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SANDRO TIBERINI, Colombaie e torri nelle campagne umbre: dagli studi di Desplanques alle ricerche più recenti , in Motte, torri e caseforti nelle campagne medievali (secoli XII-XV). Omaggio ad Aldo A. Settia, atti del Convegno svoltosi a Cherasco presso la sede del CISIM il 23-25 settembre 2005, a cura di R. Comba, F. Panero, G. Pinto, Cherasco (CN), Centro Internazionale di Studi sugli Insediamenti Medievali - Città di Cherasco, 2007, pp. 279-294. Il tema che tratterò in questa sede, vale a dire il nesso che sussiste tra l’eventuale preesistenza di torri isolate e il diffondersi dei “palombari”, richiede per sua natura la rinuncia ad un’ottica puramente settoriale e la disponibilità al confronto con ambiti e metodologie disciplinari paralleli, che esulano almeno in parte dal modo di procedere e dagli strumenti di lavoro specifici della ricerca storiografica. Non a caso, colui che per primo si è occupato diffusamente di insediamenti rurali e di torri colombaie, all’interno di una più ampia indagine sulle tipologie edilizie dell’abitazione contadina e, in generale, sul paesaggio agrario dell’Umbria centro- settentrionale 1 , non è stato uno storico in senso stretto ma un geografo: mi riferisco qui ovviamente a Henri Desplanques la cui esperienza di ricerca, se da una parte rimane ancora insuperata per ampiezza di prospettiva, accuratezza di indagine e profondità di intuizioni, d’altro canto è stata feconda di importanti sviluppi, avendo inaugurato un ricco filone di studi in un settore 1 Per un quadro generale delle indagini sull’abitazione contadina in Italia dal ‘700 in poi, si veda T.SEPPILLI, La casa rurale in Italia. Lineamenti di storia degli studi , in C.GREPPI – S.TINI, Origine e evoluzione del patrimonio edilizio rurale nella Valdichiana umbra e toscana, in Case dei contadini in Valdichiana. Origine e evoluzione del patrimonio edilizio rurale in un’area umbro- toscana, Firenze, Nuova Guaraldi Editrice, 1983 (Contributi del Centro per la ricerca e la documentazione sulle classi rurali della Valdichiana e del Trasimeno, n.2), pp.10-30.

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SANDRO TIBERINI, Colombaie e torri nelle campagne umbre: dagli studi di Desplanques alle ricerche più recenti, in Motte, torri e caseforti nelle campagne medievali (secoli XII-XV). Omaggio ad Aldo A. Settia, atti del Convegno svoltosi a Cherasco presso la sede del CISIM il 23-25 settembre 2005, a cura di R. Comba, F. Panero, G. Pinto, Cherasco (CN), Centro Internazionale di Studi sugli Insediamenti Medievali - Città di Cherasco, 2007, pp. 279-294.

Il tema che tratterò in questa sede, vale a dire il nesso che sussiste tra l’eventuale preesistenza di torri isolate e il diffondersi dei “palombari”, richiede per sua natura la rinuncia ad un’ottica puramente settoriale e la disponibilità al confronto con ambiti e metodologie disciplinari paralleli, che esulano almeno in parte dal modo di procedere e dagli strumenti di lavoro specifici della ricerca storiografica. Non a caso, colui che per primo si è occupato diffusamente di insediamenti rurali e di torri colombaie, all’interno di una più ampia indagine sulle tipologie edilizie dell’abitazione contadina e, in generale, sul paesaggio agrario dell’Umbria centro-settentrionale1, non è stato uno storico in senso stretto ma un geografo: mi riferisco qui ovviamente a Henri Desplanques la cui esperienza di ricerca, se da una parte rimane ancora insuperata per ampiezza di prospettiva, accuratezza di indagine e profondità di intuizioni, d’altro canto è stata feconda di importanti sviluppi, avendo inaugurato un ricco filone di studi in un settore che, in precedenza, era rimasto largamente ai margini degli interessi del mondo accademico umbro2.

In particolare, riguardo al tema specifico qui trattato, in un suo primo lungo saggio dedicato nel 1955 alla casa rurale nell’Umbria centrale, il Nostro dedica varie 1 Per un quadro generale delle indagini sull’abitazione contadina in Italia dal ‘700 in poi, si veda T.SEPPILLI, La casa rurale in Italia. Lineamenti di storia degli studi, in C.GREPPI – S.TINI, Origine e evoluzione del patrimonio edilizio rurale nella Valdichiana umbra e toscana, in Case dei contadini in Valdichiana. Origine e evoluzione del patrimonio edilizio rurale in un’area umbro-toscana, Firenze, Nuova Guaraldi Editrice, 1983 (Contributi del Centro per la ricerca e la documentazione sulle classi rurali della Valdichiana e del Trasimeno, n.2), pp.10-30.2 Tra le numerose pubblicazioni che il Desplanques ha dedicato all’Umbria (per un elenco completo, si veda la bibliografia pubblicata in appendice a A. MELELLI, Ricordando Henri Desplanques…, in Le campagne umbre nelle immagini di Henri Desplanques, a cura di M. Stefanetti, Perugia, Regione dell’Umbria, 1999, pp.16-18), deve essere menzionata in primo luogo Campagnes Ombriennes. Contribution à l’étude des paysages ruraux en Italie Centrale, Paris, Colin, 1969; edizione italiana: Campagne umbre, Perugia, Regione dell’Umbria, 1975, tomi 5 (Quaderni della Regione dell’Umbria, s.n.), grande opera di sintesi preceduta e preparata negli anni ‘50 dal contributo La casa rurale nell’Umbria centrale, in F.BONASERA – H. DESPLANQUES – M. FONDI – A. POETA, La casa rurale nell’Umbria, Firenze, Olschki Editore, 1955, pp.41-140 (tale volume si inserisce nel progetto C.N.R. varato nel 1938 da Renato Biasutti e concretizzatosi nella pubblicazione della collana Ricerche sulle dimore rurali in Italia). Un ampio ragguaglio su quanto è stato prodotto negli ultimi decenni per quello che riguarda i caratteri e l’evoluzione del paesaggio agrario della regione può esser reperito in Le campagne umbre nelle immagini di Henri Desplanques, cit., particolarmente alle pp.182-189, e in Case rurali nel territorio folignate. Un repertorio fotografico, a cura di S.Bosi, presentazione di F.Bettoni, Foligno, comune di Foligno-Associazione Orfini Numeister, 2003, pp.39-43 (con particolare riferimento all’area folignate).

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pagine alla “palombara” (le virgolette sono dell’autore)3, gettando le basi di una lettura di questa componente delle abitazioni coloniche che, ripresa in modo succinto (ma con qualche ulteriore messa a punto) nella monumentale Thèse del 19684, ispirerà largamente i successivi contributi su questo argomento, rimanendo un punto di riferimento indiscusso per i ricercatori che si sono cimentati sulle origini e le peculiarità di tale forma insediativa. Dopo essere partito dalla constatazione che gli esemplari superstiti di queste alte costruzioni a più piani, destinate anche ad ospitare i piccioni domestici, risultano concentrati soprattutto nello Spoletino mentre sono assai meno diffusi nel Perugino, nell’Assisano e in Umbria settentrionale5, l’a. passa a descrivere le varie tipologie di questo manufatto, in se stesso e in connessione con le altre parti del complesso abitativo costituente la casa colonica, producendo anche una ricca documentazione di carattere iconografico ed una chiara cartina tematica. A conclusione della trattazione, viene posto il problema della funzione economica di queste “torri” e, cosa che più interessa dal punto di vista dell’indagine storiografica, dell’origine di esse: per quanto riguarda la prima questione, i “palombari” vengono interpretati come una risposta alla cronica necessità di concime animale che caratterizzava l’azienda contadina prima delle inovazioni agronomiche, in particolare lo sviluppo delle culture foraggere, che permisero, a partire dal secolo XVIII, di incrementare sensibilmente l’allevamento bovino e di disporre quindi di maggiori quantità di letame. In questo contesto, l’abbondante guano che si riusciva a ricavare dall’ allevamento dei volatili doveva costituire una importante risorsa per sopperire a tale cronica carenza, tanto più che la “colombina” era ritenuta un fertilizzante di ottima qualità, in particolare per la coltivazione della canapa, e senza contare che in questo modo, con poca o nessuna spesa si aveva contemporaneamente a disposizione una non irrilevante riserva di carne fresca, cui ricorrere con ragionevole sicurezza in ogni periodo dell’anno6.

Il lungo saggio sulla casa rurale nell’Umbria, di cui ho testé sintetizzati i contenuti che più interessano ai fini del nostro argomento, costituisce indubbiamente il primo nucleo di quello che certamente può essere considerato il capolavoro dello studioso francese, cioè il grande affresco sull’Umbria rurale, portato a compimento e pubblicato alla fine degli anni ’60, proprio quando le antiche strutture socio-economiche che sino ad allora l’avevano sorretta, in primo luogo la mezzadria, stavano definitivamente venendo meno sotto i colpi di una modernizzazione che in pochissimi anni avrebbe cambiato radicalmente il volto delle campagne umbre, e non solo. In questa poderosa sintesi che spazia dalle radici geo-morfologiche e climatiche dei contrasti tra le varie sub-regioni in cui l’Umbria si articola, all’organizzazione del 3DESPLANQUES, La casa rurale nell’Umbria centrale, cit., pp.110-121.4 DESPLANQUES, Campagne umbre, cit., pp.770-771 (tomo 5).5 Tuttavia, secondo il Vinciarelli, nel solo territorio del comune di Castiglione del Lago, vi sarebbe ancora oggi la bellezza di 120 torri colombaie supestiti (N.D. VINCIARELLI, La questione dei centri urbani minori nel sistema collinare del Trasimeno occidentale, Città di Castello, Delta Grafica, 1980, pp.23, 32 e cartina tematica a p.30); ciò, a prescindere dall’attendibilità o meno di tale notizia, pone comunque il problema della necessità di avviare una ricerca sistematica a largo raggio sulle tipologie edilizie rurali, superando la dimensione localistica ancora oggi prevalente nella ricerca.6 DESPLANQUES, La casa rurale nell’Umbria centrale, cit., pp.117-119.

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territorio, alla sistemazione delle campagne, all’utilizzazione del suolo ed alla sua antropizzazione, lo spazio dedicato alla problematica che qui interessa è sicuramente esiguo (poco più di una pagina sulle 920 dell’edizione italiana), tuttavia queste poche righe servono all’autore per puntualizzare ulteriormente il suo pensiero rispetto a quanto da lui sostenuto nel saggio del 1955. Innanzitutto, sia la “palombara” che la torre isolata propriamente destinata alla difesa vengono annoverate tra le prime manifestazioni del defluire dell’insediamento dalla forma accentrata del castrum, affermatasi a partire dal X-XI secolo e divenuta predominante nel secolo XIV, a causa dell’aggravarsi delle condizioni di insicurezza nelle campagne7, a quella decentrata dell’insediamento sparso, la quale tuttavia si diffonderà in modo significativo solo a partire dal secolo XVI, in concomitanza con il rafforzarsi della mezzadria8. Inoltre, a parziale integrazione di quanto ipotizzato in precedenza sull’origine sostanzialmente “economica” delle palombare, viene proposta l’esistenza di un legame originario tra molte di esse e gli edifici fortificati che si erano venuti costruendo al di fuori delle cinte murarie cittadine o castrensi: “Non tutte le torri sono palombare, ma molte palombare hanno avuto originariamente una funzione di difesa”, afferma il Desplanques9. Tale legame, come pare di capire, si dovette concretizzare sia nel riutilizzo a scopi produttivi di strutture preesistenti il cui carattere militare andava scemando di importanza, sia destinando all’allevamento dei piccioni l’ultimo dei piani della “casa torre”, in cui si sarebbero concentrati sia l’alloggio del colono che gli altri annessi; ciò presupponendo che questa tipologia abitativa, come sopra è stato detto, si andasse diffondendo nelle campagne in seguito alla crisi del secolo XIV, sotto la pressione di un accresciuto stato di insicurezza che, pur non riuscendo ad annullare la tendenza ormai in atto ad una delocalizzazione degli insediamenti rurali al di fuori dei centri incastellati, costringeva comunque gli ancora scarsi abitatori dei luoghi non protetti a premunirsi autonomamente da eventuali attacchi di predoni o di soldatesche.

Questo modello interpretativo, sull’onda del grande successo che Campagne umbre ha riscosso tra gli studiosi, locali e non solo, è stato ampiamente ripreso senza sostanziali variazioni da tutti coloro che nei decenni successivi si sono occupati in modo più o meno specifico dell’argomento, con una avvertenza e cioè che, relativamente al binomio colombaie-torri da cui questa esposizione ha preso le mosse, l’attenzione dei ricercatori si è essenzialmente concentrata sul primo aspetto, lasciando nell’ombra il secondo o limitandosi a prenderlo in considerazione solo in funzione del primo. In ogni caso, oltre ai lavori del Melelli10, della Palomba11 e del

7 “Il ‘300 è per l’Umbria il secolo delle fortezze, dei <<nidi d’aquila>>” (DESPLANQUES, Campagne umbre, cit., p.751, tomo 5).8 Ivi, p. 777 e segg. Per un bilancio critico degli studi relativi alle forme ed alle modalità di diffusione dell’insediamento sparso in Italia centro-settentrionale, si veda R.COMBA, La dispersione dell’habitat nell’Italia centro settentrionale tra XII eXV secolo. Vent’anni di ricerche, in “Studi storici”, 1984, 3, pp.765-7839 DESPLANQUES, Campagne umbre, cit., p.771.10 A. MELELLI, Il vecchio paesaggio agrario, in Attraverso l’Italia.Umbria, Milano, Touring Club, 1984, p.163.

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Santucci12, va segnalata l’indagine di Bernardino Sperandio, autore, oltre che di saggi minori sull’argomento13, di un ricca monografia14, oltretutto assai godibile per la veste tipografica e per l’abbondantissimo corredo iconografico comprendente fotografie, disegni e grafici di grande interesse per la loro funzione esemplificativa e di documentazione. Fermo restando lo schema concettuale di fondo ripreso dal Desplanques, da cui l’autore non si discosta, l’opera si distingue per il grosso lavoro di indagine sul campo, tendente a raccogliere la messe più abbondante possibile di rilevazioni grafiche e fotografiche, finalizzate alla formazione di una sorta di archivio in cui tutte le diverse forme e tipologie delle colombare siano documentate nelle loro svariate caratteristiche; e questo è certamente l’aspetto più riuscito e convincente, oltre che assai utile, del lavoro. D’altra parte, obiettivo della ricerca è anche quello di fornire pezze d’appoggio all’ipotesi della derivazione “militare” delle colombare medesime, sia con l’utilizzo di materiali largamente attinti dai testi storiografici di carattere generale e cronachistici, sia soprattutto partendo da ciò che può essere dedotto a partire dalla osservazione delle emergenze architettoniche15; decisamente

11 M.P.PALOMBA, Le “querce camporili”, l’attività estrattiva, i castelli su conoide di Eggi e di San Giacomo, le “case torri-colombaie”: esempi dal territorio spoletino, in Guida alla lettura ed interpretazione del paesaggio appenninico, Perugia, Università degli Studi, 1998, pp.55-84 (Quaderni dell’Istituto policattedra di Geografia, Perugia, 17, 1995). C.MEDORI-M.P.PALOMBA, Spoleto e il suo territorio: il centro storico, la Rocca Albornoziana, il Monteluco (lecceta primigenia). Centri minori dello spoletino: il castello di Eggi e San Giacomo di Spoleto (case torri palombaie), in Indicazioni itinerarie per le escursioni del 36° convegno nazionale dell’Associazione italiana insegnanti di Geografia. Perugina, 13-17 settembre 1993, Perugia (Sezione Umbria dell’Associazione italiana insegnanti di Geografia), Guerra 1993 pp.147-162.12 F. SANTUCCI, Le ultime palombare del territorio di Assisi, in “Subasio”, a. VI (1998), 3, pp.36-40.13 B.SPERANDIO, Le torri colombaie in Spoleto, in Spoleto. Argomenti di storia urbana, Cinisello Balsamo, Consorzio economico-urbanistico e per i beni culturali del comprensorio spoletino-Silvana Editoriale, 1985, pp.113-116. IDEM, Un esempio di architettura rurale: la casa torre-colombaia, in “Musei in Valle Umbra”, Atti del Convegno (Foligno 1982), Firenze, Centro Di, 1985, pp.57-64.14 B.SPERANDIO, Le colombaie nell’Umbria meridionale, Spoleto, Accademia Spoletina-Dharba Editrice, 1991.15 Un esempio del modo, francamente discutibile, con cui procede lo Sperandio nell’estrapolare da elementi passibili di interpretazioni divergenti il significato che meglio si adatta alla tesi che egli intende dimostrare lo si trova laddove, come prova dell’origine trecentesca delle case-torri che sarebbero state le progenitrici delle colombaie, viene prodotta una scultura che si osserva su un architrave della colombaia di Lenano, presso Campello alto e che raffigura un giglio araldico: essendo questo anche un singolo guelfo, l’a. non ha nessuna difficoltà a porre in relazione la costruzione di questa torre alla cacciata dei guelfi dalla città di Spoleto, avvenuta agli inizi del secolo XIV, per cui “si può ipotizzare una organizzazione temporanea di questi fuoriusciti nel territorio negli anni di esilio, con strutture atte alla difesa ed alla sussistenza, come la torre colombaia guelfa di Lenano” (Ivi, p.28). Non credo ci sia bisogno di essere esperti in materia per rendersi conto di come la figura del giglio, o fiordaliso, pur essendo anche riconducibile al guelfismo, costituisca uno dei “segni araldici più diffusi in assoluto” insieme al leone, all’aquila e alla croce (H. ZUG TUCCI, Un linguaggio feudale: l’araldica, in Storia d’Italia. Annali, 1. Dal feudalesimo al capitalismo, Torino, Einaudi, 1978, p.836), per cui non ritengo possa essere assunta sic et simpliciter come elemento probante di una origine “guelfa” del manufatto in questione. Senza

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più modesto è l’apporto della documentazione propriamente archivistica, in particolare degli atti notarili, che pure non mancano certamente per l’età moderna. Tale carenza viene apertamente riconosciuta anche dall’autore, il quale la motiva adducendo “le numerose difficoltà legate principalmente alla scarsa documentazione pubblicata sull’argomento e per la mancanza di studi, da parte degli specialisti sui documenti notarili”, per cui “mancando questi solidi supporti lo studio è stato impostato sulla documentazione che si è riusciti a reperire e soprattutto analizzando le strutture esistenti”16. Per inciso, a proposito dell’altro problema che il Desplanques lascia aperto, vale a dire quello relativo alle difformità tra i diversi territori umbri nella distribuzione delle torri colombaie, essa viene ricondotta, sulla base di quanto sostenuto dall’agronomo settecentesco Ancaiani, ad una supposta maggiore arretratezza agricola dello Spoletino rispetto al Folignate e soprattutto al Perugino, ove più precocemente sarebbe stato introdotto l’allevamento intensivo dei bovini in stalla, determinando quindi il venir meno della principale ragion d’essere della colombaia, vale a dire la produzione di concime17; tale valutazione tuttavia non tiene conto del fatto che la “rivoluzione foraggera”, vale a dire lo sviluppo delle coltivazioni dell’erba medica e del trifoglio, necessario presupposto di questa innovazione, si affermò nell’Umbria mezzadrile solo molto più tardi: basti ricordare che, ancora nel 1884, l’inchiesta Iacini censiva appena 3425 ettari di prato artificiale nei circondari di Perugia, Foligno e Spoleto messi insieme18; solo all’inizio degli anni ’20 del XX secolo il valore regionale medio dell’estensione delle foraggere si avvicinerà a quello nazionale19

A conclusione di questa breve rassegna sugli studi relativi alla torre colombaia e, più in generale, alle vicende dell’insediamento rurale nella regione qui considerata, vorrei menzionare un contributo di Alberto Grohamnn, risalente a più di venti anni fa ma ancora pienamente attuale per la chiarezza con cui evidenzia quelli che ancora oggi sono le potenzialità e i limiti degli studi relativi a questo come ad altri aspetti del paesaggio agrario in Umbria20; mi sia dunque consentito di citarne un passo, in cui l’autore mette in luce quale dovrebbe esser la strategia da adottare per far sì che l’indagine in questo settore possa procedere oltre, mettendo in gioco sino in fondo

contare che l’insegna che la comunità di Campello aveva anticamente adottato e che a tutt’oggi costituisce lo stemma del comune, è appunto un giglio sormontato da un cappello, come risulta dallo statuto del 1569 (P. CAMPELLO DELLA SPINA, Storia documentaria anedottica di una famiglia umbra. Parte I. Il castello di Campello. Bernardino di Campello, Città di Castello, Lapi Tipografo-editore, 1889, p.273); per cui, senza scomodare i fuoriusciti guelfi spoletini, sarebbe altrettanto, e forse più, plausibile collegare la presenza del simbolo araldico ad un qualche diritto della comunità locale medesima sull’edificio, che del resto sorgeva non lontano dal castello in cui essa aveva sede. 16 SPERANDIO, Le colombaie nell’Umbria meridionale, cit., p.21 nota 417 Ivi, pp.136-137.18 Atti della Giunta per l’inchiesta agraria e sulle condizioni della classe agricola, vol. XI, tomo II, Roma 1884, p.269. 19 G.NENCI, Proprietari e contadini nell’Umbria mezzadrile, in Storia d’Italia. Le regioni dall’Unità ad oggi. L’Umbria, a cura di R.Covino e G.Gallo, Torino, Einaudi, 1989, pp.218-21920 A.GROHMANN, Entità dei focolari e tipologie insediative nel contado perugino del sec. XV, in Strutture familiari, epidemie, migrazioni nell’Italia medievale, a cura di R.Comba-G.Piccinni-G.Pinto, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1984 (Nuove ricerche di storia, 2), pp.269-290

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tutte le grandi potenzialità latenti nel mondo della ricerca: “Anche se negli ultimi anni si è assistito ad una crescente utilizzazione delle fonti materiali accanto a quelle documentarie al fine della migliore comprensione dell’organizzazione dello spazio in determinate aree….va sottolineato che, ancora a tutt’oggi, nella stragrande maggioranza dei casi lo studio delle tipologie insediative è portato avanti essenzialmente sulla base di analisi degli elementi planimetrici e architettonici. Ci sembra giunto il momento che lo studio delle tipologie venga effettuato con una nuova metodologia che si basi sull’apporto interdisciplinare di storici, archeologi, architetti, demografi, geografi, al fine di evidenziare i rapporti tra tipologia/morfologia/andamento economico e demografico di sistemi complessi di insediamenti umani”21. A me sembra che queste considerazioni mantengano anche al presente la loro validità, in quanto, come credo emerga in modo chiaro dal quadro che sopra ho cercato di tratteggiare, ancora oggi, a fronte di una copiosa produzione di indagini che tendono a fornire un quadro sempre più ricco e particolareggiato delle diverse forme dell’insediamento nella realtà rurale, si registra il persistere di una scarsa propensione a costruire occasioni di collaborazione non episodica tra ambiti disciplinari distinti, in primo luogo tra storici e geografi: tanto per esemplificare, basti osservare che, rispetto al tema specifico di questa trattazione, praticamente solo questi ultimi, sulla scia del Desplanques, hanno orientato la loro attenzione su di esso22, mentre gli storici se ne sono disinteressati completamente23. Anche le carenze

21 Ivi, p.286.22 Tra tutti i ricercatori sopra citati, solo il prof. Francesco Santucci può essere definito uno storico a tutti gli effetti; gli altri, a cominciare dal Desplanques, pur spaziando in modo poliedrico su vari campi, e principalmente nell’ambito storiografico, rimangono soprattutto geografi, o anche geografi/architetti, o architetti/geografi.23 Non mancano tuttavia importanti personalità del mondo della storiografia umbra che si sono occupati in generale di paesaggio agrario: mi riferico in primo luogo al Grohmann, che a più riprese ha approfondito le tematiche degli insediamenti rurali nel comitato, soprattutto da un’ottica socio-economica, in primo luogo nella sua opera di più ampio respiro, vale a dire Città e territorio tra Medioevo ed età moderna (Perugia, XIII-XVI secolo) Perugia, Volumnia, 1981, ma anche in altri contributi prodotti in diverse occasioni, soprattutto negli anni ’80 (oltre al già menzionato GROHMANN, Entità dei focolari e tipologie insediative, IDEM, Per una tipologia degli insediamenti umani del contado di Assisi, in Assisi al tempo di S. Francesco, atti del V Convegno internazionale della Società internazionale di studi francescani, Assisi 13-16 ottobre 1977, Assisi, Tipografia Porziuncola, 1978, pp.181-246. IDEM, Ricchezza e potere a Perugia dall’avvento di Braccio alla Guerra del sale (1416-1540), in “Annali della Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Perugia. Materiali di storia”, 16, 4 (1979-80), pp.127-46. IDEM, La struttura della proprietà ecclesiastica nella diocesi medievale di Assisi sulla base del catasto del 1354, in Studi di storia medievale e moderna per Ernesto Sestan, Firenze, Olschki, 1980, I, pp.339-402. IDEM, Uomini e acque in un passato recente, in L’Umbria e le sue acque. Fiumi e torrenti di una regione italiana, a cura di A.Grohmann, Perugia, Electa, 1990, pp.14-32). Anche Fabio Bettoni ha rivolto ripetutamente la sua attenzione a queste problematiche, con particolare riferimento all’area montuosa appenninica ed alla regimazione delle acque in territorio folignate (F.BETTONI, Per la storia di un’azienda agraria nell’area di bonfica della Valle Umbra: la tenuta Nicolini ai paduli di Foligno nel XVIII secolo, in “Bollettino storico della città di Foligno”, VIII (1984), pp.315-351. IDEM, La visita di Pietro Ostini ai fiumi e torrenti della pianura di Foligno nel 1748, ivi, IX (1985), pp.215-255. F.BETTONI – B.MARINELLI – G.METELLI, Città e

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che sopra sono state evidenziate per ciò che riguarda l’utilizzo della documentazione di archivio nella costruzione di modelli interpretativi atti a individuare le dinamiche che si trovano all’origine delle torri colombaie e che ne hanno condizionato le vicende, stanno lì a testimoniare le difficoltà che ancora sussistono nell’avviare un circuito comunicativo tale da avviare una feconda collaborazione tra discipline che, per la loro affinità e complementarietà, sicuramente avrebbero molto da guadagnare nell’impegnarsi con convinzione in questa sfida.

Questo anche e soprattutto perché solo il supporto della ricerca storico-archivistica, se effettuata con criteri metodologici di tipo scientifico, può fornire un contributo determinante a sciogliere in un senso o in un altro quei nodi problematici rispetto ai quali la pratica della semplice osservazione sul campo non riesce a fornire risposte univoche. A tale proposito, vorrei proporre qui un piccolo esempio dei risultati che si potrebbero ottenere attraverso un più sistematico e proficuo utilizzo di questi strumenti di indagine: in primo luogo, assumendo come “campioni” i territori di Perugia e di Gubbio24, per i quali si dispone di una documentazione abbastanza ricca relativamente ai secoli XI-XII25, si nota subito che, in questa fase, le fonti non rilevano alcuna traccia della tipologia edilizia della torre isolata, o comunque la si

montagna nell’Umbria centro-orientale, in “Proposte e ricerche”, n.20 (1988), pp.48-61. F. BETTONI- A. GROHMANN, La montagna appenninica, in Storia dell’agricoltura italiana in età contemporanea, a cura di P.Bevilacqua, Venezia, Marsilio, 1989, pp.585-641. F.BETTONI, Un profilo dell’agricoltura montana, in Storia d’Italia. L’Umbria, cit., pp.287-340. IDEM, Il controllo pubblico sulle acque, dalle magistrature medievali ai consorzi moderni: il caso di Foligno , in L’Umbria e le sue acque. Fiumi e torrenti di una regione italiana, a cura di A.Grohmann, Perugia, Electa, 1990, pp.72-77. IDEM, La bonifica della Valle umbra e alcuni documenti cartografici del XVII e XVIII secolo, in L’Umbria e le sue acque, cit., pp.78-86).24 Ovviamente, il termine “campione” viene qui usato solamente nel senso di “esemplificazione” che non pretende di fornire una chiave di lettura estensibile all’intera realtà regionale.25 Per l’area eugubina, rimane ancora indispensabile P. CENCI, Carte e diplomi di Gubbio dall'anno 900 al 1200, Perugia, Unione Tipografica Cooperativa, 1915, da integrare con Carte di Fonte Avellana-I (975-1139), a cura di C.Pierucci e F.Polverari, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 1972 (Thesaurus Ecclesiarum Italiae, IX, 1) e Carte di Fonte Avellana-II(1140-1202), a cura di C.Pierucci e F.Polverari, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 1977 (Thesaurus Ecclesiarum Italiae, IX, 2). Per il Perugino vi sono in primo luogo i grandi cartari monastici, già pubblicati nelle loro parti più antiche: Le piu' antiche carte dell'abbazia di S. Maria di Valdiponte (Montelabbate) - I (969-1170), a cura di V. De Donato, Roma, Istituto storico italiano per il medio evo, 1962 (Regesta Chartarum Italiae, s.n.). Le piu' antiche carte dell'abbazia di S. Maria di Valdiponte (Montelabbate) II (1171-1200), a cura di V. De Donato e P. Monacchia, Roma, Istituto storico Italiano per il medio evo 1988 (Regesta Chartarum Italiae, s.n.). Le carte dell’Archivio di S.Pietro di Perugia, a cura di T.Leccisotti-C.Tabarelli, Milano, Giuffrè, 1956. Anche il primo volume del “Codice diplomatico” del Bartoli Langeli aggiunge altri materali, riferiti alla fase più antica del comune cittadino (A.BARTOLI LANGELI, Codice diplomatico del comune di Perugia. Periodo comunale e podestarile (1139-1254), Perugia, Deputazione di storia patria per l’Umbria, 1983, I (Fonti per la storia dell’Umbria, n.15). Infine, le pergamene conservate nell’archivio della cattedrale di S. Lorenzo di Perugia sono state recentemente pubblicate dal Maiarelli (Le più antiche carte della cattedrale di S. Lorenzo di Perugia (1010-1300), a cura di A. Maiarelli, Fondazione del Centro italiano di studi sull’alto medioevo, Spoleto 2006). A ciò, naturalmente, va aggiunto tutto quanto è possibile rastrellare per l’area in questione nelle grandi raccolte dei documenti di produzione imperiale e pontificia.

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voglia chiamare26, al di fuori del contesto abitativo del castrum o della città27. Con tuttavia una eccezione possibile, quella cioè contenuta nel cartario di S.Maria di Valdiponte; in esso infatti abbiamo due pattuizioni del 1195, stipulate contestualmente nel medesimo giorno, che sembrerebbero attenuare la drasticità di tale conclusione: nel primo un podere, già di tale Tancredi de latro28, viene donato al monastero da un gruppo di personaggi che dovrebbero essere identificati come le quattro figlie del defunto proprietario e i loro rispettivi mariti; la donazione comprende casis cum griptis et terris… homines cum feudis et tenimentis et usariis et servitiis, terris…29. Subito dopo gli stessi beni vengono dall’abbate Armanno retrocessi in enfiteusi ai donatori30; nella descrizione di tali beni apparirebbe però ora un elemento nuovo, non menzionato nell’atto precedente, cioè una turris (la concessione comprende terris, vineis…homines cum usariis et servitiis et t(ur)ri(m)); ciò dunque potrebbe indurre ad una retrodatazione significativa degli inizi del fenomeno delle torri isolate in area perugina. In realtà, l’interpretazione del segno grafico tri che il De Donato scioglie in “turris” risulta assai incerta, tanto che lo stesso editore, anche se dubitativamente, ne propone una alternativa, cioè terris, sicuramente più accettabile sia sulla base della similitudine, almeno relativa, delle formule usate nei due atti (homines cum feudis et tenimentis et usariis et servitiis, terris – homines cum usariis et servitiis et terris), sia anche perché in tal modo verrebbe meno l’anomalia costituita dalla non menzione nell’atto di donazione di un annesso importante come una torre, che invece risulterebbe nominata nell’atto di enfiteusi costestualmente stipulato

Comunque stiano le cose, è nel ‘200 che si hanno le prime segnalazioni significative su tali fortificazioni: abbiamo infatti alcune carte del primo decennio del secolo, provenienti sempre dall’archivio di S.Maria di Valdiponte, che fanno riferimento nella loro data topica a due turres, una denominata de Ruscia31 e un’altra

26 Vari interventi inseriti nel presente volume sottolineano la necessità di realizzare un “censimento” del lessico quanto mai vario che viene utilizzato in Italia per indicare tali emergenze architettoniche (airale, palatium, motta, domus fortis, bastita, palatium fortis, fortilitium o addirittura castrum…); ciò al fine di stabilire in che misura tale multiforme terminologia individui o meno tipologie diverse di costruzioni isolate dotate di accorgimenti fortificatori.27 I pochi toponimi che rimandano alla presenza di turres fanno sempre riferimento a realtà castrensi, o curtensi, in cui queste torri sono organicamente inserite (CENCI, Carte e diplomi di Gubbio, cit.pp. 57, 205, 207, 310. Le piu' antiche carte dell'abbazia di S. Maria di Valdiponte, II, cit., p.26). 28 Su costui e sui suoi eredi, S. TIBERINI, Le signorie rurali nell’Umbria settentrionale. Perugia e Gubbio, secc.XI-XIII, Roma, Ministero per i beni e le attività culturali, Ufficio centrale per i beni archivistici, 1999 (Pubblicazioni degli Archivi, di Stato, saggi, n.52), pp.243 nota 63, 253, 274 nota 178, e IDEM, Repertorio delle famiglie e dei gruppi signorili nel Perugino e nell’Eugubino, tra XI e XIII secolo (con un saggio introduttivo), Deputazione di storia patria per l’Umbria, Perugia 2006, ed. in E-book, in www.dspu.it, pubblicazioni, sch. n. 108.29 Le più antiche carte dell'abbazia di S. Maria di Valdiponte- II, cit., n.173, pp.127-129.30 Ivi, n.174, pp.129-131.31 Archivio di Stato di Perugia, Corporazioni religiose soppresse, S. Maria di Valdiponte, Pergamene, nn.236, 1206, e 274, 1210

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filiorum Iacuni et Ruzoli32; non è identificabile però la loro collocazione, e non è nemmeno certo che si tratti di torri extra moenia, anche perchè in un atto successivo, riferito al 122433, compare di nuovo nella data topica la detta torre di Ruscia, con la specificazione però che la camera notarii ove l’atto è stato rogato si trova davanti ad essa: almeno in questo caso, dunque, un simile insieme urbanistico mi sembra francamente più compatibile con una situazione cittadina, piuttosto che con una rurale. Solo dunque a partire dalla seconda metà del ‘200 le fonti cominciano a fornire notizie inequivocabili sull’esistenza nel territorio di edifici fortificati isolati, inizialmente a Perugia, con la menzione nel 1259 di una torre sita presso la pieve di S.Quirico34, e successivamente a Gubbio, ove simili edifici sono attestati nelle fonti a partire dal 132635. Si può quindi affermare che, per lo meno nelle aree considerate, le fonti archivistiche confermano in linea di massima quanto tradizionalmente sostenuto sulla cronologia del fenomeno, vale a dire che la diffusione di questa tipologia costruttiva comincia a manifestarsi a partire dal secolo XIV (ma a Perugia, come si è visto sopra, si risale più indietro, almeno alla metà del ‘200, se non anche agli inizi del secolo). Qualche dubbio invece sorge sulla chiave di lettura che viene fornita del dato di fatto che, nei secoli precedenti, non si abbiano attestazioni di fortificazioni isolate: si sostiene in proposito che la causa di ciò sarebbe da individuarsi nel fenomeno dell’incastellamento, interpretato come prodotto della mancanza di sicurezza cha avrebbe avuto come conseguenza il concentramento della popolazione nel castra36, per cui la comparsa della “torre fortificata” avrebbe rappresentato “una

32 Ivi, n.238, 120633 ivi, n.37034 A. BARTOLI LANGELI - M.P. CORBUCCI, I "libri dei banditi" del comune di Perugia (1246-1262), in “Bollettino della Deputazione di storia patria per l’Umbria”, vol. LXXV (1978), n. 595. Successivamente, nello statuto del 1279, nel definire i limiti esterni dei miliaria, cioè della fascia di un miglio tra le mura cittadine e il comitato propriamente detto, in corrispondenza di di Porta S. Angelo e di Porta S.Pietro, si menzionano rispettivamente la turris que est in campo domini Elimosine Benedictoli (Statuto del comune di Perugia del 1279, a cura di S.Caprioli e A.Bartoli Langeli, Perugia, Deputazione di storia patria per l'Umbria, 1996 (Fonti per la storia dell'Umbria, n.22), rubr.123, p.137) e la turris filii Vilani (Ivi, rubr. 124, p.138). Nel 1293, è lo stesso comune di Perugia che si fa promotore della costruzione di una turris seu fortalitia que debet fieri iuxta pontem de Clanibus in Clusio perusino (Archivio di Stato di Perugia, Archivio storico del comune di Perugia, Massari, 30, c.1v; 36, c.11v): si tratta di un fortilizio costruito al confine con il distretto di Siena, nel territorio di Castiglione del Lago, l’antico “Chiugi” perugino (in proposito, si veda G.RIGANELLI, Signora del Lago, signora del Chiugi. Perugia e il lago Trasimeno in epoca comunale (prima metà sec.XII-metà sec.XIV), Perugia, EFFE Edizioni, 2002, pp.135-136). Un atto privato del 1299 ci informa poi dell’esistenza di una turris de Gaçano, nel territorio di Compresseto, tra Gualdo Tadino e Casacastalda (Archivio storico del comune di Gualdo Tadino, Archivio preunitario, 1, perg.160, ex 153).35 Si veda in proposito la silloge di P.L. Menichetti, da consultarsi con molta cautela, ma comunque assai utile per la grande mole di materiale documentario che rende agevolmente disponibile (P. L. MENICHETTI, Castelli, palazzi fortificati, fortilizi, torri di Gubbio dal secolo XI al XIV, Città di Castello, Rubini & Petruzzi, 1979, p.390; altre notizie sono a pp. 1-2, 17, 43-44, 70-71, 90, 146, 149, 180, 185, 190-191, 198, 247, 256-257, 285, 294-295, 303-304, 320-321, 377).36 DESPLANQUES, Campagne umbre, cit., p.747.

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delle prime forme di insediamento sparso”37, destinato ad affermarsi più tardi, superando in tal modo le più antiche forme abitative accentrate di origine altomedievale.

Ora, rispetto a questo modello interpretativo, è necessario precisare che, per lo meno nelle aree qui prese in esame (ma si ha ragione di ritenere che parte almeno di queste considerazioni si possano estendere anche ad un contesto più ampio38), il processo di incastellamento, oltre ad iniziare assai più tardi di quanto sembrano pensare i nostri geografi, ebbe in origine un carattere precipuamente signorile; in esso le motivazioni connesse con la volontà da parte dei domini del comitato, laici ed ecclesiastici, di rafforzare il controllo sui laboratores delle campagne rivestirono altrettanta, se non anche maggiore importanza, di quelle legate alla necessità di venire incontro alla richiesta di protezione che veniva dalle popolazioni rurali39. In realtà, come anche il Desplaques nota40, l’insicurezza non sembra essere, nelle aree qui prese in considerazione, il dato dominante dei secoli XI-XIII, ma del XIV, per cui le torri isolate ritengo non debbano essere viste tanto come manifestazioni pionieristiche dell’inizio di un deflusso degli insediamenti dall’interno delle cinte castrensi allo spazio aperto della campagna, quanto piuttosto come forme che definirei di ulteriore e residuale “microincastellamento” le quali però, se da una parte appaiono finalizzate a rendere più fitte e capillari le maglie della rete di controllo del territorio, dall’altra rispondono ad una logica assai diversa da quella del primitivo incastellamento signorile, come anche di quello promosso dai comuni cittadini41; tale logica risulta improntata non più all’esigenza di “proteggere e dominare”, ma unicamente alla necessità, divenuta prioritaria, di “proteggere”, moltiplicando i presidi posti a difesa non tanto delle popolazioni, ancora concentrate nei castra, quanto piuttosto di beni e prodotti agricoli, come anche di enti religiosi isolati.

Da questo punto di vista, la situazione eugubina fornisce dei dati di grande interesse sui caratteri di queste nuove forme di organizzazione difensiva: intanto la locuzione solitamente impiegata per indicare queste costruzioni è palatium, mentre solo in due casi le fonti fanno cenno a turres42 e in un caso fortilitium43. Vero è che il termine palatium, di gran lunga il più presente nelle fonti, allude ad una finalità, oltre 37 Ivi, p.770.38 I saggi raccolti in ALDO A. SETTIA, Proteggere e dominare. Fortificazioni e popolamento nell’Italia medievale, Roma, Viella Libreria Editrice, 1999 forniscono indubbiamente un quadro assai ricco della problematica relativa a tale argomento.39 TIBERINI, Le signorie rurali nell’Umbria settentrionale, cit., p.226 e segg. IDEM, L’evoluzione delle forme di incastellamento in territorio perugino ed eugubino tra XII e XIII secolo, in Rocche e fortificazioni nello Stato della Chiesa, a cura di M.G. Nico Ottaviani, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2004 (Pubblicazioni dell’Università degli Studi di Perugia, dipartimento di scienze storiche, 13), pp.155-181.40 DESPLANQUES, Campagne umbre, cit., p.751.41 S. TIBERINI, I “borghi nuovi” di iniziativa comunale nei territori di Perugia e di Gubbio (sec.XIII), in Borghi nuovi e borghi franchi nel processo di costruzione dei distretti comunali nell’Italia centro-settentrionale (secoli XII-XIV), atti del Convegno svoltosi a Cherasco nei giorni 8-10 giugno 2001, a cura di R.Comba, F.Panero, G.Pinto, Cherasco-Cuneo, Centro internazionale di studi sugli insediamenti medievali (CISIM)- Società per gli studi storici, archeologici ed artistici della provincia di Cuneo, 2002 (Insediamenti e Cultura Materiale, I), pp.189-245.

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che puramente difensiva, anche abitativa, e quindi architettonicamente più complessa e articolata, di tale costruzione, che quindi doveva differenziarsi dalla nuda ed elementare verticalità della turris; tuttavia la percezione che ne avevano i contemporanei era sicuramente tale da porre senz’altro al primo posto il carattere di edificio fortificato, e quindi atto alla difesa ed al controllo del territorio, che esso doveva possedere per sua natura. Lo si desume chiaramente dal tenore delle carte eugubine, in cui il più delle volte tali palatia, soprattutto tra la fine del Trecento e gli inizi del Quattrocento, vengono menzionati: si tratta assai spesso di delibere dell’autorità comunale assunte in momenti di particolare emergenza (e mi riferisco qui specificamente agli anni tra il 1380 e il 1384, quando assistiamo alla crisi ed al definitivo tramonto dell’ autonomia delle istituzioni comunali eugubine, sotto i colpi degli appetiti contrastanti delle potenti città vicine, in primo luogo Perugia, e di grandi organismi signorili, come quello dei Montefeltro, che nel 1384 riuscirono ad acquisire il dominio della città e del suo territorio, mantenendolo poi per più di due secoli e mezzo44). In tali occasioni frequentemente si dispone che guarnigioni più o meno numerose di armati siano installate a presidio di questi fortilizi, precipuamente con il compito di contribuire ad ostacolare l’iniziativa dei nemici della città.

In particolare, sin dal 1326 risulta che tale Mathiolus Accorrimbonis, aveva ricevuto in dotazione dal comune di Gubbio due balestre, due baldreria (forse “bandoliere”?) e 200 quarellos (dardi) pro defensione palatii Çangoli Bonaiuti45. Sono tuttavia gli anni tra il 1380 e il 1383, anni come si è detto di gravissima emergenza istituzionale e militare, che ci forniscono la maggior parte delle notizie sull’utilizzo a scopi di difesa di questi “palazzi”: così, nel 1380 viene segnalata una

42 Si tratta della Turris Caroli (MENICHETTI, Castelli, palazzi fortificati, cit., pp.70-71) e della Torre di Malpensiero (Ivi, p.198).43 Fortilitium (o turris) S.Verecundi, ivi, pp.320-21, 1410.44 Sull’argomento, si vedano G.FRANCESCHINI, Gubbio dal comune alla signoria dei Montefeltro, in Storia e arte in Umbria nell’età comunale, atti del VI Convegno di studi umbri (Gubbio, 26-30 maggio 1968), Perugia, Centro di studi umbri-Casa di Sant’Ubaldo, Gubbio-Facoltà di lettere e filosofia dell’Università degli Studi di Perugia, 1971, II, pp.363-395. P.L. MELONI, La rocca posteriore di Gubbio sul monte Ingino, già in La rocca posteriore sul monte Ingino di Gubbio (Campagne di scavo 1975-1977), a cura di P.Angelucci, G.Barker, A.Finetti, P.Flavell, C.Malone, P.L.Meloni, F.Mezzanotte, M.P.Saccucci, F.Schippa, S.Stoddart, D.Witehouse, Perugia-Firenze, Regione dell’Umbria-La Nuova Italia Editrice, 1987 (Quaderni del Centro per il collegamento degli studi medievali e umanistici nell’Università di Perugia, n.16), pp.95-162, ora in IDEM, Saggi sull’Umbria medievale, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1994 (Studi e ricerche dell’Istituto di storia della Facoltà di Magistero dell’Università di Perugia, n.12), particolarmente alle pp.373-384. P.L.MENICHETTI, Storia di Gubbio dalle origini all’unità d’Italia, Città di Castello, Petruzzi, 1987, vol. I, pp.103-164. C.H. CLUOGH, L’avvento della signoria dei Montefeltro a Gubbio, in “Bollettino della Deputazione di storia patria per l’Umbria”, LXXXVI (1989), pp.267-274. F. COSTANTINI, Decadenza e fine del libero comune di Gubbio, in Istituto Statale d’Arte Gubbio 1959-1989, Padule di Gubbio, 1992. C. REGNI, I Gabrielli di Gubbio: una precoce esperienza signorile umbra? Prime riflessioni, in Studi sull’Umbria medievale e umanistica in ricordo di Olga Marinelli, Pier Lorenzo Meloni, Ugolino Nicolini, a cura di M.Donnini ed E.Menestò, Spoleto, Centro italiano di studi sull’alto medioevo, 2000, particolarmente alle pp. 412-41545 MENICHETTI, Castelli, palazzi fortificati, cit., p.390

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guarnigione che presidiava palatium Phylippi Philippucii46; l’anno successivo è la volta di palatium ser Iacobi Conventutii47 e di palatium Putii Mini de Conventinis48, del quale ultimo si sa che era stato ulteriormente fortificato; notizie dello stesso tenore si hanno, per il 1282, in riferimento a palatium filiorum Ceccarini49, palatium filiorum ser Corsini50, palatium [plebis?] Loreti51, palatium ser Pauli Butii52; per il 1383 relativamente a palatium Achillis53 e per il 1384 per palatium Valecchie54. Anche in queste situazioni, si va dalla installazione di guarnigioni, in genere esigue, di armati, alla assegnazione di provviste di verrettoni per le balestre; in un caso, quello cioè del palatium Velecchie, si delibererebbe nientemeno che di installarvi delle bombarde, trasferendole dal castrum di Carestello.

Successivamente, cessano quasi totalmente le indicazioni relative ad un utilizzo di tipo militare di queste fortificazioni che pure dovettero svolgere, unitamente alla rete di castra che ancora assicurava un controllo capillare del territorio, un loro ruolo nei torbidi che precedettero l’avvento al potere dei Montefeltro; dopo le ultime citazioni di un presidio a sorveglianza di palatium Phylippi Philippucii55 e di palatium ser Pauli Butii56, ulteriori menzioni, più frammentarie, si hanno di altri palatia, spesso collegati a insediamenti monastici rurali: guarnigioni sono attestate nel 1391 al palatium Buctafoci57 e presso quello dell’abbazia di S.Benedetto di Monte Pilleo, che anzi nel 1446 risulta essere occupato da furiusciti58; altre attestazioni ci sono pervenute per gli anni tra il 1410 e il 1412 relativamente all’abbazia di S.Verecondo, nel cui fortilitium in quel torno di tempo lavora maestro Angelo de Como59. Anche il monastero di S.Bartolomeo di Camporeggiano risulta essere dotato di una turris seu palatium , ove tra il 1431 e il 1433 troviamo dei missi deputati ad custodiam60. Certo, la denominazione di molti di questi edifici, così come ci è stata tramandata, rimanda chiaramente ad una fondazione di essi per spontanea iniziativa di privati, e non su impulso dell’autorità comunale (palatium Achillis, palatium Butafoci, palatium filiorum Ceccarini, palatium filiorum ser Corsini, palatium filiorum Oditoli, palatium ser Iacobi Conventutii, palatium Iohannis Marcutii iuxta castrum S.Angeli de Assino, palatium ser Nicole, palatium ser Pauli Butii, palatium Putii Mini de Conventinis, palatium Çangoli Bonaiuti); tuttavia, dato che la preoccupazione che spinse questi personaggi a porre mano a tali ben munite dimore, 46 Ivi, p.149.47 Ivi, p.180.48 Ivi, p.28549 Ivi, p.90.50 Ivi, p.146.51 Ivi, p.190.52 Ivi, p.256.53 Ivi, p.1.54 Ivi, p.377.55 Ivi, p.149.56 Ivi, pp.256-257.57 Ivi, pp.43-44.58 Ivi, p.304.59 Ivi, pp.320-321.60 Ivi, p.295.

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cui lasciarono in eredità il loro nome, dovette essere principalmente quella di dotarsi di uno strumento di vigilanza il più possibile efficace e diretto, oltre che fornito di validi accorgimenti difensivi, sulle loro proprietà, non fa meraviglia che in tale funzione di controllo sia subentrata con la massima naturalezza la pubblica autorità, nella misura in cui queste piccole fortezze potevano essere utilmente integrate in un progetto generale di difesa territoriale.

Tutto ciò però non dice ancora nulla, tornando al tema iniziale di questo intervento, su un eventuale legame tra l’origine delle colombaie e questi fortilizi nati con tutt’altre finalità, che si tratti di torri o di “palazzi”; tuttavia, non è azzardato supporre, come fa il Desplanques, che, venute meno a partire dal secolo XVI le funzioni militari di questi baluardi, essi siano stati successivamente riconvertiti a fini economici, cosa che potè essere favorita in vari casi dal loro originario collocarsi a difesa e presidio di patrimoni fondiari. Se quindi risulta plausibile la tesi dell’origine “militare” di alcuni almeno di questi annessi agricoli, d’altra parte credo però che quanto detto sopra tolga di mezzo definitivamente l’equivoco delle torri isolate intese come la prima tappa del progressivo superamento del modello insediativo “castrale”, posizione che allo stato dei fatti mi sembra difficilmente sostenibile. Risultano dunque ancora tutti da verificare tempi, modalità e ritmi di quel “deflusso” della popolazione dagli insediamenti accentrati e fortificati alla trama dell’abitato sparso, alla cui origine sta senza dubbio il diffondersi del contratto di mezzadria61; e per riuscire a fare chiarezza su questo punto, la sola strada praticabile rimane quella dell’analisi sistematica e su larga scala della documentazione di archivio, in particolare di quella notarile, catastale ed ecclesiastica62. Non essendo però ancora stato avviato da alcuno questo complesso cammino di ricerca, resta la possibilità di prendere spunto dagli indizi, del resto assai numerosi, che possono consentirci di formulare ipotesi attendibili su tale fenomeno; a questo proposito, sorge il sospetto, o meglio si ha l’impressione, che non avesse poi tutti i torti monsignor Innocenzo Malvasia quando, nella sua “visita” effettuata su incarico di papa Sisto V, a proposito dell’Umbria, ancora alla fine del ‘500 affermava che “le castella” della regione “non sono composte di gente civile, ma solo di contadini che il giorno escono a lavorare i campi e la sera si riducono tutti con le loro bestie dentro le castella, non essendo case né abitando alcuni nella campagna, come nella Lombardia particolarmente si costuma”63. Ora, è vero che, come puntualizza il Grohamnn, qui il Malvasia si riferiva non all’intera l’Umbria, ma allo Spoletino, al Ternano e, soprattutto,

61 Tuttavia, come suggerisce Rinaldo Comba, sarà opportuno non solo non generalizzare il nesso “dispersione dell’habitat=diffusione della mezzadria”, ma anche sottoporre tale equazione ad ulteriore verifica, anche per la realtà umbra (COMBA, La dispersione dell’habitat, cir., p.769).62 A proposito di quest’ultima tipologia documentaria, la più trascurata da coloro che si sono occupati delle problematiche relative all’insediamento rurale, bisogna sottolineare come la consultazione dei libri parrocchiali, in particolare degli “stati d’anime”, laddove conservati, sia spesso in grado di fornire un quadro estremamente preciso e puntuale della distribuzione territoriale della popolazione, oltre che della sua entità (per quanto riguarda l’area perugina, uno strumento utilissimo per l’orientamento nell’ambito di queste fonti rimane G. LETI – L. TITTARELLI, Le fonti per lo studio della popolazione della diocesi di Perugia dalla metà del XVI secolo al 1860, Perugia-Gubbio, Tipografia Oderisi Editrice, 1978-1980)

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all’Orvietano64, tuttavia vi sono vari indizi i quali, a mio avviso, suggerirebbero di estendere tale osservazione anche alla parte restante della regione, postdatando così almeno al pieno secolo XVII, o addirittura al XVIII il deciso manifestarsi delle due tendenze, strettamente connesse, del “dilagare” del contratto mezzadrile, e quindi dell’insediamento sparso nelle campagne, e della conseguente progressiva rarefazione della popolazione ancora presente dentro le cinte murarie degli antichi castra: come infatti fa notare il Desplanques, l’osservazione della cartografia cinque-sececentesca mostra come “la campagna sembra deserta se confrontata con quella d’oggi” 65. Ovviamente, si tratta solo di suggestioni e di congetture che, come ho detto sopra, abbisognano di ben altre verifiche e riscontri, in primo luogo a livello di fonti scritte; comunque, sono convinto che i tempi siano ormai maturi perché il mondo della ricerca umbra si faccia carico di questo compito, anche per onorare chi, come il Desplanques, avendo fatto tanto per aprire un settore di indagine totalmente nuovo, merita epigoni e continuatori che proseguano degnamente l’opera da lui intrapresa con tanta originalità ed acutezza.

63 Biblioteca Apostolica Vaticana, Visita dell’Umbria fatta da mons. Innocenzo Malvasia bolognese, chierico di Camera, per ordine do papa Sisto V nell’anno 1588, 1589 e 1590, cod. Chigi J I 25, cit. in GROHMANN, Entità dei focolari e tipologie insediative, cit., p.286.64 GROHMANN, Entità dei focolari e tipologie insediative, cit., p.286 nota 34.65 DESPLANQUES, Campagne umbre, cit., p.775; qui l’autore menziona uno schizzo cartografico dei primi del ‘600, riferito all’area tra Ripabianca e Collepepe, ove “lungo la strada [che collega i due paesi] sono due taverne e una casa isolata….mentre i due vilaggi posti in alto e circondati da solide mura merlate sono pieni di abitanti” .