Santi di Tito annunciazione - Bacarelli...

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Carlo Falciani via Romana 79, 50125 Firenze [email protected] Santi di Tito Firenze 1536 - 1603 Annunciazione Olio su tela cm. 136 x 117 Recenti ricerche d’archivio hanno precisato che Santi, figlio di Tito di Santi di Bartolomeo dal Borgo a Sansepolcro (immatricolato nell'arte dei linaioli nel 1535), nasce a Firenze nel popolo di San Michel Visdomini il 5 dicembre 1536, e non a Sansepolcro come si era sempre creduto (A. Belluzzi, G. Belli, la villa dei Collazzi, Firenze 2016, p. 46). Oltre la nascita, col procedere degli studi critici, Santi appare

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Carlo Falciani via Romana 79, 50125 Firenze

[email protected]

Santi di Tito Firenze 1536 - 1603 Annunciazione Olio su tela cm. 136 x 117

Recenti ricerche d’archivio hanno precisato che Santi, figlio di Tito di Santi di

Bartolomeo dal Borgo a Sansepolcro (immatricolato nell'arte dei linaioli nel 1535),

nasce a Firenze nel popolo di San Michel Visdomini il 5 dicembre 1536, e non a

Sansepolcro come si era sempre creduto (A. Belluzzi, G. Belli, la villa dei Collazzi,

Firenze 2016, p. 46). Oltre la nascita, col procedere degli studi critici, Santi appare

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sempre più come una delle maggiori personalità della scena artistica fiorentina

successiva alla metà del Cinquecento. Fin dalla collaborazione allo Studiolo di

Francesco I, per il quale dipinge tre opere: Ercole e Iole, Le sorelle di Fetonte e il

Passaggio del Mar Rosso, egli si rivela uno dei principali interpreti sia del nuovo

clima espressivo caro al giovane duca, volto agli studi naturali, sia di quello

controriformato. Dopo gli anni Sessanta si chiede infatti agli artisti una sempre

maggiore aderenza alla scrittura e una esplicita raffigurazione delle passioni, ma

soprattutto chiedeva un linguaggio naturalistico anti allegorico che, anche a Firenze,

diviene la strada maestra delle arti. Fin dalla Resurrezione dipinta per la cappella

Medici di Santa Croce nel 1574, Santi di Tito seppe dare una personale

interpretazione della tradizione disegnativa fiorentina unendola proprio alla nuova via

naturalistica, e lo fece in anticipo rispetto ad altri centri italiani. In quel dipinto

capitale sono un esempio di tali scelte le teste dormienti dei soldati ritratte dal vero, o

ancora i corpi riversi sul primo piano, che mostrano all’osservatore i piedi nudi e

impolverati: brani di naturale germinati proprio all’interno di un ambiente che stava

superando la vasariana Maniera moderna e l’influsso di Michelangelo. Tali scelte

furono portate avanti da Santi di Tito in un linguaggio capace di mediare la tradizione

sartesca, i raggiungimenti del Raffaello romano, ed anche le novità naturalistiche

zuccaresche, conosciute in un precoce viaggio in Urbe. Tuttavia, la sua attenzione

verso il naturale gli venne soprattutto dal Bronzino, campione di una perspicua

capacità di riprodurre la sensibile visione di stoffe e animali, di volti ed espressioni,

una capacità che Santi di Tito raccoglie e porta avanti fino alle opere ultime, dipinte ai

primi anni del Seicento.

Tali caratteri della lingua figurativa del pittore furono subito riconosciuti dalla critica

cinquecentesca a partire Raffaello Borghini che ne Il riposo (1584) lo indicò come

uno dei grandi innovatori della scena fiorentina, e tale indicazione venne

sostanzialmente riconosciuta da Bocchi nel suo Le bellezze della città di Fiorenza

(1591) e poi da Baldinucci nelle Notizie dei professori del disegno da Cimabue in qua

(1681-1728) che videro in lui il caposcuola della pittura riformata fiorentina proprio

per la sua capacità di rendere verosimile e domestico un evento di portata

sovrannaturale, come la Resurrezione o, in questo caso, l’Annunciazione.

L’opera in esame s’inserisce perfettamente nella temperie culturale fin qui descritta,

ed è riferibile con sicurezza alla mano di Santi di Tito, il cui stile pittorico è evidente

nei volti ovali, dall’incarnato roseo e dai lineamenti dolci e quieti. Tipica è anche la

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fisionomia della Vergine dalle guance accese e dal volto reclinato nell’accettazione

della volontà divina espressa dall’angelo. La scena si svolge in un ambiente

domestico avvolto d’ombra, ma si riconoscono il lettuccio a il baldacchino, ed anche

la sedia bassa accanto al cesto del lavoro quotidiano: un cesto di vimini,

semplicissimo, che la luce tornisce con effetti di chiaroscuro del tutto in linea con le

novità espressive della fine del Cinquecento. Ed è proprio affidato alla luce il compito

di unificare lo spazio e la scena, una luce che da soprannaturale - un alone intorno

all’angelo e allo Spirito Santo - diventa naturale e porta la pittura a registrare

naturalistici effetti sui corpi e sui panni, oppure a creare abbaglianti contrasti di tono,

macchie di luce e ombre profonde, come il lampo che rende tangibile il muro alle

spalle della Vergine, oppure illumina la paglia dorata della sedia che funge da

inginocchiatoio. Ed è ancora la luce che regola e rende plausibile la spazialità della

scena con espedienti di naturalistico illusionismo che ormai suggeriscono uno spazio

che fino a pochi anni prima sarebbe stato regolato da una prospettiva ferrea.

L’episodio dell’Annunciazione viene così trasportato in uno spazio quotidiano,

domestico e dolce, informato di quel cambiamento di stile che sullo scadere del secolo

porterà alla pittura tenebrosa, pur rimanendo ancora legato alla semplicità “senza

errori” di Andrea del Sarto.

Dal punto di vista della data di esecuzione del dipinto in esame si dovranno svolgere

alcuni confronti con opere di analogo soggetto, quali l’Annunciazione della chiesa

della Compagnia di San Salvatore di Sinalunga, dove una tornitura più salda dei volti

e dei corpi appare coerente con altre opere della fine degli anni Settanta. Più vicina

agli stilemi del dipinto in esame appare invece la semplicità compositiva e il

luminismo dell’Annunciazione del Museo Civico di Sansepolcro, firmata e datata

1589. In quella pala l’angelo inginocchiato sorprende la Vergine nella stanza ombrosa

di un palazzo e affacciata sul paesaggio, un insieme già partecipe del luminismo più

contrastato di questa Annunciazione, che crediamo sia databile oltre la metà degli anni

Novanta del Cinquecento secolo, poco prima dell’Annunciazione per la cappella

Vecchietti a Santa Maria Novella. In quella tavola monumentale eseguita da Santi di

Tito nei primi anni del Seicento, subito prima della morte avvenuta nel 1603, lampi di

luce violenti e accesi provocano ombre profonde che suggeriscono appena lo spazio

della stanza dove l’angelo incontra Maria, lampi che rilevano gli oggetti con maggiore

potenza rispetto al dipinto in esame e raggiungono effetti luministici consapevoli delle

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novità caravaggesche, a testimonianza delle doti pittoriche di un artista che fu

protagonista della scena fiorentina e italiana del tardo Cinquecento.

Firenze, febbraio 2019

Carlo Falciani

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Santi di Tito, Annunciazione, Sinalunga, Chiesa della Compagnia di san Salvatore,

1578 circa.

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Santi di Tito, Annunciazione, Sansepolcro, Museo Civico, 1589.

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Santi di Tito, Annunciazione, Firenze, Santa Maria Novella, 1602-3.