San Benedetto

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“Aveva appena posto un piede sulla soglia del mondo che immediatamente lo ritrasse indietro”. È con queste celebri parole che il Papa Gregorio Magno introduce, nei suoi Dialoghi, la vita di San Benedetto da Norcia. Sono passati solo cinquant'anni dalla sua morte (543) ma molti di più da quella definitiva conversione del cuore e dell'anima che aveva spinto il padre del monachesimo occidentale a ritrarre il piede dal nefasto ambiente di Roma. Qui vi era giunto all'età di circa vent'anni per studiare grammatica e i “Liberalia litterarum studia” come era usanza per i nobili del tempo, era membro della nobile gens Anicia della città di Nursia. Ma Roma, capitale di un Impero ormai defunto (476), non sarebbe stata capace di attrarre neanche all'apice del suo splendore l'ardore e l'inquietudine spirituale del giovane Benedetto. Vi era in lui, come afferma di nuovo San Gregorio, quell'ansia mistica che gli ardeva nel cuore di “piacere soltanto a Gesù Cristo” così da glorificare Lui in ogni cosa. Fin da giovane infatti sembra obbedire già a quel comando che diverrà in seguito il principio ispiratore della sua Regola di vita monastica per cui “nulla deve essere preposto all'amore di Cristo”. È quel richiamo che lo porta ad abbandonare la città e con essa ogni cosa: la cultura ed i piaceri del mondo, la ricchezza e l'affetto della famiglia. È in cerca di un rifugio per lo spirito, di un silenzio per la mente, di una pace per il cuore. Dinanzi ad una esigenza così alta e profonda vuol far ritorno alla nuda terra dalla quale l'uomo nasce ed alla montagna dove Dio parla. Si incammina solitario così verso la valle solcata dal fiume Aniene e protetta dai monti Simbruini. Poco prima di arrivare ai resti della villa di Nerone, nei pressi di quei laghi ( sub-lacum, oggi Subiaco) che l'Imperatore secoli prima aveva fatto costruire dal nulla, incontra il monaco Romano. Egli viene dal vicino monastero di San Biagio ed è proprio lì che vuole condurre anche Benedetto, di cui ha colto subito la santità. È pur sempre una scelta di grazia per una vita dedita pienamente al Signore. Ma il giovane nobile rifiuta. Vi è in lui quasi l'ostinazione a ricercare Dio al di là della civitas humana lì dove ogni cosa sembra morire perché immobile: è il deserto che Benedetto desidera. Ottenuto così da Romano l'imposizione dell'abito monastico orientale, si lascia accompagnare da lui in uno speco incastonato sulla ripide parate del monte Taleo. Lì vi abita per tre anni “solo con se stesso, sotto gli occhi di Colui che dall'alto vede ogni cosa” - come afferma ancora Gregorio Magno – in un assenza quasi eterna di spazio e tempo. Siamo nel 497. Quegli eterni valori cristiani della civiltà europea, assediata dai saccheggi dalla scorrerie e dalle invasioni delle popolazioni barbariche, si stanno lentamente delineando sulle orme del giovane Benedetto. A secoli di distanza infatti, ammirando la grandezza della sua figura e tutte le grazie che l'Europa (e non solo) ha ricevuto dalla sua santa opera potremmo davvero utilizzare come profetico anche per lui il grido di Isaia: “nel deserto preparate la via al Signore [...] ogni valle sia innalzata, ogni monte ed ogni colle siano abbassati; il terreno accidentato si trasformi in piano e quello scosceso in vallata. Allora si rileverà la gloria del Signore”. In quel “Sacro Speco” infatti – sul quale si innalzarono tra l'XI e il XIII secolo due splendide chiese tra loro sovrapposte che oggi racchiudono il Monastero di

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  • Aveva appena posto un piede sulla soglia del mondo che immediatamente lo ritrasse indietro.

    con queste celebri parole che il Papa Gregorio Magno introduce, nei suoi Dialoghi, la vita di San

    Benedetto da Norcia. Sono passati solo cinquant'anni dalla sua morte (543) ma molti di pi da

    quella definitiva conversione del cuore e dell'anima che aveva spinto il padre del monachesimo

    occidentale a ritrarre il piede dal nefasto ambiente di Roma. Qui vi era giunto all'et di circa

    vent'anni per studiare grammatica e i Liberalia litterarum studia come era usanza per i nobili del

    tempo, era membro della nobile gens Anicia della citt di Nursia. Ma Roma, capitale di un Impero

    ormai defunto (476), non sarebbe stata capace di attrarre neanche all'apice del suo splendore l'ardore

    e l'inquietudine spirituale del giovane Benedetto. Vi era in lui, come afferma di nuovo San

    Gregorio, quell'ansia mistica che gli ardeva nel cuore di piacere soltanto a Ges Cristo cos da

    glorificare Lui in ogni cosa. Fin da giovane infatti sembra obbedire gi a quel comando che diverr

    in seguito il principio ispiratore della sua Regola di vita monastica per cui nulla deve essere

    preposto all'amore di Cristo. quel richiamo che lo porta ad abbandonare la citt e con essa ogni

    cosa: la cultura ed i piaceri del mondo, la ricchezza e l'affetto della famiglia. in cerca di un rifugio

    per lo spirito, di un silenzio per la mente, di una pace per il cuore. Dinanzi ad una esigenza cos alta

    e profonda vuol far ritorno alla nuda terra dalla quale l'uomo nasce ed alla montagna dove Dio

    parla. Si incammina solitario cos verso la valle solcata dal fiume Aniene e protetta dai monti

    Simbruini. Poco prima di arrivare ai resti della villa di Nerone, nei pressi di quei laghi (sub-lacum,

    oggi Subiaco) che l'Imperatore secoli prima aveva fatto costruire dal nulla, incontra il monaco

    Romano. Egli viene dal vicino monastero di San Biagio ed proprio l che vuole condurre anche

    Benedetto, di cui ha colto subito la santit. pur sempre una scelta di grazia per una vita dedita

    pienamente al Signore. Ma il giovane nobile rifiuta. Vi in lui quasi l'ostinazione a ricercare Dio al

    di l della civitas humana l dove ogni cosa sembra morire perch immobile: il deserto che

    Benedetto desidera. Ottenuto cos da Romano l'imposizione dell'abito monastico orientale, si lascia

    accompagnare da lui in uno speco incastonato sulla ripide parate del monte Taleo. L vi abita per tre

    anni solo con se stesso, sotto gli occhi di Colui che dall'alto vede ogni cosa - come afferma ancora

    Gregorio Magno in un assenza quasi eterna di spazio e tempo. Siamo nel 497. Quegli eterni valori

    cristiani della civilt europea, assediata dai saccheggi dalla scorrerie e dalle invasioni delle

    popolazioni barbariche, si stanno lentamente delineando sulle orme del giovane Benedetto. A secoli

    di distanza infatti, ammirando la grandezza della sua figura e tutte le grazie che l'Europa (e non

    solo) ha ricevuto dalla sua santa opera potremmo davvero utilizzare come profetico anche per lui il

    grido di Isaia: nel deserto preparate la via al Signore [...] ogni valle sia innalzata, ogni monte ed

    ogni colle siano abbassati; il terreno accidentato si trasformi in piano e quello scosceso in vallata.

    Allora si rilever la gloria del Signore. In quel Sacro Speco infatti sul quale si innalzarono tra

    l'XI e il XIII secolo due splendide chiese tra loro sovrapposte che oggi racchiudono il Monastero di

  • San Benedetto non si contempla solo una mistica ed anacoretica fuga dal mondo di un giovane

    nobile. Da quei tre anni apparentemente vissuti nell'immobilismo e nel silenzio si propagano in

    azione e parola tutte le grazie spirituali e le virt sociali di una fede completamente e radicalmente

    vissuta in Cristo i cui benefici attraverso il monachesimo - si perpetueranno in Europa per secoli.

    Una sovrabbondanza di grazia sconosciuta allo stesso Benedetto che fa pensare al passo evangelico:

    cercare prima il Regno di Dio e la sua giustizia e tutto il resto vi sar dato in sovrappi. Da quel

    giorno di Pasqua del 500 infatti, quando il santo abbandona la grotta al passaggio di un sacerdote, i

    frutti spirituali di quegli anni di silenzio vissuti in quel sacro speco, vera culla della civilt europea,

    cominciano ad irradiarsi. Inizialmente ai pastori, poi ai fedeli delle chiese vicine e lontane con i

    primi giovani seguaci (i santi Mauro e Placido). Da qui la necessit di fondare nuove comunit

    cenobitiche con i relativi monasteri (oggi rimane solo Santa Scolastica) e con essi un ordine ed una

    disciplina che trovano il punto pi alto e completo quando, per l'invidia degli ecclesiastici del luogo

    nel 529, abbandonando Subiaco Benedetto trova rifugio a Montecassino. Qui completa infatti la sua

    Regola monastica ma sopratutto edifica su quella terra ancora luogo di culto pagano il monastero

    madre del futuro ordine benedettino e della stessa Europa; un paradigma sociale perfetto di santit

    evangelica. Con l'equilibrio e l'armonia tipicamente romana, con la misericordia e la solidariet

    tipicamente cristiana prende forma cio un modello morale di vita comunitaria che al tempo stesso

    un esempio economico, politico e culturale per la civilt umana. La fede diviene principio ispiratore

    di una vita di grazia dove bilanciando libert e autorit, singolarit e comunit, lavoro e

    contemplazione ogni cosa viene compiuta come opus pro Dei. Se si disboscano e si abbattono

    foreste, se si prosciugano paludi e si coltiva la terra ed il bestiame - salvando cos l'Europa dal

    collasso agricolo e tecnologico solo per la gloria di Dio. Se si trascrivono i libri della classicit

    pagana salvando cos l'Europa dal collasso culturale solo per imparare a leggere e scrivere e

    cos lodare Dio. Il monastero di Montecassino sar il cuore pulsante dove sorger la societas

    christiana ma la sua anima risiede in quella piccola grotta a Subiaco e in quei tre anni di silenzio nei

    quali San Benedetto parl con Dio.