratiliano, come sarebbe logico che fosse, trattan-dosi di due santi accomunati nel martirio. La prova del culto di santa Felicissima, inve-ce, ci è data esclusivamente dalla passio, che è fatta risalire a un periodo compreso tra il VII e l'VIII secolo,22 oppure tra la seconda metà dell'VIII e gli inizi del IX secolo.23

Ci troviamo davanti a due tipi di fonti: da una parte un'epigrafe e un documento, i quali ci dicono dell'esistenza del solo culto di san Gratiliano; dall'altra una passio coe-va che invece accomuna il culto dei due santi.

questa si deve identificarla con l'attuale cattedrale di Santa Maria Maggiore e non con la chie-sa di Santa Maria dell'Arco, ciò per due ragioni abbastanza scontate: 1) la seconda invenzione delle reliquie, avvenuta nel 1230 dopo oltre due secoli, durante i quali si erano perse notizie delle reliquie stesse, si verificò nell'attuale cattedrale; 2) la chiesa di Santa Maria dell'Arco ha dimensioni troppo ridotte per essere considerata, anche nel periodo altomedievale, una chiesa cattedrale. Ciò significa che, al di là delle successive e imponenti trasformazioni, la cattedrale del vescovo Crescenziano insisteva nello stesso luogo dove oggi c'è la cattedrale dedicata alla Vergine.

20 I. Giorgi - U. Balzani (a cura di). Regesto di Farfa, Roma 1892, (di seguito indicato come R. F.), vol. II, doc. 41, p. 49. Nella edizione citata viene riportato Leonis sanctissimi Episcopi Civitatis Castri Viterbii, mentre il Mastrocola nel trattare i documenti che riguardano il ve-scovo Leone di Civita Castellana riporta Leonis sanctissimi Episcopi Civitatis Castri Urbb, e propone un ampio commento sulle varie ipotesi interpretative corredato da una vasta biblio-grafia. (M. Mastrocola, Note storiche circa le diocesi di Civita C. Orte e Gallese, parte II: Ve-scovadi e Vescovi fino all'unione del 1437, Civita Castellana, 1965, p. 22 - 26). Che il titolo di San Gratiliano venga riportato subito dopo il vescovo Leone può forse segnalare la sua preminenza rispetto agli altri.

21 Un'altra attestazione del culto di san Gratiliano riferita a prima del Mille è attestata nella vi-cina Nepi. Nella cronaca di Benedetto del Soratte si legge: infra civitate Nepesina cella sancti Gratliani.

G. Zucchetti (a cura di). Il Chronicon di Benedetto Monaco di S. Andrea del Soratte, Roma 1920, p. 169 - 170.

Sulla chiesa di San Gratiliano a Nepi si veda P. Chiricozzi. Le chiese delle diocesi di Sutri e Nepi nella Tuscia Meridionale, Grotte di Castro 1990, p. 349-350.

22 M. Mastrocola, parte I, cit. p. 46. 23 E. Susi. "Il Culto dei santi nel corridoio Bizantino e lungo la via Amerina", in Il Corridoio

Bizantino e la via Amerina in Umbria nell'alto medioevo, a cura di E. Menestò, Spoleto 1999, p. 264, nota 21: "La compilazione relativa ai martiri faleritani andrebbe collocata tra la se-conda metà dell'VIII e gli inizi del IX secolo".

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Il martirologio geronimiano, risalente al V secolo, ricorda la venerazione di santa Felicissima il 26 maggio a Todi e il 24 novembre a Perugia,24 e non fa invece alcun ac-cenno al culto di san Gratiliano.

Il culto della santa nei due centri umbri fu sostituito nei secoli successivi con quello di altri martiri, rispettivamente i vescovi Fortunato ed Ercolano, ma tra la fine dell'VIII e gli inizi del IX secolo santa Felicissima ricompare nella passio insieme a san Grati-liano.25

Il tracciato della Via Amerina, che collegava Roma con Ravenna passando tra l'altro per Nepi, Faleri, Amelia, Todi e Perugia, nel periodo dello scontro con i Longobardi, aveva agevolato il trasferimento del culto dalle due città umbre alla Faleri romana.

Da chi fu scritta la passio dei santi faleritani? Il Mastrocola nel suo lavoro sulle ori-gini cristiane delle nostre diocesi afferma che furono "i Monaci i primi autori di queste Passiones o Storie leggendarie",26 ed ogni "giorno nella sala capitolare […] bisognava ricordare gli eroi che avevano saputo morire e allora bisognava scrivere la storia di questi martiri".27

Per i territori dell'ex Ducato di Spoleto e per l'Umbria meridionale è stata avanzata, anche se con qualche cautela, l'ipotesi di un unico centro di produzione agiografica corrispondente all'abbazia di Santa Maria di Farfa. Difatti, tra l'VIII e il IX secolo il monastero benedettino, oltre agli interessi agiografici del Ducato di Spoleto, avrebbe curato anche quelli del corridoio della Via Amerina, "estendendo anche a questi territo-ri, presumibilmente interessati alla crescente espansione territoriale del cenobio […], la già consistente attività dei suoi agiografi".28

Quindi è possibile che la passio dei santi Gratiliano e Felicissima sia stata scritta dai monaci di Farfa, anche perché è stata notata "chiaramente la dipendenza e il legame che si voglia delle nostre Passio dalle Passiones umbre: dipendenza che è talmente grande che fa diventare le nostre Passio come dice il Dufourcq un centone di altre leg-gende".29

24 Ibid., p. 262. 25 Ibid., p. 263-264: "Ancor più scarsi i dati concernenti il culto di santa Felicissima, della qua-

le null'altro ci è dato di conoscere al di là delle scarse indicazioni fornite dal Geronimiano, il quale, attestandone la precoce diffusione nei due principali centri dell'Umbria centro-meridionale, sembrerebbe riflettere l'esistenza di una devozione di una certa consistenza, dif-fusasi - forse a partire da Todi - lungo il tracciato della via Amerina. Ad ogni modo, sebbene la totale assenza di ulteriore documentazione induca ad ipotizzare un progressivo affievoli-mento di questo culto, forse messo in ombra dalle successive devozioni episcopali, è tuttavia probabile che la santa godesse di una qualche notorietà ancora tra la fine dell'VIII secolo e gli inizi del IX, epoca in cui un anonimo agiografo, forse per dare maggior rilievo al protagonista della sua compilazione, ripresentò Felicissima nelle vesti di una fanciulla pagana, guarita dal-la cecità e convertitasi al cristianesimo ad opera di Gratiliano".

26 M. Mastrocola, parte I, cit. p. 4. 27 Ibid., p. 5. 28 E. Susi, cit. p. 294. 29 M. Mastrocola, parte I, cit. p. 51.

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Un ulteriore elemento a favore dell'attribuzione a Farfa è che la più antica attesta-zione della passio dei martiri faleritani si deve a un leggendario farfense compilato do-po l'842.30

È innegabile, in ogni modo, che tra la fine dell'VIII secolo e l'inizio del IX, al culto originario di san Gratiliano sia stato abbinato quello di santa Felicissima.

La consacrazione tramite la passio dell'unione dei due culti ha certamente ufficia-lizzato una situazione di fatto forse già esistente da diversi anni, poiché è logico pensa-re che una devozione, anche in presenza di una passio, non si instaura senza le reliquie del santo.

Nell'VIII secolo, Castellum, l'abitato sorto sullo stesso pianoro dove un tempo pro-sperava Falerii Veteres, era diventato un importante centro del Patrimonium Beati Pe-tri e nella sua chiesa cattedrale, dedicata alla Vergine Maria, erano custodite le reliquie di san Gratiliano, il martire originario della ormai abbandonata Falerii Novi. Le reli-quie avevano seguito la popolazione nel ritorno al più antico sito, più protetto rispetto alla città romana costruita in pianura. Altrettanto era avvenuto per quelle di santa Feli-cissima, che avevano trovato una nuova casa e una comunità disposta a venerarle.

La prima attestazione della presenza delle reliquie dei due giovani martiri si trova però soltanto nella lapide commemorativa della dedicazione di un altare nella chiesa cistercense di Santa Maria di Falleri datata 1186, per opera del vescovo Pietro di Civita Castellana e del vescovo Berardo di Nepi.

L'altare, in honorem S. S. confessorum Nicolai et Benedecti , ospita anche le reli-quie dei due martiri faleritani: in hoc altari abentur reliquie s(an)c(t)orum Feliciss […] ni martyris.31 Mentre il nome Felicissima risulta con chiarezza, la presenza di san Gra-tiliano, invece, si evince dalle lettere finali NI.32

Sulla provenienza delle reliquie destinate all'altare di Falleri non è possibile espri-mersi con certezza; potevano essere state prelevate dalla cattedrale di Civita Castellana oppure appartenere a un'ipotetica chiesa precedente a quella cistercense.33 Si può sol-tanto affermare con molta probabilità che le reliquie di san Gratiliano e di santa Feli-cissima erano custodite nella cattedrale civitonica, esattamente nella cripta.

Quando nel 1728, prima della ristrutturazione della cattedrale di Santa Maria Mag-giore, il vescovo Tenderini fece deporre nella cripta cosmatesca un bassorilievo di marmo raffigurante i due giovani martiri, esso fu "posto in luogo delle immagini di det-ti santi, che vi erano in pittura. (Cfr. Visita 1^ Tenderini, p. 20, nella Cancelleria Ve-

30 E. Susi, cit. p. 264, nota 21. 31 M. Mastrocola, parte II, cit. p. 33, nota 144. 32 Ibid. 33 I monaci cistercensi tra il 1143 e il 1145 presero possesso del sito dove un tempo sorgeva la

Falerii romana, e qualche autore ritiene che prima dell'arrivo dei monaci di Citeaux esistesse un'abbazia benedettina. Per maggiori notizie in merito cfr. B. Bedini, Faleri. La sua storia, i suoi martiri, la sua Chiesa, Civita Castellana 1956, nonché M. Mastrocola, "Il Monachesimo nelle diocesi di Civita castellana Orte e Gallese fino al sec. XII", in Miscellanea di Studi Vi-terbesi, Viterbo, 1962, p. 381-390.

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scovile)".34 Il presule ristrutturò e riaprì al culto la cripta con l'altare dedicato ai santi Gratiliano e Felicissima.35

La raffigurazione pittorica dei due santi attesta che anche nei secoli successivi alla costruzione della cripta (secolo XII)36 il culto rimase vivo. Il fatto che il vescovo Ten-derini ripristinò il culto e restaurò l'altare dedicato ai santi faleritani prova anche che nel XVIII secolo parte delle reliquie dei martiri erano ancora conservate nella cattedra-le civitonica, nonostante che alcune di esse nel corso dei secoli fossero state trasferite per diversi motivi in altri luoghi.37

IL CULTO DEI NUOVI SANTI

Nonostante l'antico culto tributato ai santi faleritani, la clamorosa scoperta delle re-liquie dei santi Marciano e Giovanni dovette indurre la gerarchia ecclesiastica e la col-lettività civitonica a sopravvalutare i nuovi santi rispetto ai vecchi protettori. Ai santi Gratiliano e Felicissima fu affidato un ruolo di secondo piano nella venerazione citta-dina con la dedicazione della cripta della cattedrale cosmatesca.

Il ritrovamento dei corpi dei santi Marciano e Giovanni si verificò nel momento in cui la cristianità affrontava il problema della fine del mondo prevista per l'anno Mille. Una serie di prodigi e di calamità contraddistinsero quel periodo, e, una volta scampato il pericolo, un cronista di poco posteriore, Rodolfo il Glabro, racconta che in quegli anni "in quasi tutto l'universo, e soprattutto in Italia e nelle Gallie, si rinnovarono le ba-siliche delle chiese" e " rivelazioni e visioni meravigliose fecero scoprire dappertutto sante reliquie perdute da lungo tempo, e nascoste agli occhi di tutti".38

34 A. Cardinali. Cenni storici della Chiesa Cattedrale di Civita Castellana, Roma, 1935, p. 71,

nota 3. 35 Ricordano questo evento: 1. Una lapide datata 1723, posta nella cripta, ripresa da G. Pulcini in Falerii Veteres, Falerii

Novi, Civita Castelllana, Vignanello, 1974, p. 241: "subterraneam hanc basilicae partem anti-qui operis sed rudem et sine cultu (…) in honorem sanctorum Graciliani et Felicissimae erexit marmoreas aediculas".

2. La visita pastorale di mons. Tenderini del 7 giugno 1736 che riferisce: "DE ECCLESIA SU-BTERRANEA, ET ALTARE SS. GRACILIANI, ET FELICISSIME: AD MAIOREM DEI GLORIAM LOCUS ISTE OLIM, SINE CULTU, RESTAURATUS FUIT, ALTARE CUM IMAGINIBUS SS. GRACILIANI, ET FELICISSIME IN MARMORE SCULPTIS CONSE-CRATUM FUIT FESTA S. LAURENTIJ DIE 10 AUG.TI 1724", in S. Boscolo, L. Creti, C. Mastelloni. La Cattedrale di Civita Castellana, Roma, 1993, p. 48, nota 9.

36 Riguardo alla datazione della costruzione della cripta, si rimanda a S. Boscolo, "La cripta", in S. Boscolo, L. Creti, C. Mastelloni, cit. p. 47.

37 Per le vicende delle reliquie e la loro presenza a Viterbo e a Bassano Romano, si veda, tra gli altri, M. Mastrocola, parte I, cit. p. 38-51, e R. Pompei. Bassano Romano, Viterbo, 1991, p. 19. Il Pompei racconta la storia delle reliquie di Bassano Romano (la testa del santo) che fu-rono dapprima donate dal cardinale Paolo Cesi, vescovo di Civita Castellana, al vescovo di Sutri nel 1437, e poi trasferite a Bassano nel 1489, dove nel 1546 la Comunità eresse una chiesa. Nello stemma comunale di Bassano Romano è raffigurato san Gratiliano.

38 Testo estratto da: M. Sot. "Anno Mille", inserto di Storia e Dossier, n.1 Firenze, novembre 1986, p. 13.

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Anche la scoperta delle reliquie dei santi Marciano e Giovanni avvenne in quel par-ticolare contesto; e da parte dell'autorità religiosa dell'epoca quell'avvenimento può es-sere stato interpretato come un segno divino, inteso a dotare la città di nuovi santi pro-tettori.

Il protagonista di tutta questa vicenda è senza dubbio il vescovo Crescenziano, che, come è riferito dalla relazione sulla invenzione dei corpi dei santi, cercò le reliquie, e-dificò un altare nella chiesa cattedrale ed elevò i nuovi santi a protettori della città.

In questa storia si nota la presenza, seppure defilata, di un altro personaggio: il con-te. Anche se l'autore della relazione, quasi sicuramente un ecclesiastico, mette in risalto la figura del vescovo, non può però ignorare la presenza del conte almeno nell'occasio-ne più solenne, ossia la processione del trasferimento delle reliquie dalla chiesa di San-t'Ippolito alla cattedrale.

La più importante autorità laica di allora deve aver avuto un ruolo di maggior rilie-vo in tutta la vicenda e non, come vorrebbe farci intendere l'autore della relazione, una parte secondaria e quasi di rappresentanza limitatamente alla sola processione di trasfe-rimento delle reliquie. In quell'epoca era compito dei detentori del potere politico cura-re anche il lato spirituale del governo della città,39 e il conte non può essersi sottratto a questa regola.

Il collegamento tra la scoperta delle reliquie a Rignano da parte di Ottone III e il ri-trovamento nello stesso luogo dei resti dei santi patroni civitonici deve essere indivi-duato, con molta probabilità, nel conte di Civita Castellana.

Un esempio molto noto circa l'attenzione che i potenti dell'epoca avevano nei con-fronti delle sante reliquie è quello che riguarda Adalberto Atto di Canossa, progenitore della contessa Matilde. Nel codice Vaticano Latino 492240 sono raffigurate due scene: nella prima il conte, ormai anziano, riceve dal re, forse Ottone II, le reliquie di santa Corona e di san Vittore,41 nella seconda il vescovo Gotifredo, figlio del conte, taglia le membra del corpo di sant'Apollonio e le consegna al padre.

I fatti rappresentati risalgono alla fine del X secolo e sono un chiaro esempio della mentalità dell'epoca. Il possesso delle reliquie dei santi dava lustro e rendeva importan-te non soltanto la chiesa che le custodiva, ma anche, e soprattutto, il signore che le a-veva procurate e tutta la sua dinastia.

OTTONE III

Sullo sfondo degli avvenimenti narrati si staglia la figura dell'imperatore Ottone III, che assume un ruolo rilevante nella nostra storia. L'imperatore sassone morì il 3 gen-

39 A. Vauchez. "Il Santo", in L'Uomo Medievale, a cura di J. Le Goff, Roma-Bari, 1988, p.

357: "…fino alla fine del Medioevo uno degli obblighi di coloro che detengono il potere, nel-la società cristiana, sarà di costruire chiese per ospitare le reliquie".

40 Le fotografie delle miniature sono riportate in F. Bocchi. "Matilde di Canossa", inserto n. 38 di Storia e Dossier, Firenze, marzo 1990, p. 49.

41 I santi Corona e Vittore sono rispettivamente i patroni di Canepina e Vallerano. Un filone di ricerca può riguardare il collegamento eventuale del culto dei due santi nel territorio Cimino con il possesso delle reliquie da parte dei Canossa. Per il culto dei santi Vittore e Corona in area umbra, specialmente a Otricoli, cfr. E. Susi, cit.

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naio 1002 nel castello di Paterno. Sui libri di storia la localizzazione di questo castello è spesso imprecisa; gli autori che più si avvicinano al vero si limitano a affermare che il sito si trova tra il monte Soratte e Civita Castellana.42

Se, però, si consulta la carta IGM CIVITA CASTELLANA I N.E ., si può costatare che Ca-stel Paterno si trova in linea d'aria ad appena due chilometri dalla città.

42 Si va da un eccesso all'altro, come ad esempio: 1. M. P. Penteriani Iacoangeli-U. Penteriani. Nepi e il suo territorio nell'Alto Medioevo, Roma

1986, p. 56, nota 72: "Ottone III si spense (…) nel castello di Paterno, che allora quasi certa-mente rientrava nel territorio di Nepi".

2. M. Sot, cit. p. 60: "Ottone III muore il 23 gennaio 1002 nei pressi di Rieti ai piedi del monte Soratte".

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Il promontorio tufaceo dove è situato il rudere del castello, che si erge sopra la valle del fiume Treia, si può vedere distintamente dal lato sud della rupe di Civita Castella-na. Ottone III aveva qui fissato il suo quartiere generale, soggiornandovi dal 25 al 31 luglio 1001, nonché nei giorni successivi al Natale dello stesso anno, immediatamente prima di morire.43 Il castello era comandato da quel Tammo, fratello di Bernardo ve-scovo di Hildesheim e maestro dell'imperatore, che due anni prima era stato l'artefice a Roma della cattura del duca Crescenzio, promotore della rivolta anti imperiale.44

Perché Ottone III aveva scelto Paterno come residenza alternativa a Roma? Il ca-stello era posto sopra un'altura naturalmente difesa ed era munito di possenti mura. Va tenuta, poi, in considerazione la sua felice posizione geografica rispetto al territorio: situato al centro dell'Ager Faliscus, Paterno era molto vicino alla Via Flaminia e, tra-mite la valle del fiume Treia, si collegava agevolmente anche con la Via Cassia. Civita Castellana e il suo territorio furono, anche se per un breve periodo, lo scenario di avve-nimenti politici di grande rilevanza, i quali produrranno gli effetti sulla storia della città per tutto l'XI secolo.

LA GENEALOGIA

L'istituto comitale, dopo lo sviluppo per iniziativa dei monarchi Carolingi, ebbe un nuovo impulso ad opera dell'imperatore Ottone I, il quale lo rivitalizzò soprattutto nelle campagne.45 Ottone III, proseguì l'opera del nonno, ottenendo il risultato di contenere l'autorità che i vescovi avevano raggiunto, nonché quello del parziale ritorno in mano laica della amministrazione pubblica.46

Così come era avvenuto per i Carolingi, anche gli Ottoni conferirono le cariche più importanti dell'impero a persone a loro vicine. Ottone III, ad esempio, nella sua corte romana aveva insediato membri appartenenti alla aristocrazia tedesca,47 soprattutto sas-soni,48 così come faceva, nel frattempo papa Gregorio V, suo cugino, nella curia ponti-ficia.49 Anche le residenze periferiche erano comandate da uomini di sua fiducia; si è visto che Tammo, considerato uno dei suoi cavalieri più fedeli, reggeva la fortezza di Paterno.

Fatta questa premessa sulle usanze dell'epoca in merito alle assegnazioni delle cari-che pubbliche da parte dell'imperatore, si può cercare di identificare chi fosse quel con-te che reggeva Civita Castellana agli albori dell'XI secolo. In un documento dell'abba-zia di Farfa risalente al 1066, il conte Rainerio di Civita Castellana si dice filius vero

43 F. Gregorovius cit. p. 258-259. 44 Ibid., p. 229. 45 M. Ascheri. Istituzioni medievali, Bologna, 1994. , p. 165 e sgg. 46 V. Fumagalli. "L'Italia centro settentrionale dalla conquista carolingia al dominio sassone",

in Storia della Società Italiana: L'Italia dell'alto Medioevo, parte seconda, vol. V, Milano, 1984, p. 148-149.

47 P. Toubert. "Il Patrimonio di S. Pietro fino alla metà del secolo XI", in Storia d'Italia, vol. VII, tomo 2, Torino, 1987, p. 212.

48 P. Brezzi. Società feudale e vita cittadina dal IX al XII secolo, Roma, 1972, p. 97. 49 F. Gregorovius cit. vol. II, p. 225.

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domni Saxonis incliti comitis de comitatu Civitatis Castellanae.50 La chiara origine germanica del conte Rainerio e del conte Sassone, suo padre, si desume facilmente dai loro nomi, così come è ancor più evidente l'ascendenza sassone.51

Si può attribuire al conte civitonico dell'anno 1001 un nome? Era egli quel conte Sassone padre del conte Rainerio? Prima di rispondere a questi interrogativi, è bene ri-costruire la genealogia dei conti civitonici.

Si è appena detto che il primo documento in cui compare la famiglia dei conti di Civita Castellana risale al 1066, dove il conte Rainerio si dice figlio di Sassone. Un se-condo documento contenuto sempre nel Regesto di Farfa risalente al 1072 ci svela il nome del figlio di Rainerio: ego Saxo comes, filius comitis Rainerij.52. Un altro atto, datato 1084, lo conferma: Saxo comes filius Rainerij Saxonis comitis filii .53

Fin qui la genealogia dei conti civitonici è chiara: Sassone I, Rainerio e Sassone II. Nel 1083 in un atto del Regesto compaiono come testimoni Saxonis quondam Rainerij, et Milonis filii eius , senza alcuna altra indicazione relativa alla provenienza e al tito-lo.54 Ritengo che Sassone di Rainerio debba essere identificato con il conte civitonico; bisogna, però, effettuare alcune verifiche.

Nel documento del 1083 Sassone non è ricordato come conte. Ciò non deve stupire più di tanto se si considera che, nello stesso atto, neanche all'attore principale Rainerio di Gerardo è dato alcun titolo nobiliare, mentre certamente si tratta di Rainerio conte di Galeria.55 Dopo qualche giorno anche Guido del conte Guido, così come aveva fatto Rainerio di Gerardo, promette di restituire a Farfa alcuni beni usurpati, e anche in que-st'occasione è presente Sassone, il cui nome, però, è seguito dal titolo Saxonis comitis, così come si verifica per il protagonista Guido quondam Guidonis comitis.56

Bisogna considerare, altresì, che il nome Sassone non si trova frequentemente nei documenti dell'epoca; nell'indice del Regesto di Farfa, ad esempio, oltre ai nomi riferiti alla famiglia civitonica se ne trovano pochissimi altri.

Si ha notizia di un altro Sassone di Rainerio,57 fratello di Gerardo conte di Galeria, ma motivi di ordine cronologico mi portano a non identificarlo con lo stesso dell'anno

50 R. F. vol. IV, doc. 990, p. 370. 51 Du Cange. Glossarium Mediae et infimae latinitatis, Graz 1954, p. 320, s.v. Saxa. 52 R.F. vol. V, doc. 1096, p. 60. 53 R.F. vol. V, doc. 1097, p. 92. 54 R.F. vol. V, doc. 1076, p. 72. 55 R.F. vol. V, doc. 1076, p. 71. Il Rainerius quondam Gerardi dell'atto deve identificarsi con il

Rainerio figlio di Gerardo conte di Galeria e di Teodora clarissima comitissa che, insieme con Raineri filii nostri, nell'anno 1058 donarono due chiese all'abbazia di Farfa (R.F. vol. V, doc. 1270, p. 246). Un altro elemento a favore dell'identificazione proposta è quello relativo al-l'oggetto dell'atto del 1083 (doc. 1076): Rainerio rinuncia ai diritti accampati sopra i beni del-la chiesa di Santa Maria in Mignone, fondazione dell'abbazia di Farfa. Le terre che la cella di Santa Maria in Mignone possedeva in marchia toscana erano state poste dall'abate Ugo di Farfa (997-1038) sotto la tutela di Gerardo Rainerii filium conte di Galeria (R.F. vol. IV, doc. 813, p. 216).

56 R.F. vol. V, doc. 1077, p. 72-73. 57 G. Bossi. "I Crescenzi di Sabina", in Archivio della Società Romana di Storia Patria (di se-

guito ASRSP), vol. XLI, Roma, 1918, p. 163: "Leone IX, pontificò sino all'aprile del 1054, molestato sempre dal pretendente Benedetto IX e combattuto dai fratelli di costui, uniti ai conti di Galeria, Gerardo e Sassone".

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1083, anche se non può escludersi che Sassone di Galeria fosse ancora in vita negli an-ni Ottanta dell'XI secolo, nonostante l'età ormai avanzata.58

Sassone di Civita Castellana in quel periodo si trovava a Roma nel campo dell'im-peratore Enrico IV, perciò mi sembra improbabile che, in presenza di un altro nobile con lo stesso nome, non si fosse avvertita la necessità di individuare chiaramente il te-stimone, quando la generica indicazione di Saxonis quondam Rainerij poteva generare confusione.

Alla luce di quanto precede si può affermare che "Sassone fu Rainerio", teste nel-l'atto del 1083 è il Sassone conte di Civita Castellana. Un ultimo elemento a favore di questa affermazione è che Sassone e suo figlio Milone nella lista dei testi compaiono per primi, segno inequivocabile della loro importanza. Posizione preminente che è con-fermata dal medesimo notaio qualche giorno dopo, allorquando troviamo il conte Sas-sone secondo soltanto ad alcuni esponenti della gerarchia ecclesiastica.59 La genealogia della famiglia comitale civitonica si arricchisce così di un nuovo soggetto che, se pri-mogenito, avrebbe assunto la carica di conte di Civita Castellana alla morte del padre.

Stante il silenzio della documentazione successiva all'anno 1083, non ci è dato di conoscere se un altro membro della famiglia assunse la carica, ma con molta probabili-tà possiamo affermare che la dinastia civitonica produsse una quarta generazione, della quale conosciamo almeno un nome: Milone.

La genealogia familiare nota è la seguente: Sassone I Rainerio x Stefania Sassone II Milone Se Milone nell'atto del maggio 1083 assunse la veste di testimone insieme col pa-

dre, significa che, seppur giovane, fosse ormai adulto. Questa considerazione non è in-differente ai fini della domanda se il conte di Civita Castellana presente alla cerimonia della traslazione delle reliquie nel 1001 era quel Sassone capostipite della famiglia co-mitale.

I due estremi temporali della questione sono: presenza di un conte nel 1001; Milone adulto nel 1083. Negli ottanta anni circa che separano queste due date, l'inserimento della genealogia

della famiglia civitonica sopra proposta è molto probabile. Sarebbe difficile aggiungere o togliere una generazione alla fattispecie proposta. L'aggiunta di un elemento sarebbe una forzatura, nel senso che per tutti i soggetti si dovrebbe ipotizzare una precoce, se non precocissima, filiazione con primogeniti di sesso maschile.

58 Se prendiamo per buone le date che ci fornisce G. B. Borino. L'elezione e la deposizione di

Gregorio VI, in ASRSP, vol. XXXIX, Roma 1916, p. 199-200: "Gerardo figlio di Rainerio, fosse di quei filii Rainerii che anteriormente al 1022 avevano indotto Benedetto VIII a far giurare suo fratello Romano (…) di restituire (…) i castelli Tribuco e Bucciniano", dobbiamo ipotizzare che Sassone di Rainerio nel 1083 doveva avere circa 80 anni. Un po' troppo per gli uomini di allora. (Sull'argomento si veda la nota 61).

59 R.F. vol. V, doc. 1077, p. 73: Presentia archiepiscopi Bremensis, episcopi Novariensis, et episcopi Aureliensis, et Tretonensis, et Saxonis comitis.

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Oltre agli eventuali problemi inerenti la primogenitura maschile, si deve tenere con-to che spesso all'epoca i matrimoni, soprattutto dei primogeniti maschi, erano ritardati per ragioni di opportunità familiare.60 Passare da quattro a tre generazioni, invece, è al-trettanto difficile, se non impossibile, poiché si dovrebbe identificare il conte Rainerio (morto tra il 1066 e il 1072) con il conte della traslazione del 1001. Accogliere questa ipotesi significherebbe attribuire a Rainerio un'età di circa 90 anni in un epoca in cui la vita media era di gran lunga più bassa.61

In conclusione si può con buona probabilità affermare che era Sassone I il conte ci-vitonico che partecipò alla cerimonia di traslazione delle reliquie dei santi martiri Mar-ciano e Giovanni nel gennaio dell'anno 1001. La genealogia che si è proposta tiene conto soltanto dei componenti della famiglia che hanno assunto la carica comitale o che, come Milone, compaiono nella documentazione dell'epoca.

Non possiamo però pensare che il lignaggio dei Sassoni si limiti soltanto a figli uni-ci di sesso maschile. La presenza di altri componenti della famiglia, oltre a immaginar-si, può desumersi da qualche accenno che compare negli atti del Regesto Farfense. Nella struttura del documento medievale la parte che prevede "la minaccia di pena con-tro chi non ottemperi agli obblighi che vengono a crearsi"62 è chiamata sanzione, e in due documenti che riguardano la famiglia civitonica nella sanzione si trovano coinvolti anche gli eredi.

Nella donazione che il conte Rainerio e sua moglie Stefania fanno in favore dell'ab-bazia si obbligano cum nostris haeredibus.63 Il conte Sassone II, nell'atto di cessione a Farfa, dicendo me et meos haeredes coinvolge nell'obbligazione anche quest'ultimi.64

Tra gli eredi di Rainerio, prima, e di Sassone II, poi, potevano senz'altro trovarsi al-tri figli oltre a quelli che conosciamo. Lo stesso Milone non è detto che fosse il primo-genito di Sassone II, dato che non è indicato come tale e neanche come conte.

Per le famiglie aristocratiche dell'epoca era usuale avviare alla carriera ecclesiastica almeno uno dei figli cadetti, anche perché "il possesso d'una sede vescovile diventa una meta di primaria importanza per una famiglia".65

L'appartenenza alla famiglia dominante rendeva facile la scalata alle alte cariche almeno a livello territoriale. Un esempio noto è quello relativo alla dinastia degli Atto-

60 D. Barthelemy. "Parentela" in La vita privata dal Feudalesimo al Rinascimento, a cura di P.

Aries - G. Duby. Roma-Bari, 1988, p. 81: "In cerca di prestigio, i lignaggi cercano per il pri-mogenito una sposa di rango superiore o uguale al loro, preferendo attendere un po' di tempo piuttosto che fare un matrimonio sbagliato".

61 Le possibilità di vivere più a lungo dipendevano soprattutto dal tenore di vita di ciascuno. "Matilde visse circa settant'anni, un'età molto avanzata per quel tempo, per il quale si è ipo-tizzata una vita media di circa trent'anni". V. Fumagalli. Matilde di Canossa, Bologna, 1996, p. 74.

62 A. Pratesi. Genesi e forme del documento medievale, Roma ,1987, p. 84. A p. 85 l'autore specifica che "nei documenti privati (…) riguarda per lo più i soli contraenti (e rispettivi ere-di)".

63 R.F. vol. IV, doc. 990, p. 370. 64 R.F. vol. V, doc. 1096, p. 92. 65 P. Racine. "Città e contado in Emilia e Lombardia nel secolo XI", in R. Bordone - J. Jarnut

(a cura di). L'evoluzione delle città italiane nell'XI secolo, Bologna 1988, p. 115.

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ni di Canossa, la quale produsse due vescovi, in altrettante generazioni, che insediò nelle sedi vescovili all'interno dei suoi domini.66

I vescovi noti della serie civitonica nell'XI secolo sono: - Crescenziano anni 1000-1036 - Benedetto anno1037 - Giovanni dopo il 1050 - Pietro anno 1059 Non disponiamo di alcun elemento circa la possibile parentela dei suddetti vescovi

con la famiglia comitale civitonica,67 e non traspare il benché minimo indizio neanche a livello onomastico, poiché tutti i vescovi hanno nomi latini. Qualche autore ha ipotiz-zato l'appartenenza a Civita Castellana di un vescovo di nome Ruggero68 che partecipò al concilio di Benevento nel 1075, sotto Gregorio VII, firmandosi Rusgerus Civitaten-sis episcopus.69 Per questo presule il Mastrocola aveva già sollevato molti dubbi circa la sua appartenenza alla serie civitonica; oltremodo, aggiungo io, appare improbabile che un vescovo il cui nome tradisce origini normanne sia stato nominato alla cattedra civitonica con l'assenso del conte Rainerio o del conte Sassone, stante la rivalità esi-stente in quegli anni con i normanni, che più di una volta avevano scorrazzato nel La-zio in cerca di bottino.70

Quali elementi si possono ricavare dalla onomastica familiare dei conti Sassoni? Si può rilevare, anzitutto, che si tratta, come già si è detto, di nomi di origine germanica: Sassone e Rainerio chiaramente non sono nomi latini. Se si considera, come sostiene il

66 Il vescovo Gotifredo, figlio di Adalberto Atto e di Ildegarda, e il vescovo di Arezzo Tedaldo,

figlio del marchese Tedaldo e della contessa Guillia. 67 Per quanto riguarda la serie dei vescovi nell'XI secolo, cfr. M. Mastrocola, parte II, cit. p.

29-32. 68 Di questo avviso sono il Gams: Series episcoporum Ecclesiae Catholicae quotquot innotue-

runt a beato Petro Apostolo a multis adiutus edidit P. Pius Bonifacius Gams O.B.S., Ratio-sbonae, typis et sumptibus Georgii Josephi Manz, 1873, p. 686; e il Van Doren in Dictionaire d'Histoire et de Géographie ecclésiastiques, T. XII, Parigi, 1953, coll. 1027-1028, s.v. Civita Castellana.

69 M. Mastrocola, parte II, cit. p. 82. Circa le modalità di distinzione dei vescovi di Civita Ca-stellana con quelli di Città di Castello, vedi nota 120 alle p. 28-29.

70 Domenico Mazzocchi nel suo Veio Difeso, cit. p. 119, scrive: "Se bene il Manente riferisce un altro eccidio all'anno 1063. Dicendo: Nel qual tempo vennero li Normanni del Regno in favore del Papa (Alessandro II) et espugnorno Fallere, Sutri, Nepe, e Civita, che si erano ri-bellate dalla Chiesa co'l favore de' Viterbesi, e de' Conti d'Anguillara". Sulla attendibilità di questa notizia sorgono molti dubbi, anche se distruzioni da parte dei Normanni sono ricordate da G. Tomassetti. La Campagna Romana, antica, medioevale e moderna, Firenze, 1979, vol. III, p. 60, quando dice che nel 1059 Gerardo conte di Galeria "fu assediato con l'antipapa Be-nedetto nel castello per opera dei Normanni" nonché da F. Gregorovius, cit. p. 359: "Le schie-re di Goffredo si congiunsero coi Normanni e occuparono Roma, la Sabina e la Campagna as-sediando e distruggendo le rocche dei conti" nel 1063; e a p. 364; "nell'anno 1066, egli (Ric-cardo di Capua) infranse il giuramento di fedeltà e da protettore della Chiesa ne divenne aper-to avversario […] scorrazzò per tutto il Lazio mettendolo a ferro e fuoco". È alquanto strano che la conquista di città come Civita Castellana, Nepi e Sutri sia passata in secondo piano ri-spetto, ad esempio, all'assedio di Galeria, così come lo è il fatto che tutte e tre le città siano state prese nonostante le importanti difese sia naturali che artificiali di cui erano munite.

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Toubert, che nell'XI secolo si assiste in Italia al progressivo abbandono dei nomi indi-viduali germanici,71 il caso trattato assume una certa importanza. Se poi dallo stesso autore apprendiamo che a Roma e nel Lazio la permanenza di una buona quantità di nomi di origine classica è ancora più spiccata,72 il nostro caso si pone decisamente con-trotendenza.

Per quasi tutto l'XI secolo i conti di Civita Castellana usavano nomi personali ger-manici, e soltanto alla quarta generazione adottarono un nome (Milone) di origine clas-sica.73 I nomi propri nel medioevo assumevano una funzione importantissima, poiché, in assenza di cognomi familiari, dovevano indicare l'identità di una persona e della fa-miglia di appartenenza, "contraddistinguono il legame famigliare fra individui ripeten-dosi regolarmente a ogni generazione; sono trasmessi come attributi ereditari, di padre in figlio, da zio a nipote, ma anche (e forse essenzialmente) da nonno o zio materno a nipote".74

L'unica ripetizione del nome all'interno della famiglia civitonica si verificò con il nome Sassone, che passò dal nonno al nipote, effettuando così il salto di una genera-zione.

L'uso di mettere il nome del padre direttamente al figlio è riscontrabile in due casi dell'epoca, territorialmente vicini al nostro, riferiti a due famiglie comitali: a) Girardo conte figlio di Girardo; b) Guido del conte Guido.75 In merito a questa usanza il Tou-bert sostiene che il ricorso abituale da una generazione all'altra degli stessi nomi è stato per l'aristocrazia locale un primo modo per manifestare la continuità del lignaggio, ag-giungendo che, con tale pratica, si cercava anche di attuare una differenziazione socia-le.76

Nel caso dei conti civitonici un esempio lampante della necessità di evidenziare la continuità del lignaggio si ha in un documento del Regesto di Farfa, laddove si dice: Saxo comes filius Rainerii Saxonis comitis filii.77 Per l'individuazione del conte Sasso-ne II, nell'atto si ripete tutta la genealogia comitale: Sassone conte figlio di Rainerio, figlio del conte Sassone.

Il voluto collegamento al presunto primo conte della famiglia, nonché la sola ripeti-zione del nome all'interno della genealogia conosciuta, mi porta ad attribuire alla fami-glia comitale di Civita Castellana il nome di Sassoni. L'origine sassone e la volontà di perpetuare il lignaggio sono gli elementi che si possono rilevare dall'onomastica fami-liare. Il fatto che alla quarta generazione sia stato adottato un nome classico, come Mi-

71 P. Toubert. Les Structures du Latium Médiéval, Ecole Française de Rome, Roma, 1973, p.

697. 72 Ibid. 73 Il nome Milone, di origine greca (Milone di Crotone, atleta 540-516 a.C., ottenne parecchie

vittorie come lottatore nei giochi olimpici) è usato anche nell'Alto Medioevo (Milone di Saint-Amand, monaco, 809-871/2). Vedi s.v. Milone in Dizionario Enciclopedico Italiano, I-stituto della Enciclopedia Italiana fondato da Giovanni Treccani, Roma, 1970.

74 D. Barthelemy, cit. p. 81. 75 Regesto di Farfa: a) Gyrardus inclitus comes filius bona memoriae Girardi incliti comitis ha-

bitator in territorio maritimano doc. 991, anno 1068, vol. IV, p. 371. b) Guido quondam Gui-donis comitis, doc. 1077, anno 1083, vol. V, p. 72.

76 P. Toubert. Les Structures..., cit. p. 699. 77 R.F. vol. V, doc. 1096, p. 92.

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lone, poteva significare che la famiglia di origine germanica, dopo circa 70 anni di permanenza nel territorio, si era ben radicata nella patria adottiva, prendendone defini-tivamente coscienza.

L'integrazione della famiglia nel nuovo contesto territoriale è pensabile che sia stata ottenuta anche grazie ad accorte politiche matrimoniali. Il conte Rainerio era sposato con domnam Stephaniam inclitam comitissam,78 ciò fa pensare che già alla seconda generazione la famiglia abbia stretto forti legami di parentela con l'aristocrazia locale.

Si tratta di rapporti improntati al rispetto reciproco tra lignaggi, come sembra di po-ter rilevare dalla donazione che i coniugi Rainerio e Stefania dispongono a favore del-l'abbazia di Farfa nel 1066, al fine di ottenere la redenzione delle loro anime e di quelle dei genitori di entrambi i coniugi.79

Questo elemento, a prima vista insignificante, può lasciar trasparire una situazione di pari dignità tra le due famiglie aristocratiche che si sono imparentate con il matri-monio di Rainerio e Stefania. Il nome Stefania/Stefano è di origine greca ed è spesso usato dalla aristocrazia romana dell'epoca, tant'è che il ricorso del nome ha caratteriz-zato un ramo della famiglia dei Crescenzi, detti, appunto, Stefaniani.

IL COMITATO

Nell'XI secolo l'aristocrazia risiedeva in abitazioni fortificate, spesso in veri e propri castelli. In due casi territorialmente vicini al nostro, i conti di Galeria e i signori di Sal-ci, si è in presenza di un castello. I primi abitavano nel castello di Galeria sulla Via Clodia e i secondi risiedevano nel castello di Salci, situato nelle vicinanze di Viterbo.80

Se questa era la situazione della aristocrazia dell'epoca, si può immaginare che an-che la famiglia dei conti civitonici vivesse in un castello o in una residenza fortificata. Dove porre questo edificio a Civita Castellana?

È bene premettere che il problema relativo alle dimensioni del centro urbano alto-medievale di Civita Castellana non è mai stato affrontato seriamente. Gli edifici me-dievali esistenti nel centro storico della città risalgono a un periodo successivo all'XI secolo, pertanto non è possibile trarre conclusioni sicure riguardo alla fase edilizia pre-cedente. Si può soltanto ricordare che negli anni passati è stata rinvenuta una certa quantità di ceramica altomedievale a vetrina pesante (tipo Forum Ware),81 soprattutto nella zona compresa tra la chiesa di San Clemente, la chiesa di San Benedetto (attuale residenza del parroco di San Giovanni Decollato) e la chiesa di San Giorgio (attuale istituto statale d'arte).

Uno scavo archeologico effettuato qualche anno fa nella zona dello Scasato dalla Sovrintendenza Archeologica all'Etruria Meridionale ha portato alla luce alcune sepol-ture e una discreta quantità di reperti, non solo ceramici, di epoca altomedievale.

78 R.F. vol. IV, doc. 990, p. 370. 79 R.F. vol. IV, doc. 990, p. 370, pro redemptione animae nostrae et genitoris ac genitricis no-

strae. 80 A. Lanconelli. "Dal Castrum alla Civitas: Il territorio di Viterbo tra VII e XI secolo, in So-

cietà e Storia, n. 56, 1992, p. 262. 81 Una discreta quantità di ceramica del tipo Forum Ware è attualmente esposta nei locali del

Museo della Ceramica "Casimiro Marcantoni" di Civita Castellana.

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L'abitato altomedievale doveva estendersi in quella porzione di pianoro e solo suc-cessivamente la zona dello Scasato si spopolò, tanto che nel XVII secolo questa parte della città era ancora coltivata a orti e a canapine.82

Soltanto a partire dalla fine dell'Ottocento si verificò una rioccupazione edilizia di questo spazio attraverso l'insediamento di fabbriche di ceramica, dell'attuale ospedale e di qualche abitazione. A segnalare il passato è rimasta la chiesa di Santa Maria del Carmine (già Santa Maria dell'Arco), la chiesa di Sant'Antonio abate e la chiesa di San-ta Chiara.

Un accenno alla residenza dei conti vien fatto in un documento di Farfa, il quale ri-ferisce che prima del 1072 l'abate Berardo I si recò a far visita al conte Rainerio in ca-mera Civitatis Castellanae ubi infirmus iacebat.83 Berardo di Farfa, insieme con due frati, si era recato a Civita Castellana per ricevere dal moribondo Rainerio la promessa di una cospicua donazione, ed era stato ricevuto nella camera del conte in presenza di molti milites.

L'accezione moderna della parola "camera" non è la stessa usata nella documenta-zione medievale. Lo studio delle residenze dell'epoca ha prodotto una difficile distin-zione tra sala e camera: la prima destinata alla rappresentanza, la seconda indicata co-me una zona più ristretta per il letto. Spesso, però, camera e sala facevano parte dello stesso ambiente ed erano separate solo da tramezzi di legno o da tendaggi: il più delle volte si trattava di un piano del torrione dove "l'ambiente principale può essere nello stesso tempo sala e camera".84

All'interno della città non esiste alcun castello o palazzo fortificato risalente al pe-riodo medievale, l'unica fortificazione rimasta è il Forte Sangallo, esempio maestoso di opera militare rinascimentale, fatto costruire da papa Alessandro VI alla fine del XV secolo a difesa dell'unico lato debole del sito.

Il Forte fu costruito sul luogo dove prima sorgeva una rocca medievale, la quale fu in parte inglobata nella nuova costruzione e in parte demolita.85 Della rocca medievale si hanno notizie nel 1483, allorché papa Sisto IV stanziò un'ingente somma per riparar-la.86 Nella misura del Forte, redatta da Antonio da Sangallo il Vecchio e da Pierino da

82 Un'attestazione della coltivazione della canapa in località Scasato (segnalatami dal prof.

Luigi Cimarra) è presente nell'inventario dei beni che il monastero di San Paolo a Roma pos-sedeva a Civita Castellana. L'inventario, redatto in data 3 giugno 1375, riporta: "unum petium terre positum in canapinis S. Pauli. La contrada San Paolo si identificava con l'attuale Scasa-to, o parte di esso, quando si ricorda che spatium sedium et totum circuitum existentem iuxta ecclesiam S. Mariae, positam in contrada S. Pauli, iuxta viam publicam et rupes ab alio late-re", e la chiesa di S. Maria è la "ecclesiam S. Mariae de Arcu, expectantem ad locum conven-tus acclesie S. Pauli de Urbe. L'inventario è pubblicato da B. Trifone. "Le carte del monastero di San Paolo di Roma dal secolo XI al XV", in ASRSP, vol. XXXII, p. 35-36.

83 R.F. vol. V, doc. 1096, p. 92. 84 D. Barthelemy. "Lo spazio privato. Secc. XI-XII", in La vita…, cit. p. 355. A p. 356: "La

camera è un luogo molto più vasto, che offre anche la possibilità di compiervi atti quasi pub-blici; ricevere sedici poveri, toccare gli scrofolosi; alla sua tavola, davanti ad un gran fuoco, Luigi IX può ricevere alcuni cavalieri".

85 Ritengo che un'indagine archeologica sul Castellaccio, i ruderi della fortificazione situata sul promontorio tufaceo tra il Rio Purgatorio e il Rio Maggiore proprio davanti al Forte Sangallo, potrebbe far luce sulle fasi medievali delle fortificazioni di Civita Castellana.

86 Cfr. G. Pulcini. Il Forte Sangallo di Civita Castellana, Civita Castellana, 1995, p. 43.

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Caravaggio tra il 1500 e il 1501, sono più volte riportati elementi del castello medieva-le, come: Rocha vechia, Porta vechia, Torrone et Rocha vechia, Torretta vechia, Re-vellino della Rocha vechia, lo muro dello merli sopra dicto parapetto.87

Era questa la residenza dei conti Sassoni? Non possiamo affermarlo con sicurezza, anche se ci sono buone probabilità. L'unica cosa che si può dire con certezza è che oltre ad avere il titolo di conti di Civita Castellana, i Sassoni risiedevano nella città.

Il potere comitale, così come ridisegnato dagli Ottoni, "controllava il centro urbano e il distretto che vi faceva capo".88 Il centro urbano spesso coincideva con un'antica ci-vitas e, comunque, con una città sede vescovile. Il distretto corrispondeva al territorio immediatamente fuori dalla città a distanza da essa per un raggio di alcune miglia.89

Il Toubert ci dice poi che nel Lazio "ci troviamo in presenza di una geografia politi-ca ricalcata sulla geografia religiosa, la quale a sua volta combaciava con una geografia dell'habitat rigorosamente accentrato".90

Se il territorio del comitato ricalcava i confini diocesani, l'autorità dei conti di Civi-ta Castellana era limitata all'estensione della sola diocesi. Non esistono studi al riguar-do, ma, considerando la lentezza con cui sono mutati nei secoli i confini ecclesiastici, è pensabile che questi, all'epoca in questione, si rifacessero più o meno a quelli del XV secolo91. La diocesi medievale confinava con le diocesi di Gallese e di Orte a nord, con quelle di Sutri e di Nepi a ovest, con la diocesi di Porto e Santa Rufina a sud, e con il fiume Tevere a est che la separava della diocesi di Sabina.

Una circoscrizione comitale confinante con quella civitonica era quella dei conti di Galeria i quali controllavano la zona del Patrimonio di San Pietro che si estendeva dal-la Via Clodia alla Via Cassia;92 anche Nepi, forse, rientrava tra i loro possedimenti.93 Anche a Orte nel 1010 è segnalata la presenza di un conte di nome Guinizo.94

In base agli elementi a disposizione si può far coincidere il comitatus civitonico con una parte dell'Ager Faliscus, e i suoi confini naturali possono individuarsi con le pen-dici dei monti Cimini, il fiume Tevere, il monte Soratte e le valli del fiume Treia e dei suoi affluenti.

Si è già accennato alla creazione del comitato da parte degli imperatori carolingi; con tale nome era indicata una circoscrizione pubblica territoriale e a capo di tale uffi-cio era posto un conte, funzionario pubblico vicino all'imperatore. Per ricompensare il

87 Ibid., p. 112-122. 88 V. Fumagalli. L'Italia…, cit. p. 148. 89 G. Sergi. "Le istituzioni politiche nel secolo XI: Trasformazioni dell'apparato pubblico e

nuove forme di potere, in Il secolo XI: una svolta?, a cura di C. Violante e J. Fried, Bologna, 1993, p. 81.

90 P. Toubert. Il Patrimonio…,cit., p. 164. 91 F. Ughelli, cit. p. 597, elenca i paesi che fanno parte della diocesi di Civita Castellana: Prae-

cipua loca sunt: CAPRAROLA, ubi virorum et monialium septa. GALLESE a quondam urbs. VALLERANO. VIGNANELLO. CARBOGNANO. CERCHIANO. (sic) Sequentia exigua sunt. FABRICA. RIGNANO. STABBIA. BORGHETTO. CALCATA. Per le unioni tra la diocesi civitonica e le diocesi di Orte e Gallese si veda M. Mastrocola parte II, cit.

92 G. Tomassetti, cit. p. 60: "Gerardo signor di Galeria possedeva una serie di castelli dalla Clodia alla Cassia (Sutri)".

93 M.P. Penteriani Iacoangeli - U. Penteriani, cit. p. 59. 94 M. Mastrocola, parte II, cit. p. 134.

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conte del suo servizio, l'imperatore gli assegnava in beneficio delle terre, le quali ritor-navano nella disponibilità imperiale alla morte del conte e venivano concesse al nuovo funzionario pubblico.

Con gli Ottoni, l'istituto comitale riprese vita, ma con il passare del tempo fu modi-ficato fino a stravolgere totalmente i fondamenti del vecchio ufficio carolingio. Per di-stinguerlo dal vecchio sistema, gli studiosi hanno pensato bene di cambiare nome al nuovo fenomeno, passando dal comitato d’epoca carolingia alla contea dell'XI secolo.95

La contea si caratterizza per il suo elemento prevalentemente signorile e non di pubblico ufficio. Qual è stato il tragitto che ha portato il conte-pubblico ufficiale d’epoca carolingia a diventare un conte-signore dell'XI secolo? L'evoluzione è avvenu-ta attraverso modifiche all'originario potere comitale. Anzitutto l’inizio dinastico del-l'ufficio: la famiglia del conte cercava di farsi riconoscere dall'autorità imperiale il di-ritto di "trasmettere di padre in figlio un ufficio comitale".96 Alcune famiglie, poi, "va-lorizzano basi allodiali e beneficiarie, dentro e fuori l'originaria circoscrizione pubbli-ca, e costituiscono dominazioni signorili con un profilo geograficamente nuovo, arric-chito da una terminologia di ascendenza pubblica".97

Facendo leva sulla proprietà fondiaria e sulla ereditarietà delle terre ricevute in be-neficium, si venivano a costituire dei comitatus più piccoli, sviluppati spesso intorno a pochi castelli (quando non a uno solo) che "non hanno nulla in comune con i preceden-ti distretti pubblici".98

Le famiglie comitali costruivano, così, dei dominatus loci, ossia delle signorie loca-li, solide ed ereditarie, e i diversi rami della famiglia si insediavano nei vari castelli e varie terre con la conseguente proliferazione delle contee, dato che "nessuno contesta a questi diversi rami il diritto di usare il titolo di conte ormai privo di significato ufficia-le".99

A questa che è una ricostruzione generale della dinamica dello sviluppo della con-tea, si deve raffrontare il caso concreto che emerge dai dati a disposizione sulla fami-glia dei Sassoni di Civita Castellana. I fatti raccontati mi portano ad affermare che pro-babilmente l'origine del comitato civitonico era pubblica. Si trattò di un ufficio pubbli-co che l'imperatore, Ottone III, o forse anche uno dei suoi ascendenti, concesse a favo-re di un uomo del suo entourage.

Il potere degli Ottoni di conferire e di revocare l'ufficio comitale era indiscusso, tan-to è vero che "la sostituzione di conti è ancora tutt'altro che sporadica fra X e XI seco-lo".100 A questo punto sorge l'interrogativo se l'imperatore poteva conferire la carica comitale di una circoscrizione che faceva parte del Patrimonio di San Pietro.

95 Distinzione concettuale avviata nel secolo scorso da C. Desimoni. Sulle marche d'Italia e

sulle loro diramazioni in marchesati, Genova, 1896, citato da G. Sergi. "Le istituzioni politi-che del secolo XI: trasformazioni dell'apparato pubblico e nuove forme di potere", in V. Vio-lante - J. Fried, cit. p. 76.

96 G. Sergi. "Dinastie e città del Regno Italico nel secolo XI", in R. Bordone - J. Jarnut (a cura di ), cit. p.157.

97 Ibid. 98 G. Sergi. "Regime signorile e sistema feudale", in S. Gasparri (a cura di ). "Il mondo feuda-

le", dossier n. 17 di Storia e Dossier, Firenze, aprile 1998, p. 22. 99 Ibid. 100 G. Sergi, Dinastie…, cit. p.155.

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A tal proposito va detto che quando Ottone I fu incoronato imperatore, tramite il c.d. "patto ottoniano" confermò alla Chiesa le donazioni territoriali fatte dai Carolingi, ma conservò per sé una sorta di supervisione sul governo dei papi, "mediante annuali rendiconti sull'operato di duchi e giudici dello Stato pontificio".101

Nell'Esarcato e nella Pentapoli in età ottoniana si ebbe un incremento della nomina di conti,102 e Ottone III nel 1001 donò alla Chiesa romana otto contee (tra le quali Pesa-ro, Ancona e Fano), che facevano già parte di precedenti donazioni.103 È interessante notare come in quei territori, che facevano parte del dominio temporale dei pontefici romani, gli imperatori sassoni, ma soprattutto Ottone III, provvedevano a nominare gli ufficiali pubblici a capo delle contee.

Riguardo all'ingerenza degli imperatori negli affari pontifici, può dirsi che sotto Ot-tone III il rapporto tra il papa e l'imperatore fu molto stretto e la politica da attuarsi nei domini della Chiesa era concertata da entrambi. Se poi si considera che sia Gregorio V, cugino dell'imperatore, sia Silvestro II facevano parte, per così dire, della corte di Ot-tone III, si può affermare che le nomine effettuate dall'imperatore non erano considera-te da questi pontefici come un'ingerenza negli affari della Chiesa.

Dopo la morte di Ottone III, un altro sassone, Enrico II, diventò imperatore, ma questi, a differenza del predecessore, influenzò scarsamente la politica italiana. A Ro-ma assunse il potere la famiglia dei Tuscolani, la quale, a partire dal 1012, pose sul so-glio di San Pietro tre suoi componenti: Benedetto VIII, Giovanni XIX e Benedetto IX. Il sistema di governo messo in atto dai papi Tuscolani fino al 1046 prevedeva la neu-tralizzazione degli antagonismi locali. Questo stato di equilibrio fu accettato dagli im-peratori tedeschi tanto da far pensare a una politica filoimperiale da parte dei Tuscola-ni.104

Nella prima metà dell'XI secolo i conti Sassoni, favoriti dalla situazione politica di stabilità tra le varie forze presenti nel Patrimonio di San Pietro, mantennero la loro po-sizione nel comitato civitonico. Fu proprio verso la metà del secolo che, a mio avviso, comparve la prima attestazione di un conte di Civita Castellana nel Regesto di Farfa.

Nell'anno 1048 l'abate Berardo di Farfa contendeva in giudizio le pretese di Raine-rio abate dei Santi Cosma e Damiano in Mica Aurea circa il possesso della chiesa di Santa Maria in Mignone. All'udienza era presente come testimone Rainerius comes, che compariva in cima alla lista del plurimi boni homines , prima del conte Ingo, di Benedetto vescovo di Tuscania e di Benedetto vescovo di Blera.105

L'indicazione è certamente generica, ma quanti conti di nome Rainerio sono noti nell'XI secolo tra Roma, la Sabina e la Tuscia romana? Proviamo a elencarli: 1) Raine-rio, padre di Gerardo conte di Galeria, 2) Rainerio, conte di Galeria, figlio di Gerardo, 3) Rainerio, conte di Civita Castellana, figlio di Sassone. Altri membri dell'aristocrazia laziale con lo stesso nome non possono essere presi in considerazione.106

101 M. Ascheri, cit. p. 180. 102 V. Fumagalli. Il Regno Italico, Torino 1987, p. 298. 103 M. Ascheri, cit. p. 198. 104 P. Toubert. Il Patrimonio…, cit. p. 217-218. 105 R.F. vol. IV, doc. 813, p. 216-217. 106 Un elenco di questi compare in G. Bossi, cit. p. 129, nota 1, "Raineri duca e marchese di

Toscana nel 1014 (Muratori, Annali 1014); (…) Rainero figlio di Crescenzio e signore di Fo-

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Nella causa del 1048 intentata da Berardo di Farfa è presente il comitem Gyrardum, scilicet Rainerii filium ,107 il quale aveva ricevuto in tutela dall'abate Ugo i beni della cella di Santa Maria in Mignone almeno dieci anni prima, essendo l'abate morto nel 1038. Il conte Rainerio, padre di Gerardo di Galeria, fu rettore di Sabina dal 1004 al 1006108 e dopo oltre 40 anni la sua presenza mi sembra quanto meno improbabile.

Gli stessi problemi anagrafici si pongono anche per Rainerio, figlio di Gerardo,109 ma l'elemento che rende certa l'esclusione dei due conti appartenenti alla stessa fami-glia è che, in quella occasione, non potevano fregiarsi del titolo comitale. Conte di Ga-leria nel 1048 era Gerardo, ciò significa che il padre Rainerio era già morto, mentre il figlio Rainerio diventerà conte soltanto alla sua morte.

La disputa tra l'abbazia di Farfa e il monastero dei Santi Cosma e Damiano riguar-dava il possesso dei beni della cella di Santa Maria in Mignone e, non a caso, erano presenti all'udienza il conte Gerardo e i vescovi di Tuscania e di Blera.

La cella di Santa Maria era situata tra Centocelle e Tarquinia, sulla riva destra del fiume Mignone, e faceva parte della diocesi di Tuscania, ma la chiesa, con le sue perti-nenze, era prossima al confine con la diocesi di Blera. Il conte Gerardo, come tutore dei beni, e i due vescovi, come massime autorità ecclesiastiche locali, potevano testi-moniare circa l'appartenenza dei beni della cella di Santa Maria all'abbazia di Farfa.

Che contributo poteva dare alla risoluzione della disputa il conte Rainerio? Se, co-me penso, era Rainerio di Civita Castellana, doveva saperne abbastanza della intrigata vicenda, poiché, come si dirà appresso, era il titolare di beni e di diritti per la metà di Civitavecchia, e i suoi possedimenti dovevano confinare con quelli della cella di Santa Maria.

Sono giunto, pertanto, alla conclusione che il Rainerius comes è il conte Rainerio di Civita Castellana, e tale affermazione trova anche il conforto dei seguenti dati:

Il dato anagrafico ci dice che Rainerio di Civita Castellana morì tra il 1066 e il 1072, pertanto nel 1048 è molto probabile che avesse già ereditato il titolo comitale da suo padre Sassone.

Rainerio è indicato soltanto con il nome e con il titolo, ciò lascia intendere che que-sti due elementi erano sufficienti a individuare il personaggio. Esisteva soltanto un conte Rainerio a nord di Roma, altrimenti sarebbe stato necessario specificare il luogo di provenienza o il nome del padre.

Fu nel periodo tra il 1012 e il 1046, durante il dominio dei papi Tuscolani, che pro-babilmente si misero in moto quei fattori che porteranno alla trasformazione del comi-tato civitonico in contea.

In primo luogo, il diritto di dinastia dell'ufficio comitale. La famiglia dei Sassoni ri-uscì a trasmettere da padre in figlio l'originario titolo comitale. Anche in un periodo burrascoso, come la seconda metà dell'XI secolo, il titolo rimase nelle mani dei membri della stessa famiglia.

rano (Chron. Farf. I, 245); (…) Rainero di Marozza (Reg. Farf. Doc. 512, giugno 1018)", nes-suno di questi è indicato come conte.

107 R.F. vol. IV, doc. 813, p. 216. 108 G. B. Borino, cit. p. 200. 109 La prima notizia sul figlio di Gerardo di Farfa risale al 1058, quando il conte e sua moglie

ne fanno espressa menzione: Raineri filii nostri. (R. F. vol. V, doc. 1270, p. 246).

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In secondo luogo, la proprietà fondiaria. Il conte Sassone e suo figlio Rainerio rie-scirono ad acquisire un patrimonio fondiario di grande rilevanza, tra cui la metà del ter-ritorio di Civitavecchia compreso il porto.

Gli avvenimenti che accaddero alla fine dell'XI secolo mi dicono che l'evoluzione da comitato a contea non cancellò del tutto quel rapporto pubblico che esisteva in ori-gine tra il conte e l'imperatore. La fedeltà fino in fondo all'impero da parte dei conti Sassoni aveva radici più profonde del semplice rapporto vassallatico tra il conte e il suo sovrano.

Riguardo al vassallaggio, si deve evidenziare che il conte Sassone, nell'atto con cui nel 1072 confermava le ultime volontà del padre Rainerio a favore dell'abbazia di Far-fa, ricordava che ciò avvenne alla presenza di multis militibus suis quibus praecepit huius facti testes et defensores fieri, scilicet Cazulo, et Rainerio de Mazano, et filio e-ius Rodulfo, et quam pluribus aliis.110

Chi erano questi milites presenti al capezzale del conte Rainerio? Con tale appella-tivo erano individuati i clienti del signore legati a questo da un rapporto di vassallag-gio. Per i servigi, soprattutto di natura militare, il vassus-miles111 riceveva in beneficio beni immobili, solitamente terre facenti parte dell'allodio del signore.

Con la Costitutio de feudis nel 1037 l'imperatore Corrado II garantì ai vassalli del regno d'Italia l'ereditarietà dei feudi, a favore dei discendenti maschi diretti o, ancor meglio, si trattò di "una specie di illicenziabilità se non in presenza di una giusta causa accertata da una giuria di pari".112

Inizialmente questa normativa aveva valore esclusivamente per coloro che avevano ricevuto i feudi da soggetti pubblici "ossia che avessero avuto benefici da vescovi, aba-ti, conti", e solo successivamente si applicò anche ai privati.113

Circa gli obblighi dei vassalli verso il signore, si deve ricordare che anche dopo il 1037 le concessioni di beneficio continuavano a tacere sull'obbligo di fedeltà e di ser-vizio, "l'anarchia resta permanente, i vassalli sono sempre pronti ad abbandonare il loro signore, e quest'ultimo deve ricorrere a degli augmenta feudorum per ottenere la loro partecipazione a questa o a quella spedizione militare".114

L'obbligo militare, che nei periodi particolarmente tormentati era il cardine fonda-mentale del rapporto, era regolato dalle consuetudini locali e dagli accordi tra le par-ti.115 Nel caso del conte Rainerio si può dire che la specificazione che si trattava di mi-litibus suis lascia intendere che si era in presenza di un rapporto di vassallaggio. Tale rapporto vigeva tra il conte e un numero consistente di vassalli, così come è testimonia-to dall'uso di multis e di pluribus . Della schiera dei milites soltanto tre sono chiara-mente individuati, si tratta di Cazulo, Rainerio di Mazano116 e di suo figlio Rodulfo, gli

110 R.F. vol. V, p. 91. 111 G. Sergi. Le istituzioni…, cit. p. 95 112 M. Ascheri, cit. p. 195. 113 Ibid. 114 F. Menant. "Aspetti delle relazioni feudo-vassalatiche nelle città lombarde dell'XI secolo:

l'esempio cremonese", in R. Bordone - J. Jarnut (a cura di ), cit. p. 231. 115 M. Ascheri, cit. p. 195. 116 Il toponimo "Mazano" indica certamente l'abitato di Mazzano Romano, centro che dista al-

cuni chilometri da Civita Castellana, ma che, tramite la strada di fondovalle che costeggia il fiume Treia, era agevolmente raggiungibile.

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unici testimoni presenti al capezzale di suo padre che il conte Sassone menziona da-vanti al notaio; il che può voler dire che si trattava delle persone più qualificate e im-portanti della cerchia dei vassalli.

Oltre a queste considerazioni di ordine generale nulla di più si può dire sul rapporto che univa il conte Rainerio ai suoi molti milites.

LE DONAZIONI ALL 'ABBAZIA DI FARFA

Nell'atto del 1072, con il quale il conte Sassone confermava la donazione di suo pa-dre Rainerio all'abbazia di Farfa, si dice chiaramente che l'oggetto della liberalità è me-dietatem Civitatis Vecclae ex integro cum omnibus sibi pertinentibus, intus et extra, videlicet domos, casas, casalina, terras culta et incultas, prata, silvas, fontes et rivos, portum et redditus eius, aecclesias, monasteria omnis cum cellis suis.117

Si tratta della metà di Civitavecchia con tutte le sue pertinenze, di dentro e di fuori, come case, terre colte e incolte, prati, selve, sorgenti e fossi, il porto con tutto il suo reddito, chiese e monasteri. Ciò che va chiarito è che il conte civitonico donava la metà di tutto: medietatem Civitatis Vecclae ex integro . Non si tratta della metà di alcuni immobili, ma della metà di un'intera città compreso il suo porto con il reddito che ne derivava. Le cessioni di questo tipo non erano rare, anzi erano abbastanza usuali.118 Lo stesso conte Rainerio nel 1066 disponeva un'altra donazione, sempre in favore dell'ab-bazia di Farfa. In quella occasione si trattava di:

Aecclesiam unam in integrum cum omni sua dote et pertinentia de intus et de foris, et cum introitu et exitu suo, pomis et arboris suis, et omnibus infra se vel super se ha-bentibus, vineis et terris generaliter et in integrim ad eam pertinentibus.

Posita in comitatu Centumcellensi, iuxta mare Magnum in loco qui vocatur Heri-flumen, qui vulgo dicitur Gerflumen.

Ipsam aecclesiam quae vocatur sancti Laurentij in territorio quod vocatur Carcari, cum finibus suis, et vineis, terris, pascuis, quomodo ad eam pertinent.119

La chiesa di San Lorenzo, con tutte le sue pertinenze (alberi, vigne, terreni e pasco-li), si trovava nel comitato di Centocelle (Civitavecchia) vicino al mare in località He-riflumen, chiamata comunemente Gerflumen, nel territorio detto Carcari.

Il territorio di cui si parla è situato tra Civitavecchia e Santa Severa, dove "è presen-te il toponimo Pian Calcari e l'idronimo Eri. Poco più a ovest troviamo l'idronimo Rio Fiume e il toponimo Piano di San Lorenzo […] Heriflumen si deve identificare […]

117 R.F. vol. V, doc. 1096, p. 92. 118 Un esempio riferito alle signorie, ma che è significativo sulle pratiche dell'epoca di ragiona-

re per quote di proprietà, ci viene proposto dal Violante, il quale dice che esse "frazionate in quote, erano oggetto di compravendita e di operazioni creditizie, fino al punto che l'acquisi-zione della maggioranza delle quote parti di una signoria conferiva il potere sull'intero territo-rio (quasi come oggi, con l'acquisto della maggioranza del pacchetto azionario si ottiene il controllo di una società per azioni). C. Violante. Economia società istituzioni a Pisa nel Me-dioevo. Saggi e Ricerche, Bari, 1980, prefazione p. 8-9.

119 R.F. vol. IV, doc. 990, p. 370.

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con Rio Fiume. Una precisa localizzazione della chiesa di San Lorenzo è tuttavia molto difficile". 120

Il conte Rainerio, prima, e il conte Sassone, poi, erano i titolari della contea di Civi-ta Castellana e detenevano la metà di Civitavecchia e la chiesa di San Lorenzo che si trovava entro lo stesso territorio, il comitatu Centumcellensi.121 Sull'entità dei possedi-menti fondiari della famiglia civitonica non è possibile esprimersi. I beni fondiari pos-seduti nel territorio di Civitavecchia non dovevano essere i soli. Le basi fondiarie su cui Rainerio aveva costruito il rapporto di vassallaggio con i suoi molti milites doveva-no essere consistenti.

In assenza di documenti non è possibile sapere in che modo la famiglia dei conti Sassoni era entrata in possesso dei beni poi donati alla abbazia di Farfa. La storia del-l'epoca ci dice che i conti avevano accumulato vaste proprietà fondiarie sia con acqui-sizioni sia tramite l'uso della forza, soprattutto a discapito delle chiese e delle abbazie. Il fenomeno dell'usurpazione da parte dei laici dei beni ecclesiastici aveva avuto pro-porzioni rilevanti all'inizio dell'XI secolo.122

I conti Sassoni, come si è visto, disposero due donazioni a favore dell'abbazia di Farfa: la prima nel 1066 da parte di Rainerio, la seconda nel 1072 da parte di Sassone.

Nel primo atto di donazione si legge: Nos domnus Rainerius inclitus comes, filius vero domni Saxonis incliti comitis de

comitatu Civitatis Castellanae, seu et domnam Stephaniam inclitam comitissam coniu-ge mea, ab hac die pro redemptione animae nostrae donamus, cedimus atque largimur, propria, spontanea nostraque voluntate vobis, domne Berarde, Domini gratia humilis abba venerabilis monasterii sanctae Dei genitricis Virginis Mariae quae vocatur Pharphae […] pro redemptione animae nostrae et genitoris ac genitricis nostrae.123

Nel secondo: Ego Saxo comes, filius comitis Rainerij, ex praecepto et iudicio patris mei […] concedo per te venerabilem abbatem Berardum monasterio pharpensi sanctae Dei genitricis Virginis Mariae […] sicut a patre meo vivente, et me consentiente et tradente, suscepisti cum tuis monachis, idest Azone Calvo, et Azone Teutonico, et a-

120 A. Maffei. "Appunti su alcuni documenti relativi ad emergenze architettoniche medievali",

in Civitavecchia ed il suo entroterra durante il medioevo, Civitavecchia, 1986, p. 33-34. Del-la chiesa di San Lorenzo si hanno notizie già dall'anno 854 quando fu data da papa Leone IV al monastero di San Martino in Roma.

121 O. Toti. "Centocelle", in Civitavecchia, cit., p. 22. Il significato da attribuire al comitatu Centocellensi sembra essere esclusivamente quello di appartenenza alla giurisdizione vesco-vile, senza alcun riferimento alla presenza di un conte. Si deve comunque segnalare che il Toubert indica come conte di Civitavecchia Sassone figlio di Rainerio. Si tratterà esclusiva-mente di in refuso tipografico [P. Toubert. Les Structures, cit. p.1117, nota 4 relativa alla pa-gina 1116, "Saxo comte de Civitavecchia (…) (R.F., n° 1096, t. V., p. 91-92)". Come si può vedere si tratta dello stesso documento del Regesto di Farfa dove Sassone è chiamato soltanto come conte di Civita Castellana]. Dopo la distruzione della vecchia Centumcellae ad opera dei saraceni agli inizi del IX secolo, papa Leone IV fece costruire a dodici miglia di distanza, su una posizione naturalmente difesa e più arretrata rispetto al mare, la città di Leopoli, ma gli abitanti la chiamarono Centocelle, come la vecchia città. Con il passare degli anni la vecchia Centumcellae fu nuovamente abitata e prese il nome di Civitavecchia. Nel 1093 la diocesi di Centocelle fu unita a quella di Tuscania.

122V. Fumagalli. L'Italia…, cit. p. 159. 123 R.F. vol. IV, doc. 990, p. 370.

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stantibus praenominatis viris, in camera Civitatis Castellanae ubi infirmus iacebat, ita sponte mea nulloque cogente, sed Deo admonente, pro remedio animarum nostrarum et parentum nostrorum, sicut supra dictum est, largior, concedo et trado.124

I due atti hanno in comune la modalità, la formula e la motivazione della donazione. I beni sono donati all'abbazia di Farfa, ma la donazione è effettuata nelle mani dell'aba-te. In entrambe le donazioni ricopriva la più alta carica dell'abbazia Berardo I, che fu abate dal 1047 al 1089. La figura di Berardo I fu una delle più eminenti dell'epoca, un abate "dal sottile fiuto politico",125 che avviò un'opera di riaccorpamento della proprie-tà fondiaria dell'abbazia.

Nello scenario politico internazionale Berardo I, durante il periodo della lotta per le investiture "si schierò sempre a fianco degli imperatori e contro i papi, un alleato fedele in particolare di Enrico IV".126

Nel secondo atto di donazione Sassone rievoca l'incontro avvenuto a Civita Castel-lana nella residenza comitale tra Rainerio, ormai moribondo, e Berardo, il quale riceve la promessa della donazione. Questo accadde tra il 1066, data del primo atto di liberali-tà, e il 1072, anno della seconda donazione.

Riguardo alla formula delle donazioni, sia Rainerio e Stefania, sia il loro figlio Sas-sone, usano una formula molto ampia che non lascia dubbi circa le loro intenzioni. Nel primo atto i coniugi pronunciano donamus, cedimus atque largimur; Sassone, invece, nel secondo dice largior, concedo et trado.

Quale motivo spinse la famiglia dei Sassoni a donare all'abbazia di Farfa tutti quei beni? La motivazione ufficiale che compare in ambedue gli atti di donazione è esclusi-vamente spirituale. Nell'atto del 1066 si dice pro redemptione animae nostrae et geni-toris ac genitricis nostrae. Nella donazione del 1072 c'è scritto pro remedio animarum nostrarum et parentum nostrorum.

Le due formulazioni possono dirsi equivalenti, i donatori con l'atto di liberalità vo-levano purificare la loro anima dal peccato originale e riavvicinarsi a Dio.

La consuetudine di donare beni immobili a chiese e monasteri per la redenzione del-l'anima ha i suoi illustri precedenti nelle donazioni effettuate dai duchi longobardi e dai sovrani carolingi.127 Le donazioni avevano lo scopo di rimediare alle anime non solo dei donatori, ma anche dei loro parenti.

Nel primo atto il conte Rainerio e sua moglie Stefania estendono gli effetti spirituali della donazione ai rispettivi genitori, mentre il conte Sassone, nel secondo atto, allarga i confini della salvazione a tutti i suoi parenti, come se la maggiore entità di quest'ulti-ma donazione potesse far pensare al conte civitonico di ottenere un allargamento della controprestazione divina.

L'abbazia di Farfa ricevette altre donazioni dalle famiglie aristocratiche del Patri-monio di San Pietro, tutte accompagnate dalla medesima motivazione. Nel 1058 dom-num Girardum gloriosum comitem, consentiente domna Theodora clarissima comitissa

124 R.F. vol. V, doc. 1096, p. 91-92. 125 T. Leggio. Da Cures Sabini all'Abbazia di Farfa, Passo Corese, 1992, p. 65. 126 Ibid. 127 C. D. Fonseca. "Longobardia Minore e Longobardi nell'Italia Meridionale, in Magistra

Barbaritas. I Barbari in Italia, Milano, 1990, p. 143; A. Ambrosioni - P. Zerbi. Problemi di storia medievale, Milano, 1988, p. 86.

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conti di Galeria donano al monastero due chiese pro omnipotentis Dei timore et re-demptione animae nostrae e Raineri filii nostri.128

Nel 1068 Girardus inclitus comes filius bonae memoriae Girardi incliti comitis ha-bitator in territorio maritimano dona al monastero la chiesa di Santa Severa, il castello situato presso la chiesa e la metà del porto e la quinta parte della città di Santa Severa pro anima mea vel suprascripti genitoris mei.129

Le dimensioni di questo fenomeno non convinsero il Calisse, il quale riteneva che l'abate Berardo si fosse riappropriato dei beni oggetto delle donazioni effettuate dai conti Sassoni, sostenendo che il "conte Rainero […] più di una volta avrebbe dovuto fare restituzione, sia pure sotto forma di libera volontà, alla badia di Farfa di ciò che a questa era già appartenuto",130 e cioè sia la chiesa di San Lorenzo, sia la metà di Civi-tavecchia.

Lo stesso autore giunge ad affermare che "fu ceduta o restituita al monastero la me-tà di Civitavecchia, di cui si erano impadroniti Rainero e Sassone".131

Ci troviamo di fronte a una donazione o a una restituzione? L'aristocrazia dell'epoca era avvezza a espropriare, soprattutto con l'uso della forza, i beni ecclesiastici. Si è poi detto che Berardo I di Farfa fu l'abate che più di ogni altro si adoperò per far incamera-re all'abbazia i beni e i diritti a essa appartenuti e detenuti dai membri dell'aristocrazia dell'Italia centrale.

Gli atti giuridici che riguardano il conte Rainerio e suo figlio Sassone assumono pe-rò la forma della donazione, la quale presuppone la piena proprietà dei beni donati.

Si tratterebbe, secondo il Calisse, di atti simulati, nei quali le parti fingono di stipu-lare una donazione quando in realtà restituiscono beni e diritti. Nel periodo primavera estate del 1083, ad esempio, ben tre atti di restituzione furono disposti in favore di Be-rardo di Farfa.

Rainerio di Gerardo conte di Galeria, Guido del conte Guido e Rodilando del conte Roccione restituiscono all'abbazia i beni usurpati appartenuti alla chiesa di Santa Maria sul Mignone, fondazione dell'abbazia di Santa Maria di Farfa.132

Gli atti di restituzione dei beni di Santa Maria sul Mignone sono stipulati in favore dell'abate di Farfa in un momento e in un luogo particolare: l'accampamento dell'impe-ratore Enrico IV alle porte di Roma. L'abate Berardo e i tre conti della Tuscia facevano quasi sicuramente parte della schiera imperiale contro la fazione di papa Gregorio VII, e non è da escludere che l'abate abbia approfittato dell'occasione e della presenza del-l'imperatore per farsi restituire i beni usurpati.

A due di quelle restituzioni partecipò come testimone il conte Sassone, che 11 anni prima aveva confermato allo stesso abate Berardo le ultime volontà del padre Rainerio, ma che ancora non le aveva eseguite.

128 R.F. vol. V, doc. 1270, p. 246. 129 R.F. vol. IV, doc. 991, p. 371: non si tratta dello stesso personaggio, poiché il primo Gerar-

do è conte di Galeria, figlio di Rainerio. Anche in altre realtà territoriali l'aristocrazia assume lo stesso atteggiamento, a Marsiglia nel 1004 il visconte Guglielmo in punto di morte dona al monastero di San Vittore un pezzo di terra pro rimedio dell'anima. Cfr G. Duby. L'anno Mil-le, Torino, 1976, p. 135.

130 C. Calisse. Storia di Civitavecchia, Firenze, 1936, p. 88. 131 Ibid., p. 89. 132 R.F. vol. V, doc. 1076, p. 71; doc. 1077, p. 72; doc. 1078, p. 73.

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Se, come dice il Calisse, i conti Sassoni avevano usurpato i diritti appartenuti al-l'abbazia, perché Berardo di Farfa in quell'occasione non chiese anche al conte Sassone la restituzione dei beni di cui si sarebbero impadroniti lui e suo padre Rainerio? Ciò non avvenne perché il nostro caso, come vedremo, è molto diverso da quello dei tre conti della Tuscia presenti nell'accampamento imperiale.

A distanza di dodici anni dalla cessione di Civitavecchia, l'intrigata questione della donazione ritorna agli onori della cronaca e, questa volta, niente di meno che davanti all'imperatore Enrico IV.

Dopo la conquista di Roma da parte della fazione imperiale, il giorno 29 aprile 1084, in Campidoglio, Sassone di Civita Castellana e Berardo di Farfa, cum iudicibus et advocatis ad placitum faciendum convenientes133, si preparavano a far valere le ri-spettive ragioni in giudizio assistiti dai propri avvocati.

Quali erano queste ragioni? Berardo I, forte dell'atto di donazione del 1072, voleva entrare in possesso dei beni donati all'abbazia, mentre il conte Sassone li teneva per sé, poiché riteneva che i beni erano stati sì donati, ma sopra di essi gravava l'usufrutto in suo favore vita natural durante.134 Sicuro del fatto suo e di essere dalla parte della ra-gione, arrivò quasi in giudizio. Il giorno della causa era stato stabilito ex praecepto Au-gusti, direttamente dall'imperatore, ma Enrico IV quello stesso giorno diede il consenso per una composizione amichevole della lite, come era stato consigliato alle due parti da molte autorevoli persone.135

Nella successiva conferma dei beni e dei privilegi, fatta dall'imperatore Enrico IV all'abbazia di Farfa, si legge: Medietatem Civita Vetula et portus cum omnibus sibi per-tinentibus, quam dedit Rainerius comes filius Saxonis comitis, pro remedio animae suae praedicto coenobio Sanctae Mariae, et filius eiusdem Rainerii Saxo eadem medie-tatem ante praesentiam nostram refutavit, deinde per cartam ipsi monasterio confir-mavit irrevocabili sua suorumque haeredum sententia, sub C librarum denariorum pa-piensium poena.136 In sintesi: prima il conte Rainerio donava a Santa Maria di Farfa la metà di Civitavecchia per rimedio dell'anima, poi suo figlio Sassone, in presenza del-l'imperatore, rinunciava all'usufrutto su di essa.

Trarre una conclusione da questa intrigata vicenda è molto arduo. La mia opinione è che l'intera questione debba essere scissa: da una parte il rapporto giuridico tra l'abba-zia e il conte Rainerio, dall'altra la lite della stessa abbazia con il conte Sassone.

Ritengo che in origine tra il conte Rainerio e il cenobio di Santa Maria ci sia stata una sorta di contratto, anche non scritto, con il quale l'abbazia avrebbe concesso al con-te la metà di Civitavecchia per un determinato periodo, trascorso il quale sarebbe ritor-nata nella disponibilità dell'abate.

Berardo I si recò a Civita Castellana, non per elemosinare la donazione, ma, forse, per ricordare a Rainerio e al suo erede che il contratto con il quale la famiglia civitoni-

133 R.F. vol. V, doc. 1097, p. 93. 134 R.F. vol. V, doc. 1097, p. 93: "… dum viveret, usum fructus terrae illius sibi debebat retine-

re". 135 R.F. vol. V, doc. 1097, p. 93: "… sed assensu imperiali et multorum prudentium hominum

salubri consilio". 136 R.F. vol. V, doc. 1099, p. 95-96.

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ca aveva goduto della metà di Civitavecchia era in scadenza, il termine poteva essere la data del decesso del conte Rainerio.

In quel periodo prevalevano ancora i vecchi modelli romani di concessione di tipo enfiteutico a lunga durata, cioè a 29 anni rinnovabili, oppure a tre generazioni, sempre dietro pagamento di un canone o censo.137

Questa consuetudine fu condannata da papa Silvestro II nel famoso diploma di con-cessione di Terracina, risalente al 1000, al conte Daiferio. Questi, in buona sostanza, rilevava che dietro le concessioni a lunga durata si nascondevano in realtà delle vere e proprie alienazioni di beni fondiari e di diritti pubblici a danno della Chiesa romana e degli enti ecclesiastici.138

Nel nostro caso si può con molta probabilità ipotizzare l'esistenza di un contratto di questo genere, e con la morte del conte Rainerio, forse, veniva a mancare l'ultima gene-razione che aveva goduto dei beni e dei diritti dell'abbazia.139 L'abate Berardo reclama-va così la restituzione della metà di Civitavecchia e il conte Rainerio esprimeva il suo assenso sotto forma della donazione pro remedio anima.

La prova dell'esistenza di un contratto sta nel fatto che difficilmente si poteva usur-pare la metà indistinta della città di Civitavecchia e soltanto un accordo tra le parti po-teva essere alla base di una situazione del genere. Per di più l'abate Berardo non aveva mai rivendicato l'avvenuta usurpazione dei beni dell'abbazia.

La definizione di questo rapporto giuridico si ebbe con la restituzione all'abbazia, a opera di Rainerio, della metà di Civitavecchia sotto forma di donazione, e ciò fu sanci-to formalmente dall'atto del 1072 nel quale Sassone confermava l'impegno che suo pa-dre aveva preso nei confronti dell'abate.140 Tale impegno, si sa, non fu confermato. Il motivo del ripensamento non è chiaro, anche se le carte dell'abbazia parlano di cupidi-gia del conte civitonico.141 In tal caso, il conte si sarebbe trovato nella posizione di tor-to, cosa che non si conciliava con la resistenza in giudizio anche davanti all'imperatore.

Altra cosa che non convince è il ritardo con cui l'abate Berardo cita in giudizio il conte per ottenere la consegna di quanto era stato donato. I 12 anni trascorsi dalla data della donazione alla definizione bonaria della questione, nell'attesa di veder riconosciu-ti i diritti dell'abbazia, sono troppi. Lo sono anche per chi pensa di essere dalla parte della ragione e non ha alcun dubbio circa le false pretese della controparte.142

La volontà del conte Sassone di andare al fondo della questione con l'assistenza de-gli avvocati, anche a rischio di un verdetto imperiale negativo, ci induce a credere che

137 Cfr. P. Toubert. Il Patrimonio…, cit. p. 225 - 226. 138 Ibid. 139 L'abbazia di Farfa non disdegnava di affidare i beni immobili ai membri dell'aristocrazia

dell'epoca; si è visto sopra che l'abate Ugo "commisit omnes cellas omnemque terram quas habemus in marchia toscana" al conte Gerardo di Galeria. (R.F. vol. IV, doc. 813, p. 216).

140 Anche la donazione effettuata dal conte Gerardo figlio di Gerardo nel 1068 a favore dell'a-bate Berardo può interdersi come restituzione dei beni all'abbazia per scadenza di un contrat-to. Anche in questo caso vengono donati beni posseduti pro quota come la metà del porto e la quinta parte della città di Santa Severa (Cfr. R.F. vol. IV, doc. 991, p. 371).

141 R. F. vol. V, doc. 1097, p. 92: interveniente humanae fragilitatis cupiditate. 142 L'abate Berardo avrebbe potuto citare in giudizio il conte Sassone come aveva fatto anni

prima nei confronti dell'abbazia dei Santi Cosma e Damiano.

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la contesa si basasse su contrastanti interpretazioni giuridiche nate subito dopo la con-ferma della donazione e, forse, generate da promesse non rispettate.

Con la mediazione dell'imperatore Enrico IV e della sua corte, si chiudeva bona-riamente una vicenda che aveva contrapposto per anni la grande abbazia di Farfa e la famiglia comitale di Civita Castellana.

DALLA PARTE DELL'IMPERO

Nella primavera estate del 1083, l'imperatore Enrico IV era occupato a conquistare Roma, che era nelle mani di papa Gregorio VII. Gli atti di restituzione dei conti della Tuscia furono stipulati in ordine cronologico, nel mese di maggio in loco et finibus prope urbem Romam, iuxta posterulam quae dicitur ad Pertusum143 e in loco et finibus prope urbem Romam, ubi dicitur posterula ad Pertusum, intus tentorium domni regis Heinrici,144 e nel mese di giugno in loco et finibus infra porticum Sancti Petri apostoli, prope aecclesiam Sanctae Aecclesiae.145

I fatti si svolsero a maggio nell'accampamento imperiale, anche nella tenda dell'im-peratore Enrico IV, e a giugno sotto il portico di San Pietro vicino alla chiesa. Dagli atti risulta la presenza nel campo imperiale di quattro conti provenienti dal territorio a nord di Roma.

Rainerio di Galeria e Sassone di Civita Castellana risultano individuati esattamente nella loro provenienza, mentre per il conte Guido e per il conte Rodilando l'unica indi-cazione che compare negli atti che li riguardano è che rinunciano entrambi ai beni e ai diritti che appartenevano alla chiesa di Santa Maria sul Mignone, che si trovavano in loco Viterbo,146 e in loco et finibus Viterbensium.147

Si tratta di due comites che hanno la loro base territoriale nei castelli situati nelle vi-cinanze di Viterbo, uno di questi potrebbe essere il castello di Salci, ma nessuno dei due può essere indicato come conte della città.148

Il conte Sassone di Civita Castellana presenzia come testimone alla stipula degli atti di restituzione nei mesi di maggio e di giugno ed è, pertanto, verosimile che abbia fatto parte dello schieramento imperiale durante la campagna estiva per la conquista di Ro-ma.

Dopo essere entrati in città, l'imperatore Enrico IV e l'antipapa Clemente III non ri-uscirono a cacciare da Roma il papa legittimo Gregorio VII, il quale si difese dalla po-sizione privilegiata di Castel Sant'Angelo per tutta la stagione invernale 1083/1084. Anche il conte Sassone, nella primavera del 1084, quando rinunciò alle sue pretese di usufrutto su Civitavecchia, si trovava a Roma.

Nel maggio del 1084 però Roberto il Guiscardo giunse in soccorso di Gregorio VII, e il giorno 21 l'imperatore e Clemente III, non potendo contrastare l'avanzata del con-dottiero normanno, abbandonarono Roma percorrendo la Via Flaminia e, nella loro riti-

143 R.F. vol. V, doc. 1076, p. 71. 144 R.F. vol. V, doc. 1077, p. 72. 145 R.F. vol. V, doc. 1078, p. 73. 146 R.F. vol. V, doc. 1077, p. 72. 147 R.F. vol. V, doc. 1078, p. 73. 148 A. Lanconelli, cit., p. 262.

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rata verso nord, sostarono a Civita Castellana.149 Tale sosta non deve ritenersi casuale: la città, situata a circa un giorno di viaggio dall'Urbe, oltre a essere un luogo ben dife-so, era la patria di un fedele alleato.

Dopo aver preso Roma, i normanni del Guiscardo si erano abbandonati al saccheg-gio. Nel 1087, dopo la morte in esilio di papa Gregorio VII, il prefetto imperiale si era impadronito della città e aveva richiamato l'antipapa Clemente III.150 Per dieci anni Clemente III tenne nelle proprie mani gran parte della città, contrastando le pretese di Vittore III prima e di Urbano II poi. Mentre i papi legittimi controllavano, con l'aiuto dei normanni, la parte meridionale del Lazio, Clemente III conservò per tutto quel pe-riodo la supremazia sulla parte settentrionale della regione.151

Anche in assenza dell'imperatore Enrico IV, impegnato a sedare la rivolta dei suddi-ti tedeschi, la presenza della fazione imperiale a Roma e nel Lazio settentrionale fu as-sicurata dall'antipapa e dai suoi alleati.

Nel 1098, però, Clemente III dovette lasciare Roma e si acquartierò a Civita Castel-lana, dove restò sino alla sua morte, sopravvenuta nel 1100.152 L'antipapa si stabilì a Civita per circa due anni e da questa base diresse le operazioni militari di disturbo alla fazione avversa. La città, ma soprattutto i conti Sassoni e la chiesa locale, si prese cari-co di ospitare Clemente III, la sua corte e le sue milizie.

Civita Castellana in quel determinato periodo storico fu il punto di riferimento del-l'Impero in Italia e, dopo un secolo circa da Ottone III, il potere imperiale tornò a porre la propria base nel territorio civitonico.

Un fatto di rilievo che si verificò nell'agosto del 1099 fu l'elezione a papa, con il nome di Pasquale II, del cardinale Raniero di San Clemente, fatto che diede nuovo im-pulso allo scontro con la fazione imperiale. La città fu presa di mira dal nuovo papa, tanto è vero che nel Liber Pontificalis compare la notizia che Eo tempore domnus papa Civitatem Castellanam per suos aggressus, locum natura satis munitum, miro Dei au-xilio vi virtuteque obtinuit. Parum post obtinuit et Beneventum,153 laddove si dice che Civita Castellana fu conquistata dal papa con l'ausilio di Dio, essendo difficile da con-quistare a ragione della sua posizione naturalmente difesa.

Il Duchesne riferisce in nota che "Il est à croire que Civita Castellana fut prise peu après la mort de l'antipape Guibert",154 la città, cioè, venne presa poco dopo la morte di Clemente III. Ma il "peu après", poco dopo, non dà la possibilità di quantificare il tem-po trascorso dalla morte dell'antipapa, avvenuta prima del settembre 1100.155

149 F. Gregorovius, cit. p. 412. 150 Ibid., p. 423. 151 D. Waley. "Lo Stato Papale dal periodo feudale a Martino V", in Storia d'Italia, vol. VII,

tomo II, Torino, 1987, p. 235. 152 S. Solero, s.v. "Clemente III", in I Papi e gli Antipapi, Milano, 1993, p. 178. Guiberto arci-

vescovo di Ravenna (Parma 1023 - Civita Castellana 1100) fu eletto papa nel concilio di Bressanone del 1080.

153 L. Duchesne. Le Liber Pontificalis, Parigi, 1981, tomo II, p. 298. 154 Ibid., p. 307, nota 14. 155 B. Andreolli, s.v. "Teoderico", in I Papi e gli Antipapi, cit., p. 178. "Il giorno 8. IX. 1100 fu

eletto il nuovo antipapa Teoderico". Se Teoderico fu eletto l'8 settembre si presume che la morte di Clemente III non sia avvenuta lo stesso giorno, ma almeno qualche giorno prima.

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Ai fini della datazione può esserci d'aiuto il caso della caduta di Benevento, che fu presa dopo Civita Castellana. Il Duchesne dice che la città cadde a opera delle truppe di Pasquale II, il quale vi entrò trionfalmente il 23 settembre 1101.156 La presa di Civita Castellana, pertanto, è da porsi tra il settembre 1100 e l'agosto 1101.

La sconfitta militare può forse mettersi in relazione con il possibile momentaneo scoramento conseguente al decesso del capo della fazione imperiale in Italia, e se il pa-pa attaccò e prese la città dopo la morte dell'antipapa Clemente III, significa che i conti Sassoni ancora si opponevano all'azione del legittimo pontefice.

Il conte Sassone, se ancora in vita, o il suo successore alla carica comitale, erano rimasti fedeli alla politica imperiale, nonostante la morte di Clemente III, e avevano opposto fiera resistenza all'attacco sferrato dalle forze del papa legittimo.157

L'azione di riconquista del Patrimonio di San Pietro, messa in atto da Pasquale II, dava la precedenza a soluzioni conciliative e incruente verso quelle città e popolazioni che si erano ribellate, "concedendo assoluzioni a chi aveva seguito gli antipapi".158

Nel nostro caso si può prefigurare che la comunità civitonica non accolse l'approc-cio conciliativo del papa, oppure che il ruolo avuto dalla città nello scontro tra papato e impero fece cambiare idea a Pasquale II, il quale riservò a Civita Castellana un tratta-mento particolare, condannandola alla sorte che meritava.

La sconfitta militare pose quasi sicuramente fine al dominio della dinastia dei Sas-soni su Civita Castellana. La famiglia di origine tedesca aveva governato la città e il suo territorio per oltre un secolo, tre generazioni almeno si erano succedute nella carica comitale e la dinastia forse si estinse contestualmente a quella sconfitta.

Anche se esiste un buco nella documentazione in nostro possesso per i decenni ini-ziali e centrali dell'XI secolo, si deve ammettere che sia le vicende legate all'imperatore Ottone III, sia la partecipazione alle imprese di Enrico IV possono bastare per giungere alla conclusione che i conti di Civita Castellana sono sempre stati fedeli all'Impero.

Se si può essere d'accordo con Pierre Toubert nel negare l'esistenza di uno stabile partito imperiale a Roma dalla metà del X alla metà dell'XI secolo,159 si deve però am-

156 L. Duchesne, cit. p. 307, nota 14: "Benevent, excommunièe au concile de Melfi (octobre

1100), tomba aux mains du pape onze mois plus tard. Pascal y fit son entrèe triomphale le 23 septembre 1101".

157 Non si ha conferma che la famiglia dei Sassoni mantenesse in quegli anni il dominio sulla città, ma è più che probabile, dato che (come si è visto in merito alla genealogia familiare) il conte Sassone II aveva, oltre al figlio Milone, altri eredi.

158 A. Diviziani. "Il Patrimonio di S. Pietro in Tuscia. Lineamenti storici", in Bollettino dell'I-stituto Storico Artistico Orvietano, fascicolo unico, anno XVII, Orvieto 1961, p. 13.

159 P. Toubert. Il Patrimonio, cit., p. 214.

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mettere che i conti Sassoni, per oltre un secolo, hanno parteggiato per gli imperatori sino alla fine.

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GIORGIO FELINI

Il culto dei santi martiri Marciano e Giovanni: fonti agiografiche e storiografia

Le vicende legate al culto dei santi martiri cristiani delle origini sono leggibili, preva-lentemente, nelle passiones, scritti di carattere agiografico concepiti con finalità diverse dalla pura ricostruzione oggettiva dei fatti. Questi resoconti, anche se con tale limite, con-servano dati riferibili a situazioni reali o, almeno, collegabili a contesti storici paralleli alle vicende narrate.

Allo stesso modo, le inventiones delle reliquie martiriali e le loro eventuali translatio-nes, anche se contornate da avvenimenti miracolistici e situazioni riconducibili al campo dei convincimenti religiosi, lasciano trasparire atti cultuali accertabili e basati su docu-mentazioni attendibili.

Le fonti primarie relative ai santi martiri Marciano e Giovanni rientrano anch'esse nel novero delle testimonianze agiografiche e le vicende narrate, fino alla loro morte, sono collocabili in un ambito prevalentemente fideistico, pur contenendo riferimenti topografici e storici.1

La passio dei santi Marciano e Giovanni, inoltre, è inserita in quella dei santi Abbon-dio e Abbondanzio, e in essa la vicenda terrena dei patroni civitonici appare marginalmen-te, nella parte finale, pochi momenti prima che i martiri rignanesi giungessero sul luogo del loro martirio, posto ad alcune miglia da Roma, lungo la Via Flaminia.

I fatti attinenti, invece, alla inventio delle reliquie, avvenuta a Rignano Flaminio, e alla translatio delle stesse nella cattedrale di Civita Castellana, episodi accaduti molti secoli dopo la morte dei santi in esame, presentano una consistenza storica maggiore.

La passio dei santi civitonici, allo stato attuale delle ricerche, ci è nota attraverso tre diverse stesure: quella liberiana o di Santa Maria Maggiore, quella rignanese e quella se-nese.

1 Le fonti relative al culto dei santi martiri Marciano e Giovanni sono state analizzate, princi-

palmente, negli AA.SS. (Acta Sanctorum, ed. pp. Bollandisti, Septembris, t. V, Antuerpiae, 1755, p. 293-307; Octobris, t. VIII, Bruxellis, 1853, p. 810, 831-832, 832-836). Più recente-mente hanno trattato l'argomento Antonio Cardinali (I santi Marciano e Giovanni - Atti del loro martirio e culto in Civita Castellana con note storiche e archeologiche, Subiaco, tip. d. Monasteri, 1930) e Mario Mastrocola (Note storiche circa le Diocesi di Civita C. Orte e Gal-lese. Parte I. Le origini cristiane, Civita Castellana, Ed.Pian Paradisi, 1964, p.111-146), en-trambi sacerdoti. In quest'ultimo testo, ancora oggi insostituibile per inquadrare l'intero argo-mento, un refuso tipografico rende molto difficoltosa la lettura delle pagine relative alle fonti primarie (p.118-119). Le opere precedenti, riferibili allo stesso culto, sono di carattere preva-lentemente agiografico o celebrativo.

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La prima analisi delle tre versioni fu compiuta nel 1584 dal gesuita Fulvio Cardulo,2 in occasione della terza translatio delle reliquie dei santi Abbondio e Abbondanzio dalla chiesa romana dei Santi Cosma e Damiano a quella del Gesù.3

Alle tre passiones citate attinsero i redattori dei relativi martirologi4 e anche le succes-sive copie manoscritte sono tutte riferibili a tali fonti primarie, con l'esclusione di una ver-sione tedesca, il codice bodecense, che, citato dai bollandisti negli Acta Sanctorum,5 non discordava in misura sostanziale dalle altre.

Quest'ultima passio, in ogni modo, non fu letta in originale dagli scrupolosi estensori, che dovettero riceverla in una versione molto tarda e non ebbero timori nel ritenerla indu-bia et plane autenthica.6 Dalla collazione di questa con i testi italiani, a loro noti da riedi-zioni a stampa, i bollandisti trassero una versione riassuntiva e corretta, terminante an-ch'essa con la sepoltura dei martiri.

Alle tre "agenzie" informative, romana, senese e rignanese, è poi da aggiungere quella civitonica, che subentrerà in seguito, subito dopo la inventio delle sacre reliquie a Rignano e la successiva translatio a Civita Castellana.

2 [Fulvio Cardulo]. Sanctorum Martyrum Abundii Presbyteri, Abundantii Diaconi, Marciani, &

Ioannis eius filij, Passio Ex tribus vetustissimis, & manu scriptis codicibus deprompta, Cui additae sunt Inventiones, & Translationes, & ad historiam Notae, Romae, Apud Franciscum Zanettum, M.D.LXXXIV. Il nome dell'autore non compare nel testo, ma tutte le citazioni re-lative, anche le più antiche, riportano come tale il gesuita Fulvio Cardulo, nato a Narni e mor-to a Roma il 15 maggio del 1591, dove insegnò a lungo poesia e retorica (Cfr. Bibliothèque de la Compagnie de Jésus, Bibliographie, T.II, Bruxelles-Paris, 1891, coll. 744-746).

3 Le reliquie dei santi Abbondio e Abbondanzio, dopo essere state portate nella chiesa di San Bartolomeo all'Isola, furono trasferite, nel medioevo, in quella dei Santi Cosma e Damiano e, nel 1583, nella chiesa del Gesù.

4 G.B.De Rossi, Bull. di Arch. Crist., 1883, p. 134-135: "Niuno degli antichi martirologi fa menzione del cimitero di Teodora, né dei martiri quivi sepolti: i semplici nomi di Abbondio ed Abbondanzio furono la prima volta dal Greven aggiunti al martirologio di Usuardo sotto il dì 28 di agosto, nell'edizione di Colonia del 1515: poi coll'indicazione del luogo e colla men-zione dei socii furono inseriti dal Baronio nel martirologio romano al dì 16 di settembre" (C. Baronio. Martyrologium Romanum, 1613: "XVI Kal. Oct. Romae via Flaminia Sanctorum martyrum Abundii presbyteri & Abundantii diaconi, quos Diocletianus imperator una cum Marciano viro illustri & Joanne eius filio, quem ii a mortuis suscitaverant, decimo ab Urbe lapide gladio feriri iussit").

5 AA. SS., Septembris, cit., p. 293: "... alia Sanctorum nostrorum Acta manuscripta infra dabo, quae p. Gamansius Societatis nostrae Sacerdos ex Bodecensis coenobi Ord.Regular S.Aug. dioec. Paderborn. Passionali pergameno Mss. insigni mensis Augusti fol.262 extracta ad Mu-seum nostrum transmisit anno 1641. Ea cum Actis impressis quoad, totius rei gestae seriem omnino congruunt, ab iis tantum discrepant in levioribus quibusdam, prout in Annotationis observabo".

6 AA. SS., cit., p.295.

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LA PASSIO DI SANTA MARIA MAGGIORE

La passio di Santa Maria Maggiore7 è la più breve tra le diverse stesure e, allo stato at-tuale delle ricerche, è la più antica versione degli Atti relativi al martirio dei santi Marcia-no e Giovanni; non contenendo, poi, le vicende legate al ritrovamento delle reliquie, può essere riferibile a una versione precedente l'anno 1000. ll passionario che la contiene, del XII/XIII secolo, è ricordato in vari modi, tutti collegati alla Basilica romana.8 La vicenda descritta nel testo, anche se essenziale, comprende i punti salienti dell'accadimento.9 La passio, comune nell'impostazione agiografica ad atti consimili, colloca l'azione nel 303,10 ai tempi della persecuzione contro i cristiani attuata dagli imperatori Diocleziano e Mas-simiano.

Il presbitero Abbondio e il diacono Abbondanzio vengono prima sottoposti a un inter-rogatorio teso ad accertare la loro adesione alla fede cristiana e, poi, incarcerati in custodia ad Mamertinum.11 Da questa segregazione vengono tratti 23 cristiani, appartenenti alla stessa comunità dei santi citati, condotti in viam Salariam veterem e lì decapitati octavo Idus Augusti (6 agosto).12 I loro corpi, prelevati dalla matrona Teodora13 e dal presbitero Giovanni, furono seppelliti in crypta in clivo Cucumeris.14

7 BAV, Archivum Capituli Sanctae Mariae Maioris Codex B [2]. Membraneus, fol. sign. 1-61,

60 bis, 61 bis, 62-307 (0,497 x 0,365 m), paginis bipartitis exaratus saec.XII/XIII. 61. (Fol.141v-143) [Fol.143v-145] Passio ss. mm .Abundii et Abundantii (A.PONCELET, Cata-logus codicum Hagiographicorum latinorum Bibliothecarum Romanorum praeterquam Vati-canae, Bruxelles, 1909).

8 Viene definito anche codice liberiano o Codex Sanctae Mariae ad Praesepe. La prima cita-zione a stampa del manoscritto è contenuta nel testo del Cardulo (op. cit., p.4), il quale si pre-occupò di collazionarla con le altre versioni a lui note, fornendola di opportune note:"... ex tribus vetustissimis codicibus manu scriptis, [...], alter Romae in tabulario venerandae Basili-cae S.Mariae Maioris exstat...". Il codice di Santa Maria Maggiore fu letto anche dal Cardina-li, op.cit., p. VII: "... mi sono recato più volte nell'archivio di S. Maria Maggiore, dove final-mente ho potuto io stesso ammirare e leggere questo Codice anonimo, manoscritto in perga-mena finissima, con belle miniature del secolo XII". Dallo stesso autore fu pubblicato in ap-pendice alla sua opera.

9 Le discordanze con le altre versioni della passio saranno evidenziate durante la loro trattazio-ne. Nelle opere di A. Cardinali e di M. Mastrocola le fonti a loro note sono state poste a diret-to confronto.

10 La data del 303 d. C. non è indicata nella passio, ma si ricava dalla tradizione storiografica relativa alla persecuzione in esame (Cfr. A. Cardinali, op. cit., p. 1-2, n.3 e M. Mastrocola, op. cit., p. 131, n. 42).

11. A.Cardinali, op. cit., p. , n. 2: "Il Carcere Mamertino, meglio Mamercino, da Mamercio, chiamato prima del sec.VI col nome classico tullianum, vedesi anche oggi alle radici del Campidoglio".

12 Era regola eseguire le condanne capitali fuori della cerchia urbana 13. A. Cardinali, op. cit., p. 5, n. 2: "... nominata beata... è quella stessa che diede... onorata se-

poltura ai martiri Abbondio, Abbondanzio, Marciano e Giovanni, in Rignano Flaminio, dove in suo onore è eretta una chiesa".

14 Il sito corrisponde ai così detti Prati dell'Acqua Acetosa. Definito anche ad septem colum-bas, palumbas o columnas, nel Medio Evo fu denominato Santa Columba (Cfr. A.Cardinali, op. cit., p. 5, n. 3 e M. Mastrocola, op. cit., p.1, n. 44).

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Dopo 25 giorni15 Abbondio e Abbondanzio vengono portati in catene interlude in foro ante templum16 per essere di nuovo interrogati dal consultor legis e, secondo la passio, dallo stesso Diocleziano. Invitati a ripudiare la loro fede, dopo aver resistito alla tortura dell' eculeo,17 sono condotti al quarto decimo miliario della Via Flamminea per essere de-capitati.18

Durante il trasferimento, giunti nei pressi della città di Lubra,19 Marciano, vir clarissi-mus, si fece loro incontro piangendo e lamentandosi accoratamente per la morte del pro-prio figlio Giovanni. Abbondio e Abbondanzio invitano Marciano a portare davanti a loro il corpo del defunto e gli anticipano che avrebbe visto la grandezza del Signore. I due san-ti, infatti, intercedono per il miracolo richiesto e il giovane torna a nuova vita per un bre-vissimo lasso di tempo, sufficiente per ricevere il battesimo e morire martire insieme con il padre Marciano e con i santi Abbondio e Abbondanzio.

Subito dopo, la matrona Teodora, prelevati i corpi dei martiri, li fa trasportare in pre-dium suum miliario ab Urbe Roma vigesimo octavo, nei pressi dell'attuale Rignano Fla-minio,20 e li seppellisce con gli onori del caso. La data della passio dei santi è fissata al se-xto decimo Kalendas Octobris (16 settembre).

Il testo, come già notato dai precedenti analisti delle fonti, presenta alcuni anacronismi e differenze21 che lasciano trasparire la possibilità di una contaminatio tra due diverse pas-

15 In alcuni testi successivi, come vedremo nei luoghi opportuni, i giorni trascorsi sono 22. 16 M. Mastrocola, op. cit., p. 132: "... in Tellude... tenendo presente che questa espressione de-

ve essere una corruzione di telluris e quindi il sito... si deve intendere il foro di Cesare davanti al tempio Telluris" (Cfr. A. Cardinali, op. cit., p. 6, n. 3).

17 Una sorta di cavalletto ligneo al quale venivano appesi i martiri e sottoposti alla tortura della trazione.

18 V. Fiocchi Nicolai. I cimiteri paleocristiani del Lazio. I. Etruria Meridionale, Città del Vati-cano, Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana, 1988, p. 291-292: "Il toponimo Beati Qua-tuor (Vadi Quattro, corrottamente Batti Quattro)... trova evidente spiegazione nella localizza-zione... al XIV miglio della Flaminia del martirio dei santi Abbondio, Abbondanzio, Marcia-no e Giovanni, martiri di Rignano Flaminio".

19 "Sorgeva presso Prima Porta, a nove miglia da Roma..." (A. Cardinali, op. cit., p. 7, n. 1). È un'alterazione di Ad Rubras (Saxa Rubra), una "statio la cui vita in età tardoantica appare ben documentata, oltre che dalla... Tabula Peutingeriana, anche da alcune strutture monumenta-li..." (V.Fiocchi Nicolai, op.cit., p. 290-291).

20 Il luogo della sepoltura coinciderebbe con la Catacomba di Teodora, presso Rignano Flami-nio [Cfr. V. FIocchi Nicolai, op.cit., p. 306-332: "In questo luogo il De Rossi localizzava le tombe dei martiri Abbondio, Abbondanzio, Marciano e Giovanni... Nel 1852 il De Rossi rin-tracciò nel mercato antiquario romano un'iscrizione, oggi conservata al Museo Vaticano Pio Cristiano, che gli fu detto venire dalla Flaminia. Vi si legge: Abundio pr(es)b(ytero) / martyri sanct(o) / dep(osito) VII idus dec(embres). Il De Rossi la considerò dell'epoca della pace e pertinente al sepolcro del primo dei martiri ricordati nella passio"]. Nello stesso testo il Fioc-chi Nicolai sostiene che i corpi dei martiri furono trasferiti, in epoca altomedioevale, nella chiesa dei Santi Abbondio e Abbondanzio, presso il Soratte, a est di Rignano, dove sarebbero stati trovati nel 1000 da Ottone III e Crescenziano, vescovo di Civita Castellana (p. 329-331).

21 Tali discordanze appariranno meglio dal confronto della passio di Santa Maria Maggiore con le stesure successive e con il testo dei martirologi. Nel manoscritto Bodecense e nel martiro-logio di Usuardo del 1515, ad esempio, la data del definitivo martirio viene posta al 28 ago-sto, che meglio coinciderebbe con il calcolo dei 22 giorni sommati al 6 agosto, giorno della morte dei 23 martiri compagni dei santi in esame. Con la data del 28 agosto concorda G.B.

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siones.22 L'ipotesi che la fusione di queste ultime sia dovuta al comune luogo di seppelli-mento dei martiri23 è senz'altro plausibile, così come è ragionevole pensare che tale con-taminazione sia avvenuta dopo il ritrovamento dei loro corpi.

La passio di Santa Maria Maggiore, infine, se confrontata con le successive versioni manoscritte e a stampa, lascia intuire il continuo adattamento di queste alle necessità a-giografiche e al municipalistico uso delle fonti da parte delle diverse realtà geografiche coinvolte nella vicenda.

LA PASSIO DI RIGNANO FLAMINIO

La passio di Rignano Flaminio è ricordata dal Cardulo,24 e nella maggior parte degli scritti destinati al culto dei santi Marciano e Giovanni, con un preciso riferimento a un an-tico codice proveniente dalla stessa località, di proprietà della famiglia Savelli.25 Del ma-noscritto citato, tuttavia, oltre al toponimico, non venivano fornite indicazioni utili al suo reperimento e, di fatto, non era finora nota alcuna stesura della passio rignanese preceden-te le citazioni del XVI secolo. La presente ricerca ha permesso il rinvenimento di un codi-ce inedito del XV secolo26 che, allo stato attuale, risulta essere la versione più antica di tale passio.

Ora, affermare che il testo citato sia quello originale, definito antico già nel XVI seco-lo, appare solo un'ipotesi, mentre è certo che il codice, usato per più secoli nell'ambito ec-clesiastico,27 sia stato di proprietà della famiglia Savelli28 e che provenga sicuramente da Rignano Flaminio, viste le molteplici e interessanti annotazioni marginali, tutte riferibili a

De Rossi (op.cit., p.151-161) il quale ritiene che la passio dei santi Abbondio ed Abbondan-zio sia stata "contaminata" dalla passio dei santi Marciano e Giovanni.

22 M. Mastrocola, op. cit., p.134: "I due martiri, patroni di Civita Castellana, per me sono mar-tyres inventi e la loro Passio (volendo riguardare il racconto della resurrezione del figlio di Marciano e la loro morte come una Passio entrata in un'altra Passio) è posteriore al loro rin-venimento". Per Sergio Mottironi (Bibliotheca Sanctorum, Roma, 1961-70, vol. I, coll. 34-35) "il 16 settembre sarebbe il giorno della morte del solo Marciano, i cui atti furono uniti a quelli di Abbondio secondo un procedimento caro agli agiografi". In tal caso sarebbe giustificata anche la diversità del giorno del martirio, fissata nel martirologio di Usuardo al 28 agosto.

23. M.Mastrocola, ibid. 24 "... ex tribus vetustissimis codicibus manu scriptis, quorum unus in oppido Ariniano (ubi

Martyrum corpora a B.Theodora sepulta, per annos circiter DCC iacuerant) penes nobilissi-mum virum Lucium Sabellum, eius oppidi Dominum asservatur..." (F.Cardulo, op. cit., p.4).

25 A. Cardinali, op. cit., p. VII, n. 1: "Codice Arinianense, che era posseduto dall'Ill.mo Lucio Sabellio, signore di Rignano Flaminio..."

26 BAV, COD.VAT.LAT.10121: Incipit passio Sanctorum Martirum Abundij, et Abundantij, et Marciani et Iohannis eius filii, sec. XV, cart., 216 x 146 mm, ff. 14.

27 Il volumetto, illegiadrito dalla coperta in pergamena e dalle iniziali miniate, appartenne nel sec. XIX alla biblioteca di Leone Nardoni e successivamente entrò nella disponibilità degli ambienti pontifici, visto che sulla copertina conserva gli stemmi di Pio X e di Alfonso Cape-celatro, cardinale bibliotecario

28 A f.1, dopo il titolo: "Memorie de' ss. Martiri Abundio, Abundantio et Teodora stimati di Casa Savelli".

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tale località29 e scritte di seguito alla passio da Nicola di Giovanni Consoli, arciprete della chiesa dei Santi Vincenzo e Anastasio di Rignano.30

La passio in esame, pur risultando molto più ampia della versione di Santa Maria Maggiore, contiene poche differenze sostanziali rispetto a quest’ultima, essendo le parti aggiunte di carattere prevalentemente agiografico. Una delle varianti più interessanti è la data relativa al martirio dei 23 martiri compagni di Abbondio e Abbondanzio: nella passio di Santa Maria Maggiore era indicato octavo Idus Augustas (6 agosto), mentre in questa di Rignano appare Nonis Augusti (5 agosto); i giorni trascorsi tra questa data e il martirio dei nostri martiri, 25 nella passio romana, divengono invece 22 in quella rignanese. Altra differenza è da riscontrare nella distanza da Roma del sito indicato sulla Flaminia quale luogo del martirio: milliario quarto decimo nella passio liberiana e decimo milliario, invece, nella passio rignanese. Identica nelle due passiones è la data del martirio: XVI Kal. Octobris (16 settembre).

La novità più importante contenuta nella passio di Rignano è, invece, la inventio et translatio dei santi martiri Abbondio, Abbondanzio, Marciano e Giovanni.31 Tale descri-zione è unita di seguito alla passio e appare redatta in un'unica soluzione, pur riguardando fatti e momenti diversi.

La vicenda narrata contiene una discreta quantità di dati storicamente apprezzabili e fu compilata negli anni immediatamente successivi agli eventi, vista la dovizia di particolari e la precisione con cui la narrazione si evolve. La presenza nel testo della cronaca in prima persona32 lascia trasparire la conoscenza diretta dei fatti e una buona pratica della verba-lizzazione ufficiale. Lo stile asciutto, inoltre, e la rarefatta presenza di brani celebrativi, inducono a pensare che il redattore del testo sia appartenuto all'ambito giuridico vicino al settore amministrativo.

La stessa datazione, posta all'inizio del racconto, dopo la citazione dell'imperatore Ot-tone III, è indiretta e ricavabile dall'indicazione del primo anno del pontificato di papa Sil-vestro II.33

29. A ff.11-12, con grafia di poco successiva al sec. XV, sono citati nomi della famiglia Savelli

(Theodora, Pandulfus con il figlio Paulus, papa Onorius) e luoghi di culto rignanesi (Chiese dei santi Abbondio e Abbondanzio, di San Giovanni in fonte, di San Nicola prope fontem, di San Biagio vicino alla porta di Rignano, dei Santi qui dicitur vulgariter piaza grandia, dei Santi Vincenzo e Anastasio, di Santa Maria in Strada qui dicitur la Strada grande... monaste-rium...). A f.14v, con mano diversa: "Adriano p .4 nel ritorno di Orvieto a Roma mosse a Ri-gnano loco dell'Ill.mo Lutio Savello".

30 "...per me presbiterum Nicolaum Archipresbiterum dicte Ecclesie Sanctorum Vincentij et Anastasij de Arignano et de domo et familia Iohannis Consoli de Arignano, qui has scripturas feci manu propria ...".

31 Il nome Ioannes, assente nelle passiones, appare indicato per la prima volta in questo settore del manoscritto.

32 "... sed miro modo aliud enarro miraculum... Aliud autem miraculum narro..." (c. 10r). 33 "... Anno primo... Pontificis Silvestri Pape..." (c.7v). Silvestro II (Gerberto d'Aurillac, 999-

1003), coltissimo maestro di lettere classiche e di scienze apprese dalla cultura araba, era sta-to collaboratore di Ottone III ed assiduo frequentatore della sua corte romana. Fu consacrato il 2 aprile 999 e, pertanto, errano coloro che indicano la sua ascesa al soglio pontificio nel-l'anno 998. A maggior conferma di ciò si può aggiungere che Gregorio V, suo predecessore, era morto il 18 febbraio del 999. L'inesatta datazione al 998, come vedremo nel luogo oppor-

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In base a ciò l'azione sembrerebbe iniziare nel 999, anno nel quale viene indicato come presente a Roma l'episcopus Adelbertus, il futuro sant'A-dalberto, primo titolare della chiesa di San Barto-lomeo all'Isola. Le date, però, risultano discor-danti, in quanto il santo fu martirizzato il 23 apri-le del 997 in Polonia.34 La ragione può essere trovata in una storicizzazione degli avvenimenti precedenti la inventio e riferibili alla vicenda di sant'Adalberto. Questi, vescovo in Sclavonia,35 deluso per la scarsa incidenza dell'azione evange-lizzatrice sugli abitanti del luogo, aveva deciso di tornare a Roma. Desideroso di condurre una vita monastica, si era ritirato nella chiesa e monastero di San Bonifacio, sull'Aventino, dedicandosi alle lettere classiche. In tale contesto conobbe il gio-vane imperatore Ottone III, che dimorava, nella sua permanenza a Roma, in un palazzo vicino al monastero citato. Sollecitato dal sovrano, Adal-berto era tornato a svolgere l'azione pastorale in aliam Sclavoniam,36 ma poco dopo venne ucciso dagli abitanti del posto, qui erant gentiles, ancora pagani.

Ottone III, venuto a conoscenza di ciò, accompagnato da senatori, vescovi e chierici, si recò in Polonia37 per portare a Roma le reliquie del santo vescovo.

Ricevuto in dono da Boleslao I di Polonia un tangibile ricordo del santo, Ottone III fe-ce costruire a Roma la chiesa di Sant'Adalberto, oggi San Bartolomeo all'Isola, per poter-ne custodire le reliquie.38 Di tutto ciò restava memoria in un libello, oggi irreperibile, con la passio del santo, compilato dallo stesso imperatore. Su espressa richiesta di quest'ulti-mo, la ricerca delle reliquie di altri martiri per la chiesa citata continuò nei luoghi ove fos-se stato ipotizzabile una loro presenza. A tal fine fu segnalata al sovrano la chiesa dei San-

tuno, ha ingenerato non pochi equivoci nel definire cronologicamente la inventio dei santi martiri in argomento.

34 B.H.L., 37-37a. 35 Adalberto, Woitech per i cechi, era vescovo di Praga. 36 La citazione si riferisce alla permanenza del vescovo nel territorio oggi pertinente alla Polo-

nia e a quei tempi non ancora completamente cristianizzato. Sant'Adalberto, oltre che dai ce-chi, è venerato anche dai polacchi.

37 L'imperatore si recò durante la Quaresima dell'anno 1000 (altri sostengono alla fine del 999) a Gnezno, in Polonia, accolto ai confini dello stato da Boleslao I, l'Intrepido. Nella città era, infatti, conservato il corpo di sant'Adalberto, riscattato dal sovrano polacco. Ottone III rese omaggio alle reliquie del santo e ricevette in dono da Boleslao parte di quelle, da destinare al-l'erigenda chiesa romana di San Bartolomeo all'Isola.(Cfr. AA.SS., Septembris, cit., p.303-307 e bibliografia relativa).

38 Il Cardulo (op. cit., p. 148, n. 15) pone al 1001 la costruzione della chiesa: "Quare hoc anno [1001] Ecclesiam S. Adelberto Episc. & mart. ab eo edificatam credimus...".

Fig.1. I santi martiri Abbondio e Abbondanzio.

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ti Abbondio e Abbondanzio, posta nei pressi del Soratte, nella quale sarebbero stati sepol-ti, oltre ai titolari, anche altri martiri cristiani.39

Ottone III inviò in tale sito suoi ambasciatori, vescovi, chierici e monaci al fine di trovare le reliquie desiderate e farle traslare a Roma nella chiesa di Sant'Adalberto. La ricerca dette buoni risultati, dato che furono rinvenuti, in un tumulo, i resti dei santi Abbondio e Abbondanzio, e, in un altro, quelli di santa Teodora. Ulteriori sepolture presenti furono ritenute di altri martiri, ma dalla loro dovizia è più probabile che si tratti di depositi "ad sanctos", pratica abbastanza diffusa nel tempo.

È interessante notare come la mensa dell'altare fosse in marmo riccamente inciso e che tale manufatto sia stato trasportato, secondo il testo, nella chiesa romana di San Bartolomeo all'Isola.

Nella vicenda si inserisce a questo punto il vescovo di Civita Castellana, Crescenziano, nella cui diocesi era compresa anche la chiesa rignanese.40 Il prelato, triste per la dipartita delle venerande reliquie, fece praticare ulteriori scavi nel sito e rinvenne i resti dei martiri Marciano e Giovanni, battezzati entrambi dal presbitero Abbondio.

Crescenziano decise allora di far trasportare le preziose memorie a Civita Castellana: radunati i chierici, il sacro corteo si avviò verso la città ma, giunto nei pressi della chiesa di Sant'Eutizio,41 da un'immagine della beata Teodora, ivi dipinta, si vide scendere dell'ac-qua purissima, quasi che la sacra immagine piangesse per la dipartita delle sacre reliquie. Giunto appena sotto le mura della città castellana, vicino alla porta di accesso prospiciente la Via Flaminia, il vescovo ordinò che i corpi dei santi Marciano e Giovanni fossero prov-visoriamente collocati nella chiesa rupestre di Sant'Ippolito, ricavata in una grotta sopra la porta cittadina.42

39 La chiesa dei Santi Abbondio e Abbondanzio, posta nei pressi di Rignano Flaminio, ha una

sola navata, con presbiterio rialzato e cripta sottostante. L'arco trionfale, che delimita l'abside, è decorato da affreschi riferibili all'Apocalisse di san Giovanni e databili al XII/XIII secolo. Il campanile, in laterizi, ha tre ordini di bifore e si può far risalire all'inizio del XII secolo. La Passio di Rignano Flaminio afferma che le spoglie dei santi martiri Abbondio e Abbondanzio furono ritrovate sotto l'altare della chiesa omonima, sorta su un precedente edificio pagano [Per la chiesa, cfr.: P. Rossi. Civita Castellana e le chiese medioevali del suo territorio , Ro-ma, Edizioni Rari Nantes, 1986, p.79-88, con esauriente bibliografia relativa].

40. Rignano faceva parte del comitato civitonico, come si evince da un documento del 1114: "... castrum... quod nominatur Rinianum positum in comitato castellano miliario tricesimo distans ab Urbe plus vel minus prope montem Siractum..." (G. Tomassetti, "Della Campagna Roma-na", ASRSP, cit. p. 400-401).

41 La chiesa, ormai scomparsa, è localizzabile in una carta del 1747, compresa "in una impor-tante raccolta di documenti manoscritti [Catacombe di S. Teodora. Documenti] conservati nell'archivio parrocchiale di Rignano" [Cfr.V.Fiocchi Nicolai, op. cit., p.307, Fig.319, n. 1369]. Sulla carta, al n.2, si legge: "Chiesa di S. Eutichio, della quale appena se ne vedono le fondamenta. In questa chiesa vi era dipinta l'Imagine di S. Teodora, la quale nell'anno 1000 nel tempo che furno traslati li SS. Corpi di Gio: e Marciano da detto Cemeterio a Civita Ca-stellana si vidde per un'ora piangere, spargendo copiosissime lagrime. Ex Cod. Arignanen. e-xist. in Archiv. Cathedr. Civit.Castellan., & per E.mum Baronium recognit.".

42 La collocazione delle sacre reliquie nella chiesa di Sant'Ippolito, come vedremo, dovette probabilmente avvenire il 20 novembre del 1000, mentre il loro trasporto nella cattedrale di Civita Castellana fu effettuato il 13 gennaio dell'anno 1001.

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Gli atti, a questo punto, registrano un nuovo miracolo: alcuni gigli, ormai secchi, pur essen-do rigido inverno, fiorirono e così pure l'erba circostante rinverdì e prese vigore, secondo la testimonianza del vescovo, dei conti intervenu-ti43 e di tutti i cittadini presenti. Crescenziano allora, mandò immediatamente suoi ambascia-tori al vescovo di Bomarzo, Lamberto, e a quel-lo di Gallese,44 affinché intervenissero al defini-tivo spostamento delle reliquie nella chiesa del-la Vergine Maria, a Civita Castellana.45 Giunti i prelati nella chiesa di Sant'Ippolito, insieme ai chierici intervenuti, si pregò per tutta la notte, mentre un temporale imperversava sulla zona. La mattina seguente la pioggia cessò del tutto e gli ecclesiastici, accompagnati dal conte del luo-go e dalla sua consorte, insieme con i cittadini intervenuti, trasportarono i corpi dei santi martiri nella chiesa precedentemente citata.

A questo punto sono evidenziati due miracoli, citati direttamente dall'estensore del documento. Nel primo, una ragazza afflitta da un'insonnia perenne, accostatasi alle reliquie dei santi, riacquistò la salute. Nel secondo, la vicenda appare più articolata: sui tumuli dei santi mar-tiri furono rinvenute grandi pietre di marmo decorate di notevole peso; trasportate a Civita Castellana46 da un solo paio di buoi, dovettero essere introdotte nella chiesa da un numero considerevole di uomini; durante l'operazione, la tavola marmorea, una colonna e una tra-ve, che erano davanti all'altare, caddero, senza provocare danno alcuno, addosso al vesco-vo e a quanti erano nei suoi pressi.

Il vescovo Crescenziano, allora, con gli elementi marmorei citati, fece costruire un nuovo altare per la Vergine Madre di Dio.47 Con le fasce di ferro che tenevano i sepolcri

43 In un'altra versione degli stessi atti appare un solo conte presente: "comes" (Bibl. Vallicel-

liana, Cod. H9). 44 Di questo prelato non viene fornito il nome. 45 Nella passio rignanese la chiesa di Civita Castellana nella quale furono collocati definitiva-

mente i santi martiri viene definita ecclesia gloriose dei genitricis et semper Virginis Marie. La stessa non viene definita cattedrale, anche se la titolarità di Crescenziano lascia trasparire una struttura civitonica con tale dignità. Il dubbio che il documento possa riferirsi a un'altra chiesa locale dedicata alla Vergine è chiarito dalle successive vicende legate al culto delle re-liquie.

46 La mensa marmorea posta sull'altare dei santi martiri Abbondio e Abbondanzio, come ab-biamo già evidenziato, era stata prelevata e trasportata a Roma, nella chiesa di Sant'Adalber-to.

47 La pietra rinvenuta sulla tomba dei beati Abbondio e Abbondanzio, dicono gli Atti, servì come mensa; quella rinvenuta sul tumulo della beata Teodora fu posta come paliotto nella parte anteriore dell'altare; le altre furono disposte intorno alla struttura, che risultò, quindi, co-struita ex novo. Dell'altare descritto non esiste oggi alcun riferimento diretto, ma si tramanda

Fig. 2. L’interrogatorio di Abbondio e Abbondanzio.

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dei santi fu stretta la nuova cassa destinata a conservare le sacre reliquie, posta all'interno dell'altare.48

Gli Atti relativi alla inventio e alla successiva translatio si concludono con l'elencazio-ne delle date relative: i santi patirono il martirio il 16 settembre (XVI Kl. octobris) e le loro reliquie furono trovate e trasportate nelle sedi previste, Roma e Civita Castellana, il 20 novembre (XII Kl. decembris). I resti dei santi Marciano e Giovanni furono, poi, riposti nella chiesa della beata e sempre Vergine Madre di Dio il 13 gennaio (Idibus Januarii in octavis Theophaniae).49

La data indicata per il martirio è uguale a quella contenuta nella passio di Santa Maria Maggiore ed è accettata da tutte le versioni successive. Divergenze, invece, esistono nei riguardi dell'anno in cui avvenne la inventio e di quello in cui fu effettuata la translatio dei santi Marciano e Giovanni nella chiesa di Santa Maria a Civita Castellana.

Come vedremo, i testi riferibili a Civita Castellana50 indicano, in prevalenza, il 998,51 mentre altre fonti propongono il 1000 per la inventio e il 1001 per la seconda translatio dei patroni civitonici, dalla chiesa di Sant'Ippolito a quella di Santa Maria.52

L'argomento è stato ampiamente dibattuto dal bollandista Urbano Sticker53 ed è stato collegato all'edificazione della chiesa di Sant'Adalberto, dato che le reliquie prelevate da Rignano dovevano andare ad arricchire la dote di questa struttura. In base a ciò, l'autore-vole recensore afferma che la translatio non può essere avvenuta prima dell'anno 1000

che l'antico altare maggiore, definito gotico, fu sostituito, nel 1750, da quello attuale, per or-dine del vescovo Lanucci (Cfr. S. Boscolo. L.Creti, C. Mastelloni. La cattedrale di Civita Ca-stellana, [1993]). Nell'area spettante alla cattedrale e in altre chiese civitoniche (es. Santa Ma-ria dell'Arco) esistono vari elementi marmorei del periodo altomedioevale, ma non ci sono, allo stato attuale, riscontri tali da indicarli come provenienti dalla struttura in esame.

48 Una cassa con le reliquie dei santi è ancora contenuta nell'altare maggiore, ma è da riferire alla ricognizione del 1230.

49 In base al calendario perpetuo [A. Cappelli. Cronologia, Cronografia e Calendario Perpe-tuo, Milano, Ed. U. Hoepli, 5a. ed., 1983.], la seconda translatio, se consideriamo il 13 gen-naio dell'anno 1001, avvenne di lunedì, "in octavis Theophaniae" o "in die octava Apparitio-nis [Dominicae]" (AA. SS., Septembris, cit., p. 307, n. P).

50 [A. Degli Effetti], Memorie di S. Nonnoso Abbate del Soratte e de luoghi convicini, e loro Pertinenze, e Libro primo De Borghi di Roma. Discorso di Antonio degli Effetti, in Roma, Per Nicolò Angelo Tinassi, 1675; F. Tarquini. Notizie istoriche e territoriali di Civita Castellana già capitale dei Falisci Ciscimini e delle tre Falerie l'una successiva all'altra, Castelnuovo di Porto, Tip. Flaminia, 1874; Serie dei vescovi di Orte, Civita Castellana e Gallese. Roma, tip. della Pace, 1889.

51 Con tale premessa, è giusto e corretto aver fissato al 1998 le celebrazioni civitoniche per il millenario della inventio e translatio dei santi patroni.

52 Il Cardulo (op. cit., p. 5), ad esempio, propone la data del 1001 per l'inventio e la prima tran-slatio: "... una cum prima translatione, ab Othone III Augusto facta anno Domini circiter MI, cum ex Ariniano Romam sacra corpora sunt importata...". L'anno indicato coincide, per l'au-tore, con quello del viaggio di Ottone in Polonia, dal Cardulo posto al 1001: "Id ab ipso fac-tum oportuit anno Christi MI, quo anno is in Italiam magna celeritate se retulit..." (op. cit., p. 147, n. 15).

53 AA.SS., Septembris, cit., p. 303-307. Già a p. 293 viene anticipata la conclusione: "... una cum prima translatione, ab Ottone III augusto facta anno Domini circiter MI...".

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avanzato,54 dato che Ottone III solo nella Quare-sima di tale anno poté recarsi in Polonia alla tomba di Sant'Adalberto e ricevere dal duca Bo-lelsao una reliquia del santo.55

Con tale assunto ben concordano le richieste di reliquie ad altre chiese, tutte collocabili nel-l'anno 1000:56 per prima, quella rivolta ai Bene-ventani di avere in dono il corpo di san Bartolo-meo Apostolo e l'ottenimento, invece, di quello di san Paolino da Nola.

Lo Sticker porta molteplici argomentazioni at-te a dimostrare che il 20 novembre del 1000 me-glio si attagli alla inventio dei martiri e alla loro translatio da Rignano, basandosi principalmente sugli spostamenti dell'imperatore in Italia e in Eu-ropa.57 Le ragioni addotte dal bollandista Sticker furono condivise, nel secolo XVIII, da autorevoli studiosi della storia ecclesiastica e dell'archeolo-gia paleocristiana.58 Nel secolo successivo, il ge-suita Victore de Buck59 e altri analisti dei martiro-

54 Op. cit., p. 303: "Denique non obest ratio temporis, quo minus dici posset, factum illud acci-

disse die XX Novembris anni 1000...". 55 Op. cit., p. 303: "... prout constat ex Chronico Hildesheimensi...". Nello stesso contesto lo

Sticker cita a riprova Jan Dlugosz (1415-1480), il quale indica nel 1001 la data del viaggio (Ioannis Dlugosii. Annales seu Cronicae incliti Regni Poloniae, Varsavia, 1964, Lib. II, p. 235: "1001... beati Adalberti brachium cesari [Ottone III] redonat...").

56 F. Gregorovius. Storia di Roma nel Medioevo, Roma, Newton Compton Editori, 1972, vol. II, p.253-254: "Nel mese di giugno l'imperatore faceva già ritorno in Italia. L'anno 1000... era iniziato... Dal vescovo di Portus... fece consacrare la basilica che egli aveva fatto erigere in quel luogo in onore di S. Adalberto... Per la chiesa del suo santo, Ottone cercò di procurarsi preziose reliquie...".

57 Il fatto che Ottone, nel novembre del 1000, fosse di nuovo a Roma è dimostrato , ad esem-pio, da un diploma rilasciato in favore della chiesa di Vercelli (AA. SS., Septembris, cit., p. 303.10: "... quia eum Romae fuisse Kalendis Novembris anno 1000 constat ex diplomate in favorem ecclesie Vercellensis dato, quod apud Ferrerium de Episcopis Vercellensibus curio-sus lector inveniet"). A tal fine è utile anche la Chronica Sacri Monasterii Casinensis autore Leone Cardinali Episcopo Ostiensi... (IV ed., 1668, Lib. II, Cap. XXIV, p. 233): "Huius Ab-batis anno tertio, qui est millesimus... supradictus imperator Beneventum veniit... petiit ob eis corpus Sancti Bartholomaei Apostoli".

58 Il Baronio (C. Baronio. Annales Ecclesiastici, t. XVI, ed. 1744, p. 414), ad esempio, all'anno 1001 testualmente afferma: "Transfert Otto corpora martyrum constat etiam eumdem Otto-nem hoc anno Romae agentem navasse operam, ut quam erigeret Ecclesiam Sancti Adalberti in Tiberina Insula, eamdem Sanctorum reliquiis locupletaret et inter alia eius opera, veneran-da corpora sanctorum martyrum Abundii, Abundantii, et Theodorae in eorum memoriis apud montem Soractem positis Romam fuisse translata...". La data del 1000 è indicata in una carta del 1747 nella quale era citato lo stesso Baronio in relazione a un manoscritto rignanese posto nell'archivio della cattedrale di Civita Castellana [Vv. n. 41].

Fig. 3. La decapitazione dei 23 martiri cristiani sull’antica via Salaria.

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logi cristiani concordano nel porre al 1000-1001 la data degli avvenimenti in trattazione, senza distinguere, spesso, la data della inventio (1000) da quella successiva della seconda translatio dei santi Marciano e Giovanni nella chiesa di Santa Maria a Civita Castellana (1001).60

In tempi più recenti, la storiografia relativa ai santi civitonici propone soluzioni discordanti: all'accettazione del 1000-1001 come date probabili,61 fa riscontro la tradizione civitonica, incostante nell'assumere una posizione definitiva. In alcuni casi si notano, negli stessi autori, pareri diversi, proponendo alternatamente il 1000 e il 998, anno più consono alla tradizione locale.62

Anche la problematica relativa alla chiesa cittadina nella quale furono posti i corpi dei santi civitonici dopo la sosta alla chiesa rupestre di Sant'Ippolito, propende nell'identificare questa con la cattedrale di Civita Castellana, luogo storicamente accettato come unica sepoltura dei santi patroni.63

Dalla passio di Rignano Flaminio furono tratte, sin dal XVI secolo, alcune copie ma-noscritte, giustificate dall'interesse destato dalla traslazione delle reliquie dei santi Abbon-dio e Abbondanzio del 1583. Due codici conservati nella Biblioteca Vallicelliana di Ro-

59 AA. SS., Octobris, cit., p. 831-832: "De SS. Marciano et Joanne MM". In Statibus Pontifi-

ciis. Commentarius praevius. 60 Vv. ad es. G. B. De Rossi, op. cit., p. 151-161. 61 G. Tomassetti ("Della Campagna Romana", ASRSP, cit., p. 397, n. 1), riprendendo la storio-

grafia del XVI secolo, pone la traslazione nell'anno 1000, anche se poi afferma che i santi Marciano e Giovanni siano stati solo in epoca recente trasferiti a Civita Castellana, essendo stati posti inizialmente, su ordine di Ottone III, nella chiesa romana di San Bartolomeo, in-sieme ai corpi dei santi Abbondio e Abbondanzio. F. Lanzoni (Le diocesi d'Italia dalle origini al principio del secolo VII, Faenza, 1927, t. I, p. 516-519) precisa, invece, che la traslazione dei santi Marciano e Giovanni avvenne il 13 gennaio del 1001. V. Fiocchi Nicolai (op. cit., 330-331, 391) pone l'inventio e la translatio "intorno all'anno 1000".

62 Don Giacomo Pulcini, giustamente, non considerava determinante il problema della datazio-ne e teneva distinto l'anno suggerito dalla tradizione (998) da quello legato alle argomenta-zioni storiche (1000). Don Mario Mastrocola, invece, aderisce compiutamente all'ipotesi della translatio avvenuta nelle due fasi del 1000-1001.

63 Come vedremo poi, la successiva inventio delle reliquie dei santi Marciano e Giovanni, del 1230, porterà ulteriori contributi a questa teoria.

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ma64 riportano ognuno la passio, la inventio e la translatio dei santi in esame, con alcune differenze nel testo, segno probabile di due diverse fonti ori-ginarie.65

Nella Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, invece, la passio rignanese è conservata in un codi-ce membranaceo,66 al quale è allegato un codicillo cartaceo contenente la stessa passio.67 Il volume, compilato nel secolo XVIII, contiene anche la pas-sio di Santa Maria Maggiore,68 allegata in un altro codicillo,69 e la passio senese.

LA PASSIO SENESE

Il terzo manoscritto, relativo ai santi in esame, era contenuto in un codice conservato in un mona-stero senese dedicato ai santi Abbondio e Abbon-danzio; non identificato in passato, fu però letto dal Cardulo, il quale ne fece esplicito riferimento nella

64 Il primo [COD. H9], cartaceo di ff. 576, è intitolato Vitae Sanctorum et alia monumenta col-

lecta ab Antonio Gallonio Congr.Oratorii Rom. Presbytero e contiene la "Passio SS. MM. Abundii, Abundantii, Marciani et Ioannis eius filii"[ff. 414-417], alla quale è congiunta la "Inventio atque translatio SS.Abundii et Abundantii ex Codice Arinianensi descripta" [ff.419-421]. Il secondo [COD. H10], cartaceo di ff. 482, è intitolato Vitae et officia Sanctorum Col-lecta ab Antonio Gallonio Congr.Orat.Rom.Presbytero Volumen signatum litera M... e con-tiene la "Passio SS. MM. Abundii et Abundantij et Marciani ac Johannis eius filii..." [ff.188-195], alla quale è aggiunta la inventio [ff.195-198]. I testi riferibili ai santi Marciano e Gio-vanni sono stati pubblicati da M. Mastrocola (op. cit., p. 249-252), il quale consultò i due co-dici il 27 aprile del 1959. Alla Vallicelliana è conservato anche un piccolo libro da preghiera [COD.H28] del XVI/XVII secolo, molto consunto, contenente un'«Elegia in onore dei SS. Abbondio e Abbondanzio» [ff.17-24].

65 "... et dum iuxta Ecclesiam beati Eutichij [H10: Eutitij]; ...Quod episcopus et Comes [h10: Comites]... et eorum Sanctae reliquiae inventae ac delatae sunt sive translatae XII kalend. De-cembris [H10: XII kl. octobris]...".

66 BNC, Roma, Cod.Gesuit. 266: Ai ff 4r-11r del membranaceo e ai ff. 3 - 10 v. del codicillo cartaceo II è contenuta la Passio Sanctorum Martyrum Abundij et Abundantij, Marciani et Ioannis eius filii deprompta ex antiquo Codice manuscripto, qui in Oppido Ariniano XX fere ab urbe Roma lapide asservatur penes Clarissim. virum Lucium Sabellum eius Oppidi Domi-num... conspicitur. Al f. 8v del membranaceo, senza alcuna interruzione, inizia la inventio ac translatio, che termina al f. 11r.

67 Codicillo cartaceo II, ff.12, allegato al Mss. Gesuit. 266: Incipit passio Sanctorum martyrum Abundii, et Abundantii, et Marciani, et Joannis eius filii .

68 Cod. Gesuit. 266: Ai ff. 1r-3r del membranaceo e ai ff. 2r-6r del cartaceo I è contenuta la Passio Sanctorum Martyrum Abundii et Abundantii + Ex Archivo Basilicae S. Mariae ad Pres

69 Codicillo cartaceo I, ff.8, allegato al Cod..Gesuit. 266: Passio Sanctorum Martyrum Abundij et Abundantij. Ex Archivo Basilicae Sanctae Mariae ad Praesepe.

Fig. 4. I santi Abbondio e Abbondanzio sottoposti alla tortura dell’eculeo.

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sua opera.70 Ora, il fatto che il codice della Biblioteca Nazionale Centrale di Roma sia conservato,

con i suoi annessi, nel Fondo gesuitico, lascia trasparire la possibilità che sia la base delle passiones usate dal Cardulo nella compilazione del suo testo; inoltre, è probabile che la passio senese sia stata collazionata nel membranaceo della Biblioteca Nazionale Centra-le.71

La parte finale del codice, infatti, contiene le Gesta dei santi martiri Abbondio e Ab-bondanzio, le uniche a non essere accompagnate da codicillo e compilate, per le annesse dichiarazioni, nel contesto senese. Al termine di queste, dopo il richiamo ai tre codici consueti, è indicato l'anno1584, lo stesso in cui il Cardulo pubblicava la sua opera.72

L'aspetto formale delle Gesta Sanctorum è quello dell'Officio Liturgico, le lezioni del quale sono costituite dalla passio. L'officio, invece, è riservato ai santi Abbondio e Ab-bondanzio, segno evidente che la matrice originaria era quella senese, proveniente dal monastero dedicato ai soli santi rignanesi.73

Il dubbio della provenienza è, infine, chiarito dal carmelitano senese Angelo Donati, il quale afferma di aver tratto lo scritto da un codice membranaceo e di aver terminato la fa-tica il 13 dicembre del 1583, anno precedente la pubblicazione della sintesi proposta dal Cardulo.74 La conferma che la trascrizione si sia svolta a Siena, nel monastero dei Santi

70 "... tertius [manu scriptus] qui cum Arinianensi exemplari paene ad verbum consensit, in

Monialium perantiquo retinetur coenobio, & Ecclesia, quam in Etruria prope urbem Senas Pi-pinus, Caroli Magni Imp. filius, Italiae Rex a Leone III Pont. max. appellatus, atque iniunctus, his sanctis Martyribus aedificavit" (Cardulo, op. cit., p.4).

71 Cod. Gesuit. 266, 23-23v: "Nel predetto monasterio vi è tutta la vita del martirio de Santi martiri scritta in carta pecora et volgare et latina...".

72 Cod. Gesuit.266, 12r: "Sanctorum Martyrum Abundij Presb. et Abundantij Diac. Gesta. Ex tribus vetustissimis et manuscriptis Codicibus Romano, Arinianensi et Senensi trascripta. An-no Domini MDLXXXIIII".

73 Il monastero senese, detto anche di Santa Bonda, si ritiene fondato nell'800 circa da Pipino, re d'Italia e secondogenito di Carlo Magno. La citazione storica è fornita, nel codice citato, dal carmelitano Angelo Donati ("et est constructum praedictum monasterium currentibus an-nis Domine ferme DCCC") ed è ripresa da Giuditta Luti, monaca dello stesso monastero, nel testo a stampa dedicato ai santi Abbondio e Abbondanzio ([Iuditta Luti] Vita de gloriosi Santi Martiri, Abbondio, e Abbondantio, con l'Inventione, e Traslatione de' Corpi loro. E come fu miracolosamente fondato il Monastero detto di Santa Bonda, fuor della Città di Siena per de-votione del Serenissimo Ré, Pipino Figliuolo di Carlo Magno Imperadore. Cavata da più li-bri antichi scritti, à mano dalla Reverenda Suor Iuditta Luti, di quello Monistero. Alla Sere-nissima, e Cristianissima Regina di Francia, e di Navarra, Maria de Medici Madama. In Sie-na, Appresso Silvestro Marchetti, 1616). Del monastero esistono riscontri documentari (Cfr. W. Kurze. Monasteri e nobiltà nel Senese e nella Toscana medievale. Studi diplomatici, ar-cheologici, genealogici, giuridici e sociali, E.P.T.Siena, 1989), sintesi storiche (G. Gigli. Dia-rio Sanese..., Lucca, Venturini, 1723) e cenni in repertori riferibili alla Toscana (E. Repetti. Dizionario Geografico Fisico Storico della Toscana..., Vol. V, Firenze, 1843, p.380).

74 Cod. Gesuit.266, 19v-20: "Et ego Fr.Angelus Donati carmelita senensis in presentiarum Confessarius, et Capellanus monasterij SS.martyrum Abundij et Abundantij Gregorio XIII. Pont. Max. anno eius XII. haec omnia superiora scripta membraneo ex codice fideliter extra-xi, meaque manu nihil addens, nihil diminuens exaravi, et idipsum Calendis mensis Decem-bris anno a nativitate Domini nostri Iesu Christi MDLXXXIIJ. Datum in monasterio SS. mar-

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Abbondio e Abbondanzio, è fornita dall'annota-zione finale dello stesso monaco e dalle notizie, aggiunte alle Gesta, relative alla storia della strut-tura conventuale.75

Il codice della Biblioteca Nazionale Romana, in ogni modo, ai fini delle notizie relative ai santi Marciano e Giovanni, non presenta differenze sostanziali rispetto alla versione rignanese. Viene confermata la data del sacrificio dei martiri pro-posta dal passionario liberiano (XVI Kl. octobris: 16 settembre), e si precisa che in tale data, nel monastero senese, viene celebrato l'ufficio dei santi martiri titolari. Il carmelitano estensore ag-giunge, infine, che "si è dato principio di celebra-re l'offitio dell'inventione e translatione di detti martiri con le sue antifone di proprio".

Nel 1584 furono donate parte delle reliquie dei santi titolari76 al monastero più volte citato, a conferma dello stretto legame della tradizione se-nese con quella della traslazione romana dei santi Abbondio e Abbondanzio alla Chiesa del Gesù, celebrata dal Cardulo.

tyrum Abundij et Abundantij secus Senas mille passuum spatio Die mense et anno perinde ut supra".

75 Cod. Gesuit. 266, 21-24v: "Ad honorem omnipotentis Dei et Beatae semper Virginis Mariae. De origine Monasterij, quod praescribitur Sanctorum Martyrum Abundij, et Abundantij prope Senas".

76 G. Luti, op. cit., p. 26-27: "...[dalla Basilica Farnesiana della Compagnia del Gesù] presente il Notaio a dì 7 di Maggio l'anno 1584 furono prese due ossa, uno nel braccio di Santo Ab-bondio, un dito, e un dente, e una parte della mascella, e un dente, e un dito di Santo Abbon-dantio, e furono date in quel luogo al Reverendissimo Signor Francesco Bandini de Piccolo-mini Arcivescovo di Siena, il quale dette opere che fussero trasportate a Siena, e per orna-mento della Chiesa di essi Santi Martiri del detto Monastero... A 3 giugno 1584 arrivano le santissime Reliquie de Gloriosi Martiri Abbondio, e Abbondantio nella città di Siena...".

Fig. 5. Marciano supplica Abbondio e Ab-bondanzio di intercedere per il ritorno in vita del figlio Giovanni appena morto.

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LE FONTI CIVITONICHE

La vicenda dei santi martiri narrata dai tre antichi manoscritti coinvolge Civita Castel-lana dall'anno 1000, dopo la inventio dei santi Marciano e Giovanni e la loro successiva translatio nella città viterbese.

La tradizione civitonica, da quell'evento, diviene autonoma, separando il destino dei propri santi patroni da quello dei martiri Abbondio e Abbondanzio, traslati nella Chiesa del Gesù a Roma.

Primo diadema in festo Eductionis sive revelationis reliquarum Sanctorum Ioannis, et Martiani

Il primo atto esclusivamente civitonico è del 1230 e riguarda la eductio o revelatio del-le reliquie dei santi Marciano e Giovanni, descritta in una relazione coeva, a noi giunta in copia e pubblicata dal gesuita Victore de Buck negli Acta Sanctorum,77 il 20 ottobre.78

Il redattore appena citato aveva ricevuto il testo dal gesuita Daniel van Papenbroeck,79 il quale lo aveva tratto dalla raccolta dei manoscritti del "Cardinale di S. Severina", che aveva a suo tempo effettuato una copia della relazione, ponendola a confronto con il codi-ce originario, come si può dedurre dalle correzioni aggiunte dal prelato stesso. Il codice manoscritto del "Cardinale di S. Severina" era, prima della presente ricerca, irreperibile, anche per una mancata o erronea identificazione del Cardinale stesso, indicato con il solo toponimico.80

Nella Biblioteca Corsiniana, a Roma, esiste invece un codice81 che, senza alcun dub-bio, può essere ritenuto quello del "Cardinale di S. Severina", contenendo note autografe del cardinal Giulio Antonio Santori.82 I due cardinali, infatti, sono la stessa persona, dato che il cardinal Giulio Antonio Santori era detto "di S. Severina" per essere stato arcive-scovo di Santa Severina in Calabria.83

77 AA.SS., Octobris, cit., p. 831-832. 78 AA.SS., Octobris, cit., p.810: "Die Vigesima Octobris... Sancti qui XII Kal. Novembris co-

luntur... SS. Joannes et Marcianus, Martyres in Civitate Castellana"; AA.SS., Octobris, cit., p. 831: "... qui dies 16 septembris coluntur". Il De Buck trovò inseriti al 20 ottobre i mss. relativi a questa relazione, e a tale data li pose. Per la "Seconda Invenzione" cfr. anche Cardinali, op.cit., p.17-18.

79 Daniel van Papenbroeck [Papebrochius], 1628-1714. 80 AA. SS., Octobris, cit., p. 831: "… ex Ms. codice quem reperit in collectione Cardinalis (Lu-

cii, ni fallor) San Severini…". 81 Biblioteca Corsiniana di Roma, Cod. 883, cart., sec.XVI, 290 x 220 mm; cc.III-339-1: Acta

et Monumenta Varia Sanctorum Quorum nomina in sequenti pagina adnotata Index exhibet. 82 L'ipotesi, non suffragata però da successiva verifica, era stata avanzata da M. Mastrocola

(op. cit., p. 144): "Il codice visto dal Papebroche sarà stato questo, ora alla Biblioteca Corsi-niana? Non vorrei escluderlo...".

83 Giulio Antonio Santori, cardinale di S. Severina, era nato a Caserta nel 1532. Di vasta cultu-ra giuridica ed eccellente nobiltà d'animo, fu creato cardinale da Pio V il 17 maggio del 1570. Dopo la morte, avvenuta nel 1602, fu sepolto in San Giovanni al Laterano.

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Il nesso con la tradizione dei martiri provenienti da Rignano era determinato dal legame che univa il cardinale alla chiesa di San Bartolomeo dell'Isola, di cui era titolare e della quale aveva fatto ricostruire la navata destra, l'abside e il ciborio, dopo le disastrose inondazioni del Tevere del 1530 e 1557.84

L'interesse del prelato per i santi civitonici era le-gato, inoltre, a una sosta da lui effettuata nel 1576 a Civita Castellana, mentre si recava a Loreto per "visi-tare la Santa Casa". In tale occasione aveva celebrato messa in cattedrale e commemorato i santi Marciano e Giovanni, protettori della città.85

Il codice della Corsiniana, d'altra parte, presenta chiari riferimenti alla tradizione civitonica, dato che, alle vicende dei quattro santi rinvenuti a Rignano86 unisce la Legenda dei martiri faleritani Gratiliano e Felicissima.87 Si può, quindi, avanzare la probabile ipotesi che il testo originario veduto dal Santori pro-venisse da Civita Castellana, anche perché, alle con-suete passiones e agli Atti relativi all'inventio e alla translatio rignanese, sono aggiunti precisi brani celebrativi e commemorativi dei soli santi Marciano e Giovanni.88 È proprio in questo contesto che è descritto il ritrovamento dei corpi dei santi Marciano e Giovanni, avvenuto nell'anno 1230. L'autore della relazione si definisce Judex Placentinus, nome che ha creato alcuni problemi di lettura per un'errata trascrizione del testo originario.89 I due termini, comunque, lasciano trasparire l'incarico svolto e il luogo di provenienza del-l'estensore, così come lo stile dello scritto suggerisce un'appartenenza del redattore all'am-

84 Il cardinale G.A. Santori il 18 agosto 1585 aveva consacrato solennemente l'altare maggiore

della chiesa e alla stessa aveva donato la vasca di porfido per riporvi le reliquie di san Barto-lomeo (Cfr.G. Cugnoni, "Autobiografia di Monsignor G. Antonio Santori Cardinale di S. Se-verina", ASRSP, XIII (1890), p.168, 169). Nel Codice 883 (cc.1-2), già citato, è riportata un'i-scrizione relativa alla chiesa: "S. Bartholomaei Apost. Ecclesia in insula Tiberina, et Reli-quiae - Nominis eius Templi in Urbe consecrationis Inscriptio".

85 Cfr. G. Cugnoni, op. cit., XII (1889), p.327-372; XIII (1890), p.151-205. 86 "Legenda Sanctorum Martyrum Abundij, et Abundantij, Marciani et Ioannis, atq(ue) Inven-

tionis corporum, eorumdem Sanctorum" [cc.66-90]; "Copia. Legenda Sanctorum Ioannis, et Martiani, Abundij, et Abundantij. Descriptae nostri iussu. Per Ascanium Formosam presbyte-rum Casertan. ex exemplari D. Curtij Ranchi can.ci S.Petri 1583" (c. 98)."Incipit Passio San-ctorum Martyrum Abundi et Abundantij, et Martiani, et Ioannis eius filii" (cc. 99-106).

87 "Nec non Legenda Sancti Gratiliani, et Felicissimae martyr(um). Transcripta meo iussu ex libello Manuscripto Ecclesiae Civitatis Castellanae, mihi ab illius R.p.D. Ep(iscop)o commo-dato, a mense octobris MDLXXI usq(ue) ad Januarii XXX. MDLXXIJ" (cc.66, 91-94v).

88 "Incipit primum Diadema in festo Eductionis sive revelationis reliquarum Sanctorum Ioan-nis, et Martiani" (cc. 74v-86v); "In festo Sanctorum martyrum Ioannis, et Marciani..." (cc. 87-89).

89 Il nome, ancora nel 1964, fu letto come Indie Placentino da M. Mastrocola (op. cit., p. 145), anche se già nel 1853 il De Buck (AA.SS., Octobris, cit.) aveva risolto il problema nel pro-porre la più probabile lettura di Judex Placentinus.

Fig. 6. Il piccolo Giovanni, tornato in vita, viene battezzato dal presbitero Ab-bondio.

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bito giuridico.90 Il fatto che nel testo, accanto al termine civitatem, venga posto l'aggettivo nostram, così come a oppidum sia premesso nostrum, presuppone la permenenza a Civita Castellana del giudice piacentino, con una possibile acquisizione della relativa cittadinan-za.91 Il testo è, pertanto, degno di attenzione, dato che la presenza agli avvenimenti92 di un cronista locale, fornito di dignità giuridica, avvalora la corrispondenza dei fatti con la real-tà storica. Nel manoscritto, dopo aver trattato della solennità della translazione, viene cita-ta una composizione metrica denominata secundum diadema. Questo scritto, anche se de-finito secundum, è da ritenersi anteriore al resto93 e non fu reso dal van Papenbroeck in quanto non lo rinvenne nella copia romana posta alla base della sua ricostruzione. Dopo il primum diadema, infine, viene riportata una breve appendice, aggiunta dal relatore e nella quale sono elencati ulteriori miracoli riferibili ai santi civitonici.

La vicenda94 iniziò il 18 settembre del 1230 e fu generata dalla volontà del vescovo di Civita Castellana, Pietro, di incrementare la fede cristiana, ravvivando il culto dei santi Marciano e Giovanni, i cui resti giacevano sepolti sotto l'altare maggiore della cattedrale, secondo la memoria locale e un libello, del quale resta traccia negli Acta Sanctorum.95

La volontà di intraprendere la ricerca delle sacre reliquie era condizionata, però, dalla necessità di non alterare o manomettere l'altare maggiore e il ciborio. Si cominciò, pertan-to, a scavare con cautela nella parte posteriore dell'altare e in breve tempo fu intravisto, tramite una piccola fessura, lo scriniolo delle reliquie; fu intimato, quindi, allo scavatore di interrompere il lavoro per rinviare la ricognizione a un momento più opportuno e orga-nizzare appropriati festeggiamenti. Prima di chiudere con cemento l'apertura praticata, si sentì per l'intera cattedrale un profumo intenso, proveniente dalla zona ove erano sepolti i santi corpi. Il prodigio, come fu definito, durò fino alla chiusura del vano aperto dietro l'al-tare.96 Era, come già detto, il 18 settembre del 1230.

Un mese dopo, il 18 ottobre, il vescovo Pietro,97 insieme con i canonici di Civita Ca-stellana, si portò nel retro dell'altare maggiore della cattedrale per estrarre la cassetta delle reliquie alla presenza di Giovanni Parente, ministro generale dell'ordine dei frati minori,98

90 Sempre il De Buck suggerisce per Judex il significato di Advocatus, Jurisperitus o Notarius,

adducendo a conferma il Glossarium del Du Cange, alla voce Judex. 91 "[Judex Placentinus] Civis tamen Castellanus factus erat, quum ubique nostram civitatem,

nostrum oppidum vocet (ibid.). 92 "... qui dudum fuerat... me quoque qui haec scripsi Iudice Placentino..." (ibid.). 93 "... quod saepius hic appellat et quod proin, licet secundum ei sit, tempore debet esse ante-

rius" (ibid.). 94 La prolissa relazione si può leggere, per la parte trascritta dal van Papenbroeck (fino al cap.

XXXII), negli AA.SS., (Octobris, cit., VIII, p. 832-836) e tale versione è stata poi riportata da M. Mastrocola (op. cit., p. 252-265). Della necessaria integrazione tratteremo nella sede rela-tiva.

95 AA.SS. Octobris, cit., p. 832 (b): "Hunc libellum editum habes in AA.SS. ad diem 16 sep-tembris (p. 305)".

96 A questo punto del testo si trova la prima citazione diretta dello Judex Placentinus: "Narro quod audivi, recito quod praesenti fui".

97 Viene definito Tudertinus e si afferma che era stato abbas Faleritanus. Quest'ultima precisa-zione dovrebbe riferirsi a un precedente ruolo del vescovo nella vicina abbazia cistercense di Falleri.

98 Giovanni Parente, fiorentino, aveva sostituito frate Elia nella direzione dell'Ordine. La tradi-zione locale lo ritiene cittadino di Civita Castellana (BAV, Cod. Borg. Lat. 179).

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di altri tre monaci dello stesso ordine, di Giovanni Sforza, arciprete di Santa Maria dell'Arco,99 di Matteo, visconte della città,100 del podestà Matteo Rossi,101 di molti consiglieri, cittadini e cappellani, e del rogatario presente.102

Nel procedere alla rimozione del cemento posto a protezione della capsula, si vide che, a fianco di quest'ultima, erano germogliati dei grani di fru-mento e d'orzo, fatto ritenuto prodigioso e da acco-stare alla miracolosa fioritura di gigli verificatasi durante la traslazione delle reliquie dei santi martiri a Civita Castellana.

Estratta la cassetta delle reliquie si notò che questa era di preziosa qualità: il coperchio appariva costellato di piccole pietre, che scomparvero dopo essere state toccate dalle persone accorse in massa per assistere all'inconsueto avvenimento.103

La capsula, posta sopra l'altare, fu affidata alla custodia di sei persone, tre canonici e tre laici di fi-ducia, legati da giuramento. Il concorso di popolo fu ingente e le richieste di grazia ottennero proficui ef-fetti: la guarigione di un infermo, di un medico con

99 La chiesa di Santa Maria dell'Arco risale all'epoca romanica ed è ritenuta, dalla storiografia

locale, la prima cattedrale della città. Cfr. J. Raspi Serra, Corpus della scultura altomedievale, VIII, "Le diocesi dell'Alto Lazio", Spoleto, Cisam, 1974, p. 79-80; La Tuscia romana, p. 10 (n.17), 60. G. Pulcini. Falerii Veteres Falerii Novi Civita Castellana, Civita Castellana, Bi-blioteca Falisca, 1974, p. 156, 203-205. S. Boscolo-L. Creti-C. Mastelloni. La cattedrale di Civita Castellana, [1993], p.18. L. Cimarra-G.Figoli (a cura di). La Chiesa Santa Maria del Carmine e il Monastero delle Clarisse, Civita Castellana, [1998]. P. Rossi, op. cit., p. 35-41.

100 In altre parti viene sempre definito conte. In un manoscritto della fine del XVII secolo, che verrà presentato in appresso (BAV, Cod.Vat.Lat.7371), dopo il nome Matteo si può leggere (ma la grafia non è del tutto chiara) Vici conte della città, lasciando balenare l'ipotesi che il Vici più che un prefisso possa essere il cognome del conte. In tal caso apparterrebbe alla fa-miglia Di Vico, che nel 1158 aveva ricevuto in pegno da papa Adriano IV i diritti della Chie-sa su Civita Castellana (Cfr. C. Calisse, I Prefetti Di Vico, in ASRSP, X [1887], p.10). La pre-senza della famiglia Di Vico in Civita Castellana è documentata anche nei secoli XIII e XIV (G. Tomassetti. "Della Campagna Romana", ASRSP, cit., p. 433-434; C. Calisse., op. cit., p. 119).

101 Matteo Rossi, era podestà della città. Civita Castellana, infatti, sin dal 1229 aveva ricevuto il privilegio di eleggere il podestà e gli statutari, per redigere le costituzioni comunali (Cfr. G. Ermini. "La libertà comunale nello Stato della Chiesa. Da Innocenzo III all'Albornoz (1198-1367)", in ASRSP, XLIX [1926], p. 9, 115). Nel 1252, Innocenzo IV conferma gli statuti civi-tonici.

102 Anche in questo caso la presenza dello Judex Placentinus è testimoniata dallo scritto: "... qui dudum fuerat... me quoque qui haec scripsi Iudice Placentino...".

103 La relazione liquida questa sparizione adducendo una miracolosa comparsa delle gemmule e una loro altrettanto inspiegabile scomparsa.

Fig. 7. Teodora preleva i corpi dei martiri Abbondio, Abbondanzio, Marciano e Gio-vanni per farli trasportare nel territorio di Rignano.

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una mano inabile, di una donna con problemi alla vista. Dopo questi avvenimenti, tutti furono invitati per il 20 ottobre ai festeggiamenti

previsti in onore dei santi martiri patroni. Tra gli intervenuti, sono ricordati Pietro, vescovo di Sutri, duecento frati minori con a capo Giovanni Parente, e una moltitudine di popolo. La sera precedente, sabato 19 ottobre, dalla chiesa di Santa Maria de Communi,104 i frati minori si recarono in forma processionale alla chiesa della Vergine Maria, portando in mano rami d'ulivo; giunti nei pressi del pulpito, di fronte a una moltitudine di persone, celebrarono gli officia vespertina davanti alle reliquie dei santi, onorate da tre ceri, tra i quali uno più grande donato da Giovanni Parente. Terminata la liturgia serale, i frati tornarono al convento dal quale si erano mossi in processione.105 La cattedrale, sempre nelle ore serali, fu addobbata con parati rossi e splendenti, croci d'argento dorato e turiboli simmetricamente disposti; a terra furono sparse erbe aromatiche.106

Dopo il tramonto, tutto il clero della città si raccolse nella cattedrale, con una moltitu-dine di chierici forestieri, e insieme attesero agli offici della vigilia intonando e suonando melodie sacre. Durante questa liturgia è ricordato il miracolo della guarigione del sacerdo-te affetto da febbre quartana. Per tutta la notte, infine, furono vegliati i resti dei santi mar-tiri con opportune celebrazioni.

Giunta la mattina del 20 ottobre, la pioggia, che era caduta copiosa nei giorni prece-denti, cessò del tutto e apparve splendente il sole. Alla bella giornata corrisposero feconde stagioni, tanto da ricordare l'anno del ritrovamento come uno dei più ubertosi.107 Le reli-quie dei santi, collocate nella cassetta, vennero mostrate al popolo circostante e Pietro, il presule sutrino, celebrò la messa solenne.

Alla liturgia parteciparono i duecento frati minori, radunati in coro a destra dell'altare maggiore, davanti all'altare di Sant'Andrea; ognuno di questi, fino al termine degli officia Missarum, tenne in mano un cero acceso. Durante l'omelìa il vescovo Pietro illustrò ai fe-deli convenuti la grazia singolare che il Signore aveva fatto loro nel concedere alla città di Civita Castellana questi santi protettori e invitò tutti a celebrare ogni anno la data del mar-tirio e quella del ritrovamento. Come suo dono spirituale, il prelato concedeva l'indulgen-za di due anni a tutti coloro che, confessati e comunicati, fossero intervenuti alla cerimo-nia in corso o avessero, nei successivi otto giorni, visitato e onorato le reliquie dei santi.

104 La Chiesa di Santa Maria de Communi era posta nell'attuale piazza Matteotti, nella parte

opposta alla sede comunale. Era annessa al convento di San Francesco, fino ad alcuni anni fa seminario diocesano e oggi sede della curia vescovile. Sul sito è oggi presente la chiesa di San Pietro, una volta emblematicamente denominata di San Francesco, che potrebbe identifi-carsi con la chiesa in trattazione.

105 La denominazione di Santa Maria ("de Communi") e le considerazioni avanzate da alcuni studiosi (P. Rossi, op. cit., p. 53, n. 95) lascebbero ipotizzare che la Ecclesia Beatae et semper Virginis Dei Genitricis Mariae, nominata in relazione allo spostamento delle reliquie dei santi martiri dalla chiesa di Sant'Ippolito all'interno della città, e la chiesa di Santa Maria "de Communi", siano la stessa struttura nella quale furono deposti, fino al 1230, i resti dei patro-ni. Le chiese civitoniche dedicate a Santa Maria erano, al tempo, almeno tre (comprendendo tra esse la cattedrale), ma le notizie e le conferme successive spingono a considerare come probabile il trasporto dei sacri corpi, avvenuto nel 1001, nella cattedrale stessa.

106 La cattedrale appariva nel nuovo splendore conferitole dai lavori compiuti negli anni attor-no al 1210.

107 Il relatore, a maggior riprova, testimonia abbondanza di pane, vino, olio e frutti vari.

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Un'altra indulgenza di quaranta giorni sarebbe stata concessa, infine, a tutti coloro che, negli an-ni successivi, avessero partecipato all'anniversa-rio della festa.

Passati gli otto giorni, la maggior parte delle reliquie fu posta in un cofanetto collocato sotto l'altare maggiore; insieme furono poste anche le tavole della prima cassetta e il tutto fu murato con pietre da mulino. Il resto delle reliquie, com-prese le ossa della testa e altre maggiori, fu mes-so in uno scriniolo da conservarsi in una nuova finestrella ricavata tra le due tribune del coro, a sinistra. Davanti a questa fu acceso un cero di grandi dimensioni, che arse continuamente per più giorni.

A questo punto della narrazione il relatore pone due miracoli, verificatisi entrambi davanti al vano delle reliquie. Nel primo, il cero appena citato fu spento da un vento fortissimo e una ma-no mirabilis, uscita dalla finestrella, con una can-dela, lo accese di nuovo. Nel secondo, la lampada messa davanti al reliquiario, al posto del cero or-mai consunto, dopo essersi spenta per una maldestra azione del sacrestano, si riaccese spontaneamente per coelesti miraculo.

I prodigi accaduti furono molteplici e lo stesso estensore del documento, narrato il mi-racolo del giovane sanato dopo la rovinosa caduta da un albero, confessa di conoscerne solo una parte, tanto furono numerosi.

La relazione si conclude con un lungo panegirico in onore dei santi martiri, durante il quale il redattore fa riferimento a due composizioni diademata, volte cioè a esaltarne i me-riti e i prodigi. La prima di queste, in prosa, è costituita dalla relazione stessa, mentre la seconda, in versi, è solo accennata nel testo.108

La relazione appena esaminata proveniva, come abbiamo visto, dall'ambiente civitoni-co e in tale città fu nota almeno sino al secolo XVII.109 In quell'epoca, infatti, furono redat-ti a Civita Castellana due documenti, ancora inediti, che presentano decise rispondenze con la relazione stessa.

Officium Antiquum Sanctorum Martyrum Iohannis et Marciani

Il primo di questi è un Officium compilato nel 1665 da Joannis Clementis Valentini, che lo aveva tratto da un manoscritto in cantu firmo, o Gregoriano, conservato tra gli anti-

108 I versi citati nella relazione sono i seguenti: "Hos procul esse diu / sperastis, sed cito vobis /

tamquam presentes fecit adesse Deus. / Inquirentibus sua corpora quasi ultra Martyres obtule-runt, ne / diffidentiam labor pareret inquirendi".

109 M. Mastrocola (op. cit., p. 52), che riportò il documento secondo la versione degli AA. SS. (Octobris, cit., p. 832-836), afferma che "questa Relazione non era nota nella Diocesi nostra".

Fig. 8. I resti dei santi Abbondio e Ab-bondanzio vengono traslati dalla chiesa dei santi Cosma e Damiano alla chiesa del Gesù a Roma (1583).

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chissimi corali della cattedrale di Civita Castellana.110 Il testo contiene tutti gli Atti fino a quel tempo noti, suddivisi nelle varie parti liturgiche111 e risulta corretto nel 1677.112

L'officium riguardava sei giorni infra octavam, ai quali erano da aggiungere l'Octava113 e la celebrazione In festo eductionis sive revelationis Reliquiarum Sanctorum Martyrum Ioannis, et Martiani, che si svolgeva ogni anno nella prima domenica seguente la festa di san Luca Evangelista. In queste due ultime occasioni l'officium era doppio e comprendeva proprie lectiones e orationes.

La passio letta durante la liturgia era quella della versione rignanese,114 e comprendeva anche la prima inventio e la translatio delle sante reliquie a Civita Castellana.115 In merito a questi ultimi avvenimenti l'officium non indica l'anno in cui furono effettuate e, pertanto, segue la tradizione più remota, quella precedente l'edizione degli Acta Sanctorum e legata, più che altro, al parere dell'Ughelli.116

La presenza nell'officium del racconto relativo allo scoprimento delle reliquie del 1230 lascia trasparire l'esclusiva matrice civitonica delle informazioni e, allo stesso modo, atte-sta la provenienza da Civita Castellana di quelle contenute nel codice 883 della Corsinia-na.117

La versione del ritrovamento appena citato è quella più completa, contenendo anche la narrazione delle guarigioni miracolose della donna ulcerosa, del bambino ammalato, della

110 BAV, Cod.Borg.Lat.179 (Sec.XVII, ff.I-II, 85), Officium Antiquum Sanctor[um] Martyrum

Io[hann]is, & Marciani Civitatis Castellanae Protectorum. Quor[um] festum celebratur Die 16 septembris. Joannis Clementis Valentini est. 1665. P[raese]ns officiu[m] reperitur etia[m] manuscriptu[m] in cantu firmo, seu Gregoriano in antiquissimis libris magnis choralibus chartae pergamenae Ecclesiae Cathedralis Civitatis Castellanae alia Veientanae, seu Veior[um], vel Veientium. "In Primis Vesperis Antiphonae...".

111 Nel testo compaiono laudes, antiphonae, capitula, hymni, versiculi, orationes, invitationes, lectiones, responsoria, Pater Noster, lectiones Sancti Evangelii, Te Deum laudamus..., e ri-guardano le varie ore della giornata liturgica (In Primis Vesperis, Ad Vesperas, Ad Magnifi-cat, Ad Matutinum, In Primo Nocturno, In Secundo Nocturno, In Tertio Nocturno, Ad Bene-dictus, In Secundis Vesperis).

Due di questi hymni SS. Martyrum Marciani, et Ioannis (ad Vesperas, ad Laudes) sono conte-nuti, inediti, nel Codice Vaticano Latino 7404 della Biblioteca Vaticana.

112 La data 1677, sovrapposta al 1665, appare scritta dalla stessa mano che ha eseguito la revi-sione grammaticale del testo.

113 Octava Sanctorum Martyrum Ioannis et Martiani, totum officium sit duplex ut in die festi exceptis lectionibus quae infra sequuntur

114 La passio, fino al martirio, è compresa nel secondo giorno infra octavam (Lectio VII); dalla Lectio VIII, dello stesso giorno, inizia la narrazione della prima inventio.

115 L'inventio et translatio termina alla Lectio IV del terzo giorno infra octavam. Alla Lectio V dello stesso giorno, inizia la narrazione della inventio del 1230.

116 F. Ughelli. Italia Sacra, Venezia, Coleti, 1717, I, col.597: "Crescentianus Civitatis Castel-lanae Episcopus, in exquirendis SS.Martyrum corporibus diligentissimus fuit, temporibus O-thonis III Imperatoris, hoc est anno 998". L'anno proposto dall'Ughelli, nel 1873 venne ripreso dal Gams (P.B. Gams. Series episcoporum ecclesiae catholicae, Ratisbonae, 1873, p.685). 117 Lo stesso titolo dell'inventio del 1230 riportato nell'officium, fa riferimento ai santi Marcia-no e Giovanni come Avocati nostri.

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ragazza insonne di Morlupo, del grave infermo, della fanciulla affetta dal mal della pietra e del giovane scrofoloso.118

L'officium in trattazione, pertanto, si presenta come una silloge civitonica degli scritti agiografici relativi ai santi patroni, arricchita da una raccolta di testi liturgici che lasciano intuire un'antichità maggiore di quella in cui fu redatto il codice in esame.119

Tale asserzione è suffragata anche da Egidio da Cesarò, negli Effimeri,120 un testo che verrà trattato in seguito e che rappresenta, per le vicende dei santi patroni civitonici, un testo cardine. Nello scritto, infatti, vengono citati alcuni passi di un antico officio, conside-rato dall'autore la base per le successive memorie riferibili ai santi Marciano e Giovanni.121 I passi appena richiamati corrispondono a quelli conservati nel Cod. Borg. Lat. 179, l'ine-dito in esame, confermando l'origine civitonica dell'officio e l'antichità del testo origina-rio.122

Vita delli SS. MM. Marciano e Giovanni di Benedetto Stella

Il secondo documento, è un manoscritto conservato nella Biblioteca Vaticana123 e re-datto dal prelato civitonico Benedetto Stella.124

Questa originale figura di ecclesiastico è ancora inedita nel suo ruolo di storico125 e ri-sulta pressoché sconosciuta nell'ambito civitonico, pur appartenendo a una famiglia locale con illustri trascorsi.126

118 Questi miracoli sono narrati nelle lectiones VI-IX dell'Octava Sanctorum Martyrum Ioan-

nis et Martiani. 119 Di particolare interesse sono, in tal senso, gli hymni, dotati di un'insita arcaicità, che lascia

intuire antichi trascorsi. In quest'ultima accezione merita un maggior esame l'Hymnus ad Ma-tutinum, conservato soltanto nel già citato Codice Vaticano Latino 7404.

120 Egidio Da Cesarò. L'Effimeri per il Glorioso Martirio di SS. Marciano e Gioanni, del M.R.P.M. F. Egidio da Cesarò Min. Conv. Siciliano, con un parere del vero sito dell'antico Veio, Data in luce dal Rev. Sacerdote Don Francesco Rigotti Vicentino. In Venetia, Per Gio.Francesco Valvasense, 1678.

121 Ibid., p. 13: "... offitio antico, da dove si stima esser stata tolta di peso l'Historia delli Padri del Collegio Romano della Compagnia di Giesù...".

122 E. De Cesarò afferma che l'offitio antico fu usato dalla chiesa di Civita Castellana dal 1230 al 1626, "nel qual tempo restò per decreto sinodale di Monsignor Gozadini... sospeso fin a tanto fosse ridotto allo Rito romano secondo i decreti del... Concilio di Trento". Nel 1833, comunque, gli officia propria dei santi civitonici e dei loro colleghi rignanesi erano diversi (Cfr. Officia propria sanctorum dioecesuum Hortanae et Civitatis Castellanae..., Romae, Typis Iosephi Salviucci, 1833).

123 B.A.V., Cod. Vat. Lat. 7371: Vita delli Santi Martiri Marciano e Giovanni Protettori di Ci-vita Castellana, codice cartaceo in folio del sec. XVII.

124 Abate di Santa Pudenziana a Roma e priore della comunità religiosa del Soratte. 125 Padre Benedetto Stella scrisse una singolare opera a stampa dedicata al tabacco [Il Tabac-

co, opera di Benedetto Stella da Civita Castellana. Nella quale si tratta dell'Origine, Histo-ria, Coltura, Preparatione, Qualità, Natura, Virtù & Uso in fumo, in polvere, in foglie, in lambitivo et in medicina Della pianta volgarmente detta Tabacco. Trattato, Medico, Morale, e Curioso, In Roma, Per Filippo Maria Mancini, 1669] e raccolse notizie storiche su vari ar-gomenti. In una historia manoscritta trattò di san Nonnoso, abate del Soratte, e in tale veste fu conosciuto da Antonio Degli Effetti, che lo menzionò più volte nella sua opera maggiore

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L'autore dichiara di attenersi all'opera a stampa del Cardulo, pur non citandolo diretta-mente, e di aver ordinato le notizie relative ai santi martiri civitonici, dopo averle tratte dai consueti manoscritti di Rignano e di Santa Maria Maggiore, e dagli Atti del Martirio dei santi Abbondio e Abbondanzio.127

A questi dati, tuttavia, dovette unire notizie provenienti dal contesto civitonico, dato che alla prima inventio del 1000, unisce il ritrovamento del 1230, con una dovizia di par-ticolari che lasciano intuire il diretto coinvolgimento dei testi conservati nella cattedrale di Civita Castellana.128

Lo scritto della Vita, redatto da padre Stella in un forbito italiano del XVII secolo, è la fedele traduzione dei manoscritti noti, ai quali l'estensore, da buon cultore della disciplina storica, aggiunge date e precisazioni a lui pervenute da fonti diverse.

Queste ultime, in ogni caso, non dovettero essere univoche, dato che dal testo emergo-no alcune singolari discordanze. L'abate, ad esempio, colloca nell'anno 303 la persecuzio-ne relativa ai quattro martiri, ma pone inizialmente al giorno 17 settembre la data del loro martirio129 per poi mutarla nel più corretto "16 Settembre" alcuni fogli dopo.130

Nel testo, inoltre, appaiono inserimenti di carattere storico, non presenti negli Atti ori-ginari. L'abate, ad esempio, fa dire al consultore o dottor di legge che "i cristiani stanno nascosti nelle case particolari, o nelle cave da' quali si cava l'arena per gli edificij necessa-rij", mentre nelle passiones tale affermazione non esiste.

La particolarità più evidente della Storia delli Santi Martiri Marciano e Giovanni scrit-ta dal prelato Stella è l'aver collocato all'anno 1000, ed esattamente al 20 novembre, la fa-se dell'inventio e della contemporanea translatio delle reliquie da Rignano alla chiesa di Sant'Ippolito a Civita Castellana, e nell'aver posto al 13 gennaio del 1001 il loro definitivo spostamento nella cattedrale di Civita Castellana.

L'indicazione dell'anno 1000 in uno scritto della fine del XVII secolo è interessante, laddove si raffronti questo dato con la scarsa produzione storiografica in rapporto allo stu-

[Memorie di S. Nonnoso Abbate del Soratte..., cit.]. Il Degli Effetti, in tale sede, accenna a un volumetto di padre Stella, stampato nel 1668 e riguardante anch'esso san Nonnoso.

126 Nello stemma della famiglia Stella compare un angelo vestito di bianco, con asta gigliata nella destra e globo crociato nella sinistra. Tra gli antenati dell'abate Benedetto è da segnalare Antonio, che fu vescovo di Civita Castellana dal 1443 al 1455, ricordato in una lapide com-memorativa del 1619, affissa nel duomo di Civita Castellana.

127 Cod. Vat. Lat. 7371, cit., f. 271: "Cavata dagli Antichi Manoscritti della chiesa di Rignano, di Santa Maria Maggiore di Roma e dagli Atti del Martirio de' SS. Abbondio et Abbondantio Martiri, ne' quali il Martirio de detti Santi si descrive. Messo in luce dalli M.R.PP. della Compagnia del Giesù del Collegio Romano e dedicati alla Santità di N. Sig.re Gregorio XIII e per ordine digesti dal P. Abbate D. Benedetto Stella".

128 Lo storico civitonico, però, non inserisce nella narrazione i miracoli avvenuti nell'ultima fase della seconda translatio, quelli relativi, cioè, alla guarigione della donna ulcerosa, del bambino ammalato, della ragazza insonne di Morlupo, del grave infermo, della fanciulla af-fetta dal mal della pietra e del giovane scrofoloso, che compaiono, invece, nell'Officium del 1665/1677.

129 Cod. Vat. Lat. 7371, f. 278v: "Morirono questi Quattro Santi Martiri Abundio Sacerdote, Abundantio Diacono, Marciano, e Giovanni suo figlio alli 17 di Settembre l'anno del Signore 303".

130 Ibid., f. 282: "Il giorno del Martirio di questi Santi Martiri fu alli 16 di Settembre l'anno del Signore 303...".

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dio dei santi civitonici. Prima di lui soltanto il Cardulo aveva avanzato tale soluzione, mentre gli storici civitonici, come già detto, erano in disaccordo: Il Degli Effetti,131 nel pe-riodo in cui scriveva lo Stella, proponeva infatti il 998, mentre il De Cesarò,132 pochi anni prima, indicava nel 1000 l'avvenimento.

In rapporto alla seconda invenzione delle reliquie dei santi Marciano e Giovanni, del 1230, padre Stella dimostra di essere a conoscenza della relazione del giudice Piacentino e di considerarla documento ufficiale. Il prelato, probabilmente, aveva a disposizione la stessa fonte civitonica posta alla base della ricostruzione tramandata dal cardinal Santori e doveva conoscere anche il diadema in versi, oltre che quello in prosa, dato che riporta al-cune considerazioni non presenti nel testo riprodotto dai bollandisti.

La storia trasmessa dallo Stella è, anche in questo caso, l'esatta traduzione del testo tramandato dalle fonti, con le consuete aggiunte di taglio storico. L'autore, infatti, non in-dulge in ampollose celebrazioni, limitando al massimo quanto nello scritto appariva inve-ce encomiastico. Alcune sue affermazioni sembrano provenire dalla tradizione civitonica e appaiono consolidate dalle successive acquisizioni. Il prelato, ad esempio, afferma con certezza che le reliquie dei santi furono poste sotto l'altare maggiore della cattedrale, fu-gando ogni dubbio su un'improbabile loro collocazione in una chiesa diversa. Allo stesso modo, l'abate Stella afferma che le reliquie provenivano dalla chiesa dei santi Abbondio e Abbondanzio di Rignano Flaminio, fornendo giustificazione a quanti hanno ipotizzato un iniziale spostamento delle stesse reliquie dalle catacombe di Santa Teodora alla chiesa ri-gnanese.

Nel narrare dell'infermo sanato, poi, specifica che lo stesso vide in sogno i santi Mar-ciano e Giovanni e che, guarito, si recò nella cattedrale per rendere omaggio ai patroni in-tercessori. Tale precisione di dati è, però, incostante e avvalora ancor più la tesi che lo sto-rico abbia usato diverse versioni della relazione, una delle quali identificabile con l'Offi-cium Antiquum precedentemente trattato. Nel descrivere la cattedrale durante le cerimonie relative al ritrovamento in esame, elenca i nomi delle erbe odorose sparse sul pavimen-to,133 particolare che appare soltanto nell'Officium.

L'abate Stella, inoltre, sembra adattare talvolta i dati della relazione ai suoi tempi pro-ponendo indicazioni topografiche diverse dal testo originario: nel ricordare ad esempio la processione dei frati del 19 ottobre, dalla chiesa di Sancta Maria de Communi134 alla cat-tedrale, afferma che "detti frati Minori se ne ritornorno processionalmente alla Chiesa di San Francesco dalla quale erano parimente processionalmente venuti"; lo Stella, in effetti, identifica le due chiese, fornendo argomentazioni per un eventuale cambio di nome o per una diversa dislocazione delle stesse, anche se vicine, nello spazio a est dell'antica Piazza di Prato, l'attuale Piazza Matteotti.135

131 A. Degli Effetti. Memorie di S. Nonnoso Abbate del Soratte..., cit. 132 Egidio Da Cesarò. L'Effimeri per il Glorioso Martirio di SS. Marciano e Gioanni..., cit. 133 Cod. Vat. Lat. 7371, cit., c. 286v: "... eran sparse per il pavimento odorose verdure di lauro,

e serpulli [erba odorosa: Calonghi. Dizionario latino italiano, v. serpullum, serpyllum], e mir-to...

134 Così è denominata nel Cod. Borg. Lat. 179, 65r. 135 La problematica legata alle chiese di Santa Maria de Communi e di San Francesco è stata

ampiamente trattata da P. Rossi (op. cit., p. 42), alla quale si rimanda anche per la bibliografia relativa.

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In merito poi all'indulgenza lucrata dai presenti allo scoprimento delle reliquie dei santi o da lucrare in seguito, lo Stella la fa coincidere con "il giorno dell'Anniversario di questa festa", calcolando gli otto giorni dal 18 ottobre e collocando la data al 25 ottobre, da lui ritenuto l'ultimo giorno delle celebrazioni.136 Dalla relazione, invece, risulta che il giorno considerato utile per fruire dell'indulgenza era il 20 ottobre, giorno della messa solenne, la quale si era svolta, per l'appunto, di domenica.137

L'abate, inoltre, dimostra di avere di fronte l'instrumento della sistemazione definitiva delle reliquie, dichiarando che lo stesso fu rogato dal sopraddetto notaro, riferendosi al più volte ricordato iudex Placentinus.

Il testo tramandato da Benedetto Stella si conclude con l'elencazione dei miracoli già menzionati, tralasciando il lungo panegirico posto al termine della Relazione. In tal modo, il dotto prelato tende a storicizzare la Vita dei santi martiri, escludendo le parti prettamente agiografiche e privilegiando gli aspetti maggiormente oggettivi.

La concessione di "nundinae" (1485)

Il ritrovamento delle reliquie del 1230 aveva di fatto consolidato il culto dei santi Mar-ciano e Giovanni, assicurandone la perpetua memoria. La città, ormai, era partecipe del glorioso deposito e tracce della relativa devozione si riscontrano anche in ambiti prevalen-temente sociali e politici.

Nel 1485, infatti, per interessamento di Rodrigo Borgia, governatore di Civita Castel-lana e vescovo di Porto,138 viene concessa, con lettera ai Conservatori e alla comunità, la fiera libera da ogni tassa, per otto giorni l'anno, in festo Sanctorum Iohannis et Martiani.139

La libera attuazione delle fiere civitoniche era ricordata in un'epigrafe posta, alla fine del '600, sulla fronte del Palazzo della Comunità, in Piazza de' Prati. L'iscrizione, oggi irreperibile, faceva riferimento ai privilegi concessi nel 1435 e 1490, ed è ricordata in una testimonianza del 1759.140

136 Con tale data, 25 ottobre, concorda il Pechinoli (F. Pechinoli. Dell'Istoria di Civita Castel-

lana composta per Francesco Pechinolo, B.A.V., Cod. Capponiani 109): "... publicorono la Fiera franca la quale cominciando alli 25 d'ottobre, nel quale giorno si celebrava anche la Traslazione de' SS. Giovanni e Marziano...". Il Pechinoli la definisce 'Traslazione', mentre la relazione del 1230 è detta in festo eductionis sive revelationis.

137 Cod. Borg. Lat. 179, cit., c. 72: "Et ex inde [20 ottobre, giorno della Messa Solenne] sem-per in anniversario venturo, duplicatorum quadraginta dierum remissionis peccatorum munera sunt largiti.".

138 Durante il governatorato civitonico di Rodrigo Borgia, futuro papa Alessandro VI, erano stati realizzati, per la cattedrale, due altari di marmo, recanti entrambi lo stemma borgiano. In uno di questi, una volta sul presbiterio e oggi nella cripta, venivano conservate le reliquie dei santi Marciano e Giovanni lasciate fuori dall'altare maggiore per essere esposte nelle festività. Sullo stesso altare compaiono, in altorilievo, le immagini degli stessi patroni, le più antiche allo stato attuale delle ricerche.

Per la problematica relativa agli altari citati cfr. Luigi Cimarra. "Artisti ed opere d'arte a Civi-ta Castellana nei secoli XV-XVI", Biblioteca e Società, a.XII, 1993, 1-2, p. 20-26.

139 A.S.V., Cam. Ap. Div. Cam., t. 44, c. 166r. 140 [Furietto], Civitatis Castellanae, et Hortanae Praecedentiae, Typis Bernabò, 1759,

20.4.1758, n. 3. La data del 1435, comunque, suscita qualche perplessità, in quanto potrebbe essere stata mal letta quella reale del 1485, coincidente con il documento in trattazione.

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ALTRE TESTIMONIANZE DEL XVI SECOLO

I documenti del XVI secolo riferibili al culto dei santi Marciano e Giovanni sono nu-merosi, ma tutti riferibili a precise tipologie archivistiche. La più consueta citazione è quella contenuta nelle visite apostoliche, durante le quali i prelati incaricati dimostrano attenzione per la memoria dei i santi patroni: il 21 febbraio del 1571, ad esempio, viene ricordata la custodia marmorea delle loro reliquie.141

Memoria dei santi in esame resta, poi, nell'onomastica locale e periferica, dalla quale traspare un uso costante, anche se non dovizioso, dei nomi Marciano e Giovanni.142 Prova ne sia un documento del 1584, emesso a Gallese ma riferibile a un abitante di Borghetto di San Leonardo, la frazione del comune di Civita Castellana posta lungo la Via Flaminia, a ridosso del fiume Tevere.143

Nel 1566, poi, vengono stampati a Roma gli Statuti et Reformanze della Communità di Civita Castellana,144 nei quali le citazioni riferibili ai santi in esame denotano una fervida devozione nei riguardi degli stessi patroni. Nel Proemio, subito dopo la dedica alla Vergi-ne Maria e ai santi apostoli Pietro e Paolo, sono citati i santi martiri Marciano e Giovan-ni.145 Nello stesso testo compare che la disputa del Palio avveniva nel mese di settembre in concomitanza con la festa dei santi protettori: un'occasione per rendere loro particolar-mente onore.146 La pena di libre otto de provisini era, invece, comminata a chi avesse be-stemmiato li Gloriosi Martiri Santo Ioanni et Martiano della nostra città advocati et sin-golari protetori. Tale pena era di gran lunga superiore a quella inflitta a chi avesse be-stemmiato il nome di altri santi, anche se pur sempre inferiore alla bestemmia rivolta ver-so Dio, Gesù Cristo o la Vergine Maria.147 Il giorno della festa delli beati et gloriosi Mar-tiri Ioanni et santo Martiano del mese di settembre era annoverato tra le feste da guarda-re.148

141 A.S.V., S. Congr. Concilii Visit. Ap. 3, c. 5: "Visitavit ecclesiam Sanctae Mariae cathedra-

lem dictae Civitatis... Iussit altaria demoliri in quibus ascenditur ad tabernaculo ubi recondun-tur reliquiae Sanctorum Ioannis et Marciani..."

142 L'onomastica legata ai santi patroni civitonici è stata trattata da Luigi Cimarra in: "Marcia-no e Giovanni o Giovanni e Marciano? Ovvero ufficialità e quotidianità nell'uso dei nomi dei santi patroni. Note di onomastica", L'informatore civitonico, n. 2, settembre-ottobre 1996, p. 1, 6-7.

143 A.S.C.G. (Archivio Storico Comunale di Gallese), Libro delli Bollettini del Esito, 28 (1580-1600), c.56r., 29.1.1584: "A Mr. Marciano d'Antonio Marciani del Borghetto di San Leonardo... per grano che egli ha venduto alla nostra comunità... s. 104".

144 Cfr. L .Cimarra. "L'utilizzazione delle risorse idriche negli statuti comunali di Civita Ca-stellana, di Gallese e di Magliano Sabina", in Atti delle Giornate di studio per la storia della Tuscia. III. Gli statuti della Teverina come fonti per la storia economica e sociale. Orte 4 set-tembre 1988, [1993], p.119-147.

145 Statuti et reformanze della Communità di Civita Castellana, In Roma appresso gli Heredi di Valerio, & Luigi Dorici Fratelli, 1566, Proemio.

146 Statuti..., cit., Offici, cap. 40. 147 Statuti…, cit., Libro de malefici, cap. 11. 148 Statuti..., cit., Libro de Malefici, cap.13.

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TESTI E DOCUMENTI DEL XVII SECOLO

Ai manoscritti secenteschi precedentemente citati si affiancano, nello stesso secolo, al-cuni testi a stampa riferibili ai santi Marciano e Giovanni. La tipologia degli scritti è varia e dipende, principalmente, dagli scopi celebrativi posti alla base delle opere.

Il libro di Giuditta Luti, già ricordato,149 intendeva esaltare il ruolo avuto dal Monastero di Santa Bonda nelle vicende relative ai santi Abbondio e Abbondanzio e solo indiretta-mente citava i santi patroni civitonici.

Allo stesso modo, solo marginalmente compaio-no i santi Marciano e Giovanni nel testo compilato da don Francesco Roghi nel 1638,150 in quanto lo stesso riporta la sola passio e, nel ricordare la tran-slatio dei santi Abbondio e Abbondanzio, cita appe-na i santi civitonici.

Maggior gloria ebbero questi ultimi nello scritto L'Effemeri, già ricordato e redatto da fra Egidio de Cesarò, minore conventuale siciliano.151 Il testo, cor-redato da una pregevole immagine a stampa dei san-ti civitonici (Fig. 9), ripercorre i punti salienti delle passiones ricordate152 inserendo nella trama precise, e talvolta originali, considerazioni storiche e topo-grafiche.153 L'autore, ad esempio, fissa al 20 novem-bre dell'anno 1000 la traslazione dei santi Marciano e Giovanni da Rignano alla chiesa di Sant’Ippolito a Civita Castellana, e afferma chiaramente che il suc-cessivo spostamento avvenne il 13 gennaio del 1001154 con destinazione la chiesa cattedrale. In rap-

porto a questo evento, asserisce che nella stessa chie-sa "si ritrovava pure il capo di San Florentio vescovo,

e martire" ritenuto di origine veientana. Egidio de Cesarò, inoltre, identifica nel giudice

149 Nota 73. 150 Roghi Don Francesco [Fuligatti (Jac.)]. Martirio delli Santi Abondio prete, Abondantio

diacono, Marciano e Giovanni suo figliolo cavato da tre codici antichissimi manuscritti. Tra-dotto e volgarizato dal Rever. don Francesco Roghi. In Roma, appresso Francesco Cavalli, 1638.

151 Egidio Da Cesarò. L'Effemeri..., cit. 152 L'autore pone la data del martirio dei santi al 16 settembre dell'anno 284. 153 Un testo con lo stesso titolo dell'opera in esame (L'Effemeri) è citato e ritenuto degno di fe-

de in una Relazione del 1749, della quale tratteremo in seguito. La memoria è ripresa dal Cardinali (I santi Marciano e Giovanni..., cit., p. 12, n. 1), che dichiara di non aver conosciu-to l`"antica Istoria, intitolata Effemeri", e da M. Mastrocola, il quale cita l'esatto titolo dello scritto di Egidio da Cesarò ma non lo collega con gli Effemeri di cui alla Relazione del 1749.

154 Resta difficile comprendere come Egidio da Cesarò affermi in seguito che i santi protettori civitonici entrarono per la prima volta nella cattedrale nel 999 (op. cit., p. 66). Si ripete, anche per l'autore in trattazione, la dissonanza tra notizie all'interno dello stesso scritto; la cosa, ad esempio, era già stata notata nel ms. dell'abate Stella.

Fig. 9. I santi Giovanni e Marciano.

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piacentino l'autore della relazione attinente la inventio del 1230 e ricorda i molti miracoli avvenuti per intercessione dei santi patroni. In tale contesto si premura di aggiungere ai prodigi già registrati dalle fonti, due eventi miracolosi accorsi ai suoi tempi: la guarigione, nel 1658, del vescovo di Civita Castellana Taddeo Altini e la riconquista miracolosa della salute, nel 1664, da parte del medico di Poli dottor Egidio Giubilei. Interessante è, infine, la cura che l'autore pone nel ricordare usanze e tradizioni civitoniche. Riporta, ad esempio, l'abitudine, nella vigilia della festa dei santi Marciano e Giovanni, di far uscire le reliquie dalla porta destra della cattedrale e di farle rientrare nell'altra di sinistra.

Nello stesso secolo, nel 1631, viene compilata la prima importante opera drammatica dedicata alla vicenda dei santi patroni civitonici.155 Autore del testo fu Ottavio Tronsarelli, poeta romano, originario di una famiglia gallesina.156 Le musiche furono composte da Domenico Mazzocchi, nato a Civita Castellana, uno dei più famosi compositori della Scuola Romana;157 il dramma venne rappresentato a Civita Castellana il 16 settembre, giorno delle festività dei santi patroni.

L'opera, che contiene anche una stampa riproducente i santi patroni (Fig. 10) fu dedi-cata dal Mazzocchi al nobile Paolo Borghese, principe di Rossano, e alla di lui consorte. Il dramma, che si svolge inizialmente nei piani di Lubra, segue la vicenda descritta nella passio e presenta i personaggi in essa contenuti cui l'autore aggiunge, a fini scenici, le Fu-rie, un angelo e alcuni ballerini. La traccia musicale è ga-rantita dai cori dei soldati, dei demoni e dei cristiani.158

A questi testi del XVII secolo, dedicati in modo speci-fico ai patroni civitonici, si sommano, nello stesso periodo, opere di sintesi contenenti no-tizie riferibili agli stessi santi. Tra queste, degne di particolare menzione sono il testo di Antonio Bosio, Roma sotterranea,159 e gli Acta Sanctorum Ordinis S. Benedicti.160 Il pri-mo, dopo aver trattato della sepoltura dei martiri lungo la Via Flaminia, riferisce della loro inventio ai tempi di Ottone III e delle successive translationes. Nel secondo scritto preva-

155 Ottavio Tronsarelli. Il martirio De' Santi Abundio Prete, Abundantio Diacono, Marciano, E

Giovanni Suo Figliuolo Cavalieri Romani. Dramma del sig. Ottavio Tronsarelli Posto in Mu-sica da Domenico Mazzocchi, Et in Civita Castellana li 16 di Settembre giorno festivo di que-sti Santi rappresentato. In Roma Appresso Lodovico Grignani, 1641.

156 Nacque a Roma sul finire del XVI secolo. Giureconsulto e filosofo, fu poeta di fama ed è annoverato tra i soci fondatori dell'Accademia degli Sterili. Morì a Roma nel 1641.

157 Compositore e teorico, nacque a Civita Castellana nel 1592. Stimato musicista, frequentò le corti del tempo (Farnese, Aldobrandini, Barberini, Borghese, Pamphili) e si interessò anche di storia locale. A tal fine scrisse il Veio difeso (Roma, 1646), opera tesa a dimostrare che Civita Castellana fosse stata l'antica Veio. Cittadino romano dal 1641, morì nel 1655 (Cfr. A. Ciar-rocchi. "Contributo alla conoscenza di un musicista del '600", Biblioteca e Società, a. XIII, 2, 30.6.1994, p. 7-11).

158 Dopo questa opera, la letteratura drammatica legata ai santi Marciano e Giovanni si arricchì nel 1835 di una tragedia scritta dal canonico Giovanni Cancilla (I Santi Marciano e Giovanni protettori di Civita Castellana. Tragedia del Canonico Giovanni Cancilla, Terni, Tipografia Possenti, 1835) e nel 1903 di un dramma manoscritto composto da D. Guglielmo Orazi, vica-rio parroco della Cattedrale di Civita Castellana (I Martiri Marciano e Giovanni. Dramma manoscritto di D. Guglielmo Orazi, Vicario Parroco della Cattedrale, 1903).

159 [Bosio, Antonio]. Roma sotterranea..., [Roma, Facciotti, 1632]. 160 [Lucas D'achery e Iohannes Mabillon]. Acta Sanctorum Ordinis S. Benedicti, Paris, 1668-

1701.

Fig. 10.

Fig. 10.

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le, invece, la narrazione relativa alla vicenda di Sant'Adalberto e, nello stesso ambito, vie-ne trattata anche la tematica relativa ai santi Abbondio e Abbondanzio.

Il 31 agosto 1700, durante il pontificato di Innocenzo XII (1691-1700), si verificò a Civita Castellana il furto della cassa nella quale erano racchiuse le "ossa sacrate delli SS. Protettori".161 La notizia si riferisce alla criminosa asportazione dello scriniolo d'argento nominato durante l'inventio del 1230 e conservato in un apposito spazio tra le due tribune del coro. Tale reperto doveva essere veramente prezioso, se in un documento conservato nell'Archivio diocesano di Civita Castellana si afferma che avesse "le figure smaltate de SS. Martiri Marciano e Giovanni, et in mezzo la infigura tonda dell'Agnello Pasquale".162

Il grave ladrocinio fu scoperto soltanto il 15 settembre dello stesso anno, vigilia della festa dei santi patroni e il giorno appresso furono assicurati alla giustizia "due disgraziati che, dietro fondati indizi, furono carcerati nel nostro Forte il giorno 16 settembre", secon-do quanto riportato dal Cardinali. Quest'ultimo, però, non cita ("per ragioni speciali") gli autori del furto i quali possono essere noti anche attraverso un documento giudiziario del-l'epoca.163

Dell'azione delittuosa non poteva essere all'oscuro, secondo l'accusa, "un frate, di cui per degni rispetti si tace il nome e la religione, il quale teneva le chiavi del luogo nel quale erano le sagrate reliquie delli Santi Protettori... in una cassa tutta guarnita d'argento". Nel furto, poi, stando a quanto riportato nel documento della Biblioteca Apostolica Vaticana, fu coinvolto il romano Giovan Pietro Magnani, canonico "di San Celso, e Giuliano in Banchi", trasferitosi a Civita Castellana dove "aveva alcuni pochi effetti, per esimersi ivi dalla spesa di Roma".

Non conoscendosi l'autore del ladrocinio, infatti, "fu catturato il detto frate, e con esso il... Magnani, e la di lui sorella zitella, e matregna, e ciò con il solo motivo della stretta amicizia che passava tra essi e il detto frate".

La carcerazione durò per tutti "molti anni", ma la sorella e la matrigna del Magnani non fornirono alcun elemento utile all'inchiesta, "essendo innocenti". Il frate, invece, "mi-nacciato dalli tormenti... confessò il tutto" e venne, pertanto, condannato al carcere a vita. In galera rimase anche il Magnani, ma la sua detenzione durò sino alla salita al soglio pon-tificio di Clemente XI [1700-1721], il quale, essendo "amico dei virtuosi e particolarmen-te del detto canonico Magnani, che tale era al pari di ogni altro", lo fece trasferire in un carcere romano, dove rimase alcuni anni, divenendone anche Maestro di casa.

Dopo un terremoto avvertito nel luogo di detenzione, il Magnani inviò "una inedita e nobile compositione al Pontefice", improntata alla richiesta di misericordia; grazie alla quale ottenne la conversione del carcere in esilio fuori Roma. Scelse, allora, di stabilirsi nel giardino dei Giustiniani, fuori di Porta del Popolo, ove fondò un'Accademia.

Giovan Pietro Magnani, "huomo di grande ingegno, versato nelle erudizioni, di qualsi-voglia genere", morì poco prima di essere completamente riabilitato dal Pontefice. Della

161 La cronaca del furto può essere letta in A. Cardinali (op.cit., p. 25-29), il quale la trasse da

"un grosso volume di p. 816 con il titolo: Civitatis Castellanae furti capsulae argentae cum reliquiis Ss. Martyr. Marciani et Joannis ab Eccl. Cathedrali. Vedi Archivio della Cancelle-ria Vescovile".

162 ADCC, Serie A, 1bis, 8 agosto 1705. 163 BAV, Cod.Urb.Lat.1654 [Giustitie fatte eseguire nel Pontificato di Alessandro VIII, sia

morte, successi e giustitie fatte nel tempo della Sede Vacante et elettione al Pontificato di Pa-pa Innocenzo XII].

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cassetta rubata non si ebbero notizie sino al 22 aprile del 1701, durante una visita del ve-scovo di Civita Castellana, Simon Paolo Aleotti, a Vasanello.

Il prelato, durante la messa celebrata nella Chiesa di Santa Maria, davanti all'altare di San Lanno, aveva invocato "il patrocinio" del santo al fine di ritrovare le sacre reliquie a-sportate dalla cattedrale di Civita Castellana. Recatosi a desinare nel castello di Vasanello, ricevette dal suo cameriere una lettera nella quale veniva preannunciata l'urgente visita di un eremita. Quest'ultimo, appena entrato, mostrò al vescovo un involto contenente "le tan-to ricercate reliquie dei SS. Marciano e Giovanni".164

Il monaco autore del ritrovamento era fra Giacomo Fiorini, eremita della Madonna del-le Piagge, una chiesa rurale di Civita Castellana, nelle cui vicinanze, il 15 aprile 1701, fu-rono rinvenute le reliquie. Parte di queste, dopo le ricognizioni del 21 e del 28 maggio 1701, furono poi concesse a Vasanello.165

Dopo tale furto, l'urna fu sostituita da un altro contenitore di vetro, con montatura in argento. Al centro del coperchio compaiono due puttini alati che sostengono la corona del martirio; agli angoli, teste di cherubini. In un cartiglio, apposto nella parte inferiore del-l'urna, si legge la seguente iscrizione: EX PRIOR. ELEMOSINIS IN HONOREM/ SANCTORUM MAR-

TYRUM MARCIANI ET JOANNIS/ VEIORUM PROTECTOR. SIMONE/ PAULO ALEOTTO EPISCOPO/ 1701.166

LA STORIOGRAFIA DEL XVIII SECOLO

Nel XVIII secolo, al culto dei santi Marciano e Giovanni fu riservata una particolare attenzione, sia in studi di carattere generale, tendenti alla sistemazione della tradizione a-giografica, sia in opere specifiche, riservate al culto dei protettori civitonici. Tra le opere di sintesi, nel 1717, fu edita la già citata Italia Sacra, dell'Ughelli,167 nella quale l'autore, trattando del vescovo Crescenziano, fa preciso riferimento alla Passio edita nel 1584, ma pone l'inventio al 998, perpetuando la problematica relativa all'esatta datazione del ritro-vamento.

Due anni dopo, nel 1719 è Carlo Bartolomeo Piazza a interessarsi dei santi Marciano e Giovanni in un'opera tesa a esaltare la città di Roma.168 Dopo le notizie più significative tramandate dalle passiones, l'autore afferma che i civitonici conservano le sacre reliquie in

164 Dell'epilogo della vicenda si ha notizia anche in: A.P.V. (Archivio Parrocchiale Vasanello),

Libro delle Cresime 1692-1715 e in Avvenire, 9 novembre 1997, redazionale. 165 Le due ricognizioni avevano stabilito l'originalità delle reliquie rinvenute e la loro rispon-

denza con quelle dei santi martiri civitonici. "La Sacra Congregazione dei Riti", inoltre, con "Decreto del 16 Luglio 1701", aveva concesso "di poter nuovamente esporre alla venerazione le reliquie dei Santi Martiri Marciano e Giovanni" (A. Cardinali, op.cit., p. 28-29).

166 Cfr. SBAS, Scheda 101, S. Melograni, 1930 circa. Il vescovo Aleotti morì il 30 settembre del 1704 ed è sepolto davanti all'ara dei santi martiri, vicino alla sacrestia (Serie dei vescovi di Orte, Civita Castellana e Gallese, 1889). Nel 1705 fu proposto di ospitare la pregevole urna nell'altare in pietra con le figure dei santi Marciano e Giovanni, giungendo al punto di propor-re di "secarli, o diminuirli per luogo decente della sopraddetta cassetta" (ADCC, Serie A, 1bis).

167 F. Ughelli. Italia Sacra, Venezia, Coleti, 1717, I, col.597. 168 C. B. Piazza. Emerologio di Roma Cristiana, Ecclesiastica e Gentile..., In Roma, nella

Stamperia del Bernabò, t.II, 1719, p.586.

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preziosi depositi nella lor chiesa catedrale. Come notizia inedita cita poi un miracolo, av-venuto durante la traslazione, di un fulmine che, caduto sopra i sacri Pegni, non fece loro verun nocumento. A tal proposito riporta un breve componimento poetico dell'avvocato Filippo Puppi.169

L'anno successivo, 1720, è Marc'Antonio Boldetti ad affrontare il problema della se-poltura e traslazione dei santi in esame, con la maggior competenza conferitagli dall'ac-corto esame condotto sui cimiteri cristiani romani. L'illustre estensore, dopo aver collocato nell'anno 1001 il ritrovamento dei corpi dei santi da parte dell'Imperatore Ottone III, iden-tifica durante una diretta ispezione il luogo della sepoltura con la Chiesa di Santa Teodora. È interessante l'ipotesi avanzata dallo storico che il cimitero potesse essere composto da gallerie sovrapposte, cosa che avvalorerebbe la tesi secondo cui Crescenziano rinvenne i corpi dei santi Marciano e Giovanni scavando a un livello inferiore di quello in cui furono rinvenuti i resti dei santi Abbondio e Abbondanzio. Che il luogo fosse importante e denso di ricordi è provato dal rinvenimento in esso di antiche pitture.170

Altri autori affrontano nelle loro sintesi storiche le tematiche relative ai santi civitonici, con diverse accezioni, ma senza aggiungere nulla a quanto già si sapesse.171 Nello stesso secolo XVIII, però, compaiono alcuni testi destinati a esaltare il culto dei santi Marciano e Giovanni, scritti di diversa tipologia. Il primo, redatto da Marco Midossi nel 1736, riporta gli Atti del martirio dei santi civitonici ed è dedicato a mons. Tenderini.172 Il secondo, un volumetto del 1749 edito dai Padri Conventuali di Civita Castellana, descrive con minuzia di particolari l'invenzione dei corpi dei santi Marciano e Giovanni, avvenuta il 27 giugno dello stesso anno per ordine di mons. Sante Lanucci, vescovo della città.173

La relazione è molto importante, dato che definisce compiutamente l'Altare Maggiore prima delle modifiche fatte apportare dallo stesso prelato. Narra che l'Altare faceva faccia al Coro, sopra la Chiesa sotterranea, era di piccola mole, ricoperto di lastre marmoree e lavorato alla gotica. Il nuovo altare, invece, doveva essere di marmo mischio, con orna-menti di metallo dorati.

169 Dum tonat, & picens cubris micat ignibus Aether. Omnipotens dextra flammea tela rotat. Haec sacra Divorum petierunt busta; sed absit, Haec superis potuit flamma nocere suis. Scilicet haud hausit vulcanus loedere flamma, Quos numquam impuro leserat igne venus. Reliquis ignis, civis non dextra pepercit; Quae deerat civi mansit in igna Fides. 170 [Boldetti Marc'Antonio]. Osservazioni sopra i Cimiterj de' Santi Martiri, ed antichi cristia-

ni di Roma, aggiuntavi la serie di tutti quelli che al presente si sono scoperti e di altri simili che in varie parti del mondo si trovano, con riflessioni pratiche sopra il culto delle sacre Re-liquie, Lib.I, In Roma, Presso Gio: Maria Salvioni Stampatore Vaticano nell'Archiginnasio della Sapienza, MDCCXX.

171 Le Naine De Tillemont. Memoires pour servir à l'histoire ecclesiastique des six premiers siècle, A Venise, Chez Francois Pitteri, 1732, t.5, p.119.

172 M. Midossi. Atti del martirio dei SS. Martiri Marciano e Giovanni, dedicati a Mons. Ten-derini, Roma, Stamperia Rosati e Borgiani, 1736.

173 Relazione dell'invenzione de' corpi de' Santi Marciano e Giovanni, Protettori di Civita Ca-stellana, (pp. Conventuali di Civita Castellana), in Ronciglione, nella stamperia di Clemente Mordacchini, 1749.

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Nella data sopra citata, il vescovo, accompagnato dal vicario generale, da due canonici della cattedrale, dallo scalpellino mastro Stefano Tuia e dal muratore mastro Bernardino Vincenti, si accostò all'altare indicato e ne fece ispezionare l'interno. Sotto la sacra mensa, protetto da lastre di pietra e terracotta, si rinvenne un piccolo vaso di vetro coperto da una foglia di piombo. All'interno, coperte da tela di seta e definite da piccole strisce di perga-mena a caratteri gotici, erano collocate alcune reliquie, tra le quali quelle dei santi Marcia-no e Giovanni.174

Il prelato fece di nuovo sistemare l'altare ma non rimase convinto dell'ispezione, sup-ponendo la presenza di altre reliquie riferibili ai santi titolari. Il 5 luglio dello stesso anno, pertanto, smantellato completamente l'altare, si rinvenne un'antica cassetta segnata dal tempo trascorso;175 dentro fu trovata un'altra cassetta più piccola, dipinta esteriormente di rosso e arabescata da grotteschi gialli.176 Il contenitore presentava la serratura rotta e, per-tanto, fu agevole aprirlo: all'interno si trovò ripiena delle Sante Ossa de' due Gloriosi Martiri Protettori. Sotto il coperchio di legno chiaro era stata tracciata, con inchiostro ne-ro, un'iscrizione, quella relativa all'ispezione del 1230.177

La cassetta, chiusa con cinque nuovi sigilli, fu posta sotto l'altare della Beata Vergine della Luce e per più giorni una moltitudine di fedeli si recò a visitare le sante reliquie, cosa che permetteva di ottenere, secondo le intenzioni del vescovo, quaranta giorni di indul-genza.178 La relazione si conclude affermando che nell'antico repositorio sotterraneo il vescovo Lanucci fece collocare un'iscrizione a ricordo dei fatti accaduti.179

174 Le altre erano di santa Maria Maddalena, di san Costantino martire e di santa Felicita. In-

sieme a queste fu rinvenuto un involto di tela bianca con altre reliquie, ma senza l'indicazione del nome del santo. Accanto, nello stesso vano, erano posti cinque grani d'incenso o mirra, te-stimoni della consacrazione dell'altare.

175 L'estensore della relazione avanza l'ipotesi che la cassetta ritrovata sia quella della prima translatio, dato che il Vescovo Pietro, nel 1230, avrebbe riposto le sacre reliquie nello stesso contenitore nel quale le aveva rinvenute.

176 La cassetta del Sacro Deposito è di "longhezza due palmi e mezzo, di larghezza uno e mez-zo, di altezza uno e once dieci".

177 L'iscrizione è riportata in: A. Cardinali, op.cit., p.17. 178 La cassetta fu di nuovo ispezionata il 18 novembre 1856, durante la II Visita Pastorale di

Mons. Mattia Mengacci, vescovo di Civita Castellana. In tale occasione il contenitore origina-rio fu diviso in sette parti nelle quali furono separati i sacri resti secondo una precisa tipolo-gia: reliquie di san Marciano, reliquie di san Giovanni, terra, frammenti di ossa in due distinti vani, avena e vetro, orzo, legno e ferro. La cassetta, chiusa con fettuccia rossa e sei sigilli, fu riposta nella cassa di ferro. (ADCC, Visite Mengacci).

179 AD MAIOREM DEI GLORIAM/ IN HOC LOCULO/ AB EPISCOPO CRESCENTIANO/ PRIMUM RECONDITA FUERUNT/ CORPORA/ SS.MARCIANI ET JOANNIS/ MAR-TYRUM/ SAECULO IX. AB EPISCOPO PETRO REVELATA/ ITERUMQUE IN EODEM REPOSITA/ ANNO MCCXXX./ AB EPISCOPO SANCTE LANUCCI/ INVENTA ET TRANSLATA/ ANNO MDCCIL.

L'iscrizione porta la data del 1749 e appare diversa da quella tuttora leggibile nello stesso si-to: A.M.D.G./ CORPORA SS. MARCIANI ET JOANNIS MARTYRUM/ AB EPISCOPO CRESCENTIANO SAECULO IX IN/ LOCULO SUBTERRANEO HIC RECONDITA/ E-PISCOPO PETRO REVELATA ITERUMQUE IN EODEM REPOSITA/ ANNO D. MCCXXX/ AB EPISCOPO SANCTO LANUCCI INVENTA ET TRANSLATA/ ANNO D. MDCCLIII/ INTRA PARTEM INTERIOREM HUIUS ARAE MAXIMAE/ EX PIORUM

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Alcuni anni dopo, negli Acta Sanctorum relativi al 16 settembre fu trattato il culto dei santi martiri Abbondio, Abbondanzio, Marciano e Giovanni.180 Il testo, già citato, fu redat-to dal bollandista Urbano Sticker e rappresentò, per l'epoca, la raccolta più completa delle risultanze storiografiche e documentarie riferibili ai santi in esame.

Gli scritti del XVIII secolo riferibili allo stesso culto si esauriscono con un testo del 1776,181 allo stato attuale non reperibile e, probabilmente, rimasto in forma di manoscritto. Tale Ragguaglio, in ogni modo, apparso dopo gli esaustivi Acta Sanctorum, non avrebbe aggiunto notizie sostanziali, visto lo scarso riscontro riservatogli nelle successive tratta-zioni.

TESTI A STAMPA DEL XIX SECOLO

Per alcuni decenni gli scritti riferibili ai santi civitonici sembrano rarefarsi, per ripren-dere nel 1835 con il testo drammatico redatto dal canonico Giovanni Cancilla e preceden-temente citato.182 Di diverso contenuto è il commento di Victore de Buck, teologo dei ge-suiti, che aggiunse tale studio agli Acta Sanctorum,183 posizionandolo al 20 ottobre, giorno della inventio del 1230. L'autorevole estensore, oltre a riportare il primo diadema già ri-cordato,184 conferma l'anno 1000 come data della prima translatio e colloca al 13 gennaio del 1001 lo spostamento delle reliquie dalla chiesa rupestre di Sant'Ippolito alla cattedrale di Civita Castellana.

Gli studi storici del XIX secolo attinenti il culto dei santi Marciano e Giovanni sono inerenti principalmente l'aspetto archeologico della sepoltura nelle catacombe di Rignano e la successiva collocazione nel duomo civitonico.

Al primo aspetto si ricollega G. B. de Rossi nel testo del 1883, più volte citato e ancora oggi elemento insostituibile per dipanarsi nella problematica relativa alle vicende terrene delle reliquie dei santi in trattazione. Di diverso contenuto sono i cenni apparsi su opere di carattere generale, nei quali prevalgono le considerazioni agiografiche, nel consueto abbi-

ELEEMOSYNIS CONSTRUCTAE/ IN ANTIQUA CAPSULA TEMPORIS EDACITATE/ MIRABILITER CONSERVATA/ REQUIESCUNT.

L'iscrizione, errando, pone la translatio effettuata da Crescenziano al IX secolo. In una scheda della S.B.A.S. di Roma [n.89], redatta probabilmente da Alessio Valle intorno

al 1930, il vescovo coinvolto nella inventio del 1230 viene ritenuto Guglielmo e non Pietro, assegnando al primo la dignità episcopale dal 1217 al 1232: "Io ritengo che il Petrus dell'i-scrizione debba identificarsi con il vescovo terzo di tal nome, che dal 1179 al 1206 occupò questa sede; quello stesso cioè che il 3 marzo 1183 dedicò altari a S. Maria di Falleri... ed in-trodusse nuove reliquie nella cattedrale, come ho potuto ricavare da un avanzo di logora lapi-de...". E' probabile che l'estensore della scheda non conoscesse il documento del 1230 rinve-nuto durante la ricognizione del 1749 e riportato dal Cardinali (op. cit., p. 17, 33). Sulla pro-blematica legata ai vescovi cfr. Mastrocola, op. cit., II, p. 33-37).

180 AA.SS., Septembris, cit. 181 Ragguaglio della prodigiosa conversione, martirio e miracoli delli gloriosi martiri Mar-

ciano e Giovanni, protettori principali di Civita Castellana, Roma, 1776. 182 I Santi Marciano e Giovanni protettori di Civita Castellana, cit. 183 AA.SS., Octobris, cit., p. 831-832. 184 AA.SS., Octobris, cit., p.832.

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namento dei patroni civitonici con i santi Abbondio e Abbondanzio, oppure in collega-mento con le vicende di Sant'Adalberto.185

In ambito locale resta da segnalare il panegirico tenuto dal padre Giuseppe Trambusti nella terza domenica di Quaresima del 1872, il quale, pur rientrando nelle trattazioni agio-grafiche, lascia trasparire la considerazione in cui erano tenuti i santi patroni anche nella seconda metà dell'Ottocento.186

Il secolo XIX, infine, si chiudeva con le conferme di carattere storiografico contenute nella Bibliotheca Hagiographica Latina, la quale consolidava i pochi riscontri oggettivi riferibili ai santi civitonici.187

CONSIDERAZIONI FINALI

I testi comparsi nel XX secolo, oltre a quelli più volte citati, risultano in prevalenza re-datti da autori appartenenti al mondo ecclesiastico,188 o compresi in opere di carattere ge-nerale.189

Alcuni opuscoli composti in occasione di feste patronali hanno avuto, infine, il merito di celebrare con fede il ricordo dei santi Marciano e Giovanni.190 Gli aspetti agiografici del culto, che hanno trovato riscontro nella produzione letteraria e storiografica oggetto della presente ricerca, hanno lasciato, poi, tracce consistenti nella tradizione orale e nell'icono-grafia relativa.

185 Barbier De Montault. Oeuvr.compl. (1894), IX, 376-9; Von Subregens Kolberg, “Das Lobge-

dicht auf den heiligen Adalbert”, in Zeitschrift fur die Geschichte und Alterthumskunde Erm-lands, Iahrgang, VII (1881), 375-598.

186 Imperitura sia la memoria in Civita Castellana del P. Giuseppe Trambusti Romano dei CC. RR. Ministri degli Infermi ornamento e decoro, il quale eletto banditore della Santa Parola, per la quaresima del MDCCCLXXII nella Domenica III ai gloriosi eroi della fede, Marciano e Gio-vanni della detta città principali progenitori, questa splendidissima apoteosi intesseva, il Muni-cipio e il popolo onorandosi di consegnarla alle stampe, a suggello di stima e di riconoscenza, al genio sublime del sagro oratore, la dedicavano. Civita Castellana, Pietro del Frate, 1872, 18 p., 8°

187 [BHL] Bibliotheca Hagiografica Latina. Antiquae et Mediae Aetatis, Ediderunt Socii Bollan-diani, A-I, Bruxelles, Société des Bollandistes, 1898-1899. - (1899), 657, 782. (1898), 4. BHL supplem. p. 2-3, n.1 6 b.

188 Cenni storici sul glorioso martirio dei SS. Marciano e Giovanni nel XVI centenario della loro morte. Roma, tip. Artigianelli S. Giuseppe, 1903; I Martiri Marciano e Giovanni. Dramma manoscritto di D. Guglielmo Orazi, Vicario Parroco della Cattedrale, 1903; Cardi-nali, Antonio. I santi Marciano e Giovanni, cit.

189 A. Dufourcq. Etude sur les Gesta Martyrum Romains, Paris, 1900. A. Poncelet. Catalogus co-dicum hagiographic. latinor. Bibliothecar. Romanor. praeterquam Vaticanae, Bruxelles, 1909, p. 91/64, 129, 282/17, 283, 428, 429. Delehaye - Hippolyte. Les origines du culte des Martyrs, (XII ed.), Bruxelles, Societé des Bollandistes, 1933; Propylaeum ad Acta Sanctorum. Decembris (Ediderunt H. Delehaye, P.P.M. Coens, B. De Gaiffier, - P. Grosjean, - F. Halkin). Martyrolo-gium Romanum ad formam editionis typicae Scholiis Historicis instructum, Bruxellis, 1940.

190 Numero unici in occasione delle feste patronali di Civita Castellana:1954; 1955, n. 1; 1956, n. 3; 1957, n. 4; 1963; 1968; 1969; 1955-1969.

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A questi spazi di ricerca, ancora poco sondati, si affiancano i molti documenti di carat-tere liturgico e cultuale sparsi negli archivi ecclesiastici, fonti insostituibili per ricostruire vicende che, proprio nel momento in cui sembrano accostarsi alla storia, conservano intat-to il loro richiamo fatto di valori immutabili e di "echi celesti".

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BARBARA GIORDANI

I santi Marciano e Giovanni: fonti letterarie e archeologiche

La storia del martire Marciano e del figlio Giovanni1 ci è nota attraverso numerosi codici tramandati attraverso due versioni degli Acta SS. Abundii et Abundantii: la pri-ma ad opera dei bollandisti che ripresero un manoscritto del quale si ignora l'età e che faceva avvenire il martirio il giorno 28 agosto;2 la seconda attribuita a Fulvio Cardulo, gesuita, che scrisse (al tempo di Gregorio XIII) in occasione della traslazione dei corpi dei santi Abbondio e Abbondanzio dalla chiesa dei santi Cosma e Damiano alla chiesa del Gesù.3 Il Cardulo, per la sua redazione, riprese la lezione dei manoscritti di Rigna-no e di Siena, e di un passionario della Basilica Liberiana, ponendo il martirio in data 16 settembre.4

La passio narra di un gruppo di 23 cristiani, arrestati in casa di una matrona romana, Teodora, poi decapitati il giorno 5 agosto sulla Via Salaria Vecchia e sepolti "in crypta in clivio Cucumeris". Di questo gruppo facevano parte il prete Abbondio e il diacono Abbondanzio, che furono condotti lungo la Via Flaminia, dove li raggiunse Marciano con il corpo senza vita del figlio Giovanni, pregando Abbondio di resuscitarlo.5 Avve-nuto il miracolo, tutti e quattro furono decapitati lungo la Via Flaminia al X miglio e deposti, sempre sulla Via Flaminia, al XXVIII miglio, dopo che Teodora, con l'aiuto del presbitero Giovanni,6 ne raccolse i corpi.7

Il cimitero paleocristiano di Rignano Flaminio si trova in realtà al XXVI miglio, per cui l'indicazione riportata dalla passio dovrà intendersi come un errore dei copisti.8

La passio dei santi Abbondio e Abbondanzio è ambientata al tempo di Diocleziano in un anno non meglio precisato: riporta una sedizione promossa dai sacerdoti pagani contro i cristiani che provocò l'intervento imperiale. Anche gli atti di san Sabino d'As-sisi narrano con minuziosa particolarità questa sedizione, cosa che non riscontriamo negli Acta Sanctii Abundii et Abundantii.9 In quest'ultima, inoltre, è lo stesso Diocle-ziano a interrogare i due martiri, prima che questi venissero condannati alla decapita-zione.

1 Nel racconto della passio il figlio di Marciano è anonimo, e solo dal medioevo sarà noto con

il nome di Giovanni. 2 AA.SS. (1866), p. 293-301. 3 Cardulo (1584). 4 De Rossi (1883), p.134-135. 5 Ibid., p. 156-157. 6 La figura del presbitero Giovanni compare anche in altri racconti agiografici solitamente co-

me seppellitore. 7 Secondo il racconto, il terreno era di proprietà della stessa Teodora. 8 De Rossi (1883), p. 135; Fiocchi Nicolai (1988), p. 330. 9 De Rossi (1883), p.156.

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L'interrogatorio in prima persona dell'imperatore è un elemento comune riscontrabi-le anche in altre passiones; come pure l'ambientazione dell'interrogatorio in tellude in foro ante templum, verosimilmente il carcere Mamertino, ritorna più volte nei racconti agiografici. Il dialogo tra Diocleziano e Abbondio si svolge poi con echi di concetti sull'idolatria, sul tipo dell'Octavius di Minucio Felice, con identica prassi, per cui, sempre con intento dottrinale, troviamo in altre passiones inseriti episodi di battesimo. E di battesimo, non a caso, si parla prima del martirio anche in questa nostra passio. L'episodio di Marciano, inoltre, si presta a essere identificato quale espediente per u-n'immancabile scena di miracolo, visto che il suo inserimento appare quanto mai forza-to.

Il racconto, in conclusione, si presenta caratterizzato dal relativo valore storico tipi-co di questo genere letterario, pur non mancando elementi per così dire di una certa genuinità, che sono: il dato topografico relativo alla sepoltura del gruppo dei 23 martiri menzionati già nel martirologio geronimiano,10 la data del martirio e della sepoltura, l'indicazione del luogo dell'arresto, del martirio e della deposizione.11

Agli Acta SS. Abundii et Abundantii nell'edizione del 1584, ad opera del Cardulo, fu aggiunta la Prima inventio atque translatio ex codice Arinianensi,12 dove si narra della traslazione da Rignano a Roma per Abbondio, Abbondanzio e Teodora, e da Rignano a Civita Castellana per Marciano e Giovanni.13 In un anno non ben precisato, 99814 o 1001,15 a Rignano Flaminio giunse Ottone III alla ricerca dei corpi dei santi Abbondio e Abbondanzio per portarli alla chiesa di Sant'Adalberto, oggi San Bartolomeo, all'Iso-la Tiberina. I corpi dei due martiri furono rinvenuti insieme con quello di Teodora in ecclesia beati Abundii et Abundantii martyrum, quae est iuxta montem Soractem.16

10 Ibid. 11 Sul carattere fantasioso del racconto: Lanzoni (1927), 516-519; Mastrocola (1964), p.130-

140; Amore (1975), p. 15-16. Si potrebbe pensare che il racconto quale noi lo conosciamo sia risultato dalla fusione di due passiones: quella dei santi Abbondio e Abbondanzio e quella dei santi Marciano e Giovanni. Qualche studioso è giunto alla conclusione che questa fusione sia da attribuirsi al comune luogo di deposizione dei quattro martiri. Su quest'ultima considera-zione sono legittime delle perplessità, poiché il dato archeologico relativo alla sepoltura dei santi Marciano e Giovanni è, come vedremo, del tutto assente. Riguardo, comunque, alla fu-sione in un'unica passio di due racconti agiografici, è una possibilità che rimane aperta, anche se non si esclude che il nome di Marciano sia un'aggiunta contemporanea alla stessa trasla-zione. Un martire Marciano è venerato nella chiesa di San Liberato a Bracciano: Fiocchi Ni-colai (1991), p. 245-248. Tale martire, da non ritenersi con ogni probabilità un martire locale, potrebbe avere quale prototipo un altro omonimo martire orientale già noto in Italia nel V se-colo. Potrebbe esistere un qualche rapporto anche con il martire civitonico. Un burgus s. Marciani è noto lungo la Via Flaminia: Tomassetti (1913), p. 341.

12 Si ritiene che la passio dei santi Abbondio e Abbondanzio sia stata scritta prima dell'anno 1000 perché non tratta della traslazione da Rignano: De Rossi (1883), p. 135. Nulla, però, può escludere una redazione contemporanea alla traslazione

13 Il racconto della traslazione fu letto dal Cardulo in un codice di Rignano: Fiocchi Nicolai (1995), p. 56.

14 Degli Effetti (1675), p. 61; Tarquini (1874), p.131. 15 De Rossi (1883), p. 135; Fiocchi Nicolai (1988), p. 330; ibid. (1995), p. 56. 16 Cardulo (1584), p. 28.

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Il racconto prosegue con Crescenziano, vescovo di Civita Castellana, che, venuto a sapere del fatto, si rammaricò che parte delle reliquie non fossero state destinate anche alla sua diocesi. Fu così che ordinò un'ulteriore ricerca di corpi santi e qui vennero alla luce quelli di Marciano e Giovanni, il cui trasporto alla chiesa di Sant'Ippolito,17 prima della definitiva sistemazione nella cattedrale di Civita Castellana, avvenne con una se-rie di fatti prodigiosi.18

Una considerazione relativa al testo della traslazione va fatta, in ogni modo, in me-rito al luogo di rinvenimento dei corpi santi.19 il termine ecclesia fa pensare a una si-stemazione sub divo.20 La chiesa dedicata ai santi Abbondio e Abbondanzio, situata a circa un chilometro a est della Via Flaminia, sempre all'altezza del XXVI miglio, po-trebbe essere la stessa di cui si parla nel racconto della traslazione.21 L'edificio è ad au-la unica e presenta sotto la navata una cripta trapezoidale.

In tempi antichi la chiesa era messa in collegamento con il borgo di Rignano attra-verso una strada che arrivava fino al suo nucleo più antico. La chiesa nelle sue fasi co-struttive può risalire all'Alto Medioevo: XII secolo abside, perimetro e campanile; a una seconda fase dei secoli XIII-XIV sono riferibili la parte anteriore e gli arconi inter-ni.22 Fu forse qui che Ottone III, prima, e Crescenziano vescovo di Civita Castellana, poi, trovarono i corpi dei martiri. Non si può, tuttavia, escludere che il ritrovamento di questi corpi santi sia avvenuto nella ecclesia ipogea del cimitero paleocristiano.

Nessuno degli antichi martirologi fa menzione del cimitero di Teodora, né dei mar-tiri qui sepolti: i nomi di Abbondio e Abbondanzio furono per la prima volta aggiunti al martirologio di Usuardo, nell'edizione di Colonia del 1515, al 28 agosto.23 Successi-vamente furono inseriti dal Baronio nel martirologio romano al giorno 16 settembre con l'indicazione del luogo e della menzione dei soci.

La catacomba di Santa Teodora, si è detto, si trova al XXVI miglio della Via Fla-minia.24 La scoperta della catacomba risale al 1628. Altre indagini seguirono nel 1702 e poi negli anni 1745-1746.25 Dopo più di un secolo di abbandono, riprese, nel 1857, l'esplorazione del cimitero con Giovanni Battista de Rossi, fondatore della scienza del-l'archeologia cristiana moderna, che per primo illustrò con metodo scientifico il cimite-ro sotterraneo.26

L'ipogeo si compone di due regioni distinte, alfa e beta, messe poi in comunicazio-ne verso la metà del XVIII secolo (Fig. 1). L'iconografia della regione beta non esclude

17 Tarquini (1874), p. 131. 18 Da Cesarò (1678). 19 Per alcune considerazioni di carattere generale sul racconto della traslazione: Mastrocola

(1964), p. 249-252. 20 Letteralmente “A cielo scoperto”. 21 In questa chiesetta si è voluto vedere l'originario luogo di sepoltura dei martiri: Josi (1946),

p. 3-4; Giuntella (1979), p. 275. Finora mancano, però, dati archeologici che depongano per una tale ipotesi: De Rossi (1883), p.137; Trimarchi (1980), p. 205 e 208; Fiocchi Nicolai (1988), p.331.

22 Rossi (1986), p. 79-88. 23 Dubois (1965), p. 282, n.4. 24 Sulla catacomba: Fiocchi Nicolai (1988), p. 306-332; ibid., (1995). 25 Fiocchi Nicolai (1988), p. 306.307. 26 De Rossi (1883), p. 134-159.

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per niente la presenza di un culto martiriale.27 Sappiamo, dal resoconto dell'esplorazio-ne dell'anno 1651, della presenza di una cripta che doveva aprirsi dal vestibolo R. A questa cripta si accedeva da una porta , l'ambiente era totalmente ipogeo, con sepolture nel pavimento e sulle pareti chiuse da lapidi e da "lastre belle di marmo".28 Dal reso-conto degli scavi del 1846-1847 abbiamo una descrizione più precisa di questo am-biente.29

La piccola basilica sotterranea potrebbe in effetti considerarsi una monumentalizza-zione delle tombe venerate situate nella parte iniziale e dunque più antica del cimitero. In questo senso può forse non considerarsi un caso che la galleria G sia per dimensioni, in lunghezza e in larghezza, la più estesa del cimitero. Questa cripta avrebbe dunque ospitato la sepoltura dei santi Abbondio, Abbondanzio, Marciano e Giovanni. Una prova di verità storica circa la figura di sant'Abbondio sembra essere un'iscrizione fu-neraria di un martire omonimo, che il De Rossi trovò nel 1852 nel mercato antiquario romano, in piazza San Salvatore in Lauro:30

A B V N D I O P B R S MARTYRI SANCT S DEP VII DVS DEC

27 Fiocchi Nicolai (1988), p.331 e nota 1490. 28 Ibid., p.327-328. 29 Ibid., p.328. 30 De Rossi (1983), p. 151- 159; Fiocchi Nicolai (1988), p.329; ibid.. (1995) p. 53-55.

Fig. 1. Pianta della catacomba di Rignano Flaminio (da Fiocchi Nicolai, 1988).

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Quanto si riuscì a sapere circa la provenienza della lastra marmorea fu solo che essa era stata portata da contadini venuti dalla Via Flaminia che l'avevano rinvenuta fuori Roma. L'uso del termine depositio la pone in relazione a un uso strettamente sepolcra-le. La paleografia permette una datazione pertinente al IV secolo. La lastra, poi, anche per la sua forma ben si adatta alla chiusura di un loculo di catacomba. Un martire pre-sbitero Abbondio è conosciuto solo dal nostro gruppo agiografico. Rimane il problema della data della deposizione, data che per altro già non concordava nelle due redazioni della passio e che nell'epigrafe è riportata in data 7 dicembre. Il De Rossi, che non esi-tò a far provenire l'epigrafe dalla chiesetta sotterranea della catacomba di Santa Teodo-ra, spiega l'incongruenza ipotizzando che quella dell'epitaffio sia la data che si riferisce a una sistemazione con preciso intento monumentale in seguito alla pace della chiesa.

Circa la storicità dei martiri Marciano e Giovanni non abbiamo, invece, nessuna te-stimonianza archeologica. Oltretutto si è visto come nel testo della traslazione, così come nella passio precedentemente analizzata, i fatti civitonici sembrano essere il frut-to di un’aggiunta. Rimane quanto mai difficile pensare che la ricerca di corpi santi ad opera di Ottone III abbia trascurato una tomba che doveva evidentemente avere un'in-dicazione epigrafica, se con tanta sicurezza il vescovo Crescenziano, rinvenendo chissà quali reliquie, le attribuisce al martire Marciano. Sembrerebbe che la diocesi di Civita Castellana avesse bisogno di reliquie e il rinvenimento dei martiri Abbondio e Abbon-danzio abbia offerto una buona occasione per la creazione di un culto martiriale. Ciò potrebbe dare l'impressione che non vi fosse a Civita Castellana, nell'anno 1001, alcun martire oggetto di venerazione, quando, invece, il culto al martire Gratiliano ci fa sup-porre diversamente. A questo santo e a santa Felicissima, è dedicata infatti una cata-comba presso Faleri.31 Al solo martire Gratiliano è dedicata, invece, la piccola basilica che venne costruita dopo l'abbandono del cimitero, di cui occupava alcuni spazi.32

La serie di vescovi di Faleri si chiude con Crescenzio che, nel 1015, sottoscrive agli atti del concilio romano. Questo Crescenzio sembra potersi identificare con Crescen-ziano, primo vescovo di Civita Castellana, poiché la fondazione di questa diocesi è as-segnata all'anno 990.33 Si ha testimonianza del fatto che il culto del martire faleritano passò alla nuova sede vescovile di Civita Castellana34 e le sue reliquie furono collocate nella cripta sottostante alla chiesa cattedrale, ancora oggi dedicata a san Gratiliano.

Se un culto esisteva già a Civita Castellana, come spiegare la traslazione dei presun-ti santi Marciano e Giovanni? Sappiamo che proprio al tempo di Crescenziano vescovo furono distrutte le colonie di Belmonte, Rignano e della zona compresa nell'antica dio-cesi di Aquaviva,35 in prossimità di Civita Castellana. Gli abitanti delle città distrutte si ritirarono nel territorio pertinente alla diocesi di quest'ultima e a loro, come nuova par-rocchia,36 fu assegnata la chiesa di sant'Ippolito. Non si esclude che questi fatti abbiano avuto un ruolo in riferimento alla nascita del culto dei santi Marciano e Giovanni che,

31 Sulla scoperta della catacomba: Le Louet (1880). Per i santi Gratiliano e Felicissima: Maria-

ni (1966), p. 55-156. 32 Fiocchi Nicolai (1988), p. 266-283. 33 Bedini (1956), p. 35-38. 34 Bedini (1956), p. 39-40. 35 Mastrocola (1965); Raspi Serra (1974). 36 Degli Effetti (1675), p. 62; Tarquini (1873), p. 131.

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per l'assenza di indizi sia letterari che archeologici,37 circa la loro storicità, sembrano da ritenersi "martyres inventi".

37 Per una indagine archeologica sarebbe quanto mai significativo lo studio della chiesa di San-

t'Ippolito, al fine di verificare l'esistenza o meno di elementi riconducibili alla presenza di re-liquie.

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ETTORE RACIOPPA

Gli affreschi dell'oratorio del Sacro Cuore di Maria nella cattedrale di Civita Castellana

PREMESSA

Il dibattito sugli aspetti storico artistici della cattedrale di Civita Castellana ha cono-sciuto, fin dal secolo scorso, fasi di acceso confronto, ma anche di relativo silenzio, laddove la ricerca sembrava arenata sui risultati raggiunti.

Di recente sono stati apportati contributi1 significativi sul rilievo dell'organismo ar-chitettonico per la comprensione globale del monumento. Si è trattato di studi minuzio-si che sembravano aver fissato confini d'indagine difficilmente valicabili.

In realtà la notevolissima stratificazione storico artistica del duomo civitonico offre ancora alla ricerca numerosi aspetti oscuri o poco approfonditi.

Questo contributo tende a chiarirne almeno uno, certamente non secondario, e cioè la presenza di un affresco facente parte di una "civiltà pittorica" del XII secolo, di stampo romano, ben precisa e individuata, proprio in quest'ultimi decenni, da studiosi italiani e stranieri.

L'affresco presenta una scena teofanica e si trova all'interno di un oratorio attiguo al lato sud della cattedrale. Per un singolare destino esso è stato finora ignorato, o al più congedato come ex voto trecentesco. L'opera, certamente dovuta a maestranze non ec-celse, rappresenta in ogni modo un cardine temporale che rimette in discussione le fasi costruttive della fabbrica medioevale, allontanando, e si spera definitivamente, l'erro-nea attribuzione ai Cosmati dell'intero organismo.

La cattedrale medioevale, cadenzata su tempi lunghi e punteggiata da scelte diversi-ficate, purtroppo non documentate epigraficamente, fu l'esito finale di varie fasi co-struttive che si susseguirono dal primo quarto del XII secolo al primo quarto di quello successivo.

È in questa sequenza di momenti edificatori che s'inquadra lo studio dell'affresco ci-tato, che assume il ruolo di vera cerniera per una revisione cronologica.

1 Boscolo-Creti-Mastelloni 1993. La Cattedrale di Civita Castellana, Roma. ____________________ 1995. "Note sulla Chiesa Cattedrale di Civita Castellana", Civita

Castellana Studi /1, Civita Castellana, Biblioteca Comunale.

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L'ORATORIO DEL SACRO CUORE DI MARIA

L'oratorio del Sacro Cuore di Maria, conosciuto anche come cappella di San Gio-vanni per il suo uso battesimale fino alla ristrutturazione disposta dal vescovo Tenderi-ni (1736-1740), oggi si presenta spazialmente modificato rispetto alle forme originarie.

Fu il vescovo Forlani a farvi apportare delle modifiche, eseguite tra il 1770 e il 1785, come si legge sulle due epigrafi lapidee murate esternamente in facciata e nella zona absidale.

L'impianto originario, con aula rettangolare monoabsidata coperta da un tetto a ca-panna con capriate in vista, fu stravolto con la costruzione di un solaio intermedio sor-retto da sei pilastri a sezione pressoché quadrata e volte a crociera. Ciò divise lo spazio interno in due piani sovrapposti di cui l'inferiore, a tre navate, fu adibito a oratorio, mentre il superiore fu destinato parte a cappella episcopale e parte a granaio2 (Fig. 21).

L'oratorio si presenta con tre ingressi di epoca moderna: il principale, con un sem-plice portale ad arco, ubicato sulla piazza del vescovado adiacente al lato sud della cat-tedrale; il secondo, sito nell'angolo nord-ovest dell'impianto e composto da una rampa di scale curvilinea, mette in comunicazione l'oratorio con il presbiterio del duomo. Quest'ultimo accesso sostituì nel 1731 quello collocato più a est, e corrisponde all'at-tuale altare del Rosario, interno alla chiesa, il cui vano originario è visibile nella nic-chia rettangolare vicino all'ingresso principale3. Il terzo ingresso collega l'oratorio al palazzo vescovile e si trova nella parete sud dell'edificio.

Nella visita pastorale del vescovo Gozzadini del 1624, vengono riportati due altari all'interno della cappella: l'uno nell'abside dedicato alla Santissima Trinità, l'altro nel lato nord dedicato al Salvatore o a san Nicola.4 Attualmente è visibile un solo altare si-to di fronte all'abside e composto da una mensa marmorea moderna sostenuta da basi lapidee di spoglio.

Il pavimento è in cotto e vi compaiono alcune lapidi sepolcrali. L'originaria coper-tura a capanna è stata parzialmente modificata, nella parte est, con la costruzione di una falda unica con pendenza opposta alle precedenti.

La decorazione interna è stata arricchita con opere scultoree provenienti dal portico cosmatesco, tra le quali la famosa lastra marmorea e i due plutei cosmateschi. La lastra, oggetto di vari studi,5 mostra una scena di caccia e risale probabilmente al IX secolo; i

2 "Il vescovo Forlani, circa l'anno 1770 la restaurò facendosi costruire per conto della Mensa la

cappella episcopale e il granaio nella parte superiore di essa, e l'oratorio, nel pianterreno con volte e colonne di stucco, un solo altare ove si venera la Madonna della Pietà". Antonio Car-dinali. Cenni storici della chiesa Cattedrale di Civita Castellana, Roma, tip. Agostiniana, 1935, p. 77.

3 L'apertura della scala è ricordata in un'epigrafe marmorea sopra la porta che collega l'oratorio al palazzo vescovile: A.M.D.G. / EPISCOPVS OBITVRVS / BREVIOREM TVTIOREM-QVE / COELI SCALAM / QVAE EST / AB ECCLESIA AD ORATORIVM / VENTVRIS APERVIT / A.D. MDCCXXXI.

4 La visita pastorale del vescovo Gozzadini è conservata nell'archivio vescovile. 5 Cfr. Joselita Raspi Serra. Corpus della scultura altomedioevale VIII. Le diocesi dell'Alto La-

zio, Spoleto, 1974, p. 64-67, tav. XXXI.

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due plutei, firmati da Luca e Drudo de Trivio, pertinenti all'arredo della chiesa medioe-vale, furono qui trasportati all'epoca della ristrutturazione voluta dal vescovo Tenderi-ni.

L'analisi del paramento murario tufaceo esterno della parete absidale evidenzia un distacco tra questa fabbrica e quella della cattedrale, risolto più in basso, con murature di collegamento e tamponamento (Fig. 1). La cortina si presenta cromaticamente simile a quella dell'attiguo presbiterio, con sottili letti di malta e conci con superfici ben levi-gate, ma con diversa altezza dei corsi (25 cm in media nel presbiterio e 31 nell'orato-rio). Se a questo si aggiunge una minore perizia tecnica costruttiva, con alcune connes-sioni poco curate e dei corsi non del tutto orizzontali, si ricava il significato di una fase edificatoria affrettata, pertinente cronologicamente a un periodo che precede la costru-zione della zona presbiteriale della cattedrale.

Se ci si sposta al piano terra dell'oratorio del Sacro Cuore di Maria, vi compaiono vari affreschi, parzialmente leggibili, sia nell'abside, sia nella nicchia ad arco compresa nel muro comune con la cattedrale (conci in tufo alti mediamente 30 cm in corsi oriz-zontali con sottili letti di malta). In realtà gli archi di questo muro originariamente era-no due e di uguale ampiezza, come si desume dalle ghiere visibili al piano superiore. Ma, mentre quello di sinistra fu murato, probabilmente per ragioni statiche nell'inter-vento settecentesco, e mai riaperto (anzi gli fu addossato uno dei due plutei cosmate-schi), quello di destra, a detta del Cardinali,6 fu riaperto nel 1928 rivelando affreschi di un certo valore. C'è da aggiungere che entrambi gli archi sono impostati su due moda-nature in marmo del tutto uguali a quelle dell'arco absidale, che è ancora visibile nella ghiera al piano superiore e negli affreschi del catino al piano inferiore. Quest'ultimi, poiché la scena centrale è andata completamente perduta, occupano, oltre al catino, an-che piccole porzioni perimetrali del cilindro absidale.

Nel catino compare il Creatore sopra le nuvole con la mano sinistra sopra un globo nastrato e la destra in atto di benedizione; ai fianchi sei teste di angeli con ali e, a li-vello più basso, due angeli a mezzo busto con al centro la Colomba bianca clipeata (Fig. 2). Della zona in basso restano alcune parti che fanno intravedere, entro una cornice con modanature classiche, decorazioni trilobate. Queste sorreggono festoni di fiori e inquadrano la scena scomparsa formata inizialmente da personaggi monumen-tali, visti di tre quarti entro cornici di porte, di cui restano visibili solo i mantelli, e una mano, della figura di destra, che regge un campanello (Fig. 3).

L'impianto iconografico, come l'incarnato fortemente tridimensionale, o i forti con-trasti cromatici con fondale luminoso (giallo chiaro) per il catino-cielo, e buio (bruno scuro e blu notte) per il cilindro-terra, tutto riporta a una datazione: il XVIII secolo, probabilmente alla ristrutturazione voluta dal vescovo Forlani.

Più interessanti, e, a quanto io sappia, inediti, sono gli affreschi che compaiono in comune con la cattedrale nell'arcone del lato nord della navata. In realtà il grande arco è uno dei due archi contigui a pieno sesto, sopra accennati, il cui spazio derivò non già da una struttura unitaria, ma da due fasi costruttive successive. Lo si vede dal distacco

6 "Nell'oratorio del Cuor di Maria, nell'anno 1928, sono state scoperte sulla parete destra varie

pitture del sec. XIV che rappresentano in alto san Giacomo, un arcivescovo, forse san Nicola, ed altri; più in basso, da sinistra a destra, santa Caterina, san Pietro e san Paolo, san Michele e la Madonna col Bambino". Antonio Cardinali. Cenni storici…, op. cit.

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tra le parti (Fig. 4), dove per forza di cose la parete di fondo viene prima dell'arco, vi-sto che è su di essa che vi compaiono gli affreschi, concepiti di sicuro per uno spazio chiuso.

Gli affreschi, genericamente datati dal Cardinali al XIV secolo,7 sono differenziati nettamente in due parti: quella superiore, chiusa in un semicerchio, è, per ragioni ico-nografiche e stilistiche, senza dubbio ascrivibile a una fase precedente rispetto a quella inferiore con personaggi inquadrati in rettangoli (Fig. 22).

Nella scena superiore, al centro e in alto della composizione, fu riportata alla luce una finestrella il cui taglio, non strombato e con base scalettata verso l'interno dell'ora-torio, unito a una scarsa cura costruttiva, dà proprio l'idea di un'apertura eseguita a mu-ro già costruito (Fig. 5). Sia la finestrella, sia gli affreschi prima, aprono nuovi interro-gativi sulle fasi costruttive della cattedrale e dello stesso oratorio, nonché sui riferimen-ti stilistici e quindi di datazione dell'affresco in alto, sicuramente quello più antico.

Lo stato precario in cui si trova il dipinto rivela innanzitutto l'urgenza del suo stu-dio. La ricerca non potrà puntualizzarsi che su quei pochi elementi rimasti, tali da non consentire neppure una lettura certa della scena; ma è l'unica via in vista di un auspica-bile restauro.

Nel dipinto, configurabile come scena teofanica (Fig. 6), manca la figura principale centrale di cui resta la parte destra del trono con parti di abito panneggiato. Dall'abito emerge una mano (?) in una cromia rossastra ma sbiadita. La figura è posizionata su un piano più alto rispetto alle altre. Sulla destra compaiono tre personaggi nimbati, rigi-damente verticali e bloccati con il corpo visto frontalmente; la testa di tre quarti con sguardo verso il centro; le braccia in posizione di saluto e di riverenza (Fig. 7). Sulla sinistra si vedono parzialmente due personaggi in posizione analoga e anch'essi nimbati (Fig. 8). Di un terzo, similmente vestito, restano pochi lacerti. Tutti i personaggi sono serrati a stretto contatto di spalla e si stagliano su un fondo azzurro. Essi configurano una composizione originale rispetto agli esempi nel territorio cui si possono ricondurre, esempi che verranno esaminati più avanti.

La scena è incorniciata da una larga fascia rossa che, nella parte destra, è abbinata a un'altra di uguale larghezza ma di colore bianco. La stessa fascia la ritroviamo a sini-stra, affiancata da una greca, che potrebbe far supporre un cambiamento di stile se non iconografico tra le due parti.

Il motivo decorativo della greca, con funzione di cornice, si ritrova nella parte supe-riore della teofania dell'arco absidale in Sant'Eusebio, presso Ronciglione8 (Fig. 9); lo ritroviamo nella nicchia della cripta di San Pietro in Tuscania, con Vergine e Bambino in Maestà circondati da santi e apostoli9 (Fig. 10); così pure nelle fasce decorate a mo-tivi geometrico fitomorfi del ciclo affrescato in Castel Sant'Elia10 (Fig. 11).

7 Ibid. 8 Per notizie sull'evoluzione strutturale e sugli affreschi dell'interessante chiesa rurale di San-

t'Eusebio, cfr. Aldo Nestori. "Monumentum Fl. Eusebi fatto Ecclesia S. Eusebi presso Ronci-glione", Studi di antichità cristiana, XXXIV, Città del Vaticano, Pont. Ist. di Arch. Cristiana, 1979.

9 Cfr. Enrico Parlato-Serena Romano. Italia Romanica. Roma e il Lazio, vol. XIII, Milano, Jaka Book, 1992, p. 208-210.

10 Per i problemi stilistici e di datazione del ciclo affrescato della chiesa abbaziale di Castel Sant'Elia, cfr. Hoegger Peter. Die Fresken in der ehemaligen Abteikirche Sant'Elia bei Nepi,

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Nel nostro affresco la greca è sottolineata da una doppia linea e da un motivo ret-tangolare nella parte esterna che ne accentua il linearismo ed evidenzia l'insistito grafi-smo delle vesti del primo personaggio a sinistra della scena (Fig. 12). Questi ha una posizione eretta rigidamente verticale, il cui nimbo sconfina fin sopra la cornice, quan-to simmetricamente accade all'ultimo personaggio di destra.

Il nimbo è di color ocra, come gli altri, contornato da un forte segno rosso e da una sottile linea bianca. I capelli rossicci e pettinati, con linee più scure che danno concre-tezza al particolare, in uno con l'ovale del viso pulito e regolare con discreti occhi a mandorla, configurano un giovane santo col braccio destro in posizione di saluto.

Il vestito è rappresentato da una tunica blu e dal pallio rosato che, nella parte supe-riore, ha perduto buona parte di pigmento. Le pieghe sono rese con larghe linee rosse sul fondo rosa del pallio e con linee sottili e ravvicinate sul fondo blu della tunica; al di sotto del collo poi assumono un andamento triangolare crescente.

Lo stesso stilema avvicina la figura esaminata al san Pietro della teofania di Valle-rano11 (Fig.13) e a un apostolo dell'abside di Tuscania. Il panneggio sinuoso al di sotto della cintura ci riporta a un angelo dello stesso affresco tuscanese e al san Paolo di Val-lerano (Fig. 14). Qui il forte segno rosso e le lumeggiature appaiono più marcati, grazie anche a un recente restauro.

La figura affiancata al giovane santo presenta un identico nimbo e ha capelli bruni pettinati in modo diverso (Fig.15). L'attribuzione è confermata dalla scritta "IA-COP…", ancora visibile in basso, e dalla tunica bicolore la cui fascia verticale ha per-duto il pigmento.

Il Toesca individua nella bicromia delle vesti una delle componenti della tradizione umbro romana12. In effetti, lo sguardo pacato del giovane (l'apostolo Giacomo?), reso con sottili arcate sopraccigliari scure e piccole pupille nerastre, che

si rivolge al centro della scena, in uno col gesto riverente della mano destra, fa pen-sare alla pittura catacombale paleocristiana. A questa si rifanno, in un gesto analogo, sia l'artista che dipinge L'Angelo che incorona Cecilia, Valeriano, Tiburzio e il papa Urbano nella chiesa romana di Santa Pudenziana, sia l'artista che dipinge san Benedet-to in San Biagio a Nepi. Oltre la tunica blu, come la precedente, ma senza pieghe, il giovane indossa un pallio giallo ocra, ricadente da entrambe le spalle, e fasciato in vita con le pieghe rese da corpose linee rosse tecnicamente simili a quelle dell'altra figura, ma con andamento diverso.

Della figura centrale, come detto, è visibile solo l'estrema parte destra, troppo sbia-dita e confusa per accertarne l'iconografia originaria: sembra di scorgervi una veste ro-sata da cui emerge una mano (?) e un sottostante trono rossiccio poggiato su un piano dentato (?) di color ocra.

Stuttgart, 1975. E. Parlato-Romano S. Italia Romanica…op. cit., p. 196-202. Guglielmo Mat-thiae-Francesco Gandolfo (aggiornamento scientifico). Pittura Romana del Medioevo. Secoli XI-XIV, Roma, Palombi, 1988, p. 257-258. Bruno Maria Apollonj Ghetti. Architettura della Tuscia, Roma, tip. Poliglotta Vaticana, 1960, p. 184-185. O. Hiort. The frescoes of Castel Sant'Elia. A problem of stylistic attribution, Hafnia, 1970, p. 7-33.

11 Per la teofania di Vallerano cfr. Paola Rossi. "L'affresco absidale della Pieve di Vallerano", Storia dell'Arte, 14, 1982, 44, p. 31-34.

12 Sull'argomento cfr. Pietro Toesca. Miniature romane dei secoli XI-XII: Bibbie miniate, Ria-sa, I, 1929, fasc. I, p. 69-96.

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Le scene teofaniche nel territorio, raffrontabili con la nostra, presentano, nella mag-gior parte dei casi, il Cristo come figura centrale: a mezzo busto clipeato (Sant'Eusebio a Ronciglione e Santi Abbondio e Abbondanzio a Rignano Flaminio); a figura intera (Castel Sant'Elia, Pieve di Vallerano e San Pietro a Tuscania, quest'ultimo andato per-duto). Nella cripta di San Pietro a Tuscania, invece, compare un trono con sopra la Vergine col Bambino, affiancati da santi e apostoli (Fig. 10). È questa scena l'ipotesi più verosimile per il nostro affresco, in una dimensione proporzionale nuova non ri-scontrabile altrove.

Il gruppo delle tre figure, a destra della scena, appare meglio conservato e più leg-gibile. La prima, affiancata al trono, riproduce un giovane clipeato col capo leggermen-te inclinato verso il centro, il braccio destro in posizione di saluto, la mano sinistra nel-l'atto di stringere un rotulo (Fig. 7). Veste, il giovane, una tunica celeste, cui è sovrap-posto un pallio rosato dalle pieghe che, nel segno grafico pittorico, risultano ben con-servate e risolte in flessuose marcate linee rosse. Gli stessi stilemi, a triangolo e a goc-cia, si ritrovano nelle vesti di un apostolo dell'abside di San Pietro a Tuscania e in quel-le di San Paolo nella Pieve di Vallerano (Fig. 14), cui ci riportano, peraltro, le fitte lu-meggiature bianche, parzialmente sbiadite, del nostro affresco. I capelli, di colore bru-no e appiattiti, lasciano spazio a un'ampia fronte su cui spiccano i due segni arcuati e scuri dei sopraccigli e i grandi occhi a mandorla; a malapena s'intravede il segno legge-ro del naso dritto e della piccola bocca.

Stessa tecnica, simile impianto per la figura di giovane nimbato dai capelli scuri, lunghi e lobati, al centro del gruppo (Fig. 16): il capo si presenta con uguale angolo d'inclinazione, gli occhi a mandorla hanno grandi pupille, il naso, dritto, è ricostruibile dai pochi sbiaditi segni visibili. L'ovale del viso è pulito, il modellato è piuttosto piatto e ha i pomelli delle guance poco visibili, come nelle altre figure. Il collo è contornato da un fazzoletto bianco (simbolo di castità?) terminante in due capi disposti a ferro di cavallo. Il vestito, di foggia diversa rispetto alle altre figure, è composto da una tunica celeste con sottili lumeggiature bianche e da una sopratunica rossa, forse una pianeta, con la parte centrale a cuspide arrotondata, rivolta in basso e impreziosita da un motivo a goccia di colore bianco (forse perle), ripetuto per linee orizzontali. Le mani, nell'atto di additare i personaggi vicini, fanno intravedere una posizione di sottile riverenza. I piedi penduli, visibili a fatica, accennano a un leggero moto verso il centro, che rappre-senta l'unico aspetto dinamico dell'intera composizione.

L'ultima figura, a destra della scena (Fig. 17), si presenta leggermente più bassa, forse per un fatto impaginativo, col clipeo di minor diametro sovrapposto alle due fa-sce di contorno. Rappresenta un vescovo col copricapo bianco a doppia punta e con baffi e barba di colore rossiccio bruno, come i capelli. I sopraccigli, resi con un segno bruno arcuato, e le palpebre, sottolineate da una doppia linea, evidenziano un'età seni-le. I grossi occhi a mandorla contengono un'evidente pupilla scura, inespressiva, posi-zionata in alto. Il naso è dritto, come nelle altre figure. Il braccio destro, compatto e ri-gido come nel giovane dello stesso gruppo, ha una posizione di saluto, mentre la mano sinistra sorregge il Libro13 chiuso. Il vestito si compone di una tunica bianca, con due fasce verticali rosse a lumeggiature bianche e fitte concentriche, e da una sopratunica di colore ocra, simile, nella forma, a quella del santo accanto, e impreziosita da nume-

13 "Libro" qui sta per Bibbia, il libro per eccellenza.

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rose perle sparse bianche e da piccoli fiori rossi. Una fascia bianca a forma di T, con due decorazioni rettangolari a linee rosse diagonali intrecciate, sottolinea la rigidità e la piattezza di questa figura in cui il Cardinali scorgeva san Nicola, mentre il Ciarrocchi vi riconosceva san Tommaso Becket.14

Attribuire un nome ai cinque personaggi è quanto mai problematico. Alcune lettere che appaiono sul secondo da sinistra ci fanno ipotizzare san Giacomo.

Da un punto di vista stilistico, abbiamo già notato come l'impianto iconografico e soprattutto alcuni stilemi rimandino al revival classicheggiante di natura strettamente romana presente a Roma e nel Lazio tra la fine dell'XI e la prima metà del XII secolo. In particolare gli artisti che lavorarono a Civita Castellana ne rappresentano la frangia più incline ai tracciati linearistici, con campiture bianche a contrasto soprattutto nella resa dei panneggi. Questa cultura figurativa e pittorica ebbe varie declinazioni e vari esiti nel nostro territorio, ma i suoi capisaldi, anche cronologici, restano la chiesa abba-ziale di Castel Sant'Elia e quella di San Pietro a Tuscania.

Prodotti "minori" a essi riferibili, pur con proprie peculiarità, sono rappresentati dal ciclo dell'arco absidale dei Santi Abbondio e Abbondanzio a Rignano Flaminio,15 dalla teofania absidale della Pieve di Vallerano,16 dal ciclo di affreschi di Sant'Eusebio a Ronciglione17, dagli affreschi dell'abside centrale di Santa Maria in Forcassi di Vetral-la18 e, infine, dalla teofania dell'oratorio di Civita Castellana.

Quest'ultima rappresentazione appare più serrata e compatta rispetto alle altre, se non addirittura "forzata" all'interno del semicerchio che vede le figure in primissimo piano lasciare poco spazio allo sfondo azzurro del cielo e al terreno d'appoggio. La ri-petitività della posizione rigida dei corpi, visti frontalmente con la testa rivolta di tre quarti verso il centro, in uno con il ripetersi alternato dei gesti di saluto e di riverenza, dà un tono arcaico e solenne alla scena. Un'indubbia affinità stilistica nei caratteri fi-sionomici, come le pupille alte nelle orbite profondamente marcate, soprattutto nel gruppo di destra, o come le aureole contornate con un forte segno rosso, o ancora il palmo delle mani aperto e compatto, apparenta il nostro affresco con quello di Vallera-no più che con gli altri, anche per le soluzioni formali delle vesti osservate in prece-denza. L'attribuzione al "Maestro dell'Ascensione" di Tuscania, tuttavia, ipotizzato con

14 Cfr. Augusto Ciarrocchi. "Testimonianze di culto di San Tommaso Becket nella Tuscia me-

ridionale", Biblioteca e Società, a. XI, n. 1-2, Viterbo, 1992, p. 34-35. Non è condivisibile, per ragioni cronologiche prima ancora che iconografiche, l'identificazione del santo con san Tommaso Becket proposta in questo saggio. Infatti, quando fu dipinto l'affresco, l'arcivescivo di Canterbury e primate della Chiesa d'Inghilterra era ancora in vita.

15 Per il ciclo affrescato a Rignano Flaminio, cfr.: Tumiati Domenico. "La chiesa dei Santi Ab-bondio e Abbondanzio a Rignano Flaminio presso Roma", Mélanges d'archéologie et d'histoi-re, 92,1980, 1, p. 205-236. Matthiae Guglielmo-Gandolfo Francesco (aggiornamento scienti-fico), Pittura Romana del Medioevo. Secoli XI-XIV, op. cit., p. 262.

16 Ibid., nota 11. 17 Ibid., nota 8. 18 Gli affreschi absidali di Santa Maria in Forcassi, presso Vetralla, sono stati studiati da Fulvio

Ricci e Luciano Santella in "Gli affreschi della chiesa di Santa Maria in Forcassi", Informa-zioni, n. 8, gen-giu 1993, Viterbo, p. 71-80.

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cautela dalla Rossi per Vallerano19, non credo possa essere proposto anche per Civita Castellana, proprio per la diversa concezione dinamica delle tre rappresentazioni.

Più difficile l'analisi tesa al riconoscimento stilistico di una o più parti dell'affresco corrispondente al pittore o ai pittori attivi nel nostro affresco. C'è infatti "... una vasta terra di nessuno dovuta alla nostra scarsa cognizione della divisione del lavoro nelle botteghe, che potevano ammettere anche molti collaboratori, con un metodo di suddi-visione delle parti... che può benissimo contraddire alla radice le nostre tendenze ad attribuire figure a una o all'altra mano"20.

È comunque possibile, a mio giudizio, tentare una suddivisione di massima dell'af-fresco. Questo presenta un leggero scarto stilistico e iconografico tra i due personaggi di sinistra e i tre di destra, pur all'interno di una stessa corrente e bottega artistica.

Il pittore dei giovani, a sinistra dell'affresco, sviluppa i corpi intorno a un asse asso-lutamente verticale, proporzionando piccole teste e capelli al resto della figura secondo un canone classico. Egli rende lo sguardo con piccole pupille nere entro segni discre-tamente a mandorla, rappresenta le pieghe della tunica blu del primo personaggio in modo pronunciatamente linearista e "costruisce" il saluto del citato personaggio con un angolo piatto tra mano e avambraccio (Fig. 12).

Di contro, l'autore del gruppo di destra utilizza un asse costruttivo che nel capo pie-ga verso il centro, utilizza ovali del viso più ampi, evidenzia lo sguardo con grosse pu-pille nere dentro mandorle accentuate, preferisce tuniche di colore chiaro con sottili lumeggiature (alcune concentriche), ripete il saluto identico di due personaggi con an-golo ottuso ed è incline alla costruzione fisionomica per mezzo di decorazioni di deri-vazione miniaturistica e orafa (Fig. 7).

Da quanto detto, emerge un primo artista più classico, se non ellenizzante, e un se-condo timidamente proiettato verso gli esiti moderni della ricerca formale e dinamica della pittura della prima metà del XII secolo. Romani entrambi nei modi, essi concor-sero a un progetto unitario con l'apporto delle singole personalità.

Rimane da considerare il problema fondamentale della datazione. Punto di riferi-mento è la teofania di Vallerano, quella più vicina al nostro affresco, per la quale la Rossi propone una datazione, condivisibile, al secondo quarto del XII secolo. Tutto questo senza volerci perdere nel dibattito aperto che lega i cicli pittorici precedente-mente menzionati, e che vede gli studiosi su posizioni diverse, ma sempre all'interno di un arco cronologico che va dall'ultimo decennio dell'XI alla prima metà del XII secolo (con l'unica eccezione degli affreschi di Sant'Eusebio, assegnati dai Parlato-Romano alla seconda metà del XII secolo).

Se, come abbiamo cercato di dimostrare, l'affresco partecipa di quel clima culturale e pittorico, la sua datazione non potrà che essere intorno alla metà del XII secolo, o, al più, ammettendo un qualche ritardo iconografico, entro il primo decennio della secon-da metà dello stesso secolo.

Questa conclusione ha una portata "rivoluzionaria", non tanto per l'affresco in sé, quanto per il carattere di terminus ante quem che esso determina per il supporto mura-

19 Paola Rossi. L'affresco…, op. cit., p. 34. 20 E. Parlato-S. Romano. Italia Romanica..., op. cit., p. 200.

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rio sottostante e che obbliga a rivedere le fasi costruttive dell'intera cattedrale e dell'o-ratorio stesso (Fig. 23)21.

Per ciò che riguarda le cinque figure incorniciate al di sotto dell'affresco ora studia-to (Fig.18), vista la larga diffusione territoriale di tali immagini, mi riprometto di ap-profondire in una successiva ricerca i rimandi stilistici. Per ora mi limito a evidenziar-ne i caratteri generici di icone votive che partecipano all'humus culturale figurativo go-tico e tardo gotico, come nella "Madonna con Bambino" (questi benedicente alla greca, col Libro in mano e col nimbo crucigero) che risente di un leggero provinciale accento giottesco (Fig. 19). Un'iscrizione in alto a sinistra ci indica santa Caterina, sontuosa-mente vestita con cifre stilistico decorative, squisitamente tardo gotiche, e linee nere di contorno come nell'affresco precedente (Fig. 20); seguono: un giovane santo col Libro chiuso e vestito austeramente; san Pietro, riconoscibile sia dall'aspetto fisico, severo, con barba e capelli bianchi, sia dalla chiave che stringe nella mano sinistra, sia dal Li-bro chiuso sorretto dalla mano destra; infine un angelo annunciante dal vestito decora-to, dal sapore anch'esso tardo gotico, che sorregge un globo con la mano sinistra.

21 Il grafico delle fasi costruttive (Fig. 23) sintetizza le conclusioni cui si è giunti dopo aver va-

gliato molti altri aspetti della fabbrica medioevale in rapporto a edifici cultuali coevi del terri-torio.

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SOMMARIO

AUGUSTO CIARROCCHI....................................................................................... 7 I conti Sassoni a Civita Castellana nell'XI secolo................................................. 7

L'anno mille e i santi Marciano e Giovanni ...................................................... 7 L'antico culto dei santi Gratiliano e Felicissima............................................... 9 Il culto dei nuovi santi ..................................................................................... 13 Ottone III ......................................................................................................... 14 La genealogia .................................................................................................. 16 Il Comitato ....................................................................................................... 22 Le donazioni all'abbazia di Farfa.................................................................... 29 Dalla parte dell'Impero ................................................................................... 35

GIORGIO FELINI................................................................................................... 39 Il culto dei santi martiri Marciano e Giovanni: fonti agiografiche e storiografia39

La passio di Santa Maria Maggiore ................................................................ 41 La passio di Rignano Flaminio........................................................................ 43 La passio senese............................................................................................... 51 Le fonti civitoniche........................................................................................... 54

Primo diadema in festo Eductionis sive revelationis reliquarum Sanctorum Ioannis, et Martiani ...................................................................................................................................54 Officium Antiquum Sanctorum Martyrum Iohannis et Marciani.........................................59 Vita delli SS. MM. Marciano e Giovanni di Benedetto Stella...............................................61 La concessione di "nundinae" (1485)....................................................................................64

Altre testimonianze del XVI secolo .................................................................. 65 Testi e documenti del XVII secolo.................................................................... 66 La storiografia del XVIII secolo ......................................................................69 Testi a stampa del XIX secolo.......................................................................... 72 Considerazioni finali........................................................................................ 73

BARBARA GIORDANI ......................................................................................... 75 I santi Marciano e Giovanni: fonti letterarie e archeologiche............................. 75

Bibliografia...................................................................................................... 81 ETTORE RACIOPPA ............................................................................................. 83

Gli affreschi dell'oratorio del Sacro Cuore di Maria nella cattedrale di Civita Castellana............................................................................................................ 83

L'oratorio del Sacro Cuore di Maria............................................................... 84 Bibliografia...................................................................................................... 92

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PUBBLICATI COLLANA «NINFEO ROSA» 1. Craba Maria Giovanna,

Civita Castellana 1789-1815. Dalla rivoluzione francese alla restaurazione pontificia. 1994.

2. Ciarrocchi-Cimarra-Felini-Boscolo-Creti-Mastelloni, Civita Castellana Studi/1. 1995.

3. Calza Bini-Bosco-Oteri-Pieri, Sistema locale e distretto industriale. Il caso di Civita Castellana. 1996.

4. Cimarra Luigi, Mazzabbubbù. Repertorio del folclore infantile civitonico. Illustrazioni di Maria Berto.1997.

5. Cerri Gianluca-Rossi Paola, La Via Amerina e il suo paesaggio. 1999.

LIBRI D’OCCASIONE 1. Di Giovenale Massimiliano,

Amore di un giorno [poesie]. 1997.

2. Soli Alessandro, Catamello e altre poesie. Illustrazioni di Maria Berto. 1999.